Sarebbe falso ipotizzare che i cinque uomini sui quali erano puntati gli occhi di tutto il mondo si considerassero audaci avventurieri in procinto di rischiare la vita in uno stupendo gioco d’azzardo scientifico. Erano tutti tecnici dotati di spirito pratico e realistico che non intendevano minimamente prender parte a un qualsivoglia azzardo — per lo meno per quanto riguardava la loro vita. Un rischio c’era, naturalmente, ma si rischiava anche prendendo il treno delle 8.10 per raggiungere la City.
Ognuno di loro aveva reagito a modo proprio alla pubblicità della settimana precedente. Se l’erano aspettata e si erano preparati bene. Hassell e Leduc si erano già trovati sotto gli occhi del pubblico e sapevano come trarre godimento da quell’esperienza evitandone gli aspetti più irritanti. Gli altri tre membri dell’equipaggio, ritrovandosi di colpo famosi, tendevano a stare uniti come a darsi protezione l’un l’altro.
Una mossa fatale, perché li rese facile preda dei giornalisti.
Clinton e Taine erano ancora sufficientemente nuovi all’esperienza delle interviste per esserne compiaciuti, ma il loro collega canadese, Jimmy Richards, le detestava. Le sue risposte, di non grande aiuto inizialmente, si fecero sempre più brusche col passar del tempo poiché era arcistufo di rispondere sempre alle medesime domande. In un’occasione rimasta famosa, angariato da una giornalista particolarmente prepotente, si era comportato in modo ben meno che cavalleresco. Secondo la descrizione che prese a circolare in seguito grazie a Leduc, l’intervista era andata pressappoco nel seguente modo:
«Buongiorno, signor Richards. Vi spiacerebbe rispondere a qualche domanda per il «West Kensington Clarion»?»
Richards (annoiato ma ancora passabilmente cortese): «Certo, anche se tra pochi minuti ho appuntamento con mia moglie».
«Siete sposato da molto?»
«Da dodici anni.»
«Oh! Bambini?»
«Due: entrambe femmine, se ricordo bene.»
«Vostra moglie approva che ve ne voliate via dalla Terra così?»
«Sarà bene che lo faccia.»
(Pausa durante la quale l’intervistatrice si rende conto che, per una volta, la sua ignoranza della stenografia non costituirà un handicap).
«Suppongo abbiate sempre provato un violento impulso ad andare tra le stelle, a — ehm — piazzare la bandiera dell’umanità su altri mondi, vero?»
«No. Non ci ho mai pensato fino a un paio di anni fa.»
«E allora come mai siete stato scelto per questo volo?»
«Perché sono il secondo miglior ingegnere atomico del mondo.»
«E il primo chi è?»
«Il professor Maxton, che è troppo prezioso perché si rischi la sua vita.»
«Vi sentite nervoso?»
«Oh sì. Ho paura dei ragni, dei blocchi di plutonio che abbiano più di 30 centimetri di diametro e di tutto quello che fa rumore di notte.»
«Intendevo dire… siete nervoso all’idea di questo viaggio?»
«Sono terrorizzato. Guardate, vedete che tremo?» (Dimostrazione.
Danni di lieve entità alla mobilia.)
«Che cosa vi aspettate di trovare sulla Luna?»
«Una gran quantità di lava e pochissimo altro.»
L’intervistatrice assume un’aria smarrita e ovviamente si sta apprestando a sganciarsi.
«Vi aspettate di trovare qualche forma di vita sulla Luna?»
«Molto probabile che ci sia. Appena arriveremo mi aspetto di sentire un colpo al portello e una voce che dirà: «Vi dispiacerebbe rispondere a qualche domanda per il ‘Selenites Weekly’?».»
Naturalmente non tutte le interviste erano come questa e bisogna prendere atto che Richards giurò che tutta la faccenda era stata inventata da Leduc. La maggior parte dei giornalisti che si occupavano delle attività dell’Interplanetary erano laureati in materie scientifiche e passati poi al giornalismo. Il loro era un compito ingrato, dal momento che i giornali spesso guardavano a loro come intrusi e gli scienziati come apostati.
Forse nessuna singola cosa aveva attratto il pubblico interesse più del fatto che due membri dell’equipaggio avrebbero costituito solo delle riserve e che sarebbero rimasti sulla Terra. Per un certo periodo di tempo, le speculazioni sulle dieci possibili combinazioni divennero così diffuse che i bookmakers presero a interessarsene. Era generalmente dato per scontato che, dal momento che Hassell e Leduc erano entrambi piloti di razzi, ne sarebbe stato scelto solo uno. Poiché questo genere di discussioni avrebbe potuto avere cattivi effetti sugli uomini, il Direttore Generale mise in chiaro che nessuna di quelle argomentazioni era valida. Grazie al loro addestramento, «qualunque» gruppo di tre uomini avrebbe formato un equipaggio efficiente. Accennò al fatto, senza prometterlo definitivamente, che la scelta finale avrebbe potuto essere fatta per ballottaggio, ma nessuno — tanto meno i cinque uomini in questione — ci credette sul serio.
La preoccupazione di Hassell per il bambino che doveva nascere era giunta a conoscenza di tutti. Il che non aiutava. Era cominciata come un piccolo turbamento nel profondo della sua mente, che egli, per molto tempo, era però riuscito a tenere sotto controllo. Man mano che le settimane erano passate, tuttavia, aveva cominciato a preoccuparsi sempre più, finché la sua efficienza aveva preso a risentirne. Quando se ne era reso conto, si era preoccupato ancora di più, e così il processo si era accelerato.
Dal momento che la sua paura non era per se stesso ma riguardava una persona che amava, e dato ch’era fondata, c’era poco che gli psicologi avrebbero potuto fare al riguardo. Non potevano consigliare a un uomo col suo carattere e col suo temperamento di farsi eliminare dalla spedizione. Potevano solo stare a guardare: e Hassell sapeva benissimo che lo stavano osservando.