Quella notte Hergal mi svegliò precipitando dal Monumento a Zeefahr.
Uno dei miei fattori mi chiamò la mattina dopo — non so bene quale fosse dei due perché era cambiato, ancora maschio ma con un altro corpo — e mi chiese se stavo bene.
«Oh, sì, grazie. Sto benissimo.»
Fu l’ultima volta che si fecero sentire, per la verità, comunque fu un pensiero gentile.
Hatta si era fatto scrivere da una macchina una poesia Jang d’amore per me, e il mio bestiolino strappò tutti i fiori di seta accanto alla piscina e me li portò orgogliosamente, uno ad uno, con un sorriso malizioso negli occhi arancione.
Chiamai il Centro Ideazione nella Quadrovisione e chiesi di avere la mia registrazione per tenerla come ricordo: lo chiesi con un tono amaro che quelli ignorarono. Comunque, ricevetti la registrazione, e il bestiolino ed io la guardammo e la riguardammo, per tutto il pomeriggio, sullo schermo a muro.
La notte fiorì su Quattro BEE e io andai a passeggiare sugli antichi marciapiedi non mobili, e il bestiolino mi seguì, giocando con la sua e con la mia ombra, gettate dalle grandi stelle e dalle insegne gemmate che splendevano tra gli edifici.
Andammo a fare una corsa nel fuoco al Campo Giochi dell’Onice. Il bestiolino si accovacciò sotto i cuscini, e ringhiò ogni volta che un guizzo di fiamma particolarmente vivo ci passava accanto. Altre barche di fuoco, sgargianti e dorate, ci balzavano accanto, in una pioggia di scintille. Notai due Anziani, un maschio e una femmina, vestiti dello stesso color verde acido, che si tenevano per mano e ridacchiavano come una coppia di Jang, a bordo di una di quelle barche. Mi fecero sentire depressa, non so come, e poi mi affascinarono: sembravano così contenti e soddisfatti. Quando premettero il pulsante della discesa, li seguii. Atterrammo. Mi misi sotto al braccio il mio bestiolino, che si divincolava e strillava, e seguii la coppia tra i chioschi e le fontane. I Jang seguono sempre la gente, secondo i saggi della Commissione sul loro comportamento. Io non avevo preso quell’abitudine; ma almeno, se quei due si fossero voltati e mi avessero vista, non avrebbero fatto una scena.
Erano instancabili, e immensamente noiosi nelle scelte di ciò che intendevano fare. Continuavano a fermarsi per prendere fuoco, o per strisciare dentro le gole purpuree dei grandi serpenti pelosi importati da Quattro BAA, e compravano i cibi più nauseanti che si possano trovare in un campo giochi e se ne ingozzavano.
Alla fine sedettero in mezzo a un gruppo di fontane color arcobaleno, profumate di fiori, e cominciarono a cinguettare tra loro. Io mi piazzai tranquillamente a poca distanza, ma il bestiolino ne approfittò per dar fuori da matto e si precipitò su di loro, con quelle grosse zampe pelose. Mi lanciai per agguantarlo prima che addentasse i loro di zucchero verde e oro, o soddisfacesse i suoi bisogni corporali sui loro bei stivali verdi. Ma le cose andarono diversamente.
«Che animaletto delizioso,» mi dissero. Oh, bene, capivo che quella sera erano disposti ad accettare tutto.
Il bestiolino si rivoltò e tentò di mordermi, tanto per dimostrare che sapeva benissimo chi erano veramente i suoi amici.
«Che corpo incantevole, mia cara,» si congratularono con me mentre io mi agitavo, cercando di evitare i denti del bestiolino. «Speriamo,» aggiunse la femmina, «che nostra figlia abbia altrettanto buon gusto quando diventerà una Jang.» E ridacchiarono, tutti e due.
Oh, avevo capito.
«Siete fattori?» domandai, penosamente, perché stavano lì seduti, e ansimavano dalla voglia che io lo chiedessi.
«Oh, sì. Proprio adesso,» spiegarono.
«Questo pomeriggio,» disse la femmina, «Rul ha dato la sua metà della piccina. Abbiamo visto abbinare le due metà. Oh!» E batté la mano sul braccio di Rul.
«Quale di voi due sarà il tutore?» domandai. Uno solo dei fattori può accettare la custodia legale del bambino durante gli anni in cui cresce e il periodo dell’ipnoscuola. Poi quello diventa Jang ed è padrone di se stesso. Ma i due mi sconcertarono dicendo:
«Pensavamo di restare insieme, almeno fino a quando la piccola diventerà Jang.»
«Lo fecero anche i miei fattori,» dissi. All’improvviso, sentii dentro una sorta di vuoto gelido. «Si sono separati un paio di unit fa.» I due si rattristarono di colpo. Mi vergognai un po’ di me stessa. «Però erano entrambi prevalentemente maschi,» dissi per consolarli. «Ecco perché.» E infatti si consolarono. Bene, la donna era senza dubbio prevalentemente femmina, comunque. Troppo prevalentemente femmina, anzi, ad essere sincera.
Dissi che dovevo scappare per avere un’estasi, e tutti mi guardarono con aria d’approvazione, tranne quel thalldrap del bestiolino, che li supplicò con gli ochhi, come volesse dire: «Appena resteremo soli, lei mi picchierà senza misericordia.» Lo presi per la collottola, lo trascinai via dalla coppia e mi avviai attraverso il parco.
«Mi hai deluso,» lo accusai. Il bestiolino rise. Lo giuro, sono certa che rise. La mia ape mi cadde sulla testa davanti a una grande folla che pattinava sull’acqua.
«Vorrei che potessi rispondermi,» scattai, rivolta al bestiolino. «Allora potremmo avere una vera dalika, e dopo faremmo pace e ci sentiremmo meglio.»
E fu così che pensai per la prima volta al bambino. Qualcosa con cui litigare. Immagino che sia un’ammissione orribile, ma è la verità.
Il bestiolino corse via a grandi balzi per andare a giocare a pallastella con alcuni Jang dai capelli chiari; io mi sedetti su di una pietra ornamentale costellata di rubini, e i pensieri mi assediarono.
Un bambino. Anch’io avrei fatto un bambino. Il maschio non era importante: non era necessario che avesse più nulla a che fare con la faccenda, dopo aver fornito l’altra metà del mio bambino. Io sarei stata il tutore. Avrei visto il fiore crescere nel suo crepuscolo di crystallize, l’avrei portato a casa e l’avrei curato, l’avrei mandato ad ogni corso dell’ipnoscuola, e l’avrei riavuto a casa a metà corso, gloriandomi dei risultati ottenuti. Avrei potuto discutere con lui i suoi problemi, stimolarne gli interessi ed i desideri. L’avrei aiutato a diventare una persona, un bimbo, un Jang, un adulto. Fremevo di un amore oscuro ma appassionato per il mio secondo io, non ancora creato, non ancora realizzato.
«So esattamente ciò che stai per dire,» dichiarai al mio povero vecchio Q-R dal tappeto d’acqua.
«Davvero?»
«Oh, sì. Dirai: ’Ci troviamo ancora alle prese con il problema originario. Sei Jang, e sei troppo giovane, e devi continuare ad essere Jang e troppo giovane per un altro quarto di rorl.’ Comunque, ho guardato la documentazione del Museo Storico, ed è già accaduto altre volte.»
«Sarebbe meglio che mi dicessi che cos’è accaduto altre volte,» suggerì il mio Q-R.
«Che dei Jang diventassero fattori.»
«Capisco,» disse il Q-R. «Vuoi diventare fattore.»
«Sì,» dissi io.
«E l’altro fattore chi è?»
«Non ho ancora deciso.»
«Mia cara signorina,» disse il Q-R, «forse l’archivio non te l’ha detto, ma quando è accaduto che dei Jang sono stati autorizzati a diventare fattori, è sempre stato quando un giovane maschio e una giovane femmina avevano un profondo attaccamento reciproco e desideravano cementare questo legame con un figlio.»
Ma quella mattina io ero tutta agilità mentale.
«E sta bene,» dissi. «Ammetto di avere in mente un particolare maschio. Ma per il momento è in Distorsione dei Sensi. L’aveva prenotata da millenni e non poteva disdirla, altrimenti sarebbe qui con me, adesso. Da molto tempo abbiamo pensato di fare un figlio,» continuai, con aria sognante. «Una parte di noi…»
«Davvero?» chiese il Q-R. Non era sicuro, questo lo capivo. Fece scattare circuiti e relé, e disse: «A quanto pare, le regole non sono più tanto rigorose. Se sei disposta a sottoporti agli esami, prenderemo in considerazione la tua richiesta.»
Per poco non mi venne un colpo.
«Davvero?» gridai.
«Sì,» disse il Q-R. All’improvviso ebbi l’impressione che fosse veramente buono, e che fosse stato programmato per esserlo. «So,» aggiunse, «che trovi tutto molto difficile, in questo momento, e secondo il mio giudizio, un rapporto con un essere che cresce potrebbe esserti di aiuto. Purché, naturalmente, accetti che durante i primi anni di vita del bambino vi siano diverse ispezioni della Commissione.»
Barbugliai, felice. La Commissione poteva ispezionare quanto voleva. Mi sarei portata fuori il bimbo, cantando «Io amo Quattro BEE e l’ipnoscuola, e sarò più Jang dei Jang!» se avesse voluto. Oh, derisann Q-R!
Andai in slitta in una sala giallo chiara, molto riposante, dove due o tre Q-R dai camici dorati mi incoraggiarono a dir loro perché volevo fare un bambino. Quando recitai tutta quella tirata sulla mia intenzione di dare a Quattro BEE un altro cittadino felice, si mostrarono molto sorpresi, ma io sapevo che stavo dicendo le frasi giuste. Avevo letto tutto, capite. Dissi anche di essere convinta che il contatto con l’ingenuità e l’innocenza di un bambino sarebbe stato per me come un bagno tonificante, e quelli andarono in solluchero. In realtà, lo pensavo davvero, quindi credo che la mia affermazione suonasse sincera. A quanto pareva, altri Jang difficili, tosky, fastidiosi, erano stati redenti prima di me da lunghe relazioni sessuali e dal fatto di fare bambini.
Poi passammo ad un altro argomento: «Ti rendi conto che il maschio prescelto deve essere un altro Jang? E dov’è?» Così io tirai fuori di nuovo la frottola della Distorsione dei Sensi. Quando compì la Distorsione dei Sensi, può continuare per millenni, e finché lo fai puoi restare anonimo. È una specie di valvola di sicurezza. Un modo di venirne fuori, credo. Perciò il maschio da me prescelto, del quale non diedi il nome, per il momento se ne stava recluso e io non sapevo bene quando sarebbe uscito.
Accettarono la cosa di buona grazia: ovviamente i regolamenti erano un po’ meno ferrei, adesso, altrimenti quelli avrebbero tirato fuori tutti quanti dalla Distorsione dei Sensi, fino a che lo avessero scovato.
Poi dovetti attendere in una stanza piena di ciotole di pillole dell’estasi e di macchine dell’amore, e dopo un milione e un vrek, arrivò un messaggero per ricondurmi indietro, e mi annunciarono che andava tutto bene.
Poi mi fecero un predicozzo sulle responsabilità dei fattori, mi spiegarono come potevo chiedere aiuto e dove, che la Commissione avrebbe mandato dei Q-R a ispezionare i miei sforzi — a quanto pareva, si trattava di gaie visitine informali, versetti al pupo e giocattoli pelosi e così via, ma io non ero poi tanto selt - e mi indicarono i moduli che avrei dovuto compilare più tardi per l’ipnoscuola e il resto. Fare bambini è una faccenda piuttosto complessa.
Mi sentivo terribilmente sovreccitata e radiosa, con le guance ardenti e il cuore che batteva all’impazzata. Quando mi mandarono al settore medico, l’entusiasmo venne riscontrato dalla macchina, e i Q-R avevano le lacrime agli occhi. Sinceramente, per poco non impazzii per resistere alla tentazione di ridere loro in faccia. Avevo l’impressione che se avessi cominciato non avrei più smesso, e loro mi avrebbero qualificata Isterica di Prima Classe Uno-A, e avrebbero detto «figli mai!» Perciò me ne stetti buona mentre prendevano il gruppo sanguigno, i dati sull’attività elettrica celebrale, e le misure in gesso delle ossa. Poi qualcuno si chinò su di me e mi domandò se volevo fare un maschio o una femmina.
«Femmina,» risposi: con un po’ di aggressività, sospetto.
Mi domandarono se il compagno da me prescelto era d’accordo.
Oh, sì, naturalmente.
Beh, certo che sarebbe stato d’accordo, no, chiunque egli fosse? E all’improvviso pensai che doveva essere qualcuno un po’ speciale, dopotutto.
Immagino che mi avessero indotto loro, a pensarla così.
E la cosa più tremenda fu che la prima persona che mi venne in mente fu Hergal.
Cercai di convincermi che non era proprio il caso.
Hergal è così noioso, continuavo a ripetermi, e decisamente troppo Jang, e per giunta zaradann e poi, oh, ha un po’ tutti i difetti.
Ma non servì a nulla. Immagino che avrò sempre un debole per la maleducata, vaga disinvoltura di Hergal, l’essenza della sua scintilla vitale, così aliena eppure, stranamente, così parallela alla mia.
Probabilmente doveva essere ancora al Limbo, dopo l’ultimo incidente — era il quarantunesimo, no? — ma quello non era un problema. In quanto al fatto che l’avevo escluso dal mio circolo, bene, dopo avevo escluso anche me stessa, perciò eravamo tutti e due reietti, per così dire.
In effetti comparve lui, nel sogno. Il sogno è quello che ti fanno fare quando ti prendono la metà necessaria per fare il bambino. Lo scopo principale è farti sognare che sei in compagnia del piccolo, ed è terribilmente idilliaco, e in pratica piangi di gioia nel sonno. Io correvo insieme a lei, la mia bambina, tra prati rosei pieni di profumo e di rosea luce solare, e tutte e due avevamo le chiome scarlatte, che stridevano con tutto, solo che a noi non importava niente. Non c’era null’altro, nel sogno, solo quella felicità esplosiva e singultante che sembra strapparti il cuore. E poi la bambina alzò la testa e indicò qualcosa che scintillava in cielo.
«Fattore, che cos’è?»
Ed era quello sciocco del vecchio Hergal, assolutamente groshing, interamente d’oro, che rifletteva il sole, volteggiando in cerchi, torno torno, con quelle immense ali d’angelo che funzionavano davvero.
Così mi svegliai, e loro avevano messo la mia metà nel magazzino frigorifero, tra la crystallize; dissero che dovevo mandare lì il mio maschio appena fosse stato pronto, e avrebbero completato il lavoro. E io pensai a Hergal.
Ero così felice, mentre andavo al Limbo sul ponte volante. Continuavo a lanciarmi nell’euforia più folle, pensando che la scintilla vitale era meravigliosa, quel piccolo, indefinibile qualcosa che deve essere fatto inizialmente da un maschio e da una femmina, anche se poi cambierà chissà quanti corpi, quando sarà cresciuto. È una cosa che ancora oggi sbalordisce tutti. Gli scienziati Q-R non riescono a farsene un’idea, anche adesso. Ogni volta che qualcuno vi accenna, cominciano a borbottare «Ehm, uhm».
«La differenza essenziale tra il Quasi-Robot (androide) e l’uomo vivente», dicono i libri, «sta nel fatto che il Quasi-Robot è di carne vivente motivata da elettrodi, plasma metallico, e cervello d’acciaio, inseriti nelle cellule durante la crescita. L’uomo è carne pura, senza intromissioni elettroniche o metalliche, creata da cellule maschili e femminili, e contenente quell’antico elemento che un tempo veniva chiamato Anima».
Ma io ero pazza di gioia, sul ponte, e pensavo alla mia metà che attendeva, la minuscola scintilla della mia scintilla, piccola, pallida ooma, la mia bimba, il mio io. Mi sentivo ancora in estasi, sebbene non avessi toccato una pillola da millenni.
Nei dintorni del Limbo, mi ricordai che non avevo preso nulla da portare a Hergal, perciò andai a rubare un serpente robotico con la placcatura di perla, veramente insumatt, e poi mi vergognai e tornai indietro per pagare: non sarebbe stato un vero regalo, dopotutto, se l’avessi rubato, no?
Quando arrivai al Limbo, ebbi le solite difficoltà a trovare Hergal. Io non avevo visto il comunicato riguardante il suo corpo nuovo, e mi domandavo come sarebbe stato, questa volta. Ma lo scoprii presto.
«Oh, Hergal!» Il mio, praticamente, fu un urlo. «Come hai potuto?»
«Cos’è che non va?» chiese Hergal, snodando pigramente l’agile corpo argenteo da un divano fluttuante e balzando con eleganza sul pavimento di gomma di crystallize.
«Sei femmina!» gridai.
«E di prima scelta!» rise lei. Aveva i capelli lunghi, di un malva crepuscolare, intrecciati e coperti di gemme. Aveva degli smeraldi fissati sui capezzoli dei piccoli seni deliziosi, e un perizoma di fiori.
La mia felicità esplose e scomparve. Spiegai tutto, tra i singhiozzi della mia furiosa delusione.
«Beh, ma come potevo saperlo?» mi chiese Hergal, abbastanza ragionevolmente. Cercò di consolarmi, ma al contatto del suo braccio morbido mi precipitai fuori e tornai a casa. Avevo dimenticato di regalarle il serpente, ma il mio bestiolino ci si divertì, e per giorni interi io caddi, inciampai e scivolai sulle scaglie di perla staccate. Era un simbolo, credo, delle mie speranze distrutte.
Mi chiamò Hatta.
Per torturare me stessa, fissandolo nei quattro occhi rosa, pensai di dirgli: «Hatta, fai un bambino con me.» Ugh! Solo a pensarci… Non credevo, comunque, che la Commissione l’avrebbe permesso. La piccola avrebbe avuto tre o quattro teste, e gli zoccoli, o chissà che altro ancora.
«No,» dissi a Hatta, ma in realtà non avevo ascoltato quel che stava dicendo: ma avevo indovinato esattamente, credo, a giudicare dalla sua espressione addolorata. Lui se ne andò.
Il bestiolino aveva voglia di giocare e io no. Ci fu un litigio unilaterale e lui mi morsicò.
Chi? Il problema era tutto lì. Chi? Chi? Chi? Non riuscivo a pensare a nessuno che mi andasse bene, per dare l’altra metà della mia bambina. E poi, sembrava che adesso fossero tutti femmine. Persino Kley.
E poi pensai alle navi delle sabbie che salpano, una ogni dodici unit, da Quattro BEE, attraversano il Deserto Ardente, eccetera, e arrivano a Quattro BOO e a Quattro BAA. Forse là un bel corpo, con dentro una bella scintilla di vita, stava aspettando di rendersi utile. Oh, gioia!
«Vuoi venire con me?» chiesi dubbiosa, al bestiolino.
Sapevo che avrebbe insistito per venire, e avrebbe continuato a mordere tutti quanti, e sarebbe diventato zaradann nei momenti meno opportuni. Mi seguì sul portico, barrendo sommessamente.
«E allora vieni.» Lo sollevai e cercai di schivare, senza riuscirvi, un morso sul naso che però, per fortuna, non era un morso ma un bacio.
Era veramente strano, lasciare Quattro BEE.
Bisognava prenotare il posto, sulle navi delle sabbie, ma io ebbi fortuna, mi dissero, perché era una stagione morta per i viaggi. In realtà, adesso è sempre stagione morta. Il deserto e le grandi montagne nere ed i vulcani, spenti o no, fanno venire i brividi alla gente. Quando salii a bordo, vidi che i miei compagni di viaggio stavano seduti tutto intorno, rattrappiti, in attesa di venir trascinati nel seno inospitale di quello che, dopotutto, era il nostro pianeta. C’erano alcuni Jang, ma evidentemente formavano un circolo completo che non avrebbe accettato l’intromissione di un’estranea come me. Comunque, sembravano molto femmine, persino i due maschi. E anche loro stavano rattrappiti, sebbene superficialmente fossero così giovani e ardimentosi. Probabilmente non avevano mai compiuto neppure un sabotaggio. Devo ammettere che al primo sabotaggio che io avevo fatto, insieme a Hergal e a Kley, quasi un ottavo di rorl prima, mi ero sentita veramente in preda all’agorafobia, davanti ai grandi spazi aperti oltre il posto di vedetta 6D, benché fosse anche meraviglioso, trovare qualcosa che ti facesse davvero girare lo stomaco. Gli altri due o tre passeggeri erano Anziani: una teneva abbracciato un animale roseo, e io mi affrettai ad agguantare il mio bestiolino per la collottola, piuttosto preoccupata.
«Non ti ci provare,» dissi.
Il bestiolino, che sembrava l’incarnazione dell’innocenza più candida, si leccò il manto lustro.
Eravamo lì seduti da un po’, quando arrivò a bordo un robot e ci spuntò, con irritante lentezza, su una lista dei passeggeri fissata ad una delle colonne d’acciaio.
Il robot mi informò che il mio animale non era registrato, e che dovevo firmare un documento speciale, se volevo tenerlo a bordo. Poco mancò che approfittassi dell’occasione per far buttare fuori il bestiolino, ma non ne ebbi il coraggio, perciò firmai. Il bestiolino cercò di mordere il robot. Ci fu parecchio chiasso. Evviva, mi mettevo di nuovo in vista.
Poi ci fu uno sferragliare, e gli ululati delle sirene, e partimmo a un lento galoppo. Le reti dell’eiettore ci afferrarono con qualche sussulto qua e là, e uscimmo, con un fischio acutissimo, dalla cupola di onde elettriche che ricopre Quattro BEE. La luce cambiò. Vi fu un tonfo sommesso quando i portelli della cupola si chiusero. I passeggeri si voltarono tutti a guardare le finestre coperte: avevano un’aria spaventata, nonostante fingessero bonomia e sangue freddo. E poi arrivò questo annuncio che quasi mi fece soffocare di sadica allegria:
«Quelli tra voi che desiderano recarsi alla Torre Trasparente a poppa ora possono andare.»
E nessuno, naturalmente, si mosse. Beh, voglio dire, guardare tutta quella roba così drumdik, quel deserto bestialmente grande, tutti quegli orrendi fenomeni naturali, come le rocce scolpite dalla pioggia e la ghiaia cesellata dal vento… Mi alzai, quasi senza accorgermene. Benissimo, io volevo davvero andare nella Torre Trasparente. Per poco il robot non crollò, ma riuscì a seguirmi, un po’ barcollante, per attivare una macchina-guida che cominciò a sdottoreggiare sui vari fenomeni naturali. Il bestiolino mi seguì, e anche lui sbirciò fuori, probabilmente ricordando il suo deserto nei pressi di Quattro BOO, nei bei tempi andati, prima che della stupida gente lo tirasse fuori dalla tana per quelle sue lunghe, impossibili vibrisse arricciolate, e lo condannasse a diventare l’animale domestico di una sciocca come me.
La Torre Trasparente era ovale, fatta di videoglacia, resistente alla pressione atmosferica, al maltempo, alla sabbia, ma completamente trasparente, davvero. Anche la cupola era limpida, e portava una specie di emblema confuso di una vecchia flotta di navi del deserto. Sono un’istituzione molto antica. Tutti pensavano che sarebbero state sostituite dalle macchine trasferitrici, fino a quando avevamo constatato che queste fanno vomitare. Ma ormai, tutti erano diventati restii a viaggiare.
«Che effetto fa, guidare una reliquia?» chiesi alla macchina-guida, che tentava di mettermi in soggezione trasformandosi in venti paia d’occhi fissati su un collo girevole. «No, non voglio guardare quella faglia geologica. E neanche quel vulcano spento sulla sinistra. Voglio guardare da me.» E guardai da me. Sinceramente, le guglie di roccia sembravano castelli fantastici usciti da un mito. Mi sorpresi a immaginare che lo fossero davvero, e mi bloccai. Oh, ma… e il cielo era scuro, più turchese che celeste, con una sfumatura verde che lo percorreva continuamente. Tutto il resto era in vari toni di nero, con strane venature rosso-rosa qua e là, tranne la sabbia che era chiara e sembrava riflettere un arcobaleno. Turbini di polvere che scintillavano, e canyon che si spalancavano; ed io stavo per abbandonarmi ad una frenesia silenziosa quando all’improvviso i lati e il tetto diventarono opachi. Mi lamentai con il robot, ma a quanto pare la Torre si schiarisce automaticamente in certi periodi del giorno e poi si oscura rapidamente, nel caso che lo spettacolo sia troppo forte e ci sia il rischio che tu ti precipiti come uno zaradann in giro per la nave.
Ridiscesi, e scoprii che il bestiolino era scappato e si stava azzuffando con l’animaletto roseo, e tutti gli altri erano in preda all’isterismo. Volevano sapere perché non ero capace di tenere a bada il mio mostro. No, non ero capace: se la sentivano di provare loro? Tutti indietreggiarono, e io mi lanciai e in qualche modo riuscii ad agguantare il bestiolino e a prendermi anche parecchi morsi. La femmina anziana afferrò l’animaletto roseo, tutto scarmigliato e ringhiante, e se lo strinse al seno. L’animaletto le sferrò calci.
Poi, per fortuna, uno squillo argentino annunciò l’arrivo di un pasto nel salone, e andammo tutti intruppati a rimpinzarci. Era molto groshing, davvero, con piatti d’oro e tutto il resto, e calici con fregi e piccole bollicine color malva incorporate nella crystallize. Cominciammo con pomodori di fuoco ghiacciati in vino rosso, passammo alla bistecca di radici e fagioli a crescita forzata in salsa ambrata con spezie, e finimmo con fruttispini, prugne del deserto e formaggio di lichene con noci. C’erano litri e litri di fuoco-e-ghiaccio e di Gioia, che contiene polvere dell’estasi.
Io mangiai da sola e feci mangiare il bestiolino nel mio piatto, apposta per dare sui nervi a tutti. Ma lui non ne aveva molta voglia, e si rianimò soltanto quando il robot arrivò con il suo piatto di surrogato sintetico di carne e di crema di cactus. Dovetti pagare parecchio, per questo. Gli diedero anche un po’ di vino, ma non so esattamente che vino fosse. Comunque, per fortuna non andò in estasi o cose del genere.
Dopo il pasto (sembra che a bordo delle navi servano soltanto sette pasti, ma tra l’uno e l’altro si possono fare spuntini freddi, ed è ragionevole, e comunque un solo passeggero partecipò a tutti i pasti) gli Anziani andarono a guardare la quadrovisione e gli Jang nuotarono nella vasca-piscina che, devo ammettere, mi tentava. Non con loro dentro, comunque. Presi una delle più grosse riviste di immagini mobili dalla biblioteca di bordo e andai a sedermi nella Torre Trasparente, tenendo ben fermo il bestiolino sotto ai miei piedi.
Presto la videoglacia si schiarì e io vidi una schiera di animali dalle lunghe orecchie, con le antenne e le zampe a sci, che attraversavano il deserto a grande velocità. Sembravano spaventosamente decisi. Potevi immaginarli mentre ti attaccavano bottone a una festa e ti parlavano del loro Movimento. Mi fece ridere, e poi mi sentii strana, come se fossi stata esclusa da un circolo e dovessi piangere. Tuttavia, il bestiolino distrasse la mia attenzione: li fissò e si mise a latrare.
«Non hai mai latrato, prima,» dissi, piena d’ammirazione. «Dovresti farlo più spesso.»
Lui mi lanciò un’occhiata fulminante.
Dopo parecchi oscuramenti, vidi che il cielo di turchese si andava arrossando lievemente all’orizzonte, al di sopra dell’alto imbuto nero d’una montagna. Vi fu il rombo cupo di un terremoto, e la nave tremò, appena appena. Fu come un segnale che scatenò strilla e urla dai ponti inferiori. In salone, dove alcuni passeggeri consumavano un altro pasto, un calice di crystallize rimbalzò sul pavimento. Mi rassegnai al fatto che quella stupida videoglacia si oscurasse per prevenire il mio isterismo paranoide incipiente… anzi inesistente. Ma invece non si oscurò. Probabilmente pensava che sarei scesa a urlare e a sudare insieme agli altri. Perciò potei assistere all’eruzione, derisann e decisamente insumatt, con fori rosa e malva di fumo che esplodevano, fontane di scintille, e un gran torrente di lava e di cenere nera. Che gioia! La nave delle sabbie, naturalmente, era adeguatamente programmata per evitare quella specie di cabaret involontario e decollò svelta sui cuscini d’aria, virando verso destra come fosse niente, e presto si lasciò indietro quello spettacolo. Comunque, avevo assistito ad un vero evento. Il bestiolino barrì.
«E va bene,» dissi. «Tu barrisci sempre. Non c’è niente di straordinariamente originale, in questo!»
Passai una nottata veramente rivoltante, almeno all’inizio. Innanzitutto il bestiolino continuava a saltare sul mio letto fluttuante ancorato, rovinandone il dondolio riposante. Poi continuava a cercare di infilarsi dentro al letto con me. Allora succedeva una scenata, il bestiolino se ne andava, e due split più tardi tornava a piombarmi addosso. Alla fine se ne andò e vomitò la sua razione di vino nel salone. Questa volta fu il robot a svegliarmi, per darmi la lieta notizia. Disse che dovevo portare il bestiolino nel gabinetto degli animali domestici, vicino al gabinetto a vuoto normale, perché i pulitori automatici non dovevano entrare in funzione a quell’ora di notte. Perciò io scesi dal letto, sentendomi molto colpevole, e costrinsi il bestiolino a fare un goccio di pipì nel posto giusto.
Poi non riuscii più a dormire, sebbene accendessi le onde rinfrescanti del letto, e poi quelle riscaldanti, e poi la macchina dell’estasi, e poi l’apparecchio della ninnananna che era uno schifo e sembrava convinto che io andassi ancora all’ipnoscuola.
Mi alzai e andai nella Torre Trasparente e, con mia grande gioia, scoprii che restava chiara per tutta la notte; perciò inghiottii per precauzione delle pillole per restare sveglia e passai sei ore o più in compagnia dell’oscurità illuminata dai riflessi rossi dei vulcani, sotto le stelle vive, basse, fredde e dure, con i guizzi rapidi degli occhi degli animali tra gli archi di roccia, in file d’oro lungo la sabbia. E vidi una vera aurora. Era meno spettacolare che in una cupola; ma c’era una sorta di prodigio etereo nei pallidi raggi sfreccianti di luce verde che lentamente traevano dalle tenebre il sole tondo e arancione, che diventò sempre più luminoso e ardente, fino a quando dovetti distogliere lo sguardo, con le lacrime agli occhi. Continuai per un pezzo a vedere delle macchie nere, e sinceramente mi spaventai un po’, fino a quando scomparvero. Nessuno mi aveva avvertito che non si può guardare il sole vero, come si può guardare quella falsa cosa gialla a Quattro BEE.
Poco dopo comparvero i passeggeri Jang. Avevano fatto una specie di adeguata orgia Jang nella loro cabina, con pillole dell’estasi, musica per l’Orecchio Superiore e, dato che i due maschi dovevano essere sposati con le due femmine, probabilmente avevano fatto anche all’amore. Avevano l’aria un po’ stordita, mentre inghiottivano pillole energetiche e mangiavano pane degli angeli tostato.
«Attlevey,» gridai allegramente, per vedere cosa sarebbe accaduto. Loro risposero «attlevey» ancora più vagamente. I circoli hanno l’aria di diventare sempre più esclusivi ad ogni vrek che passa.
Il bestiolino ed io mangiammo di nuovo soli il primo pasto: funghi di cactus e pane di radici fritto. Di solito io non mangio mai così presto, ma il viaggio mi aveva messo appetito. Banale, no? Il bestiolino fiutò, poi decise che i funghi gli piacevano. Si gingillò con la carne sintetica, ma ingozzò tutto il vino con la panna. L’aspetto del vino con la panna mi piacque, e ne ordinai uno anche per me. Arrivò in un calice, ed era anche buono: poi il bestiolino capì, me lo fece schizzare di mano con una zampata, e bevve tutto quello che era finito sul pavimento. Il robot arrivò e mi disse di andarmene, e gli Anziani, che non sembravano molto entusiasti dei Jang, probabilmente perché erano sconvolti all’idea di essere circondati da una quantità di vulcani attivi, chiaccherarono a voce alta facendo commenti sulla vergognosa mancanza d’educazione del bestiolino (tutta colpa mia) e sulla mia vergognosa mancanza di educazione a tavola, perché lo lasciavo bere nel mio calice. Bene! Era così che vedevano le cose, immagino.
Fui abbastanza contenta quando arrivammo a Quattro BOO. Sentii la femmina anziana dalla bestia rosa dire al robot che sarebbe stato opportuno allontanarmi dalla nave; e anche il bestiolino. A quanto pareva, io avevo la precedenza: il bestiolino veniva dopo. Non credevo che sarebbe successo, comunque. È illegale, a meno che, naturalmente, io fossi finita in preda ad istinti omicidi, e allora avrebbero dovuto consegnarmi compresse o fiale ipodermiche d’ossigeno, carte topografiche, acqua potabile, viveri, una idrotenda fluttuante… Comunque, provi una sensazione strana, quando la gente ci tiene tanto a buttarti fuori. Mi sembrava di vedere quella donna che mi abbagliava con il suo grande cronometro di crystallize e d’oro, mentre mi buttava fori dal portello, e poi gettava il bestiolino nello scarico a vuoto, attraverso lo strato antisettico, nel Nulla. Comunque, fu il bestiolino ad avere l’ultima parola.
Poco prima dell’arrivo, sentii la femmina che urlava e strillava perché aveva perso il suo animale color di rosa. Tutti parteciparono alla ricerca e alla fine individuarono i rumori tremendi che provenivano dal salone. Erano ansiti e grugniti e gridolini, e una specie di barrito in sottofondo che poteva essere soltanto…
«Oh, abominevole ragazza Jang!» strillò la femmina anziana. «La mia povera, piccola Nocemiele massacrata dal tuo mostro.» Nocemiele era presumibilmente l’animaletto roseo; il «mostro» era presumibilmente sappiamo chi.
Impauriti e tremanti avanzammo tutti nel salone, e loro erano là, Nocemiele e il bestiolino, e sinceramente, credo che la femmina anziana avrebbe preferito che il bestiolino avesse appena sgozzato Nocemiele.
«Aah!» strillò. «Come hai potuto!»
Era un piccolo tradimento.
Quello che stavano combinando i due, in realtà, era che facevano l’amore. No, davvero. E doveva essere assolutamente groshing, a giudicare dal baccano. La femmina saltellava torno torno, urlando che qualcuno doveva andare a dividerli, e credo di averla scandalizzata sul serio quando le chiesi se a lei sarebbe piaciuto venire strappata al suo maschio prescelto nel bel mezzo di una cosa del genere. Comunque, vinse il buon senso e li lasciammo in pace, osservando affascinati fino a quando arrivò il momento culminante, in una sfera rotolante e strillante di pelame scomposto, di zampe in movimento e di code agitate. Poi crollarono esausti. Bene, doveva essere durato almeno trenta split. Mi sentii ridicolmente orgogliosa del bestiolino quando si alzò, si scrollò, e venne tranquillo da me, supremamente disinvolto. Lo raccolsi e mi congratulai con lui, stando bene attenta a come lo tenevo: probabilmente era un po’ indolenzito, qua e là.
«Mi rivolgerò alla Commissione!» ululò la femmina anziana. «Rovinare il mio animale! E se fa un uovo…»
Pensai che stesse per avere una crisi di convulsioni, non l’ebbe, purtroppo. Non so come, ma ebbi l’impressione che Nocemiele avesse fatto le uova altre volte.
E proprio allora, per fortuna, la nave annunciò che ci stavamo avvicinando a Quattro BOO.
Ecco, adesso ero veramente fuori da Quattro BEE.
Naturalmente, Quattro BOO e Quattro BAA sono molto simili, a parte i precipizi vulcanici a BOO e gli enormi allevamenti di animali androidi a BAA, che forniscono splendide creature semisintetiche, come il drago della Torre di Giada.
Comunque, la prima cosa che accadde, naturalmente, quando scesi dalla nave delle sabbie, fu che la mia ape mi cadde sulla testa davanti ai Jang, agli Anziani indignati, a una Nocemiele indiscutibilmente raggiante, e ad una intera folla di robot e di Q-R e di curiosi che erano venuti ad assistere al nostro arrivo. Cercai di darmi un’aria molto blasé.
Per lo sbarco, mi ero acconciata molto alla Jang. Dopotutto, dovevo attirare qualche maschio Jang. Portavo calzoni trasparenti con piccoli dischi d’argento alle caviglie, e una tunica corrispondente con i dischi sui fianchi. Il tessuto era lievemente spruzzato di polvere argentea. Catenelle d’argento mi tintinnavano sull’inguine, e intorno ai seni fremevano e danzavano grandi opali verdognoli fissati a cordicelle di platino. Avevo lunghi orecchini di turchese che mi arrivavano all’ombelico, dove era fieramente in mostra un’altra turchese. I miei capelli erano un tumulto di fiori di seta, gingilli metallici, più un grande pettine a ventaglio grondante di perle.
Eravamo alla Spianata dell’Arrivo, coperta d’erba piumosa tagliata corta, con artistici alberi di rame dai tronchi tormentati. Lì vicino, oltre la cupola protettiva, i vulcani ruggivano e sputavano fuoco, ma era impossibile accorgersene. In effetti, là riducono tutto quello splendore utilizzando l’energia per gli accumulatori della centrale elettrica; ma in fondo è un bene perché così la roba costa meno e qualche volta, dopo un’eruzione particolarmente energica, per quell’unit tutto quel che compri è gratis.
Mi guardai intorno e feci lampeggiare gli anelli che portavo alle dita dei piedi, ma non c’era in vista neppure un maschio Jang.
Dovemmo fornire le nostre identità e il luogo d’origine in un ufficietto con le colonne di vetro e una fontana. Poi tutti gli altri partirono con gli avioplani, le sfere e gli altri veicoli presi a noleggio. Io mi avviai verso un vecchio marciapiedi immobile fiancheggiato da belle sculture ottodimensionali. Il bestiolino mi trottò dietro, prendendo a sberle i dischi d’argento alle caviglie con le pesanti zampe bianche.
«Chi è che ha fatto l’amore con Nocemiele?» chiesi all’improvviso; e ballammo insieme in mezzo alle statue. Incredibile! Mi sentivo pazzamente felice.
Subito dopo, una macchina piena di tentacoli mi sfrecciò accanto e cominciò a offrirmi sistemazioni varie. Le Commissioni delle nostre città sono capaci di individuare un turista in due split: e appena ti scoprono, ti sono addosso. Immagino sia molto utile. C’erano moltissimi posti esotici dove io potevo «rilassarmi e divertirmi». Scelsi il Palazzo del Lago Vulcanico: pareva che brulicasse di maschi Jang. La macchina tentacolata corse via in preda a una felicità isterica e pochi secondi dopo tornò con un avioplano dai colori dell’arcobaleno, che apparentemente era gratuito. Bene. Io e il bestiolino salimmo, e la macchina tentacolata impartì istruzioni al robot e poi si eclissò con molto tatto, assicurandomi che non mi sarei mai pentita della scelta. Beh, questa era proprio tutta da ridere.
Cominciai a sentirmi strana nel momento in cui cominciammo a sorvolare il grande, turbinoso lago di lava vischiosa. C’erano bolle che salivano e scoppiavano, e getti di vapore che sibilavano e crepitavano. Il Palazzo era d’ossidiana, naturalmente, e torreggiava in mezzo a quel caos; era ovviamente ancorato, ma si dondolava leggermente insieme alla lava. Era uno spettacolo sbalorditivo, penso. Stava scendendo l’oscurità, blu cupa, e il lago e le strutture massicce del Palazzo splendevano come fiamme. Comunque, mi sentii in preda alla nausea.
L’avioplano mi scaricò all’ingresso, una terrazza dalle colonne di vapore: ed entrai. Il pavimento era venato d’oro, e poco dopo si arricchì di altre decorazioni, quando il bestiolino vomitò in tutte le direzioni il settimo pasto.
Chiesi scusa, pagai il dovuto, e chiamai un altro avioplano perché venisse a recuperarmi.
Mentre sorvolavamo Quattro BOO pensai: Possono tenersi i loro palazzi. Questa notte dormiremo in un parco. Terreno solido, e tempo sempre perfetto, naturalmente, dentro a una cupola. E tanti Jang. Dirò che sono venuta qui per fare un po’ di contemplazione.
E così andammo e comprammo un cubo di vetro e d’acciaio e d’oro estremamente insumatt, venato di colori meravigliosi e contenente una cinquantina di possibili infiniti. Sarebbe valsa la pena di contemplare una cosa come quella, anche se non fosse saltato fuori nient’altro. Ero piena di pazze speranze e ripensavo con gioia intensa alla mia mezza figlia che aspettava a Quattro BEE. E poi io, il bestiolino e quella bestia di ape scendemmo nella luce delle stelle su di un soffice prato.
Avanzai un po’, dopo aver acceso la lucetta serale dell’ape, e scelsi un boschetto d’alberi diamante. Mi sistemai, feci un pasto per iniezione, ispezionai i miei capelli, l’abito e tutto il resto nel lungo specchio dell’ape, e poi mi adagiai, aggraziata e languida, con il cubo ancorato a un tronco d’albero, alla distanza adatta. E mi perdetti davvero nella contemplazione, io e tutte le mie pazze speranze. Non udii veramente le loro voci fino a quando non insistettero.
Erano entrambi maschi, entrambi molto groshing, uno con i capelli bianchi e l’altro con i capelli scuri.
«Io sono Sarl,» disse quello dai capelli scuri, non appena li guardai. «Questo è Lorun.»
«Oh, è derisann,» mormorai. Il bestiolino mostrò i denti, e io cercai di allungargli una sberla di nascosto.
«Ti senti sola?» chiese Sarl. Mi guardò con aria concupiscente. Beh, non sarebbe stato lui, tanto per cominciare.
«Oh, non mi sento sola,» dissi. «Piuttosto affamata, ecco. Ero così assorta nella contemplazione, vedete, che avevo dimenticato i pasti. C’è qualche posto…?»
«Vieni con me,» disse Sarl.
«No,» risposi. «Voglio continuare la contemplazione. Presto avrò l’estasi. Potresti portarmi tu qualcosa?» E Sarl, quel thalldrap, se ne andò premuroso. Guardai la mia preda. Mmmm.
«E tu sei Lorun,» feci, sorridendo.
«Infatti,» disse Lorun. Non si congratulò neppure sarcasticamente con me per la mia memoria eccezionale.
«Questo è il mio bestiolino. Ho paura che potrebbe morderti.»
«Oh, sono abituato agli animali,» disse Lorun. Si avvicinò e sedette, e poco dopo il bestiolino si stava rotolando sulla schiena, con le sei zampette bianche che si agitavano nell’aria, e diventava matto mentre Lorun gli grattava la pancia. Beh, non potevo dar torto al bestiolino. Davvero, quel maschio aveva un corpo sensazionale. Era piuttosto snello ma muscoloso, con gambe lunghe e poderose e mani groshing, artistiche. Aveva i capelli molto corti: gli arrivavano solo sulle spalle. E non aveva né barba né baffi, solo le sopracciglia e le ciglia nere, spaventosamente attraenti, pazzamente derisann su quel pallore di ghiaccio. Ottimo gusto.
«Sono sicuro che tu ti senti davvero sola,» disse alla fine, dopo aver fatto praticamente ammattire me e il bestiolino.
«Beh, sì,» ammisi. «È possibile.»
«Sei forestiera, magari?»
«Quattro BEE.» Devo confessare che in quel particolare momento non pensavo nemmeno alla bambina.
«Ah, allora, dato che sono di qui, devi permettermi di prenderti sotto le mie ali.»
«Ottima idea. Sono sicura che sarà piacevole.»
«Sei incantevole,» disse Lorun. «Ma… e la tua estasi?»
«Quella può aspettare,» decisi io.
Ma lui decise che non poteva aspettare. Avremmo avuto l’estasi insieme. Proprio in quel momento, scorse Sarl che tornava a passo di marcia verso di noi, tra prati e terrazze, portando viveri e vino.
«Andiamo,» disse Lorun, «oppure ci tieni proprio a mangiare, adesso? Possiamo aspettare, se preferisci.»
Non lo preferivo, e glielo dissi. Perciò scappammo via in mezzo agli alberi come bambini dispettosi all’ipnoscuola, mentre le nostre api trascinavano via il bestiolino e il cubo della contemplazione, a luci spente.
Avemmo l’estasi a bordo di un avioplano a comandi robot, ma Lorun continuava a pasticciare con le leve e i pulsanti, e sembrava di essere con Hergal in uno dei suoi momenti migliori.
Nel bel mezzo della picchiata più spaventosa, che in qualunque altro momento, mi avrebbe lasciata senza fiato per il terrore, Lorun mi chiese se avrei accettato di sposarlo per due o tre unit.
Neppure il bestiolino ci trovò da ridire. Credo che avesse l’impressione di averlo sposato anche lui.
Bene, non avevo mai pensato di essere tagliata per gli idilli, a quanto pareva lo ero. Vivevamo, respiravamo, mangiavamo, dormivamo letteralmente l’un l’altra. Lorun aveva un fattore che in quel momento era assente, a Quattro BAA. La loro casa una massa immensa di cupole chiuse e di guglie sotto a un lago d’oro pallido, vicino al centro della città. Era un’area molto esclusiva, con poche altre case, sotto le acque di seta. Bizzarre piante acquatiche ondeggiavano oltre le finestre, e noi facevamo l’amore e facevamo l’amore e facevamo l’amore.
Ed era tutto così divertente, oltre che soddisfacente dal punto di vista erotico. Giocavamo e correvamo insieme a quella peste di bestiolino, e a Lorun sembrava non importasse niente se strappava i rampicanti e graffiava le porte della valvola stagna. Andammo a nuotare e a navigare con la sfera sotto al lago, visitammo i ristoranti e i campi giochi subacquei, anche quelli molto esclusivi e groshing, parlammo e ridemmo e facemmo i pazzi. Io pensavo davvero che fosse una cosa seria, ma sul momento non affrontai la questione della bambina. Mi sembrava che quella relazione fosse qualcosa di più di una semplice caccia a un altro possibile fattore. E poi, quando i tre giorni passarono, Lorun propose di chiedere una proroga del matrimonio.
L’ottenemmo, e facemmo l’amore per festeggiare, una cosa simpatica ma non originale, e poi qualcuno chiamò Lorun e gli chiese se voleva partecipare a un sabotaggio Jang.
«Vuoi venire anche tu?» mi chiese lui.
«Non vuoi che venga, ooma?»
Lorun dimostrò inconfutabilmente che voleva, e perciò andammo insieme.
Non avevo sabotato niente da vrek e vrek, e mi sentivo un po’ arrugginita e tosky, per l’euforia di stare con Lorun. Ci incontrammo con gli altri membri del suo circolo, quattro strane femmine dai capelli a pampini, e una con un corno scanalato che le spuntava dalla tempia sinistra, Sarl e un altro maschio. Sarl mi guardò male.
«Ehm, attlevey,» dissi. Mi sentivo molto estranea. Ho già detto che i circoli stanno diventando terribilmente esclusivi e quello era un magnifico esempio.
«Attlevey,» cantilenarono tutti, guardandomi come se fossi spuntata inaspettatamente dallo scarico a vuoto o qualcosa del genere.
«Sei il nuovo matrimonio di Lorun, non è vero?» mi chiese la cocca con il corno, in tono carognesco. Capivo benissimo che le sue lunghissime unghie non avevano solo funzione decorativa.
«Oh, pensavo che l’ultimo fossi ancora tu,» disse un’altra femmina, che aveva gli occhi tutti blu e mani a otto dita… altre unghie pericolose. Beh, ecco.
«Mi dispiace,» dissi, dolcemente. «Io sono la nuova, con un caratteraccio e irrefrenabili tendenze omicide.»
«Oh, davvero!» esclamarono: ma avevano ancora l’aria un po’ preoccupata.
Lorun sembrava ignaro di tutto, un po’ come Hergal, sebbene nessuna delle femmine prevalentemente femmine del mio circolo, come Thinta e me, fosse atroce quanto quelle lì.
«Allora andiamo,» disse Sarl, senza badarmi, come se mi considerasse indegna del suo disprezzo. «Non perdiamo altro tempo.»
Perciò uscimmo dal parco galleggiante dove c’eravamo incontrati. Passammo per una successione di ponti fluttuanti e di strade mobili, terrìbilmente complicate, che dovevano far parte del divertimento o non so cosa. Io diventai sempre più tosky, e alla fine dissi agli altri di aspettarmi un momento. Andai a rubare tre catenelle di madreperla e d’ambra, che mi avvolsi con disinvoltura intorno ai fianchi. Mi sentii un po’ meglio, ma gli altri brontolarono per il ritardo, poiché non si rendevano conto delle mie Esigenze Neurotiche, il che forse era un bene.
Lorun li fece tacere semplicemente guardandoli e dicendo, con voce sommessa e soave: «Silenzio, voi, thalldrap a due occhi.»
Mi sentii gratificata, e anche un po’ irritata, senza capire bene il perché. Comunque, non molto più avanti dovemmo camminare con le nostre gambe: ci avvicinavamo agli avamposti di Quattro BOO. Gli avamposti, lì, hanno dei nomi, oltre alle lettere dell’alfabeto. Quello dove volevamo andare si chiamava Dulsa D.
«Ci siamo!» annunciarono quando arrivammo sulla piattaforma di roccia, alla base di milioni di rampe di scale non mobili. L’avamposto era un piccolo cubo azzurrognolo, situato nei pressi di una delle entrate della cupola. Ci avviammo alle porte di vetroghiaccio e prememmo il pulsante di chiamata. Io cominciai a sentirmi veramente nervosa, poi mi accorsi che mi faceva piacere esserlo, e allora tornai mortalmente calma e smisi di provare piacere, il che fu un vero peccato. In Dulsa D lampeggiarono delle luci rosee. Una voce ci chiese cosa volevamo.
«Emergenza!» strillammo con voci piene di panico. Sinceramente, pensai, se la Commissione si preoccupasse di quei piccoli disastri, programmerebbe i robot degli avamposti perché si rendessero conto che non ci può mai essere una situazione d’emergenza, solo un branco di stupidi Jang che cercano di entrare per combinare un pasticcio. Suppongo che la spiegazione sia questa. La Commissione non si preoccupa affatto. Com’è deprimente, non essere in grado di preoccupare qualcuno, anche se ti impegni al massimo.
Naturalmente, appena le nostra urla di terrore arrivarono all’interno, le luci rosee divennero rosse; le solite dieci porte si aprirono e si chiusero dietro di noi, in successione, ed entrammo a passo di carica, gridando. Talvolta ci sono due robot, talvolta uno solo. Questa volta ce n’erano quattro. Superfluo aggiungere che eravamo entusiasti all’idea di menar le mani.
Lorun e Sarl e l’altro maschio agguantarono il robot più vicino e lo scaraventarono contro quello che stava dietro, poi sedettero sulla massa metallica che si dibatteva e strapparono le spine. Tre femmine aggredirono un altro e lo atterrarono con funi di perle di crystallize, mentre la cocca con il corno ed io ci scoprimmo improvvisamente compagne d’armi e assaltammo l’ultimo. Trovai la spina dello smantellamento, mentre lei rovistava con il corno nei circuiti elettrici dei riflessi.
Ci congratulammo reciprocamente, raggianti, e ci avviammo verso i comandi. Ma per la verità, pensai, non si può mai far molto, tranne creare un lieve tremito nei raggi della barriera, che lascia entrare per circa due split un po’ di vere intemperie o di terremoto o qualcosa del genere. Comunque, noi non ci pensavamo, ed eravamo convinti di essere temerari e tremendi, di sovvertire il sistema. Guardammo gli schermi, e vedemmo tre montagne molto ooma che cominciavano a eruttare tutte insieme, riversando la lava verso di noi.
«Via!» gridò Lorun, e tutti cominciammo a sfasciare in giro tra i pulsanti e le manopole, con zampe esperte.
E poi ci ritrovammo sul pavimento. Quattro BOO aveva sussultato con forza. Le onde si stavano già riallacciando, tutto intorno, ma un po’ di quella lava sarebbe riuscita a passare. E poi qualcosa mi colpì. Non era pioggia, o cenere, o un fremito del terreno, di cui gli edifici della città possono ridere. Questo era magma rovente, doloroso, mortale. A Quattro BEE i vulcani sono meno numerosi e meno attivi. Non credo che riusciremmo mai a fare entrare la lava a Quattro BEE, se ci provassimo. Ma cercare di combinare le cose in modo che la lava fosse la portata principale del menù… Mi sentii orribilmente, all’improvviso, agghiacciata e nauseata.
«Qualcuno si brucerà,» dissi a Lorun, rendendomi conto all’improvviso di aver capito molto meglio degli altri ciò che stava succedendo.
«E allora?» fece Lorun, «È un Evento. Abbiamo fatto succedere qualcosa. Siamo venuti qui altre volte, ma non abbiamo mai avuto molta fortuna con la lava. Questo è veramente groshing, mia ooma. Goditelo.»
«Oh, Lorun,» mormorai. E poi notai qualcosa che nessun altro vedeva: una piccola spia verde che si accendeva e si spegneva sulla parete. Andai a guardare, e c’era scritto Scudo d’onde d’emergenza in funzione. La Commissione! Ringraziai la Commissione. La saggia, meravigliosa groshing Commissione! Là sapevano del sabotaggio dei Jang, ma proteggevano la città. Benissimo, lasciamo che i Jang aprano la cupola ma, con quella pericolosa lava tutto intorno, mettiamo un meccanismo a reazione immediata per schermare la cupola, mentre le onde si riordinano: un meccanismo al quale i Jang non possono arrivare.
Il nostro sabotaggio era stato sventato, e io mi sentivo così felice.
Gettai le braccia al collo di Lorun e lo baciai. Lui sembrò soddisfatto. Sembrò meno soddisfatto quando corremmo via e trovammo la città perfetta, intatta. Gli altri diventarono di pessimo umore. Sembrava pensassero che fossi io la responsabile del loro insuccesso: e se desiderare significa fare, immagino che lo fossi davvero.
Dopo la storia della lava, avrei dovuto essere più ferma con me stessa, per quanto riguardava Lorun. Ma non lo fui. Bene, pensai, c’era in lui qualcosa, un particolare, che non mi piaceva, ma ero ancora zaradann di lui, in modo insumatt. Non potevo dire: «Me ne vado. Otteniamo l’annullamento.» Mi dissi che avrei resistito fino alla scadenza della proroga matrimoniale, che sarebbe stata di lì a dieci unit; e allora avrei deciso per la faccenda della bambina.
Poi Lorun mi chiese se mi sarebbe piaciuto andare a Quattro BAA con il suo avioplano privato, e questo sistemò tutto. Beh, tanto ci tenevo a vedere Quattro BAA.
«Il mio fattore,» disse distrattamente Lorun, «ha qualcosa a che fare con gli allevamenti. Possiamo andare a dare un’occhiata in giro, se vuoi.»
L’avioplano era superlussuoso e guidato da un robot. Facemmo l’amore e suonammo una speciale Musica per l’Orecchio Superiore, che ti faceva sentire beato e sereno e impazzito di gioia, e mangiammo prugne di zucchero su ghiaccio d’oro, e in genere ci demmo ai bagordi.
Venne anche il bestiolino, e si diede ai bagordi quanto noi. Si ingozzò di prugne di zucchero e si strofinò contro Lorun, con i perversi occhi arancione illuminati da un affetto decisamente nauseante.
L’avioplano era molto veloce, e raggiungemmo Quattro BAA in un giorno, immediatamente prima che nel deserto spuntasse l’alba e che nella cupola ci fosse il tramonto. Mi dispiacque perdere un’altra alba vera, ma notai con tristezza che i finestrini dell’avioplano erano elegantemente diventati opachi, con un effetto di broccato d’oro.
Andammo alla residenza del fattore di Lorun. Il fattore, che era femmina, ci guardò con aria vaga e chiese chi dei due era suo figlio. Lorun le rispose prontamente che ero io, causando un turbine d’imbarazzo. Alla fine chiarimmo tutto e il fattore se ne andò con un affascinante maschio anziano dai capelli rosso-scuri, lasciandoci abbandonati a noi stessi.
Gironzolammo un po’ per casa, poi andammo a mangiare su di un lago azzurro, sotto le stelle, a bordo di una zattera d’oro con baldacchino, serviti da ragazze quasi-robot tutte ingioiellate, dai lunghi capelli azzurri d’acqua asciutta. BAA è veramente il centro di tutte le cose più ricche e più strane. Draghi dalle scaglie di zaffiro scagliavano getti d’acqua dal lago, tutto intorno a noi. Un serpente incrostato di perle si avvicinò alla zattera per sbirciarci, e io dovetti affrettarmi a catturare il bestiolino, caso mai pensasse che si trattava di un animale robot, come il serpente che avevo comprato per Hergal. In effetti, il bestiolino diventò un po’ tosky e andò a nascondersi barrendo in petto a Lorun.
Dopo l’ottavo pasto, passammo attraverso una galleria di stelle raggruppate in motivo ornamentali, lassù in alto, sul dorso di un uccello meraviglioso dal piumaggio d’argento bruciante e dal becco di rubino: cantava strane canzoni d’amore con una voce lieve, dolce, malinconica, la più bella e appassionatamente triste che avessi mai sentito. Quasi piangendo, Lorun ed io ci tenemmo abbracciati ai cuscini rossi, e dopo lui disse: «Sposami per un vrek quando scadrà la proroga, o per due vrek, angelo derisann dalla luce scarlatta.» Credo che la poesia fosse contagiosa: comunque, ero perduta.
«Oh, sì,» mormorai. «Ooma, ooma, oh, sì.»
Ma la proroga non era ancora scaduta.
Andammo all’allevamento degli animali androidi con l’avioplano di Lorun.
È un po’ lontano dalla città, anche se si può vedere l’enorme scintillio della cupola che sale e sale, fino a sparire in lontananza.
L’allevamento, il primo dei sette (uno solo dei quali produce veri Q-R), si trova anch’esso sotto ad una cupola: ma è piccola, con un sole che sembra un ciottolo, e stelle che paiono lustrini, e ci sono soltanto per abituare gli animali. A quanto pare, il fattore di Lorun fa parte del gruppo che preme i pulsanti e fa girare le manopole; comunque ci si aspetta che tu fraternizzi con gli animali, e mi sembra un lavoro veramente groshing, interessante, degno. Ebbi all’improvviso la visione del mio futuro: più o meno sposata permanentemente con Lorun, nostra figlia all’ipnoscuola, e io che lavoravo all’allevamento con il suo fattore, sempre in buona armonia e tutto il resto. Mi sentii così emozionata che mi girai verso di lui e dissi:
«Lorun, ero venuta a Quattro BOO anche per un’altra ragione. Volevo trovare…» E poi esitai, non so perché, anche se forse in verità lo so. Sentivo che non potevo chiedergli della bambina, in quel momento.
«Sì?» fece lui.
«No,» mormorai. «Dopo. Te lo dirò dopo.»
Mi sembrò un po’ irritato, ma lasciò perdere.
Lasciammo l’avioplano ed entrammo e uscimmo tra pagode e torri e palazzi, ci fermammo in riva ai laghi e salimmo verso masse di nubi dove uccelli di fuoco e di profumi venivano addestrati a volare e a cantare. E dopo un po’ cominciai a sentirmi atrocemente depressa. Cercai di combattere l’avvilimento, parlando a voce alta e mostrandomi molto allegra, ma non servì a niente. Penso che la colpa fosse del bestiolino, davvero. Tacque e cominciò a tremare.
«Penso che gli animali, qui, lo spaventino,» dissi a Lorun, per cominciare. Voglio dire che tutti lanciavano fiamme e profumi e getti d’acqua e chissà che altro, e parecchi erano fosforescenti o acquosi, sparivano dopo tre passi e ricomparivano al quarto, o qualcosa del genere. Poi cominciai a capire che non era questo a deprimere il bestiolino. Anche lui era un animale, ma un animale vero, nato così, concepito primitivamente, uscito da un uovo caldo, covato da un ventre peloso, nel deserto. Quegli animali erano fatti delle stesse molecole, di componenti simili, ma con la scintilla di vita elettrica dei Q-R, e con lo stesso servilismo verso l’umanità. Sono decorativi. Devono essere belli e mitici. E all’improvviso, ricordai il mio ooma drago della Torre di Giada e la sofferenza mi si aprì nel cuore, come un gran fiore. Quante volte mi ero seduta dentro alla sua bocca inoffensiva, piena di aroma di pini e di fuoco verde, che avrebbe potuto ridurmi in poltiglia? Provavo un’intensa voglia di piangere, ma non ci riuscivo, e tenevo il bestiolino contro la faccia, in modo che potessimo condividere la nostra infelicità inibita.
Elegantemente, insensibilmente, Lorun mi stava guidando da un prato a un recinto, da una torretta a un canale. «Fermati!» avrei voluto urlare. «Non lo sopporto più.» Volevo vedere quegli animali, tutti, liberi di giocare nel deserto, e poi mi resi conto, con una sofferenza ancora più intensa, che gli animali veri all’inizio sarebbero fuggiti terrorizzati, ma poi avrebbero finito per fare a pezzi i loro corpi indifesi.
Poi Lorun mi propose di andare a vedere le vasche della riproduzione, nel crepuscolo di crystallize, e io pensai alla mia bimba vera, per metà viva, che attendeva il suo crepuscolo di crystallize, e ansimai: «Riportami in città. Ti prego, portami indietro.»
«Cosa?» Lorun si irritò subito. Mi accorsi di quanto fosse irritabile, quando le cose non andavano secondo i suoi desideri.
«Scusami,» dissi io. «Mi sento tosky. Non posso… tutti questi poveri animali ignari. Io…»
«Oh, che sciocca sei, certe volte,» disse Lorun, quasi dolcemente: pensava che fossi un po’ scocciante.
L’infelicità si trasformò in collera. Forse mi sentivo semplicemente sulla difensiva.
«Riportami in città, v…n!»
L’educazione di Lorun svanì, ma la sua faccia diceva più delle sue parole. Venne verso di me a grandi passi, e io mi rattrappii. All’improvviso, il bestiolino che tenevo contro la guancia si rigirò e gli ringhiò contro. Era la prima volta che ringhiava contro Lorun. Lorun subito cominciò a propiziarselo, per dimostrare a tutti e due con quanta facilità poteva incantarci. Lo coccolò e se lo ingraziò e allungò la mano. Il bestiolino forse pensò che fosse un gesto aggressivo, ma possibile che fosse così selt? Non lo credo.
Brontolio… ringhio… scatto, e il bestiolino morsicò Lorun con più forza di quanto avesse mai fatto, eppure mi aveva morsicato parecchio.
Lorun gli diede una sberla, molto forte, poi imprecò. Adoperò parole che io non avevo mai sentito: rammento vagamente che cercai di ricordarmene qualcuna per usarla in futuro, nonostante la sofferenza e il trauma.
«Ti riporterò indietro,» disse finalmente. «Ma non con quel floop di animale che ti tieni così caro.»
«O ci porti tutti e due, o nessuno,» scattai.
«E allora nessuno dei due,» disse Lorun, sgocciolando sangue.
«Il piacere è tutto mio,» risposi, fredda come il ghiaccio, anche se mi sentivo male. La frase suonava meravigliosamente definitiva. Mi voltai e Lorun mi rincorse.
«Va bene,» disse. «Chiedo scusa, ma quel piccolo mostro non doveva mordermi.»
«Aveva tutta la mia approvazione,» dissi. Ma desideravo ancora lasciarmi convincere.
«Lo sai che mi fai diventare zaradann,» disse Lorun. «Su, andiamo. Rifacciamo la pace.» Mi accarezzò i capelli. «Andiamo a vedere le vasche della riproduzione.»
Lo scostai con uno scatto.
«Non hai sentito quello che ho detto?» urlai. «Odio questo posto! Odio quello che facciamo a questi animali, ciò in cui li trasformiamo! Odio questo allevamento, odio le luride città, odio tutti i thalldrap che le abitano, e questo comprende anche te, nullità che non sei altro!»
«Sarà meglio che ti riporti a Quattro BAA,» disse Lorun, rabbioso e imbronciato.
Fu un incubo. Mi portò alla base delle navi delle sabbie che avevo chiesto io, e per tutta la strada continuai a soffocare per la voglia di perdonarlo e di chiedere che mi perdonasse. Ma non potevo. Sapevo che, chiunque di noi due avesse ragione, non avrei più potuto illudermi che fossimo compatibili. Quindi, niente più idillio cieco. Quando arrivammo, dissi impettita:
«Grazie per questo periodo meraviglioso. Il matrimonio scadrà tra mezzo unit, comunque, perciò non occorre l’annullamento. Per la verità, volevo chiederti di aiutarmi a fare un bambino, ma adesso mi rendo conto che sarebbe stato un errore.» Non so perché mi prendessi il disturbo di dirglielo. Era ingiusto e inutile, e mentre lo dicevo mi sentivo morire.
E questo fu il nostro addio. Le porte dell’avioplano si chiusero ed io e il bestiolino rimanemmo di nuovo soli.
C’era una nave che partiva quell’unit, e fu una fortuna. Beh, a che serve essere fortunati in cose del genere?
Non sopportavo l’idea di andare a Quattro BEE, dove mi aspettava la mia mezza figlia, perciò ritornai a Quattro BOO.
Ero l’unica passeggera.
Immagino di esserlo sempre, in un certo senso.
Quando arrivai a Quattro BOO mi resi conto che avere intorno il bestiolino mi turbava, perciò lo rispedii sommariamente per nave robot a Quattro BEE, a casa.
Rimasi sola per millenni, nei parchi e nei palazzi: ignoravo i maschi Jang che mi rivolgevano la parola, o mi mostravo violentemente sgarbata. Avevo una paura terribile che, se mi fossi messa con uno di loro, sarebbe capitata la stessa cosa terribile. Si chiama disillusione, mi pare.
Poi notai che mi piaceva veramente chiaccherare con le femmine Jang e prender nota di tutte le loro qualità.
Sembrava essere venuto il momento di cambiar corpo, e di cambiare anche sesso. Credo che avessi saziato temporaneamente il mio lato femminile, con Lorun, e inoltre per il momento mi ripugnava abbastanza l’idea di essere femmina. Non vedevo perché, se avessi cambiato, avrei dovuto rinunciare a dare la caccia a un fattore. Probabilmente sarei riuscita a valutare meglio quei floop, se fossi stata uno di loro. Naturalmente, i miei sessanta unit a Quattro BEE non erano ancora passati, ma in un’altra città hai un incartamento vergine. Molte persone che non amano suicidarsi sono andate a BOO o a BAA per cambiare corpo, quando ne volevano uno in fretta ed erano state messe a razione. Una volta, Hatta l’aveva fatto, ed era ritornato coperto di verruche, con l’aspetto incredibilmente drumdik.
Comunque, andai al Limbo di Quattro BOO e spiegai la situazione, e dissi che avevo bisogno di essere maschio per un po’. Mi dissero che avrebbero provveduto volentieri… a pagamento, non dimentichiamo mai il pagamento, e in quell’unit c’era scarsità di eruzioni, perciò sarebbe anche costato parecchio. Ma sapevo che non sarebbe figurato negli archivi di Quattro BEE per quattro unit, dato che il cambiamento sarebbe stato effettuato a B00? Questo significava che per cinque unit a BEE nessuno avrebbe saputo chi ero, a meno che lo dicessi io, e non avrei potuto far trasmettere la mia identità da un posto di chiamata fino a quando il computer non mi avesse registrato.
Tutto questo non sembrava per niente allarmante, perciò accettai, pagai, ordinai un sogno rasserenante e mi svegliai un po’ più tardi, trasformata in un maschio estremamente insumatt. Mi sentii pienamente soddisfatto, fino a quando mi accorsi quanto mi ero fatta simile a Lorun. Questo mi avvilì un po’, in particolare perché adesso avevo voglia di andarlo a prendere a pugni sul muso. Invece andai a farmi un pasto per iniezione, e ignorai tutte le ragazze Jang che cercavano di far colpo su di me.
La mia mente maschile smaniava ancora dalla voglia di fare un bambino, anche se adesso il punto di vista era diverso: e come uomo scoprii anche che avrei preferito fare un figlio maschio. Mi dissi che una volta ritornata femmina avrei recuperato la preferenza originale, dato che, dopotutto, ero prevalentemente femmina. Comunque, non avevo ancora risolto il problema dell’altro fattore.
Certo, adesso ero meno ancora in grado di giudicare. Come maschio avevo ancora meno pazienza con loro, e alla fine mi trovai una femmina Jang curvilinea e aggraziata, e la sposai per il pomeriggio. Fu una cosa breve, senza complicazioni, e groshing. Proprio come doveva essere.
E fu proprio mentre ero sdraiato sull’erbapiuma del parco, nel crepuscolo, e ricambiavo il cenno di saluto, mentre lei si allontanava deliziosamente, che mi venne quell’idea pazza. Per poco non diventai isterico, anche se non si diventa isterici allo stesso modo, quando si è maschi. Questione di ormoni diversi, o roba del genere. Ma mi levai di colpo a sedere, chiamai la mia ape, e guardai la mia immagine mascolina nel lungo specchio molecolare.
L’altro fattore sarei stato io.
Cercai di comportarmi come se non avessi mai parlato prima con il Q-R dal tappeto d’acqua, mentre spiegavo che ero io il maschio prescelto. Non potevano avere dati su di me a Quattro BEE, dissi, poiché ero appena arrivato. Ma, disse il Q-R, la signorina aveva spiegato che il maschio prescelto era in Distorsione dei Sensi. Infatti, risposi io, e lei si era stancata di aspettare ed era tornata da me, uno dei suoi passati amori di Quattro BOO. Adesso era lei in Distorsione dei Sensi.
Era un po’ strano, veramente, ma immagino che i Q-R siano programmati per considerare i Jang tipi irrazionali, che svolazzano di sensazione in sensazione, e tra l’una e l’altra sono sempre tosky e zaradann.
Comunque, dopo una breve attesa, mi accettarono.
Feci un altro sogno. Questa volta ero con una bambina bionda che si teneva aggrappata a me, piena d’ammirazione, e io mi sentivo forte e protettivo, pronto a difenderla dai pericoli inesistenti di Quattro BEE. Non era neppure un letto di rose, ma una corsa nel fuoco.
Mi chiesero se volevo restare ad assistere all’unione delle due metà, ma mi sentivo troppo emozionato, e il mio impulso maschile mi diceva di reprimere l’emozione, perciò fuggii nella notte. Avevo ancora un po’ di paura che capissero cosa stava succedendo e rifiutassero di procedere.
Chiamai Thinta.
«Attlevey… Hergal?» chiese lei, incerta. Hergal doveva essere precipitato di nuovo sul Monumento a Zeefahr.
Lei era molto attraente, adesso, senza quel pelame, con una nube di lunghi capelli verdi e un corpo delicato e ben cesellato, così diverso dalla sua personalità istericamente stolida.
«Sono io,» dissi, e le spiegai chi ero.
«Oh! Come sei groshing!» gridò Thinta, evidentemente compiaciuta. È sempre più affettuosa con me, quando sono maschio: questo l’ho notato.
«Vieni e sposami per un paio di unit,» proposi, e quasi me la ritrovai sulle ginocchia prima ancora di aver tolto la comunicazione.
Andammo ad un fluttuante e per la verità, ad essere sincero, lo feci soprattutto per nascondermi. Fu parecchio derisann, comunque. Il suo corpo attuale era incredibilmente agile nei momenti ideali.
Verso l’alba, mentre ci prendevamo un breve riposo, fuori ci fu un rumore terribile, ronzante.
«Che cos’è?» gridò preoccupata Thinta, abbracciandomi.
Lo scoprimmo subito. Le api messaggere della Commissione possono entrare dappertutto. Questa arrivò alla carica, passando attraverso la parte centrale del letto di nuvole. Thinta urlò. La messaggera mi indicò e intimò:
«Vieni subito al Palazzo delle Commissioni, nel Secondo Settore.» Straordinario, come riuscivano a programmare le api in modo che assumessero quel tono da carogne.
«Che cosa hai fatto?» chiese tremante Thinta. «Io non c’entro,» si affrettò ad assicurare alla messaggera.
Dunque l’avevano scoperto, vero? Bene, ormai era troppo tardi.
«Sono molto deluso di te,» disse il Q-R. «E mi sorprende che tu abbia fatto ricorso ad un’astuzia così sciocca.»
«Beh,» dissi io. «Ha funzionato.»
«Molto tempo fa,» borbottò ostinatamente il Q-R, «questo sarebbe stato un reato punibile. Poiché l’idea di reato è stata abolita, non possiamo far niente, mi duole dirlo.»
Mi sentivo stranamente ferito: prima era stato così gentile e comprensivo.
«Ma ha funzionato, non è vero?» insistetti.
«Se ha funzionato? No, naturalmente.»
«Cosa?» domandai. «Vuoi dire che avete scoperto tutto prima di unire le due metà?»
«In verità no. Lo avrei preferito. Lo abbiamo scoperto quando le abbiamo unite.»
«Cos’è successo?» domandai.
«Mio caro giovanotto,» disse il Q-R, «hai mai sentito di due negativi che fanno un positivo? In questo caso, purtroppo, è vero il contrario. Due metà di una stessa persona fanno decisamente un negativo.»
«Ma una metà era maschio e una femmina,» protestai. «Non capisco…»
«Avevamo a che fare,» disse il Q-R, «con un vero essere vivente, non con un androide.» Era amarezza, quella che sentivo nella sua voce? Pensai agli allevamenti di Quattro BAA e cominciai a provare una sensazione strana. «Come una vita vera,» disse il quasi-robot, «l’elemento più importante è la scintilla di vita, ed entrambe le scintille offerte appartenevano ad un solo essere… a te. Nel momento in cui si sono toccate sono esplose e sono tornate nel vuoto. Hai ucciso tuo figlio. Naturalmente, non avrai il permesso di farne un altro fino a quando non sarai più Jang, ed anche allora, temo, potrai trovare difficoltà ad ottenere l’autorizzazione.»
Sapevo che stavo per vomitare, e fortunatamente lo sapeva anche lui, e mi attivò un gabinetto d’emergenza.
Dopo fu molto cortese, e mi impedì di fracassarmi le cervella contro le sedie di crystallize.
Ma era inutile che si disturbasse.
Andai ad annegarmi nella mia sfera non appena potei.