LIBRO IV: MENDICANTI 2091

Nessun uomo ha il diritto di governarne un altro senza il consenso di quest’ultimo.

ABRAMO LINCOLN, Peoria 16 ottobre 1854

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Il 152° Congresso degli Stati Uniti si trovò ad affrontare un deficit commerciale annuale che era aumentato negli ultimi dieci anni del seicento per cento, un debito federale più che triplicato e un debito fiscale del ventisei per cento. Per quasi un secolo, i brevetti dell’energia-Y erano stati concessi in esclusiva a ditte americane dagli eredi di Kenzo Yagai, come specificato nell’eccentrico testamento di Yagai stesso. Cosa che aveva alimentato la più lunga ascesa economica della storia. Grazie alla tecnologia-Y, gli Stati Uniti si erano tirati fuori da una pericolosa recessione internazionale di fine secolo e da una ancora più pericolosa depressione interna. Gli americani avevano inventato e costruito ogni applicazione conosciuta dell’energia-Y, e tutti volevano l’energia-Y. Stazioni orbitali progettate e alimentate da americani giravano attorno alla Terra; aerei di costruzione americana spaziavano per i cieli; armi create da americani venivano commerciate sul mercato illegale degli armamenti di ogni nazione importante del mondo. Le colonie sulla Luna e su Marte sopravvivevano grazie a generatori-Y. Sulla Terra, un migliaio di applicazioni tecniche ripulivano l’aria, riciclavano i rifiuti, riscaldavano le città, alimentavano le industrie automatizzate, facevano crescere le messi migliorate geneticamente, davano energia all’assistenza sociale istituzionalizzata e facevano fluire le costose informazioni alle multinazionali, che divenivano ogni anno più ricche, più miopi e più avanzate, come i tronfi aristocratici di un’era precedente cui saltavano i bottoni dei panciotti mentre scommettevano intere fortune giocando a faro e a EO.

Nel 2080 i brevetti erano scaduti.

La Commissione per il commercio internazionale aveva aperto l’accesso internazionale ai brevetti dell’energia-Y. Le nazioni che avevano vivacchiato con le briciole della prosperità americana, costruendo gli alloggiamenti per i macchinari, subappaltando le concessioni che davano minori profitti, sopravvivendo come intermediari e broker, erano pronte. Erano state pronte da anni, stabilimenti a posto, tecnici addestrati nelle grandi università di Muli americane, progetti preparati. Dieci anni dopo, gli Stati Uniti avevano perduto il sessanta per cento del mercato globale dell’energia-Y. Il deficit saliva come uno sherpa.

I Vivi non si preoccupavano. Era ciò per cui eleggevano gli uomini e le donne del Congresso: per preoccuparsi. Per accapigliarsi nel loro modo di lavorare da Muli e per trovare soluzioni, per prendersi cura del problema, qualora ci fosse stato un problema. La cittadinanza, i pochi che ascoltavano, non trovava che ci fossero problemi. Le corse pubbliche di scooter, le elargizioni dell’assistenza sociale, gli intrattenimenti olovisivi, i comizi di massa sovvenzionati politicamente, con grande abbondanza di cibo e birra, gli edifici distrettuali e i buoni energetici continuavano a crescere. E nei distretti in cui non crescevano, ovviamente, i politici non venivano semplicemente più votati. I voti, dopo tutto, dovevano essere guadagnati. Gli americani lo avevano sempre creduto.

Il deficit interno diventò critico.

Il Congresso aumentò le tasse sulle imprese. Lo fece ancora nel 2087 e poi nuovamente nel 2090. Le ditte di Muli che mandavano figlie, padri e cugini al Congresso presero a protestare. Nel 2091 l’argomento non poté più essere ignorato. Il dibattito alla Casa Bianca, che durò sei giorni e sei notti e rinnovò l’arte dell’ostruzionismo, venne trasmesso negli olonotiziari. Lo guardarono in pochi, oltre ai Muli. Uno dei pochi che lo fece fu Leisha Camden. Un altro, Will Sandaleros.

Al termine del sesto giorno, il Congresso promulgò un importante pacchetto di tasse. Le tasse alle imprese vennero ricalcolate in base alle fasce progressive più alte mai viste al mondo. Le entità multinazionali che ricadevano nella fascia più elevata vennero tassate al novantadue per cento del loro profitto lordo, con strette limitazioni per quanto riguardava la richiesta di spesa, come contributo per governare l’America. Nella fascia successiva le multinazionali erano tassate al settantotto per cento. Dopo di quella le fasce scendevano rapidamente.

Fra le aziende tassate al settantotto per cento, il cinquataquattro per cento si basava sulla stazione orbitale del Rifugio. Soltanto una multinazionale ricadeva nel criterio della tassazione al novantadue per cento: il Rifugio stesso.

Il Congresso promulgò il pacchetto fiscale in ottobre. Leisha, guardando l’olonotiziario in Nuovo Messico, lanciò involontariamente un’occhiata fuori dalla finestra, al cielo. Era azzurro e vuoto, senza una singola nuvola.

Will Sandaleros fece un rapporto completo a Jennifer Sharifi che era stata lontana dal Rifugio, sulla stazione orbitale Kagura, per concludere lì una transazione commerciale di vitale importanza. Jennifer lo stette ad ascoltare con calma, con le pieghe della bianca abbaya che le ricadevano con grazia attorno ai piedi. I suoi occhi scuri scintillarono.

— Allora, Jenny — disse Will. — Inizieremo il primo gennaio.

Jennifer annuì. I suoi occhi si portarono sull’oloritratto di Tony Indivino, appeso sulla parete della Cupola. Dopo un momento ritornarono su Will, ma lui era chino sulla copia cartacea con le proiezioni dei calcoli fiscali del Rifugio e non lo notò.


Miri non riusciva a togliersi dalla mente la morte di Tabitha Selenski. Indipendentemente da ciò a cui stesse pensando, la sua ricerca neurochimica, gli scherzi con Tony, il lavarsi i capelli, qualsiasi cosa, Tabitha Selenski, che Miri non aveva mai conosciuto, si aggrovigliava, annodava, legava alle stringhe di Miri e rimaneva soffocata lì.

Soffocata. Lei aveva analizzato l’iniezione che aveva provocato la morte di Tabitha: avrebbe bloccato il cuore all’istante. Senza il cuore a pompare, i polmoni non potevano inspirare aria. Tabitha doveva essere rimasta soffocata per l’aria già respirata, solo che, ovviamente, lei non se n’era resa conto perché l’iniezione aveva anche paralizzato immediatamente ciò che era rimasto del suo cervello.

Miri era seduta da sola nel campo giochi a forma di bolla, sospeso nel nucleo del Rifugio, e pensava a Tabitha Selenski; era troppo grande per il campo giochi, tuttavia le piaceva recarsi lì quando era vuoto, veleggiando lentamente da un appiglio all’altro, la sua goffaggine cancellata dall’assenza sia di gravità sia di spettatori. Quel giorno le sue stringhe parevano solitarie come il campo giochi.

No, non solitarie. Cinque altre persone, incluso suo padre, avevano votato con lei perché a Tabitha fosse concesso di continuare a vivere al Rifugio, anche se da mendicante. C’era però una differenza nei loro voti, nei loro motivi, nelle loro argomentazioni di compassione. Miri avvertiva la differenza ma non riusciva a darle un nome, né in parole né in stringhe, e quello risultava tremendamente frustrante. Era il solito vecchio problema: ai suoi pensieri mancava qualcosa, qualche sconosciuto tipo di associazione o di collegamento. Perché non riusciva a estendere una stringa esplorativa sulla differenza fra il suo voto e quello degli altri, scoprendo quindi quale fosse quella differenza? Per spiegarla, esaminarla, integrarla nel sistema etico che l’incidente di Tabitha Selenski aveva carbonizzato, esattamente come esso aveva carbonizzato la sua mente. Mancava qualcosa, lì, qualcosa di importante per Miri. Un buco dove ci sarebbe dovuta essere una spiegazione.

Guardò i campi, le cupole e le vie di comunicazione sottostanti. Il Rifugio era bellissimo nella dolce luce solare dagli UV filtrati. Le nuvole andavano alla deriva all’altra estremità; la squadra di manutenzione aveva programmato pioggia. Avrebbe dovuto controllare il calendario meteorologico.

Rifugio. (Santuario chiese› legge› la protezione di persona e proprietà› l’equilibrio dei diritti dell’individuo con quelli della società› Locke› Paine› ribellione› Gandhi› il crociato solitario su un livello morale più elevato…). Il Rifugio rappresentava tutto ciò, per gli Insonni. La sua comunità. Perché, allora, aveva la sensazione che la morte di Tabitha l’avesse spinta in un luogo (Beckett nella cattedrale, sangue sul pavimento in pietra) in cui l’asilo era violato? In un luogo in cui, dopo tutto, nulla era al sicuro?

Miri scese lentamente dalla bolla del campo giochi per andare a cercare Tony, che non avrebbe avuto le risposte ma che avrebbe capito almeno le domande. Avrebbe capito fino al punto in cui capiva lei il che, improvvisamente, non le sembrò molto lontano. Mancava qualcosa di vitale.

Cosa?


Nel tardo ottobre Alice ebbe un attacco di cuore. Aveva ottantatré anni. In seguito, giacque a letto silenziosamente, con il dolore lenito dalle medicine. Leisha rimase seduta accanto al suo letto notte e giorno, sapendo che non sarebbe durata a lungo. Alice dormiva per gran parte del tempo. Quando si svegliava, vagava in sogni drogati e mostrava spesso un breve sorriso sul volto avvizzito, Leisha, tenendole la mano, non aveva idea di dove stesse vagando la niente di sua sorella fino alla notte in cui gli occhi di Alice si schiarirono e si focalizzarono e lei rivolse a Leisha un sorriso di tale calda dolcezza da farle trattenere il respiro e da spingerla a chinarsi in avanti. — Sì, Alice. Sì?

Alice sussurrò. — Papà sta a-annaffiando le piante!

Gli occhi di Leisha bruciarono. — Sì, Alice. Sì.

— Me ne ha data una.

Leisha annuì. Alice ripiombò nel sonno, sorridendo, in quel luogo in cui una bambinetta aveva l’amore di suo padre.

Si svegliò una seconda volta, qualche ora più tardi, per stringere la mano di Leisha con forza inaspettata. Aveva gli occhi sconvolti. Cercò di alzarsi a sedere, ansimando. — Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta, sono ancora qui, non sono morta! — Ricadde sui guanciali.

Jordan, in piedi accanto a Leisha presso il letto della madre, voltò la faccia.

L’ultima volta che Alice si svegliò era lucida. Guardò Jordan con amore, e Leisha seppe che non gli avrebbe detto nulla perché non era necessario. Alice aveva dato al figlio tutto quello che aveva, tutto quello di cui aveva avuto bisogno e lui era al sicuro. Sussurrò a Leisha: — Prenditi… cura di Drew.

Di Drew, non di Jordan o di Eric o degli altri nipoti. Alice sapeva, non si sa come, dove il bisogno era più grande. Non lo aveva sempre saputo?

— Sì, lo farò. Alice…

Alice però aveva già chiuso gli occhi e il sorriso le era tornato sulle labbra che tremavano per i suoi sogni privati.

Successivamente, mentre Stella e sua figlia raccoglievano i radi capelli grigi e chiamavano il governo di stato per ottenere il permesso speciale di una sepoltura privata, Leisha si recò nella propria stanza. Si tolse tutti i vestiti e si mise in piedi davanti allo specchio. Aveva la pelle chiara e rosata, i seni le cadevano leggermente per i decenni in cui erano stati sottoposti alla forza di gravità ma erano ancora pieni e lisci, i muscoli delle gambe lunghe si indurirono quando puntò le dita dei piedi. I capelli, ancora biondo chiaro come li aveva ordinati Roger Camden, le ricadevano attorno al volto in onde morbide. Pensò di afferrare un paio di forbici e di tagliarli in ciuffi informi ma si sentì troppo vecchia, troppo stanca per un gesto teatrale. La sorella gemella era morta di vecchiaia. Addormentata per sempre.

Leisha indossò i vestiti, senza guardare un’altra volta lo specchio, e andò ad aiutare Stella e Alicia con il corpo di Alice.


Richard, Ada e loro figlio arrivarono in Nuovo Messico per il funerale. Sean ormai aveva nove anni, figlio unico. Richard aveva paura che un secondo bambino sarebbe nato Insonne? Richard appariva contento, sistemato per quanto potesse esserlo nella sua vita di perenne migrazione con Ada, non sembrava invecchiato. Stava tracciando una mappa delle CQrrenti oceaniche in una sezione dell’Oceano Indiano dove l’itticoltura era altamente fiorente, appena oltre la zolla continentale. Il lavoro andava bene. Abbracciò Leisha e le disse quanto gli dispiacesse per Alice. Leisha sapeva che Richard diceva sul serio e, attraverso il lutto che provava, una parte della sua mente rifletté sul fatto che quello era stato l’uomo più importante della sua vita da adulta e che, mentre la abbracciava, lei non provava nulla. Era un estraneo, collegato con lei soltanto dalla scelta biologica dei genitori e dal passato dei sogni finiti.

Anche Drew tornò a casa per il funerale.

Leisha non lo aveva più visto da quattro anni, anche se ne aveva seguito la sfolgorante carriera sugli olocanali. Lo incontrò nel giardino a beole, reso vivace dai cactus mantenuti in fioritura forzata e dalle piante esotiche coltivate in bolle trasparenti a energia-Y dotate di un campo umidificato. Indirizzò la carrozzella verso di lei senza esitazione. — Salve, Leisha.

— Salve, Drew. — Lui aveva ancora l’intenso sguardo verde, anche se, sotto ogni altro punto di vista, era cambiato nuovamente. Leisha pensò al bambino di dieci anni ossuto e sudicio, al goffo ragazzetto che si sforzava di essere un Mulo in giacca e cravatta e buone maniere prese in prestito, al drammatico maggiorenne con i capelli tagliati corti e l’abbigliamento rétro con i polsini di pizzo, al vagabondo barbuto con occhi incavati e risentimenti deboli e pericolosi. Quel giorno Drew indossava abiti costosi ma semplici, se si eccettuava un singolo sgargiante e dozzinale diamante come gemello da polsino. Il suo corpo si era riempito, il suo volto era maturato. Leisha si accorse senza provare desiderio che era un bell’uomo. Tutto ciò che era oltre a quello aveva imparato a nasconderlo.

— Mi dispiace per Alice. Aveva l’animo più generoso che io abbia mai conosciuto.

— Sapevi questo di lei? Sì, lo aveva. E se lo è creato da sola, con pochissimo aiuto da parte di quelli che avrebbero dovuto aiutarla.

Lui non le chiese che cosa intendesse dire: le parole non erano mai state il mezzo preferito di Drew.

Le disse: — Mi mancherà tremendamente. So che non sono più venuto qui da anni. — Parlava senza il minimo tremito o imbarazzo. Apparentemente, Drew aveva fatto pace con l’ultimo e imbarazzante incontro con Leisha. Se così era, però, perché rimanere lontano per quattro anni? Leisha gli aveva inviato moltissimi messaggi per invitarlo a casa. — Ma anche se non ero qui, io e Alice parlavamo telefonicamente ogni domenica. A volte per ore.

Leisha non lo aveva saputo. Provò un guizzo di gelosia. Ma era gelosa di Drew o di Alice?

Gli disse: — Lei ti amava, Drew. Eri importante per lei. E sei menzionato nel suo testamento, ma tutto ciò potrà aspettare dopo il funerale.

— Sì — rispose Drew, senza mostrare apparente interesse all’eredità. Leisha si sentì felice per quello. Il bambino Drew era ancora lì, sotto lo sgargiante gemello e la bizzarra carriera che nessuno dei due menzionò. Eppure lei avrebbe dovuto parlarne, no? Era il lavoro di Drew, la sua realizzazione, il suo pregio individuale.

— Ho seguito la tua carriera sulle olotrasmissioni. Hai avuto un grande successo e siamo orgogliosi di te.

Una luce si accese nello sguardo di lui. — Hai guardato una rappresentazione olovisiva?

— No, non una rappresentazione. Solo le critiche, le lodi…

La luce si spense, ma il sorriso di Drew era ancora caldo. — Non importa, Leisha. Sapevo che non avresti potuto guardarla.

— Voluto — precisò lei prima di riuscire a fermarsi.

Drew le sorrise. — No… potuto. Non importa. Anche se non mi lascerai più metterti in stato di sogno lucido, rappresenti ancora la singola e più importante influenza sul mio lavoro che possa mai avere.

Leisha aprì la bocca per ribattere, al sentimento, all’acuto dolore dietro al sentimento, alla cocciuta ambivalenza dietro tutt’e due le cose, ma prima di riuscire a parlare Drew aggiunse: — Ho portato qualcuno con me per il funerale di Alice.

— Chi?

— Kevin Baker,

L’imbarazzo di Leisha scomparve. Drew poteva ancora confonderla, quel figlio che non aveva partorito e che era divenuto qualcosa che lei non riusciva né ad affrontare né a comprendere, ma Kevin rappresentava un elemento noto. Lo conosceva da sessant’anni: da prima che fosse nato il padre di Drew.

— Perché è qui?

— Perché non glielo chiedi direttamente? — replicò brevemente Drew, e Leisha capì che Drew aveva scoperto, da Kevin, dalle banche dati o da qualche altra fonte, tutto ciò che era successo fra lei e l’uomo. Sessant’anni che valevano tutto. Il tempo non faceva altro che accumularsi, pensò Leisha. Come la polvere.

— Dov’è adesso Kevin?

— Nel patio a nord. — Drew aggiunse alle spalle di lei, mentre la donna lasciava il cortile: — Leisha, un’altra cosa. Non sono cambiato. Rispetto a quello che voglio, intendo dire.

— Io non sono sicura di quello che tu vuoi — replicò lei, anche se lo sapeva e si rimproverò per la stupida codardia.

Drew fece un gesto di impazienza: quanti anni aveva esattamente ormai? Venticinque. — Non ti credo, Leisha. Io voglio quello che ho sempre voluto. Te e il Rifugio.

Quello la colse di sorpresa, quanto meno per metà. Il Rifugio. Era passato oltre un decennio dall’ultima volta che Drew l’aveva menzionato con lei. Leisha pensava che l’infantile sogno di rivincita, giustizia, conquista o qualsiasi cosa era fosse svanito molto tempo addietro. Drew era seduto sulla carrozzella, un uomo robusto a dispetto delle gambe menomate, e il suo sguardo non vacillò quando incrociò quello di lei. Il Rifugio.

Era ancora un bambino, a dispetto di tutto.

Lei si recò al patio nord. Kevin si trovava lì da solo, esaminando un sasso modellato dal vento del deserto in una forma allungata e affusolata che assomigliava a una lacrima in pietra. Vedendolo, Leisha si rese conto che non provava per lui più di quanto non avesse provato alla vista di Richard. L’età aveva ucciso il corpo di Alice: sembrava avere lavorato, invece, sul cuore di Leisha.

— Salve, Kevin.

Lui si voltò di scatto. - Leisha. Grazie per avermi invitato.

E così Drew gli aveva mentito. Non sembrava importante. — Sei il benvenuto.

— Volevo rendere l’ultimo omaggio ad Alice. — Si mostrava imbarazzato, e alla fine sorrise mestamente. — Gli Insonni non sono molto bravi in queste occasioni, vero? Riguardo alla morte, voglio dire. Non ci pensiamo mai.

— Io ci penso — rispose Leisha. — Vorresti vedere Alice, adesso?

— Dopo. Prima c’è una cosa che voglio dirti e non so se avrò un’altra opportunità. Il funerale è fra un’ora, no?

— Kevin, ascolta. Non voglio che tu ti scusi, mi dia spiegazioni o cerchi di ricostruire eventi passati da quarant’anni. Non adesso. Non voglio e basta.

— Non avevo intenzione di scusarmi — rispose lui, un po’ irrigidito, e Leisha ricordò improvvisamente se stessa che diceva a Susan Melling sul tetto di quella stessa casa: "Kevin non ritiene che ci sia niente da perdonare". — Quello di cui volevo parlarti riguarda un argomento del tutto differente. Mi dispiace tirarlo fuori prima del funerale ma, come ti ho già anticipato, potrebbe non esserci un altro momento. Drew ti ha detto che interessi curo per lui?

— Non sapevo che tu curassi alcun interesse per lui.

— A dire il vero, li gestisco interamente. Non le prenotazioni delle tournée, c’è un’agenzia che se ne occupa, ma i suoi investimenti, la sicurezza e così via. Lui…

— Immagino che il capitale di Drew sia decisamente ridotto rispetto a quello dei tuoi soliti clienti multinazionali.

— Lo è — rispose Kevin, senza presunzione — ma lo faccio per te. Indirettamente. Quello che volevo dirti, però, è che lui insiste che io assicuri i suoi investimenti esclusivamente in fondi o speculazioni gestite dal Rifugio.

— E allora?

— La maggior parte dei miei affari si svolge comunque con il Rifugio, ma in altri termini. Tratto sulla Terra quando loro non vogliono scendere giù e, in particolare, mi occupo della sicurezza delle loro transazioni qui. Ci sono ancora moltissime persone qui che odiano gli Insonni, a dispetto del clima sociale benevolo che viene pubblicizzato sugli olocanali. Saresti sorpresa di quanti sono.

— No. Non penso — ribatté Leisha. — Che cosa volevi dirmi?

— Questo: al Rifugio sta per accadere qualcosa. Non so di che si tratti ma mi trovo in una posizione unica per vedere le frange più esterne della loro programmazione per quello che è. Specialmente tramite i piccoli investimenti di Drew, perché lui li vuole il più vicino possibile al cuore del commercio del Rifugio; incidentalmente, loro non hanno mai concesso che fosse molto vicino e adesso si sta ulteriormente allontanando. Stanno liquidando tutto ciò che possono, convertendo investimenti non in crediti ma in equipaggiamento e in beni tangibili quali oro, programmi software, perfino oggetti artistici. Ecco che cosa ha segnalato immediatamente il mio programma-cane-da-guardia: non era mai esistito un Insonne che collezionasse seriamente opere d’arte. Semplicemente non ci interessano.

Era vero. Leisha corrugò la fronte.

Kevin continuò: — Così ho cercato di scavare, anche in aree di cui non mi occupo. La sicurezza è più difficile da superare di quanto non sia mai stata: devono avere alcuni ottimi maghi dell’informatica lassù, anche se non ne esistono documentazioni ufficiali da nessuna parte. Il Rifugio ha passato lo scorso anno a spostare gli investimenti che non ha liquidato in holding situate all’esterno degli Stati Uniti. Will Sandaleros ha acquistato una stazione orbitale giapponese, Kagura, vecchissima e con notevoli danni interni, usata soprattutto per esperimenti di riproduzione genetica su animali da carne alterati per il lussuoso commercio con le stazioni orbitali. Sandaleros l’ha comperata a nome delle Imprese Sharifi, non del Rifugio. Hanno agito in modo strano con la Kagura: hanno licenziato tutti gli addetti ma non ci sono tracce che indichino che abbiano portato via alcun animale. Nemmeno una singola capra resistente alle malattie. Hanno probabilmente inviato alcuni dei loro a occuparsi degli animali, ma non sono riuscito a mettere le mani su un singolo documento. Adesso, poi, stanno cominciando a ritirare tutte le persone che si trovano sulla Terra per riportarle al Rifugio. I ragazzini diplomandi, i dottori in internato, i collegamenti commerciali, perfino l’occasionale cuoco che si trova giù a bazzicare per i bassifondi. Stanno tornando tutti al Rifugio, uno o due alla volta, per non dare nell’occhio. Ma stanno tornando tutti indietro.

Leisha si incupì. — Cosa pensi che possa significare?

— Non lo so. — Kevin appoggiò la pietra scolpita dal vento. — Pensavo che tu potessi essere in grado di immaginarlo. Conoscevi Jennifer meglio di chiunque altro di noi che sia rimasto qui.

— Kev, non penso proprio di aver mai conosciuto qualcuno in vita mia. — Le scivolò semplicemente dalla bocca: non aveva avuto alcuna intenzione di dire nulla di così personale. Kevin sorrise a denti stretti.

Drew portò la carrozzella fino al patio. Aveva gli occhi rossi. — Leisha, ti vuole Stella.

Lei si allontanò con la mente stipata dai movimenti del Rifugio, dalla morte di Alice, dalla strumentale manovra fiscale del Congresso, dagli investimenti di Drew nel Rifugio, dalla preoccupazione di Kevin, dalla propria irrazionale paura per l’arte di Drew. Era irrazionale, lo sapeva bene. Le sembrava di non avere l’energia per mantenersi razionale che aveva avuto quando era stata più giovane. Non aveva modo per riuscire a pensare a tutte quelle cose contemporaneamente. Erano troppo diverse. La mente umana non riusciva ad accoglierle tutte. Era necessario un nuovo modo di pensare. "Papà, hai fallito… avresti dovuto fornirmi anche quello nella modificazione genetica. Un modo migliore per integrare il pensiero, non soltanto pensieri migliori".

Leisha sorrise, senza provare alcun divertimento. Povero Roger. Incolpato per tutto ciò che Alice non era, per tutto ciò che Leisha era e per tutto ciò che Leisha non era. In un certo senso era buffo. Solo però in quel modo privo di spirito in cui erano buffe tutte le cose, di quei tempi. Nel giro di altri ottant’anni, forse, l’avrebbe trovato ilare. Tutto quello che occorreva era un po’ di tempo, che si accumulava come polvere.


— Ceneri alle ceneri, polvere alla polvere…

Era stato Jordan a scegliere quelle belle, dolorose e sentimentali parole, Drew lo sapeva. Drew non aveva mai assistito a un servizio funebre fino ad allora e non era sicuro del significato di tutte quelle frasi arcaiche ma, guardando i volti raccolti attorno alla tomba di Alice Camden Watrous, fu certo che Jordan aveva scelto le parole, che a Leisha non piacevano, che Stella non le sopportava. E Alice? Ad Alice sarebbero piaciute, sapeva Drew, perché le aveva scelte suo figlio. Sarebbe stato sufficiente per Alice. E quindi lo era anche per Drew.

Le forme scivolavano silenziosamente, dentro e fuori la sua mente conscia.


Poiché egli conosce il nostro corpo: egli ricorda che siamo polvere. In quanto all’uomo, i suoi giorni son come erba: come fiore di campo egli fiorisce. Il vento vi passa sopra ed esso si dissolve: quel luogo più non lo conoscerà.


Era Eric che leggeva le parole, il nipote di Alice, il vecchio nemico di Drew. Drew guardò l’uomo solenne e bello che era divenuto Eric e le forme nella sua mente si fecero più profonde, presero a sdrucciolare più velocemente. No, non forme, quella volta voleva la parola. Era determinato a trovare la parola per Eric che poteva anche essere polvere ma, in quel caso, solo una polvere di vera pelle di alta qualità, una polvere solida come il platino su cui non si poteva passare sopra senza riconoscerla, perché Eric era Insonne, nato per essere abile e potente, indipendentemente dalla ribellione giovanile che aveva manifestato un tempo. Drew voleva la parola per Richard, con gli occhi abbassati accanto a sua moglie e al suo bambino Dormienti, fingendo di essere come loro. La parola per Jordan, il figlio di Alice, lacerato in due per tutta la vita fra la madre Dormiente e la brillante zia Insonne, difeso solamente dalla propria onestà. La parola per Leisha, che aveva amato i Dormienti, se era vero ciò che gli aveva raccontato Kevin Baker, ben più di quanto non avesse mai amato alcuno del proprio genere. Suo padre. Alice. Lo stesso Drew.

Non riusciva a trovare la parola giusta. In quel momento stava leggendo Jordan, da un differente libro antico. Conoscevano tutti così tanti libri antichi: — Sonno dopo fatica, porto dopo mari tempestosi, serenità dopo guerra, morte dopo vita…

Leisha sollevò lo sguardo dalla bara. Aveva un volto inflessibile, fisso. La luce del cielo del deserto si riversava sulle sue guance, sulle pallide labbra serrate. Non guardò Drew. Lanciò un’occhiata alle lapidi levigate dal vento su entrambi i lati del piccolo pezzo di terra destinato ad Alice, BECKER EDWARD WATROUS e SUSAN CATHERINE MELLING, quindi diritto davanti a sé, al nulla. All’aria. Anche se non incrociarono lo sguardo, Drew seppe improvvisamente, dalle forme fluide all’interno della propria mente e dalla rigida forma esteriore di Leisha, che non ci sarebbe mai andato a letto insieme. Lei non lo avrebbe mai amato in altro modo se non come un figlio, perché come figlio lo aveva visto per la prima volta e lei non mutava le sue forme principali. Non poteva farlo. Era quello che era. Quel principio valeva per la maggior parte delle persone, ma per Leisha era particolarmente vero. Lei non si piegava, non si fletteva. C’era qualcosa in lei, qualcosa derivato dall’insonnia: no, era qualcosa non in lei. Qualcosa che il fatto stesso dell’insonnia lasciava fuori. Drew non riusciva a definire cosa fosse. Gli Insonni l’avevano tutti: quell’inflessibilità, l’incapacità di cambiare categorie e, per quel motivo, Leisha non l’avrebbe mai amato nel modo in cui lui amava lei. Mai.

Lo ghermì un tale dolore che per qualche istante non fu in grado di vedere la bara di Alice sotto di lui, nel terreno, Alice, il cui amore aveva permesso a Drew di crescere in un modo in cui quello di Leisha non avrebbe mai potuto. Gli si schiarì la vista e lasciò che il dolore scorresse liberamente, finché non divenne un’altra forma nella sua mente, frastagliata e lacerata ma più di se stessa, più di lui stesso. E, quindi, sopportabile.

Non avrebbe mai potuto avere Leisha.

Tutto quello che gli rimaneva, quindi, era il Rifugio.

Drew guardò ancora una volta attorno al cerchio di persone. Stella teneva il volto nascosto contro la spalla del marito. La loro figlia, Alicia, posava entrambe le mani sulle spalle delle sue bambine. Richard non aveva sollevato la testa: Drew non riusciva a vederne gli occhi. Leisha stava in piedi sola, e la chiara luce del deserto metteva in evidenza la sua pelle giovane, i suoi occhi privi di rughe, le labbra rigidamente serrate.

A Drew venne in mente la parola, la parola che lo aveva ossessionato, la parola che si adeguava a tutti loro, Insonni, che piangevano colei che avevano più amato, che non era stata una di loro e che proprio per questo motivo era quella che amavano di più.

La parola era: "pietà".


Miri si chinò infuriata sul proprio terminale. Sia il monitor sia le informazioni in uscita dicevano la stessa cosa. Quel modello sintetico neurochimico forniva prestazioni anche peggiori del precedente. O degli ultimi due. O degli ultimi dieci. Le sue cavie, con i cervelli confusi da quella che sarebbe dovuta essere la risposta all’esperimento di Miri, rimanevano incerte nelle cabine per l’analisi cerebrale. La più piccola delle tre cedette: si sdraiò e si addormentò.

— M-m-magnifico — bofonchiò Miri. Ma che cosa le aveva mai fatto pensare di essere una ricercatrice biochimica? "Super"… già. Certo. Superincompetente.

Stringhe riguardanti codice genetico, fenotipi, enzimi, siti ricettori si formavano e riformavano nella sua testa. Nessuna di quelle serviva a qualcosa. Sprecato, tutto sprecato. Lanciò uno strumento di calibrazione dall’altra parte del laboratorio, garantendo così che dovesse venire ricalibrato.

— Miri!

Joan Lucas si trovava sull’arco della porta con il grazioso viso contorto come una corda. Lei e Miri non si parlavano da anni. — Miri…

— C-c-cosa c’è J-j-joan?

— Tony. Vieni immediatamente, Lui… — Il suo volto si contrasse ancora di più. Miri sentì il sangue gelarsi nelle vene.

— C-c-c-cosa?

— È caduto. Dal campo giochi. Oh, Miri, vieni.

Dal campo giochi, Dall’asse della stazione orbitale. No, non era possibile, il campo giochi era sigillato e dopo una caduta da quell’altezza non sarebbe rimasto nulla.

— Dall’ascensore, intendo dire. Fuori. Sai che i ragazzini si sfidano sempre a salire dalla parte esterna dell’ascensore, sui montanti di sostegno, e poi a tuffarsi nel portello per le riparazioni.

Miri non lo sapeva. Tony non glielo aveva detto. Non riusciva a muoversi, non riusciva a pensare. Era solo capace di fissare Joan che stava piangendo. Alle spalle di Miri, una delle cavie modificate geneticamente emise un debole squittio.

— Vieni! — gridò Joan. — È ancora vivo!

A mala pena. Lo staff medico lo aveva già raggiunto. Lavorarono con espressione cupa sulle gambe schiacciate e sulla spalla rotta prima di trasferirlo in ospedale. Tony aveva gli occhi chiusi: un lato del cranio era ricoperto di sangue.

Miri percorse nella navetta d’emergenza il breve tratto fino all’ospedale. I dottori trascinarono via velocemente Tony. Miri restò seduta, immobile, accecata, sollevando lo sguardo soltanto all’arrivo di sua madre.

— Dov’è! — gridò Hermione, e una piccola, crudele parte della mente di Miri si chiese se Hermione avrebbe finalmente guardato direttamente il figlio maschio più grande, ora che tutto ciò che valeva la pena guardare era sparito. Il sorriso di Tony. L’espressione dei suoi occhi. La sua voce che balbettava le sue parole. Le parole di Tony.

La scansione cerebrale mostrò un danno importante. Miracolosamente, tuttavia, la parte conscia era sopravvissuta. Le medicine che intorpidivano il suo dolore intorpidivano anche ciò che lo rendeva Tony, ma Miri sapeva che lui era ancora lì, da qualche parte. Rimase seduta accanto al fratello, tenendogli la mano afflosciata, un’ora dopo l’altra. La gente andava e veniva attorno a lei, ma lei non parlò con nessuno, non guardò nessuno.

Alla fine, il dottore portò una sedia accanto alla sua e le appoggiò una mano sulla spalla. — Miranda.

Le palpebre di Tony tremolavano di più in quel momento: lei lo fissò con attenzione.

— Miranda. Ascoltami. — Le prese dolcemente il mento con una mano e le voltò il viso verso il proprio. — Ci sono danni al sistema nervoso al di là di quello che si può rigenerare. Potrebbe esserci… non siamo sicuri di ciò che abbiamo davanti. Non abbiamo mai visto questa tipologia di danno.

— N-n-n-nemmeno su T-tabitha S-s-selenski? — disse lei amaramente.

— No. Questa è una cosa differente. Le scansioni Mallory di Tony mostrano un’attività cerebrale altamente aberrante. Tuo fratello è vivo, ma ha subito un danno importante e irreparabile alla zona pontina cerebrale, inclusi i nuclei del rafe e le strutture collegate. Miranda, tu sai cosa significhi, sei una ricercatrice in questo campo, ho qui i risultati delle analisi da farti vedere…

— N-n-non v-v-voglio vv-v-vederli!

— Sì — insistette il dottore. — Devi. Sharifi, veda di parlarle.

Il padre di Miri si chinò su di lei. Non si era accorta che fosse lì. — Miri…

— N-n-n-non farlo! Nn-n-no p-p-papà! N-n-non a T-t-tony!

Ricky Keller non finse di non capire a cosa alludesse. Né finse di possedere una forza che Miri sapeva, fra le caotiche e orrende stringhe della sua testa, che lui non possedeva. Ricky guardò il figlio ferito, quindi Miri, e lentamente, con le spalle incurvate, lasciò la stanza.

— A-a-a-andate f-f-fuori! — gridò Miri al dottore, alle infermiere, alla madre che era la più vicina alla porta. Hermione fece un breve gesto con una mano e la lasciarono tutti con Tony.

— N-n-no — sussurrò lei a Tony. La mano di lei si serrò convulsamente a quella del fratello. — N-n-n-non… — Le parole non volevano uscire. Soltanto pensieri e non in stringhe complesse: nella diritta e lineare ristrettezza della paura.

"Non glielo permetterò. Combatterò con tutti i mezzi che ho. Io sono forte come loro, più intelligente, noi siamo Super, combatterò per te; non glielo permetterò; non mi possono impedire di proteggerti; nessuno mi può fermare".

Jennifer Sharifi era in piedi accanto alla porta.

— Miranda.

Miri si spostò attorno al fondo del letto, portandosi fra la nonna e Tony. Si mosse lentamente, deliberatamente, non staccando mai gli occhi da Jennifer.

— Miranda. Sta soffrendo.

— La v-v-vita è d-d-dolore — rispose Miri, e non riconobbe la propria voce, — D-d-dura n-n-necessità. M-m-me lo hai i-i-insegnato t-t-tu.

— Non guarirà.

— N-n-non puoi s-s-saperlo! N-n-non ancora!

— Possiamo esserne abbastanza certi. — Jennifer si portò velocemente in avanti. Miri non aveva mai visto la nonna muoversi tanto in fretta. — Non pensi che sia addolorata come te? È mio nipote! Ed è un Super, uno dei pochi e preziosi che abbiamo, che nel giro di qualche decennio saranno ciò che farà la differenza per noi, quando ne avremo maggiormente bisogno, quando avremo sempre meno risorse da estrarre dalla Terra e dovremo inventarne di nostre, traendole da fonti che ora non ci sogneremmo nemmeno. Risorse nostre, un’adattabilità modificata geneticamente e una tecnologia per lasciare questo sistema solare e colonizzare un luogo finalmente sicuro per noi. Avevamo bisogno di Tony per questo, per le stelle: abbiamo bisogno di ognuno di voi! Non pensi che io soffra per la sua perdita con lo stesso tuo dolore?

— Se u-u-ucciderai T-t-t-t-t — non riuscì a tirar fuori le parole. Le parole più importanti che avesse mai detto, e non riusciva a tirarle fuori.

Jennifer continuò con espressione addolorata: — Nessuno ha il diritto di avanzare pretese sui forti e produttivi perché è debole e inutile. Porre un valore più alto nella debolezza piuttosto che nell’abilità è moralmente indecente.

Miri si scagliò contro la nonna. Puntò agli occhi, incurvando le unghie come artigli, sollevando il ginocchio per colpire nel modo più duro possibile il corpo di Jennifer. Jennifer gridò e cadde. Miri le si lanciò addosso e cercò di stringerle le mani tremanti e frementi attorno alla gola. Altre mani la afferrarono, la tirarono via da sua nonna, cercarono di bloccare le mani di Miri lungo i fianchi. Miri lottò, gridando: doveva gridare forte abbastanza perché Tony potesse sentirla, sapere ciò che stava accadendo, svegliarlo.

Tutto si fece nero.


Miri restò sotto l’effetto dei sedativi per tre giorni. Quando finalmente riprese conoscenza, trovò il padre seduto accanto al suo giaciglio, con le spalle incurvate e le mani che gli penzolavano fra le ginocchia. Le disse che Tony era morto per le ferite. Miri lo fissò, non disse nulla, quindi voltò la faccia verso il muro. La parete era di vecchia pietra spugnosa, macchiata di chiazze nere che potevano essere sporco, muffa oppure i negativi di piccole stelle in una galassia piatta, bidimensionale e morta.


Miri non volle lasciare il suo laboratorio, nemmeno per mangiare. Si bloccò dentro, e per due giorni digiunò. Gli adulti non erano in grado di superare la serratura di sicurezza, che aveva progettato Tony, ma non ci provarono neanche. Quanto meno, Miri non pensò che ci avessero provato: a lei non importava niente.

Sua madre iniziò un contatto tramite videotelefono. Miri scurì lo schermo e lei non ritentò. Suo padre provò svariate volte. Miri stette a sentire, pietrificata, quello che lui aveva da dire in modalità unidirezionale, così che lui non potesse né vederla né sentirla. Non c’era comunque nulla da sentire. Lei non rispose. Sua nonna non cercò nemmeno di chiamarla.

Rimase seduta in un angolo del laboratorio, sul pavimento, con le ginocchia tirate su fino al petto e le sottili braccia tremanti serrate attorno. Era pervasa dall’ira, tempeste di rabbia che periodicamente spazzavano via tutte le stringhe, tutti i pensieri, spazzavano vìa tutto ciò che fosse ordinato e complesso in torrenti di furia primitiva che non la spaventavano. Non c’era spazio per essere spaventati. La rabbia non lasciava spazio per altro eccetto che per un singolo pensiero, al limite di quello che era stato il suo precedente sé: "le ipermodificazioni agiscono sulle emozioni esattamente come sui processi corticali". Il pensiero non le sembrò interessante. Nulla sembrava essere interessante, a parte la furia per la morte di Tony.

L’assassinio di Tony.

Il terzo giorno, una comunicazione di emergenza a sovrapposizione accese tutti gli schermi del laboratorio, perfino quelli che non erano in grado di ricevere trasmissioni locali. Miri sollevò lo sguardo a pugni serrati. Gli adulti erano più bravi di quanto lei non avesse pensato se riuscivano a far fare al sistema informatico una cosa simile, se potevano sovrapporsi alla programmazione di Tony. Ma non erano capaci, nessuno era stato tanto bravo con i sistemi come Tony, nessuno. Tony…

— M-m-miri — disse il volto di Christina Demetrios — l-l-lasciaci entrare p-p-per f-f-favore. — E, quando Miri non rispose, aggiunse: — A-a-anche io l-l-lo a-a-a-mavo!

Miri strisciò fino alla porta su cui Tony aveva installato una complessa serratura, combinando dispositivi manuali a campi a energia-Y. Lo strisciare la fece quasi svenire: non si era resa conto che il suo corpo fosse così debole. Un metabolismo potenziato consumava generalmente immense quantità di cibo.

Aprì la porta. Christina entrò, portando una grossa ciotola di piselli di soia. Alle sue spalle c’erano Nikos Demetrios e Allen Sheffield, Sara Cerelli e Jonathan Markowitz, Mark Meyer e Diane Clarke più altri venti. Ogni Super del Rifugio che avesse più di dieci anni. Affollarono il laboratorio, tremando e fremendo, i larghi volti sulle grosse teste un po’ deformate erano rigati di lacrime, irrigiditi per la rabbia oppure si contraevano freneticamente per il pensare potenziato.

Nikos disse: — L-lo hanno f-f-fatto p-p-perché era u-uno di n-n-noi.

Miri voltò lentamente la testa per guardarlo.

— T-t-t-toni e-e-e — la parola non voleva uscire. Nikos balzò al terminale di Miri., richiamò il programma che Tony aveva studiato per costruire stringhe secondo gli schemi di pensiero di Nikos e il programma di conversione negli schemi di Miri. Digitò le parole chiave, studiò il risultato, alterò dei punti cruciali, esaminò ancora e corresse nuovamente. Christy, senza dire una parola, porse a Miri la ciotola di piselli di soia. Miri la scansò, guardò il volto di Christy e mangiò una cucchiaiata. Nikos premette il tasto per convertire la sua struttura a stringhe in quella di Miri. Lei la studiò.

C’era tutto: la documentata convinzione dei Super che la morte di Tony fosse stata diversa da quella di Tabitha Selenski. Le differenze cliniche erano presenti: era stato dimostrato che il cervello di Tabitha era distrutto a livello corticale, ma le scansioni del cervello di Tony e il rapporto dell’autopsia mostravano soltanto un incerto grado di handicap, e i risultati non erano conclusivi rispetto al quoziente di personalità rimasto. Erano assolutamente certi, tuttavia, della distruzione di determinate strutture della zona pontina cerebrale che regolavano la produzione di enzimi modificati geneticamente. Tony poteva essere o non essere più lo stesso Tony; poteva avere o non avere più intatte le sue capacità intellettive, non c’era stato tempo a sufficienza per scoprirlo. In tutt’e due i casi, senza dubbio, avrebbe passato una parte indefinibile di ogni giornata addormentato.

La cartella clinica, ottenuta dalla documentazione ospedaliera del Rifugio senza che fosse rimasta traccia della loro intrusione nel programma, non sì presentava da sola sull’olovisore di Miri. Era annodata in stringhe e stringhe incrociate di concetti riguardanti la comunità, la dinamica sociale dell’isolamento organizzato prolungato, la xenofobia, gli incidenti avvenuti fra Super e Normali sia a scuola, sia nei laboratori, sia nel campo giochi che Miri riconobbe. Le equazioni matematiche sulla dinamica sociale e sulle difese psicologiche contro una sensazione di inferiorità erano collegate a schemi storici terrestri: assimilazione. Accanimento religioso contro gli eretici. Lotta di classe. Servitù e schiavitù. Karl Marx, John Knox, Lord Acton.

Era la stringa più complessa che Miri avesse mai visto. Sapeva, senza che le venisse detto, che per pensarla a Nikos era occorsa l’intera giornata successiva all’autopsia di Tony, che rappresentava i pensieri e i contributi degli altri Super e che era la stringa più importante che lei avesse mai esaminato, pensato o sentito in vita sua.

E che quel qualcosa, ancora, sempre mancava dalla stringa.

Nikos disse: — T-t-t-tony mi ha i-i-insegnato c-c-come f-f-fare. — Miri non rispose. Si accorse che Nikos aveva pronunciato quella frase, che era già evidente in sé, per trattenersi dal dire l’altra che era implicata in ogni elemento della complessa molecola che formava la stringa: "I Normali pensano che noi Super siamo così differenti da loro da formare una comunità separata, creata da loro per servire ai bisogni dei loro. Non sanno di pensare in questo modo, lo negherebbero ma lo fanno indipendentemente da tutto".

Lei guardò tutto attorno i volti degli altri bambini. Tutti comprendevano. Non erano bambini nemmeno quelli di undici anni, nemmeno nel senso in cui era stata bambina Miri a undici anni. Ogni nuova alterazione genetica aveva aperto il potenziale a ulteriori settori del cervello. Ogni nuova alterazione genetica aveva ampliato l’uso delle strutture corticali un tempo disponibili soltanto in periodi di stress intenso o di intensa introspezione. Ogni nuova alterazione aveva creato maggiori differenze rispetto agli adulti Normali che l’avevano prodotta. Quei Super, specialmente i più giovani, erano figli dei Normali soltanto nel senso biologico più lato.

E lei, la stessa Miri, fino a che punto era figlia di Hermione Wells Keller che non sopportava nemmeno di guardarla in faccia? La figlia di Richard Anthony Keller, la cui intelligenza era in un sottomesso stato di schiavitù rispetto a sua madre? La nipote di Jennifer Fatima Sharifi, la quale aveva ucciso Tony per una comunità che veniva definita solo come lei decideva di definirla?

Christina disse con un filo di voce: — M-m-m-miri, mangia.

Nikos aggiunse: — N-n-n-non d-d-dobbiarno p-p-ermettergli di f-f-farlo a-a-ancora.

Allen disse: — Nn-n-noi p-p-p — Scrollò violentemente le spalle per la frustrazione. Parlare era sempre stato più difficile per Allen che per il resto di loro: a volte non parlava per giorni. Scansò Miri dalla console, richiamò il proprio programma di stringhe, digitò rapidamente e convertì il risultato nel programma di Miri. Quando ebbe finito, lei vide, in stringhe magnificamente ordinate e composte, che se i Super facevano supposizioni generalizzate sui Normali, erano eticamente dalla parte del torto come il Consiglio del Rifugio. Ogni persona, Super o Normale, doveva essere giudicata individualmente, e ciò doveva essere bilanciato accuratamente con la necessità di sicurezza. Loro erano già in grado di assicurare un controllo completo e segreto dei sistemi del Rifugio, se necessario per la propria difesa, ma non potevano assicurare un completo controllo dei Normali, cosa che includevano fra le loro difese per impedire che un altro Super venisse ucciso dal Consiglio. Era un rischio, da bilanciare con il dilemma morale di fare ciò che stavano condannando nel Consiglio. I fattori morali scintillavano e si trascinavano in tutte le stringhe di Allen: erano invece presupposti indiscussi in quelle di Nikos.

Miri studiò la proiezione, mentre le stringhe si annodavano e si formavano nella propria mente più velocemente di quanto non avessero mai fatto in vita sua. Non si sentiva morale: provava odio per tutti quelli che avevano assassinato Tony. Tuttavia, comprese che Allen aveva ragione. Non potevano prendersela semplicemente con i propri genitori, i nonni, gli altri Insonni: la loro comunità. Non potevano e basta. Allen aveva ragione.

Miri annuì.

— D-d-difesa. Per n-n-noi — riuscì a dire Allen,

— In-inclusi i N-n-normali che hanno r-r-ragione — aggiunse Diane Clarke, e gli altri intuirono le stringhe che lei intendeva con il termine "ragione".

Jonathan Markowitz disse: — Ss-s-sam S-s-smith.

Sarah Cerelli aggiunse: — J-j-joan L-l-lucas. Il s-s-suo f-f-fratellino m-mai n-n-nato. — Miri rivide se stessa e Joan accucciate presso la cupola per la produzione energetica nell’Anniversario del Ricordo, udì nuovamente la propria ottusa durezza davanti al dolore di Joan per l’aborto del fratello Dormiente. Miri si contrasse. Come era potuta essere così dura con Joan? Come poteva non aver capito?

Perché non era ancora accaduto a lei.

— A-abbiamo b-b-bisogno di un n-n-nome — disse Diane. Prese il posto di Allen davanti alla console e richiamò il proprio programma di stringhe. Quando fece spazio a Miri perché vedesse il risultato, la ragazzina scorse una complessa struttura di pensiero sulla forza dei nomi per l’autoidentificazione, sulla autoidentificazione per una comunità, sulla posizione dei Super all’interno della comunità se non si fosse mai più verificato il bisogno di difendersi. Poteva anche accadere. Poteva succedere che nessuno di loro venisse mai più ferito o messo in pericolo dai Normali, e che le due comunità potessero coesistere per decenni a fianco a fianco, essendo solamente loro a sapere che erano due. La forza di un nome. Miri contorse la bocca. Disse: — Un n-n-nome.

— S-sì. Un n-n-nome — confermò Diane.

Lei li guardò tutti. Le stringhe di Diane fluttuavano in proiezione olografica, delineando sia la loro separazione sia i complessi limiti della loro dipendenza fisica ed emotiva. Un nome.

— I M-m-mendicanti — disse Miri.


— Non avevo altra scelta — disse Jennifer. — Non avevo scelta!

— No, non ne avevi — confermò Will Sandaleros. — È semplicemente troppo giovane per sostenere una seduta al Consiglio, Jenny. Miri non ha imparato ancora a controllarsi o a dirigere il proprio talento per il proprio bene. Lo farà. Nel giro di pochi anni potrai ridarle il seggio. È stato soltanto un errore di valutazione, tesoro mio. Tutto qui.

— Ma non mi vuole più parlare! — gridò Jennifer. In un momento riacquistò il controllo di sé. Lisciò le pieghe della sua abbaya nera e allungò una mano per versare a sé e Will dell’altro tè. Le sue lunghe dita affusolate erano ferme sulla teiera antica: il fragrante flusso di tè a foglia singola, una varietà modificata geneticamente sviluppata al Rifugio, ricadde senza spruzzare nelle graziose tazze in lega. Najla le aveva forgiate per il sessantesimo compleanno della madre. Tuttavia nitide rughe correvano dal naso alla bocca di Jennifer. Guardando il volto di sua moglie, Will si rese conto che il dolore poteva assomigliare alla vecchiaia.

— Jenny — le disse dolcemente — dalle più tempo. Ha subito un brutto colpo ed è ancora una bambina. Non ricordi come eri tu a sedici anni?

Jennifer gli lanciò un’occhiata penetrante. — Miri non è come noi.

— No, ma…

— Non si tratta soltanto di Miri. Anche Ricky si rifiuta di parlare con me.

Will appoggiò la tazza di tè. Le sue parole avevano l’attenta cadenza di un discorso pronunciato in tribunale. — Ricky è sempre stato un po’ instabile per essere un Insonne. Un po’ debole. Come suo padre.

Jennifer disse, come se fosse una risposta: — Ricky e Miri dovranno ammettere tutti e due ciò che Richard non ha mai potuto: il primo dovere di una comunità sta nel proteggere le proprie leggi e la propria cultura. Senza la volontà di fare questo, senza il patriottismo, non si ha altro se non un ammasso di persone che vivono casualmente nello stesso posto. Il Rifugio deve proteggere se stesso. — Un istante dopo aggiunse: — Specialmente ora.

— Specialmente ora — confermò Will. — Dalle del tempo, Jenny. Dopo tutto, è tua nipote.

— E Ricky è mio figlio. — Jennifer si alzò, sollevando il vassoio con il tè. Non guardò il marito. — Will?

— Sì.

— Metti l’ufficio di Ricky e il laboratorio di Miranda sotto sorveglianza.

— Non possiamo farlo. Quanto meno non con Miri. I Super hanno condotto esperimenti sulla sicurezza. Qualsiasi cosa abbia progettato Tony, non è accessibile. Almeno per noi, comunque, senza lasciare tracce evidenti.

Al nome di Tony, un nuovo dolore riempì gli occhi di Jennifer. Will si alzò e l’abbracciò, nonostante il vassoio del tè. La voce della donna rimase composta.

— Allora fai spostare Miri in un altro laboratorio, in un diverso edificio dove possiamo effettuare la sorveglianza.

— Certo, tesoro. Oggi stesso. Ma Jenny… è solamente dolore infantile e shock. È una ragazzina brillante. Si adeguerà alla giustizia e alla necessità.

— So che lo farà — rispose Jennifer. — Falla traslocare oggi stesso.

23

Una settimana dopo la morte di Tony, Miri andò a cercare suo padre. Le Strutture della stazione orbitale l’avevano sbattuta fuori dal suo laboratorio, suo e di Tony, dove un tempo lui aveva lavorato, riso e parlato con lei, e l’avevano trasferita in un laboratorio nuovo nell’Edificio Scientifico Due. Quello stesso pomeriggio era andato nel suo laboratorio Terry Mwakambe. Fra tutti i Super Terry era il più brillante nei sistemi di controllo, perfino migliore di Tony, ma lui e Tony avevano lavorato insieme raramente perché le stringhe di Terry rendevano difficile la comunicazione. Un accumulo di modificazioni genetiche radicali con conseguenze neurochimiche non ancora completamente comprese lo rendevano strano perfino per gli altri Super. La maggior parte delle sue stringhe consisteva in formule matematiche basate sulla teoria del caos e sui nuovissimi fenomeni della disarmonia. Aveva dodici anni.

Terry passò svariate ore ai terminali e ai pannelli a parete di Miri, strizzando furiosamente gli occhi e con la sottile e giovane bocca che sembrava una linea tremante. Non disse assolutamente nulla a Miri. Alla fine, lei comprese che quel silenzio rappresentava una furia forte quasi quanto la propria. Terry amava i suoi genitori, Normali che avevano fatto alterare i suoi geni per creare quella strana, straordinaria intelligenza, le sue Super abilità che ora quegli stessi Normali stavano mettendo sotto sorveglianza come se Miri, una come lui, fosse una specie di ladruncolo mendicante. La sensazione di tradimento provata da Terry riempiva il laboratorio come calore.

Quando ebbe terminato, l’equipaggiamento di sorveglianza del Consiglio funzionava alla perfezione. Mostrava Miri intenta a giocare interminabili partite a scacchi con il terminale. Una difesa contro il lutto. Un’affermazione di potere fatta da qualcuno che aveva scoperto di essere impotente davanti alla morte. Il corpo di Miri, seguito su uno scanner a infrarossi, accasciato sulla console olografica impiegava un sacco di tempo per effettuare ogni mossa. I programmi dei sistemi di sorveglianza rendevano disponibile ogni mossa in ogni partita. Miri le vinse tutte, anche se fece qualche occasionale difesa sciatta.

— E-e-ecco — disse Terry, e uscì sbattendo la porta del laboratorio. Era l’unica parola che aveva pronunciato.

Miri trovò suo padre seduto nel parco sotto il punto in cui aveva fluttuato il campo giochi. Il secondo figlio maschio Normale suo e di Hermione gli stava seduto in grembo. Il bambino aveva quasi due anni, era un bel maschietto di nome Giles, dai riccioli color nocciola modificati geneticamente e grandi occhi scuri. Ricky lo teneva come se potesse rompersi, e Giles si dimenava per essere messo a terra.

— Non parla ancora — fu la prima cosa che Ricky disse a Miri. Lei esaminò le implicazioni dell’osservazione.

— L-l-lo f-f-farà. I N-n-normali a v-volte si r-r-ri-sparmiano e p-p-poi c-cominciano a parlare in f-f-rasi.

Ricky strinse più forte il bambino che si divincolava. — Come fai a saperlo, Miri? Non sei una mamma: tu stessa sei ancora una bambina. Come fate tutti a sapere?

Lei non riuscì a rispondergli. Senza stringhe e strutture di pensiero, la risposta alla sua vera domanda, "Come fai a pensare, Miri", sarebbe stata talmente incompleta da risultare inutile. Suo padre però non poteva comprendere le stringhe. Non poteva nemmeno capire.

Gli disse invece: — Tu a-a-amavi T-t-tony.

Lui la guardò sopra la testa del bambino. — Certamente. Era mio figlio. — Ma un momento dopo aggiunse: — No, hai ragione. Tua madre non lo amava.

— N-n-né ama m-m-me.

— Voleva farlo. — Giles cominciò a piagnucolare. Ricky allentò leggermente la presa ma non lo lasciò scendere. — Miri, tua nonna ti ha fatto sospendere come membro del Consiglio. Ha introdotto una mozione per alzare l’età per la partecipazione al Consiglio da parte dei membri della famiglia a ventuno anni, la stessa dei membri del Consiglio eletti con un mandato a termine. La mozione è passata.

Miri annuì. Non era sorpresa. Era ovvio che la nonna la volesse fuori dal Consiglio, a quel punto, ed era ovvio che il Consiglio si sarebbe dichiarato d’accordo. C’erano sempre stati quelli che si erano risentiti dei differenti criteri per le quote di voto degli Sharifi rispetto alle quote comuni, anche se il modo in cui la famiglia Sharifi divideva i propri voti erano affari suoi. O forse il risentimento rispetto al seggio proveniva dalla stessa fonte della motivazione per cui le era stato assegnato: lei era una Super.

Giles dette un tremendo calcio sulle forti gambe del padre e cominciò a gridare. Ricky, alla fine, lo appoggiò a terra e gli sorrise con espressione vacua. — Immagino di aver pensato che se lo avessi trattenuto abbastanza a lungo se ne sarebbe venuto fuori con una frase completa. Qualcosa come: "Per favore, papà, lasciami scendere per andare a esplorare". A due anni tu lo avresti fatto.

Miri toccò Giles, che stava esaminando, tutto felice, l’erba modificata geneticamente. La pompa ionica degli steli funzionava in modo così efficiente che essi avevano bisogno solamente di sostanze nutrienti ridottissime. I capelli di Giles erano morbidi e serici al tocco. — L-l-lui non è m-m-me.

— No. Dovrò ricordarlo. Miri, che cosa facevate tu e gli altri Super riuniti nel laboratorio di Allen la notte scorsa?

Sentì un campanello d’allarme. Se Ricky lo aveva notato e vi aveva riflettuto, lo avevano fatto anche gli altri adulti? La sola congettura poteva danneggiare i Mendicanti? Terry e Nikos avevano detto che nessuno era in grado di superare l’impianto di sicurezza che avevano allestito, ma chiunque si sarebbe potuto chiedere, tanto per cominciare, come mai esistesse un sistema di sicurezza così severo. Chiedersi una cosa simile sarebbe stato sufficiente a innescare una ritorsione? Che cosa sapevano Miri o uno qualsiasi degli altri Super su come pensavano realmente i Normali?

— Io penso — disse Ricky misurando le parole — che foste tutti in lutto, a modo vostro, in privato. Io penso che, se vi riunirete di nuovo tutti e se qualche Normale vi chiederà cosa state facendo, gli risponderete proprio così.

Miri lasciò andare i capelli di Giles. Fece scivolare la mano in quella di suo padre. Le dita di lei, il sangue che sfrecciava caldo e veloce a causa del suo Supermetabolismo, i muscoli che fremevano, si contrassero contro le dita fredde di lui.

— S-s-sì, p-p-papà — lo rassicurò lei. — L-l-lo f-f-faremo.


Occorse loro un mese e mezzo per elaborare programmi sovrapposti ai principali sistemi del Rifugio: mantenimento in vita, difesa esterna, sicurezza, comunicazioni, manutenzione e banca dati. Terry Mwakambe, Nikos Demetrios e Diane Clarke realizzarono la maggior parte del lavoro. C’era qualche programma dotato di dispositivo di sicurezza, in cui non riuscivano a entrare: la maggior parte di essi si trovava nella difesa esterna. Terry lavorava senza tregua ventitré ore al giorno, coperto da un programma di sua progettazione per ingannare la sorveglianza. Miri si chiese in che cosa lo mostrasse impegnato, ma non lo domandò. La frustrazione priva di parole di Terry per non essere in grado di entrare negli ultimi programmi protetti era quasi un’entità fisica, come la pressione dell’aria. Miri, al contrario, era sorpresa da quanto velocemente i Mendicanti avessero virtualmente preso possesso della stazione orbitale, senza avere effettivamente cambiato nulla. Forse non lo avrebbero mai fatto. Forse non avrebbero avuto bisogno di farlo.

All’inizio del secondo mese, Terry entrò in un importante programma protetto. Lui e Nikos indissero una riunione nell’ufficio di quest’ultimo. Tutti e due i ragazzi erano pallidi come il sale. Una ragnatela di capillari rossi pulsava sulla fronte di Terry, al di sopra della maschera. Durante l’ultimo mese, una decina di Super aveva cominciato a indossare quelle maschere, plasticarta modellata che copriva la metà inferiore dei loro volti, dal mento agli occhi, dotate di un foro per la respirazione. Alcune ragazzine le avevano decorate. I bambini più vicini ai genitori Normali, notò Miri, non indossavano maschere. Lei non sapeva se qualcuno avesse interrogato quelli che lo facevano sul perché, o se avesse collegato l’apparizione delle maschere con la morte di Tony Sharifi.

— S-s-sharifi L-l-l-l — Terry fece un gesto di stizza che significava approssimativamente "cazzo?". Nel mese passato i loro segni non verbali, da sempre parte della comunicazione dei Super, si erano fatti più violenti.

Tentò Nikos. — I L-l-laboratori S-s-sharifi hanno f-f-fatto e im-im-immagazzinato… — Anche lui era troppo agitato. Terry richiamò le stringhe sul suo terminale: come la maggior parte delle stringhe di Terry, quelle risultavano incomprensibili per tutti eccetto che per Terry stesso. Nikos creò quindi una stringa nel proprio programma e la convertì in quello di Miri che era ancora il formato più accessibile all’intero gruppo. I ventisette ragazzini si affollarono gli uni accanto agli altri.

I Laboratori Sharifi avevano sviluppato e sintetizzato un organismo modificato geneticamente istantaneamente letale, trasportato dall’aria e altamente contagioso, estratto dal codice di un virus ma sensibilmente diverso in importanti fenotipi. Pacchetti pieni dell’organismo in stato di congelazione, che potevano essere scongelati e rilasciati con un comando a distanza dal Rifugio, erano stati piazzati negli Stati Uniti da Insonni selezionati che erano studenti laureandi sulla Terra. C’erano pacchetti nascosti a New York, Washington, Chicago, Los Angeles e nella stazione orbitale Kagura posseduta ora dai Laboratori Sharifi. I pacchetti erano virtualmente introvabili con metodi convenzionali. Il virus era in grado di uccidere qualsiasi organismo aerobico sufficientemente evoluto da possedere un sistema nervoso, prima che il breve ciclo vitale del virus stesso terminasse, in circa settantadue ore. A differenza di qualsiasi altro virus che fosse mai esistito, quello non si poteva riprodurre a tempo indefinito. Tutte le copie si autodistruggevano settantadue ore dopo essere state scongelate. Era un’opera magnifica di ingegneria di modificazione genetica.

Nessuno disse nulla.

Alla fine, Allen balbettò: — P-p-per d-d-difesa. Da n-n-non u-usarsi a m-m-meno che il R-r-rifugio non v-v-v-venga a-attaccato per p-p-p-primo! M-m-mai c-come a-attacco p-p-preventivo…

— S-sì! — disse Diane con espressione eccitata. - Solo p-p-per d-d-difesa! D-deve esserlo! N-n-noi non p-p-potremmo…

Christy disse disperata: — C-c-c-come n-n-noi. C-come s-stanno f-f-f-facendo i M-m-mendicanti.

Le voci esplosero, balbettanti e urlanti. Tutti volevano credere che il Rifugio non stesse facendo nulla di diverso da ciò che stavano facendo loro, preparando un meccanismo segreto di autodifesa che il Consiglio non avrebbe mai avuto realmente il bisogno di usare. I pacchetti esistevano per una trattativa verbale, per effettuare minacce che erano, dopo tutto, l’unica cosa che i Dormienti capivano. Tutti lo sapevano. Gli Insonni avevano diritto all’autodifesa qualora il Rifugio fosse stato attaccato direttamente. Gli Insonni non erano assassini. Erano i Dormienti gli assassini. Tutti sapevano anche quello.

Miri guardò dapprima il volto di Terry, quindi quello di Nikos, quello di Christy e quello di Allen. Guardò nuovamente l’arma biologica di sua nonna, nascosta perfino al Consiglio del Rifugio, conosciuta soltanto dalla manciata di collaboratori dei Laboratori Sharifi che l’avevano sviluppata, sintetizzata e celata in città piene di altri bambini.

Suo padre lo sapeva?

Miri pensò improvvisamente, scioccamente, che anche lei si sarebbe fatta una maschera di plasticarta modellata.

Alla fine, dopo ore e ore di agitata discussione, i Mendicanti non fecero nulla riguardo all’arma biologica. Non c’era nulla che potessero fare. Se i Super avessero raccontato al Consiglio quello che sapevano, il Consiglio avrebbe immaginato le loro reali capacità. Se avessero disattivato il meccanismo di controllo a distanza, anche gli adulti lo avrebbero immaginato. Se ciò fosse accaduto, i Mendicanti avrebbero perduto la loro opportunità segreta di proteggere i loro; come non erano stati in grado di proteggere Tony. In ogni caso, se il virus serviva soltanto come difesa, creato con la fervida speranza che non ce ne sarebbe mai stato il bisogno, in che termini i Laboratori Sharifi stavano facendo qualcosa di diverso da quello che avevano fatto i Mendicanti stessi?

I ragazzini non seppero pensare a qualcosa di più, oltre all’installare programmi difensivi in sovrapposizione, quindi non fecero altro.

Miri si incamminò lentamente verso il proprio laboratorio e il programma elusivo inserito per la sorveglianza, che la mostrava vincere una partita di scacchi inesistente dopo l’altra.


La scoperta dei Mendicanti agitò Miri per giorni. Cercò di lavorare sulla sua vecchia ricerca neurologica per inibire la balbuzie. Ruppe un delicato bioscanner, inserì in modo errato un pezzo di vitale importanza del codice nel terminale e scagliò un beaker attraverso la stanza. Continuava a vedere suo padre con Giles che si divincolava sulle sue ginocchia. Ricky la amava. L’amava abbastanza da sospettare che i Super si stessero ritirando in una propria comunità e da non… cosa? Che cosa avrebbe potuto fare, comunque? Che cosa voleva fare?

Le stringhe le si agitavano nella mente come nuvole che turbinassero da jet di manutenzione: lealtà. Tradimento. Autoconservazione. Solidarietà. Genitori e figli.

L’apparecchio di telecomunicazione squillò. A dispetto della propria agitazione, Miri si avvicinò il più silenziosamente possibile quando vi vide apparire il volto di Joan Lucas.

— Miri. Se ci sei, puoi inserirti in doppio canale?

Miri non si mosse. Joan le aveva portato la notizia della morte di Tony, piangendo a sua volta. Joan era una Normale. Joan era una sua vecchia amica? Una sua nuova nemica? Le categorie, in quel caso, non reggevano.

— O non sei lì o non vuoi parlare con me — disse Joan. Si era fatta ancora più bella durante l’anno trascorso, una bella diciassettenne modificata geneticamente con le mascelle forti e immensi occhi violetti. — Non importa. So che sei ancora addolorata per Tony. Ma, se sei lì, voglio dirti di accedere all’olocanale ventidue degli Stati Uniti. Subito. C’è un artista che a volte guardo. Mi ha aiutato con… qualche problema che avevo nella mente. Potrebbe aiutare anche te, guardarlo. È solo un’idea. — Joan abbassò lo sguardo, come se stesse soppesando con attenzione le parole e non volesse che Miri scorgesse l’espressione che aveva negli occhi. — Se vi accedi, fai in modo che non venga registrato sul giornale di bordo. Sono certa che tutti voi Super sappiate come fare.

Per la prima volta, Miri si rese conto che Joan la stava chiamando su una linea in codice.

Miri rimase dubbiosa a masticarsi una ciocca di capelli spettinati, abitudine che aveva preso dalla morte di Tony. Come era possibile che guardare un "artista" dalla Terra avesse aiutato Joan con "qualche problema che aveva nella mente"? E che genere di problemi poteva avere una come Joan, già perfettamente inserita nella propria comunità?

Nulla che avesse a che fare con quelli di Miri.

Raccolse il beaker che aveva lanciato, lo lavò e lo disinfettò. Tornò al codice del DNA per un neurotrasmettitore sintetico che aveva modellato sul terminale, e riprese la noiosa impresa di testare al computer le minute, ipotetiche, impercettibili alterazioni nella formula, che poteva essere o meno il giusto punto di partenza. Il programma non girava, doveva esserci un difetto di funzionamento da qualche parte. Miri picchiò un lato del terminale. — C-c-cazzo!

Nikos o Terry avrebbero saputo come ripararlo immediatamente. O anche Tony.

Miri crollò su una sedia. Ondate di angoscia la pervasero. Quando il peggio fu passato, si rivolse nuovamente al terminale. Nonostante il programma di verifica, non riuscì a trovare il difetto.

Si voltò alla linea comunicazioni ed entrò nell’olocanale ventidue degli Stati Uniti.

Era completamente nero. Un altro difetto? Miri era balzata su per inserire il pugno nel palco olografico in miniatura e per picchiare sul suo pavimento, quando il centro del palco si illuminò improvvisamente. C’era un uomo seduto su una sedia, alto venti centimetri, che cominciò a parlare.

— "Felici quei giorni in cui io / brillavo nell’angelica infanzia! /Prima che comprendessi questo luogo…"

Quello? Un uomo su una sedia che recitava una specie di poesia da mendicante? Joan aveva interrotto anni di virtuale silenzio per dire a Miri di guardare quello?

Quando l’uomo aveva cominciato a parlare l’oscurità alle sue spalle aveva preso forma. No… ne erano uscite delle forme, ripetitive ma anche sottilmente differenti, stranamente irresistibili. Nella testa di Miri si formarono delle stringhe, e lei notò che anch’esse, pure se costituite dai pensieri più sciocchi, erano sottilmente differenti rispetto alle sue solite stringhe, la loro forma complessiva non era molto diversa da quelle che scivolavano oltre l’uomo che stava recitando dalla carrozzella. Forse avrebbe dovuto vederlo Diane: stava lavorando sulle equazioni per descrivere la formazione di stringhe di pensiero, portando avanti il lavoro che Tony aveva creato prima di morire.

— "Ma provati attraverso tutti questi vestiti carnosi / Brillanti raggi di eternità" — disse l’uomo. Miri si rese conto improvvisamente che la sua carrozzella era potenziata tecnologicamente e che lui doveva essere in qualche modo deforme o menomato. Non normale.

Le stringhe nella sua mente si fecero più piatte, più calme. Le forme nell’olotrasmissione erano mutate. Udì le parole dell’uomo, tuttavia senza udirle: non erano le parole a essere importanti. E non era giusto? Le parole non erano mai state importanti, solo le stringhe, e le stringhe avevano forme come, ma non proprio come, quelle attorno all’uomo. Soltanto che anche l’uomo era scomparso, e anche questo era giusto perché lei, Miri, Miranda Serena Sharifi, stava scomparendo, scivolando lungo una prolungata e ripida discesa, e a ogni metro che percorreva si faceva sempre più piccola, fino a scomparire ed essere invisibile, un fantasma trasparente privo di peso che non si contraeva e non balbettava, nell’angolo di una stanza che non aveva mai visto prima.

Sotto, lo sapeva, c’erano altre stanze. Si trattava di un edificio profondo, non alto, e ogni stanza era simile a quella, piena di luce così tangibile da sembrare viva. In effetti era viva e si trasformò improvvisamente in una bestia con quindici teste. Miri brandiva una spada. — No — disse a voce alta — io sono trasparente, non posso usare una spada. — Quello, tuttavia, non aveva apparentemente alcuna importanza, perché la bestia si diresse verso di lei ruggendo e lei le mozzò una testa. Essa cadde, e solo allora lei si accorse che era quella di sua nonna. La testa di Jennifer giaceva al suolo e, mentre Miri osservava inorridita, si aprì un buco nel pavimento e la testa, sorridendo debolmente, vi scivolò dentro. Miri sapeva che sarebbe finita in un’altra stanza, più in profondità, quell’intero posto era formato da una stanza che si apriva sotto l’altra, ma la testa non svanì interamente. Nulla svaniva mai interamente. La bestia l’attaccò di nuovo e lei mozzò un’altra testa, che cadde altrettanto serenamente attraverso il pavimento. Era stata quella di suo padre.

Improvvisamente, venne colta dalla furia. Mozzò e mozzò. Riconobbe alcune delle teste mentre sprofondavano sempre più giù nell’edifico, altre no. L’ultima era quella di Tony e, invece di svanire, fece crescere un corpo: non quello di Tony ma il corpo perfetto modificato geneticamente di David Aronson, il corpo che lei aveva tentato di sedurre tre anni prima quando lui l’aveva respinta. Tony/David cominciò a spogliarla, e lei si eccitò immediatamente. — Ti ho sempre voluto — fece Miri.

— Lo so — rispose lui — ma prima dovevo smettere di tremare. — Lui la penetrò, e il mondo sopra le loro teste esplose in stringhe di pensiero.

— No, aspetta un attimo — disse Miri a Tony — queste non sono le stringhe giuste. — Sollevò lo sguardo, si concentrò e modificò le stringhe in svariati punti. Tony aspettò, sorridendo con la bocca bellissima e il corpo fermo. Quando Miri ebbe terminato di cambiare le stringhe, lui allungò le mani per abbracciarla e lei venne pervasa da una tale tenerezza, una tale pace, che disse con gioia: — Non importa della mamma!

— Non è mai stato importante — confermò Tony, e lei rise, lo accarezzò e…

…si svegliò.

Miri sobbalzò terrorizzata. Il laboratorio le riaffiorò attorno all’esistenza. Era sparito, era stato sostituito da…

Lei aveva dormito. Aveva sognato.

— N-n-n-no — si lamentò Miri. Come poteva essersi addormentata? Lei? Sognare era ciò che facevano i Dormienti, i sogni erano costruzioni di pensiero descritti in studi teorici sul cervello. L’oloterminale era nuovamente scuro. Lentamente, l’uomo rientrò in dissolvenza.

Le forme. Il suo equipaggiamento aveva proiettato forme e c’erano state delle forme di risposta nella mente di lei. Come strutture di stringhe-pensiero… ma no. Erano forse venute da una diversa parte del cervello non corticale? Tuttavia la sensazione di pace, di gioia, di tremenda unità con Tony, poteva essere giunta solamente dalla sua corteccia. Lo aveva sognato. L’uomo l’aveva, recuperò la parola terrestre, "ipnotizzata" con le sue forme mentali, la sua poesia e la sua solitudine e quindi le forme nell’ologramma avevano attirato le stesse forme sognanti di lei.

Ma c’era stato altro. Miri aveva cambiato il sogno. Si era concentrata sulle stringhe che incombevano sulla sua testa e su quella di Tony e le aveva cambiate, deliberatamente. Nel ricordo, riusciva a vedere tutt’e due le versioni.

Miri restò seduta immobile, come aveva fatto nel sogno.

— Drew Arlen — stava dicendo una voce eccessivamente allegra sull’ologramma dell’uomo sulla carrozzella — Sognatore Lucido. La nuova forma artistica che ha preso il paese in un lampo! Questo è un programma non replicabile, Vivi di Ololandia, quindi per acquistare la vostra copia di una delle sei diverse rappresentazioni di Sogno Lucido di Drew…

Miri premette il codice di Tony per la duplicazione. L’uomo sulla carrozzella si congelò.

Lei appoggiò la testa fra le ginocchia, ancora abbacinata. Aveva sognato. Lei, Miranda Sharifi, Insonne e Superintelligente. Riusciva ancora a vedere Tony, a sentire le braccia di lui attorno a sé, a provare la profondità dell’edificio sotto di lei, le sue stanze interminabili. Poteva ancora vedere le stringhe di pensiero, solide come materia, che lei aveva raggiunto e cambiato.

Miri sollevò la testa dalle ginocchia e si avvicinò al terminale di lavoro. Rimise a posto il difetto nel programma. Fu facile: tutto quello che ebbe bisogno di fare fu seguire le stringhe che aveva visto nel sogno, quelle che aveva cambiato. Inserì il preciso codice di DNA che aveva inseguito per tre anni e non aveva mai effettivamente visto. Il programma lo confrontò ai parametri, alle tavole delle probabilità e alle interazioni neurochimiche. Sarebbe occorso del tempo per effettuare la comparazione e la strutturazione, ma Miri era già sicura: le modificazioni genetiche erano quelle giuste. Erano quelle che aveva ricercato, alle quali aveva girato attorno, ma che non era riuscita a vedere, finché una parte della sua mente sognante non aveva guardato i dati di fatto presenti nelle sue stringhe di pensiero in modo differente e aveva aggiunto ciò che mancava.

Quello era giusto: la sua mente aveva aggiunto ciò che mancava, ciò che era sempre mancato in tutta la sua vita. Le idee, non lineari, non annodate in stringhe, non collegate in modo percettibile, recuperate dalla parte mancante della sua mente. La parte sognante. No, la parte sognante lucidamente, che affondava in un universo più profondo di un solo livello, per tirare fuori cose che lei non aveva mai immaginato che fossero lì e che tuttavia erano indubbiamente sue. Cose che lei, la Miri cosciente, poteva manipolare parzialmente nel mondo dei sogni.

Miri guardò l’ologramma congelato dell’artista in carrozzella. Lui stava sorridendo debolmente: una luce invisibile gli scintillava sui capelli lucidi. Aveva brillanti occhi verdi. Lei provò ancora l’orgasmo del sogno con Tony. Ogni fibra della sua fiera, giovane, determinata personalità si legò attorno alla figura di Drew Arlen, che le aveva concesso quel dono, quella forma di riscatto.

Sogno lucido.

Miri si alzò. Voleva sintetizzare il composto neurologico, testarlo e assumerlo. Sapeva che avrebbe funzionato. Avrebbe inibito la balbuzie, il tremore e le contrazioni dei Super senza diminuire le loro superabilità. Avrebbe permesso loro di essere se stessi, solo con una dimensione in più.

Come nel sogno lucido. Essere se stessi, ma anche un po’ di più.

Prima, però, doveva fare qualcos’altro. Richiamò il programma bibliotecario e lo regolò sui parametri di ricerca preliminari più ampi possibili: tutti i dati in archivio del Rifugio, nelle banche dati legali terrestri per le quali il Rifugio pagava forti abbonamenti, in quelle illegali per cui pagavano abbonamenti anche più cari. Usò i programmi di ricerca che Tony aveva progettato e le aveva insegnato a usare, quelli che accedevano alle banche dati che i proprietari ritenevano essere completamente sicure. Miri aggiunse ogni cosa le venne in mente. Voleva sapere tutto quello che c’era da sapere su Drew Arlen. Tutto.

Poi avrebbe stabilito come mettersi in contatto.


I Mendicanti si affollarono nel laboratorio di Raoul, sedendosi sulle panche, sulla scrivania, sul pavimento. Parlavano a bassa voce, come facevano generalmente l’uno con l’altro, lasciandosi molto tempo per pronunciare le parole. La maggior parte delle volte non si guardavano direttamente in faccia.

Oramai quasi tutti indossavano le maschere, alcune delle quali decorate in modo elaborato.

La maschera di Miri non era ornata. Non l’avrebbe indossata a lungo.

— P-p-proteine n-n-nucleari…

— …t-t-trovato un n-nuovo f-flusso a n-n-nastro…

— …un c-c-chilo p-p-più p-p-pesante…

— La m-m-mia s-s-sorellina…

— C-c-c-c-c — un grugnito di frustrazione. Apparve il primo terminale per richiamare un programma di stringhe.

— Aspettate un attimo prima di inserire la comunicazione per stringhe — disse Miri. — Ho qualcosa da mostrarvi.

La stanza cadde nel silenzio più profondo. Miri tolse la maschera e si scansò la lunga frangia dagli occhi. Li guardò serenamente con un volto che non si contraeva, non fremeva e non tremava.

— Uhnn-n-n-n — fece qualcuno come se fosse stato colpito allo stomaco.

— Ho trovato il codice bersaglio — spiegò Miri — L’enzima si sintetizza facilmente, non ha effetti collaterali prevedibili e nessuno che io abbia osservato su me stessa, quanto meno per ora, e può essere somministrato con una piastrina sottocutanea a rilascio lento. — Arrotolò la manica per mostrare loro la piccola ferita che si stava rimarginando velocemente, sulla parte superiore del braccio sinistro.

— La f-f-f-formula! — chiese con bramosia Raoul, l’altro ricercatore biologico.

Miri richiamò la struttura di stringhe sul proprio terminale. Raoul ci si incollò davanti.

— Q-q-q-quando? — chiese Christy.

— Mi sono inserita la piastrina tre giorni fa. Da quel momento non ho più lasciato il laboratorio. Nessuno mi ha visto, a parte voi.

— F-f-f-fai m-m-me! — disse Nikos.

Miri aveva preparato ventisette piastrine sottocutanee. I Mendicanti formarono una fila, e Susan prese a disinfettare la parte superiore del braccio di tutti, Raul procedette all’incisione, Miri inserì la piastrina e Diana effettuò uno stretto bendaggio. Non c’era bisogno di punti: la pelle si sarebbe rigenerata.

— Occorrono poche ore perché faccia effetto — precisò Miri. — L’enzima deve stimolare la produzione di una quantità sufficiente di neurotrasmettitori,

I Super guardarono Miri con occhi lucidi, tremanti. Lei si sporse in avanti: — Ascoltate, c’è un’altra cosa di cui dobbiamo parlare.

— Sapete che io ho effettuato ricerche su questa modificazione genetica per quasi quattro anni: nei primi due ho esplorato il problema, ma penso non che avrei assolutamente trovato la soluzione se non avessi imparato a fare qualcos’altro. Si chiama sogno lucido.

Aveva attirato la loro completa e formidabile attenzione.

— Sembra che sia una cosa che fanno i Dormienti ed è stato un Dormiente a condurmici. Grazie a Joan Lucas. Anche noi però possiamo sognare lucidamente, sebbene io non abbia ancora alcun dato sulla scansione cerebrale: penso che potremmo farlo in modo differente rispetto ai Dormienti. O anche rispetto ai Normali. — Miri parlò della chiamata di Joan, di Drew Arlen, spiegò di avere visto la propria stringa di ricerca nel sogno lucido e come fosse riuscita a cambiarla.

— È come se le stringhe fossero un modo di pensare, un modo che unisce effettivamente il pensiero associativo e quello lineare, e il sogno lucido fosse un altro genere. Usa… storie. Traendole forse dall’inconscio, nel modo in cui si ritiene che facciano i sogni dei Dormienti. I Dormienti, tuttavia, non hanno strutture di stringhe da combinare alle storie. Non possono… non so! Forse non possono configurare così bene il sogno lucido perché fin dal principio non hanno forme coerenti con cui operare. O forse possono modellare il sogno ma, senza la complessità visualizzata delle stringhe, l’operazione avviene solamente a un livello emotivo. — Miri alzò le spalle. Chi può dire come lavorano le menti dei Dormienti?

— Comunque, il sogno lucido è come rinascere. In un mondo dotato di più dimensioni di questo. Io voglio che tutti voi lo proviate.

Dalla tasca dei pantaloncini Miri estrasse il disco del programma della rappresentazione che preferiva tra quelle di Drew, la seconda. Registrare l’intera serie di sei non era stata una difficoltà, per il programma di Tony, indipendentemente da quello che sosteneva l’olotrasmissione.

Terry Mwakambe aveva attivato uno dei suoi campi di sicurezza impenetrabile attorno al laboratorio di Raoul prima che iniziasse la riunione. Miri inserì il disco nell’oloterminale di Raoul. Voltò le spalle al palco in miniatura: non voleva addormentarsi, non quella volta. Voleva osservare gli altri.

Gli occhi di un ragazzo dopo l’altro si velarono, anche se non si chiusero. La voce musicale di Drew Arlen lambì le loro palpebre, recitando parole, suggerendo idee. I Super sognarono.

Quando tutto fu terminato, si svegliarono quasi simultaneamente. Risero, piansero e parlarono in modo eccitato dei loro sogni: tutti meno Terry, il più modificato a livello genetico, il più diverso. Lui rimase accasciato in un angolo, con la testa piegata in modo tale che tutto ciò che Miri riuscì a vedere furono i capelli.

A un certo punto, nel mezzo delle risate e delle esclamazioni, l’enzima sintetico di Miri stimolò una produzione sufficiente di tre diverse sostanze chimiche cerebrali interdipendenti, atte a mutare la raffinata composizione codificata geneticamente dei fluidi cerebrospinali.

Terry si alzò in piedi. Il suo corpo sottile dalla grossa testa stava fermissimo. Guardò tutti loro con occhi che non tremavano e senza strizzare le palpebre.

Disse: — So come rimuovere gli ultimi programmi protetti dei Laboratorì Sharifi. E so cosa c’è dietro.

24

Il giorno di Capodanno, Leisha camminava lungo il ruscello, sotto i pioppi neri. Una neve leggera scintillava sul terreno. Sollevò lo sguardo per guardare Jordan, senza cappotto, che ansimava avvicinandosi a lei. Le rughe e le pieghe sul suo volto eroso dal sole erano tirate come corde: aveva sessantasette anni.

— Leisha! Il Rifugio si è separato dagli Stati Uniti!

— Sì — fece Leisha senza mostrare sorpresa. Aveva stabilito subito dopo il funerale di Alice che l’intento di Jennifer doveva essere quello. Combinava tutto. Le venne in mente che lei e Kevin Baker erano probabilmente le uniche due persone nella nazione a non essere sorprese. O forse Kevin lo era. Non aveva più parlato con lui dal giorno del funerale di Alice.

Leisha si piegò per raccogliere un sasso: era di un ovale quasi perfetto, levigato dal vento paziente e dall’acqua antica. Sotto le sue dita, il sasso era freddo come il ghiaccio. — Sì — disse a Jordan. — Lo so.

— Be’, non vieni a vedere le olonotizie?

— Non lo facciamo sempre? — rispose Leisha e, per il tono che usò, Jordan la fissò sbalordito.

Il Rifugio fece l’annuncio alle otto del mattino del primo gennaio 2092. La dichiarazione, rilasciata simultaneamente ai cinque olocanali più famosi della nazione, al Presidente e al Congresso degli Stati Uniti, nessuno dei quali era particolarmente attivo a quell’ora del giorno di Capodanno, non era negoziabile.


Quando nel corso degli eventi umani diviene necessario per un popolo sciogliere i legami politici che lo hanno connesso con un altro e assumersi fra i poteri della terra, lo stato di separazione e uguaglianza che le leggi di Dio e della Natura gli garantiscono, un onesto rispetto delle opinioni dell’umanità richiede che esso debba dichiarare i motivi che lo spingono alla separazione.

Noi consideriamo queste verità evidenti a un esame attento: tutti gli uomini non sono creati uguali. Tutti hanno diritto alla vita, alla libertà e al conseguimento della felicità, ma queste cose non devono venire garantite a nessuno a spese della libertà degli altri, del lavoro degli altri, del conseguimento della felicità degli altri. I governi istituiti dagli uomini per assicurare questi diritti debbono trarre il loro giusto potere dal consenso dei governati. Un governo che fallisca sia nel proteggere i diritti di un popolo sia nell’assicurarsi il suo consenso diviene distruttivo rispetto a questi fini, ed è diritto del popolo modificarlo o abbatterlo, istituendo un nuovo governo, che basi la propria fondazione su tali principi e organizzi il proprio potere in forme tali che al popolo sembri massimamente probabile che ciò promuova sicurezza e felicità.

Questo passo non deve essere intrapreso per cause banali o sciocche ma, quando un lungo susseguirsi di abusi e usurpazioni mette in evidenza il disegno di privare un popolo di ciò che è suo per diritto, è suo dovere rigettare un tale governo. La storia del governo attuale degli Stati Uniti è una storia di ripetuti danni e usurpazioni. Per dimostrarlo, lasciamo che siano i fatti a essere sottoposti a un mondo privo di pregiudizi.

Gli Stati Uniti hanno di fatto impedito al Rifugio di essere rappresentato in qualsiasi legislatura o corpo legislativo a causa del dilagante e ignorante odio dei Dormienti verso gli Insonni.

Gli Stati Uniti hanno imposto tasse rovinose al Rifugio, operando così de facto l’emissione di tasse senza la possibilità della rappresentazione e, quindi, prendendo con la minaccia della forza i frutti del lavoro dei cittadini del Rifugio.

In cambio di tali tasse, gli Stati Uniti non hanno fornito alcuna protezione, alcun beneficio sociale, alcuna rappresentazione legale o vantaggi commerciali al Rifugio. Nessun cittadino del Rifugio utilizza strade federali o statali, scuole, biblioteche, ospedali, tribunali, protezione da parte della polizia, protezione da parte dei pompieri, benefici dell’assistenza sociale, intrattenimenti pubblici intesi a far guadagnare la rappresentazione politica tramite voti o un qualsiasi servizio governativo. Quando i cittadini del Rifugio frequentano le istituzioni per diplomarsi negli Stati Uniti, pagano interamente le tasse di iscrizione e le spese, ignorando la pubblica carità.

Gli Stati Uniti hanno eretto barriere commerciali contro le imprese del Rifugio sotto forma di ineguaglianza fiscale e quote commerciali, costringendo il Rifugio a trattare con potenze straniere o altri per operare sempre in condizioni che maltrattano il nostro popolo e consumano le nostre sostanze.

Gli Stati Uniti hanno impedito l’amministrazione della giustizia, rifiutandosi di accettare leggi che conferissero un potere giudiziario allo stesso Rifugio, così che noi siamo deprivati del basilare diritto giuridico di essere giudicati da una giuria di nostri pari.

Infine, gli Stati Uniti hanno usato contro il Rifugio la minaccia di intervento armato, qualora non ci fossimo conformati a tutte queste condizioni immorali e ingiuste, destituendo di fatto il vero governo del Rifugio e muovendo guerra contro di noi.

Per questi motivi noi, rappresentanti del Rifugio, riuniti nel Consiglio Generale, facendo appello al Supremo Giudice del Mondo e affermando la rettitudine delle nostre intenzioni, nel nome dell’autorità del popolo del Rifugio, dichiariamo e rendiamo noto solennemente che questa colonia orbitale è, e ha diritto di essere, uno stato libero e indipendente; che siamo sollevati da qualsiasi alleanza con gli Stati Uniti d’America e che tutte le connessioni politiche fra noi e gli Stati Uniti sono e devono essere sciolte. In qualità di stato libero e indipendente, il Rifugio ha il potere di muovere guerra, stipulare pace, stringere alleanze, stabilire commercio e operare tutti gli altri atti che rientrano nel diritto degli stati indipendenti. Noi del Rifugio dichiariamo inoltre che il nostro primo atto in qualità di stato indipendente sarà quello di rifiutare il giogo del tributo allo straniero sotto forma di tasse rovinose e inique della stima trimestrale per le imprese, imposte ingiustamente il 15 gennaio di questo anno 2092, seguite da altre simili tasse che gli Stati Uniti potrebbero cercare di imporre per la nostra rovina e per il danno il 15 aprile di questo stesso anno.

A sostegno di questa dichiarazione noi, legittimi eletti e rappresentanti del Rifugio, impegniamo le nostre rispettive vite, i nostri beni e il nostro sacro onore.


La copia all’olonotiziario mostrava quattordici firme, capeggiate da un grosso scarabocchio, Jennifer Fatima Sharifi. La scrittura tipica di Jennifer era stata piccola e precisa, ricordava Leisha.

Stella disse: — Lo hanno fatto. Lo hanno fatto sul serio.

Jordan chiese: — Leisha, che accadrà ora?

— Il fisco aspetterà il mancato pagamento delle tasse del 15 gennaio. Se non arriveranno i soldi, istruirà un processo penale contro il Rifugio. Questo significa che avranno il diritto di confiscare fisicamente i beni materiali da trattenere in qualità di garanzia per i soldi che devono avere.

— Confiscare fisicamente il Rifugio? Senza nemmeno un’udienza né niente?

— Il procedimento penale implica come primo atto la confisca, come secondo il processo. È il motivo per cui, probabilmente, Jennifer ha scelto questo modo di agire. Tutti si dovranno muovere molto in fretta. Metà del Congresso è via in vacanza. — Leisha notò quanto sembrasse distaccata, quanto sembrasse calma. Quanto sorprendente.

Stella chiese: — Ma confiscare il Rifugio… come, Leisha? Con l’esercito? Un assalto?

Jordan ipotizzò: — Potrebbero farlo saltare in aria con un singolo missile Truth.

— Ma non lo faranno — ribatté Stella — perché questo distruggerebbe proprio quelle proprietà che il fisco vuole tentare di confiscare. Dovrà esserci un’invasione. Ma sarebbe altrettanto difficile sul Rifugio… gli ambienti orbitali sono fragili. Leisha, che diavolo sta macchinando Jennifer?

— Non lo so — rispose Leisha. — Guarda le firme. Richard Anthony Keller Sharifi, Najla Sharifi Johnson, Hermione Wells Keller: i figli di Richard si sono sposati. Non penso che Richard lo sappia.

Stella e Jordan si scambiarono un’occhiata. — Leisha — fece Stella con il suo tipico tono acido — non ti sembra che ci sia in ballo di più che qualche notizia di famiglia? È una guerra civile! Jennifer è finalmente riuscita a separare virtualmente tutti gli Insonni dal resto del paese, dal corpo principale della società americana.

— E mi vorresti dire — chiese Leisha sorridendo senza mostrare alcun divertimento — che noi dodici seduti qui in questa tenuta dimenticata nel deserto non abbiamo fatto esattamente la stessa cosa?

Nessuno degli altri le rispose.

— Pensi che il Rifugio sia all’altezza degli Stati Uniti? — chiese Stella alla fine.

— Non so — rispose Leisha, e Stella e Jordan si lanciarono un’altra occhiata sbalordita. — Non sono la persona giusta a cui chiedere. In tutta la mia vita non sono mai riuscita a dire la cosa giusta su Jennifer Sharifi.

— Ma, Leisha…

— Vado giù al ruscello — li interruppe Leisha. — Chiamatemi, se scendiamo in guerra.

Lasciò Stella e Jordan a fissarsi a vicenda, sconcertati e arrabbiati con lei, incapaci di vedere la differenza fra criminale indifferenza e quella che, per Leisha, era una cosa ancora peggiore: criminale inutilità.


Fin dall’inizio, il Congresso degli Stati Uniti prese molto seriamente la minaccia di secessione del Rifugio. Era degli Tnsonni. I senatori e gli uomini del congresso, sparpagliatisi nelle varie circoscrizioni elettorali per le vacanze invernali, si riunirono velocemente a Washington. Il Presidente Calvin John Meyerhoff, un uomo massiccio che si muoveva lentamente ribattezzato dai notiziari "Silente Cal II", nonostante tutto possedeva un cervello raffinato, sintonizzato finemente sulla politica estera. Se Mayerhoff aveva trovato ironico che la più importante crisi estera del suo primo mandato in scadenza coinvolgesse una sezione degli Stati Uniti che faceva tecnicamente parte della contea di Cattaraugus nello stato di New York, l’ironia non era presente in alcuna delle dichiarazioni alla stampa emesse dall’Ufficio Ovale.

Gli olonotiziari dei Vivi, tuttavia, trovarono la minaccia del Rifugio istericamente buffa, ottimo materiale per i siparietti comici di due minuti che rappresentavano la forma preferita di intrattenimento. Pochi Vivi avevano mai sentito parlare o conosciuto qualche Insonne o avevano avuto a che fare con loro, i cui rapporti si svolgevano principalmente con la classe dei Muli che curava gli affari che mandavano avanti la nazione. Un olocanale di Vivi fece allegramente la previsione: — Prossimi alla secessione: Oregon! La storia segreta! — La scenetta venne recitata da oloattori dalle palpebre sigillate che si trovavano in centro a Portland, farneticando che era necessario per il popolo dell’Oregon "sciogliere i legami politici che lo connettevano con un altro popolo". Striscioni con la scritta OREGON LIBERO comparvero improvvisamente alle corse degli scooter, alle narcofeste, nelle sale da ballo pubbliche. Un corridore di nome Kimberly Sands vinse la corsa invernale di Belmont su uno scooter con la bandiera dell’Oregon sovrapposta a quella degli Stati Uniti.

Il tre gennaio la Casa Bianca pubblicò un annuncio in cui si diceva che, in effetti, il Rifugio aveva fatto una dichiarazione sediziosa e terroristica, arrogandosi un proprio "potere di scendere in guerra" e cospirando quindi al rovesciamento del governo degli Stati Uniti, visto che apparteneva a un distretto dello stato di New York. Né la sedizione né il terrorismo potevano essere tollerati in una libera democrazia. La Guardia Nazionale fu messa in stato di allerta. Al Rifugio venne annunciato, in una dichiarazione consegnata anche alla stampa, che il 10 gennaio una delegazione formata sia da membri del Dipartimento di stato sia del fisco, un’accoppiata vista raramente in precedenza nella diplomazia americana, avrebbe attraccato al Rifugio "per discutere della situazione".

Il Rifugio rispose che, se qualsiasi navetta o altro vascello spaziale si fosse avvicinato alla stazione orbitale, il Rifugio avrebbe aperto il fuoco.

Il Congresso si riunì in seduta straordinaria. Il fisco emise un atto di confisca contro tutti i beni in possesso del Rifugio Spa e dei suoi principali azionisti, la famiglia Sharifi. I tabloid, più interessati all’aspetto drammatico che alla procedura fiscale federale, schiamazzarono che il fisco avrebbe venduto il Rifugio all’asta per recuperare le tasse e la multa: "Qualcuno vorrebbe comperare uno shuttle usato? Un pannello orbitale leggermente corroso? L’Oregon?". CNF, "il Canale Narco-Feste", tenne una finta asta in cui l’Oregon fu conquistato da una coppia di Monterey, in California, che annunciò che il Parco nazionale di Crater Lake aveva intenzione di staccarsi dall’Oregon.

L’otto gennaio, due giorni prima che il Rifugio dovesse ricevere la delegazione federale, il "New York Times" divisione olonotiziari, in collaborazione con il suo venerabile giornale da Muli, trasmise un editoriale dal titolo "Perché tenersi l’Oregon?". La versione olovisiva venne letta in tutte e sei le olotrasmissioni settimanali dall’anchorman principale; la versione in copia cartacea fu pubblicata da sola al centro della pagina dell’editoriale.

PERCHÉ TENERSI L’OREGON?

Nella scorsa settimana al paese è stata posta sia una seria minaccia di secessione da parte del Rifugio, la fortezza degli Insonni americani, sia una specie di imitazione farsesca a opera delle cosiddette olotrasmissioni tabloid. Le parodie possono, a seconda del gusto, essere divertenti, volgari, avvilenti od ordinane. Questa, tuttavia, incentrandosi come fa sull’allegro movimento "Oregon Libero" serve effettivamente come utile spunto per aiutare a capire la natura della minaccia proveniente dal Rifugio.

Supponiamo che fosse l’Oregon a cercare di staccarsi dall’Unione. Supponiamo ulteriormente che una persona riflessiva e obbiettiva, presumendo che ne siano rimaste nella generale baraonda dei Vivi, desiderasse portare avanti una discussione genuina e pensata contro il diritto dell’Oregon a farlo. In che cosa consisterebbero gli argomenti?

Il primo punto da notare è che tali argomentazioni dovrebbero partire da un parallelo con la Rivoluzione Americana, non con la Guerra Civile, in cui undici stati confederati cercarono di staccarsi dall’Unione. In effetti, in tutto il divertimento che irresponsabili olotrasmissioni stanno traendo dall’argomento, non ricordiamo di avere sentito un singolo riferimento a Fort Sumter o a Jeff Davis. Il parallelo con la Rivoluzione è implicato nel linguaggio preso in prestito dalla cosiddetta Dichiarazione di Indipendenza del Rifugio. Il Rifugio si considera chiaramente una colonia oppressa, proprio come le originali tredici colonie americane, e una riflessiva confutazione del documento del Rifugio dovrebbe partire con l’esame di questo parallelo.

Il parallelo non è molto convincente. Il nostro primo argomento contro il permesso all’Oregon o al Rifugio di secessione è quello di non contestualità. Il caso non presenta prove sufficienti per autorizzare una decisione seria, perché i paralleli fra il 1776 e il 2092 sono molto deboli. Le colonie americane erano costrette a sottostare a una legge straniera senza avere rappresentanti, avevano soldati stranieri piazzati fra loro, e uno stato di seconda classe rispetto a un paese madre di prima classe. Nel Rifugio, invece, non sono entrati ufficiali federali dopo l’ispezione iniziale avvenuta trentasei anni fa. Il Rifugio è rappresentato nella legislatura dello stato di New York, nel Congresso federale e nella persona del Presidente, il tutto tramite le schede di votazione per assenti, che i residenti del Rifugio ricevono di fatto per ogni elezione e che non vengono mai, secondo fonti attendibili, rispedite indietro.

È vero che il Rifugio è tassato molto gravosamente nel nuovo pacchetto fiscale approvato lo scorso ottobre dal Congresso. Il Rifugio è tuttavia l’entità più ricca non soltanto degli Stati Uniti ma del mondo intero. Una tassazione per fasce è corretta. A differenza delle colonie americane, il Rifugio non rappresenta uno stato economico di seconda classe o sfruttato, nel mondo. Se l’intera realtà economica potesse mai essere evidenziata da documentazioni sugli investimenti in tutto il mondo, è probabile che ne verrebbe fuori che il Rifugio gode di maggiore status finanziario nell’economia globale rispetto agli Stati Uniti: di certo, i suoi collegamenti internazionali sono più importanti. Potremmo scoprire che il Rifugio ha effettivamente più possibilità di sfruttare che non di essere sfruttato. Di certo, il deficit annuale del Rifugio, sempre che esista, è minore di quello del governo degli Stati Uniti. È come se l’Oregon avesse deciso che, essendo sia il suo uso dei servizi federali e sia il suo pagamento di tasse federali inferiori a quelli, per esempio, del Texas, potesse staccarsi. Sbagliato.

No: secondo i criteri dell’originale Dichiarazione di Indipendenza, sia l’Oregon sia il Rifugio devono rimanere nell’unione.

Un altro motivo per mantenere l’Oregon è la negatività del precedente. Se l’Oregon si staccasse, perché non la California? Perché non la Florida? Perché non Harrisburg in Pennsylvania? La balcanizzazione dell’Unione è stata appianata nell’altro conflitto di 225 anni fa, il conflitto che il Rifugio si premura bene di non menzionare nel proprio documento di secessione.

Terzo: l’Oregon non si può staccare per la motivazione di violata relazione. È tramite le risorse degli Stati Uniti, inclusi gli sforzi dei cittadini di questa confederazione, che l’Oregon è stato colonizzato, portato alla prosperità economica, messo in grado di divenire il centro del commercio delle pelli nel Diciannovesimo secolo e della produzione di strumenti di comunicazione di classe E nel Ventunesimo. L’Oregon deve onorare quella relazione reciproca anche se ne è stanco, proprio come un ragazzo che è stato mantenuto alla scuola di legge dai genitori, rispettando l’Atto dei diritti civili del 2048, deve offrire sostegno ai genitori invecchiati con la cifra necessaria a consentire lo stesso standard di vita di cui ha goduto alla scuola di legge. Non li può abbandonare semplicemente perché adesso ha maggior successo rispetto a loro. Non può staccarsi dalla relazione che l’ha inserito nella sua attuale invidiabile posizione. Nemmeno l’Oregon potrebbe.

Per finire, all’Oregon non deve essere concesso di staccarsi perché la cosa è semplicemente e definitivamente illegale. Sfida alla sovranità degli Stati Uniti, rifiuto di pagare le tasse, minaccia di mantenere l’indipendenza tramite aggressione: sono tutte cose fuori legge per il Codice del diritto degli Stati Uniti. Per l’Oregon tentare la secessione è un atto illegale: accordargli il permesso di farlo sarebbe uno schiaffo in faccia a ogni cittadino, ogni stato, ogni ente organizzativo della nazione rispettoso della legge.

Perché tenersi l’Oregon? Per motivi di non contestualità, negatività del precedente, violata relazione e legalità.

E ciò che vale per l’Oregon vale anche per il Rifugio.

Indipendentemente da chi vi viva.


Drew arrivò alla tenuta del Nuovo Messico la sera del sei gennaio. La giornata era stata insolitamente fredda: si era avvolto una sciarpa rossa attorno alla gola e si era appoggiato una coperta in tinta sulle gambe. Entrambe erano di finissima lana irlandese, notò Leisha. Drew indirizzò la carrozzella attraverso la grande sala da pranzo aperta, studiata in modo tale da fornire un luogo per riunire settantacinque persone e che, peraltro non ne accoglieva mai più di dieci o dodici. La figlia maggiore di Jordan, Alicia, era tornata in California con la famiglia, Eric si trovava in Sudamerica, Seth e sua moglie a Chicago. Leisha si accorse che Drew era cambiato ancora una volta.

La stridente vistosità dell’artista di nuovo successo, un po’ troppo sicuro di sé, si era attenuata. Il successo aveva di quegli effetti. Guardandola in volto, salutandola, lo sguardo di Drew si mostrava aperto ma in nessun modo bisognoso, nemmeno di attenzione. Adesso lui era sicuro di ciò che era, senza bisogno di una conferma da parte di Leisha: tuttavia non la ignorò, come fosse un essere automaticamente meno interessante di lui, nel modo in cui facevano così tante celebrità. Drew guardava ancora il mondo come se volesse strenuamente essere interessato, con l’aggiunta di una debole e sorridente espressione di sfida che comunicava che l’interesse continuato doveva essere guadagnato.

Era lo sguardo che Leisha aveva sempre ricordato come caratteristico di suo padre.

— Ho pensato di venire a casa — disse Drew — nell’eventualità che questa situazione politica dovesse farsi tesa.

— Pensi che non succederà? — chiese seccamente Leisha. — Ma, in fondo, non hai mai conosciuto Jennifer Sharifi.

— No. Ma tu sì, Leisha: dimmi. Che cosa succederà al Rifugio?

Nel modo in cui Drew pronunciò la parola "Rifugio" lei avvertì tutta la sua antica ossessione. Che cosa ci faceva con quell’ossessione infantile ormai, nella sua strana professione da adulto? Forse il Rifugio, trasformato nelle forme del desiderio, alimentava il suo sogno lucido?

Leisha disse: — I militari non faranno saltare in aria il Rifugio, se è quello che intendi dire. Ci sono civili, lassù, anche se terroristi civili, e circa un quarto di loro sono bambini. Qualsiasi arma posseggano può essere letale, ma Jennifer ha sempre avuto troppo acume politico per attraversare la linea oltre la quale avrebbe scatenato rappresaglie molto dure.

— Le persone cambiano — ribatté Drew.

— Forse. Ma anche se l’ossessione avesse eroso il giudizio di Jennifer, lassù ci sono altri che le si possono opporre. Un abilissimo avvocato, Will Sandaleros, Cassie Blumenthal e, ovviamente, i suoi figli devono ormai avere superato la quarantina.

Improvvisamente, Leisha ricordò che Richard le aveva detto, quaranta anni prima: "Si diventa diversi, isolati soltanto con Insonni per decenni…".

Drew le annunciò, guardandola: — Anche Richard è qui.

— Richard?

— Con Ada e il bambino. Stella si stava occupando di loro, quando sono arrivato. Pare che Sean abbia una specie di influenza. Sembri sorpresa che Richard si trovi qui, Leisha.

— Lo sono. — Lei sogghignò improvvisamente. — Hai ragione, Drew, le persone cambiano. Non pensi che sia buffo?

— Non ho mai pensato che tu avessi un gran senso dell’umorismo, Leisha. Con tutte le altre tue magnifiche qualità, non ho mai sospettato che avessi anche questa.

Lei rispose in modo tagliente: — Non cercare di stuzzicarmi, Drew.

— Non lo stavo facendo — la rassicurò Drew, e lei si accorse, dal piccolo sorriso di lui, che parlava sul serio: non aveva mai pensato che lei avesse un gran senso dell’umorismo. Be’, forse il loro concetto di umorismo era molto diverso. Così come molte altre cose.

Entrò Richard, da solo. Fu molto diretto. — Salve, Leisha. Drew. Spero che non ti dispiaccia la visita non annunciata. Ho pensato…

Leisha terminò la frase per lui. — Che se Najla o Ricky avessero avuto qualcosa da comunicarti lo avrebbero fatto tramite me? Richard, caro. Penso che Kevin sarebbe una scelta più probabile. Il Rifugio ha contatti con lui.

— No. Non userebbero Kevin — rispose Richard, e Leisha non gli chiese come facesse a saperlo. — Leisha, che cosa succederà al Rifugio?

Tutti lo chiedevano a lei. Tutti presumevano che fosse lei l’esperta in politica. Lei che era stata seduta, "imbronciata" aveva detto Susan Melling, per trent’anni in ozio nel deserto. Che cosa c’era nella mente delle persone, anche di quelle del suo giro? — Non so, Richard. Tu cosa pensi che farà Jennifer?

Richard non la guardò. — Penso che farebbe saltare per aria il mondo se pensasse che la cosa la facesse sentire finalmente al sicuro.

— Vuoi dire… Sai che cosa stai dicendo, Richard? Che tutta la filosofia politica del Rifugio continua a dipendere dai bisogni personali di una singola persona. Lo credi?

— Lo credo di tutte le filosofie politiche — rispose Richard.

— No — commentò Leisha — non tutte.

— Sì — e non fu Richard a ribattere, ma Drew.

— La Costituzione no — disse Leisha, sorprendendo anche se stessa.

— Staremo a vedere — replicò Drew e lisciò la fine e costosa lana irlandese sopra le gambe avvizzite.


Il Rifugio, privo di giorno e notte, privo di stagioni, aveva sempre mantenuto l’ora standard della costa orientale. Quel fatto, familiare per Jennifer come la sensazione del sangue che le scorreva nelle vene, le apparve improvvisamente grottesco. Il Rifugio, asilo e patria degli Insonni, i pionieri nel futuro stadio dell’evoluzione umana, era stato legato per tutti quegli anni ai logori Stati Uniti con la più basilare delle catene create dall’uomo, il tempo. A capo del tavolo del Consiglio del Rifugio alle sei di sera (ora della costa orientale), Jennifer stabilì che, quando la crisi fosse passata, quelle catene sarebbero state infrante. Il Rifugio avrebbe studiato un proprio sistema di misurazione del tempo, libero dall’idea basata sul pianeta di giorno e notte, libera dai degradanti ritmi circadiani che legavano i Dormienti. Il Rifugio avrebbe conquistato il tempo.

— Ora — disse Will Sandaleros. — Fuoco.

Nessuno nel Consiglio era seduto: stavano tutti in piedi, con i palmi delle mani appoggiati sul lucido tavolo in metallo o serrati sui fianchi, con gli occhi rivolti agli schermi posti a un’estremità della sala. Jennifer esaminò ogni volto: eccitato, determinato o addolorato. Tuttavia, i pochi che erano addolorati erano anche risoluti, contraddistinti dal dolore che accetta la necessità dell’operazione chirurgica. Aveva fatto sostituire il sistema a estrazione con le elezioni: soltanto per quello le era occorso quasi un decennio. Aveva poi manovrato a lungo per riuscire ad avere quel Consiglio in particolare. Aveva spinto persone a ritardare la candidatura a volte per decenni. Aveva dato un briciolo di sostegno qui, un briciolo di scoraggiamento lì. Aveva riflettuto, contrattato, sondato, aspettato, accettato ritardi e indecisioni. Ora però aveva un Consiglio, tutti meno uno, capace di sostenerla nel momento decisivo per gli Insonni di ogni luogo, di ogni tempo, per come veniva definito il tempo dalla nazione erosa che aveva cessato di essere importante per l’evoluzione umana.

Robert Dey, settantacinque anni, il rispettato patriarca di una grande e ricca famiglia del Rifugio che aveva tramandato a tutti, per decenni, racconti della sua infanzia su Insonni maltrattati e odiati negli Stati Uniti.

Caroline Renleigh, ventotto anni, brillante esperta in comunicazione con un credo fanatico nella superiorità darwiniana degli Insonni.

Cassie Blumenthal, con Jennifer fin dai primi giorni del Rifugio e strumentale negli eventi che avevano condotto al processo di Jennifer, eventi considerati storia antica al Rifugio ma ancora molto reali nella mente tenace di Cassie.

Paul Aleone, quarantun anni, economo-matematico che non soltanto aveva predetto il collasso dell’economia americana basata sull’energia-Y quando fossero scaduti i brevetti internazionali, ma che aveva creato anche un programma che prediceva esattamente i passati dieci anni di follia e di raggiri propagandistici, anche quando gli Stati Uniti cercavano di negare che la loro chimera di illusoria prosperità in effetti era volata via. Aleone aveva studiato il futuro economico del Rifugio come stato indipendente in affari con altri stati indipendenti più prudenti che non gli Stati Uniti.

John Wong, quarantacinque anni, avvocato oltre che giudice d’appello del sistema giuridico raramente usato dal Rifugio, orgoglioso del fatto che gli Insonni, eccetto che per comuni interpretazioni contrattuali vi ricorressero raramente. C’erano poca violenza, poco vandalismo e ancora meno furti nel Rifugio. Ma Wong, da storico, comprendeva il potere della giustizia fra persone rispettose della legge nei periodi di controversi cambiamenti e credeva nel cambiamento.

Charles Stauffer, cinquantré anni, capo della sicurezza esterna del Rifugio, come tutti i buoni soldati era costantemente preparato per un attacco, costantemente pronto a giustificare i propri preparativi. Il passo non era molto lungo dalla preparazione all’attuazione, dalla prontezza alla bramosia.

Barbara Barcheski, sessantatré anni, silenzioso e riflessivo capo di una ditta che si occupava di preparare statistiche informative per le società. Per lungo tempo, Jennifer non era stata sicura della Barcheski. Era studentessa di sistemi politici e, nel corso dei decenni, era arrivata a credere che l’illimitato progresso tecnologico e la lealtà alla comunità fossero fondamentalmente incompatibili, premessa che sosteneva in modo deciso tramite studi sui flussi delle società, dalla Venezia rinascimentale alla rivoluzione industriale, fino alle prime utopie orbitali. Lo studio di un paradosso, Jennifer lo sapeva bene, conduceva quasi inevitabilmente a un giudizio, ma non necessariamente a un giudizio negativo. Lei aspettò. Alla fine, Barbara Barcheski giunse a crearsi una mentalità metodica: quando una società deve scegliere, la lealtà alla comunità ha sempre le migliori probabilità di sopravvivenza, a lungo termine, rispetto perfino al progresso tecnologico. Barbara Barcheski amava il Rifugio. Sosteneva Jennifer.

Dottor Raymond Toliveri, sessantun anni, il brillante capo ricercatore dei Laboratori Sharifi. Jennifer non aveva mai messo in dubbio il suo appoggio per quel progetto: lo aveva creato lui. Il difficile era stato riuscire a fare eleggere Toliveri nel Consiglio, perché la sua frenetica agenda di lavoro lo rendeva un virtuale recluso. A Jennifer era occorso molto tempo.

C’erano poi Will Sandaleros, Najla e suo marito Lars Johnson ed Hermione Sharifi. Tutti stavano eretti e fieri, conoscendo fino in fondo le conseguenze di quello che stavano per fare e accettando quelle conseguenze senza cercare di eluderle, senza debolezza, senza crearsi scusanti.

Soltanto Ricky stava in piedi sostenendosi alla parete opposta della cupola del Consiglio, lo sguardo fisso a terra, le braccia incrociate sul petto. Hermione, notò Jennifer, non guardava il marito. Dovevano avere discusso su quel fatto ed era Hermione, soltanto la nuora di Jennifer, non il figlio genetico, che sosteneva la parte della giustizia. Una complessa emozione si accese in Jennifer, rabbia, dolore e angosciante senso di colpa materno, ma la allontanò. Non c’era più tempo per i fallimenti di Ricky. Era arrivato il momento del Rifugio.

— Ora — disse Will — fuoco. — E attivò le reti di comunicazione di tutto il Rifugio, videotelefoni e olopalchi interni, altoparlanti esterni. Jennifer lisciò le pieghe della sua abbaya bianca e avanzò di un passo.

— Cittadini del Rifugio. Qui è Jennifer Sharifi che vi parla dalla cupola del Consiglio, dove il Consiglio del Rifugio è riunito in seduta di emergenza assoluta. Gli Stati Uniti hanno risposto alla nostra Dichiarazione di Indipendenza come ci aspettavamo, con l’annuncio di un’invasione da parte di Dormienti domani mattina. Non bisogna permettere che ciò accada. Concedere alla delegazione di attraccare al Rifugio significherebbe permettere un negoziato quando non esiste spazio per un negoziato, segnalerebbe una scarsa risoluzione quando noi siamo risoluti, consentirebbe la possibilità di una punizione economica e giuridica quando noi siamo nel giusto a livello morale ed evolutivo. La delegazione non deve attraccare al Rifugio.

"Ma cercare di fermare i mendicanti con la forza potrebbe metterli in pericolo e danneggiarli. Questo invierebbe agli Stati Uniti un’indicazione fallace. Gli Insonni non attaccano se non c’è stato prima un attacco. Comprendiamo l’autodifesa e ne accettiamo la necessità, ma non vogliamo la guerra. Vogliamo essere lasciati in pace, essere messi in condizione di realizzare, a nostro modo, le vite, la libertà e il conseguimento della felicità, cose dateci dal nostro lavoro che, fino a ora, ci sono state negate.

"No, il massimo che possiamo fare per fermare i mendicanti è dar loro una dimostrazione di forza che non useremo, a meno che non siamo costretti a farlo per nostra difesa. Per questo motivo, la seguente dimostrazione, voluta dall’autorità di tutti i membri del Consiglio del Rifugio, verrà trasmessa simultaneamente a tutti i più importanti olocanali degli Stati Uniti, sovrapponendosi alle loro trasmissioni in corso."

Caroline Renleigh digitò dei codici sulla propria console. Will Sandaleros parlò su una linea protetta alla sicurezza interna del Rifugio, un gruppo usato così di rado che la maggior parte delle persone ne aveva dimenticato l’esistenza e che aveva permesso a Will di avere carta bianca sul suo potenziamento. Su ogni linea di comunicazione del Rifugio e su ogni linea di comunicazione terrestre sintonizzata sui cinque canali attendibili dei Muli apparve l’immagine dell’habitat in rovina che il Rifugio aveva acquistato dai giapponesi, la stazione orbitale Kagura, nome che significava "musica divina".

La voce di Jennifer parlò sopra l’immagine. — È il Consiglio del Rifugio che parla. Il governo degli Stati Uniti ha annunciato un’invasione al Rifugio per domani mattina, sotto forma di una cosiddetta delegazione rappacificatrice. Ma non può esistere vera pace dove esista coercizione fisica ed economica. Non abbiamo accettato di accogliere la delegazione. Siamo persone che amano la pace, che desiderano essere lasciate in pace. Se gli Stati Uniti non onoreranno questo desiderio, lanceranno, di fatto, il primo attacco. Non permetteremo che il Rifugio venga attaccato.

"Allo scopo di effettuare un atto di deterrenza nei confronti di questo attacco, e come dimostrazione della strada che siamo disposti a percorrere per proteggere la nostra casa, il Rifugio offre la seguente dimostrazione. La stampa degli Stati Uniti ha speculato a lungo su quali armi il Rifugio avrebbe potuto creare per difendersi. Non vogliamo che resti una domanda speculativa. Non vogliamo che la nostra secessione dagli Stati Uniti sia imbrattata dall’accusa di avere mantenuto segrete informazioni vitali. Noi vogliamo evitare la guerra, mostrando quanto sarebbe terribile una simile guerra.

"Questa è la stazione orbitale Kagura, posseduta ora dal Rifugio. Non sono rimasti esseri umani sulla stazione. Vi sono restati alcuni animali: animali domestici, insetti usati per l’impollinazione, uccelli e rettili utilizzati per l’equilibrio ecologico e svariati roditori."

Ogni olopalco e ogni schermo mostrò l’interno di Kagura, prima con una lunga panoramica, quindi in primi piani di brucanti caprucche e bivacche. I giapponesi avevano minori restrizioni sull’ingegneria genetica rispetto agli Stati Uniti: il bestiame da carne era grosso, lento, polposo, tranquillo e stupido. Le telecamere robot seguirono il volo di un uccello, la corsa di un insetto su una foglia.

— In un singolo pacchetto nascosto su questa stazione orbitale c’è un organismo sviluppato da ingegneri genetici del Rifugio. È trasmesso via aria. Il suo codice genetico prevede un’autodistruzione dopo settantadue ore dal momento del rilascio. Questo pacchetto ora verrà aperto con un comando a distanza dal Rifugio.

L’immagine della stazione orbitale non mostrò cambiamenti in luce o suoni. Una dolce brezza creata dall’apparecchiatura di mantenimento fece staccare qualche foglia. Gli animali da carne le mangiarono, una bivacca fece roteare gli occhi. Produsse un singolo suono angoscioso e dolente e si accasciò.

Gli uccelli caddero dal cielo. Il ronzio degli insetti cessò. Nel giro di due minuti nulla si mosse più eccetto le foglie che frusciavano nella brezza letale.

La voce di Jennifer disse pacatamente: — La stazione orbitale Kagura è aperta a qualsiasi spedizione scientifica volesse verificare questo fenomeno. Indossate tute anticontaminazione complete, se arriverete prima che siano trascorse le settantadue ore, ed esercitate la massima prudenza. Vi consiglieremmo di aspettare dopo quel periodo di tempo.

"Ci sono simili pacchetti, in copia plurima, nelle città di New York, Washington, Chicago e Los Angeles.

"Non tentate di fare attraccare al Rifugio una qualsiasi delegazione, domani, o di sparare contro il Rifugio stesso. Se lo farete, ci riterremo giustificati nell’effettuare una ritorsione. La ritorsione avverrà sotto forma di ciò che avete appena visto.

"Noi del Rifugio vi lasciamo con una riflessione di uno dei più grandi dei vostri statisti, Thomas Paine: ’Combattiamo non per schiavizzare, ma per liberare un paese e per creare per gli uomini onesti uno spazio in cui vivere’."

Caroline Renleigh chiuse la trasmissione.

Gli schermi del Consiglio si riempirono di scene provenienti dall’interno del Rifugio. La gente affluiva nel parco centrale in cui venivano tenuti i discorsi per il giorno del Ricordo. Sulle piante in crescita non erano state stese le coperture a griglia, e Jennifer, osservando attentamente, pensò che fosse un ottimo segno che nessuno le calpestasse. Il suo popolo era infuriato, non distruttivo. Guardò di volto in volto per catalogare il genere di rabbia.

Nessuno al Rifugio era stato informato della dimostrazione all’orbitale Kagura eccetto i membri del Consiglio che avevano votato a favore, gli studenti diplomandi attentamente scelti che avevano piazzato i pacchetti sulla Terra e l’altrettanto attentamente selezionata forza di sicurezza di Will Sandaleros. Il mantenimento della segretezza aveva costituito una dura lotta per Jennifer. I consiglieri eletti, fieramente impegnati con la loro comunità, avevano voluto discutere dell’arma con gli altri membri. Jennifer aveva evocato il proprio processo, quando qualcuno nel vecchio Rifugio della contea di Cattaraugus, qualcuno di mai identificato, aveva inviato il Giuramento del Rifugio a Leisha Camden, prima che il Consiglio fosse stato pronto a divulgarlo. La stessa cosa poteva succedere di nuovo. E Richard Keller — Najla aveva fieramente guardato fuori dalla finestra, Ricky i propri piedi — aveva riportato informazioni riguardanti le loro operazioni a quella stessa Leisha Camden, mettendo tutti in pericolo. La stessa cosa poteva succedere di nuovo. Il Consiglio alla fine aveva accettato la segretezza con riluttanza.

— Il Rifugio non è una macchina militare! — gridò un volto nel videotelefono. Era Douglas Wagner, uno dei coloni originali, in gioventù pacifista attivista, Aveva formidabili doti di organizzazione: poteva risultare molto potente.

Will disse: — Lo farò sequestrare e gli parlerò personalmente in seguito.

— Prendilo senza fare rumore — raccomandò Jennifer a voce così bassa che nessuno oltre Will riuscì a udirla. — Non creare un punto di aggregazione. — La donna cercò di guardare tutti gli schermi contemporaneamente.

— Avreste dovuto dircelo! — gridò una donna, — In che cosa è diverso il Rifugio dalla società dei mendicanti se le decisioni vengono prese per noi, su di noi, senza che ne siamo a conoscenza e senza il nostro consenso? Non siamo dipendenti e non siamo assassini! Questo non faceva parte del piano di indipendenza che ci era stato comunicato! — Una piccola folla si radunò per ascoltare la donna.

— La conosco — fece la consigliera Barcheski. - Will, falla portare qui in una sala riunioni. Le parlerò io.

Un volto sulla linea di sicurezza di Will annunciò: — Tutto tranquillo nella sezione B, Will. La gente sembra essere concorde sul fatto che la dimostrazione fosse necessaria, anche se di cattivo gusto.

— Bene — rispose Will.

Il consigliere Dey disse: — Ecco che arrivano.

Un gruppo di cittadini stava avanzando con decisione verso la cupola del Consiglio che era stata resa opaca. Lo schermo della sorveglianza mostrò i cittadini che tiravano la maniglia, tentavano nuovamente e si rendevano conto che la cupola era stata serrata. Una voce computerizzata disse dolcemente: — Il Consiglio gradisce udire tutte le vostre opinioni sulla controversa dimostrazione di forza del Rifugio, ma in questo preciso istante ci dobbiamo concentrare sulle reazioni provenienti dalla Terra. Per cortesia, tornate più tardi. — Gli Insonni si guardarono a vicenda: indignazione. Rassegnazione. Rabbia. Paura. Jennifer studiò i loro volti.

Dopo dieci minuti di chiassose proteste si allontanarono.

Cominciarono le trasmissioni dalla Terra.

— …minaccia terroristica senza precedenti da parte di un gruppo da lungo tempo sospettato da molti osservatori di non essere soltanto sleale ma anche pericoloso…

— Crisi improvvisa nella situazione di stallo fra la stazione orbitale del Rifugio e il governo degli Stati Uniti da cui sta cercando di staccarsi…

— …tremende scene di panico nelle quattro città apparentemente minate dai virus letali, anche se le fonti ufficiali…

— …un errore credere che, solo perché è stata fatta una minaccia, esista effettivamente la capacità di metterla in atto. L’esperto americano di modificazioni genetiche dottor Stanley Kassenbaum è qui con noi per…

— Signore e signori, il Presidente degli Stati Uniti!

Gli olocanali dei Muli erano veloci. Jennifer gliene diede atto. Si chiese se gli altri olocanali avrebbero continuato con le loro idiote battute sull’Oregon.

Il Presidente Meyerhoff parlò con la sua voce lenta, ricca e rassicurante, rassicurante in parte perché veniva udita così di rado da avere assunto il valore del bene di lusso difficilmente reperibile, come i diamanti naturali di tre carati.

— Amici americani, come la maggior parte di voi sa, gli Stati Uniti hanno ricevuto una minaccia terroristica dalla stazione orbitale del Rifugio. I terroristi rivendicano la capacità di provocare gravi danni a quattro delle più grandi città americane con virus illegali modificati geneticamente. Minacciano di rilasciare questi virus se la delegazione federale in programma cercherà di attraccare domani al Rifugio. La situazione è intollerabile per svariati motivi. La condotta politica degli Stati Uniti, da sempre, è stata quella di non contrattare mai con i terroristi, in nessun caso. Nello stesso tempo, tuttavia, clausola fondamentale deve essere la sicurezza e il benessere dei nostri cittadini, questo non è mai negoziabile.

"Ai cittadini di New York e Chicago, di Washington e Los Angeles dico: non fatevi prendere dal panico. Non lasciate le vostre case. Gli Stati Uniti non permetteranno alcuna azione che metta in pericolo la vostra sicurezza. Proprio mentre vi parlo, squadre esperte formate da specialisti di guerra batteriologica stanno garantendo la sicurezza nelle nostre città. Proprio mentre vi parlo, ogni possibile attenzione viene data a questa minaccia intollerabile e codarda. Ripeto: la cosa migliore che potete fare è rimanere nelle vostre case…"

Gli olocanali continuavano a mostrare gente che lottava per lasciare Washington, Chicago, New York e Los Angeles. Le aeromobili fluttuavano sopra il terreno; le supercarrozze ferroviarie erano stipate; le automobili intasavano le autostrade.

La trasmissione della Casa Bianca non rispose mai direttamente alla domanda: la delegazione tenterà di attraccare al Rifugio domani mattina?

— Tengono aperte tutte le possibilità — disse il consigliere Dey con espressione cupa. — È un errore.

— Sono Dormienti — commentò con disprezzo il consigliere Aleone. Tuttavia, aveva il fiato corto.

Un’ora dopo la dimostrazione alla stazione orbitale Kagura, il Rifugio ricevette una comunicazione mirata, di forte potenza, dalla Casa Bianca che ordinava l’immediata consegna di ogni arma illegale, inclusa la presunta criminale arma batteriologica. Il Rifugio inviò in risposta una citazione da Patrick Henry, conosciuta perfino da alcuni Vivi: "Datemi la libertà oppure…".

Due ore dopo la dimostrazione il Rifugio inviò un’altra trasmissione convenzionale multicanale, solo audio. Essa annunciava che i pacchetti contenenti il letale virus modificato geneticamente non erano nascosti a Washington, Los Angeles e Chicago e New York ma a Washington, Dallas, New Orleans e St. Louis.

La gente cominciò a fuggire da St. Louis e a rivoltarsi a New Orleans. L’evacuazione non rallentò a Chicago, New York e Los Angeles.

Una donna isterica di Atlanta riportò che i piccioni sulla sua terrazza erano morti tutti contemporaneamente. La gente cominciò ad abbandonare Atlanta, mentre una squadra dotata di tute anticontaminazione partiva a razzo dal Centro controllo malattie. Scoprirono che i piccioni avevano ingerito veleno per topi, ma a quel punto gli olocanali avevano sostituito la notizia con quella del bestiame morto nelle vicinanze di Forth Worth.

Jennifer si sporse in avanti verso lo schermo; — Non sanno pianificare. Non sanno coordinare. Non sanno pensare.

Le proteste all’interno del Rifugio avevano raggiunto un picco e si erano affievolite. Tutti i leader spontanei erano stati bloccati in discussioni razionali con i consiglieri, "sequestrati" negli edifici preparati silenziosamente dalla forza di sicurezza di Sandaleros, oppure erano affaccendati a raccogliere firme per le petizioni ufficiali che rappresentavano la tipica risposta di dissenso al Rifugio. In precedenza era sempre stata una risposta sufficiente.

— I mendicanti non sanno pianificare per niente — ripeté Jennifer. — Nemmeno quando è nel loro interesse.

Will Sandaleros le sorrise.


— Leisha — chiese Stella timidamente. — Pensi che dovremmo fare qualcosa per la… per la sicurezza?

Leisha non rispose. Era seduta davanti a tre schermi sintonizzati su olocanali differenti. Stava seduta tranquillamente, senza mostrare tensione, ma con un’immobilità che nemmeno la timidezza di Stella (Stella! Timida!) era in grado di penetrare.

— Avrei dovuto pensarci! — disse Jordan. — Non… voglio dire, è passato così tanto tempo da quando tutti odiavano gli Insonni… Stella, chi c’è qui questa settimana? Forse potremo istituire un turno di guardia a rotazione, in caso ne avessimo bisogno, voglio dire…

Drew intervenne: — C’è un campo a energia-Y di Classe Sei attorno alla tenuta, pattugliato da tre guardie armate.

Stella e Jordan lo fissarono sbalorditi. Drew aggiunse: — Da questa mattina. Mi dispiace di non avervelo detto. Speravo di sbagliarmi e che il Rifugio non operasse così.

— Ma come hai potuto anche solo immaginare che lo avrebbero fatto? — schioccò Stella, di nuovo tagliente.

— È stato Kevin Baker. Lo ha immaginato lui.

— È il tipo — commentò Stella, tirando su col naso.

Jordan disse: — Grazie, Drew — e Stella ebbe il buon gusto di mostrare un briciolo di vergogna.

Leisha non disse nulla, completamente immobile.


— Non abbiamo altra scelta — fece Miri a Nikos. Si stiparono nel laboratorio di Raoul, otto Super, tutti quelli che si erano recati nello stesso posto quando l’annuncio della dimostrazione alla stazione orbitale Kagura si era abbattuto come una meteora. Alcuni degli altri erano corsi al laboratorio di Miri, evitando i protestatari e le forze di sicurezza in uniforme: ma da quando esistevano uniformi nel Rifugio? Alcuni erano corsi in quello di Nikos. Un ordine ufficiale di restare "all’interno" era arrivato da tutti i canali audio: da quando nel Rifugio esistevano ordini ufficiali? I ragazzi attivarono le linee di comunicazione fra i tre edifici.

Tutte le normali linee di comunicazione nel Rifugio erano inattive.

Miri guardò Terry Mwakambe, un attimo prima che il Super esplodesse in parolacce che Miri non aveva mai sentito mettere insieme prima di allora. Un lato secondario della sua mente, una parte in cui non turbinavano stringhe caotiche, notò che le combinazioni di improperi dovevano avere una qualche relazione con il processo matematico perché Terry le formulasse con tanta naturalezza.

Attivò immediatamente la rete di comunicazione nascosta, quella programmata dai Super in due mesi di lavoro in modo che ricoprisse qualsiasi funzione del Rifugio: un secondo comando ombra della stazione orbitale, nascosto talmente bene da non poter essere individuato dal primo.

— Nikos? Ci sei? Chi c’è con te?

Il volto di Nikos apparve sullo schermo. — Diane, Christy, Allen, James, Toshio.

— Dov’è Jonathan?

— Con me — intervenne Mark, inserendosi nella comunicazione. — Miri, è accaduto. Lo hanno fatto.

— Che cosa dobbiamo fare, noi? — chiese Christy. Teneva un braccio stretto attorno a Ludie, una delle undicenni, che stava piangendo.

— Non possiamo fare nulla — rispose Nikos. — Non fa parte del nostro accordo. Non stanno danneggiando i Super: stanno cercando di liberare il Rifugio per tutti noi.

— Ci faranno uccidere tutti! — esclamò Raoul. — Oppure uccideranno centinaia di migliaia di altre persone a nome nostro. In tutti e due i casi, noi saremo decisamente danneggiati!

— È una questione di difesa esterna — ribatté Nikos. — Non riguarda noi Mendicanti.

— È un tradimento — sentenziò Allen freddamente — E non soltanto nei nostri confronti. Guardie in uniforme, ordine di restare all’interno, interruzione delle comunicazioni… Cristo! Stanno arrestando la gente qui fuori! Ho visto una guardia trascinare Douglas Wagner in un edificio. Per aver commesso il crimine di pensare in modo differente! In che termini è diverso dall’avere ucciso Tony per essere diventato diverso? Il Consiglio ha tradito i cittadini del Rifugio, noi inclusi. Ma gli altri non possono fare niente al riguardo, noi sì.

— Sono i nostri genitori… — disse Diane angosciata, e Miri percepì nella voce della ragazzina tutte le sue stringhe.

Miri propose, nel modo più risoluto possibile: — La prima cosa che faremo sarà collegarci con tutti i Mendicanti, ovunque si trovino. Non vedo Peter: qualcuno sa dov’è? Terry, trovalo e mettilo in collegamento, a meno che non sia insieme ai Normali. Poi discuteremo della questione. Approfonditamente. Voglio le opinioni di tutti. Arriveremo quindi a una decisione di gruppo.

"Per il nostro bene" aggiunse fra sé. Ma senza dirlo ad alta voce.


Tre ore dopo la dimostrazione alla stazione orbitale Kagura il Rifugio comunicò agli Stati Uniti che gli stessi comandi a distanza che erano in grado di rilasciare e disperdere il virus modificato geneticamente nelle principali città americane erano in grado anche di distruggere completamente i virus prima ancora che venissero rilasciati. Il Rifugio sarebbe stato ben felice di farlo se il Congresso avesse acconsentito alla stesura di un decreto presidenziale secondo cui l’entità corporativa delle Imprese del Rifugio non faceva più parte degli Stati Uniti per quanto attenesse al governo, alla tassazione o alla cittadinanza e avrebbe, di conseguenza, acquisito lo stesso stato di altre nazioni indipendenti.

Quelle altre nazioni assunsero posizioni diversificate. Le più strettamente legate agli Stati Uniti emisero comunicati ufficiali condannando i "ribelli" per atti di terrorismo, ma si rifiutarono di attuare forme di embargo commerciale. La Casa Bianca non insistette su quel punto. I commentatori stranieri sottolinearono, mostrando vari stadi di candore, che l’insistenza della Casa Bianca avrebbe potuto condurre a una divulgazione troppo palese di quanto pesantemente gli alleati americani dipendessero dall’invasiva finanza internazionale e dalla ricerca sulla modificazione genetica controllate dal Rifugio.

I paesi a quell’epoca non alleati con gli Stati Uniti emisero comunicati che condannavano entrambe le parti, giudicandole formate da barbari morali, privi di rispetto perfino per le proprie leggi e i propri cittadini, una linea politica così scontata e familiare che destò ben poca attenzione. Solamente l’Italia, ancora una volta socialista, con il suo solito particolarissimo caotico e fatalistico esibizionismo del socialismo italiano, riuscì a prendere una posizione originale. Roma annunciò che gli Insonni erano i capi di una nuova liberazione delle classi lavoratrici oppresse dal dominio dei media americani, e che il Rifugio avrebbe guidato il mondo in una nuova era di uso responsabile degli olocanali al servizio del lavoro. Quella sconcertante affermazione restò largamente inascoltata, eccetto che in Italia.

Una navetta che trasportava una coalizione internazionale scientifica venne lanciata verso Kagura. Dimostranti, negli Stati Uniti, cominciarono subito a gridare che non le venisse concesso di ritornare sulla Terra.

Un Insonne che viveva solo a New York, un innocuo ometto che aveva evitato gli altri Insonni per cinquant’anni, venne trascinato fuori dal proprio appartamento e picchiato a morte.

Il Rifugio lanciò un altro messaggio agli Stati Uniti: "Nessun uomo ha il diritto di governarne un altro uomo senza il consenso di quest’ultimo. — A. Lincoln".


— Questa era per te — disse infuriata Stella. — La citazione di Lincoln… è la guerra sbagliata. Hanno storpiato la Rivoluzione, non la Guerra Civile. Jennifer ha inserito quella frase di Lincoln soltanto perché tu sei una studiosa di Lincoln!

Leisha non rispose.


— Per noi prendere possesso della stazione orbitale, semplicemente prenderne il possesso, senza preavviso… sarebbe negativo quanto per il Rifugio rilasciare senza preavviso il virus sulla Terra — disse Nikos. Inviò il suo programma di stringhe agli altri tre edifici in cui si erano radunati i Super. La stringa era sorprendente, per essere di Nikos, il quale pensava generalmente con stringhe ardite, dotate di forti e chiari riferimenti incrociati. Quella stringa era delicatamente equilibrata, l’etica, la storia e la solidarietà alla comunità vi erano attentamente bilanciate, ponendo in contrapposizione valori quasi uguali che rendevano la forma complessiva fragile per la tensione interna. Era una stringa quasi più caratteristica di Allen che non di Nikos. Miri la studiò attentamente. Ne approvò la delicata pressione.

Significava che Nikos non era fortemente motivato nell’opporsi a lei.

Christy propose: — E se dessimo loro un avvertimento?

L’idea era balzata fuori un’ora prima. La stringa di Christy, tuttavia, denotava nuovi elementi tratti da giustificazioni di tipo militare: attacchi preventivi contro alternative a taglio netto. Il fardello della colpa nei tribunali di guerra controbilanciato dalle opzioni studiate per la pace. Il peso dello sforzo morale al limite riconosciuto della forza permissiva: Pearl Harbor. La patria di Israele. Hiroshima. Il generale William Tecumseh Sherman. Lo Stallo paraguaiano. Le stringhe dei Super includevano raramente la storia militare: Miri non aveva immaginato che la memoria di Christy avesse catalogato quegli atti militari, tanto da potervi costruire delle stringhe.

— Sìììì — disse lentamente Nikos. — Sìììì…

Ludie, soltanto undici anni, disse: — Non posso minacciare mia madre. Nemmeno indirettamente.

"Io potrei" pensò Miri, e guardò Nikos, Christy, Allen e l’imprevedibile Terry.

— Sììì — disse Nikos. — E se…

Stringhe di probabilità si avvolsero, si annodarono e ruotarono vorticosamente.


— Will, c’è un altro gruppo di cittadini che chiede di entrare nella cupola del Consiglio — annunciò la consigliera Renleigh.

Sandaleros ribatté: — Come hanno fatto ad arrivare fin qui se c’era l’ordine di rimanere negli edifici?

— Come? — chiese la consigliera Barcheski con un briciolo di disgusto: nel Consiglio stavano cominciando a svilupparsi alcune tensioni. — Sono venuti a piedi. Quanti agenti pensi di avere là fuori? E quanta paura pensi che abbiano i nostri cittadini di quelli che hai?

Jennifer intervenne con voce tranquilla: — Nessuno vuole che la nostra gente abbia paura.

— Non ne hanno — replicò Barbara Barcheski. — Stanno chiedendo di entrare per parlare con voi.

— No — ribatté Sandaleros. — Quando tutto sarà finito, quando avremo ottenuto l’indipendenza dalla Terra, allora parleremo.

— Quando a nessuno interesserà più che cosa avete fatto per ottenerla — commentò Ricky Sharifi. Era la prima volta che apriva bocca in tre ore.

Caroline Renleigh disse: — Hanno con loro Hank Kimball. Ho lavorato con lui sui sistemi. Il campo di sicurezza attorno alla cupola del Consiglio potrebbe non reggere.

Cassie Blumenthal sollevò lo sguardo dal terminale. I suoi denti giallastri balenarono. — Resisterà.

Dopo qualche tempo i protestatari se ne andarono.

— Jennifer — avvisò John Wong — il Canale Quattro si sta battendo pesantemente per un singolo attacco chirurgico di tipo nucleare che faccia saltare in aria il Rifugio e i nostri "presunti detonatori" con un colpo secco.

— Non lo faranno. Non gli Stati Uniti — rispose Jennifer.

Ricky Sharifi commentò: — Stai confidando sull’onestà dei mendicanti perché vincano la tua guerra per te.

— Io penso, Ricky — ribatté Jennifer in modo composto — che, se tu ricordassi gli eventi che io e Will ricordiamo, non parleresti dell’onestà dei mendicanti. Penso, inoltre, che dovresti tenere per te le tue ulteriori opinioni.

Se la voce di lei si incrinò un poco, fu solo pochissimo, e nessuno oltre Ricky e la stessa Jennifer lo notò. Quanto meno, nessuno agì come se lo avesse notato.


Richard Keller era entrato così silenziosamente nella olocamera che gli altri, inizialmente, non si resero nemmeno conto della sua presenza. Si mise in piedi dietro Stella e Jordan, in fondo contro la parete, con gli occhi scuri sopra la folta barba, incavati e adombrati. Drew fu il primo a notarlo. A Drew non era mai piaciuto troppo Richard, che gli sembrava essersi arreso, essersi ritirato anche se lui non avrebbe saputo dire da cosa. Richard, dopo tutto, si era risposato, aveva avuto un altro figlio, aveva viaggiato per tutto il mondo, studiando e lavorando. Leisha, al contrario, non aveva fatto alcuna di quelle cose. Tuttavia, a Drew sembrava ugualmente che Leisha, rinchiusa nel deserto, non si fosse arresa e Richard sì.

Non aveva alcun senso, Drew lottò ancora per qualche istante con le astrazioni e poi, come al solito, abbandonò il tentativo di pensare in parole. Lasciò piuttosto le fredde forme che erano, e al tempo stesso non erano, Richard e Leisha scivolargli attraverso la mente.

Richard ciondolava contro la parete, ascoltando stridenti annunciatori degli olocanali che gridavano perché venissero messi a morte i figli che lui non aveva più visto da quarant’anni.

Se il governo avesse fatto saltare in aria il Rifugio, pensò improvvisamente Drew, Richard avrebbe avuto ancora Ada e Sean. E se Sean fosse morto, come dire, per un qualche incidente, nell’esperienza di Drew i bambini morivano frequentemente per incidente, Richard avrebbe avuto un altro bambino, con Ada o con qualcun’altra? Sì, lo avrebbe fatto. E se anche quel bambino fosse morto, Richard lo avrebbe sostituito con un altro ancora. Lo avrebbe fatto. E poi un altro.

Drew cominciò a capire a che cosa Richard avesse rinunciato, a differenza di Leisha.


— Qui è il Presidente degli Stati Uniti che si rivolge al Rifugio Spa. — Il volto di Meyerhoff, più largo che non dal vivo, riempì lo schermo del Rifugio. Tipico dei Dormienti, pensò Jennifer: ingrandivano le immagini pensando di ingrandire la realtà. Nella cupola del Consiglio, tutti quelli che non erano impegnati in cruciali operazioni di monitoraggio si raggrupparono velocemente attorno allo schermo. Najla si morse il labbro inferiore e avanzò di un passo verso sua madre. Paul Aleone serrò insieme le mani.

Era una comunicazione a due vie. — Sono Jennifer Sharifi, amministratore delegato del Rifugio Spa e presidente del Consiglio della stazione orbitale del Rifugio. La riceviamo, signor Presidente La prego, proceda.

— Signora Sharifi, voi state violando il Codice penale degli Stati Uniti. Dovete saperlo.

— Non siamo più cittadini degli Stati Uniti, signor Presidente.

— State anche violando l’accordo 2042 delle Nazioni Unite e la Convenzione di Ginevra.

Jennifer rimase in silenzio, aspettando che il Presidente si rendesse conto di avere appena implicato che il Rifugio aveva lo stato di una nazione indipendente. Notò il momento in cui lui se ne accorse, anche se l’uomo fu molto bravo a limitare lo scivolone a un solo istante. Lei disse: — Porti una risoluzione davanti al Congresso in cui si dichiari che il Rifugio è un’entità indipendente dagli Stati Uniti, e non esisterà più una situazione sulla quale noi due dovremo discutere.

— Gli Stati Uniti non lo faranno, signora Sharifi. Né negozieranno con terroristi. Ciò che faremo sarà perseguire il Consiglio del Rifugio, ogni suo membro, al massimo livello concesso dalla legge, per alto tradimento.

— Non è tradimento cercare di ottenere l’indipendenza dalla tirannia. Signor Presidente, se non ha nulla di nuovo da dire, non vedo il motivo per protrarre questa conversazione.

La voce del Presidente si indurì. — Devo dire questo, signora Sharifi. Domani mattina, gli Stati Uniti attaccheranno il Rifugio con ogni mezzo a disposizione se, per la mezzanotte di oggi, non avrete rivelato al segretario di stato il luogo di ogni presunta arma batteriologica sistemata dal Rifugio negli Stati Uniti.

— Non lo faremo, signor Presidente. Né i vostri mezzi convenzionali di individuazione, con i quali abbiamo una certa familiarità, avranno successo nel localizzarli. Essi sono fatti con materiali e con metodi non disponibili negli Stati Uniti. In effetti, signor Presidente…

Gli allarmi presero a suonare all’esterno della cupola del Consiglio. Cassie Blumenthal sollevò lo sguardo, incredula. Il campo di sicurezza a energia-Y era stato infranto. Will Sandaleros balzò in avanti per schiarire le vetrate. Prima che fosse riuscito a farlo, la porta della cupola del Consiglio si aprì e Miranda Sharifi entrò alla testa di una fila di ragazzi superintelligenti.

— …non abbiamo altro di cui discutere al momento — terminò Jennifer. Aveva visto l’espressione del Presidente acuirsi al suono degli allarmi chiaramente udibili. Lei interruppe la comunicazione: Cassie Blumenthal bloccò tutte le trasmissioni da e per la Terra.

I Super continuavano ad affollarsi nella cupola, erano ventisette.

Will Sandaleros disse bruscamente: — Che ci fate qui? Andatevene a casa!

— No — rispose Miri. Alcuni degli adulti si lanciarono sguardi a vicenda: nessuno di loro era abituato alla mancanza di balbettii e tremori. La cosa non faceva sembrare i ragazzi meno alieni, ma di più.

— Miranda, vai a casa! — tuonò Hermione. Miri non lanciò nemmeno un’occhiata a sua madre. Jennifer si mosse velocemente per prendere in pugno la situazione, cui non si poteva permettere di sfuggire al controllo. Non si doveva.

— Miranda, che ci fai qui? Dovresti sapere che è una cosa inopportuna e pericolosa.

— Sei tu quella che ha creato il pericolo — disse Miri. Jennifer restò inorridita per l’espressione negli occhi della ragazzina. Non lasciò che quella sensazione trapelasse.

— Miranda, hai due possibilità di scelta. Potete andare via tutti adesso, immediatamente, oppure le guardie vi porteranno via con la forza. Questa è una riunione di guerra, non una riunione scolastica. Tutto ciò che potete avere da dire al Consiglio può aspettare finché questa crisi non sarà terminata.

— No, non può — ribatté Miri. — Si tratta della crisi. Hai minacciato gli Stati Uniti senza il consenso del resto del Rifugio. Hai convinto il resto dei membri del Consiglio, li hai tiranneggiati oppure li hai corrotti…

— Fai portare via i bambini — disse Jennifer a Will. Le guardie che indossavano le così poco familiari uniformi si erano già ammassate nella cupola affollata. Una donna afferrò le braccia di Miri. Nikos disse a voce altissima: — Non fatelo. Noi Superintelligenti abbiamo il controllo completo dei sistemi del Rifugio. Mantenimento in vita, comunicazioni, difesa, tutto quanto. Abbiamo inserito programmi nascosti che non potreste nemmeno cominciare a comprendere.

— Non più di quanto i Dormienti possano comprendere i vostri virus modificati geneticamente — aggiunse Miri.

La donna che aveva bloccato le braccia di Miri assunse un’espressione completamente confusa. Il dottor Toliveri ruggì, infuriato: — È impossibile!

Nikos ribatté: — Non per noi.

Jennifer studiò i ragazzini, il cervello le turbinava. — Dov’è Terry Mwakambe?

— Non qui — rispose Nikos. Parlò nella ricetrasmittente che aveva sul bavero. — Terry, assumi il controllo del terminale di Cassie Blumenthal. Collegala con il sistema di difesa esterna di Charles Stauffer.

Davanti al terminale, Cassie Blumenthal emise un suono breve e soffocato. Impartì comandi vocali alla console, quindi si portò sui comandi manuali e prese a digitare rapidamente, Le si spalancarono gli occhi. Charles Stauffer balzò in avanti. Digitò quelli che Jennifer, inebetita, pensò dovessero essere codici di sovrapposizione programmi. Jennifer mantenne un tono di voce pacato.

— Consigliere Stauffer?

— Abbiamo perso il controllo. Ma i portelli dei missili si stanno aprendo… Adesso si stanno chiudendo.

Miranda intimò: — Di’ agli Stati Uniti che distruggerete i pacchetti con i virus sulla Terra in cambio dell’immunità per il resto del Rifugio, eccetto che per i membri del Consiglio. Di’ loro che distruggerai gli organismi, fornirai agli Stati Uniti l’indicazione dei luoghi in cui sono stati nascosti e aprirai il Rifugio all’ispezione federale. Se non farai queste cose… allora lo faremo noi Super.

Robert Dey trasse un veloce respiro. — Non potete farlo.

Allen ribatte con estrema convinzione: — Sì. Possiamo. Vi prego, credeteci.

— Siete bambini! — disse qualcuno con una durezza tale che a Jennifer occorse un minuto per identificare la voce. Hermione.

— Siamo come voi ci avete fatto — rispose Miri.

Jennifer fissò la nipote. Quella… ragazzina, quella ragazzina che non aveva mai ricevuto sputi perché era Insonne, che non era mai stata chiusa a chiave in una stanza da una madre che era marcia di gelosia per la bellezza che sua figlia non avrebbe mai perduto, anche se la bellezza della madre stava inesorabilmente sbiadendo, che non era mai stata rinchiusa in una cella lontana dai propri figli, che non era mai stata tradita da un marito che odiava la propria insonnia, quella ragazzina viziata e coccolata cui tutto era stato dato stava tentando di ostacolare lei, Jennifer Sharifi, che aveva addirittura creato quel Rifugio con la propria forza di volontà. Quella ragazzina insignificante avrebbe distrutto tutto ciò per cui Jennifer aveva lavorato, sofferto, pianificato per una vita dedicata alla sua gente, al benessere e all’indipendenza degli Insonni. No. Nessuna ragazzetta marcia ed egoista fino al midollo avrebbe rovinato il futuro della sua gente, il futuro per cui Jennifer aveva combattuto. Il futuro che aveva creato. Aveva voluto con il suo spirito che si muoveva attraverso quello che era stato un vuoto privo di speranza. No.

Disse alle guardie: — Prendeteli tutti. Portateli nell’edificio di detenzione e metteteli in una camera di sicurezza. Prima, però, togliete ogni oggetto tecnologico da ognuno di loro. — Esitò, ma soltanto per un istante. — Spogliateli per perquisirli alla ricerca di qualsiai oggetto tecnologico nascosto, e non permettete loro di tenere nulla, nemmeno un capo di vestiario che possa apparire inoffensivo. Nulla.

— Jennifer, non puoi farlo! — disse Robert Dey. — Sono i nostri… i tuoi… i nostri figli!

— Prendi una decisione — disse Miranda. — Oppure è questa?

Erano passati interi anni da quando Jennifer si era concessa di provare odio. Esso le crebbe dentro, nero e viscoso, da tutti i recessi della mente in cui non si era mai permessa di entrare. Per un istante fu talmente inorridita da non riuscire a vedere. Quindi, le si schiarì la vista e fu in grado di proseguire fino in fondo. — Trovate Terry Mwakambe. Immediatamente. Mettetelo insieme con gli altri. State particolarmente attenti che non abbia nulla con sé, nemmeno un pezzetto di stoffa apparentemente innocua.

— Jennifer! — gridò John Wong.

— Tu sai, vero — disse Miri direttamente a Jennifer. — Tu sai che cosa è Terry. Anche più di quello che sono io, Nikos oppure Diane: oppure pensi di saperlo. Pensi di capire noi proprio nello stesso modo in cui i Dormienti hanno sempre pensato di capire te. Non ti hanno mai attribuito un’umanità di base, vero? Tu eri diversa, e quindi non facevi parte della loro comunità. Eri malvagia, intrigante, fredda… e molto, molto migliore di loro. E pensavate di essere migliori, tutti voi Insonni. Ecco perché li hai chiamati mendicanti. Ma noi siamo meglio di te, e così tu hai ucciso uno di noi perché non eri più in grado di controllarlo, vero? Adesso noi siamo capaci di fare cose che tu non avresti mai nemmeno immaginato. Chi sono ora i mendicanti, Nonna?

Jennifer disse, con un tono di voce che non riconobbe, ma calmo, calmo: — Spogliateli adesso. Togliete tutti gli oggetti tecnologici, anche se non li riconoscete. E… imprigionate anche mio figlio. Con loro.

Ricky Sharifi non fece altro che sorridere.

Miri cominciò a togliersi i vestiti. Dopo un momento di incertezza e un breve comando di Nikos, un comando che Jennifer non comprese (avevano forse un loro linguaggio?) anche gli altri ragazzi cominciarono a spogliarsi. Allen Sheffield scagliò la ricetrasmittente che aveva sul bavero sopra il tavolo in metallo lucido; produsse un forte rumore metallico nel silenzio paralizzato, e il ragazzo sorrise. Nemmeno il più giovane dei Super si mise a piangere.

Miri si fece passare la camicia sopra la testa. — Tu hai dato la vita alla comunità. Ma noi Super non facciamo parte di quella comunità adesso, vero? Tu hai ucciso uno di noi che avrebbe potuto creare un ponte fra la vostra comunità e la nostra, il migliore e il più generoso di noi tutti. Lo hai ucciso perché non rientrava più nella tua definizione di comunità. Adesso non ci rientriamo nemmeno noi. Tanto per cominciare noi sogniamo. Lo sapevi, Jennifer? Sogno lucido. Insegnatoci da un Dormiente. — Miri scalciò via i sandali.

Cassie Blumenthal disse con la voce pervasa dal panico: — Non riesco a riprendere il controllo dei sistemi di comunicazione.

— Basta adesso — disse Charles Stauffer. — Ragazzi, rimettetevi i vestiti!

— No — disse Miri. — Perché a quel punto sembreremmo membri della tua comunità, vero, Jennifer? E non lo siamo. Non potremo esserlo mai più.

Qualcuno disse in una ricetrasmittente: — Abbiamo preso Terry Mwakambe. Non sta opponendo resistenza.

Miri continuò: — E non ti importa realmente nemmeno della tua comunità. Altrimenti avresti accolto la scelta che ti abbiamo offerto. In quel modo, soltanto tu avresti affrontato il processo per tradimento. I mendicanti avrebbero garantito l’immunità al resto del Consiglio. Adesso verranno processati tutti per cospirazione e tradimento. Avresti potuto salvarli e non lo hai fatto, perché questo avrebbe significato rinunciare al tuo personale controllo su quelli che sono nella tua comunità e quelli che sono fuori, vero? Be’, lo hai perso comunque. Il giorno in cui hai ucciso Tony. — Miri si strappò i pantaloncini. Rimase in piedi nuda, con gli altri Super dietro di lei. Alcune delle ragazzine si coprirono i seni appena accennati incrociando le braccia; alcuni dei ragazzi tennero le mani davanti ai genitali. Nessuno di loro però si mise a piangere. Fissarono Jennifer con occhi freddi, non da bambini, come se lei avesse confermato loro qualcosa, come se stessero pensando, pensando cose inconoscibili. Miri restò scoperta, con i capezzoli sui piccoli seni eretti, lo scuro pelo sul pube fitto come i capelli di Jennifer. La sua grossa testa deforme era tenuta dritta. Sorrise.

Ricky avanzò tenendo la propria camicia. La appoggiò attorno alle spalle di Miri, gliela chiuse sul seno e, per la prima volta, la ragazzina fissò qualcun altro oltre Jennifer. Lanciò un’occhiata a suo padre, arrossì dolorosamente e sussurrò: — Grazie, papà.

Cassie Blumenthal annunciò affranta: — Una trasmissione a effetto ritardato è appena partita per la Casa Bianca. C’è qui un duplicato. Comprende tutte le localizzazioni e le procedure di neutralizzazione per ogni pacchetto di virus che abbiamo sistemato negli Stati Uniti.

Charles Stauffer aggiunse: — Nessuna delle difese esterne del Rifugio è operativa.

Caroline Renleigh continuò: — Lo scudo d’emergenza nella cupola di detenzione si è abbassato. I programmi di sovrapposizione non riacquistano il controllo.

Cassie Blumenthal disse: — Seconda trasmissione a effetto ritardato lanciata verso… verso il Nuovo Messico…

Soltanto Miranda non disse nulla. Stava singhiozzando, una ragazzina di sedici anni sottoposta a una tensione eccessiva, sulla spalla di suo padre.

25

Leisha guardò gli olonotiziari sui tumulti ad Atlanta per i piccioni morti, i tumulti a New York per il traffico di terra intasato per abbandonare la città, i tumulti a Washington per i tumulti. Tutti i vecchi striscioni erano venuti fuori. BOMBARDATE GLI INSONNI CON LE BOMBE NUCLEARI! Non era forse che tenevano i cartelloni e gli striscioni in qualche scantinato pieno di polvere fra una crisi e l’altra a trenta o quarant’anni di distanza? Tutta la vecchia retorica era tornata alla ribalta, tutti i vecchi atteggiamenti, perfino sui peggiori olocanali dei Vivi tutte le vecchie battute. "Che cosa ottieni se incroci un Insonne con un pitbull? Un paio di mascelle che davvero non lasciano mai la preda." Leisha l’aveva sentita quando era ad Harvard. Sessantasette anni prima.

Declamò a voce alta: — Ho guardato e ho visto che non c’era niente di nuovo sotto il sole, che la corsa non andava ai veloci, la battaglia ai forti, né il favore agli uomini di ingegno… — Jordan e Stella la fissarono preoccupati. Non era giusto preoccuparli con citazioni melodrammatiche. Specialmente, non dopo ore di silenzio. Avrebbe dovuto parlare con loro, spiegare loro quello che stava provando.

Era molto stanca.

Per oltre settant’anni aveva visto le stesse cose, a ripetizione, a cominciare da Tony Indivino. "Se cammini lungo una strada in Spagna, e cento mendicanti ti chiedono ognuno un dollaro, tu non glielo dai e loro ti saltano addosso infuriati…" Il Rifugio. La legge, quella illusoria creatrice di comunità unitaria. Calvin Hawke. Di nuovo il Rifugio. E, in tutto quello, gli Stati Uniti ricchi, prosperi, miopi, magnifici nel complesso e insignificanti nel particolare, non disposti (mai, mai) ad accordare un totale rispetto alla mente: sì al destino, alla fortuna, al rigido individualismo, alla fede in Dio, al patriottismo, alla bellezza, all’audacia, al coraggio, alla fermezza o alla stupidità, ma mai alla complessa intelligenza e al pensiero complesso. Non era l’insonnia che aveva causato tutti i tumulti, erano il pensiero e la sua doppia conseguenza: il cambiamento e la sfida.

Era diverso in altri paesi, in altre culture? Leisha non lo sapeva. In ottantatré anni non aveva mai viaggiato fuori dagli Stati Uniti per periodi più lunghi di un fine settimana. Non che avesse particolarmente desiderato farlo. Era di certo singolare in un’economia di tipo così globale.

— Ho sempre amato questo paese — disse Leisha, ancora a voce alta, e si rese conto istantaneamente di quanto dovesse suonare sconnesso quel sentimento.

— Leisha, cara, vuoi un bicchierino di brandy? Oppure una tazza di tè? — le chiese Stella.

A dispetto di se stessa, Leisha sorrise. — Sembravi proprio Alice quando hai detto quella frase.

— Be’… — commentò Stella.

— Leisha — fece Drew — penso che sarebbe una buona idea se tu…

— Leisha Camden! — chiamò l’olopalco. Stella restò col fiato mozzo.

Il servizio sulla Casa Bianca, i tumulti a New York, le immagini via satellite del Rifugio erano tutti scomparsi. Una ragazzina dalla testa grossa, leggermente deforme, e grandi occhi scuri stava rigidamente sull’olopalco, in un laboratorio scientifico pieno di strumenti poco familiari. Indossava una sottile camicia sintetica, pantaloncini e semplici ciabatte, e i suoi scompigliati capelli scuri erano legati con un nastro rosso. Richard, che Leisha aveva dimenticato che si trovasse nella stanza, produsse un rumore strozzato.

La ragazzina si presentò: — Sono Miranda Serena Sharifi, del Rifugio. Sono la nipote di Jennifer Sharifi e Richard Keller. Sto inviando questa trasmissione direttamente alla sua ricevente del Nuovo Messico. È una trasmissione di sovrapposizione rispetto a tutte le altre reti di comunicazione del Rifugio. È anche non autorizzata dal Consiglio del Rifugio.

La ragazzina fece una pausa e, sul volto giovane e serio, si notò una piccola ruga. Così serio: quella piccola sembrava non sorridere mai. Quanti anni aveva? Quattordici? Sedici? La sua parlata aveva un accento particolare, come se l’inglese venisse pronunciato in modo diverso nel Rifugio. Più precisamente e più formalmente, tutt’e due caratteristiche contrarie al modo in cui generalmente si evolvevano i linguaggi. Anche le differenze conferivano serietà alle sue parole. Leisha avanzò involontariamente di un passo verso l’olopalco.

— Qui c’è un gruppo di noi, Insonni ma anche qualcosa in più. Costruzione genetica. Siamo chiamati Superintelligenti, e io sono la più grande. Siamo in ventisette sopra i dieci anni. Siamo diversi dagli adulti, e loro ci hanno trattato diversamente. Abbiamo assunto il comando del Rifugio, inviato le indicazioni riguardanti la localizzazione di tutte le armi batteriologiche al vostro presidente, disattivato le difese del Rifugio e fermato la guerra per l’indipendenza.

— Oh, santo Dio — commentò Jordan. — Bambini.

— Se riceverà questo messaggio, significa che noi Superintelligenti siamo tenuti prigionieri da mia nonna e dal Consiglio del Rifugio, ma non pensiamo che possa durare a lungo. Tuttavia, non saremo in grado di rimanere qui al Rifugio. Non abbiamo alcun altro posto in cui andare. Ho effettuato ricerche su di lei, Leisha Camden, e ho effettuato ricerche sul suo pupillo Drew Arlen. Il Sognatore Lucido. Noi Super siamo tutti sognatori lucidi. È divenuta un’importante componente del nostro modo di pensare.

Leisha lanciò un’occhiata a Drew. Lui fissava intensamente Miranda Sharifi e, notando lo sguardo nei suoi occhi verdi, Leisha distolse il proprio.

— Non so cosa succederà in seguito né quando ciò avverrà — continuò Miranda. — Forse il Rifugio ci metterà a disposizione una navetta. Forse, il vostro governo ci manderà a prendere, o potrà farlo una società che lei controlla. Forse, alcuni dei Superintelligenti, i più giovani, rimarranno qui. Alcuni di noi, tuttavia, avranno bisogno di un luogo in cui andare, lontano dal Rifugio, visto che avremo causato l’arresto per cospirazione e tradimento dell’intero Consiglio del Rifugio. Abbiamo bisogno di un luogo sicuro, un luogo con un ragionevole equipaggiamento che potremo modificare ulteriormente, e qualcuno che ci aiuti con il vostro sistema legale ed economico. Lei era avvocato, signorina Camden. Possiamo venire da lei?

Miranda si interruppe. Leisha sentì prudere gli occhi.

— Penso che insieme con noi ci saranno, anche se non ne sono sicura, alcuni Normali. Uno sarà probabilmente mio padre, Richard Sharifi. Non penso che lei potrà contattarmi direttamente per rispondere a questo messaggio, anche se non sono certa di quali siano le sue reali possibilità.

— Non certo come le loro — disse Stella, assumendo un’espressione abbacinata. Drew le lanciò un’occhiata divertita.

— Grazie — terminò con un certo imbarazzo Miranda. Spostò il peso portandosi un piede sopra l’altro, e all’improvviso sembrò ancora più giovane… — Se… se Drew Arlen è lì con lei quando riceverà questo messaggio e se lei ha intenzione di permettere a noi Superintelligenti di venire da lei, la prego di chiedergli se può restare. Mi piacerebbe… mi piacerebbe incontrarlo.

Improvvisamente, Miranda sorrise, mostrò un sorriso di tale cinismo che Leisha ne restò sbalordita. Non era una bambina, dopo tutto. — Vede — disse Miranda — noi veniamo da voi come mendicanti. Nulla da offrire, nulla da barattare. Soltanto bisogno. — Scomparve, e al suo posto apparve un improvviso grafico tridimensionale sullo schermo, un complesso globo fatto di stringhe di parole che si chiudevano, si incrociavano e si equilibravano, ogni parola o frase un’idea che si collegava alla successiva, l’intera struttura codificata a colori in modi che enfatizzavano le tensioni, gli equilibri e i controbilanciamenti di significato da concetti che si contrapponevano, rinforzavano o modificavano a vicenda. Il globo indugiò, ruotando lentamente.

— Che diamine è quello? — esclamò Stella.

Leisha si alzò e prese a camminare attorno al globo a una velocità leggermente maggiore rispetto a quella della rotazione, studiandolo. Sentiva le ginocchia tremanti. — Penso… penso che sia una discussione filosofica.

— Ooohhh — commentò Drew.

Leisha fissò il globo. Lo sguardo colse una frase in verde in uno strato esterno: "una casa divisa; Lincoln". Improvvisamente si sedette sul pavimento.

Stella si rifugiò in un’esplosione di attività di tipo domestico. — Se sono ventisette e se raddoppieranno, potremo aprire l’ala ovest e trasferire Richard e Ada in…

— Non sarò qui — intervenne pacatamente Richard.

— Ma Richard! Tuo figlio… — sbottò Stella, apparendo quindi imbarazzata.

— Era un’altra vita.

— Ma Richard! — Il volto di Stella cominciò ad arrossire. Richard scivolò silenziosamente fuori dalla stanza. L’unico che guardò direttamente fu Drew, che lo fissò di rimando con fermezza.

Leisha non si accorse di nulla. Stava seduta sul pavimento, studiando il globo di stringhe di Miranda, finché la trasmissione non terminò e l’ologramma svanì. Sollevò quindi lo sguardo sui tre che erano rimasti: Stella, Jordan e Drew. Stella trasse un sordo respiro.

— Leisha, la tua faccia…

— Le cose cambiano — rispose Leisha a gambe incrociate e raggiante sul pavimento. — Ci sono seconde e terze opportunità. Poi, quarte e quinte.

— Be’, è ovvio — commentò Stella sconcertata. — Leisha, ti prego, alzati!

— Le cose cambiano — ripeté Leisha, come una ragazzina. — Non si tratta soltanto di cambiamenti di grado. Ci sono cambiamenti di genere. Anche per noi. Dopo tutto. Dopo tutto. Dopo tutto.


Erano trentasei, trasferiti in volo con un aereo governativo da Washington: l’intera faccenda era durata più di quanto chiunque, a parte Leisha, ex avvocato, non si fosse aspettato. Ventisette "Superintelligenti": Miri, Nikos, Allen, Terry, Diane, Christy, Jonathan, Mark, Ludie, Joanna, Toshio, Peter, Sara, James, Raoul, Victoria, Anne, Marty, Bill, Audrey, Alex, Miguel, Brian, Rebecca, Cathy, Victor e Jane. Nomi così comuni per persone così fuori dal comune. Con loro c’erano quattro bambini Insonni "Normali": Joan, Sam, Hako e Androula. C’erano inoltre cinque genitori che apparivano, fondamentalmente, più tesi dei loro bambirri. Fra i genitori c’era Ricky Sharifi.

I suoi occhi scuri erano stati resi pazienti dal dolore, e lui si muoveva con esitazione, come se non fosse certo di avere il diritto di camminare sulla Terra. Quando Leisha si rese conto del perché le sembrasse tutto normale, sorrise. Richard, che ormai appariva più giovane del figlio, aveva avuto quell’aspetto nei mesi successivi al processo di Jennifer.

Il primo processo di Jennifer. I membri del Consiglio del Rifugio si trovavano tutti in prigione a Washington.

— Mio padre è qui? — chiese Ricky a Leisha con pacatezza, durante il primo pomeriggio di permanenza.

— No. Lui, se n’è andato, Ricky.

Ricky annuì, non era sorpreso. Sembrava quasi che si fosse aspettato quella risposta. Forse era proprio così.

Miranda Sharifi, "Miri", prese il comando fin dall’inizio. Dopo il trambusto per l’arrivo, la sistemazione dell’equipaggiamento, delle valigie, delle reti di sicurezza e l’elaborata organizzazione delle stanze di Stella, Miri si recò con suo padre nello studio di Leisha. — Grazie per averci permesso di venire qui, signorina Camden. Siamo intenzionati a studiare una forma di pagamento per l’affitto delle camere non appena i nostri beni saranno stati dissequestrati dal vostro governo.

— Chiamami Leisha. È anche il tuo governo. Ma non è necessaria alcuna forma di affitto, Miri. Siamo contenti di avervi qui.

Gli occhi scuri di Miri la esaminarono. Erano occhi strani, pensò Leisha, non per particolari caratteristiche fisiche, ma perché sembravano vedere cose che nessun altro vedeva. Restò leggermente scioccata nel rendersi conto che, a dispetto dell’ammirazione che già provava per Miri, gli occhi della ragazzina la mettevano a disagio. Quante cose vedeva di lei quello sguardo diretto? Quante cose capiva quel cervello potenziato, diverso, migliore dell’animo profondo di Leisha?

Doveva essere quello che un tempo aveva provato Alice nei suoi confronti, e Leisha non lo aveva mai saputo, non se ne era mai resa conto.

Miri sorrise. Il sorriso le trasformò l’intero volto, lo aprì e lo illuminò. — Grazie, Leisha. È molto generoso. Ma è molto di più: io penso che tu ci consideri parte della tua comunità e per questo ti ringraziamo profondamente. La comunità è un concetto davvero importante, per noi. Preferiremmo tuttavia pagarti. Siamo yagaisti, sai?

— Lo so — rispose Leisha, chiedendosi se fra le cose che il miglior cervello di Miri potesse meglio comprendere ci fosse anche l’ironia. Aveva solo sedici anni.

— C’è… c’è ancora Drew Arlen? O è ritornato in tournée?

— È ancora qui. Ti ha aspettato.

Miri arrossì. "Oh, oh" pensò Leisha. "Oh…" Leisha mandò a chiamare Drew. Lui sollevò lo sguardo verso Miri dalla carrozzella elettrica, con il suo bel volto apertamente interessato, e le porse la mano.

— Salve, Miranda.

— Dopo vorrei parlarle del sogno lucido — disse Miranda senza alcuna grazia, arrossendo ulteriormente. — Sugli effetti neurochimici che ha sul cervello. Ho portato avanti alcuni studi, e lei potrebbe essere interessato ai risultati, un’opportunità di considerare la sua arte dal punto di vista scientifico… — Leisha riconobbe lo sproloquio della ragazzina per quello che era: un regalo. Stava offrendo a Drew quello che riteneva fosse la parte migliore di sé: il proprio lavoro.

— Grazie — fece con espressione seria Drew. Gli occhi gli scintillarono. — Mi piacerebbe.

Leisha restò sbalordita di sé. Si era chiesta se non avrebbe provato una breve, debole fitta di gelosia per l’abbandono di Drew a favore di Miri, era stato anche troppo evidente quanto lui fosse pronto ad abbandonarla, ma quello che provò non fu né breve né di debole intensità. Né si trattò di gelosia. Un sentimento protettivo le avvampò dentro come un fuoco di paglia. Se Drew stava usando quella straordinaria ragazzina solamente per arrivare al Rifugio, lo avrebbe distrutto. Completamente. Miri si meritava di più, aveva bisogno di più, era migliore di cosi.

Sbalordita per il sentimento, Leisha restò in silenzio.

Miri sorrise una seconda volta. Teneva ancora la mano in quella di Drew. — Lei ha cambiato le nostre vite, signor Arlen. Gliene parlerò dopo.

— Grazie. E chiamami Drew.

Leisha vide un ragazzino sudicio di dieci anni con impudenti occhi verdi e maniere raccapriccianti: "Io possederò il Rifugio, io". Guardò nuovamente Miranda: i capelli scuri della ragazzina le ricadevano in avanti per nascondere il volto arrossito e la testa malformata. Il fuoco di paglia infuriò. Miranda ritirò la mano da quella di Drew.

— Io penso — disse Ricky Sharifi — che Miri abbia presto bisogno di mangiare di nuovo. Il suo metabolismo differisce dal nostro, Leisha, saremo un vero salasso per le tue risorse. Lasciaci pagare. Non hai nemmeno visto che cosa riusciranno a fare Terry, Nikos e Diane al tuo equipaggiamento di comunicazione.

Anche Ricky aveva osservato Miranda e Drew. Guardò Leisha e sorrise mestamente. Leisha si accorse che Ricky aveva paura del potere di sua figlia, come Leisha aveva avuto paura del sogno lucido di Drew, e che ne era altrettanto orgoglioso.

— Vorrei che tu avessi conosciuto mia sorella Alice — disse Leisha direttamente a Ricky — È morta l’anno scorso.

Lui sembrò comprendere in quella semplice frase tutto ciò che lei aveva avuto intenzione di dirgli. — Anche io l’avrei voluto.

Miri tornò alla questione riguardante il pagamento. — E non appena il vostro… il nostro… governo si sarà soddisfatto a sufficienza da liberare i nostri beni, saremo tutti ricchi secondo i vostri standard. A dire il vero, avevo intenzione di chiederti se non saresti stata interessata a svolgere il lavoro legale necessario per aiutare un certo numero di noi a fondare industrie registrate nel Nuovo Messico. La maggior parte di noi ha condotto affari o ricerche commerciali, sai, ma qui siamo minorenni. Avremo bisogno di strutture legali che ci permettano di continuare i nostri affari in veste di impiegati part-time di entità industriali in cui ci siano adulti in qualità di amministratori delegati.

— Non è mai stato il mio campo — rispose Leisha misurando le parole. — Ma ti posso suggerire una persona che potrebbe occuparsene. Kevin Baker.

— No. Era il tramite del Rifugio.

— È stato sempre onesto? — chiese Leisha.

— Sì, ma…

— Lo sarebbe anche con voi. — E volentieri: Kevin smaniava sempre per andare là dove si trovava l’affare.

Miri disse: — Esaminerò la cosa con gli altri. — Leisha l’aveva già notata insieme con gli altri Superintelligenti a scambiare sguardi di cui lei era certa di perdersi gran parte del significato; interi volumi carichi di significato che non avrebbe mai visto. E quanto altro significato che non avrebbe mai visto c’era nei globi di stringhe che costruivano l’uno per l’altro, o nei globi di stringhe che avevano nelle loro menti aliene?

Quei globi di stringhe che le rammentavano in modo così imbarazzante le forme del sogno lucido di Drew.

— Ma anche se ci serviremo di Kevin Baker avremo ancora bisogno di un avvocato — continuò Miri. — Ci rappresenterai?

— Grazie, ma non posso — rispose Leisha. Non disse a Miri perché non poteva. Non ancora. — Ma ti posso consigliare degli ottimi avvocati. Justine Sutter, per esempio. È la figlia di un mio vecchissimo amico.

— Una Dormiente? — chiese Miri.

— È molto brava — replicò Leisha. — Ed è quello che conta, no?

— Sì — rispose Miri. Quindi, aggiunse: — Una Dormiente.

Ricky Sharifi intervenne: — Che potrebbe poi essere la cosa migliore. I vostri legali dovranno affrontare le leggi sulla proprietà degli Stati Uniti, dopo tutto. Un mendicante le può conoscere al meglio.

Leisha rilevò: — Se intendi vivere qui, Ricky, dovrai smettere di usare quel termine. Quanto meno in quel modo.

Un istante dopo, Ricky ammise: — Sì. Hai ragione.

Proprio così. Il figlio di Jennifer Sharifi, cresciuto al Rifugio: e gli esseri umani pensavano di comprendere la manipolazione genetica!

Drew chiese improvvisamente a Miri: — Erediterai il Rifugio, un giorno?

Miranda lo fissò a lungo. Leisha non riuscì a stabilire, niente, nemmeno un indizio, che cosa ci fosse nella mente della ragazzina. — Sì — rispose Miri alla fine, con espressione riflessiva. — Anche se non certo per adesso. Fra molto tempo. Forse un secolo. O più. Ma un giorno, sì. Sì.

Drew non rispose. "Un secolo o più" pensò Leisha. Passò un’occhiata fra Drew e Miri, un’occhiata che Leisha non riuscì a interpretare. Non ebbe la più pallida idea di cosa significasse, quando Drew alla fine sorrise.

— Può andare — disse.

Anche Miri sorrise.

26

Leisha stava seduta sulla sua roccia piatta preferita, all’ombra di un pioppo nero. Il ruscello ai suoi piedi era completamente in secca. Trecento metri in direzione della corrente, un Super si muoveva lentamente con il volto chino in avanti verso il terreno. Doveva essere Joanna: era rimasta affascinata dai fossili e stava costruendo una stringa di pensiero tridimensionale, che Leisha non comprendeva, sulla relazione fra i coproliti e le stazioni orbitali. Era poesia, aveva detto Miri, aggiungendo che nessuno di loro aveva mai costruito poesia prima di iniziare a sognare lucidamente. Era quella la frase che aveva usato: "costruito poesia".

Un topo canguro si mise a scavare in un mucchietto di terra secca a pochi passi di distanza. Leisha lo guardò agitare le corte zampette anteriori come una trivella meccanica, quindi scalciar via la terra scavata con le lunghe zampe posteriori. Il topo si voltò improvvisamente e la guardò: orecchie rotonde e occhietti neri ancor più rotondi, sporgenti e lucidi. Aveva una strana protuberanza in cima alla testa: un incipiente tumore, pensò Leisha. L’animaletto tornò al proprio lavoro, aerando accidentalmente il suolo e arricchendolo con i nitrati contenuti nei propri escrementi. In lontananza, lontano dall’ombra del pioppo nero, il deserto scintillava nella calura già infuocata dei primi di giugno.

Leisha sapeva che, se si fosse voltata dall’altra parte, avrebbe visto un diverso tipo di scintillio. Centoventi metri al di sopra della tenuta, le molecole dell’aria venivano distorte da un nuovo genere di campo energetico che Terry stava sperimentando. Sarebbe diventato, aveva detto lui, la successiva svolta nel campo della fisica applicata. Kevin Baker stava negoziando con la Samsung, la IBM e la Konig-Rottsler per la compravendita selettiva dei brevetti di Terry.

Leisha si tolse scarpe e calze. Era una cosa un po’ pericolosa: si trovava oltre la zona ripulita elettronicamente dagli scorpioni. Ma la pietra, calda perfino lì all’ombra, le dava una gradevole sensazione di ruvido sotto ai piedi nudi. Si ricordò improvvisamente di avere esaminato i propri piedi la mattina del suo sessantasettesimo compleanno. Che strano, che cosa bizzarra da ricordare. Il ricordo le fece piacere: aveva appena cominciato a rendersi conto di quante cose, in ottantaquattro anni, dimenticava perfino un Insonne.

I Super ricordavano tutto. Sempre.

Leisha stava aspettando che Miri esplodesse fuori dalla tenuta per accusarla. L’esplosione era già in ritardo: Miri doveva essere rimasta chiusa nel suo laboratorio più del solito. Oppure era con Drew, tornato a casa soltanto da pochi giorni dopo la sua tournée di primavera. In quel caso, sarebbero stati nella camera di lui: in quella di Miri non c’era il letto.

Il topo canguro sparì all’interno della propria buco.

— Leisha!

Leisha si voltò. Una sagoma in pantaloncini verdi stava correndo furiosamente verso di lei dalla tenuta, con le braccia e le gambe che si agitavano. Otto, sette, sei, cinque, quattro, tre…

— Leisha! Perché?

I Super terminavano sempre le cose prima di quanto non ci si aspettasse.

— Perché ho scelto di farlo, Miri. Perché lo voglio.

— Lo vuoi? Difendere mia nonna contro l’accusa di tradimento? Tu, Leisha, che hai un scritto libro fondamentale su Abramo Lincoln?

Leisha sapeva che non si trattava di un non sequitur. Aveva iniziato, negli ultimi tre mesi, a imparare qualcosa su come pensavano i Super. Non al punto da seguire un’intera e complessa forma di stringhe, intessuta di associazioni, ragionamenti, connessioni e scintillante di scosse di sogno lucido. E mai al punto da poterne costruire una personalmente. Né Leisha aveva intenzione di costruirne una. Lei non era fatta così. Tuttavia, aveva imparato a riempire le linee mancanti quando la ragazzina, più importante per lei di quanto non lo fosse stata qualsiasi persona dopo Alice, le parlava. Quanto meno, Leisha era in grado di riempirle se Miri non aveva tralasciato troppi collegamenti. Quella volta non lo aveva fatto.

— Siediti, Miri. Voglio spiegarti perché sono l’avvocato di Jennifer. Ho aspettato qui fuori che tu me lo venissi a chiedere.

— Resto in piedi!

— Siediti — ripeté Leisha e, un istante dopo, Miri si sedette. Si scansò i capelli scuri dalla fronte, sudata perfino dopo la breve corsa, e piombò, arrabbiata, sulla pietra di Leisha senza nemmeno controllare che ci fossero scorpioni.

C’erano così tante cose terrestri da cui Miri non sapeva di doversi guardare.

Leisha aveva studiato attentamente la proprie parole. — Miri, io e tua nonna facciamo parte tutt’e due di una generazione americana specifica: la prima generazione di Insonni. Quella generazione aveva determinate cose in comune con la precedente, quella che ci ha creato. Entrambe le generazioni si sono rese conto che non è possibile avere sia uguaglianza, che è soltanto un nome diverso per ciò che tu chiami solidarietà comune, sia superiorità individuale. Quando gli individui sono liberi di diventare tutto quello che vogliono, alcuni diventeranno geni e alcuni diventeranno mendicanti risentiti. Alcuni porteranno beneficio a se stessi e alle loro comunità, e altri non porteranno beneficio a nessuno e saccheggeranno tutto quello che potranno. L’uguaglianza scompare. Non si può avere sia l’uguaglianza sia la libertà di perseguire la superiorità individuale.

E così, due generazioni hanno scelto la disuguaglianza. Mio padre l’ha scelta per me. Kenzo Yagai l’ha scelta per l’economia americana. Un uomo di nome Calvin Hawke, di cui tu non sai…

— Sì, lo so — la interruppe Miri.

Leisha sorrise pacatamente: — È ovvio. Commento stupido. Ebbene, Hawke si è schierato dalla parte dei nati disuguali e ha cercato di appianare leggermente l’equazione, al diavolo la superiorità. Di tutti noi, solamente Tony Indivino e tua nonna hanno cercato di creare una comunità che riponesse tanto valore nella solidarietà, "uguaglianza" di quelli che erano inclusi come membri, quanto sulle diverse realizzazioni individuali di quei membri. Jennifer ha fallito perché non può essere fatto. Quanto più Jennifer ha fallito, tanto più fanatica è divenuta nel cercare di fare questa cosa, attribuendo la colpa di tutti i fallimenti alle persone che non erano membri della comunità. Restringendo sempre di più la definizione. Allontanandosi sempre di più da qualsiasi tipo di equilibrio. Ma io sospetto che tu sappia in proposito anche più di me.

Leisha aspettò, ma Miri non disse nulla.

— Ma anche se Jennifer si è allontanata sempre di più dal sogno di comunità, quello stesso sogno — il sogno di Tony — era ammirevole. Anche se impossibile, era il sogno idealistico di unire due grandi bisogni umani, due grandi desideri umani. Non puoi perdonare tua nonna sulla base di quel sogno iniziale?

— No — rispose Miri, col volto rigido, e Leisha ricordò ancora una volta quanto la ragazzina fosse giovane. I giovani non perdonano. Leisha aveva mai perdonato sua madre?

Miri disse: — E così è questo il motivo per cui la difendi? A causa di quello che tu consideri il suo sogno iniziale?

— Sì.

Miri si alzò. La pietra le aveva lasciato piccoli solchi sulla parte posteriore delle gambe, sotto ai pantaloncini. I suoi occhi scuri perforarono Leisha, — Restringendo le sue definizioni di comunità, mia nonna ha ucciso mio fratello Tony. — Si allontanò.

Leisha, dopo un momento di shock, arrancò in piedi e le corse dietro a piedi nudi. — Miri. Aspetta!

Miri si fermò, obbediente, e si voltò. Non aveva lacrime sul volto. Leisha balzò in avanti, ricadde su una pietra tagliente e si mise a balzellare dolorosamente. Miri l’aiutò a tornare alla roccia sulla quale le sue scarpe e le sue calze giacevano immobili nella calura.

— Controlla che non ci siano scorpioni prima di infilarle — le ordinò Miri — altrimenti… perché stai sorridendo?

— Lascia perdere. Non so mai quello che sai e quello che non sai. Miri, mi escluderesti dalle tue categorie di comportamento difendibile? Oppure Drew? O tuo padre?

— No!

— Ma tutti noi abbiamo cambiato idea nel corso dei decenni rispetto a ciò che è accettabile, giusto o perfino desiderabile. È questa la chiave, tesoro. Ecco perché difendo tua nonna.

— Qual è la chiave? — schioccò seccamente Miri.

— Il Cambiamento. Il modo imprevedibile in cui gli eventi possono cambiare le persone. E, Miri, gli Insonni vivono a lungo. C’è moltissimo tempo per moltissimi eventi — il tempo che si accumula come polvere — e questo significa molti cambiamenti. Perfino i Dormienti possono cambiare. Quando Drew è venuto da me, era un mendicante, Adesso ha dato un contributo importante al corso del mondo per il modo in cui ha cambiato il meccanismo di pensiero di voi Superintelligenti. È questa la risposta, Miri. Non puoi considerare nessuno non difendibile, mai, perché le cose cambiano. Perfino tua nonna potrebbe cambiare. Forse in particolar modo tua nonna. Miri? Capisci quello che voglio dire?

— Ci penserò — latrò Miri.

Leisha sospirò. Il pensiero di Miri in proposito sarebbe stato così complesso che Leisha, se avesse visto i risultati in un ologramma a stringhe, non avrebbe potuto nemmeno riconoscere la propria argomentazione.

Quando Miri fu rientrata in casa e Leisha ebbe infilato nuovamente scarpe e calze, la donna si sedette sulla pietra piatta guardando il deserto, con le braccia strette attorno alle ginocchia.

La gente cambiava. Mendicanti potevano diventare artisti. Produttivi avvocati potevano diventare afflitti fannulloni, oziando come Achille nella sua tenda, oziando per decenni, un ozio di tipo mondiale, e poi passare nuovamente la sbarra e tornare a essere avvocati. Esperti marini potevano diventare vagabondi. Ricercatori del sonno potevano diventare mogli fallite e poi trasformarsi nuovamente in brillanti ricercatori. I Dormienti potevano non essere in grado di diventare Insonni… oppure sì? Solo perché Adam Walcott aveva fallito quarant’anni prima, solo perché Susan Melling aveva detto che era una cosa impossibile, significava forse che sarebbe rimasto impossibile per sempre? Susan non aveva mai saputo dell’esistenza dei Superintelligenti.

"Tony" disse Leisha in silenzio, "non esistono mendicanti permanenti in Spagna. O in qualsiasi altro posto. Il mendicante al quale dai un dollaro oggi potrebbe cambiare il mondo domani. O diventare il padre dell’uomo che lo farà. O il nonno, oppure il bisnonno. Non esiste una stabile ecologia di commercio, come pensavo un tempo, quando ero molto giovane. Non esiste nulla di stabile, tanto meno di stagnante, nel corso del tempo. E nulla di assolutamente improduttivo. I mendicanti sono soltanto linee genetiche poste temporaneamente fra le comunità."

Il topo canguro uscì dalla propria tana e annusò una primula odorosa. Leisha vide chiaramente la protuberanza sulla sua testa. Non era naturale. Il pelo era di colore differente e cresceva in ciuffi più lunghi: la protuberanza era troppo perfettamente rotonda. Il topo canguro la piegò in avanti per toccare con i ciuffi la primula odorosa e si fermò. La protuberanza era una specie di sensore. L’animale era modificato geneticamente: lì, in quel luogo lontano, contro ogni regola e ogni aspettativa. Leisha si legò i lacci delle scarpe e si alzò. Si sentì improvvisamente benissimo, come la ragazza che il suo corpo la faceva ancora sembrare. Piena di energia. Piena di luce.

C’era così tanto da fare.

Si voltò in direzione della tenuta e cominciò a correre.

FINE
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