PARTE QUARTA LA REGINA DEI DANNATI

Le ali agitano nel sole la polvere

della cattedrale dove

il Passato è sepolto

fino al mento nel marmo

Stan Rice

da «Poem on Crawling into Bed: Bitterness»

Body of Work (1983)


Nel verde invetriato della siepe

e dell’edera

e di fragole non commestibili

i gigli sono bianchi; remoti; estremi.

Ah, se fossero i nostri custodi.

Sono barbari.

Stan Rice

da «Greek Fragments»

Body of Work (1983)


Sedeva in fondo alla tavola e li attendeva; così immobile e placida, con la veste color magenta che dava alla sua pelle uno splendore carnale nella luce del fuoco.

Il viso era profilato dall’oro delle fiamme e il vetro scuro della finestra la rifletteva vividamente in uno specchio perfetto, come se l’immagine fosse reale e aleggiasse là fuori nella notte trasparente.

Paura. Paura per loro e per me. E stranamente anche per lei. Era come un brivido, un presentimento. Per lei. Lei che poteva distruggere tutti coloro che avevo amato.

Alla porta, mi voltai e baciai di nuovo Gabrielle. La sentii accasciarsi contro di me per un istante; poi la sua attenzione si concentrò su Akasha. Sentii il tremito leggero delle sue mani quando mi toccò il viso. Guardai Louis, il mio Louis apparentemente fragile, dalla compostezza apparentemente invincibile; e Armand, il monello dal volto d’angelo. Coloro che ami sono semplicemente… coloro che ami.

Marius era raggelato dalla collera quando entrò nella stanza: nulla poteva nasconderlo. Mi guardò minacciosamente… io che avevo ucciso quei poveri mortali indifesi e li avevo lasciati sparsi sulla montagna. Lo sapeva, no? E tutta la neve del mondo non poteva nasconderli. Ho bisogno di te, Marius. Abbiamo bisogno di te.

La sua mente era velata; tutte le loro menti lo erano. Potevano tenerle celati i loro segreti?

Mentre entravano, andai alla destra di Akasha perché era ciò che voleva, e perché sapevo che era il mio posto. Indicai a Gabrielle e Louis di sedere di fronte, vicini, dove potevo vederli. E l’espressione di Louis, così rassegnata e dolente, mi colpì al cuore.

La donna dai capelli rossi, la donna antica chiamata Maharet, sedette all’estremità opposta della tavola, più vicina alla porta. Marius e Armand erano alla sua destra. Alla sinistra c’era la giovane dai capelli rossi, Jesse. Maharet sembrava assolutamente passiva e composta, come se nulla potesse allarmarla. Ma era facile comprendere il perché. Akasha non poteva fare del male a quell’essere, né all’altro, l’antichissimo Khayman, che era seduto alla mia destra.

Quello chiamato Eric era terrorizzato, lo si vedeva. Sedette alla tavola con grande riluttanza. Anche Mael era spaventato, ma la paura lo rendeva furioso. Fissava minacciosamente Akasha, come se non si curasse di nascondere i propri sentimenti.

E Pandora, la bella Pandora dagli occhi scuri, appariva noncurante mentre prendeva posto vicino a Marius. Non guardava neppure Akasha: guardava al di là della vetrata e i suoi occhi si muovevano lentamente, affettuosamente sulla foresta buia, con le scure cortecce delle sequoie e il verde intenso.

L’altro che non si curava di nulla era Daniel. Avevo visto al concerto anche lui. Non avevo immaginato che Armand fosse in sua compagnia. Non avevo avuto la più vaga indicazione che Armand fosse presente. E pensare che tutto ciò che avremmo potuto dirci era perduto per sempre. Ma forse no. Avremmo avuto tempo da trascorrere insieme, io e Armand, e tutti noi. Daniel lo sapeva, il bel Daniel, il giornalista con il registratore che aveva dato l’avvio a tutto, in un certo senso, insieme a Louis in una stanza di Divisadero Street. Perciò guardava Akasha con tanta serenità, perciò esplorava la realtà di momento in momento.

Guardai Santino, un essere piuttosto regale dai capelli neri, che mi scrutava con aria calcolatrice. Anche lui non aveva paura, ma era disperatamente interessato a ciò che stava accadendo. Quando guardava Akasha era toccato dalla sua bellezza, come se aprisse in lui una ferita profonda. La vecchia fede divampò per un momento, la fede che per lui era stata più importante della sopravvivenza e che era stata bruciata amaramente.

Non c’era tempo per comprenderli tutti, per valutare i legami che li univano e chiedere il significato della strana immagine, le due donne dai capelli rossi e il corpo della loro madre, che rividi in un lampo fuggevole quando guardai Jesse.

Mi domandavo se potevo scrutare nella mia mente e trovarvi tutto ciò che cercavo di nascondere, ciò che inconsapevolmente nascondevo a me stesso.

Il viso di Gabrielle era imperscrutabile. I suoi occhi erano divenuti piccoli e grigi come se escludessero la luce e il colore; girò lo sguardo da me ad Akasha e poi di nuovo a me, come se cercasse di comprendere qualcosa.

Mi colse un terrore improvviso. Forse era sempre stato presente. Loro non avrebbero mai ceduto: qualcosa d’inveterato lo avrebbe impedito, come era accaduto a me. E vi sarebbe stata una risoluzione fatale prima che lasciassimo quella stanza.

Per un momento mi sentii paralizzato. All’improvviso afferrai la mano di Akasha e sentii le sue dita stringersi con delicatezza sulle mie.

«Taci, mio principe», disse in tono gentile. «Ciò che senti in questa stanza è la morte, ma è la morte delle credenze e delle costrizioni. Nulla di più.» Guardò Maharet. «La morte dei sogni, forse», disse, «dei sogni che avrebbero dovuto morire molto tempo fa.»

Maharet era passiva e senza vita per quanto può apparirlo un essere vivente. Gli occhi violetti erano stanchi, iniettati di sangue. E di colpo compresi il perché. Erano occhi umani. Stavano morendo nelle sue orbite. Il suo sangue vi infondeva continuamente vita, ma non era sufficiente. Troppi minuscoli nervi del suo corpo erano morti.

Rividi la visione del sogno. Le gemelle, il corpo davanti a loro. Qual era il nesso?

«Non è nulla», sussurrò Akasha. «Una cosa dimenticata da molto tempo, perché ora non vi sono risposte nella storia. Abbiamo trasceso la storia. La storia è costruita sugli errori, e noi incominceremo con la verità.»

Marius intervenne prontamente.

«Non c’è nulla che possa persuaderti a fermarti?» Il tono era infinitamente più umile di quanto mi aspettassi. Stava teso in avanti, con le dita intrecciate e l’atteggiamento di chi si sforza d’essere ragionevole. «Che cosa possiamo dire? Vogliamo che tu smetta le apparizioni. Vogliamo che tu non intervenga più.»

Le dita di Akasha si strinsero sulle mie. La donna dai capelli rossi mi fissava con gli occhi violetti iniettati di sangue.

«Akasha, ti supplico», disse Marius. «Interrompi questa ribellione. Non apparire più ai mortali, non impartire loro altri comandi.»

Akasha rise sommessamente. «E perché no, Marius? Perché sconvolge il tuo mondo prezioso, il mondo che hai osservato per duemila anni, come un tempo voi romani osservavate la vita e la morte nell’arena, come se queste cose fossero un divertimento o uno spettacolo, come se non avesse importanza, la realtà letterale della sofferenza e della morte, purché vi svagasse?»

«So che cosa intendi fare», disse Marius. «Akasha, non ne hai il diritto.»

«Marius, il tuo discepolo mi ha esposto gli stessi vecchi argomenti», rispose Akasha. Il suo tono era altrettanto carico di pazienza. «Ma, cosa ancora più importante, li ho esposti mille volte a me stessa. Per quanto tempo pensi che abbia ascoltato le preghiere del mondo, cercando un modo per porre fine al ciclo interminabile della violenza umana? Ora è giusto che tu ascolti ciò che io ho da dire.»

«E noi dovremo avere un ruolo in questo?» chiese Santino. «Oppure verremo annientati come gli altri?» Il suo tono era più impulsivo che arrogante.

Per la prima volta la donna dai capelli rossi tradì un guizzo d’emozione; i suoi occhi stanchi si fissarono su di lui, le labbra si contrassero.

«Voi sarete i miei angeli», rispose teneramente Akasha mentre guardava Santino. «Sarete i miei dèi. Se non vorrete seguirmi, vi annienterò. In quanto ai vecchi, i vecchi che non posso eliminare», continuò con un altro sguardo a Khayman e Maharet, «se si opporranno a me, saranno trattati da demoni miei nemici e tutta l’umanità darà loro la caccia: con la loro opposizione serviranno il mio piano. Perderete tutto ciò che avevate in passato… avrete solo un mondo in cui vagare furtivamente.»

Sembrava che Eric stesse perdendo la battaglia silenziosa con la paura. Si mosse come se stesse per alzarsi e andarsene.

«Abbi pazienza», disse Maharet guardandolo. Poi girò lo sguardo verso Akasha che sorrise.

«Come si può», chiese Maharet a voce bassa, «spezzare un ciclo di violenza ricorrendo ad altra violenza? Tu annienti i maschi della specie umana. Quale può essere il risultato di un atto tanto brutale?»

«Lo conosci quanto me», disse Akasha. «È troppo semplice ed elegante perché sia possibile fraintenderlo. Era inimmaginabile fino a ora. Per tutti questi secoli sono rimasta assisa in trono nel sacrario di Marius: sognavo una terra che fosse un giardino, un mondo dove gli esseri vivono senza il tormento che udivo e percepivo. Sognavo che la gente raggiungesse la pace, un mondo senza tirannia. E poi, la semplicità assoluta della rivelazione mi ha colpita: era come lo spuntare dell’alba. Chi può realizzare il sogno sono le donne: ma solo se vengono eliminati tutti gli uomini… o quasi tutti.

«In epoche precedenti non sarebbe stato un piano realizzabile. Ma ora è facile: c’è un’immensa tecnologia che può rinforzarlo. Dopo l’epurazione iniziale sarà possibile scegliere il sesso dei nascituri; quelli indesiderati potranno essere abortiti misericordiosamente come oggi avviene per i nascituri di entrambi i sessi. Ma in realtà non c’è bisogno di discutere questo aspetto. Non siete sciocchi, per quanto siate emotivi e impetuosi.

«Sapete anche voi che vi sarà la pace universale se la popolazione maschile sarà limitata all’uno per cento di quella femminile. Tutte le forme di violenza avranno fine.

«Il regno della pace sarà qualcosa che il mondo non ha mai conosciuto. Poi la popolazione maschile potrà essere aumentata gradualmente. Ma perché cambi davvero il mondo e il modo di pensarlo, i maschi devono scomparire. Chi può contestarlo? Forse non sarebbe necessario neppure tenerne uno su cento; tuttavia sarà un gesto generoso. Quindi lo permetterò. Almeno all’inizio.»

Vedevo che Gabrielle stava per parlare. Cercai di accennarle in silenzio di tacere, ma mi ignorò.

«D’accordo, gli effetti sono ovvi», disse. «Ma quando parli di sterminio, allora i problemi della pace diventano ridicoli. Tu intendi abbattere metà della popolazione mondiale. La terra sarebbe pacifica anche se uomini e donne nascessero senza braccia e senza gambe.»

«Gli uomini meritano ciò che accadrà loro. Come specie mieteranno ciò che hanno seminato. E ricorda: io parlo di un’epurazione temporanea… per così dire una ritirata. La sua semplicità è magnifica. Collettivamente, le vite di quegli uomini non eguagliano le vite delle donne che sono state uccise per mano degli uomini nel corso dei secoli. Tu lo sai e io lo so. Ora, dimmi: nello stesso tempo quanti uomini sono morti per mano delle donne? Se riportassi in vita tutti gli uomini uccisi da una donna, credi che sarebbero abbastanza numerosi per riempire questa casa?

«Ma vedi, tutto questo non conta. Sappiamo tutti che dico la verità. Ciò che è importante, ed è ancora più squisito della stessa proposizione, è il fatto che ora abbiamo i mezzi per farlo accadere. Io sono indistruttibile. E voi siete dotati delle qualità necessarie per essere i miei angeli. E non c’è nessuno che possa opporsi a noi con successo.»

«Questo non è vero», disse Maharet.

Un lampo di collera colorò le guance di Akasha, un rossore splendido che svanì per ridarle l’aspetto inumano di sempre.

«Intendi dire che tu puoi fermarmi?» chiese stringendo le labbra. «Sei avventata a insinuare una cosa del genere. E per questa affermazione sei disposta a tollerare la morte di Eric, di Mael e di Jessica?»

Maharet non rispose. Mael era visibilmente sconvolto dalla collera, non dalla paura. Guardò Jesse e Maharet, quindi guardò me, e potei percepire il suo odio.

Akasha continuava a fissare Maharet.

«Oh, ti conosco, credimi», continuò Akasha con voce leggermente più sommessa. «So che sei sopravvissuta a questi anni senza cambiare. Ti ho vista mille volte negli occhi degli altri; so che ora sogni che tua sorella sia viva. E forse lo è… ma in una forma patetica. So che il tuo odio per me si è incancrenito, e che torni a frugare nella tua mente fino all’origine come se potessi trovarvi una ragione per quanto sta accadendo adesso. Ma come tu stessa mi dicesti molto tempo fa, quando parlammo in un palazzo di mattoni d’argilla in riva al Nilo, non esiste una ragione. Non c’è nulla! Vi sono cose visibili e invisibili, e cose orrende possono accadere ai più innocenti tra noi. Non capisci…? È essenziale per ciò che faccio, come tutto il resto.»

Maharet non rispose neppure questa volta. Stava seduta rigida e solo gli occhi bellissimi tradivano il riflesso di qualcosa che poteva essere sofferenza.

«Io creerò una nuova ragione», disse Akasha con una sfumatura di collera. «Creerò un nuovo e diverso futuro. Definirò il bene. Definirò la pace. E non invocherò dèi o dee o spiriti mitici per giustificare le mie emozioni in nome di una morale astratta. Non mi appello neppure alla storia! Non cerco nella polvere il cuore e il cervello di mia madre!»

Un brivido scosse gli altri. Un sorriso amaro apparve sulle labbra di Santino. E Louis guardò la figura muta di Maharet con un’espressione che sembrava protettiva.

Marius non voleva che quella scena continuasse.

«Akasha», disse in tono implorante, «anche se fosse possibile, anche se la popolazione dei mortali non insorgesse contro di te e gli uomini non trovassero il modo di annientarti molto prima che il piano venga realizzato…»

«Sei uno sciocco, Marius, o pensi che la sciocca sia io. Non credi che sappia di cosa è capace questo mondo, e di quale mistura assurda di mentalità selvaggia e di tecnologia sia l’uomo moderno?»

«Mia regina, non credo che tu lo sappia», ribattè Marius. «In verità non lo credo. Non penso che tu possa contenere nella mente l’intera concezione di ciò che è il mondo. Nessuno di noi lo può: è troppo vario e troppo immenso; possiamo cercare di abbracciarlo con la ragione, ma non ci riusciamo. Tu conosci un mondo, ma non è il mondo, è un mondo che hai scelto tra una dozzina di altri per ragioni tutte tue.»

Akasha scosse la testa e la sua collera divampò di nuovo. «Non mettere alla prova la mia pazienza, Marius», disse. «Ti ho risparmiato per una sola ragione: lo voleva Lestat. E perché sei forte e puoi essermi d’aiuto. Ma è tutto, Marius. Attento a ciò che fai.»

Scese un profondo silenzio. Sicuramente Marius sapeva che Akasha stava mentendo. Anch’io me ne rendevo conto. Lei lo amava, e questo le sembrava umiliante, perciò cercava di ferirlo. E c’era riuscita. In silenzio, Marius frenò la rabbia.

«Anche se fosse possibile», insistette con gentilezza, «puoi affermare che gli esseri umani si sono comportati male al punto di meritare una simile punizione?»

Mi sentii sopraffare dal sollievo. Sapevo che ne avrebbe avuto il coraggio, che avrebbe trovato il modo di portare la discussione in acque più profonde, per quanto lei lo minacciasse. Avrebbe detto tutto ciò che io mi sforzavo di dire.

«Ah, ora mi disgusti», rispose lei.

«Akasha, sono duemila anni che osservo e frequento questo mondo», disse Marius. «Chiamami il romano nell’arena, se vuoi, e parlami delle epoche antecedenti. Quando m’inginocchiavo ai tuoi piedi pregavo perché mi dispensassi il tuo sapere. Ma ciò che ho veduto in questo breve tempo mi ha riempito di reverenza e di amore per tutte le cose mortali; ho veduto rivoluzioni del pensiero e della filosofia che credevo impossibili. La razza umana non si sta forse avviando verso l’era di pace di cui parli?»

Il volto di Akasha era il ritratto dello sdegno.

«Marius», disse, «questo passerà alla storia come uno dei secoli più sanguinosi della storia umana. Di quali rivoluzioni parli, quando milioni di persone sono state sterminate da una piccola nazione europea per il capriccio di un pazzo, quando intere città sono state cancellate dalle bombe? Quando nei paesi desertici dell’est i bambini fanno guerra ad altri bambini in nome di un Dio antico e dispotico? Marius, le donne di tutto il mondo gettano nelle fogne i frutti del loro grembo. Le urla degli affamati sono assordanti, ma non sono ascoltate dai ricchi che folleggiano nelle cittadelle tecnologiche; le malattie si scatenano tra gli affamati di interi continenti mentre i malati miliardari, negli ospedali principeschi, spendono la ricchezza del mondo in perfezionamenti estetici e nella promessa di una vita eterna grazie a pillole e fìalette!» Akasha rise sommessamente. «Le grida dei morenti si sono mai levate più forti agli orecchi di quelli di noi che possono udirle? È mai stato sparso più sangue?»

Intuivo la frustrazione di Marius, la passione che lo spingeva a stringere i pugni e a frugarsi nell’anima in cerca delle parole adatte.

«C’è qualcosa che tu non puoi vedere», disse alla fine. «Qualcosa che non puoi comprendere.»

«No, mio caro. La mia visione non ha difetti. Non ne ha mai avuti. Sei tu che non sai capire. È sempre stato così.»

«Guarda la foresta!» esclamò Marius indicando le pareti di vetro. «Scegli un albero: descrivilo in termini di ciò che distrugge, di ciò che sfida e di ciò che non realizza, e avrai un mostro dalle radici avide e dallo slancio irresistibile che ruba la luce ad altre piante, le loro sostanze nutritive e la loro aria. Ma non è questa la verità dell’albero. Non è tutta la verità quando viene visto come parte della natura, e per natura io non intendo nulla di sacro, Akasha, ma soltanto la trama completa. Mi riferisco solo alla cosa più vasta che abbraccia tutto.»

«E così sceglierai le tue cause per essere ottimista», disse Akasha. «Come hai sempre fatto. Suvvia, esamina le città occidentali dove persino ai poveri vengono dati ogni giorno piatti di carne e verdure e dimmi che la fame non esiste più. Il tuo allievo mi ha già raccontato queste favole… l’idiozia su cui si è sempre basato il compiacimento dei ricchi. Il mondo è sprofondato nella depravazione e nel caos; è come sempre, o è addirittura peggiorato.»

«Oh, no, non è vero», ribattè Marius. «Uomini e donne sono animali capaci di apprendere. Se non vedi ciò che hanno imparato, sei cieca. Sono creature che mutano sempre, migliorano sempre e ampliano la loro visione e le capacità dei loro cuori. Non sei giusta con loro quando dici che questo è il secolo più sanguinoso; non vedi la luce che risplende più fulgida proprio a causa delle tenebre? Non vedi l’evoluzione della razza umana?»

Marius si alzò dal tavolo, e si avvicinò a lei da sinistra. Prese il posto libero tra Akasha e Gabrielle. Quindi le strinse la mano e la sollevò.

Avevo paura, paura che lei non gli permettesse di toccarla; ma parve che gradisse il gesto, perché si limitò a sorridere.

«È vero ciò che dici della guerra», continuò Marius: l’implorava e nello stesso tempo lottava con la propria dignità. «Sì, le grida dei morenti: anch’io le ho udite. Tutti le abbiamo udite nel corso dei decenni, e ancora oggi il mondo è sconvolto dalle notizie quotidiane dei conflitti armati. Ma la luce di cui parlo è la protesta contro tali orrori, un atteggiamento che non era mai stato possibile in passato. È l’intolleranza di uomini e donne al potere: per la prima volta nella storia della razza umana vogliono veramente porre fine all’ingiustizia in tutte le forme.»

«Parli della posizione intellettuale di pochi.»

«No», disse. «Parlo della filosofia che cambia; parlo dell’idealismo dal quale nasceranno nuove realtà. Akasha, per quanto siano carichi di difetti, devono avere il tempo di perfezionare i loro sogni, non capisci?»

«Sì!» esclamò Louis.

Mi sentii stringere il cuore. Così vulnerabile! Se Akasha si fosse scagliata contro di lui… Ma Louis stava continuando con i suoi modi quieti e raffinati.

«Il mondo è loro, non nostro», disse umilmente. «Noi vi abbiamo rinunciato con la perdita della mortalità. Non abbiamo diritto d’interrompere la loro lotta: altrimenti li derubiamo di vittorie che sono costate anche troppo! Negli ultimi cent’anni i loro progressi sono stati miracolosi; hanno raddrizzato torti che l’umanità credeva inevitabili; per la prima volta hanno messo a punto il concetto della vera famiglia dell’uomo.»

«La tua sincerità mi commuove», disse Akasha. «Ti ho risparmiato solo perché Lestat ti amava. Ora comprendo la ragione di tale amore. È necessario un grande coraggio per parlarmi a cuore aperto. Eppure tu sei il predatore più accanito tra tutti gli immortali presenti. Tu uccidi indipendentemente dall’età, dal sesso e dalla volontà di vivere.»

«Allora uccidimi!» rispose Louis. «Vorrei che lo facessi. Ma non uccidere gli esseri umani! Non interferire, anche se si uccidono fra loro! Dai loro il tempo di veder realizzata la nuova visione; lascia che le città dell’Occidente, per quanto corrotte, possano diffondere i loro ideali in un mondo sofferente.»

«Il tempo», disse Maharet. «Forse è ciò che chiediamo. Il tempo. Ed è ciò che puoi darci.»

Vi fu un silenzio.

Akasha non voleva più guardare quella donna, non voleva ascoltarla. Sentivo la sua repulsione. Sottrasse la mano a Marius; guardò Louis per un lungo istante, quindi si rivolse a Maharet come se non potesse evitarlo. Il suo volto assunse un’espressione quasi crudele.

Ma Maharet continuò: «Hai meditato in silenzio e per secoli le tue soluzioni. Cosa contano altri cent’anni? Non negherai che l’ultimo secolo ha superato ogni predizione e ogni fantasia… e che i progressi tecnologici possono assicurare cibo, riparo e salute a tutti i popoli della terra».

«È davvero così?» rispose Akasha. Un odio profondo accese il suo sorriso. «È questo che i progressi tecnologici hanno dato al mondo. Hanno portato gas velenosi, malattie nate nei laboratori, incidenti nucleari che hanno contaminato il cibo e le bevande di interi continenti. E gli eserciti fanno con efficienza moderna ciò che hanno sempre fatto. L’aristocrazia di un popolo massacrata in un’ora in una foresta piena di neve; l’intellighentia di una nazione uccisa sistematicamente. Nel Sudan le donne vengono ancora mutilate abitualmente per piacere ai mariti; in Iran i bambini corrono incontro al fuoco dei fucili!»

«Non può esser tutto ciò che hai visto», disse Marius. «Non lo credo. Akasha, guardami. Considera con bontà quanto sto cercando di dirti.»

«Non ha importanza che tu lo creda o no!» ribattè lei, incollerita. «Non hai accettato ciò che ho cercato di dirti. Non ti sei arreso all’immagine squisita che ho presentato alla tua mente. Non capisci quale dono ti offro! Ti salverei! E che cosa sarai se non lo farò? Un bevitore di sangue, un assassino!»

Non avevo mai sentito la sua voce tanto accalorata. Quando Marius accennò a rispondere, gli impose imperiosamente di tacere e guardò Santino e Armand.

«Tu, Santino, che hai sempre governato i Figli delle Tenebre romani, quando credevano di compiere il volere di Dio quali servitori del Diavolo… ricordi cosa significava avere uno scopo? E tu, Armand, capo della vecchia congrega di Parigi, ricordi quand’eri un santo della tenebra? Avevate il vostro posto fra il paradiso e l’inferno. Io ve l’offro di nuovo, e non è un’illusione. Non potete tendere le braccia verso gli ideali perduti?»

Nessuno rispose. Santino era in preda all’orrore: la ferita che aveva dentro sanguinava. Il viso di Armand rivelava soltanto disperazione.

Un’espressione cupa e fatalista apparve negli occhi di Akasha. Era inutile. Nessuno di loro l’avrebbe seguita. Fissò Marius.

«La tua umanità!» disse. «Non ha imparato nulla in seimila anni! Tu mi parli di ideali e di mete! Alla corte di mio padre, in Uruk, c’erano uomini consapevoli del dovere di nutrire gli affamati. Sai cos’è il tuo mondo moderno? Le televisioni sono i tabernacoli del miracoloso e gli elicotteri sono gli angeli della morte!»

«Sta bene. E come sarebbe il tuo mondo?» chiese Marius. Gli tremavano le mani. «Non credi che le donne si batteranno per i loro uomini?»

Lei rise. Si girò verso di me. «Hanno lottato nello Sri Lanka, Lestat? Hanno lottato ad Haiti?»

Marius mi fissò. Attese che rispondessi e mi schierassi con lui. Avrei voluto discutere, afferrarmi ai fili che mi aveva offerto e proseguire. Ma nella mia mente si fece un gran vuoto.

«Akasha», dissi, «non continuare questo bagno di sangue. Ti prego. Non mentire agli esseri umani, non frastornarli ancora di più.»

Ecco, era brutale, ma era l’unica verità che potevo esprimere.

«Sì, l’essenza è questa», disse Marius, in tono nuovamente cauto, timoroso e quasi supplichevole. «È una menzogna, Akasha, un’altra menzogna superstiziosa. Non ne abbiamo avuto abbastanza? E proprio ora, quando il mondo si sta svegliando dalle vecchie illusioni, quando ha ripudiato i vecchi dèi.»

«Una menzogna?» Akasha indietreggiò, come se fosse offesa. «Cos’è la menzogna? Ho mentito quanto ho detto che avrei portato sulla terra il regno della pace? Ho mentito quando ho detto di essere colei che aspettavano? No, non ho mentito. Posso dar loro la prima verità della loro esistenza. Sono ciò che gli altri mi credono. Sono eterna e onnipotente, e li proteggerò…»

«Li proteggerai?» chiese Marius. «Come puoi proteggerli dai nemici più esiziali?»

«Quali nemici?»

«La malattia, mia regina. La morte. Non sei una risanatrice. Non puoi dare la vita o salvarla. Ed essi attenderanno tali miracoli! Tu puoi solo uccidere.»

Silenzio. Il viso di Akasha era improvvisamente privo di vita come l’avevo visto nel sacrario; gli occhi fìssi nel vuoto; il nulla o il pensiero profondo, impossibili da distinguere.

L’unico rumore era quello dei pezzi di legno che cadevano nel fuoco.

«Akasha», mormorai. «Il tempo, ciò che ha chiesto Maharet. Un secolo. È così poco.»

Mi guardò stordita. Sentii la morte alitarmi in volto, la morte vicinissima come tanti anni prima, quando i lupi m’inseguivano nella foresta gelida e io non riuscivo ad afferrarmi ai rami degli alberi spogli.

«Siete tutti miei nemici, no?» mormorò Akasha. «Persino tu, mio principe. Tu mi sei nemico. Il mio amante e il mio nemico nello stesso tempo.»

«Ti amo!» dissi. «Ma non posso mentirti. Non posso credere al tuo piano! È sbagliato. Sono la sua eleganza e la sua semplicità a renderlo sbagliato!»

Girò rapidamente gli occhi sugli altri. Eric era nuovamente sull’orlo del panico, e sentivo la collera che ingigantiva in Mael.

«Non c’è uno solo di voi che si schieri con me?» mormorò Akasha. «Nessuno disposto a realizzare il sogno abbagliante? Nessuno pronto a rinunciare al suo piccolo mondo egoistico?» Fissò Pandora. «Ah, tu, povera sognatrice che rimpiangi la perduta umanità: non vorresti riscattarti?»

Pandora la guardava come attraverso un velo. «Non amo essere portatrice di morte», rispose con un bisbiglio ancora più sommesso. «Mi basta vederla nelle foglie che cadono. Non posso credere che dallo spargimento di sangue possa derivare il bene. Questo è il punto cruciale, mia regina. Gli orrori avvengono ancora, ma dovunque c’è chi li deplora; e tu vorresti portare il dialogo alla fine.» Sorrise tristemente. «Per te sono inutile. Non ho nulla da dare.»

Akasha non rispose. Girò di nuovo lo sguardo sugli altri, come se misurasse Mael, Eric. E Jesse.

«Akasha», dissi, «la storia è una litania d’ingiustizie, e nessuno lo nega. Ma quando mai una soluzione semplice non è stata malvagia? Noi troviamo le risposte solo nella complessità. Tramite la complessità gli uomini tendono all’equità: è un percorso lento e faticoso, ma è l’unica strada. La semplicità richiede un sacrificio troppo grande. È sempre stato così.»

«Sì», disse Marius. «È esatto. Semplicità e brutalità sono sinonimi nella filosofìa e nelle azioni. Ciò che proponi è brutale!»

«Non c’è umiltà in te?» chiese all’improvviso Akasha. Si girò verso di me. «Non c’è la volontà di comprendere? Siete così orgogliosi, tutti, così arroganti. Volete che il mondo rimanga immutato, in nome della vostra avidità!»

«No», disse Marius.

«Che cosa ho fatto perché vi siate schierati contro di me?» chiese lei. Guardò me, poi Marius e infine Maharet. «Da Lestat mi attendevo arroganza, banalità e retorica e idee non collaudate. Ma da molti di voi mi aspettavo di più. Oh, come mi deludete. Come potete voltare le spalle al destino che ci aspetta? Voi che potreste essere i salvatori, come potete negare ciò che avete visto?»

«Ma loro non vogliono sapere che cosa siamo in realtà», disse Santino. «E quando lo sapessero, insorgerebbero contro di noi. Vorrebbero il sangue immortale, come sempre.»

«Anche le donne vogliono vivere per sempre», disse freddamente Maharet. «Anche le donne ucciderebbero per questo.»

«Akasha, è una follia!» disse Marius. «È irrealizzabile. Per il mondo occidentale sarebbe impensabile non resistere.»

«È una visione selvaggia e primitiva», disse Maharet in tono di freddo disprezzo.

Il volto di Akasha si oscurò di nuovo per la collera; tuttavia non perse la sua grazia. «Ti sei sempre opposta a me!» disse a Maharet. «Ti annienterei, se potessi. Farei soffrire coloro che ami.»

Vi fu un silenzio sgomento. Sentivo la paura degli altri anche se nessuno osava muoversi o parlare.

Maharet annuì e sorrise.

«L’arrogante sei tu», rispose. «Tu non hai imparato nulla, non sei cambiata in seimila anni. La tua anima è rimasta imperfetta mentre i mortali si avviavano verso regni che non potrai mai comprendere. Nel tuo isolamento hai sognato come fanno milioni di mortali, protetta da ogni sfida e da ogni contestazione; e ora emergi dal silenzio, pronta a rendere reali quei sogni per il mondo? Li porti qui, a questo tavolo, tra un gruppo di tuoi simili, e si sgretolano. Non puoi difenderli. Com’è possibile che qualcuno li difenda? E ci dici che neghiamo ciò che vediamo!»

Maharet si alzò lentamente. Si protese un poco in avanti, appoggiandosi sulla punta delle dita.

«Bene, ti dirò che cosa vedo», continuò. «Seimila anni fa, quando gli uomini credevano negli spiriti, accadde un episodio atroce e irreversibile, a suo modo spaventoso come i mostri che ogni tanto nascono dai mortali e che la natura non lascia in vita. Ma tu ti aggrappasti alla vita, alla tua volontà e alle tue prerogative reali e rifiutasti di portare con te nella tomba quell’errore spaventoso. Il tuo scopo era santificarlo, creare una religione grande e splendida; e ancora oggi questo è il tuo scopo. Ma fu un incidente, una distorsione e nulla di più.

«Ora guarda le epoche trascorse da quel momento tenebroso e malefico; guarda le altre religioni fondate sulla magia, su un’apparizione o una voce discesa dalle nuvole, fondate sull’intervento del sovrannaturale in un modo o nell’altro… miracoli, rivelazioni, un morto che risorge!

«Guarda gli effetti delle tue religioni, i movimenti che hanno travolto milioni di umani con le loro affermazioni fantastiche. Guarda cos’hanno fatto alla storia umana, guarda le guerre combattute per loro causa, le persecuzioni, i massacri. Guarda l’asservimento della ragione; guarda il prezzo della fede e dello zelo.

«E tu ci parli dei bambini che muoiono in Oriente, in nome di Allah, mentre crepitano i fucili e cadono le bombe!

«E la guerra di cui parli, in cui una piccola nazione europea ha cercato di sterminare un popolo… In nome di quale grandioso disegno spirituale per un mondo nuovo venne fatto tutto questo? E il mondo che cosa ne ricorda? I campi di sterminio, i forni dove i cadaveri venivano bruciati a migliaia. Le idee sono scomparse!

«Ti assicuro: sarebbe difficile determinare qual è il male più grande… la religione o l’idea pura. L’intervento del sovrannaturale o la semplice, elegante soluzione astratta! Entrambi hanno inondato la terra di sofferenze, hanno messo in ginocchio la razza umana, letteralmente e figurativamente.

«Non capisci? Non è l’uomo, il nemico della specie umana. È l’irrazionale; è lo spirituale quando è separato dal materiale, dalla lezione di un cuore che batte o di una vena che sanguina.

«Ci accusi di avidità. Ah, ma la nostra avidità è la nostra salvezza. Poiché sappiamo che cosa siamo; conosciamo i nostri limiti e i nostri peccati. Tu non hai mai conosciuto i tuoi.

«Ricominceresti tutto, non è così? Introdurresti una religione nuova, una nuova rivelazione, una nuova ondata di superstizioni, di sacrifìci e di morte.»

«Tu menti», rispose Akasha, con una voce che conteneva a stento la furia. «Tu tradisci la bellezza che io sogno! La tradisci perché non hai una visione, perché non hai sogni.»

«La bellezza è la fuori!» disse Maharet. «Non merita la tua violenza! Sei così spietata che la vita che aspiri a distruggere non significa nulla! Ah, è sempre stato così!»

La tensione era insopportabile. Ero coperto dal sudore di sangue. Vedevo il panico intorno a me. Louis aveva chinato la testa e si copriva il volto con le mani. Solo il giovane Daniel sembrava irreparabilmente affascinato. E Armand guardava Akasha come se la cosa non lo toccasse.

Akasha continuò a lottare in silenzio; poi sembrò ritrovare la convinzione.

«Tu menti come hai sempre fatto», disse disperatamente. «Ma non ha importanza che lotti al mio fianco. Farò ciò che ho deciso; tornerò indietro nei millenni e riscatterò quel momento lontano, il male che tu e tua sorella portaste nella nostra terra; lo mostrerò agli occhi del mondo e l’innalzerò fino a che diverrà la Betlemme della nuova era, e finalmente esisterà la pace sulla terra. Non è mai stato possibile compiere un grande bene senza sacrifici e coraggio. E se tutti vi ribellerete a me, se mi resisterete tutti, creerò una stirpe di angeli migliori.»

«No, non lo farai», disse Maharet.

«Akasha, ti prego», disse Marius. «Accordaci un po’ di tempo. Acconsenti ad attendere, a riflettere. Riconosci che nulla deve venire da questo momento.»

«Sì», dissi io. «Dacci tempo. Vieni con me. Andiamo, io e te e Marius, abbandoniamo i sogni e le visioni e avventuriamoci nel mondo!»

«Oh, tu m’insulti e mi sminuisci», mormorò Akasha. La sua collera era rivolta a Marius, ma stava per rovesciarsi su di me.

«Vi sono tante cose, tanti luoghi», disse Marius, «che desidero mostrarti! Concedimi una possibilità. Akasha, per duemila anni ho avuto cura di te, ti ho protetto…»

«Proteggevi te stesso! Proteggevi la fonte del tuo potere, la fonte della tua malvagità!»

«T’imploro», disse Marius. «Sono pronto a inginocchiarmi davanti a te. Un mese soltanto, per venire con me, per parlare, per esaminare tutta l’evidenza…»

«Così meschini ed egoisti», mormorò Akasha. «E non vi sentite in debito con il mondo che vi ha fatto come siete, non vi sentite in dovere di donargli il benefìcio del vostro potere, di trasformarvi da demoni in dèi!»

Si girò verso di me, con un’espressione sconvolta.

«E tu, mio principe, che entrasti nel mio sacrario come se fossi la Bella Addormentata e mi riportasti alla vita con un bacio appassionato! Non vuoi cambiare idea? Per amor mio!» Aveva di nuovo gli occhi pieni di lacrime. «Devi associarti a loro contro di me?» Mi prese il volto fra le mani. «Come puoi tradirmi, come puoi tradire un simile sogno? Costoro sono esseri oziosi, ingannevoli, pieni di malizia; ma il tuo cuore era puro. Avevi un coraggio che trascendeva il pragmatismo. Anche tu avevi i tuoi sogni!»

Non era necessario che rispondessi. Akasha sapeva; lo capiva forse meglio di me. Io vedevo soltanto la sofferenza nei suoi occhi neri. La sofferenza, l’incomprensione e l’angoscia che già provava per me.

All’improvviso sembrò che non potesse più muoversi o parlare. E non c’era nulla che potessi fare, nulla che potesse salvare loro e me stesso. L’amavo! Ma non potevo schierarmi con lei! In silenzio, la supplicai di comprendere e di perdonare.

Il suo volto era gelido, come se le voci la dominassero; era come se io stessi davanti al trono, sotto il suo sguardo immutabile.

«Prima ti ucciderò, mio principe», disse mentre mi accarezzava ancora più dolcemente. «Voglio che tu sparisca. Non voglio più vedere il tradimento quando ti guardo in faccia.»

«Se gli farai del male, per noi sarà il segnale dell’attacco», mormorò Maharet. «Muoveremo all’unisono contro di te.»

«E muoverete contro voi stessi!» rispose Akasha, lanciandole un’occhiata. «Quando avrò finito con colui che amo, ucciderò quelli che voi amate, e che dovrebbero già essere morti; annienterò tutti coloro che potrò annientare; ma chi annienterà me?»

«Akasha», sussurrò Marius. Si alzò e le andò vicino; ma lei si mosse in un batter d’occhio e lo scagliò sul pavimento. Lo udii gridare mentre cadeva, e Santino andò ad aiutarlo.

Akasha mi guardò di nuovo, mi strinse le mani sulle spalle, affettuosamente come prima. E attraverso il velo delle mie lacrime la vidi sorridere con tristezza. «Mio principe, mio bellissimo principe», disse.

Khayman si alzò. Eric si alzò. E Mael. Poi i giovani e infine Pandora, che andò a fianco di Marius.

La regina mi lasciò. Si alzò a sua volta. La notte era divenuta così silenziosa che la foresta sembrava sospirare contro i vetri.

Era tutta opera mia. E io restai seduto, a guardare non già uno di loro, ma il vuoto. La breve durata scintillante della mia vita, i miei piccoli trionfi, le mie piccole tragedie, i sogni di destare la dea, i sogni di bontà e di gloria.

Che cosa stava facendo? Valutava il loro potere? Girò lo sguardo dall’uno all’altro, e poi verso di me. Una sconosciuta che mi osservava dall’alto. Ora verrà il fuoco, Lestat. Non guardare Gabrielle o Louis, perché non lo scagli contro di loro. Muori per primo, da vigliacco, e non dovrai vederli morire.

E la cosa più terribile è che non saprai chi vincerà alla fine… se lei trionferà o se sarà la fine per tutti. È come non sapere cosa significava tutto, e perché, e cosa significava il sogno delle gemelle, e com’era stato creato il mondo. Non lo saprai mai.

Piangevo, e Akasha piangeva, ed era di nuovo l’essere tenero e fragile che avevo abbracciato a Santo Domingo, l’essere che aveva bisogno di me; ma quella debolezza non la stava annientando, dopotutto, sebbene quasi sicuramente avrebbe annientato me.

«Lestat», mormorò, quasi incredula.

«Non posso seguirti», dissi con voce che si spezzava. Mi alzai. «Non siamo angeli, Akasha. Non siamo dèi. Molti di noi aspirano a essere umani. Per noi, è appunto l’umano a essere diventato mito.»

La guardavo e mi sentivo morire. Pensavo al suo sangue che scorreva in me, ai poteri che mi aveva dato, alla sensazione di volare con lei tra le nubi. Pensavo all’euforia nel villaggio haitiano, quando le donne erano venute con le candele, cantando inni.

«Ma è ciò che sarà, amor mio», sussurrò lei. «Trova il coraggio!» Le lacrime di sangue le scorrevano sul viso. Le tremavano le labbra e la fronte liscia era segnata dalle rughe diritte dell’estrema angoscia.

Poi si raddrizzò. Distolse lo sguardo da me, il suo viso ridivenne inespressivo e privo di rughe. Non ci guardava. Sentivo che stava raccogliendo le forze per agire e che gli altri dovevano muoversi in fretta. Lo desideravo… sarebbe stato come piantare un pugnale nel suo corpo; dovevano abbatterla subito, e io sentivo le lacrime scorrermi sulle guance.

Ma stava accadendo qualcosa d’altro. Da chissà dove giunse un sommesso suono musicale. Vetri che andavano in frantumi, una quantità di vetri. Daniel si animò di colpo. E anche Jesse. Ma i vecchi restarono immobili ad ascoltare. Ancora vetri infranti: qualcuno stava entrando da una delle tante porte di quella casa grandissima.

Akasha arretrò di un passo, si scosse come se avesse una visione; e un suono cavernoso riempì la tromba delle scale dietro la porta aperta. C’era qualcuno, là sotto nel corridoio.

Akasha si scostò dal tavolo, verso il camino. Sembrava che avesse paura.

Era possibile? Sapeva chi si stava avvicinando? Un altro essere antico? Era questo che temeva? Che se fossero diventati più numerosi avrebbero potuto compiere ciò che non potevano?

No, non era un calcolo tanto diffìcile, io sapevo. Era una sconfitta interiore. Il coraggio l’abbandonava. Era la necessità, la solitudine, dopotutto! Era incominciato con la mia resistenza, e gli altri l’avevano aggravato, e poi io le avevo inflitto un altro colpo. E adesso era inchiodata da quel suono impersonale ed echeggiante. Tuttavia sapeva chi era: lo intuivo. E lo sapevano anche gli altri.

Il rumore diventava più forte. Il visitatore saliva le scale. Il lucernario e i vecchi piloni riverberavano a ogni passo.

«Ma chi è?» gridai all’improvviso. Non resistevo più. Di nuovo l’immagine, l’immagine del corpo della madre e delle gemelle.

«Akasha!» disse Marius. «Lasciaci il tempo che chiediamo. Dimentica il momento. Ci basta!»

«Per che cosa?» ribattè lei quasi selvaggiamente.

«Per le nostre vite, Akasha», disse Marius. «Per tutte le nostre vite!»

Sentii Khayman ridere sommessamente, Khayman che non aveva parlato neppure una volta.

I passi avevano raggiunto il ballatoio.

Maharet era sulla soglia, e Mael stava accanto a lei. Non li avevo visti muoversi.

E poi vidi chi era e che cos’era. La donna che avevo intravisto muoversi nella giungla, emergere dalla terra, percorrere miglia e miglia sulla pianura brulla. L’altra gemella dei sogni che non avevo mai compreso! Ora stava incorniciata dalla luce fioca delle scale e fissava Akasha, ritta a una decina di metri con le spalle rivolte verso la parete di vetro e il fuoco scoppiettante.

Ah, la vista di quell’essere! Tutti si lasciarono sfuggire esclamazioni, persino gli antichi, e lo stesso Marius.

Era ricoperta da un sottile strato di terriccio che le incrostava anche i lunghi capelli. Il fango screpolato e macchiato dalla pioggia le aderiva addosso, le stava incollato alle braccia nude e ai piedi scalzi come se fosse fatta di terra. Gli occhi cerchiati di rosso spiccavano come in una maschera. Era rivestita d’uno straccio, una coperta lacera e sporca, legata intorno alla vita con una corda di canapa.

Quale impulso aveva indotto un essere simile a coprirsi, quale modestia umana aveva spinto quel cadavere vivente a farsi quel semplice indumento, quale resto sofferente del cuore umano?

Maharet, al suo fianco, sembrò indebolirsi di colpo, come se fosse sul punto di crollare.

«Mekare!» sussurrò.

Ma la donna non la vedeva e non l’udiva: fissava Akasha con occhi che brillavano d’intrepida astuzia animale mentre la regina indietreggiava, metteva il tavolo tra sé e la nuova venuta, e il suo volto s’induriva, il suo sguardo si colmava d’odio aperto.

«Mekare!» gridò Maharet. Tese le mani e cercò di afferrare la donna per le spalle, di farla voltare.

La donna mosse la mano destra, spinse all’indietro Maharet e la scagliò attraverso la stanza, contro la parete di fronte.

La grande vetrata vibrò ma senza rompersi. Maharet la toccò incerta; quindi, con l’eleganza fluida d’un felino, balzò in piedi fra le braccia di Eric che stava accorrendo per aiutarla.

Immediatamente arretrò verso la porta perché la donna, in quel momento, colpì il tavolo enorme, lo fece scivolare verso nord e quindi lo rovesciò.

Gabrielle e Louis si portarono in fretta all’angolo nord-ovest, Santino e Armand dall’altra parte, vicino a Mael, Eric e Maharet.

Noi che eravamo sul lato opposto ci limitammo a indietreggiare, eccettuata Jesse che s’era spostata verso la donna.

Si fermò accanto a Khayman e, quando lo guardai, vidi con grande stupore che sulle sue labbra era spuntato un sorriso amaro.

«La maledizione, mia regina», disse. La sua voce si alzò, riempì la sala.

La donna s’immobilizzò nel sentirlo alle sue spalle. Ma non si voltò.

E Akasha, con il viso che balenava nella luce del fuoco, rabbrividì visibilmente. Le lacrime ripresero a scorrere.

«Tutti contro di me, tutti!» disse. «Nessuno ha voluto schierarsi al mio fianco!» Mi fissò, mentre la donna riprendeva ad avvicinarsi.

I piedi infangati della donna strusciavano sul tappeto. La bocca era socchiusa, le mani leggermente protese, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Tuttavia mosse un passo dopo l’altro in un atteggiamento di minaccia.

Khayman parlò di nuovo e la fece fermare.

Gridò in un’altra lingua, e la sua voce acquistò volume fino a diventare un ruggito. A me giunse soltanto una comprensione indistinta.

«Regina dei Dannati… l’ora della peggiore minaccia… mi leverò per fermarti…» Compresi. Erano state la profezia e la maledizione di Mekare… di quella donna. E tutti i presenti lo sapevano e lo capivano. Era legato al sogno inspiegabile.

«Oh, no, figli miei!» gridò all’improvviso Akasha. «Non è finita!»

Sentivo che stava raccogliendo i suoi poteri; vedevo il suo corpo tendersi, i seni sporgere, le mani alzarsi come per un riflesso istintivo, con le dita contratte.

La donna ne fu colpita e sospinta all’indietro; ma subito resistette. Quindi si raddrizzò a sua volta, spalancò gli occhi e si avventò, con le mani tese verso la regina, così velocemente che non riuscii a seguirne il movimento.

Vidi le dita incrostate di fango scattare verso Akasha, vidi la faccia di Akasha quando l’altra le afferrò i lunghi capelli neri. La udii urlare. Poi vidi il suo profilo, mentre la testa urtava la vetrata occidentale e l’infrangeva e il vetro cadeva in grandi schegge acuminate.

Uno choc violento mi squassò; non potevo respirare né muovermi. Stavo precipitando sul pavimento, incapace di controllare le mie membra. Il corpo decapitato di Akasha scivolava lungo la parete di vetro sfondata, e le schegge cadevano tutto intorno. Il sangue grondava sul cristallo spezzato, e la donna teneva per i capelli la testa mozza di Akasha!

Gli occhi neri della regina sbatterono e si dilatarono. La bocca si spalancò come per urlare ancora.

Poi intorno a me la luce sparì; era come se il fuoco si fosse spento. Ma non era così, e mentre rotolavo piangendo sul tappeto, scorsi le fiamme lontane attraverso una foschia rosa cupo.

Tentai di sollevarmi. Non ci riuscii. Sentivo Marius che mi chiamava, chiamava silenziosamente il mio nome.

Poi mi sollevai leggermente, con tutto il peso premuto contro le braccia e le mani doloranti.

Gli occhi di Akasha erano fissi su di me. La testa era quasi alla mia portata e il corpo giaceva riverso, con il sangue che fiottava dal collo troncato. All’improvviso il braccio destro fremette, si sollevò, ricadde sul pavimento. Si sollevò di nuovo, con la mano penzoloni. Stava cercando di afferrare la testa!

Potevo aiutarla! Potevo usare i poteri che mi aveva dato per cercare di muoverla, di aiutarla a raggiungerla. E mentre mi sforzavo di vedere nella luce fioca, il corpo sussultò, rabbrividì e ricadde più vicino.

Ma le gemelle! Erano vicine alla testa e al corpo. Mekare fissava la testa con gli occhi vacui e cerchiati di rosso. E Maharet, come se fosse all’ultimo respiro, s’inginocchiò accanto alla sorella, sopra il corpo della Madre, mentre nella stanza il buio e il freddo crescevano e il viso di Akasha cominciava a diventare pallido e spettrale, come se tutta la luce interiore si smorzasse.

Avrei dovuto aver paura. Avrei dovuto essere atterrito. Il gelo s’insinuava in me, e sentivo il suono soffocato dei miei singhiozzi. Ma un’euforia stranissima s’impadronì di me: all’improvviso mi resi conto di ciò che vedevo.

«È il sogno», dissi. Sentivo la mia voce da una grande distanza. «Le gemelle e il corpo della Madre, lo vedete? L’immagine del sogno!»

Il sangue sgorgava dalla testa di Akasha sul tappeto. Maharet si stava abbandonando con le mani protese, e anche Mekare s’era indebolita e stava china sul corpo: ma era pur sempre la stessa immagine, e ora sapevo perché l’avevo veduta, sapevo che cosa significava!

«Il banchetto funebre!» gridò Marius. «Il cuore e il cervello, una di voi… deve prenderli in sé. È la sola possibilità!»

Sì, era così. E lo sapevano! Non era necessario che qualcuno glielo dicesse. Lo sapevano!

Quello era il significato! E tutti l’avevano visto, tutti sapevano. Me ne resi conto mentre i miei occhi si chiudevano; e quella sensazione meravigliosa si fece più profonda, quel senso di compimento, di qualcosa che finalmente si concludeva. Qualcosa di conosciuto!

Poi mi sentii galleggiare nella tenebra gelida, come se fossi fra le braccia di Akasha e stessimo ascendendo verso le stelle.

Un suono crepitante mi richiamò. Non ero ancora morto, ma morente. E dov’erano coloro che amavo?

Lottando per la vita, tentai di aprire gli occhi; sembrava impossibile; ma poi le vidi nell’addensarsi dell’oscurità… loro due, con i capelli rossi che riflettevano lo splendore del fuoco: una teneva nelle dita incrostate di fango il cervello insanguinato, l’altra il cuore sgocciolante. Erano quasi morte, con gli occhi vitrei, le membra che si muovevano come attraverso l’acqua. E Akasha era a occhi sbarrati, la bocca aperta, il sangue che sgorgava dal cranio fracassato. Mekare si portò il cervello alla bocca; Maharet le mise il cuore nell’altra mano. Mekare li consumò entrambi, li prese dentro di sé.

Di nuovo la tenebra: niente fuoco, niente punti di riferimento, nessuna sensazione eccettuato il dolore, il dolore diffuso nella cosa che ero e che non aveva arti, né occhi, né bocca per parlare. La sofferenza pulsante ed elettrica; ed era impossibile muovermi per attenuarla, per spingerla lontano da me, per tendermi o abbandonarmi. Soltanto la sofferenza.

Tuttavia mi muovevo. Mi dibattevo sul pavimento. Nella sofferenza sentii di nuovo il tappeto: sentii i miei piedi affondarvi come se cercassi di scalare una parete ripida. Poi udii il suono inconfondibile del fuoco accanto a me, sentii il vento soffiare attraverso la vetrata sfondata, e aspirai i dolci profumi della foresta che penetravano nella camera. Uno choc violento mi scosse, penetrò nei muscoli e nei pori, mi squassò le braccia e le gambe. Poi rimasi immobile.

La sofferenza era scomparsa.

Giacevo sul pavimento e ansimavo e fissavo la luce del fuoco riflessa nel soffitto di vetro e sentivo l’aria riempirmi i polmoni. Compresi che stavo piangendo di nuovo, come un bambino.

Le gemelle erano inginocchiate e ci voltavano le spalle; si tenevano abbracciate, con le teste accostate, i capelli che si mescolavano, e si scambiavano carezze delicate e tenere, come se comunicassero attraverso il tatto.

Non riuscii a reprimere i singhiozzi. Mi girai, mi coprii il viso con il braccio e piansi.

Marius mi era vicino. E anche Gabrielle. Volevo prendere Gabrielle tra le braccia. Volevo dire tutte le cose che sapevo di dover dire… che era finita e che eravamo sopravvissuti, che era finita… ma non potevo.

Poi, lentamente, girai la testa e guardai di nuovo il viso di Akasha, il viso ancora intatto, sebbene il candore splendente fosse svanito e ora fosse pallida, trasparente come vetro! Persino gli occhi, i bellissimi occhi neri come l’inchiostro, diventavano trasparenti, come se fossero privi di pigmento, come se fosse sparito con il sangue.

I capelli erano serici e morbidi sotto la guancia e il sangue coagulato era lucente e rosso come il rubino.

Non potevo smettere di piangere. Non volevo. Incominciai a dire il suo nome, ma mi rimase nella gola. Era come se non dovessi pronunciarlo. Non avrei mai dovuto farlo. Non avrei mai dovuto salire i gradini marmorei del sacrario e baciare il suo viso.

Tutti gli altri stavano ritornando alla vita. Armand teneva abbracciati Daniel e Louis, storditi e incapaci di reggersi; Khayman s’era avvicinato, seguito da Jesse, e anche gli altri stavano bene. Pandora, tremante, con le labbra contratte dal pianto, s’era fermata un po’ lontano e si stringeva le mani sulle spalle come se avesse freddo.

Le gemelle si voltarono e si alzarono. Maharet teneva abbracciata Mekare. E Mekare guardava nel vuoto, inespressiva come una statua vivente. E Maharet disse: «Ecco. La Regina dei Dannati».

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