SETTE

Il gitano Snap e Pedro

non sono affatto camerati di Tom.

I punk io li disprezzo e i tagliaborse li maledico,

come le smargiassate dei ragazzi schiamazzanti.

Il mansueto, il candido, il gentile

mi toccano invece a fondo e non mi risparmiano.

Ma quelli che ostacolano Tom Rinoceronte

fanno ciò che neppure la pantera osa.

Malgrado io canti

«Un po’ di cibo, qualcosa da mangiare,

da mangiare, da bere o da vestire.

Vieni dama o fanciulla,

non aver timore.

Il povero Tom non farà male a nessuno».

Canto di Tom o’ Bedlam

1

Cominciava a far buio, prima del solito. Qualche nuvola cominciava ad arrivare dal nord, forse ci sarebbe stata perfino un po’ di pioggia, quella notte, pensò Tom. La prima della stagione. La sera prima limpida e fresca, la luce della luna vivida, intensa; quella notte, forse, pioggia. Un cambiamento di clima che forse annunciava altri e più grandi cambiamenti di lì a poco. Torna nella tua stanza, fai una bella doccia, vestiti per la cena. Poi fai una chiacchierata con qualcuna delle persone di qui, questo Ferguson, la ragazza grassa, April, qualcun altro. Il Tempo della Traversata era prossimo. Con la venuta della pioggia, la stagione stava cambiando.

— Andiamo — disse Tom, rivolto a Ferguson. — Sono ore che siamo qui fuori. Adesso bisogna rientrare.

— Sì — annuì Ferguson. — Sicuro. — Pareva sveglio soltanto per metà, o meno ancora, sognante, disorientato. Era così da quando Tom gli aveva fatto avere la visione. Seduto tranquillo sotto quegli alberi giganteschi, sorridente, scuotendo la testa di tanto in tanto, senza quasi dire niente. Era come se il sogno del Mondo Verde l’avesse stordito. Oppure si trattava di qualcos’altro? si chiese Tom. Forse qualcuno si era finalmente rivolto a lui, dicendogli: Senti, amico, m’importa di te, che sei un assoluto estraneo, senza nessuna dannata possibilità di guadagnarci qualcosa. Voglio che tu la smetta di soffrire, e questo è ciò che posso fare per te. Forse nessuno gli aveva mai detto niente del genere prima di allora, pensò Tom.

— Su, allora. Alzati.

— Sì. Sì. Vengo.

— Ti do una mano. Ecco.

Tom tirò su Ferguson. Era un uomo grande e possente, un sacco di muscoli. Farlo alzare fu un lavoro duro. Ferguson vacillò avanti, indietro. Calma, pensò Tom. Riprendi l’equilibrio. Sperò che Ferguson non cadesse. Ricordo lo sforzo che aveva dovuto fare per sorreggere April quand’era stata lei a cadere. Calma. Calma.

Ferguson riuscì a rimettersi in equilibrio. S’incamminarono verso il sentiero che conduceva al Centro.

— Credi che d’ora in poi li farò sempre, i sogni spaziali? — chiese Ferguson. — Senza che tu debba farmi questo, intendo.

— Certamente — rispose Tom. — Perché no? Sei spalancato. Lo sei sempre stato, soltanto che non volevi ammetterlo. Adesso sai come fare.

— Che cosa meravigliosa, il Mondo Verde. Adesso capisco tutto il chiasso. Voglio vedere anche gli altri, sai. Tutti e sette.

Tom replicò: — Ce ne sono più di sette.

— Davvero?

— I sette sono soltanto i principali, le visioni più forti. Ce ne sono altri. Migliaia. Milioni. Un’infinità. Alcuni mi si sono manifestati soltanto una volta, per una frazione di secondo. Alcuni solo un paio di volte, ad anni di distanza. Ma i sette principali, questi si manifestano in continuazione. Sono questi che posso offrire agli altri, i più forti, i principali.

— Gesù — disse Ferguson. — Milioni di mondi.

— Guarda lassù — l’invitò Tom. — Sai quante stelle riesci a vedere quando il cielo è limpido? E sono soltanto quelle più luminose e vicine. Questa galassia, sono centomila anni-luce da un’estremità all’altra. Sai quante stelle ci sono in centomila anni-luce? Ed è soltanto questa galassia. Ci sono nebulose là fuori che sono in sé intere galassie. Andromeda, Cigno A, le Nubi di Magellano. È tutto pieno di stelle, e tutte le stelle hanno dei pianeti. Ti fanno venire le vertigini al solo pensarci. Questo buffo, piccolo pianeta… che faccia tosta dire che ci siamo soltanto noi in tutto l’universo.

— Già — disse Ferguson. — Già… Gesù, cos’ho fatto durante tutta la mia vita? A cosa pensavo?

Ancora smarrito nella visione, la testa fra le stelle, pareva completamente diverso adesso che il gelido nodo nel suo petto era scomparso. Il volto era più liscio, più giovanile, più tranquillo. Be’, pensò Tom, non durerà. Non si viene trasformati del tutto d’un sol lampo, non importa quanto potente. Il vecchio, triste e cattivo Ed Ferguson poteva tornare, probabilmente sarebbe tornato, fra un’ora, un giorno, una settimana, presto o tardi. A meno che qualcosa di grande non venisse fatto per cambiarlo, molto presto però, mentre era ancora aperto e vulnerabile. Tom ci pensò un po’ su.

— Tom? — Una voce bisbigliò improvvisa dal sottobosco. — Ehi, tu, Tom!

Si guardò intorno. Un volto fra le ombre, occhi azzurri, labbra sottili, piccole cicatrici che gli costellavano le guance. Una mano che lo chiamava, che indicava, che gli faceva segno di sbarazzarsi di Ferguson e andare da quella parte.

Era Buffalo, che si nascondeva là come un fantasma.

Tom scosse la testa, indicò il Centro, indicò Ferguson.

Buffalo gli fece di nuovo cenno, con maggiore urgenza. Tornò a bisbigliare:

— Vieni qua. C’è Charley. Vuole vederti.

— D’accordo — rispose Tom, corrugando la fronte. — Aspetta.

Corse avanti, raggiungendo Ferguson, il quale nel frattempo aveva proseguito per venti, trenta passi. — Vai pure avanti — gli disse. — Io rimarrò qui altri cinque minuti. D’accordo?

Ferguson non parve incuriosito. Tom immaginò che in quel momento il Mondo Verde fosse più vivido per lui di qualunque altra cosa potesse succedere là fuori nel bosco. — Sì — replicò. — Sì, certo.

— Ho soltanto bisogno di restare solo per un po’.

— Sì, certo.

Ferguson proseguì arrancando. Tom esitò, guardandolo mentre si allontanava. Poi si voltò e si addentrò nel folto della foresta. Buffalo uscì da dietro un tronco gigantesco.

— Quello era il tizio dell’autostrada, non è vero? Quello che si era fatto male alla gamba… quello con la ragazza dai capelli scuri.

— Sì, proprio lui — annuì Tom. — Perché sei qui? Cosa vuole Charley da me, Buffalo?

— Vederti. Parlarti. Sente la tua mancanza, sai. Tutti la sentiamo. — Buffalo ammiccò più volte. — Ehi, hai un bell’aspetto, Tom! Ti sei ripulito un po’, uh? Un nuovo paio di jeans, una nuova camicia, tutto fresco. È un bel posto, questo Centro?

— Sì — rispose Tom. — Là c’è un sacco di brava gente.

— Charley ti vuol vedere — ripeté Buffalo. Quindi gli fece strada fra gli alberi, poi attraverso un ampio prato fittamente coperto di felci coriacee. Alcuni dei grattatori erano accovacciati al suolo in una piccola radura appartata, accanto a un ruscello che era quasi in secca. Charley era là. Pareva stanco e malinconico. Mujer, Stidge, Nicholas dai capelli bianchi: parevano tutti ancora più trasandati del solito, un gruppo di uomini estenuati e abbattuti. Tom non era felice di rivederli. Si era aspettato di non rivederli mai più.

— Eccolo là! — gridò Charley. — Figlio di puttana, guarda com’è agghindato a nuovo! Ti hanno anche fatto un bagno, messo un po’ di roba nello stomaco, eh? Ehi, Tom!… Tom, come te la sei passata?

— Charley?

— È uno spettacolo per occhi doloranti — dichiarò Charley. — Te la sei cavata bene. Non è andata altrettanto bene a noi, sai? Siamo incappati in un piccolo guaio, sulla strada per Ukiah. Tamale e Choke sono finiti in un’imboscata, e li hanno ammazzati.

— Credevo fossero lì nel folto col furgone.

— Il furgone è qui — ribatté Charley. — L’abbiamo fatto passare in mezzo agli alberi fino a un prato qui dietro. Tamale e Choke, uh, uh. Il resto di noi… siamo stati fortunati a scappare.

— Non sono stati così fortunati loro — disse Tom. — Il Tempo della Traversata è quasi giunto. Che momento, per venire uccisi! Perdersi tutto lo splendore, la redenzione.

— Il fatto che ti abbiano fatto un bagno non ti ha cambiato per niente, a quanto vedo — disse Charley, con un pallido sorriso. — Il Mondo Verde e il pianeta di Loolymoolly e tutto il resto, Mujer, Buffalo, io. Stidge dice che lui non li fa, giusto, Stidge? Tu non hai mai nessuna visione, uh, bastardo dalla faccia acida!

Stidge ribatté: — Perché non ti fai i cavoli tuoi, Charley? Se non fosse stato per me, saresti morto là dietro insieme a Tamale e a Choke.

— Proprio così — confermò Charley. — Stidge ci ha salvati, lo sai, Tom? È molto veloce con la sua lancia, Stidge. C’erano questi tre vigilantes al blocco stradale, una grande barriera d’energia innalzata, ma in qualche modo Stidge è sgusciato alle loro spalle… — Diede una scrollata. — Sono state due settimane molto dure, Tom. Abbiamo sentito la tua mancanza.

— Ci scommetto.

— No. Dico sul serio. Tu eri la nostra fortuna, Tom. Fintanto che eri con noi, ogni cosa pareva andare bene. Tutte le tue stramberie, le tue visioni, i tuoi mondi, erano come un portafortuna per noi. Finivamo nei guai, ma subito ne uscivamo… Ma da quando ti hanno portato via con quell’elicottero, tutto è andato schifosamente. Choke, Tamale… gli hanno sparato addosso e li hanno fatti a pezzi. Non hanno neppure fatto domande. È per questo che siamo tornati qui, Tom.

— Perché?

— Per te. Abbiamo intenzione di scappare verso sud, clima più caldo, il Messico, forse. Seguiremo la valle fino in fondo e poi passeremo per il deserto, forse, taglieremo intorno a San Diego e poi giù fino alla Baja. Tu verrai con noi, va bene? Adesso abbiamo spazio in abbondanza nel furgone.

— La Traversata è quasi arrivata, Charley. Non ha nessun senso andare al Messico o in qualunque altra parte. Fra un paio di settimane saremo lassù nel cielo.

Sentì Stidge che ridacchiava, Mujer che borbottava.

Charley disse: — E con questo? Diavolo, puoi fare la Traversata con la stessa facilità da Baja, no? E stare molto più al caldo fino a quando non succede, giusto?

— Io rimango qui, Charley.

— In questo dannato Centro?

— Già. Qui c’è gente che voglio aiutare. Quando verrà il Tempo della Traversata voglio aiutarli. Ti dirò una cosa, però. Tu rimani qui, aiuterò anche te. Sei stato buono con me. Voglio che tu sia fra i primi a fare la Traversata. Tu rimani qui nel bosco col furgone, e verrò da te quando comincerà. Va bene? È una promessa. Lascia che vada ad aiutare Ferguson a fare la Traversata, e April e la dottoressa Elszabet e qualcuno degli altri, e poi tornerò qui ad aiutarti. Un’altra settimana, forse. Forse perfino meno, Charley.

— Lo vuoi? — disse Mujer. — Carichiamolo nel furgone e andiamocene. Mi hai sentito, Charley?

Charley scosse la testa. — No, non voglio questo. — Rivolto a Tom disse: — Tu verrai con noi, Tom?

— Te l’ho detto, ho delle cose da fare qui.

— Sai cosa ti accadrà, se resti qui. Verrai travolto da un esercito di pazzi dementi che stanno marciando in questa direzione. Saranno qui fra un giorno o due, tutta la loro maledetta orda, e una volta che arriveranno faranno a pezzi tutto questo posto.

— Non so niente di questo, Charley — replicò Tom, aggrottando la fronte.

— Nessuno te l’ha detto? Tutti ne parlano, là fuori… l’abbiamo sentito dappertutto durante l’ultimo paio di giorni. Un milione e mezzo di pazzoidi, più o meno, una banda di folli, in marcia verso il polo Nord, dicono. Vanno lassù a incontrare Dio. Una qualche specie di divinità, comunque. È cominciato tutto a San Diego, raccogliendo poi gente lungo la costa. Puntano direttamente da questa parte, come un’invasione di locuste che masticano tutto quello che è in vista. È per questo che ce la batteremo da questa estremità dello stato. Li aggireremo a est per tornare poi indietro. Qui non sarai al sicuro, Tom. Vieni con noi. Ce la squaglieremo domattina.

— Non avrà nessuna importanza cosa succederà qui, quando inizierà la Traversata.

— È come una sommossa in movimento — insisté Charley. — È qualcosa di veramente incontrollabile, farneticante. Qualcuno come te non può volersi trovare immischiato in una roba come quella.

— Non ha nessuna importanza — ribadì Tom. — Senti, devo rientrare, voglio darmi una lavata, cenare, parlare con alcune persone. Tu vieni al Centro con me, d’accordo? Ti accoglieranno, là sono davvero bravi. La dottoressa Elszabet ti darà il benvenuto come l’ha dato a me. E poi saremo tutti insieme quando inizierà la Traversata. Che ne dici, Charley?

— Niente da fare. Noi ce la filiamo. Questo non è il posto dove trovarsi quando arriveranno i marciatori. Tu vieni con noi a ridarci la fortuna, Tom?

— È proprio questo il posto della fortuna.

— Tom…

— Devo andare adesso.

— Pensaci — disse Charley. — Noi ci accamperemo qui, stanotte. Torna domattina: noi saremo ancora qui. Puoi venire a sud con noi.

— Lo vuoi? Basterà che lo prendiamo — ripeté Mujer.

— Piantala — lo rimbeccò Charley. — Allora, ci vediamo domani, Tom?

— Tu domani vieni al Centro — disse Tom. — Perfino stanotte. Danno da mangiare bene, là dentro.

Si girò e si allontanò in mezzo alle ombre. Adesso faceva molto più buio, un ben definito accenno di pioggia, forse quella notte, forse non fino alla mattina dopo. Gli sarebbero corsi dietro per prenderlo con la forza. No, pensò: Charley non era fatto così. Charley viveva secondo una specie di onore. Tom provò dispiacere per i grattatori. Vieni con noi, sì: sii la nostra fortuna. Già. Ma non poteva farlo. Il suo posto era qui. Forse la mattina dopo sarebbe andato di nuovo da loro per cercare di convincerli a restare. Sperava che allora non avrebbero cercato di prenderlo con la forza. Non con la Traversata imminente, strapparlo a quei suoi nuovi amici di qui prima che potesse aiutarli, no, sarebbe stata una brutta cosa. Avrebbe dovuto pensarci un po’.

In venti minuti tornò nella parte principale del Centro. Dentro la sua piccola capanna, ai margini del bosco. Una buona, lunga doccia, e poi si sedette per un po’ a gambe incrociate sul pavimento accanto al letto, a pensare. Poi raggiunse il grande edificio, quello in cui si cenava. Gli altri erano già là. Ed Ferguson e Padre Christie, e la bellissima donna artificiale, Alleluja, e la grassa April, tutti seduti insieme a uno dei tavoli lunghi. Ferguson era ancora raggiante. Si poteva quasi cogliere quell’ardore da oltre la metà della sala. Era una buona sensazione, pensò Tom, sapendo che con l’imposizione delle mani aveva portato una visione gioiosa a quell’uomo infelice. Si avvicinò al gruppo.

Alleluia disse: — Ci ha riferito che gli hai fatto fare un sogno spaziale.

— Sì, gli ho fatto vedere come poteva aprirsi a una visione — annuì Tom. — Posso sedere con voi?

— Qui — disse Padre Christie. — Proprio qui vicino a me. Sei una persona straordinaria, lo sai, Tom?

— Volevo aiutarlo.

— Come l’hai fatto? — domandò Alleluia.

— Ho parlato con lui per un po’. Gli ho fatto vedere i poteri che erano dentro di lui. Tutto qui.

— È stupefacente — commentò Alleluia. — Adesso è come qualcun’altro.

— Adesso è come se stesso — la corresse Tom. — Il vero se stesso che si trovava dentro di lui da sempre. Stiamo tutti diventando noi stessi. Ben presto saremo tutti appagati.

È questo il momento, pensò. Diglielo. Parlagli della Traversata. Diglielo adesso.

Ma poi April lo interpellò con una vocina piccola piccola: — Sai una cosa? Mi fai paura. — Era sul lato opposto del tavolo, tirandosi indietro davanti a lui come se temesse di rimanere contagiata. Tremava ed era rossa in viso. Tom sperò che non venisse colta da un altro attacco, crollando al suolo.

— Davvero? — disse Tom.

— Tu hai le visioni dentro di te, no? Come una potenza raccolta in spire là dentro. E quando sono così vicina a te riesco a sentirla — disse ancora April. Le sue guance ardevano, non era capace di guardarlo negli occhi. — Gli altri mondi che premono per passare. Fa paura. Gli altri mondi sono molto belli, sai. Ma fa paura lo stesso. Vorrei che niente del genere stesse accadendo.

— No, bambina — intervenne Padre Christie. — Ciò che sta accadendo è l’imminenza dell’avvento del Signore sulla Terra. Non c’è niente da temere. Questo è il momento che aspettavamo da più di duemila anni.

Tom guardò Ferguson. Era lontano da lì. Sorrideva immerso nella più profonda beatitudine.

Rivolto ad April, le rispose: — Non aver timore. Padre Christie ha ragione. È una cosa meravigliosa quella che sta per accadere.

— Non capisco — replicò April.

— Già — disse Alleluia. — Di cosa stai parlando?

Tom fece passare il suo sguardo dall’uno all’altro: Alleluia, Padre Christie, la povera, spaventata April, Ed Ferguson in preda alla beatitudine. D’accordo, pensò, è questo il momento. Finalmente il Tempo è giunto. Che cominci.

— È una lunga storia — disse.

E cominciò a raccontare tutto sulla cosa meravigliosa che stava per accadere.

Cominciò a raccontare tutto sulla Traversata.

2

Elszabet disse: — Secondo l’ultima valutazione delle autorità stradali della contea, sono trecentomila. La donna con cui ho parlato ha aggiunto che la cifra potrebbe essere in eccesso o in difetto di cinquantamila unità, ma che non c’era nessuna speranza concreta di ottenere un conteggio accurato perché sono sparpagliati moltissimo, ed è altresì difficile precisare in quanti viaggino dentro ciascun veicolo. Credo che tutti vi rendiate conto che anche se la valutazione fosse in eccesso di ventimila unità, ci troviamo con un autentico problema fra le mani.

— Cosa ti fa pensare che passeranno vicino a noi? — le chiese Dante Corelli.

Elszabet tirò un profondo sospiro. Si sentiva a pezzi. Adesso sogni e visioni emergevano con disorientante frequenza, per lei, per tutti. Soltanto un’ora prima tutti i Nove Soli avevano fatto irruzione nel suo cervello, questa volta in sequenza e con grande ricchezza di particolari, non soltanto l’aliena e ciclopica forma stagliata contro lo sfondo roccioso, ma tutto un rito elaborato che coinvolgeva esseri di differenti tipi planetari, quasi un balletto. E guardando i volti dei membri del suo staff, seduti tutt’intorno al grande tavolo delle riunioni, Elszabet sapeva che la stessa cosa doveva esser capitata a loro nello stesso momento, Dante, Patel, Waldstein, perfino Dan Robinson, il quale un tempo aveva avuto tanti problemi a fare quei sogni: adesso erano tutti completamente ricettivi, tutti venivano bombardati dalle vivide immagini pulsanti e vibranti di quegli esotici mondi.

— Dovranno per forza passare parecchio vicini — replicò. — Là dove adesso si trovano non hanno molte scelte sulla via da seguire per andare al nord. Non è possibile guidare migliaia di auto, macchine, autobus e camion attraverso una foresta. E cominceranno a sbattere contro le montagne della catena costiera, il che li costringerà ad avvicinarsi sempre più all’oceano. È già troppo tardi perché possano girare verso l’entroterra, risalendo poi per la strada di Ukiah, poiché non ci sono strade decenti che permettano a una folla di quelle dimensioni di attraversare le montagne, dal punto in cui si trovano adesso. Così, non possono fare a meno di venir incolonnati verso Mendocino, e una volta che sciameranno da questa parte, è molto probabile che alcuni di loro finiscano per riversarsi sui nostri terreni. Forse molti di loro, o addirittura tutta l’orda. Quello che voglio fare è erigere una barriera d’energia lungo tutto il fianco occidentale della nostra proprietà, cosicché quando arriveranno dalla costa dovranno continuare a tenersi verso l’oceano.

— Ma abbiamo l’apparecchiatura per farlo? — s’informò Bill Waldstein.

— Ho parlato di questo proprio adesso con Lew Arcidiacono. Ha detto che è probabile che l’abbiamo, o per lo meno che ne abbiamo a sufficienza per proteggerci sul lato rivolto verso Mendocino. Quello che dovremmo fare è continuare a spostare l’apparecchiatura da un luogo all’altro, su un’apposita base lungo tutto il nostro perimetro occidentale, fino a quando questi tumbondé non saranno passati.

Dan Robinson intervenne: — Pare che avremo bisogno di tutto il personale per farlo.

— Più del personale — disse Elszabet. — Lew mi dice che avremo bisogno di dozzine di persone là fuori lungo tutta la linea, alcuni perché pattuglino, altri perché trasportino in giro le apparecchiature, qualcun altro per far funzionare i generatori. Ci vorranno tutte le braccia di cui disponiamo, e anche di più.

— Anche i pazienti? — domandò Dante Corelli.

Elszabet annuì: — Potremmo esser costretti a usare alcuni di loro.

— Non mi piace — dichiarò Dan Robinson.

— I più stabili, Tomás Menendez, Padre Christie, sì… e Philippa, Martin Clare, e forse perfino Alleluia…

— Alleluia è stabile? — chiese Waldstein.

— Nei suoi giorni buoni lo è. E pensa a quant’è forte. Probabilmente riuscirebbe a trasportare un generatore con ciascuna mano. È probabile che dovremo somministrare a ciascun paziente venti milligrammi di pax prima di poterli mandar fuori. Ma non credo ci siano dubbi che dovremo usare qualcuno di loro in prima linea.

— Inoltre — interloquì Naresh Patel, — se dovessimo schierare tutto il personale in prima linea, sarebbe una buona idea tenere i pazienti là fuori insieme a noi, così da poterli sott’occhio per tutta la durata dell’emergenza.

— Un buon punto — dichiarò Robinson. — Non possiamo lasciarli qui a divertirsi mentre noi innalziamo la barriera d’energia.

Waldstein disse: — Sei sicura che accadrà, Elszabet? Questo feroce assalto di forsennati occultisti?

— Non sono necessariamente feroci o forsennati. Ma sono in numero enorme e si trovano già nella contea, e vengono in questa direzione, Bill. Sei disposto a correre il rischio puntando sulla possibilità che ci aggirino senza calpestare un solo filo d’erba del Centro? Io no. Preferisco rischiare di sprecare un piccolo sforzo per cercare di proteggerci, piuttosto che incrociare le braccia e scoprire che ci troviamo proprio dritti in mezzo alla loro strada.

— Sono d’accordo — disse Dante Corelli.

— Non abbiamo altra scelta, credo — aggiunse Dan.

— Credo che tu sia l’unico, qui dentro, ad avere dei seri dubbi — disse Elszabet.

— Non seri dubbi. Mi chiedo soltanto se sia tutto davvero necessario. Ma hai ragione a dire che c’è un vero rischio di guai, e che staremo meglio se avremo preso tutte le precauzioni possibili. C’è qualcos’altro che vorrei sapere, però. Mentre saremo occupati a respingere questa potenziale invasione, cosa faremo con quel tuo Tom?

— Tom?

— Lo sai. Quel tuo amico psicopatico dagli occhi di fiamma il quale ha riempito le nostre teste di questa follia. Non ti pare che possa rivelarsi pericoloso lasciarlo andare in giro liberamente?

— Cosa suggerisci, Bill? — chiese Dan Robinson.

— Suggerisco che non possiamo funzionare in maniera efficace se abbiamo allucinazioni del genere ogni novanta minuti o giù di lì. È stata la mia personale esperienza durante gli ultimi due o tre giorni, e credo che chiunque altro possa riferire la stessa cosa. Dentro e fuori dai Nove Soli, il Mondo Verde, i pianeti della Stella Doppia… Abbiamo un telepate potente e pericoloso fra noi. Ci sta confondendo il cervello. Siamo completamente alla sua mercé. E adesso, se dovesse esserci una vera crisi in marcia verso di noi lungo la strada…

Robinson l’interruppe: — Tom non è psicopatico. Quelle non sono allucinazioni.

— Lo so. Sono i notiziari teletrasmessi da altri pianeti, giusto? Dan, svegliati.

— Come puoi dubitarne adesso?

Waldstein lo fissò: — Parli seriamente?

— Bill, hai visto quello che ci ha trasmesso Leo Kresh, le fotografie rimbalzate fin qui dai relé della Sonda Stellare? Adesso abbiamo prove inequivocabili che per lo meno il Mondo Verde esiste. Certamente non vorrai tentare di contestare questo fatto, dopo aver visto il materiale… che quello che abbiamo chiamato il sogno del Mondo Verde è un insieme d’inquadrature particolareggiate ed esatte di uno dei pianeti della stella Proxima Centauri. E che Tom, ben lungi dall’essere psicopatico, in effetti possiede qualche mezzo telepatico per captare immagini da qualche lontano sistema stellare e ritrasmetterle ad altre menti sopra un’ampia area geografica.

— Sono tutte stronzate — dichiarò Waldstein.

Elszabet replicò: — Bill, come puoi…

Waldstein si girò di scatto verso di lei, con ferocia, curvandosi in avanti, il volto arrossato: — Come facciamo a sapere che quelle fotografie vengono da Proxima Centauri? Come facciamo a sapere che Tom non ha qualche maniera per imbrogliare la nostra mente? Vi concedo che è un telepate dalle facoltà stupefacenti. Ma non che sia in grado di esplorare pianeti a dozzine di anni-luce di distanza. Tutta la faccenda fa soltanto parte della sua fantasia distorta, da cima a fondo, e la sta spargendo dentro milioni di altre persone. Io stesso mi sento invaso da questa merda. Mi sento insudiciato. Penso che sia una minaccia, Elszabet.

Con voce calma, Elszabet rispose: — Io no. Io credo che le sue visioni siano genuine e che i relè della Sonda Stellare lo confermino. È in sintonia con tutto il Cosmo. Ci sta spalancando le porte dell’universo nella maniera più stupefacente…

— Elszabet!

— No, non guardarmi in quel modo, Bill. Non sono pazza. Ho passato ore a parlargli. Tu l’hai fatto? È un uomo gentile e santo con il più fantastico potere che qualsiasi essere umano abbia mai avuto. E se quello che mi ha detto è vero, i suoi poteri stanno maturando al punto che sarà effettivamente possibile per un essere umano viaggiare istantaneamente fino ai pianeti che abbiamo visto nelle nostre… visioni. Dice che stiamo andando…

— Per l’amor di Dio, Elszabet!

— Lascia che finisca. Dice che ben presto verrà il tempo… sì, il Tempo della Traversata, lo chiama… quando la nostra mente comincerà a balzare attraverso lo spazio fino a quei mondi. Abbandoneremo tutti la Terra. La Terra è finita; la Terra ha chiuso. L’universo ci chiama. Ti sembra pazzesco, Bill? Certo Ghe ti sembra così. Ma se fosse vero? Abbiamo già le prove delle fotografie della Sonda Stellare. Non credo che Tom sia pazzo, Bill. Sotto certi aspetti è un individuo che soffre di certe turbe, sì; è stato travolto dall’enormità della cosa che è dentro di lui, è molto scentrato, certo, ma non è matto. Potrebbe essere in grado di spalancarci l’intero universo. Credo in questo, Bill…

Waldstein parve stupefatto. Scosse la testa. — Gesù Cristo, Elszabet, Gesù Cristo!

— Perciò la risposta alla tua domanda è no, non credo che dobbiamo limitare i movimenti di Tom in nessun modo, mentre i tumbondé passeranno di qua. E credo che dopo sarà una buona idea lasciar perdere qualunque altra cosa e scoprire quello che è veramente Tom. D’accordo? E a meno che non ci siano serie obiezioni, vorrei tornare all’argomento sul modo in cui dobbiamo prepararci alla possibilità che centinaia di migliaia di intrusi possano presto…

— Posso dire soltanto un’altra cosa, Elszabet?

Elszabet sospirò. — Di’ pure, Bill.

— Sonda Stellare o non Sonda Stellare, io non sono affatto convinto che quest’uomo rappresenti un contatto genuino con i veri mondi extraterrestri. Ma se lo è, e se questa Traversata di cui parla fosse in qualche modo possibile, allora penso che non dovremmo soltanto limitarci a chiuderlo a chiave. Penso che dovremmo ucciderlo subito…

— Bill!

— Dico sul serio… Ma non vedi il pericolo? Supponi che possa davvero farlo, che possa mandare la mente di chiunque abbia mai fatto un sogno spaziale su altri pianeti. Lasciando cosa, qui sulla Terra, dei gusci vuoti? Spazzando via tutta la razza umana, spopolando la Terra. Questa idea non ti preoccupa neppure un po’? — Waldstein scosse la testa, e si premette le mani sul viso. — Gesù, non riesco a credere di trovarmi qui seduto a discutere in tutta serietà di qualcosa di tanto demenziale. Un ultimo tentativo: o Tom è pazzo e pericoloso per la salute mentale di tutti a causa della sua capacità di trasmettere le allucinazioni, oppure è sano di mente e pericoloso per la vita di ognuno perché si sta preparando a svuotare il mondo dei suoi abitanti. D’accordo. D’accordo. Qualunque cosa sia, delle due, è una minaccia.

Naresh Patel intervenne, con calma: — Ho una proposta. Adesso dedichiamo le nostre energie al compito di difendere il Centro contro gli invasori. A quanto capisco, stanno avanzando con implacabile costanza verso qualche lontana destinazione più a nord rispetto a noi, e rappresenteranno una potenziale minaccia per noi soltanto per i prossimi due o tre giorni. Dopo, esamineremo Tom con attenzione e cercheremo di stabilire la natura e la portata delle sue capacità. E se allora ci sembrerà il caso di adottare misure protettive, prenderemo in considerazione la possibilità di farlo.

— Approvato — disse Dan Robinson.

— Bill? — chiese Elszabet.

Waldstein sbatté le mani in un gesto di rassegnazione. — Come volete voi. Spero, come l’inferno, che parta per Marte fra mezz’ora. E porti con sé tutto il vostro branco.

3

Ed Ferguson non dormì affatto quella notte. Per tutte quelle ore di oscurità rimase disteso sul letto, e la sua testa fu un continuo sciamare di meraviglie. I sogni spaziali gli arrivavano a due o tre per volta: non era sicuro che potessero davvero venir chiamati sogni poiché non dormiva, ma vide gli altri mondi che ruotavano sotto i loro soli dai molti colori, vide strane, complicate creature muoversi intorno, parlando lingue che nessun orecchio umano aveva mai udito. Vide strabilianti città luccicanti dagli strani disegni. Vide…

Vide…

Vide…

Un paio di volte gridò nel buio, le cose che vedeva erano così belle…

— Stai bene? — gli chiese Tomás Menendez dal suo lato della stanza.

— Le visioni non smettono — disse Ferguson.

— Vedi Chungirà-Lui-Verrà? Vedi Maguali-ga?

Ferguson scrollò le spalle. — Vedo tutto — esclamò. — È la cosa più stupefacente che mi sia mai capitata.

Dal buio, Nick Doppio Arcobaleno borbottò: — Figlio di puttana, sto cercando di dormire,

— Sto avendo delle visioni — ripeté Ferguson.

— Insomma, vai a farti fottere, tu e le tue visioni.

— È un grande momento — s’intromise Tomás Menendez. — L’apertura del cancello avverrà ben presto. Adesso, devi riempire il tuo cuore di amore, Nick, e lasciare che gli dèi si riversino dentro di te. Come sta facendo Ed. Vedi com’è felice Ed, adesso?

Nove soli avvamparono sullo schermo della mente di Ferguson. Una gigantesca, bizzarra creatura con un singolo occhio brillante in cima alla testa si girò verso di lui, protese le molte braccia e lo chiamò per nome. Poi l’immagine scomparve, e Ferguson vide un diverso paesaggio, un sole bianco nel cielo e uno giallo, e degli esseri ancora più strani che parevano andare in giro a bordo di automobili fatte d’acqua, viaggiavano avanti e indietro, e poi… e poi…

Smetterà mai? si chiese Ferguson. Sempre avanti, una dietro l’altra. Volevi i tuoi sogni spaziali, Ed, ragazzo mio. Bene, adesso hai i sogni spaziali.

La gioia lo invase e le lacrime tornarono ad affiorargli agli occhi. Non aveva mai pianto tanto in vita sua, non più da quando era bambino. Non riusciva a fermarsi, era come una fontana. Ma questo andava bene per lui. Le lacrime gli lavavano l’anima. Piangere gli faceva provare una buona sensazione. Tom aveva toccato qualcosa dentro di lui, in qualche modo Tom l’aveva aperto, e adesso le lacrime scorrevano attraverso di lui come la sglaciazione della primavera, lavando via ogni sorta di antico sudiciume e spazzatura. Dovrebbero vedermi adesso, pensò, che sto singhiozzando così. Tutti quelli che mi hanno conosciuto a Los Angeles non ci crederebbero. Il povero Ed ha perso una rotella. Piange tutto il tempo, e adora farlo. Povero Ed, povero matto Ed.

Giarda, quella è la stella azzurra, è talmente calda che fonde il suolo. La città lucente che galleggia. I risplendenti abitanti simili a fantasmi. Magnifico! Magnifico!

Il suo cuscino era inzuppato di lacrime.

Dio, come si sentiva bene. Piangi quanto vuoi, si disse Ferguson. E poi piangi un po’ di più. Ripulisciti, amico. Qualunque cosa ti stia accadendo, va benissimo. Lascia che accada. Proprio come aveva detto Tom: Soltanto per una volta, lascia andare tutto, lascia che ogni cosa si apra. Lascia che la grazia ti inondi.

Non poteva giacere là, immobile. Si alzò in piedi, fece il giro della stanza, si tenne aggrappato alla porta, all’armadio, al lavello, a qualunque cosa gl’impedisse di cadere. Il mondo ondeggiava tutt’intorno a lui. Roteava, roteava… Sarebbe così facile, pensò, lasciarsi andare, lasciarsi galleggiare nello spazio e andarsene via…

Tomás Menendez era in piedi accanto a lui. — È un momento meraviglioso, no? Gli dèi stanno per giungere. Chungirà-Lui-Verrà arriverà sulla Terra o forse noi andremo da Chungirà, non so quale delle due cose accadrà. Ma cambierà ogni cosa.

— Piantala con questi fottuti discorsi. — La voce di Nick Doppio Arcobaleno.

Ferguson sorrise. — Adesso vedo il sole rosso e quello azzurro, e un ponte di luce che scorre fra essi. Cristo, quel sole rosso occupa la metà del cielo!

— È la visione di Chungirà — disse Menendez. — Vieni, andiamo fuori. Mettiti sotto le stelle. Lascia che Chungirà entri nella tua anima.

— Un muro di pietra, alto e bianco — mormorò Ferguson. — È la cosa che ha visto Lacy. E Alleluia. E adesso anch’io. La creatura dorata con le corna ricurve.

Menendez l’aveva preso per il gomito. Lo condusse lungo il corridoio e giù per i gradini dell’edificio del dormitorio. Ferguson non ci badò. Sarebbe andato dovunque Menendez avesse voluto portarlo. Vedeva soltanto il gigantesco sole rosso che vibrava e pulsava, e quello azzurro accanto ad esso, che gli batteva nella mente come un gong. E l’essere meraviglioso con le corna ricurve, che si sporgeva verso di lui. Che lo chiamava. Un arco di luce avvampante che si stendeva attraverso il firmamento.

Ferguson seguì Menendez fuori dell’edificio. Lievi spruzzi di umidità gli colpirono le guance. L’aria aveva un odore diverso: pulita, fresca, nuova. Ad un certo punto durante la notte era cominciata la stagione delle piogge: una pioggia morbida, delicata, che ticchettava tranquilla. Si era quasi dimenticato di com’era la pioggia, durante tutti quei mesi asciutti. Ma adesso era arrivata, finalmente. Andava benissimo, pensò Ferguson. Resterò qui fuori alla pioggia. Mi pulirò fuori come dentro. Pareva fosse quasi mattina. Ferguson non si sentiva affatto come qualcuno che non aveva dormito. La sua mente era sveglia, attiva, spalancata. La figura cornuta faceva e rifaceva gli stessi movimenti, voltandosi, allungando le mani, sollevando le braccia, girandosi di lato. E tornando a voltarsi.

Ferguson aguzzò lo sguardo davanti a sé. Vide l’edificio degli uffici del personale, gli alberi enormi che si profilavano bui dietro ad esso. Ma tutte quelle cose apparivano nebulose e prive di sostanza, quasi trasparenti. Ciò che aveva vera densità e sostanza era il bianco blocco risplendente e la gigantesca figura sopra di esso. E il sole rosso e quello azzurro. Sollevò il viso verso di essi. La pioggia gli scorse a rivoli lungo la fronte. Non aveva nessuna idea di quanto a lungo fosse rimasto là. Un minuto, un’ora, come poteva dirlo?

Poi la visione svani. Il mondo reale tornò, solido, visibile. Ferguson si guardò intorno, si sentiva un po’ stordito. Era in piedi sulla veranda anteriore dell’edificio con Tomás Menendez al suo fianco. Pioveva appena. Il cielo era grigio ma stava schiarendosi. Una figura con un impermeabile giallo gli scivolò accanto a passo di jogging, diretta verso il lato opposto del Centro. Era Teddy Lansford.

— Cosa c’è, è già l’ora della mondata? — gli gridò Ferguson.

Lansford fece una pausa momentanea, continuando a saltellare sotto la pioggia. — Niente mondata, oggi — disse.

— Stai scherzando?

— Non oggi. Per nessuno. L’ha detto la dottoressa Lewis.

— Perché? — chiese Ferguson, perplesso. — Cosa c’è di tanto speciale, oggi? — Ma Lansford se n’era già andato, schizzando via nella mattinata piovosa. Ferguson si girò di scatto e vide altre figure emergere dal dormitorio, che si affollavano sulla veranda per constatare se stava davvero piovendo, April, Alleluia, un paio d’altri. — Niente mondata oggi! — annunciò Ferguson rivolgendosi a tutti loro. — La mondata fa un giorno di ferie!

— Perché? — chiese April.

— L’ha detto la dottoressa Lewis — le disse Ferguson, con una scrollata di spalle.

Il che li condusse a una eccitata discussione. Ferguson rimase immobile su un lato ascoltando appena. Che quella mattina ci fosse o no la mondata, non aveva importanza per lui. Quello che gli era successo non gli poteva venir sottratto. Se gli avessero mondato le visioni dalla mente, sarebbero subito sopraggiunte nuove visioni. Adesso era fondamentalmente diverso, questo lui lo sapeva. Era cambiato per sempre. Meglio che oggi non ci fosse la mondata, pensò, poiché voleva tempo per pensare, per analizzare ciò che gli era successo ieri, come Tom lo aveva cambiato. Prendendogli le mani, aprendolo alle visioni… Ferguson non voleva perdere tutti quei ricordi. Ma si rendeva conto che non sarebbe stato grave se fosse successo. La cosa importante non consisteva in ciò che era accaduto, ma in chi, lui, era adesso, qualcuno di diverso, profondamente, dalla persona che fino a ieri aveva cavalcato nella sua testa. Si appoggiò alla parete della veranda. Il vento crebbe un po’ d’intensità, soffiando la pioggia verso l’interno, addosso a lui. Non si mosse: gli dava una buona sensazione, la pioggia. Appena all’inizio della stagione, la pioggia non era così fredda…

Dante Corelli sbucò dalla nebbia. Anche lei aveva l’aria d’esser rimasta su tutta la notte. Salì di corsa i gradini della veranda e batté le mani. — Allora, gente, tutti alla mensa a far colazione, e poi assemblea in palestra. Per oggi la mondata è annullata.

Alleluia chiese: — Cosa succede, Dante?

— Un piccolo guaio. Niente di tanto grosso. C’è una grande parata, in un certo senso, che sta venendo da questa parte, migliaia di persone che hanno marciato fin qui da San Diego. Qualcosa di religioso, a quanto mi dicono. Oggi dovrebbero passare per Mendocino, ma pensiamo che alcuni di loro potrebbero smarrirsi e finire da queste parti, causandoci qualche difficoltà. Così innalzeremo barriere di energia intorno al Centro e li terremo fuori. È tutto. Non c’è nessun motivo di preoccuparsi, nessuna ragione di allarmarsi, ma sarà una giornata un po’ insolita.

Tomás Menendez, in piedi accanto a Ferguson, disse fra sé: — È arrivato il Senhor! È il Senhor!

— Cos’hai detto? — chiese Ferguson.

— È venuto qui perché questo è il Settimo Luogo! — esclamò Menendez.

— Chi è venuto? — chiese Ferguson. Ma Menendez, il volto arrossato, gli occhi che gli brillavano stranamente, si girò e passandogli davanti rientrò nel dormitorio senza rispondere. D’accordo, pensò Ferguson: come ha detto Dante, sarà una giornata insolita.

Dante si allontanò di corsa verso l’edificio del quartier generale. — Ricordatevi tutti — gridò, voltandosi a guardarli. — Colazione subito e poi in palestra.

Ferguson rientrò per vestirsi. Padre Christie gli si avvicinò: — Come ti senti questa mattina, figliolo?

— Non ho dormito. Cose fantastiche si sono avvicendate nella mia testa per tutta la notte.

— Ma ti senti bene?

— Non sono mai stato meglio, Padre. Queste visioni… le cose che ho visto. Non so, non riesco a smettere di piangere… di piangere per la felicità… oh, lo sto facendo di nuovo…

— Lascia che accada — disse il sacerdote. D’un tratto piangeva anche lui. — Questi sono i grandi giorni, i giorni della profezia, quando Lui giudicherà ogni opera. Sono rimasto sveglio tutta la notte, sai, a leggere la Bibbia, ecco quello che ho fatto. — Il sacerdote scoppiò a ridere. — Non ci crederesti se ti dicessi per quanto tempo siamo andati avanti, la Bibbia ed io. Io ho letto per tutta la notte, la Rivelazione di San Giovanni, più e più volte. L’Agnello che si trova in mezzo al trono ci nutrirà, e ci condurrà alle fonti delle acque della vita: e Dio asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi. Ma prima dobbiamo piangere, se vogliamo che asciughi le nostre lacrime. Non è giusto?

— Non sono mai stato capace di piangere, Padre. Ma adesso pare che non riesca più a smettere.

— Continua pure, piangi quanto vuoi. Questo è il giorno in cui il Settimo Sigillo verrà aperto, e i sette angeli suoneranno le sette trombe. Credimi, figliolo… Tu non sei cattolico, vero?

— Io? No.

— Non fa nessuna differenza. Ti benedirò lo stesso quando verrà il momento. Come potrei negare la benedizione a chiunque, in un giorno come questo?

— Cos’è che accadrà oggi? — domandò Ferguson. Si sentiva molto tranquillo, rilassato. Si lasciava galleggiare alla deriva.

— L’Omega e l’Alfa — echeggiò una voce dall’altro capo del corridoio. — La fine e l’inizio.

Ferguson sentì delle nuove visioni scorrergli nella mente. Mondi splendenti balzavano fuori e avvampavano in lui. Galleggiava ancora.

— Tom?

— Questo è il giorno in cui inizierà — dichiarò Tom, avanzando verso di lui. — Il Tempo della Traversata. Li sento dentro di me, la forza, il potere. Sarai tu il primo ad andare, Ed.

— Io? Andare?

— A compiere la Traversata.

Ferguson lo fissò: — Dove?

— Al Doppio Regno, credo. Sono disposti ad accoglierti. La posso sentire, la loro disponibilità. Quest’oggi i loro due soli brillano come il fuoco nel mio cuore, il rosso e l’azzurro.

Ferguson divenne conscio della presenza di April, accanto a lui, mentre Alleluia era comparsa da qualche parte ed era anche lei al suo fianco. Con un balbettio quasi indistinto, rispose: — Dobbiamo far subito colazione e poi… la palestra…

Gli occhi di Tom erano fissi sui suoi. — Accetta la Traversata, Ed. Qualcuno dev’essere il primo, e tu sei il prescelto. Apri la strada al resto di noi. Una volta che la prima Traversata sarà stata fatta, le successive saranno più facili, e diventerà sempre più facile, più facile, più facile. Lo farai, adesso?

— Vuoi che… che io vada su qualche altra stella…

— Abbandonerai questo corpo, sì. Per uno migliore, in un luogo migliore. Questo corruttibile deve indossare l’incorrotto. Questo mortale deve assumere l’incorruttibilità. E la morte verrà inghiottita dalla vittoria.

Ferguson lo studiò incerto. Adesso tutti gli si erano affollati intorno. — Aspetta un secondo — replicò. Adesso non galleggiava più così tanto. Adesso si sentiva più pesante. — Non ne sono sicuro. Calmati un po’. Non ne sono sicuro. Cosa significa tutto questo?

— Nessuno ti costringerà — disse Tom.

— Lasciami pensare… lasciami pensare.

Comparve Tomás Menendez. Il suo volto era radioso. — Questo è il giorno, quando Chungirà verrà!

— Sì — disse Tom. — E Ed, qui, sarà il primo a fare la Traversata fino alle stelle. So che lo farà. Andrà al Doppio Regno.

— Andrà da Chungirà — dichiarò Menendez. — E quello sarà il segnale; e poi Chungirà verrà da noi. Sì. Sì, lo so. — Menendez pareva parlare in stato di trance. — Il Senhor è molto vicino. Lo posso sentire. Vieni. Manderemo Ferguson da Chungirà, e poi andrò dal Senhor e accoglierò la sua venuta. Io sarò Maguali-ga: sarò colui che apre il cancello. — Mise la mano sul polso di Ferguson. — Sei pronto, Ed? Accetterai?

Ferguson scosse lentamente la testa, cercando di capire. Avrebbe lasciato cadere il proprio corpo. Avrebbe fatto la Traversata. Sarebbe andato su qualche altro pianeta. Le prime contrazioni, i primi palpiti di paura cominciarono a svegliarsi in lui. Cosa stavano cercando di dire? Cosa volevano fargli? Sarebbe morto, giusto? Ecco cosa voleva dire tutto quel discorso dell’abbandono del corpo… Sì. No. Non capiva niente di tutto questo. Per un momento tutti gli antichi sospetti avvamparono dentro di lui. Stavano cercando d’imporgli qualcosa, no? Volevano usarlo. Volevano fargli del male. Chiese: — Morirò?

— La tua vita comincerà soltanto allora — rispose Tom.

Lo circondarono, facendosi sempre più vicini, sorridendogli, accarezzandolo: April, Alleluia, Padre Christie, Menendez, Tom. I quali gli dicevano di amarlo, d’invidiarlo, che l’avrebbero seguito molto presto. Ma lui doveva essere il primo. Era l’unico ad essere pronto. È così? si chiese. Sono davvero pronto? Come fanno a saperlo?

— Qualcuno dev’essere il primo — disse Tom.

— Lasciatemi pensare, lasciatemi pensare.

— Lasciatelo pensare — disse Padre Christie. — Non dev’essere spinto.

Ferguson respirò profondamente, risucchiando l’aria e cacciandola a forza fin giù nei polmoni. Le visioni stavano riprendendo a sorgere nella sua mente, le radure dolci e lucenti del Mondo Verde, il mondo di luce. Tutti i mondi del cielo che risplendevano nella sua mente. Esseri enormi che passeggiavano avanti e indietro. Volevano mandarlo là. Volevano che lui fosse il primo. Sentì il gelido nodo del sospetto sciogliersi, fondersi, inaridirsi.

Non bramava affatto morire. Ma avrebbe significato morire se avesse fatto la Traversata? Avrebbe? Avrebbe?

— Non dite niente — parlò qualcuno. — Lasciate che trovi lui la risposta.

Ehi, perché no? pensò Ferguson, sentendosi di nuovo leggero. La sensazione di galleggiare era tornata.

Fallo, pensò. Per una volta nella tua vita merdosa, fallo. Sarai tu quello che andrà. Mostragli la strada. Fallo per loro. Fallo anche per te, forse, chissà, ma per lo meno fallo per loro. Per la prima volta nella tua vita, solo una volta. Cos’hai da perdere? Cosa c’è di così meraviglioso qui sulla Terra che ti faccia tanto desiderare di rimanerci? Fallo, Ed. Fallo. Fallo.

Ed ammiccò più volte. Scosse la testa, sorrise. — Sì — disse infine. — Procedi pure. Mandami, dovunque tu voglia.

— Ne sei sicuro? — chiese Tom.

Ferguson annuì. Lui stesso era sorpreso d’essere così calmo. Quant’era totalmente disposto, desideroso, per nulla timoroso. Padre Christie al suo fianco stava recitando qualcosa a bassa voce, in latino. Stava pregando per lui. Probabile. D’accordo, che pregasse pure. Un po’ di preghiera non poteva far male. Ogni cosa sarebbe andata bene. Ferguson continuò a sorridere. Era completamente in pace con se stesso. Non riusciva a ricordare di essersi mai sentito così prima di allora.

— Prendetevi tutti per mano — li invitò Tom. La sua voce pareva provenire da un’immensa distanza. — Stringetevi per mano, tenetevi vicini intorno a noi, mettete a fuoco la vostra mente. Aiutatemi ad aiutarlo ad attraversare, tutti voi. Non posso farlo da solo, ma con il vostro aiuto ce la faremo. E tu, Ed, metti le tue mani nelle mie. Come hai fatto ieri nella foresta. Metti le tue mani nelle mie.

4

Elszabet lasciò il suo ufficio, percorse il corridoio fino alla doppia porta alla sua estremità e uscì fuori, nella tempesta. Erano press’a poco le otto di mattina e tutto sembrava sotto controllo. Sostò qualche attimo nella veranda per controllare il piccolo sistema di comunicazione che aveva addosso. — Lew? — fece. — Lew, mi senti? — Trasmettitore, ricevitore e diffusore a induzione ossea, le tre unità che, messe insieme, non raggiungevano le dimensioni di un’unghia, appiccicate con del nastro adesivo immediatamente dietro l’orecchio destro. Un minuscolo microfono montato lungo la sua guancia. Un’apparecchiatura militare: se oggi ci fosse stata una guerra, lei sarebbe stata il generale.

Arcidiacono si fece sentire: — Ti sento forte e chiaro, Elszabet. — Pareva che fosse in piedi accanto a lei.

Adesso la violenza della pioggia cominciava a diventare un problema. Si accompagnava a un vento gelido proveniente dal nord, il quale batteva con violenza contro i fianchi degli edifici con raffiche che parevano cascate. Elszabet calcolò che tutto ciò rappresentasse un pizzico di fortuna dalla loro. C’erano meno probabilità che i marciatori, i tumbondé, vagassero dove non avrebbero dovuto, se pioveva, no? Sarebbero rimasti dentro i loro autobus e i loro furgoni e avrebbero continuato la lunga marcia verso il polo nord, o qualunque fosse la meta verso la quale il loro profeta li stava conducendo.

Era quello che lei sperava, comunque. Ma ugualmente pareva una buona idea innalzare le barriere di energia e tenerle su fino a quando i marciatori non fossero passati. Nel caso in cui un paio di migliaia di estranei avessero visto il Centro che si ergeva ai margini del bosco, caldo e comodo, e decidessero di lasciarsi alle spalle per un po’ l’umidità.

Elszabet chiese ad Arcidiacono: — Cosa sta succedendo là fuori?

— Tutto tranquillo. Stiamo ancora piazzando i generatori. Hai ricevuto nessuna notizia dalla polizia della contea sui tumbondé?

— Ho appena parlato con loro. Dicono che stamattina i marciatori non hanno ancora tolto le tende.

— Sai dove sono?

— Pare siano dappertutto. Ce n’è una grossa porzione subito fuori di Mendo, ma sono sparpagliati in lungo e in largo su entrambi i lati dell’Autostrada Uno. Il gruppo più vicino potrebbe trovarsi due chilometri e mezzo a sud e a ovest rispettto a noi.

— Gesù — esclamò Arcidiacono. — Sono molto… troppo vicini.

— Sei pronto ad affrontare la situazione, se dovessero cominciare ad arrivare fra un’ora o giù di lì?

— In qualunque momento. Qui saremo pronti. Non sono preoccupato.

— Va bene — replicò Elszabet. — Se non sei preoccupato tu, non lo sono neanch’io. Tutto andrà bene, Lew. Sei sicuro di avere abbastanza gente?

— Per ora sì — rispose il tecnico. — Ma più avanti, quando cominceranno a muoversi, me ne serviranno ancora. Così che ci sia possibile spostare le apparecchiature da un luogo all’altro.

— Per allora, saremo tutti là fuori. Ricontrollerò con te la situazione ogni quindici minuti.

— Sì, fai ccosì, appunto — fu d’accordo Arcidiacono.

Elszabet diede un lieve colpetto al ricevitore, commutando sulla frequenza B, Dante Corelli, che si trovava nella palestra a cinquanta metri di distanza. — Sono io, Elszabet — le disse. — Stavo soltanto provando. Tutto a posto da te?

— Sì. I pazienti stanno arrivando alla spicciolata dalla colazione.

— Sanno quello che sta succedendo?

— Più o meno. Gliel’ho descritto a grandi linee. Nessuno è particolarmente allarmato. Bill Waldstein sta praticando a ciascuno una piccola iniezione di pax, a mano a mano che si presentano… minimizzando la cosa. Gli diciamo che è soltanto per tenerli rilassati, niente di cui innervosirsi. Si stanno manifestando un mucchio di visioni. Tutti qui sono piuttosto spaziali in questo momento, Elszabet.

— Non ne sono sorpresa.

— Mi stavo chiedendo, vista la pioggia, se li dobbiamo davvero far uscire lungo il perimetro. Potremmo tenerli tutti qui dentro, «paxarli», lasciarli sotto la supervisione d’un paio di nostri…

— Aspettiamo a vedere cosa succede — l’interruppe Elszabet. — Forse tutta la faccenda risulterà, comunque, un falso allarme.

— Lo credi?

— Sarebbe bello, no?

— Ascolta — riprese Dante Corelli. — Ne manca ancora qualcuno. Forse dovresti telefonare alla mensa e sollecitarli a sbrigarsi, no?

— Chi non è ancora arrivato?

— Dunque… April, Ed Ferguson, Padre Christie. No, ecco che Padre Christie sta arrivando, proprio adesso. Così, mancano soltanto Ed Ferguson e April. Altrimenti la banda è al completo, in palestra.

— C’è anche Tom?

— No. Non so dove sia.

— Dovremmo saperlo. Se dovesse farsi vivo, chiamami.

— Lo farò — promise Dante.

— Ed io controllerò gli altri che mancano. In questo momento, comunque, ti sto parlando direttamente da appena fuori della mensa. Se sono là dentro, te li mando in cinque minuti e anche meno.

Elszabet raggiunse il lato del quartier generale rivolto verso l’edificio della mensa e diede un’occhiata all’interno. Non c’era nessuno in vista, salvo uno dei ragazzini della cittadina che puliva i vassoi vuoti e scopava il pavimento. — Sto cercando un paio di pazienti — lei gli disse. — April Cranshaw, una donna grande, grassa e tonda, sulla trentina, e il signor Ferguson. Sai qual è?

Il ragazzino annuì. — Sicuro che li conosco, dottoressa Lewis. Credo che nessuno dei due si sia fatto vivo per colazione, oggi.

— No?

— Quell’April, è difficile non vederla, sa.

Elszabet sorrise. — Vorrei trovarli. Se dovessero arrivare mentre sei ancora qui, da’ un colpo di telefono in palestra, per favore, e dillo a Dante Corelli, poi mandali da lei.

— Certo, dottoressa Lewis.

— E hai visto Tom? Sai, quello nuovo, quello con gli occhi strani.

— Tom… già. No, neppure lui si è visto, stamattina.

— Strano. Tom è il tipo che odia perdere un pasto. Be’, lo stesso vale anche per lui. Se lo vedi, chiama Dante.

— Bene, dottoressa Lewis.

Elszabet tornò a uscire. Si sentiva curiosamente tranquilla, il tipo di sensazione che si prova nell’occhio del ciclone. Per prima cosa, disse a se stessa, vai al dormitorio, controlla se April è ancora a letto, o Ferguson. In una mattina come questa potrebbero aver deciso di non alzarsi specialmente perché non c’è stata nessuna chiamata per la mondata… La pioggia le sferzò il viso, sempre più incattivita, come una burrasca di mezzo inverno. Il terreno la stava assorbendo tutta, così secco dopo cinque mesi ininterrotti di bel tempo, ma se la pioggia avesse continuato a venir giù così, entro la sera avrebbero finito per sguazzare nel fango. Durante i mesi estivi c’era la tendenza a dimenticarsi, pensò, di che razza di pasticcio potesse essere la stagione delle piogge.

Per prima cosa trova April e Ferguson… sì, certo. Poi rintraccia Tom. E poi avrebbe dovuto raggiungere il cancello anteriore per vedere come Lew Arcidiacono se la stava sbrigando con l’installazione della barriera d’energia. Dopo, sarebbe stata soltanto questione di aspettare la fine della giornata, facendo quant’era possibile per assicurarsi che i marciatori di San Diego aggirassero il Centro invece di passarci attraverso. I marciatori erano un problema di cui in questo momento avrebbe fatto volentieri a meno, una distrazione stupida, estranea. Sapeva che era Tom il grande avvenimento di cui avrebbe dovuto occuparsi in questo momento. Tom e le sue visioni, i suoi poteri quasi magici, Tom e i suoi mondi galattici… i mondi che adesso, grazie alle telecamere della Sonda Stellare, sapeva esser reali, veri, autentici pianeti abitati che stavano trasmettendo allettanti immagini di sé attraverso la strana mente di quell’uomo sulla Terra…

Come se avesse ricevuto un’imbeccata, qualcosa solleticò la mente di Elszabet. Una luce arcana cominciò ad ardere dietro i suoi occhi. No, pensò furiosa, non adesso. Per l’amor di Dio, non adesso.

Ogni cosa che vedeva proiettava ombre sottili, una dai contorni gialli, una rosso-arancione. Nel cielo, una nebulosa pallida e rosata si allargava come una grande piovra attraverso l’orizzonte. E delle creature si muovevano intorno, sferiche, dalla pelle azzurra, con grappoli di tentacoli che si agitavano sulle loro teste. Riconobbe quel paesaggio, quelle stelle, quegli esseri sferici. La Stella Doppia Tre stava entrando nella sua mente. Proprio in quel momento, là fuori, in mezzo alla pioggia sferzante, mentre camminava dalla sala della mensa verso il dormitorio, lei stava scivolando via verso quell’altro mondo.

No, pensò. No. No. No.

Fece un paio di passi barcollando e, vacillando, raggiunse un grande rododendro in mezzo al prato, si afferrò a un paio dei suoi rami, stordita, ondeggiante, cercando di respingere la visione. Questo è un cespuglio di rododendro, si disse. Questa è un piovosa mattina dell’ottobre 2103. Questa è la Contea di Mendocino, California, pianeta Terra. Io sono Elszabet Lewis, e sono un essere umano nativo del pianeta Terra, e oggi ho bisogno di tutto il mio senno.

Una voce raschiante alle sue spalle disse: — Sta bene, signora? Le serve qualche aiuto?

Elszabet si girò di scatto, sorpresa, disorientata. La Stella Doppia Tre si frantumò in molti pezzi e precipitò via da lei, quando si trovò davanti a tre stranieri. Tipi duri, cattivi. Uno con una folta barba nera e occhi profondamente incassati, quasi sepolti nelle cerchiature nere, uno col volto magro tutto pieno di cicatrici con dei profondi crateri dovuti a qualche malattia della pelle, e uno, basso e brutto con una zazzera d’incolti capelli rossi, il quale pareva ancora più cattivo degli altri due.

Elszabet li fronteggiò e, con quanta più freddezza possibile, si passò la mano sui capelli, attivando il trasmettitore. Doveva essere ancora sintonizzato sulla frequenza B, Dante Corelli avrebbe dovuto captare la trasmissione in palestra.

— Chi siete? — chiese. — Cosa state facendo qui?

— Non c’è bisogno che si spaventi, signora — disse quello col volto pieno di cicatrici. — Non abbiamo intenzione di farle del male. Abbiamo pensato che si sentisse male o qualcosa del genere, attaccata lì a quell’arbusto.

— Vi ho chiesto chi siete — lei ripeté, un po’ più vivacemente. Le dava fastidio il fatto che l’uomo dal volto cicatrizzato potesse pensare che lei fosse spaventata, anche se era vero. — Vi ho chiesto cosa fate qui.

— Be’, noi… noi… — cominciò a dire quello con le cicatrici.

— Chiudi il becco, Buffalo — l’interruppe l’altro con la barba nera. Poi, rivolto a Elszabet: — Stavamo soltanto passando. Stavamo cercando di trovare un amico che pare si sia perso da queste parti.

— Un amico?

— Un uomo chiamato Tom, forse lei lo conosce. Alto, magro, dall’aria un po’ strana…

— So chi vuol dire, sì. Lei sa di trovarsi su una proprietà privata, signor… signor…

— Sono Charley.

— Charley. Siete con la marcia dei tumbondé, vero?

— Vuol dire quell’accozzaglia di San Diego? Tutti quei matti? Ehi, no, non noi. Noi stavamo soltanto passando. Abbiamo pensato che forse potevamo trovare il nostro amico Tom, portarlo con noi, andarcene da qui prima che arrivino i matti. Sa quanti sono là fuori, subito in fondo alla strada?

Adesso Elszabet vide Dante che usciva dalla palestra, c’erano altre due o tre persone con lei. Si tenevano indietro, osservando guardinghi la scena, ascoltando la conversazione di Elszabet con i tre stranieri. Elszabet disse: — Il vostro amico Tom non si trova qui, adesso. E in ogni caso non credo che abbia in mente di andare da qualche parte. Quello che vi suggerisco di fare è di andarvene subito da questo terreno, per il vostro bene, d’accordo? Come lei ha detto, c’è una bella folla subito in fondo alla strada, e se dovessero fare irruzione qua dentro, non posso essere responsabile della vostra sicurezza. E inoltre si dà il caso che abbiate violato una proprietà privata.

— Ci lasci parlare con Tom soltanto per un momento, poi noi…

— No…

Dante le stava facendo dei gesti come per dire: Fammi un segnale e li metto fuori combattimento. Dante era formidabile con la pistola a dardi anestetici, a qualunque distanza o quasi fino ai cento metri. Ma Elszabet non era così sicura: di certo quei tre erano armati: coltelli, lance, forse pistole. Quello al polso dell’uomo con la barba nera pareva un braccialetto laser. Se Dante avesse aperto il fuoco, uno dei tre avrebbe potuto avere il tempo di rispondere… e non avrebbe sparato proiettili anestetici.

L’uomo dai capelli rossi disse: — Charley, guarda dietro di noi.

— Cosa c’è là dietro, Stidge?

Charley annuì. Con molta cautela si girò e guardò.

— Cosa vuoi fare? — chiese Stidge. — Prendere questa e costringerla ad aiutarci a trovare Tom?

— No — replicò Charley. — Niente del genere, Stidge. — Rivolto a Elszabet, proseguì: — Non intendiamo causare nessun guaio. Adesso ce ne andiamo. Se vede il nostro amico Tom, lo saluti da parte nostra, va bene? — Fece un gesto agli altri, che cominciarono a sgusciar via verso il bosco, prima quello col volto che era tutta una cicatrice, poi Stidge. Charley rimase un altro momento dove si trovava, fino a quando gli altri due non furono scomparsi tra gli alberi. — Spero che non le abbiamo dato nessun fastidio, signora — dichiarò. — Siamo soltanto di passaggio, lungo il nostro cammino, va bene? — Parlando, aveva incominciato ad allontanarsi. — Dica a Tom che Charley e i ragazzi lo cercavano, d’accordo?

Quindi si dileguò anche lui. Elszabet si rese conto di essere in preda ai brividi: era completamente inzuppata di sudore e alquanto, sì, alquanto scossa. Una reazione ritardata la stava travolgendo. I denti le battevano. Alcuni guizzanti frammenti di visioni spaziali danzavano sui margini esterni della sua mente, come pallide fiamme trasparenti sulle braci di un falò.

Dante venne correndo verso di lei, subito seguita da Teddy Lansford.

— Tutto a posto? — chiese Dante.

Elszabet scostò con la mano la pioggia che le colava dalla fronte e ricacciò indietro un tremito. — Mi riprenderò. Sono un po’ traballante, credo.

— Chi erano?

— Credo fossero i grattatori con cui viaggiava Tom. Lo stavano cercando. Vogliono lasciare la zona prima che passino i tumbondé, e vogliono portare con sé Tom dovunque vanno.

— Sudici bastardi — commentò Dante. — Come se non avessimo già abbastanza problemi da risolvere oggi, ci dovevano capitare anche i grattatori.

— Dobbiamo chiamare la polizia? — chiese Lansford.

Dante scoppiò a ridere. — La polizia? Quale polizia? Qualunque polizia abbia la contea, questa mattina sono giù a Mendo che stanno cercando di controllare la folla dei tumbondé. No, dovremo stare attenti noi stessi a quei tre. Durante il nostro tempo libero. — Guardò Elszabet. — Sei ancora molto scossa, vero?

— Stavo cercando di deviare una visione spaziale. E poi mi sono voltata e c’erano tre estranei con un aspetto da far paura in piedi proprio dietro le mie spalle. Sì, sono ancora scossa.

— Forse questo ti sarà di aiuto — fece Dante. Si avvicinò di più e mise le mani sulla schiena di Elszabet, e cominciò a smuovere un po’ le cose, risistemando le ossa, i muscoli e i legamenti, come se stesse rimescolando dei documenti su una scrivania. Dapprima Elszabet cacciò un rantolo di sorpresa e di dolore, ma poi sentì che la tensione e il dolore l’abbandonavano, e si lasciò andare, oscillando all’indietro contro Dante, permettendo che accadesse. A poco a poco avvertì una sensazione di ritrovato equilibrio. — Ecco — dichiarò Dante, alla fine. — Va un po’ meglio adesso, non è vero?

— Oh, cielo, assolutamente formidabile.

— Rilassare la schiena, rilassa anche la mente. Ehi, hai scoperto dov’erano April e Ferguson?

Elszabet si portò la mano alle labbra. — Oh, Dio. Mi sono dimenticata completamente di loro. Ero diretta al dormitorio quando le visioni hanno cominciato ad afferrarmi, e poi…

D’un tratto la voce di Lew Arcidiacono uscì dal diffusore subito dietro il suo orecchio destro: — Elszabet, credo che stia cominciando adesso. Abbiamo ricevuto la notizia che c’è un intero casino di tumbondé non molto lontani lungo la strada, ed è probabile che puntino proprio nella nostra direzione fra poco.

Elszabet passò alla frequenza A. — Terribile. Come te la cavi con le barriere d’energia?

— Abbiamo una robusta linea di difesa lungo tutta la probabile direzione di avvicinamento. Ma se la marcia dovesse diventare disordinata, potrebbero arrivarci addosso da uno dei Iati rimasti scoperti. Adesso mi farebbe comodo tutto il personale extra che puoi mandare qui da me.

— Bene. Dirò a Dante di venire da te con tutti quelli che ha a disposizione. Rimani in contatto, Lew.

— Cosa sta succedendo? — s’informò Dante.

— Si stanno avvicinando — spiegò Elszabet. — La folla dei tumbondé, proprio in fondo alla strada.

— Allora ci siamo, eh?

— Riusciremo a controllare la situazione. Ma Lew ha chiesto aiuto in prima linea. Prendi con te tutti quelli che sono in palestra e vai subito là, d’accordo? Cercherò Ferguson e April nel dormitorio e vi raggiungerò fra cinque minuti.

— Vado — disse Dante.

Elszabet trovò le forze per esibire un fragile sorriso. — Grazie per il massaggio alla schiena.

L’edificio del dormitorio si trovava a venti passi sulla sua destra. Elszabet corse da quella parte, scivolando e slittando sul sentiero infangato e sull’erba resa viscida dalla pioggia. La tempesta stava contiuamente peggiorando. Mezzo incespicando, Elszabet attraversò la veranda del dormitorio ed entrò nell’edificio con passo pesante, lasciando grandi impronte fangose dietro di sé. — Ehi? — chiamò. — C’è nessuno qui dentro?

Tutto era silenzio. S’inoltrò lungo il corridoio sbirciando dentro questa o quella stanza, le piccole tane dove i suoi infelici pazienti trascorrevano le proprie infelici giornate. Non c’era segno di nessuno, là intorno. All’estremità del corridoio sostò fuori della numero sette, la stanza di Ed Ferguson. Quando appoggiò la mano sulla piastra della porta, sentì uno strano canto sommesso provenire da dentro, sordo, pesante, lento.

April era accovacciata a gambe incrociate nel mezzo della stanza, oscillando con ritmo costante, avanti, indietro, cantando monotona fra sé, singhiozzando un po’. Dietro di lei, mezzo nascosto dal volume di quell’enorme donna, Ed Ferguson sedeva immobile sul pavimento, appoggiato contro uno dei letti, con la testa arrovesciata all’indietro e le braccia che gli penzolavano lungo i fianchi. Pareva drogato.

Elszabet andò prima da April e affondò le dita nella carne molle della sua spalla, cercando di fermare il suo dondolio.

— April, April, sono io, Elszabet. Tutto va bene, non aver paura. Cosa succede, April?

— Niente. Non c’è niente che importi. — Una voce impastata, rauca, carica di emozione. — Sto bene, Elszabet. — Le lacrime le scorrevano sul viso. Non voleva sollevare gli occhi. Adesso, mettendosi ad oscillare con vigore perfino accresciuto, ricominciò a cantare: — Sta piovendo, sta scrosciando, il vecchio sta russando…

La canzone lasciò il posto al ritmico mugolio che avrebbe potuto produrre una donna la quale reggesse tra le braccia un bambino, e poi ad un inintelligibile canticchiare. Ma, per lo meno, April pareva calma… ossia smarrita in qualche suo mondo privato. Elszabet si alzò e si avvicinò a Ferguson. Questi non si muoveva affatto. L’espressione del suo volto era insolita, un’espressione stranamente benigna che alterava completamente la sua normale fisionomia tesa e inacidita; ad una prima e rapida occhiata avrebbe anche potuto non riconoscere in quell’uomo l’arcigno, amareggiato, malinconico Ed Ferguson. Era trasfigurato. I suoi occhi erano spalancati e brillavano di una ineffabile, inenarrabile beatitudine; il volto era rilassato e quasi molle, la bocca allargata in un ampio sorriso che esprimeva la più profonda felicità.

Così straordinaria era quella beatifica espressione sul volto di Ferguson, che ci volle qualche altro istante prima che Elszabet si rendesse conto che i suoi occhi rimanevano aperti senza ammiccare, che non sembrava inspirare.

S’inginocchiò accanto a lui, allarmata. — Ed? — disse, brusca. — Ed, riesci a sentirmi? — Gli mise la mano sul petto, cercando il battito del cuore. Ascoltò per sentire se c’era il lieve soffio del respiro. Gli afferrò il polso freddo e flaccido e cercò come meglio sapeva di percepire le pulsazioni. Niente. Niente del tutto.

Elszabet guardò in direzione di April, la quale oscillava con energia sempre maggiore. Adesso cantava un’altra canzoncina per bambini, che le sembrava quasi familiare, ma la sua voce era così confusa e indistinta che Elszabet non riusciva a capire nessuna delle parole.

— April, cos’è successo a Ed Ferguson?

— A Ed Ferguson — ripeté April, scandendo le sillabe con molta attenzione, come se stesse esaminando quei suoni per capire se potessero avere davvero qualche significato.

— A Ed, sì? voglio sapere cos’è successo a Ed.

— A Ed. A Ed. Oh, Ed — April ridacchiò. — Ha fatto la Traversata. Tom l’ha aiutato a farla. Ci siamo tenuti tutti per mano, e Tom l’ha spedito nel Doppio Regno.

— Tom… cosa?

— È stato molto facile, senza nessuno sforzo. Ed si è semplicemente lasciato andare. Ha abbandonato il corpo, è tutto quello che ha fatto. Ed è partito per il Doppio Regno. Buon Dio, pensò Elszabet.

— Chi era con voi, allora?

— Oh, tutti.

Chi?

— Be’, c’erano Tom, e Padre Christie, e Tomás… — La voce di April si affievolì, rifugiandosi in un farfugliamento incomprensibile, mentre lei riprendeva a dondolare. All’improvviso April s’immobilizzò e si rivolse a Elszabet, dicendole con voce perfettamente lucida: — Sono molto spaventata, Elszabet. Tom dice che fra poco andremo tutti lassù, sulle stelle… È così, Elszabet? È il momento, ha detto. Adesso ha il completo potere, e ci spedirà tutti uno ad uno proprio come ha fatto con Ed. Suppongo che presto andrò anch’io. È così? Però non so dove andrò. Non so come sarà lassù per me. Non può esser peggio di quanto è stato per me quaggiù, non è vero? Ma anche così, ho paura, Elszabet. — E ricominciò a singhiozzare, e poi riprese ancora una volta a cantare.

Elszabet scosse Ferguson una volta ancora. La testa gli ciondolò giù dal collo.

Morto. Davvero. L’idea la stordì. Sentì le guance che le si arrossavano per il senso di colpa. Ferguson morto! Uno dei miei pazienti è morto. Quella testa ciondolante, quegli occhi ciechi. Elszabet rabbrividì: tutti quei discorsi della Traversata, dei risplendenti mondi alieni… adesso le parevano assurdi e bizzarri davanti a quella brutta realtà senza risposta. Più e più volte sentì questo pensiero echeggiarle nel cervello: Uno dei miei pazienti è morto. Nessun paziente era mai morto, prima di allora, lì al Centro. D’un tratto, con tutto il caos che turbinava là fuori, il tumulto e i grattatori che si aggiravano lì vicino, furtivi, e Tom che se ne andava intorno facendo Dio solo sapeva quale razza di stregonerie, c’era un solo pensiero nella mente di Elszabet, ed era che qualcuno affidato alle sue cure era morto. Tutto il lavoro che lei aveva svolto su Ferguson durante quell’anno, i test elaborati, i grafici controllati con estrema pignoleria, i consulti, i programmi della mondatura attentamente vagliati… ed era lì, morto.

Forse non lo era, non davvero. Forse era in una specie di trance profonda. Lei non era un medico. Non aveva mai visto una persona morta così da vicino. Sapeva che c’erano stati d’incoscienza che parevano uguali alla morte, pur trattandosi soltanto di animazione sospesa. Forse Ed Ferguson si trovava in uno di questi. Disse, rivolta ad April: — Cos’è che gli ha fatto esattamente Tom, sai dirmelo? Quando ha fatto la Traversata, lui com’era?

Ma April era lontana. Elszabet si accovacciò accanto a Ferguson sentendosi intorpidita. La pioggia tambureggiava con forza sul tetto. Da qualche parte vicino alla strada principale una folla di fanatici stava vagando, appena fuori del Centro, e sul lato opposto del bosco tre grattatori dall’aspetto sinistro erano in agguato, e Tom se n’era andato, Dio solo sapeva dove, e qui c’era Ed Ferguson morto, o forse in trance, e April…

Sentì un rumore di passi nel corridoio. Gesù, cosa sarebbe successo adesso?

Qualcuno là fuori chiamava il suo nome: — Elszabet, Elszabet? - Pareva Bill Waldstein.

— Sono nella stanza sette.

Waldstein si precipitò dentro di corsa, quasi inciampò su April, e si arrestò con una brusca frenata. — Dante era preoccupata per te e mi ha mandato a vedere come te la stavi cavando — disse. Poi notò Ed Ferguson. — Cosa diavolo…

— Credo sia morto, Bill. Ma tu te n’intendi più di me. Per favore, dagli un’occhiata.

Waldstein la fissò: — Morto?

— Credo di sì. Ma controlla. Il medico sei tu, non io.

Waldstein si curvò sopra Ferguson, tastandolo qua e là. — Come un sacco vuoto — dichiarò. — Qui non c’è più nessuno.

— Morto, vuoi dire?

— Talvolta è difficile esserne completamente sicuri solo guardando. Ma a me pare completamente morto. Non c’è proprio nessuno in casa. Cristo, guarda quel sorriso vuoto sul suo viso.

— April dice che Tom gli ha fatto vedere come fare la Traversata.

— La Traversata?

— È partito per qualche stella, dice April. Si sono tenuti tutti per mano e l’hanno mandato da qualche parte.

Waldstein guardò April: la grassona oscillava, canticchiava, singhiozzava. Girò lentamente la testa da un lato all’altro. — Mi stai dicendo che Ferguson è andato su un’altra stella? Su un’altra stella? Gesù, Elszabet!

— Non so dove lui si trovi. Ti ho ripetuto quello che April mi ha detto. È morto, no? Di cosa? Se non ha fatto la Traversata, di cosa è morto, un uomo apparentemente in perfetta saIute? April ha detto che si sono tutti tenuti per mano, Tom, Padre Christie, Tomás…

— E tu credi a questo?

— Sì, credo che abbiano fatto quello che April dice. Che si siano tenuti per mano ed abbiano effettuato una specie di rito. E sono quasi pronta a credere che Tom l’abbia mandato per davvero su uno dei mondi delle stelle… più che quasi pronta, forse. Guarda il suo viso, Bill. Guarda il suo viso. Hai mai visto un’espressione più beata di quella? È l’espressione di qualcuno che sa d’essere sul punto di andare dritto in paradiso. Ma Ferguson non credeva nel paradiso.

— E adesso si trova su qualche stella?

— Forse sì — annuì Elszabet. — Come faccio a saperlo?

Waldstein la fissò. — Dobbiamo trovare Tom e ucciderlo subito, in questo stesso istante.

— Cosa stai dicendo, Bill?

— Ascolta, non ci sono due vie di uscita, in questa faccenda. Hai intenzione di lasciarlo vagare qui intorno, ad assassinare la gente?

Elszabet fece un gesto d’impotenza. Non sapeva che risposta dare. Assassinio? Quella non era la parola giusta, pensò. Tom non avrebbe mai assassinato nessuno. Però… però… se Tom aveva toccato Ferguson come April aveva detto, e Ferguson era morto…

Waldstein disse ancora: — Se Tom è vero, se è genuinamente capace di sollevare la gente fuori dal proprio corpo, spedendola chissà dove, lasciandosi alle spalle soltanto un guscio vuoto, allora è l’uomo più pericoloso che ci sia al mondo. È, tutto da solo, uno spettacolo dell’orrore. Semplicemente, può andarsene in giro da un luogo all’altro, facendo fare la Traversata a questo e a quello, o qualunque altra cosa sia, fino a quando non sarà rimasto più nessuno vivo. Gli basterà schioccare le dita per spedire la gente su quelle dannate stelle… pensi che sia una buona cosa? Pensi che sia qualcosa che dobbiamo permettergli di fare? — Lei lo fissò, ma non riuscì ancora a trovare qualcosa da rispondere. Waldstein proseguì: — Questo, se credi a una qualunque parte di questa folle spazzatura. E se non ci credi, bene, allora abbiamo sempre il problema di scoprire come ha fatto ad uccidere Ferguson e…

Un improvviso, crepitante rumore uscì dal diffusore appiccicato con il nastro adesivo alla tempia di Elszabet. Sentì la voce di Arcidiacono, rotta, soffocata, quasi isterica.

— Dillo di nuovo — lo sollecitò.

Waldstein ricominciò a parlare, ma Elszabet sollevò la mano per farlo tacere. — Non tu, Bill. — Nel suo microfono, disse: — Non ho sentito quello che hai appena detto, Lew. Parla più piano. Con chiarezza.

— Ho detto che Tomás Menendez ha appena spento una delle barriere d’energia e i tumbondé si stanno riversando attraverso la nostra linea.

— Oh, Lew, no. No.

— Avevamo ogni cosa sotto controllo. Una folla colossale là fuori, ma non potevano entrare. Menendez portava in giro i generatori. Lavorava duro come tutti. Poi, è sembrato che avesse visto qualcuno che conosceva là fuori in quella folla, e si è messo a gridare che lui era colui che avrebbe aperto il cancello, o qualcosa del genere. E l’ha aperto. Ha subito spento la barriera. Ne abbiamo migliaia che stanno entrando nel Centro in questo preciso momento, Elszabet. Milioni, non lo so. Sono dappertutto. Fra due minuti saranno giù da voi.

— Oh, mio Dio — lei disse. Una strana tranquillità cominciò a impadronirsi di lei. Le venne quasi voglia di ridere.

— Cosa ti sta dicendo? — le chiese Waldstein.

Elszabet chiuse gli occhi e scosse la testa. — La barriera è giù, i tumbondé stanno arrivando. Oh, Gesù, Bill. È la fine. Eccoci, Gesù, eccoci.

Загрузка...