XXX NOTTE

Erano in cinque, tre uomini e due donne. Aspettavano davanti alla porta, raggruppati a una dozzina di passi di distanza. Nell'attesa parlavano fra di loro quasi gridando e ridevano e agitavano le braccia per darsi di gomito. Rimasi un po' a guardarli immerso nell'ombra. Non potevano vedermi, avvolto com'ero dal mio mantello di fuliggine, e io finsi di non sapere chi fossero. Potevano aver partecipato a una festa ed erano un po' alticci.

Si fecero avanti, esitanti per paura di essere respinti ma decisi a fare le loro proposte. Uno di loro era più alto di me, certamente il figlio illegittimo di un esultante. Aveva più di cinquant'anni ed era grasso come il padrone della Locanda degli Amori Perduti. Vicino a lui c'era una donna esile, sui vent'anni, che quasi gli si stringeva addosso: i suoi occhi erano i più famelici che io abbia mai visto.

Quando l'uomo grasso si fermò davanti a me, sbarrandomi la strada con la sua mole, la donna mi abbracciò quasi e si avvicinò talmente che parve addirittura una magia che non ci toccassimo; mosse le mani dalle dita affusolate verso l'apertura del mio mantello, come se volesse toccarmi il petto, e io ebbi la sensazione di avere davanti uno spettro bevitore di sangue, un succubo o una lamia. Gli altri si accalcarono intorno, costringendomi contro il muro.

— È fissato per domani, vero? Che sensazione si prova?

— Come ti chiami?

— È malvagio, vero, il mostro?

Nessuno aspettava che io rispondessi alla propria domanda. Cercavano solo la vicinanza, il poter dire che avevano parlato con me.

— Prima gli spezzerai le ossa? Lo marchierai?

— Hai mai ucciso una donna?

— Sì — risposi io. — Sì, una volta.

Uno degli uomini, piccolo e magro, con la fronte alta e sporgente dell'intellettuale, mi pose fra le mani un asimi. — So che voialtri non siete pagati tanto e ho sentito dire che lui è povero, perciò non ti potrà dare una mancia. — Una donna con gli occhi nascosti dai capelli grigi, cercò di farmi accettare un fazzoletto orlato di pizzo. — Immergilo nel sangue, almeno un bordo. Dopo ti pagherò.

Provavo pietà per loro, nonostante mi ripugnassero. Un uomo, in particolare, mi faceva pena. Era più piccolo di quello che mi aveva dato i soldi e più grigio della donna con il fazzoletto; nei suoi occhi opachi c'era un'ombra di follia, la parvenza di una preoccupazione repressa che si era logorata nella sua mente fino a perdere del tutto l'impazienza per conservare solo l'energia. Ebbi l'impressione che stesse lasciando sfogare gli altri per poi poter parlare a sua volta, e poiché non avrebbe mai ottenuto il silenzio zittii tutti con un gesto e gli chiesi che cosa volesse.

— M-m-maestro, quando mi trovavo sulla Quasar possedevo una paracoita, una bambola insomma, un genicon, così bella con le sue grandi pupille scure come pozzi e le iridi che parevano astri o viole del pensiero. Maestro, io credevo che fossero servite intere aiuole per fare quegli occhi, quella carne che sembrava s-sempre riscaldata dal sole. Dove si trova adesso la mia piccola? Che i g-ganci strazino le mani che me l'hanno portata via! Schiacciale sotto le pietre, Maestro. Dove è andata dalla cassetta di legno di limone che avevo costruito apposta per lei e nella quale non dormiva mai, perché stava tutta la notte insieme a me, mentre vi trascorreva le giornate, un turno di guardia dopo l'altro, sorridente quando ve la riponevo e sorridente quando la tiravo fuori? Come erano morbide le sue mani, le sue piccole mani. Come c-colombe. Le avrebbe potute usare per volare nella cabina, se non avesse preferito dormire con me. Avvolgigli le viscere con l'argano, infilagli gli occhi in bocca. Castrali in modo che le loro amanti non riescano più a riconoscerli, abbandonali alle spudorate risate delle b-bocche delle sgualdrine. Sfogati su quei colpevoli. Dove era la loro pietà per gli innocenti? Quando mai hanno tremato e pianto? Quali uomini potrebbero fare quello che hanno fatto loro… ladri, falsi amici, traditori, cattivi compagni, assassini e rapitori. S-senza di te, dove sono i loro incubi, la punizione promessa da tanto tempo? Dove sono le catene, i cappi e le manette? Dove sono le visioni che li renderanno ciechi? Dove sono le defenestrazioni che romperanno le loro ossa, la ruota che stritolerà le loro giunture? Dov'è lei, la mia amata perduta?


Dorcas aveva trovato una margherita e se l'era messa fra i capelli. Stavamo camminando all'esterno delle Mura e io ero avvolto nella mia cappa di fuliggine, e nessuno avrebbe potuto scorgermi nemmeno a pochi passi di distanza. La margherita chiuse i petali per dormire e Dorcas raccolse uno di quei fiori bianchi a forma di tromba che vengono detti fiori di luna perché appaiono verdi nella luce lunare. Non avevamo molto da dirci, se non che entrambi saremmo stati completamente soli senza l'altro. Erano le nostre mani a dirselo, stringendosi.

I fornitori delle vettovaglie andavano e venivano perché i soldati stavano per partire. A nord e a est le Mura ci circondavano e al loro confronto il muro che racchiudeva le caserme e gli uffici pareva una costruzione da bambini, un rialzo di sabbia che sarebbe stato facile abbattere. A sud e a ovest si stendeva il Campo Sanguinario. Udimmo gli squilli di tromba e le grida dei duellanti che cercavano i loro avversari. Ciascuno di noi, credo, temette per un istante che l'altro proponesse di recarsi là a vedere i combattimenti. Ma non dicemmo niente.

Quando dalle Mura arrivò lo squillo dell'ultimo coprifuoco, tornammo indietro e ci facemmo prestare una candela per illuminare la camera senza finestra e senza fuoco. La porta non aveva serratura, ma vi mettemmo contro il tavolo e sopra appoggiammo il candeliere. Avevo detto a Dorcas che era libera di andarsene quando voleva, e che in futuro avrebbe potuto essere indicata come la donna del torturatore, come colei che si concedeva sotto il patibolo per un po' di denaro sporco di sangue.

Lei aveva risposto: — Quel denaro è servito per vestirmi e sfamarmi.

Si levò il mantello bruno, che le arrivava alle caviglie e che se non stava attenta si trascinava nella polvere, e lisciò il grezzo lino giallo scuro della zimarra.

Le chiesi se avesse paura.

— Sì — rispose. Poi aggiunse in fretta: — Oh, non di te.

— E di che cosa, allora? — Mi stavo spogliando. Se me lo avesse chiesto, non l'avrei sfiorata per tutta la notte, ma volevo che me lo chiedesse… anzi, volevo che mi implorasse. Il piacere che in tal caso avrei trovato nell'astinenza sarebbe stato, così credevo, grande quanto quello di possederla; anzi, ancora più grande poiché a esso si sarebbe aggiunto anche il piacere di sapere che la notte successiva si sarebbe sentita ancora più obbligata perché l'avevo rispettata.

— Di me stessa. Dei pensieri che potrebbero tornarmi in mente quando giacerò nuovamente con un uomo.

— Nuovamente? Allora ti ricordi di un'altra volta?

Dorcas scrollò la testa. — Ma sono sicura di non essere vergine. Ti ho desiderato spesso, ieri e oggi. Per chi pensi che mi sia lavata alla locanda? Ieri notte ti ho tenuto la mano mentre dormivi e intanto sognavo che ci saziavamo e giacevamo l'uno nelle braccia dell'altra. Ma conosco la sazietà quanto conosco il desiderio… perciò ho conosciuto almeno un uomo. Vuoi che mi levi questo prima di spegnere la candela?

Era snella, con il seno alto e i fianchi appena accennati e mi appariva stranamente infantile, nonostante fosse una donna. — Sembri tanto piccola — dissi, stringendola a me.

— E tu sei tanto grande.

Ero consapevole del fatto che, per quanto cercassi di non farle del male, non sarei stato capace di risparmiarla, né quella notte né mai. Un istante prima mi sarei trattenuto, se me l'avesse chiesto, ma a quel punto non ci sarei più riuscito, e come mi sarei avventato anche a costo di infilzarmi su una picca, più tardi l'avrei seguita e avrei cercato di tenerla per me.

Ma non fu il mio corpo a essere trafitto, bensì il suo. Eravamo in piedi e le stavo passando la mano sulla pelle baciandole i seni simili a frutti rotondi spaccati in due. La sollevai e ricademmo avvinghiati su uno dei letti. Dorcas urlò di piacere e di dolore insieme e prima di aggrapparsi a me mi respinse. — Sono contenta — disse. — Sono tanto contenta. — E mi morse la spalla mentre il suo corpo si curvava all'indietro come un arco.

Più tardi, unimmo i letti per giacere fianco a fianco. La seconda volta lo facemmo più adagio e Dorcas si rifiutò di farlo ancora. — Domani ti occorreranno tutte le tue energie — mi spiegò.

— Allora non ti interessa.

— Se dipendesse da noi, nessun uomo dovrebbe essere costretto a vagare o a far scorrere il sangue. Ma il mondo non è stato creato dalle donne. Tutti voi siete dei torturatori, in un modo o nell'altro.

Quella notte piovve talmente forte che udimmo l'acqua tamburellare sulle tegole sopra le nostre teste: uno scroscio interminabile e purificatore. Mi assopii e sognai che il mondo era capovolto. Il Gyoll era in alto e riversava su di noi il suo torrente di pesci, sporcizia e fiori. Vidi il volto che avevo visto sott'acqua quando avevo rischiato di annegare… un portento di corallo e di bianco che sorrideva con i denti appuntiti, in alto nel cielo.

Thrax è detta la Città delle Camere senza Finestre. Questa camera senza finestre, pensai, è un anticipo di Thrax. Thrax sarà così. O magari io e Dorcas siamo già arrivati, non era poi così a nord come pensavo, come ero stato indotto a pensare…


Dorcas si levò per uscire e io la seguii, perché non sarebbe stato saggio per lei andare in giro da sola di notte in un posto pieno di soldati. Il corridoio sul quale dava la nostra porta costeggiava un muro perforato da feritoie e la pioggia entrava a spruzzi finissimi. Avrei voluto tenere Terminus est nel fodero, ma per sguainare una spada di tali dimensioni ci vuole tempo. Una volta tornati nella nostra stanza, con il tavolo contro la porta, estrassi la cote e affilai un lato della lama fino a quando il terzo inferiore, quello che avrei usato, riuscì a spaccare in due un capello lanciato in aria. Quindi lucidai e oliai tutta la lama e posai la spada alla parete, vicino alla mia testa.

Il giorno successivo avrei fatto la mia prima comparsa sul palco, a meno che il chiliarca non avesse deciso di essere clemente. Quel rischio c'era sempre. La storia insegna che ogni epoca presenta qualche nevrosi incontestata e il Maestro Palaemon mi aveva spiegato che la clemenza è la nostra, come a dire che uno meno uno non è uguale a zero, che la giustizia può permettersi di non essere imparziale al pari della legge umana. Nel mio libro marrone è riportato un dialogo di due mistagoghi nel quale si afferma che la cultura fosse una conseguenza della visione dell'Increato quale entità logica e giusta, costretta dalla coerenza interiore a mantenere le promesse e le minacce fatte. Se era vero, pensai, sicuramente noi saremmo periti e l'invasione dal nord, che molti avevano cercato di frenare con la loro vita, era solo il vento che abbatte un albero già marcio del giardino.

La giustizia è un concetto elevato e quella notte, mentre ero sdraiato vicino a Dorcas ad ascoltare la pioggia, ero giovane e perciò aspiravo alle cose elevate. Era questo il motivo per cui desideravo tanto che la nostra corporazione recuperasse il prestigio perduto, credo. E lo volevo ancora, nonostante ne fossi stato allontanato. E forse era sempre quello il motivo per cui l'amore per le cose viventi, che era stato tanto intenso in me da bambino, si era attenuato fino a ridursi a un filo di memoria quando avevo trovato il povero Triskele sanguinante davanti alla Torre dell'Orso. La vita, in fondo, non è tanto elevata, e sotto molti aspetti è tutto l'opposto della purezza. Adesso sono saggio, anche se non tanto più vecchio, e so che è meglio provare tutto, le cose più elevate e le più infime.

Perciò, se il chiliarca non avesse concesso la grazia, io l'indomani avrei tolto la vita ad Agilus. Nessuno può spiegare cosa significhi. Il nostro corpo è una colonia di cellule (ogni volta che il Maestro Palaemon usava quel paragone a me veniva in mente la nostra segreta). Separato in due perisce. Ma non c'è alcun motivo per deprecare la perdita di una colonia di cellule: ne muore una ogni volta che il pane viene messo nel forno. Se l'uomo non è altro che una colonia, allora non vale niente; ma per istinto noi sappiamo che un uomo è qualcosa di più. Cosa succede, allora, a quella parte in più?

Forse muore anche quella, sebbene più lentamente. Ci sono innumerevoli costruzioni e sotterranei e ponti infestati; eppure ho sentito dire che gli spiriti umani, diversamente da quelli elementari, appaiono sempre meno frequentemente e alla fine smettono del tutto. Secondo gli storiografi un tempo gli uomini conoscevano solo il mondo di Urth e non temevano le bestie che lo popolavano e viaggiavano sul nostro continente fino al nord; ma pare che nessuno abbia mai visto gli spettri di quegli uomini.

Forse lo spirito muore subito… o vaga fra le costellazioni. Urth, sicuramente, è più piccolo di un villaggio se paragonato all'immensità dell'universo. Quando un uomo vive in un paese e la sua casa viene incendiata dai vicini, se non vuole perire a sua volta se ne va. Ma in tal caso bisogna chiedersi come sia arrivato.

Il Maestro Gurloes, che aveva portato a termine tantissime esecuzioni, sosteneva che solo uno stupido potrebbe aver paura di sbagliare, di scivolare sul sangue o di non capire che il cliente porta una parrucca e quindi cercare di sollevarlo per i capelli. I maggiori pericoli, secondo lui, erano la perdita di coraggio, che avrebbe fatto tremare il braccio e sferrare un colpo goffo, e un senso di vendetta che avrebbe trasformato l'atto di giustizia in una ritorsione. Prima di riuscire a riprendere sonno, mi sforzai di scacciare quei pericoli.

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