Penso che il Maestro Gurloes intendesse mandarmi spesso in quella casa per evitare che io mi sentissi attratto dalla Castellana Thecla, ma lasciai che Roche intascasse il denaro e non ci tornai più. La sofferenza era stata troppo gradevole, il piacere troppo doloroso: temevo che la mia mente con il tempo non sarebbe più stata la stessa.
Inoltre, prima che io e Roche uscissimo dalla casa quella sera, l'uomo dai capelli bianchi fissandomi aveva estratto dal vestito quella che a prima vista mi era parsa un'icona ma che in realtà era una boccetta dorata a forma di fallo. Mi aveva sorriso e dal momento che quel sorriso non rivelava altro che amicizia, mi ero spaventato.
Passarono alcuni giorni prima che riuscissi a separare il pensiero di Thecla da certe impressioni legate alla falsa castellana, che mi aveva iniziato agli svaghi anacreontici degli adulti. Forse aveva avuto un effetto opposto a quello desiderato dal Maestro Gurloes, non so. Penso di non essere mai stato meno incline ad amare quella donna sfortunata che non nei giorni seguenti la serata in cui l'avevo illusoriamente posseduta. Da quando iniziai a capire con sempre maggiore chiarezza che si trattava di una menzogna, mi sentii portato a mettere ordine negli eventi e mi sentii allettato, tramite lei, dal mondo dei privilegi e dall'antica conoscenza che esso rappresentava; ma allora non mi rendevo conto del ruolo giocato da quella prigioniera.
I libri che le avevo consegnato divennero la mia università e lei il mio oracolo. Non sono una persona istruita… il Maestro Palaemon mi ha insegnato solamente a leggere, scrivere e contare, a conoscere pochi fatti del mondo fisico e i concetti fondamentali del nostro mistero.
Se qualche volta uomini istruiti mi hanno ritenuto, se non un loro pari, per lo meno non indegno della loro compagnia, questo è dovuto esclusivamente a Thecla — la Thecla che ricordo, che è viva in me — e ai suoi quattro libri.
Non descriverò quello che leggevamo insieme e le considerazioni che facevamo al riguardo: se ne raccontassi anche sola una piccola parte consumerei questa breve notte. Durante tutto quell'inverno, mentre la neve imbiancava il Vecchio Cortile, salivo dalla segreta come se riemergessi dal sonno, e iniziavo a osservare le impronte che i piedi lasciavano al mio passaggio e la mia ombra sulla neve. Thecla era triste, ma riusciva ugualmente a gioire nel raccontarmi i segreti del passato, le congetture delle più alte sfere del potere, le armi e le vicende di eroi morti da millenni.
Giunse la primavera e con essa i gigli striati di porpora e bianco della necropoli. Io glieli portavo e lei sosteneva che la mia barba era spuntata come quei fiori, che avrei dovuto avere le guance più bluastre degli uomini comuni; il giorno seguente mi domandava perdono e affermava che aveva mentito. Con la bella stagione e, penso, con i miei fiori, il suo spirito si elevava. Quando guardavamo gli stemmi delle vecchie famiglie mi parlava delle sue amiche e dei loro matrimoni: una aveva barattato il suo futuro con una rocca in rovina perché l'aveva sognata; un'altra che aveva giocato con lei da bambina era diventata proprietaria di terre che si estendevano per migliaia di leghe. — E prima o poi ci sarà un nuovo Autarca e forse un'Autarchia, Severian. Le cose possono restare immutate anche a lungo, ma non per sempre.
— Io non so quasi nulla della corte, Castellana.
— Meno ne sai e più potrai vivere felice. — Tacque, mordicchiandosi con i denti bianchi il delicato labbro inferiore. — Quando stavo per nascere, mia madre si fece condurre dai servitori alla Fonte Vatica, che si dice abbia il potere di predire il futuro. La Fonte profetizzò che mi sarei seduta su un trono. Thea mi ha sempre invidiata per questo. Tuttavia l'Autarca…
— Sì?
— Farei meglio a tacere. L'Autarca non è come gli altri e qualsiasi cosa io possa dire, su tutta Urth non c'è nessuno come lui.
— Lo so.
— Allora questo ti basti. Guarda. — Mi fece vedere il libro marrone. — Qui c'è scritto: Era opinione di Thalelaeus il Grande che la democrazia, ossia il popolo, desiderasse essere governata da una forza superiore. Yrierix il Saggio, invece, riteneva che la gente comune non avrebbe mai permesso a nessuno di detenere un alto ufficio. Comunque, entrambi sono detti Perfetto Maestro.
Non capivo cosa volesse dire, perciò tacqui.
— In realtà nessuno sa che cosa farà l'Autarca. E questo è tutto. O Padre Inire. Quando entrai a corte mi venne detto in gran segreto che chi veramente decideva le sorti della Repubblica era Padre Inire. Dopo due anni, un uomo molto importante del quale non posso fare il nome mi confessò che era l'Autarca a governare, sebbene all'interno della Casa Assoluta potesse sembrare che fosse Padre Inire. E lo scorso anno una donna, e il suo giudizio mi pare il più veritiero, mi disse che non importava affatto che fosse l'uno piuttosto che l'altro a comandare nelle questioni più importanti, perché entrambi erano imperscrutabili quanto gli abissi del mare e se uno prendeva le sue decisioni quando la luna era crescente e l'altro quando soffiava il vento dall'est, nessuno avrebbe comunque colto la differenza. Mi parve un giudizio assennato, fino al momento in cui mi resi conto che stava solamente ripetendo qualcosa che le avevo detto io stessa l'anno precedente. — Thecla tacque, stendendosi sul letto con i capelli scuri sparsi sul cuscino.
— Per lo meno — commentai, — facevi bene ad aver fiducia in quella donna. Si rifaceva a una fonte valida.
Come se non avesse ascoltato le mie parole continuò: — Ma è tutto vero, Severian. Nessuno sa che cosa possono fare. Potrei anche essere liberata domani. È possibile. Ormai sapranno che mi trovo qui. Non guardarmi in questo modo. I miei amici parleranno con Padre Inire o forse qualcuno ne farà cenno all'Autarca. Tu sai perché sono stata catturata, vero?
— Ha a che fare con tua sorella.
— La mia sorellastra. Thea è insieme a Vodalus. Pare che sia diventata la sua amante. Io lo credo.
Rammentai la bella donna in cima alla scala della Casa Azzurra e dissi: — Penso di aver visto tua sorella, una volta. Nella necropoli. Era insieme a un esultante di bell'aspetto che portava la spada nascosta in un bastone. Mi disse di chiamarsi Vodalus. La donna aveva il volto ovale e una voce che mi fece pensare alle colombe. Era lei?
— Penso di sì. Vogliono che lo tradisca per salvare me, ma io so che non lo farà. Quando se ne renderanno conto, perché non dovrebbero liberarmi?
Cambiai argomento fino a quando riuscii a farla ridere. — Sei talmente intellettuale, Severian. Quando diventerai artigiano, sarai il torturatore più cerebrale della storia… terrificante.
— Mi sembrava che ti piacessero queste discussioni, Castellana.
— Solamente adesso, perché non posso uscire. Potrà sorprenderti, ma da piccola dedicavo ben poco tempo alla metafisica. Andavo a ballare e a caccia di pecari con i limer pardini. L'istruzione che ammiri tanto l'ho acquisita da bambina quando ascoltavo il mio insegnante sotto la minaccia del bastone.
— Non è necessario che parliamo di queste cose, se non ti fa piacere, Castellana.
Si levò in piedi e avvicinò al volto i fiori che le avevo portato. I fiori sono una teologia migliore dei grossi volumi, Severian. È bello il posto dove li hai raccolti? Non li hai presi sulle tombe, vero? Intendo fiori recisi portati là da altri.
— No. Questi furono piantati molto tempo fa e ogni anno sbocciano.
Dalla feritoia della porta, Drotte annunciò: — È ora di andare. — Mi alzai.
— Credi di poterla rivedere? La Castellana Thea, mia sorella?
— Non penso, Castellana.
— Se per caso la rivedessi, Severian, le parlerai di me? Forse non sono riusciti a mettersi in contatto con lei. Non sarà un tradimento… farai solo il volere dell'Autarca.
— Lo farò, Castellana — le promisi uscendo.
— Lei non tradirà mai Vodalus, questo lo so, ma forse si potrebbe raggiungere un compromesso.
Drotte chiuse la porta e girò la chiave. Avevo notato che Thecla non si era chiesta che cosa ci facessero sua sorella e Vodalus nella necropoli antica e generalmente dimenticata da gente come loro. Il corridoio, con le sue porte metalliche e le pareti sgocciolanti d'acqua, pareva buio, dopo la cella rischiarata dalla lampada. Drotte iniziò a parlare di una spedizione compiuta da lui e da Roche oltre il Gyoll, in una fossa dei leoni. E mischiate alle sue parole mi giunse la voce di Thecla: — Ricordale quella volta che cucimmo la bambola di Josepha.
Il momento dei gigli passò e fiorirono le rose scure della morte. Le raccolsi e le portai a Thecla: erano color porpora scuro, screziate di scarlatto. Lei sorrise e recitò:
«Qui Rosa la Bella, non Rosa la Casta, riposa.
E il profumo che si innalza non è profumo di rosa».
— Se il loro odore ti infastidisce, Castellana…
— Per niente, è dolcissimo. Stavo solo ricordando qualcosa che raccontava mia nonna. Diceva che quella donna da giovane era malvista e che quando morì tutti i bambini canticchiavano questa strofetta. A dire il vero ho il sospetto che sia molto più antica, che si perda nelle nebbie del tempo, come il principio di tutte le cose belle e di tutte le cose brutte. Si dice che gli uomini desiderano le donne. Ma allora perché disprezzano le donne che ottengono?
— Non penso che tutti lo facciano, Castellana.
— La bella Rosa si donava e venne derisa. Ed è così ancora adesso, io lo so, nonostante i suoi sogni siano diventati polvere da tanto tempo, insieme al suo corpo. Vieni, siedi accanto a me.
Obbedii. Lei prese l'orlo della mia consunta camicia e lo sollevò. Protestai, ma non riuscii a oppormi.
— Di cosa ti vergogni? Non hai un seno da nascondere. Non ho mai visto una carnagione tanto bianca in una persona dai capelli così scuri… Pensi che la mia pelle sia bianca?
— Bianchissima, Castellana.
— Lo dicono tutti, ma in confronto alla tua è scura. Dovrai fare molta attenzione al sole, quando diventerai torturatore, Severian. Altrimenti ti scotterai terribilmente.
I suoi capelli, che portava spesso sciolti, quel giorno erano avvolti come un'aureola scura intorno al suo volto. Non l'avevo mai vista tanto simile a sua sorella, Thea, e il mio desiderio era tanto intenso che mi pareva di dissanguarmi sul pavimento, di indebolirmi a ogni respiro.
— Perché bussi? — Il suo sorriso mi disse che aveva capito.
— Devo andare.
— Rimettiti la camicia, prima di uscire… non vorrai che ti vedano così…
Quella notte, pur sapendo che era inutile, vagai nella necropoli per parecchi turni di guardia. E così feci anche la notte seguente e quella dopo, ma la quarta sera Roche mi condusse in una locanda e lì sentii dire che Vodalus era lontano, nel nord, e si nascondeva tra le foreste gelide e gli scorridori kafila.
I giorni passavano. Thecla, essendo rimasta al sicuro tanto a lungo, era ormai convinta che non sarebbe stata torturata e si era fatta portare da Drotte l'occorrente per scrivere e disegnare; faceva progetti per una villa che intendeva edificare sulla riva meridionale del lago Diuturna, che pareva fosse la zona più bella e più remota della Repubblica. Io accompagnavo gli apprendisti a nuotare, convinto che fosse mio dovere, ma non riuscii più a tuffarmi senza paura nell'acqua alta.
Poi, di colpo, fu troppo freddo per nuotare e una mattina il Vecchio Cortile scintillò di brina. Quel giorno a cena venne servito il maiale appena macellato, segno inconfondibile che il freddo aveva raggiunto le colline sottostanti la città. Fui convocato dal Maestro Gurloes e dal Maestro Palaemon.
Il Maestro Gurloes disse: — Sappiamo che ti sei comportato bene, Severian, e il tuo apprendistato è quasi al termine.
Sottovoce, il Maestro Palaemon aggiunse: — La tua infanzia è ormai alle spalle e ti aspetta la vita da adulto. — Nella sua voce c'era affetto.
— Esattamente — continuò il Maestro Gurloes. — La festa della nostra patrona si sta approssimando. Immagino che ci avrai pensato.
Annuii. — Eata diventerà capitano al mio posto.
— E tu?
Non riuscivo a capire che cosa volesse dire. Il Maestro Palaemon lo notò e mi chiese, gentilmente: — Cosa farai, Severian? Diventerai un torturatore? Sai che puoi lasciare la corporazione, se lo desideri.
Risposi fermamente, fingendomi quasi scandalizzato, che non ci avevo mai riflettuto sopra. Era una bugia. Come a tutti gli apprendisti, mi era stato detto che non si era ammessi definitivamente nella corporazione fino a quando non si dava il proprio consenso, una volta diventati adulti. Oltretutto, nonostante amassi la corporazione, la detestavo… non per le sofferenze che a volte infliggeva a clienti innocenti o che venivano puniti in maniera eccessiva rispetto alle loro colpe. La detestavo perché mi sembrava inutile servire un potere tanto remoto. Non saprei esprimere i miei sentimenti al riguardo se non dicendo che la odiavo perché mi affamava e mi umiliava e contemporaneamente la amavo perché era la mia casa; l'amavo e l'odiavo perché era vecchia e debole e tuttavia indistruttibile.
Logicamente non dissi niente di tutto questo al Maestro Palaemon, anche se forse l'avrei fatto in privato. Così, sebbene mi sembrasse impossibile, la mia dichiarazione di fedeltà venne presa sul serio.
— Indipendentemente dalla scelta che farai — disse il Maestro Palaemon, — è una possibilità che ti viene offerta. Molti affermano che solamente uno stupido si sottoporrebbe ai duri anni dell'apprendistato per poi rifiutare di diventare artigiano nella propria corporazione. Ma se lo desideri tu puoi farlo.
— E dove potrei andare? — Quella, anche se non potevo ammetterlo, era l'unica ragione che mi tratteneva lì. Sapevo che oltre le mura della Cittadella esisteva un mondo immenso… anzi, oltre le mura della nostra torre. Ma non credevo che ci sarebbe stato posto anche per me. Dinnanzi alla scelta tra la schiavitù e il vuoto della libertà aggiunsi: — Sono cresciuto nella nostra corporazione.
— Sì — disse il Maestro Gurloes, formale. — Ma non sei ancora un torturatore. Non hai ancora indossato la fuliggine.
La mano del Maestro Palaemon, secca e rugosa come quella di una mummia, cercò la mia. — Tra gli iniziati alla religione si dice: Sarai un epopte per sempre. E si riferiscono non solo alla conoscenza acquisita, ma anche al loro crisma, il cui simbolo, essendo invisibile, è incancellabile. Tu conosci il nostro crisma.
Annuii di nuovo.
— È ancora più impossibile cancellarlo. Se te ne andassi ora, di te si direbbe solamente: È stato cresciuto dai torturatori. Ma una volta consacrato, si dirà: È un torturatore. Potrai seguire l'aratro o il tamburo, però agli occhi degli altri sarai sempre un torturatore. Lo capisci?
— Non voglio ascoltare altro.
— Va bene — disse il Maestro Gurloes. Entrambi sorrisero. — Allora è giunto il momento di svelarti il segreto finale. — Mi sembra di sentire ancora adesso, mentre scrivo, l'enfasi della sua voce. — Farai bene a meditarlo prima della cerimonia.
Quindi i due Maestri mi spiegarono il segreto che costituisce il cuore della nostra corporazione ed è ancora più sacro per il fatto che non è celebrato da nessuna liturgia: è nudo nel grembo del Pancreatore.
Dovetti giurare di non rivelarlo mai a nessuno che non fosse in procinto di addentrarsi nei misteri della corporazione, come stavano facendo loro con me. Ho infranto quel giuramento, e ne ho infranti molti altri.