Brian Chaney oltre il 2000

Gli umili, i più umili fra tutti gli umili crudelmente perseguitati, stanno per entrare in possesso della loro eredità.

Charles Rann Kennedy

Capitolo quindicesimo

Chaney era apprensivo.

La luce rossa si spense. Allungò la mano per aprire e spingere il portello. La luce verde si spense. Chaney afferrò le due maniglie e si issò in una posizione più comoda, con la testa e le spalle che sporgevano dall’apertura. Sperò di essere solo nella stanza… il veicolo era immerso nel buio più completo. L’aria era fredda, pungente, e sapeva di ozono. Uscì dal portello, e scavalcò il bordo. Saltus lo aveva avvertito del fatto che la scaletta non c’era, e così Chaney si calò cautamente a terra, e rimase vicino al serbatoio di poliacqua per un momento, cercando di orientarsi. L’oscurità era completa, intorno a lui: non vedeva niente, non sentiva niente all’infuori del suono rauco del suo respiro.

Brian Chaney allungò le mani, per chiudere il portello, ma poi si fermò… il TDV era il suo unico contatto con la base di partenza. L’unico cordone ombelicale con il suo mondo e il suo tempo, e perciò era più saggio lasciare quel portello aperto, in attesa. Tese le mani, cercando l’armadietto; ricordava approssimativamente l’ubicazione, e così fece qualche passo esitante nelle tenebre, e andò a sbattere contro il mobile. Il suo vestito era appeso all’interno di un involucro di carta, coperto di polvere; era stato preparato da un lavasecco che ora si trovava a molti anni di distanza nel passato, e le scarpe erano sul fondo dell’armadio, sotto il vestito. Una pistola automatica…, la cui presenza era frutto delle insistenze di Arthur Saltus… era un rigonfio fastidioso nella tasca della giacca.

La presenza dell’arma aumentò la sua apprensione.

Chaney non si disturbò a controllare l’ora: il suo orologio non aveva un quadrante fluorescente, e sul muro non si vedeva niente. Uscì in fretta dalla stanza buia.

Lentamente camminò lungo il corridoio, in un nero silenzio spettrale, verso il deposito; la polvere sollevata dai suoi passi gli fece provare il bisogno di starnutire. Trovò a tentoni la porta del deposito, e l’aprì con una spinta, ma le luci automatiche non si accesero. Chaney cercò l’interruttore manuale, accanto alla porta, lo abbassò, ma rimase al buio: l’energia elettrica non c’era e il tecnico che aveva tenuto la conferenza era stato un bugiardo. Ascoltò attentamente, cercando di scoprire qualche rumore nella stanza invisibile. Non aveva fiammiferi, non aveva un accendisigari… era la penale che tutti i non fumatori pagavano quando c’era bisogno di luce o di fuoco… e rimase fermo, per un momento, indeciso sul da farsi, cercando di ricordare dove fossero immagazzinati gli strumenti e le lampade a petrolio. Gli sembrava che fossero negli armadi metallici, lungo la parete opposta, vicino alla sezione degli abiti pesanti.

Chaney avanzò sul pavimento, al buio, desiderando di avere quel presuntuoso, tronfio tecnico con lui, in quella stanza, al buio.

Si scontrò con una scatola vuota, e sobbalzò, impaurito; con un calcio, allontanò la scatola, che prima di fermarsi urtò un altro oggetto. Saltus si era lamentato del pessimo governo della casa, e Katrina aveva scritto un promemoria. Dopo un periodo di avanzata al buio, a tentoni, il gonfiore della tasca — l’indesiderata pistola — colpì uno spigolo del banco di lavoro, e Chaney allungò le mani per esplorarne la superficie. Una radio… collegata all’antenna… una lampada, delle scatolette vuote, una grossa scatola, un certo numero di oggetti metallici che le sue dita non riuscirono immediatamente a identificare, e una seconda lampada. Chaney esitò appena un istante sugli oggetti, poi continuò la sua esplorazione a tentoni. Le sue dita trovarono una scatola di fiammiferi; i serbatoi delle due lampade gorgogliarono in maniera rassicurante, quando lui li scosse. Accese le due lampade, e si voltò per guardare il locale. Chaney non voleva considerarsi un vigliacco o un pauroso, ma tenne la mano nella tasca che ospitava la pistola, quando si voltò a guardare nella penombra.

Il saccheggiatore era ritornato ad attingere provviste.

Dall’aspetto del posto, l’uomo doveva avere trascorso laggiù gli ultimi inverni, oppure aveva invitato anche i suoi amici.

Una terza lampada era posata a terra, vicino alla porta, e se lui avesse fatto un passo o due di lato avrebbe inciampato, rovesciandola. Accanto alla lampada c’era una scatola di fiammiferi. Un numero incredibile di scatole di cibo vuote era accumulato contro una parete, insieme a una collezione di contenitori d’acqua, e Chaney si chiese per quale motivo lo sconosciuto visitatore non aveva gettato via le scatole, bruciandole all’esterno, per liberare il posto dalla confusione. Chaney contò le scatole e i contenitori con crescente meraviglia, e cercò di calcolare quanti anni fossero passati dall’arrivo di Arthur Saltus a quel giorno. Questo gli ricordò di guardare l’orologio: le nove meno cinque. Ebbe il fastidioso sospetto di essere stato mandato dal TDV nella data sbagliata; era certo che la macchina avesse commesso un nuovo errore. Una sacca di plastica era stata aperta… come diceva Saltus nel suo rapporto… e un buon numero di abiti pesanti mancava dalle scansie. Mancavano anche numerose paia di stivali. La sacca che conteneva i guantoni imbottiti era caduta a terra, e un guanto era caduto da una parte, e nessuno l’aveva notato, al buio.

Malgrado la confusione di scatole e di contenitori, al suolo non era stata versata una briciola di cibo; chi aveva fatto razzia aveva usato tutto. Non erano visibili neppure segni di topi o di altri animaletti.

Si girò verso il reparto delle armi. Cinque fucili erano stati presi, oltre a un numero indeterminato di pistole automatiche e di mitragliatrici. Immaginò, senza controllare, che fosse sparito anche un numero adeguato di munizioni. Il maggiore Moresby e Saltus dovevano avere preso due dei fucili.

I piccoli oggetti metallici sul banco di lavoro erano i gradi che Moresby aveva staccato dall’uniforme, e Saltus aveva spiegato per quale motivo essi dovevano essere rimossi in una zona di guerra. Le scatolette vuote avevano contenuto bobine per i registratori, pellicole di nylon, e cartucce; lo scatolone rimasto conteneva il suo panciotto a prova di proiettili. La mappa rivelava il solito strato di polvere. La radio era ormai inutile… inutile, a meno che la riserva di batterie non fosse sopravvissuta agli anni trascorsi.

Anni: tempo.

Chaney prese entrambe le lampade, e ritornò nella stanza che ospitava il TDV. Si diresse verso la parete opposta, e guardò il calendario e l’orologio. Si erano fermati entrambi, quando l’energia era mancata.

L’orologio indicava pochi minuti dopo mezzogiorno, o dopo mezzanotte. Il calendario aveva cessato di misurare il tempo il 4 Mar 09. Soltanto il termometro offriva un dato significativo: 6 gradi sopra lo zero.

Otto anni e mezzo dopo il giorno in cui Arthur Saltus aveva vissuto il suo disastroso cinquantesimo compleanno, dieci anni dopo che il maggiore Moresby era morto in quello scontro al recinto, il reattore nucleare che aveva alimentato il laboratorio si era guastato, o le linee erano state distrutte. Avrebbero potuto essersi consumate per mancanza di pezzi di ricambio; i trasformatori potevano essere saltati; poteva essersi verificato un corto circuito; il combustibile nucleare poteva essersi esaurito; avrebbero potuto accadere cento o mille cose, per interrompere l’emissione di energia. Una era accaduta, senz’altro. L’energia non c’era più.

Chaney non poteva sospettare neppure lontanamente da quanto tempo l’energia era cessata; sapeva soltanto di trovarsi in una data oltre il 4 marzo 2009.

Il guasto poteva essersi verificato la settimana scorsa, il mese scorso, o in qualsiasi momento degli ultimi cento anni. Non aveva chiesto ai tecnici la data precisa del suo obiettivo, ma aveva immaginato che essi l’avrebbero mandato nel futuro un anno dopo Saltus, per compiere una ricognizione della base. La supposizione era sbagliata… oppure il veicolo aveva sbagliato per la seconda volta. Cupamente, Chaney concluse che la cosa non aveva importanza… non aveva la minima importanza. Quella missione nata sotto una cattiva stella era quasi finita; sarebbe finita, non appena lui avesse ultimato un giro finale della base, e fosse ritornato con il suo rapporto.

Riportò le lampade nel deposito.

La radio attirò la sua attenzione. Chaney cercò un pacco sigillato di batterie, e infilò il numero prescritto nell’apparecchio. Cercò lungo le lunghezze d’onda dei canali militari, avanti e indietro, avanti e indietro, senza alcun risultato. Alzò il volume al massimo, e appoggiò lo strumento all’orecchio, ma non sentì neppure il fruscio dell’etere, neppure una scarica statica, niente di niente. Questo indicava che le batterie non erano sopravvissute il passaggio del tempo. Chaney buttò da una parte la radio, che ormai non serviva a nutrire, e si preparò alla ricognizione.

Era deluso per non avere trovato un messaggio di Katrina, come durante l’esplorazione sperimentale.

Indossò prima di tutto il panciotto protettivo. Arthur Saltus lo aveva avvertito, gli aveva dimostrato il valore protettivo di quel piccolo indumento cosi inconsistente all’apparenza: Saltus era sopravvissuto solo perché l’aveva indossato.

Poiché non conosceva la stagione nella quale era emerso… solo la temperatura esterna… Chaney indossò un paio di stivali, e infilò un cappotto pesante, infilandosi in tasca un paio di guanti imbottiti. Prese un fucile, lo caricò come gli aveva insegnato Moresby, e vuotò una scatola di cartucce in tasca. La mappa non aveva alcun interesse, per lui: le ricognizioni a Chicago e a Joliet erano state immediatamente annullate, e ora il suo campo d’azione era limitato solo a Elwood Station. Eseguire un rapido controllo, e ritornare subito alla base di partenza. Katrina aveva detto che il presidente e i suoi ministri stavano aspettando il rapporto finale, prima di decidere una linea d’azione atta a rimediare la tragica situazione futura. La chiamavano “formulazione di una politica di polarizzazione positiva”, e solo loro sapevano cosa accidenti volesse dire quella frase.

Un ultimo giro della base, e la missione sarebbe finita; avrebbe conosciuto solo quello, del futuro.

Chaney prese una borraccia d’acqua, poi infilò in un piccolo zaino delle provviste e dei fiammiferi, e si mise a tracolla il tutto; non si aspettava, comunque, di restare fuori tanto a lungo da averne bisogno. Fu lieto che le vecchie batterie non funzionassero… così aveva una scusa per lasciare nel deposito la radio e il registratore… ma infilò una pellicola nella macchina fotografica, perché Gilbert Seabrooke aveva richiesto una documentazione fotografica della distruzione di Elwood Station. La descrizione verbale fornita da Saltus era stata deprimente. Un’ultima, veloce ricerca nella stanza non gli mostrò altri articoli che, a suo avviso, avrebbero potuto servirgli nel corso della ricognizione.

Chaney si umettò le labbra, secche per l’apprensione e l’angoscia, e lasciò il deposito.

Il corridoio terminava davanti alle scale che portavano all’uscita delle operazioni. Il cartello che aveva proibito di portare armi oltre la porta era stato cancellato; una chiazza di vernice nera copriva tutte le lettere, nascondendo le parole e vuotando di significato l’avviso. Il cartello era stato incollato alla porta; la vernice era stata passata sul cartello. Chaney controllò l’ora, e lasciò le due lampade sull’ultimo gradino, in attesa del suo ritorno. Infilò le chiavi nelle serrature gemelle, e uscì, esitante, all’aria aperta.

La giornata era limpida, piena di sole, ma freddissima. Il cielo era come nuovo, azzurro, e libero di aerei; pareva pulito da poco, era un cielo diverso da quel cielo inquinato, pieno di foschie e di smog, che aveva conosciuto fin quasi dalla nascita. Bianche chiazze di brina resistevano all’ombra, dove i raggi del sole non le avevano ancora toccate.

L’orologio indicava le nove e trenta, e Chaney pensò che l’ora doveva essere quasi esatta… il chiarore del mattino era ancora fresco.

Un carretto a due ruote lo aspettava, nel parcheggio.

Chaney guardò quella rozza apparizione, senza riuscire a credere ai propri occhi; era preparato a vedere quasi tutto, ma non quello. Il carro non era stato costruito con molta perizia, era stato messo assieme con legno usato, un’asse e un paio di ruote staccate da una delle piccole auto elettriche che Saltus aveva descritto. Per tenere assieme i quattro lati e le fiancate, dove i chiodi non erano serviti, era stato utilizzato del filo metallico, preso da qualche macchinario; i pneumatici erano marciti già da molto tempo, e il carro procedeva sulla parte metallica delle ruote. Non era stato certo un abile falegname a preparare il tutto.

Il secondo oggetto che attirò la sua attenzione fu un piccolo monticello di argilla, nello spazio che un tempo era stato un giardino. L’erba e gli sterpi crescevano ovunque, e l’erba era incredibilmente alta, e nascondeva in parte la visione della base, celando quasi completamente il monticello giallastro; l’erba cresceva alta intorno al parcheggio, e oltre, e negli spazi aperti che circondavano gli edifici dall’altra parte della strada. Erba e sterpi e cespugli riempivano il mondo a perdita d’occhio, e Chaney ricordò la prateria percorsa da mandrie di bisonti che, si diceva, si era estesa in quei luoghi, quando l’Illinois era stato un territorio ni diano. Il tempo aveva compiuto la trasformazione… il tempo, e l’abbandono. Da quanto tempi i prati della base non erano stati affidati alle cure di un giardiniere?

Muovendosi cautamente, fermandosi spesso a esplorare la zona che si stendeva davanti a lui, Chaney si avvicinò al monticello giallastro.

Quando fu più vicino, scoprì una pista appena visibile, che partiva dal bordo dell’edificio, attraversava il giardino e si dirigeva verso il monticello d’argilla. La seconda scoperta fu ugualmente improvvisa. Accanto al sentiero… quasi invisibile, nell’erba alta… scorreva un rigagnolo, un minuscolo canale fatto con vecchie grondaie staccate da qualche edificio, e trasformate per servire allo scopo di raccogliere l’acqua. Un acquedotto rozzo e primitivo, accanto a un sentiero appena accennato. Chaney si fermò bruscamente, sorpreso, e fissò la vecchia grondaia e il monticello vicino, immaginando già, quasi, ciò che avrebbe scoperto. Continuò ad avvicinarsi cautamente.

Giunse improvvisamente in una radura, uno spazio aperto nell’erba alta, e trovò la costruzione: una cisterna, con un rozzo coperchio di legno. Accanto alla cisterna erano posati un secchio e una fune.

Chaney, lentamente, girò intorno alla cisterna e all’argilla accumulata durante lo scavo, e per poco non inciampò in un altro canale, fatto della stessa materia; il secondo acquedotto andava verso l’edificio del laboratorio, attraverso l’erba e gli sterpi… probabilmente per raccogliere l’acqua che scendeva dal tetto. Il monticello d’argilla non era recente. Preso da una curiosità fortissima, si inginocchiò e tolse il coperchio, e vide una cisterna piena d’acqua per metà. Le pareti del pozzo erano fatte di vecchi mattoni e di pietre, ma l’acqua era singolarmente pulita, e Chaney cercò di scoprirne il perché. Dei filtri, fatti con delle tendine da finestra, erano stati posti al termine di ogni condotto, per proteggere la cisterna dall’arrivo di rifiuti o di piccoli insetti; c’era anche una sottile rete metallica, prima dei secondi filtri. Le grondaie erano sgombre di foglie e di rifiuti, ed era stato compiuto il tentativo di sigillare le giunture con una sostanza catramosa.

Chaney posò a terra il fucile, e si chinò a studiare meglio la cisterna, sbalordito. Ormai la riconosceva.

Come il carro, non era stata fabbricata da mani esperte. La forma della costruzione… le sue linee… erano facilmente riconoscibili: i lati non esattamente perpendicolari, l’imboccatura rozzamente arrotondata, e il pozzo stesso, che pareva più largo in fondo che in cima. Era una costruzione imperfetta, dilettantistica, e tracciata senza l’ausilio di un filo a piombo… ma era ugualmente una copia ragionevolmente fedele di una cisterna nabatea, e ci si poteva attendere che contenesse dell’acqua per un secolo, e anche di più. In quel luogo la sua presenza era sconcertante. Chaney rimise a posto il coperchio, e si rialzò.

Quando si voltò, vide la tomba.

La visione lo scosse. Il luogo gli era stato nascosto fino a quel momento dalle erbe e dai cespugli del giardino, ma c’era un sentiero appena accennato che conduceva alla tomba, dalla radura della cisterna. Il monticello d’argilla, sopra la tomba, era basso, vecchio, e coperto da uno strato d’erba; la croce, sulla tomba, era stata inchiodata e ricoperta di vernice bianca, che andava già sbiadendo. Delle lettere sbiadite erano visibili sul braccio della croce.

Chaney si avvicinò e si chinò a leggere.


ADIUTAT DEUS K


La porta della garitta di guardia era stata staccata dai cardini e portata via… forse per costruire il carro.

Chaney si affacciò cautamente all’apertura, pronto al pericolo ma timoroso di doverlo affrontare, poi entrò per un’ispezione più accurata. La stanza era spoglia. Non rimaneva alcuna traccia degli uomini che erano morti là dentro; ossa, armi, brandelli di stoffa… niente. Alcuni vetri della finestra erano stati rotti, ma altri pannelli erano intatti; il reticolato metallico era stato preso da due delle finestre, ed era stato usato nella costruzione della cisterna. Era un posto solitario e vuoto.

Chaney tornò indietro, e si voltò a guardare il cancello.

Era chiuso e sbarrato, e impediva l’accesso a chiunque non fosse deciso a compiere un’avventurosa scalata; erano stati compiuti tutti gli sforzi per riparare efficacemente i danni. Chaney notò tutto questo con un solo sguardo, e si fece avanti per studiare le protezioni che erano state aggiunte… gli avvertimenti che prima non c’erano stati. Tre torvi talismani erano appesi all’esterno del cancello, di fronte alla strada; tre teschi ghignanti, che dovevano appartenere ai cadaveri degli uomini che erano stati uccisi nella garitta di guardia, tanti anni prima. L’avvertimento, per coloro che volevano oltrepassare il cancello, era chiaro e inconfondibile, e molto efficace.

Chaney guardò i teschi, sapendo che quegli avvertimenti erano antichi come il tempo; simili indicazioni di morte avevano protetto le città della Palestina, prima dell’arrivo dei romani, e simili moniti sinistri erano stati usati fino al diciottesimo secolo, in alcuni dei più remoti villaggi del Negev.

Nessuno era visibile in giro: l’ingresso e il terreno vicino erano deserti, l’avvertimento era stato ascoltato. Erbe altissime e cespugli crescevano nei fossati e nei campi, su entrambi i lati della strada che conduceva alla lontana autostrada, ma l’erba non era stata disturbata dal passaggio degli uomini. La strada nera era stata cancellata ormai da tempo, dai vento e dalla pioggia e dalla neve, e l’asfalto era pieno di crepe e di buche, e in alcune buche cresceva l’erba. Se un’automobile avesse percorso, ora, quella strada, avrebbe dovuto procedere con estrema lentezza.

Chaney fotografò la scena, e lasciò il cancello.

Dirigendosi a nord, camminando rapidamente, seguì la strada familiare che portava alla vecchia caserma nella quale aveva vissuto per quel breve periodo con Saltus e Moresby. Per poco non passò accanto al punto esatto senza vederlo, perché tutto era coperto da un groviglio di erbe e di arbusti; nessun edificio si alzava sopra quella specie di giungla.

Costringendosi a penetrare in quel groviglio… e facendo fuggire dal suo nascondiglio una creaturina pelosa e veloce, che Chaney riconobbe dopo un istante… un coniglio… l’uomo si trovò davanti alla base bruciata di un edificio che quasi si perdeva nella marea verde. Non riuscì a riconoscere la sua vecchia caserma; non avrebbe saputo indicare l’ubicazione della sua vecchia stanza, se quella fosse stata davvero la caserma; solo il lungo rettangolo stretto delle fondamenta faceva capire quale tipo di edificio fosse sorto laggiù, un tempo. Scavalcò il muretto rimasto. La brina sottile copriva i blocchi di cemento, dalla parte nord, mostrando chiaramente quanto fosse gelida l’aria. Chiazze di anemoni azzurri crescevano nella luce del sole, e… con sua grande sorpresa… vide che macchie rosse di fragole selvatiche spuntavano un po’ dappertutto, sul lato sud delle fondamenta. Guardò il cielo, cercando di capire dalla posizione del sole la stagione, e poi fissò di nuovo le fragole, sbalordito. Doveva essere estate. L’inizio dell’estate.

Chaney fotografò le fragole e le macerie, e ritornò sulla strada. Un luogo abbandonato. Continuò ad avanzare verso nord.

La Strada E era facile da riconoscere, anche senza l’aiuto del cartello arrugginito in cima a un paletto di metallo, in un angolo. Fece molta attenzione, camminando con prudenza e cercando di ascoltare eventuali rumori. Elwood Station era quieta e silenziosa, sotto il sole.

Il centro ricreativo era cambiato radicalmente. Non era un cambiamento consolante.

Chaney avanzò silenziosamente fino all’ingresso, lo varcò e attraversò la spianata di cemento, fino al bordo della piscina. Guardò in basso. Il fondo era coperto da pochi centimetri di acqua fangosa… un residuo delle piogge dei mesi precedenti… e da una misera collezione di armi rotte e arrugginite, e da una considerevole quantità di detriti portati dal vento: la piscina era diventata un grande raccoglitore di rifiuti. Il cadavere marcito di un piccolo animale galleggiava in un angolo. Un luogo solitario. Chaney si costrinse a dimenticare il ricordo che lui aveva della piscina, e indietreggiò. Ora il luogo pareva cupo, squallido, abbandonato, e non c’era una sola scena che facesse pensare a tempi più felici.

Se ne andò in fretta, dirigendosi a nord ovest. L’angolo del perimetro distava circa un miglio, se ricordava bene la mappa della base, ma pensava di poter percorrere a piedi quella distanza in un tempo ragionevole.

Chaney trovò il deposito delle auto dopo avere percorso poche decine di metri. Il pavimento della grande rimessa ospitava meno di venti automobili, ma nessuna era in condizione di funzionare: erano state sventrate, le parti più utili erano state staccate, e molte erano soltanto delle carcasse bruciate. Il cofano di tutte le vetture era stato aperto, e le batterie mancavano dovunque; nessuno dei piccoli motori era rimasto intatto, per dargli un’idea del funzionamento. Chaney si fermò a guardare, perché era curioso e perché Arthur Saltus gli aveva parlato delle piccole auto elettriche. Avrebbe voluto guidarne una. Non c’erano camion nella rimessa, benché durante il periodo di addestramento Chaney ne avesse visti molti in giro per la base. Probabilmente i camion erano stati trasferiti a Chicago, per affrontare lo stato di emergenza… o erano stati rubati, quando i ramjets avevano invaso la base.

Chaney uscì dalla rimessa, e si fermò bruscamente sulla strada. Forse era stata un’illusione prodotta dalla tensione, ma gli era parso di avere notato un movimento nell’erba alta, dall’altra parte della strada. Tolse la sicura al fucile, e camminò in quella direzione. Nella fitta vegetazione non si vedeva niente.

Non c’erano brecce nel recinto, sull’angolo di nord-ovest.

La carcassa bruciata e arrugginita di un camion occupava un punto che un tempo era stato una breccia, ma adesso quel camion faceva parte del recinto riparato. L’apertura era stata riempita di filo spinato, teso e avvolto sopra, sotto, intorno al rottame del camion, fino a farlo diventare parte integrante della barriera; e dell’altro filo spinato era stato avvolto verticalmente e diagonalmente, rendendo impossibile a chiunque, anche a un bambino, di penetrare dal basso. Chaney si diresse verso la seconda breccia. Era stata riempita, la barriera era stata riparata allo stesso modo, e un’antica cavità nel terreno era stata colmata completamente. La barricata era intatta, impenetrabile.

L’erba e gli arbusti crescevano tutt’intorno, altissimi, nascondendo buona parte del recinto. Chaney non si sorprese nel vedere gli stessi talismani raccapriccianti appesi all’angolo di nord-ovest, a guardia della base; si era aspettato di trovarli. Gli scheletri ai quali i teschi appartenevano non c’erano, ma Chaney non aveva visto un solo corpo umano in tutta la base… qualcuno li aveva seppelliti tutti, amici e nemici. I tre teschi penzolavano dalla cima del recinto, guardando con le orbite vuote la pianura sottostante e le rotaie arrugginite della ferrovia, più lontano.

Chaney distolse lo sguardo.

Cercò nell’erba alta, sperando confusamente di trovare qualcosa. Arthur Saltus non era riuscito a scoprire alcuna traccia del maggiore, ma Chaney non poté fare a meno di cercare a sua volta; cercò il minimo indizio, qualcosa che potesse rivelare la presenza dell’uomo in quel punto, sulla scena dell’attacco. Era impossibile rinunciare così alla ricerca, lasciare scomparire nel nulla il maggiore Moresby, senza fare qualche sforzo, senza fare qualche tentativo di scoprire dov’era stato, come era morto, se era morto.

Lontano, da un punto nascosto, il grido gioioso di un bambino ruppe il silenzio del mattino freddo.

Chaney sobbalzò, sbalordito, e per poco non inciampò su un pezzo di metallo nascosto tra l’erba. Si voltò rapidamente, per esplorare l’angolo della base che aveva creduto deserto, e poi guardò indietro, lungo la strada che aveva percorso per arrivare lassù. Udì di nuovo il richiamo del bambino… e poi una voce di donna, che lo chiamava. Dietro di lui. Giù dal pendio. Chaney provò un’eccitazione nuova e ansiosa, si girò e corse verso il recinto. Ed erano laggiù, oltre la barriera.

Li trovò immediatamente: un uomo, una donna, e un bambino di tre o quattro anni, che camminavano lungo le rotaie arrugginite, non molto lontano. L’uomo portava soltanto un bastone di legno, mentre hi donna portava una grossa borsa, una specie di sacco. Il bambino correva dietro di loro, giocando un gioco che doveva avere inventato da poco.

Chaney fu così felice di vederli da dimenticare il pericolo che avrebbe potuto correre, e gridò con tutte le sue forze. Il fucile era un peso incomodo, e lo gettò a terra, per agitare le braccia nella loro direzione.

Ignorando il filo spinato, si arrampicò sul recinto per qualche decina di centimetri, per mostrarsi e attirare la loro attenzione. Gridò di nuovo, e a cenni li invitò a venire da lui.

Il risultato lo lasciò attonito, sconvolto.

I due adulti si guardarono intorno, con una certa sorpresa, guardarono lungo la strada ferrata, nei campi, e finalmente lo scoprirono in piedi sul recinto, proprio sotto i teschi. Rimasero immobili, paralizzati dalla paura, solo per pochi istanti. La donna gridò, come se qualcuno l’avesse colpita, e lasciò cadere la borsa; corse verso il bambino, per proteggerlo. L’uomo corse dietro di lei… la superò… e con un rapido gesto prese tra le braccia il bambino. Il bastone gli cadde di mano. Si voltò solo una volta a fissare Chaney, sospeso a metà del recinto, e poi si mise a correre lungo le rotaie. La donna incespicò… per poco non cadde… e poi corse disperatamente, per restare sulla scia dell’uomo. Il padre si mise il bambino su una spalla… poi, con la mano libera, aiutò la donna, spingendola, incoraggiandola a correre più forte. Fuggirono da lui con tutte le forze che possedevano, con tutta la velocità che riuscirono a raggiungere, e il bambino cominciò a piangere di paura. Era la paura a farli fuggire; la paura correva con loro.

— Tornate indietro!

Si aggrappò alla barriera, senza curarsi del filo spinato, e li seguì con lo sguardo, fino a quando non li vide sparire. L’impalcatura con il suo cartellone traballante e l’erba alta li nascosero, e il pianto del bambino fu soffocato. Chaney rimase là, protendendo le dita attraverso il reticolato.

— Vi prego! Tornate indietro!

L’angolo di nord-ovest del mondo rimase vuoto. Lui scese dal recinto, con le mani sanguinanti.

Chaney raccolse il fucile e si voltò, aprendosi la strada faticosamente tra le erbe e gli arbusti, verso la strada e l’agglomerato di edifici nel cuore della base. Non ebbe il coraggio di voltarsi a guardare. Non aveva mai conosciuto nessuno che fosse fuggito davanti a lui… neppure quei bam4 bini, quei piccoli mendicanti che erano rimasti sulle sabbie del Negev, accoccolati a guardarlo, mentre lui frugava nella sabbia alla ricerca della loro storia dimenticata. Erano sempre stati timidi e diffidenti, quei beduini, ma non erano fuggiti davanti a lui. Lui camminò senza fermarsi, non guardò la rimessa delle inutili automobili, non guardò il centro ricreativo con al centro quella fossa dei rifiuti che era stata una piscina, non guardò i resti delle caserme bruciate e gli anemoni che erano restati di guardia…, non volle guardare niente, perché non voleva più vedere nulla del mondo che era stato, né di quello che aveva scoperto quel giorno. Camminò in silenzio, assaporando il gusto della morte e della decomposizione che circondava ogni cosa.

Elwood Station era un mondo chiuso, un mondo circondato da una barriera che faceva paura, che si ergeva come un’isola di stolido isolamento tra i sopravvissuti di quella violenta guerra civile. C’erano dei sopravvissuti. Erano là fuori, oltre il recinto, ed erano fuggiti davanti a lui… che era rimasto dentro. Le loro paure, i loro terrori erano centrati sulla base: era il demonio che conoscevano. Era lui il demonio che avevano intravisto per un istante.

Ma la base aveva un abitante… non un visitatore, non un saccheggiatore venuto dal mondo esterno, che si serviva delle provviste durante l’inverno, ma un abitante permanente. Un demone che abitava là, e che aveva riparato il recinto e appeso quegli orribili talismani per tenere lontano i sopravvissuti, un abitante cristiano che aveva scavato una fossa e vi aveva posto sopra una croce.

Chaney si fermò, al centro del parcheggio.

Davanti a lui: le pareti impenetrabili del laboratorio si levavano, come un grande tempio grigio, in un campo d’erba e di sterpi. Davanti a lui: un monticello ili argilla giallastra accanto a una cisterna nabatea si ergeva come un anacronistico pollice, con una tomba solitaria accanto. Davanti a lui: un carro a due ruote, fatto di legno e di ruote prese da macchine ben più perfezionate.

Da qualche parte, dietro di lui: un paio d’occhi che lo fissava.

Capitolo sedicesimo

Brian Chaney estrasse di tasca le chiavi, e aprì la porta delle operazioni. Due lampade erano posate sul primo gradino, ma non si udì suonare un campanello, in basso, quando la porta si aprì. Un fiotto d’aria stantia uscì dalla porta, e si perse nell’aria fresca e tersa del mattino. Il sole era alto… quasi allo zenit… ma la giornata era fredda, e non prometteva di diventare più calda. Chaney fu lieto di avere indossato il cappotto.

Sole quieto, cielo pulito, e freddo fuori stagione: avrebbe potuto riferire questo a Gilbert Seabrooke.

Spinse il carro contro la porta, per tenerla aperta, e poi scese a prendere il primo carico di razioni. Lasciò il fucile accanto al carro, dimenticato quasi del tutto. Portò scatole e scatole di razioni dal deposito al carro, fino a quando le braccia e le gambe non cominciarono a essere stanche per il movimento e per il troppo carico; ma aveva dimenticato le medicine e i fiammiferi, e così fece un altro viaggio. Incluse anche, ripensandoci, qualche attrezzo che gli sarebbe servito più tardi. Chaney si era sopravvalutato; il carro era così carico, dopo l’ultimo viaggio, che lui riuscì a muoverlo dalla porta con difficoltà, e così fu costretto a lasciare indietro alcune delle scatole più pesanti.

Lasciò il parcheggio, spingendo il carro davanti a sé.

Gli occorsero più di tre ore, e tutta la sua forza di volontà, per raggiungere per la seconda volta nella giornata l’angolo di nord-ovest del recinto. Il carro si muoveva facilmente, fino a quando si trattava di percorrere strade lastricate, ma quando fu costretto a lasciare la strada e a procedere tra le erbe e gli sterpi, lungo la traccia che lui stesso aveva lasciato, la fatica si fece quasi insostenibile. Il carro era solo di pochissimo più facile da tirare che da spingere. Chaney non ricordava di avere visto un machete nel deposito, ma desiderò di averne almeno una dozzina… e una dozzina di portatori che lavorassero davanti a lui, per aprire una strada in quella specie di giungla d’erba. Il carico era pesante; trasportarlo gli toglieva il respiro.

Quando finalmente raggiunse il recinto, si buttò a terra e ansimò pesantemente, cercando di riprendere fiato. Il sole cominciava a scendere verso l’orizzonte occidentale.

Attaccò il recinto servendosi di un piede di porco. Il lavoro pareva più facile nel punto in cui la barriera era stata rappezzata intorno ai resti del camion; non era così compatta, in quel punto, non era resistente all’attrezzo come nelle parti rimaste intatte, e Chaney si concentrò su quel punto. Strappò il filo spinato, e liberò la carcassa del camion, poi attaccò i bordi della barriera intatta, e piegò il filo spinato, aprendo un varco. Quando ebbe finito le mani gli sanguinavano nuovamente da una miriade di ferite e di graffi, ma era riuscito ad aprire un varco sufficiente a far passare il carro, accanto al camion. Il muro aveva un varco, ora.

Il carro pesante gli sfuggì, scendendo veloce lungo il pendio.

Corse disperatamente, cercando di fermare la corsa del carro lungo il pendio, gridando per la collera e l’esasperazione, ma il carro ignorò le sue imprecazioni e continuò a scendere precipitosamente attraverso l’erba alta, che adesso non era più un ostacolo per il maledetto veicolo, finché non raggiunse la pianura sottostante e si ribaltò, versando il carico tra gli arbusti. Chaney gridò tutta la sua collera: il termine aramaico che piaceva tanto ad Arthur Saltus, e poi un’altra frase riservata agli asini e ai gabellieri. Il carro… come gli asini, ma diversamente dai gabellieri… non rispose.

Faticosamente, raddrizzò il carro, raccolse le scatole che erano cadute, e spinse il pesante carico attraverso il campo, verso la strada ferrata.

Il bastone caduto era un buon segno indicatore.

Il piccolo tesoro venne lasciato là, sulle rotaie, pronto a essere trovato dalla famiglia spaventata dei fuggiaschi, o da qualsiasi altro viaggiatore che fosse passato da quella parte. Mise i fiammiferi e le medicine sopra gli scatoloni, e poi li coprì con il soprabito per proteggerli dalle intemperie. Chaney rimase solo per pochi istanti a guardare in lontananza, cercando qualche segno di vita… era certo che le sue grida e le sue imprecazioni avrebbero spaventato chiunque si fosse trovato nei paraggi, inducendolo a fuggire a gambe levate. Come prima, era solo in un mondo vuoto. Un uccello cantava, nascosto tra le foglie di un cespuglio. Per il momento, doveva accontentarsi di questo.

Nelle ore del tardo pomeriggio, quando il tepore del sole cominciò a diminuire, Chaney spinse il carro vuoto su per la collinetta, e attraverso la breccia nella barriera, per l’ultima volta, fermandosi solo a riprendere il piede di porco. Non osò voltarsi a guardare. Temeva quello che avrebbe potuto scoprire… o non scoprire. Voltandosi improvvisamente a guardare, se avesse visto qualcuno già vicino alle scatole, avrebbe rovinato quello che aveva fatto… sapeva che si sarebbe comportato come prima, e avrebbe fatto fuggire il nuovo arrivato. Ma se si fosse voltato e avesse visto di nuovo lo stesso mondo abbandonato e deserto, la sua depressione sarebbe aumentata. Non voleva guardare. Non doveva guardare.

Chaney seguì la pista che aveva tracciato nella giungla verde, cercando l’inizio della strada asfaltata. Un piccolo animale fuggì, al suo avvicinarsi.


Si fermò ai margini del parcheggio, guardando il giardino abbandonato e pensando a Kathryn Van Hise. Se non fosse stato per lei, adesso Chaney sarebbe ancora stato a oziare sulla spiaggia della Florida, e avrebbe pensato che era giunto il momento di tornare al lavoro all’Indic… solo un pensiero, non una decisione; forse, tra una settimana o due, si sarebbe alzato dallo sdraio, avrebbe voltato le spalle al mare e al golfo, e sarebbe andato a prenotare un biglietto ferroviario per Indianapolis, controllando gli orari e le coincidenze… se in quell’epoca di agonia dei treni fosse ancora riuscito a trovarne uno per l’Indiana.

Se non fosse stato per Katrina, ora, la sua unica preoccupazione sarebbe stata quella dei critici che leggevano i libri troppo frettolosamente e balzavano a conclusioni fantastiche.

Se non fosse stato per Katrina, lui non avrebbe mai sentito parlare di Seabrooke, di Moresby e di Saltus… a meno che i loro nomi non fossero comparsi su un documento sottoposto all’esame del trust di cervelli dell’Indic.

E lui non avrebbe fatto un balzo nel tempo, trovandosi a Joliet, due anni dopo il suo tempo, per trovare un muro; e non sarebbe giunto in questo squallido, triste futuro, qualsiasi anno fosse, per trovarsi di fronte a una catastrofe. Avrebbe continuato a procedere nel suo mondo, prigioniero del suo presente, lento e miope, fino a quando il futuro non si fosse abbattuto sopra di lui… o lui avesse urtato il futuro.

Pensò di avere finito, là: pensò di avere finito, che quella ricognizione abortita fosse finita, pei lui, pensò di non avere più nulla da fare in quel inondo così quieto e quasi deserto dell’anno 2000-qualcosa. Poteva solo t nomare a raccontarlo a Katrina, a Seabrooke, e magari ad ascoltare il rapporto fatto da loro a Washington. La prossima mossa toccava ai politici e ai burocrati… che cambiassero loro il futuro, se ne erano capaci, se ne possedevano il potere.

Il suo ruolo era concluso. Lui poteva registrare un rapporto, e dargli il titolo di Eschatos.

Il monticello di argilla gialla attirò Li sua attenzione, e Chaney seguì la vecchia grondaia attraverso l’erba, fino alla cisterna, perché voleva fotografarla. Era ancora stupito di vedere una costruzione nabatea proiettata nel ventunesimo secolo, e sospettò che il responsabile di questo stridente anacronismo fosse stato Arthur Saltus: la cisterna era stata copiata dal libro che lui aveva prestato al comandante, dalle pagine di Pax Abrahamitica. Con un po’ di fortuna, la cisterna avrebbe potuto catturare e trattenere l’acqua per un secolo e più, e se ne avesse potuto misurare la capacità, probabilmente avrebbe scoperto che il volume era vicino ai dieci cor. Saltus aveva fatto un buon lavoro, per essere un dilettante.

Chaney si voltò a guardare la tomba.

Quella non l’avrebbe fotografata, perché la foto avrebbe suscitato delle domande alle quali lui non voleva rispondere. Seabrooke avrebbe chiesto se c’era stata un’iscrizione sulla croce, e per quale motivo lui non aveva fotografato l’iscrizione. Katrina sarebbe rimasta seduta davanti a lui, con la matita pronta a trascrivere la sua testimonianza verbale.


Adiutat Deus K


Laggiù, in quella tomba: Arthur o Katrina?

Come avrebbe potuto dire a Katrina di avere trovato la sua tomba? O la tomba di suo marito? E perché quello non avrebbe potuto essere il luogo dell’estremo riposo del maggiore Moresby?

Un uccello ricominciò a cantare, in un cespuglio vicino, attirando lo sguardo di Chaney sugli alberi lontani e sul cielo che si stendeva lontano.

Gli alberi erano ricchi di nuove foglie, e testimoniavano che l’estate era iniziata; l’erba era di un verde dolce, era tenera e fresca, perché il cuore dell’estate non aveva ancora ingiallito e indurito gli steli: era un mondo fresco e nuovo. Nubi sottili si radunavano intorno al sole calante, creando un miraggio morbido, circondando il sole di un vello di lana rosso-dorata. A oriente, il cielo era prodigiosamente azzurro e pulito… un cielo lavato e ripulito da poco, disinfettato e sterilizzato. Di notte, le stelle di quel mondo dovevano sembrare dei meravigliosi diamanti scintillanti.

Arthur o Katrina?

Brian Chaney si inginocchiò per un momento, per toccare la terra sopra la tomba, e mentalmente si preparò a tornare a casa, a tornare alla base di partenza. Era profondamente depresso.

Una voce disse:

— Per favore… signor Chaney?

Lo choc lo immobilizzò per un istante. Ebbe paura che, se si fosse voltato troppo rapidamente, o se soltanto avesse sobbalzato, un dito nervoso avrebbe tirato il grilletto e lui avrebbe raggiunto il maggiore Moresby nell’umida terra della base. Rimase immobile, irrigidito, rendendosi conto di avere lasciato sul carro il suo fucile. Trascuratezza; incuria; stupidità. Una mano rimase sulla tomba; lo sguardo rimase fisso sulla piccola croce.

— Signor Chaney?

Dopo un tempo lunghissimo… un’inquietante eternità d’angoscia… voltò lentamente il capo, per guardare il sentiero.

Due sconosciuti: due persone quasi sconosciute, due persone che riflettevano l’incertezza e l’apprensione che anche Chaney provava.

Il più vicino dei due indossava un cappotto pesante e un paio di stivali presi dal deposito; le mani e il capo erano scoperti, e l’unica arma che egli portava era un binocolo, preso anch’esso dal deposito. Era alto, magro, nervoso… solo di poco più basso di Chaney, ma non aveva i capelli color sabbia e il corpo muscoloso di suo padre; non aveva la carnagione abbronzata e la capsula d’argento nei denti, non aveva quel modo particolare di socchiudere gli occhi, che faceva subito pensare a un marinaio intento a guardare lontano, proteggendosi dal perenne riverbero dell’oceano. Gli mancava la dirompente giovinezza del padre. Se l’uomo avesse posseduto queste caratteristiche, Chaney avrebbe creduto di trovarsi di fronte ad Arthur Saltus.

— Come fa a conoscere il mio nome?

— Lei è l’unico che mancava, signore.

— E avevate la mia descrizione?

A voce bassissima: — Sì, signore.

Sempre in ginocchio, Chaney si voltò a fissare gli sconosciuti. Si rese conto che loro avevano paura di lui quanto lui ne aveva di loro. Da quanto tempo non avevano visto un altro uomo, nella base?

— Lei si chiama Saltus?

Chaney spostò lo sguardo sulla donna che era rimasta dietro l’uomo, a una certa distanza. E lei guardava Chaney con una strana mescolanza di fascino e di terrore, pronta a fuggire al primo allarme. Da quanto tempo non aveva visto un altro uomo, nella base?

Chaney domandò:

— Kathryn?

Lei non rispose, ma l’uomo disse:

— Mia sorella.

La figlia era uguale alla madre sotto ogni aspetto: le mancavano soltanto l’abbronzatura e i calzoni delta. Era infagottata in un pesante cappotto che le andava troppo grande, e indossava degli stivali che erano anch’essi troppo grandi per i suoi piedini. Portava al collo un binocolo: Chaney aveva avuto ragione, qualcuno l’aveva osservato attentamente, prima. Era a capo scoperto, e mostrava la cascata di morbidi capelli castani che anche Katrina aveva avuto; i suoi occhi erano della stessa meravigliosa sfumatura — ora velata dallo spavento — di quelli della madre. Era piccola di statura, non doveva pesare più della madre, una volta liberata dal cappotto troppo pesante e dai massicci stivali, e dava l’impressione di essere perennemente vigile e attenta, e veloce in ogni reazione. Dava anche l’impressione di avere qualche anno di più della Katrina che lui aveva conosciuto.

Chaney guardò prima l’uomo e poi la donna: i due, fratello e sorella, si trovavano di molti anni più avanti rispetto alle persone che lui aveva lasciato nel passato, avevano molti anni di più dei loro genitori.

Alla fine disse: — Conoscete la data?

— No, signore.

Un’esitazione, e poi: — Penso che mi abbiate aspettato.

Arthur Saltus annuì, e la donna fece un cenno affermativo quasi impercettibile.

— Mio padre diceva che lei sarebbe arrivato… un giorno. Era certo che lei sarebbe venuto; lei era l’ultimo dei tre.

Sorpresa: — Nessun altro, dopo di noi?

— Nessuno.

Chaney toccò la tomba per l’ultima volta, e i loro occhi seguirono la sua mano. Aveva un’altra domanda da fare, prima di rischiare di alzarsi in piedi.

— Chi è sepolto, qui?

Arthur Saltus disse: — Mio padre.

Chaney avrebbe voluto gridare: come? quando? perché? ma l’imbarazzo lo fece tacere, l’imbarazzo e il dolore e la depressione; rimpianse amaramente di avere vissuto il giorno in cui aveva accettato l’offerta di Katrina, e si era messo in quella posizione infelice. Si alzò in piedi, evitando di fare dei movimenti bruschi che avrebbero potuto essere fraintesi, e fu lieto, almeno, di non avere fotografato la tomba… fu lieto di non essere costretto a dire a Katrina, o a Saltus, o a Seabrooke, quello che aveva trovato in quel luogo silenzioso. Non avrebbe parlato della tomba: non avrebbe detto una sola parola.

In piedi, Chaney si guardò attorno, attentamente, guardò il giardino invaso dalle erbe, il parcheggio, la strada oltre l’edificio, e tutte le parti della base che si potevano vedere da quel luogo. Non vide nessuno, all’infuori dei due.

Una domanda secca: — Siete soli, qui?

La donna sobbalzò, udendo il suo tono di voce, e parve sul punto di fuggire, ma suo fratello rimase fermo.

— No, signore.

Una paura, e poi: — Dov’è Katrina?

— Sta aspettando dentro, signor Chaney.

— Sa che sono qui?

— Sì, signore.

— Sapeva che avrei chiesto di lei?

— Sì, signore. Lo immaginava.

Chaney disse: — Sto per infrangere una regola.

— Immaginava anche questo, signore.

— Ma non ha fatto delle obiezioni?

— Ci ha dato delle istruzioni, signore. Se ce l’avesse chiesto, avremmo dovuto dirle che nostra madre le aveva già detto dove l’avrebbe aspettato.

Chaney annuì, sorpreso.

— Sì, l’ha detto. L’ha detto due volte, è vero. — Camminò sul sentiero, avvicinandosi alla cisterna, e i due indietreggiarono, timorosi, ancora incerti se fidarsi o no. Chaney indicò la cisterna. L’avete costruita voi?

— L’abbiamo fatta io e mio padre, signor Chaney. Avevamo il suo libro. Le descrizioni erano chiarissime.

— Lo direi ad Haakon, se ne avessi il coraggio.

Arthur Saltus si fece da parte, quando raggiunsero il parcheggio, e si lasciò precedere da Chaney. La donna si era tenuta discosta, e ora manteneva una distanza prudenziale. Continuava a fissarlo, uno sguardo che in altre circostanze avrebbe potuto apparire sconveniente, e Chaney fu sicuro che non avesse visto altri uomini per troppi anni. Fu ugualmente certo che lei non avesse mai visto un uomo come lui all’interno del recinto protettivo: e questa era la causa della sua apprensione.

Passando, ignorò il fucile posato sul carro.

Brian Chaney infilò le chiavi nelle serrature gemelle, e spinse la porta pesante. Le due lampade erano posate sul primo gradino, e, come prima, un fiotto di aria stantia sfuggì nell’aria un po’ incupita del crepuscolo. Chaney si fermò, imbarazzato, sulla soglia, chiedendosi cosa doveva dire… chiedendosi come poteva dire addio a quelle persone. Solo un dannato stupido avrebbe pronunciato uno dei cliché insignificanti della sua epoca; ma solo il più stupido degli stupidi se ne sarebbe andato così, senza dire niente.

Guardò di nuovo il cielo, e il vello dorato che circondava il sole al tramonto, e l’erba fresca e verde, e il monticello d’argilla giallastra, ormai vecchio. Alla fine il suo sguardo ritornò sull’uomo e sulla donna che aspettavano.

Disse: — Grazie per esservi fidati di me.

Saltus annuì: — Ci hanno detto che potevamo fidarci di lei.

Chaney guardò Arthur Saltus, e gli parve quasi di rivedere i capelli spettinati color sabbia e gli occhi perennemente socchiusi… gli occhi di un uomo avvezzo da molto tempo a scrutare il mare scintillante nel sole. Guardò a lungo Kathryn Saltus, ma non riuscì a vedere la blusa trasparente o i calzoni delta: su di lei, quegli indumenti sarebbero sembrati osceni. Quegli abiti appartenevano a un mondo scomparso ormai da molto tempo. Le guardò il viso un momento più del necessario, e qualcosa si mosse, dentro di lui, e subito la realtà gli fece interrompere quei pensieri.

La dura realtà: lei viveva qui, ma lui apparteneva al mondo di laggiù. Era folle perfino sognare, quando si trattava di una donna che viveva un secolo dopo il suo tempo. La realtà faceva male.

La coscienza gli rimordeva, quando la porta si chiuse, perché lui non aveva saputo dire più niente ai due. Chaney si voltò e scese gli scalini, lasciandosi per sempre alle spalle il sole quieto, il mondo freddo di oltre il 2000, gli sconosciuti superstiti che vivevano oltre il recinto, e che erano fuggiti in preda al terrore, quando l’avevano visto e avevano udito la sua voce, e i superstiti conosciuti appena che vivevano all’interno del recinto, e che erano testimonianze viventi della sua sconfitta. La coscienza gli rimordeva, ma non si voltò indietro.

Era quasi il tramonto di un giorno sconosciuto.

Era il giorno più lungo della sua vita.

Capitolo diciassettesimo

La stanza di addestramento era sottilmente diversa da quella in cui era entrato per la prima volta, poche settimane — o anni, o secoli? — prima.

Ricordò il soldato della polizia militare che lo aveva scortato fin dal cancello, e poi gli aveva aperto la porta; ricordò il suo primo sguardo all’interno della stanza… la tiepida accoglienza, il suo ritardo. Aveva trovato Kathryn Van Hise intenta a fissarlo con occhio critico, soppesandolo con lo sguardo, chiedendosi se lui fosse stato all’altezza dei futuri compiti; aveva trovato il maggiore Moresby e Arthur Saltus intenti a giocare a carte, annoiati, aspettando con impazienza il suo arrivo; aveva trovato il lungo tavolo d’acciaio sistemato sotto le luci, al centro della stanza… e tutto era stato pronto, allora, e tutti avevano aspettato lui.

Aveva detto il suo nome e aveva abbozzato una scusa per il suo ritardo, quando il primo rumore lo aveva interrotto, e quel rumore aveva fatto male. Aveva appena cominciato la frase, e poi il rumore aveva aggredito i suoi timpani. Aveva visto i tre occupanti della stanza voltarsi a fissare l’orologio: sessantuno secondi. Tutto questo era accaduto da un paio di settimane… da un paio di secoli… prima che le buste voluminose fossero state aperte, e da esse fossero sfuggiti dei voli di fantasia, cento o mille o diecimila. Le fantasie di una donna di nome Katrina, le fantasie di un uomo di nome Seabrooke, le fantasie di un gruppo di tecnici e di un presidente che aveva voluto conoscere, prima di ogni altra cosa, se sarebbe stato rieletto. Il lungo viaggio dalla spiaggia della Florida Io aveva condotto due volte in quella stanza, ma questa volta la lampada a petrolio illuminava appena il locale.

Katrina era là.

La donna anziana sedeva sulla solita sedia, da un lato del grande tavolo… sedeva silenziosamente, tranquillamente nel buio, sotto le lampade bruciate ormai da molto tempo. Come sempre, aveva le mani posate sul piano del tavolo, unite. Chaney posò la lampada sul tavolo, tra loro, e la luce cadde sul viso di lei.

Katrina.

I suoi occhi erano luminosi e vivi, vigili e attenti come li ricordava, ma il tempo non era stato pietoso, con lei. Vide sul suo viso molte linee di dolore, di angosce e di dolori che lui non conosceva; linee che segnavano il viso di una donna tenace, che aveva sopportato molto, aveva sofferto molto, ma non aveva mai deposto il suo coraggio. La pelle era tirata sugli zigomi, intorno alla bocca e sul mento, e pareva quasi trasparente, cerulea nella luce della lampada. I capelli luminosi e bellissimi erano completamente grigi. Anni duri, anni infelici, anni magri.

Malgrado tutto questo, Chaney provò dentro di sé una scintilla familiare di un antico sentimento: lei era bella nella vecchiaia come era stata bella nella giovinezza. Fu lieto di trovare in lei la stessa bellezza; quella bellezza non era cambiata col tempo, aveva resistito a tutto, aveva trionfato.

Chaney prese la sua vecchia sedia e sedette, senza mai distogliere lo sguardo dal viso di Katrina. La vecchia sedeva senza muoversi, senza parlare, guardandolo attentamente e aspettando che lui pronunciasse la prima parola.

Chaney pensò: lei avrebbe potuto aspettare per secoli e secoli, mentre la polvere e le tenebre crescevano intorno a lei; avrebbe potuto aspettare con pazienza che lui arrivasse sull’obiettivo, esplorasse la base, completasse la sua ultima missione, terminasse il progetto, e poi venisse da lei, oltre quella porta, per trovare la risposta alle domande suscitate dalla terra verde, dal cielo pulito e dal sole quieto. Katrina lo avrebbe aspettato sempre, come lo aveva aspettato ora. Chaney non si sarebbe sorpreso di trovarla ad attenderlo nell’antica Gerico, se lui fosse andato indietro nel tempo di diecimila anni. L’avrebbe trovata là, ad attenderlo placidamente in qualche tempio o in qualche rifugio, in un posto in cui l’avrebbe certamente trovata, quando avesse cominciato ad aprire le porte chiuse.

La stanza di addestramento polverosa era fredda come era stato freddo il sotterraneo, fredda come l’aria fuori, e Katrina indossava uno dei soprabiti pesanti. Aveva le mani racchiuse in un paio di guanti pesanti, troppo grandi per lei… e Chaney sapeva che, se si fosse curvato, le avrebbe visto ai piedi gli stivali troppo grandi per lei. Appariva curva, piccola, in quella sedia, e tremendamente stanca.

Katrina aspettava.

Chaney cercò di trovare qualcosa da dire, qualcosa che non fosse sembrato stupido o melodrammatico o banale, che non avesse contenuto una nota di falsa allegria. Lo avrebbe disprezzato, se avesse fatto questo. Si trovava di fronte alla lotta interna che aveva esperimentato prima, sulla porta delle operazioni, e anche questa volta aveva paura di perdere quella lotta. L’aveva lasciata là, in quella stanza, solo poche ore prima, l’aveva lasciata provando un senso di apprensione fredda, quando se ne era andato per prepararsi al lancio nel futuro… il terzo, e l’ultimo, ora lo sapeva. Lei era stata seduta nella stessa sedia, con lo stesso atteggiamento di riposo.

Chaney disse:

— Sono sempre innamorato di lei, Katrina.

Le guardò gli occhi, e gli parve che si riempissero d’un tratto di allegria e di compiacimento.

— Grazie, Brian.

Anche la sua voce era invecchiata: era più tremula e rauca di quanto ricordasse, e rifletteva la sua stanchezza infinita.

— Ho trovato delle macchie di fragole selvatiche dove sorgevano le vecchie caserme, Katrina. Quando maturano le fragole dell’Illinois?

C’era veramente una scintilla d’allegria nei suoi occhi.

— In maggio o in giugno. Le estati sono state molto fredde, ma le fragole maturano sempre in maggio o in giugno.

— Lei sa in qualche anno siamo? Il numero esatto?

Un piccolo movimento del capo.

— L’energia è cessata tanti anni fa. Mi dispiace, Brian, ma ho perduto il conto.

— Immagino che non sia molto importante, non ora, non con quello che abbiamo già scoperto. Sono d’accordo con Pindaro.

Lo guardò, con aria interrogativa.

— Pindaro visse circa duemilacinquecento anni fa — le disse, — ma era più saggio di tanti e tanti uomini che vivono oggi. Aveva messo in guardia l’uomo dallo scrutare troppo avanti nel futuro, lo aveva avvertito che non gli sarebbe piaciuto ciò che avrebbe trovato. — Un gesto di scusa, un sorriso. — Sto di nuovo citando: il mio vizio. Il comandante scherzava sempre sul mio vizio delle citazioni.

— Arthur ha aspettato molto tempo, per vederla, Brian. Sperava che venisse presto, che gli fosse possibile rivederla.

— Mi sarebbe piaciuto… come? Ma nessuno sapeva*

— No.

— Ma perché no? Quel giroscopio mi seguiva.

— Nessuno ha saputo la data del suo arrivo; nessuno poteva neppure immaginarla. Il giroscopio non poteva misurare il suo percorso, dopo l’anno in cui qui è mancata l’energia elettrica. Sapevamo soltanto la data del guasto, quando il TDV ha smesso improvvisamente di trasmettere segnali al computer che si trovava là. Per noi lei è stato completamente perduto, Brian.

— Sheeg! Quei tecnici infallibili, accidenti a loro, e le loro invenzioni infallibili, accidenti a loro! Si trattenne, e guardò Katrina, imbarazzato per l’esplosione di collera. — Mi scusi, Katrina. — Chaney allungò la mano e strinse la mano di lei. — Ho trovato la tomba del comandante, qua fuori… vorrei tanto essere giunto in tempo. E avevo già deciso di non parlare a nessuno di quella tomba, al mio ritorno, quando farò rapporto. — La fissò attentamente, — Non l’ho detto a nessuno, vero?

— No, non ha fatto alcun rapporto.

Un cenno soddisfatto.

— Buon per me… sono ancora capace di tenere la bocca chiusa. Il comandante mi ha fatto promettere di non dirle niente del suo prossimo matrimonio, una settimana fa, circa, quando siamo ritornati dalle ricognizione a Joliet. Ma lei ha cercato di strapparmi il segreto, ricorda?

Lei sorrise alle parole di Chaney.

— Una settimana fa, circa.

Chaney ebbe voglia di prendersi a calci.

— Ho la cattiva abitudine di parlare coi piedi.

Un piccolo movimento della testa per placarlo.

— Ma io ho indovinato il suo segreto, Brian. Dal suo atteggiamento, e dal comportamento di Arthur, sono riuscita a indovinarlo. Lei si è volontariamente allontanato da me.

— Credo che lei avesse già preso la decisione, Katrina. I piccoli segni cominciavano a manifestarsi. — Ricordava vividamente il party della vittoria, la sera del loro ritorno.

— Allora avevo quasi deciso — disse lei. — E ho deciso poco tempo dopo: ho deciso quando lui è ritornato ferito dalla missione. Era così indifeso, così vicino alla morte, quando lei e il dottore lo avete tirato fuori dal veicolo, che ho deciso così, sul momento. — Guardò le mani di Chaney, che coprivano le sue, e poi sollevò lo sguardo. — Ma mi rendevo conto delle sue intenzioni, Brian. Sapevo che la decisione le avrebbe fatto del male.

Le strinse le dita, in segno d’incoraggiamento.

— È passato tanto tempo, ed è tanto lontano, ora, Katrina. Lo sto superando.

Lei non rispose, sapendo che non era la verità.

— Ho visto i bambini… — Si interruppe, rendendosi conto di quello che aveva detto. — Bambini?… ma cosa dico! Sono più vecchi di me. Ho visto Arthur e Kathryn, là fuori, ma loro avevano paura di me.

Katrina annuì, e di nuovo il suo sguardo si abbassò.

— Arthur ha dieci anni più di lei, credo, ma Kathryn dovrebbe avere la sua stessa età. Mi dispiace di non poter essere più precisa; mi dispiace di non poterle dire da quanto tempo è morto mio marito. Qui non conosciamo più il tempo, Brian; viviamo soltanto da un’estate all’altra. Non è l’esistenza più felice che si possa vivere. — Dopo qualche istante le sue mani si mossero, nella stretta di Chaney, e Katrina sollevò lo sguardo. — Avevano paura di lei, perché non hanno conosciuto nessun altro, da quando la base è stata sopraffatta, da quando il personale militare se ne è andato da qui, e noi siamo rimasti nel recinto per proteggerci. Per un paio d’anni non abbiamo neppure osato di lasciare questo edificio.

Amaramente: — Anche la gente, là fuori, aveva paura di me. Sono fuggiti, quando mi hanno visto.

Lei rimase attonita, e tradì un certo allarme.

— Di chi sta parlando? Dove?…

— La famiglia che ho trovato fuori del recinto… laggiù, sui vecchi binari della ferrovia.

— Non c’è nessuno là fuori… non c’è anima viva.

— Katrina, le dico di sì, invece… io li ho visti, li ho chiamati, li ho supplicati di tornare indietro, ma loro sono fuggiti, spaventati.

— Quanti erano? Erano molti?

— Tre. Una famiglia; padre, madre e un bambino. Li ho visti mentre stavano camminando sui binai i, lassù, oltre l’angolo di nord-ovest. Il bambino raccoglieva qualcosa… carbone, forse… e metteva tutto in una borsa che la madre portava; apparentemente lo facevano come un gioco. Camminavano in pace, felici e tranquilli, finché non li ho chiamati.

Gentilmente: — Perché ha fatto questo? Perché ha richiamato l’attenzione su di lei?

— Perché ero solo! Perché ero nauseato e sconvolto dalla visione di un mondo vuoto! Ho gridato perché quelle persone erano le sole cose vive che avessi trovato qui, fino a quel momento, oltre a un coniglio spaventato. Volevo compagnia, volevo notizie! Avrei dato loro tutto quello che possedevo, in cambio di un’ora sola del loro tempo. Katrina, io volevo sapere se c’erano ancora degli uomini che vivevano in questo mondo. — Si fermò, e tirò le briglie della sua emozione. Con più calma: — Volevo parlare con loro, fare delle domande, ma avevano paura di me… una paura tremenda, come se la mia vista li avesse sconvolti. Sono fuggiti come quel coniglio spaventato, e non li ho più visti. Non so dire quanto male mi abbia fatto questo.

Lei si sottrasse alla stretta delle mani di Chaney, e posò le mani sulle ginocchia.

— Katrina…

Lei non sollevò subito lo sguardo, ma fissò con insistenza il piano del tavolo. Il movimento delle sue mani aveva lasciato dei piccoli solchi nella polvere. Gli parve che quel piccolo fagotto umano fosse più piccolo ancora, più curvo e più stanco: la pelle cerulea del suo viso sembrava invecchiata di molti anni, negli ultimi minuti… o forse la vecchiaia era rimasta sempre con lei e sopra di lei, durante la conversazione.

— Katrina, la prego!

Dopo molti minuti di silenzio, lei disse:

— Mi dispiace, Brian. Le chiedo scusa per i miei figli, e per quella famiglia. Nessuno di loro osava fidarsi di lei, e quella povera famiglia pensava di avere buone ragioni per temerla. Sollevò il capo, e Chaney ebbe un brivido. — Tutti hanno paura di voi; nessuno si fida più di voi, dopo la ribellione. Qui io sono la sola che non abbia paura di un negro.

Si sentì nuovamente ferito, non per le sue parole, ma perché stava piangendo. Faceva male vederla piangere.

Brian Chaney entrò per la seconda volta nella stanza di addestramento. Portava un’altra lampada a petrolio, due tazze di plastica, e un contenitore d’acqua preso dal deposito. Avrebbe portato anche una bottiglia di whisky, se l’avesse trovata, ma probabilmente il comandante aveva consumato tutto il whisky, a ogni nuovo compleanno.

La vecchia si era asciugata gli occhi.

Chaney riempì entrambe le tazze, e posò la prima sul tavolo, davanti a Karina.

— Beva… faremo un brindisi.

— A che cosa, Brian?

— A che cosa? Abbiamo bisogno di una scusa? — Fece un ampio gesto, che abbracciava l’intera stanza. — A quel dannato orologio, lassù; con i suoi sessantuno secondi che mi facevano saltare i timpani. A quel telefono rosso: non l’ho mai usato per chiamare il presidente e dirli che era un somaro. A noi: un demografo dell’Indiana Corporation, e una ricercatrice dell’Ufficio Programmazione… gli ultimi due fenomeni da circo seduti intorno a un tavolo alla fine del mondo. Siamo fuori posto e fuori tempo, Katrina: qui non hanno bisogno di demografi e di ricercatrici… qui non hanno corporazioni e uffici. Beviamo a noi.

— Brian, lei è un pagliaccio.

— Oh, sì. — Sedette e la guardò attentamente, alla luce della lampada. — Sì, sono proprio un pagliaccio. E credo che lei stia quasi ricominciando a sorridere. La prego, sorrida per me.

Katrina sorrise; il pallido fantasma di un antico sorriso.

— Ah, è per questo che continuo ad amarla! — disse Chaney. Sollevò la tazza. Alla più bella ricercatrice del mondo… e lei può brindare al più frustrato demografo del mondo. In alto i calici! — Chaney vuotò la tazza, e l’acqua gli parve insipida… stantia.

Lei annuì, e bevve a sua volta.

Chaney guardò il lungo tavolo, le luci spente, in alto, l’orologio fermo, i telefoni senza vita.

— Io dovrei lavorare, in questo momento… dovrei compiere una ricognizione del futuro.

— Non ha importanza.

— Non posso rendere infelice Seabrooke. Devo farlo stare allegro. Posso dirgli che c’è una famiglia, là fuori; almeno una famiglia ancora viva, e che vive in pace. Penso che ce ne siano altre… devono essercene altre. Lei sa di qualcun altro? Qualche superstite?

Con pazienza:

— All’inizio ce n’erano alcuni, tanti anni fa; siamo riusciti a tenerci in contatto con alcuni superstiti per radio, prima che mancasse l’energia. Arthur aveva individuato un piccolo gruppo di superstiti in Virginia, militari che vivevano sottoterra in un alto comando dell’Esercito; e dopo era riuscito a mettersi in contatto con una famiglia del Maine. A volte riuscivamo a stabilire un breve contatto con un paio di superstiti negli stati montagnosi di occidente, ma le notizie erano sempre deprimenti. Tutti erano sopravvissuti per le stesse ragioni; una serie di circostanze fortunate, o capacità e forza di adattamento particolari, o perché erano protetti in maniera eccezionalmente sicura, come noi, qui. Erano sempre pochi, e le notizie erano sempre scoraggianti.

— Ma qualcuno è sopravvissuto. Questo è importante, Katrina. Da quanto tempo siete rimasti soli, nella base?

— Dalla rivolta, dall’anno del maggiore.

Chaney fece un gesto. — Dovrebbe essere… — La guardò, cercando di indovinarne l’età. — Dovrebbe essere circa trent’anni fa.

— Forse.

— Ma cos’è accaduto agli altri occupanti della base?

— Quasi tutto il personale militare è stato ritirato all’inizio; trasferito oltreoceano, nei vari teatri d’intervento americano. I pochi rimasti non sono sopravvissuti all’attacco, quando i ribelli hanno sopraffatto la base. Pochissimi tecnici civili sono rimasti con noi per qualche tempo, ma poi se ne sono andati per raggiungere le famiglie… oppure per cercare le loro famiglie. Il laboratorio era già vuoto, nell’anno di Arthur. Avevamo ricevuto l’ordine di scendere sottoterra, per tutta la durata dello stato di emergenza.

— La durata… per quanto tempo?

Lo sguardo penetrante dei vecchi occhi lo studiò.

— Penso che stia finendo solo ora, Brian. La sua descrizione della famiglia che ha visto fuori del recinto fa pensare che stia finendo ora.

Amaramente: — E nessuno in giro, solo io e lei, per firmare il trattato di pace e posare per i fotografi. Seabrooke?

— Il signor Seabrooke è stato sollevato dall’incarico, licenziato, poco tempo dopo i tre lanci. Credo che sia ritornato nel Dakota. Il presidente aveva dato a lui la colpa del fallimento della ricognizione, e ne aveva fatto il capro espiatorio.

Chaney colpì il tavolo col pugno.

— L’avevo detto che quell’uomo era un asino… uno soltanto della lunga dinastia di idioti e di asini che ha abitato la Casa Bianca. Katrina, non capisco come questo paese sia riuscito a sopravvivere, con un tale numero di stupidi incompetenti al comando.

A bassa voce: — Non è sopravvissuto, Brian.

Mormorò qualcosa e guardò rabbiosamente la polvere sul tavolo. A voce alta: — Mi scusi.

Lei annuì, gentilmente, ma non parlò.

Un ricordo lo colpì.

— Che ne è stato dei CSMU, di quegli uomini che avevano tentato di prendere Camp David?

Lei chiuse gli occhi per un momento, come se avesse voluto chiudere fuori il passato. La sua espressione era amara.

— I Capi di Stato Maggiore Uniti furono giustiziati da un plotone d’esecuzione, uno spettacolo pubblico. Il presidente aveva proclamato una vacanza nazionale, per il giorno dell’esecuzione; gli uffici governativi erano stati chiusi, i servizi pubblici chiusi, le scuole chiuse in modo che anche i bambini potessero assistere allo spettacolo alla televisione. Il presidente era deciso a dare un avvertimento al paese, un esempio memorabile. I stato pauroso, orribile, deprimente, e io l’ho odiato, per quello che aveva fatto.

Chaney la fissò, attonito.

— E io devo tornare indietro a dirgli quello che farà. Che cosa sporca, questa missione! — Scagliò la tazza vuota, contro la parete opposta, incapace di reprimere la collera. — Katrina, vorrei che non mi avesse mai trovato, su quella spiaggia. Avrei potuto andarmene, o gettarla in mare, o rapirla e fuggire con lei in Israele… qualsiasi cosa!

Lei sorrise di nuovo, forse ripensando alla spiaggia.

— Ma non avrebbe ottenuto nulla, Brian. La Federazione Araba ha sconfitto Israele, e ha ricacciato in mare la popolazione. Non avremmo potuto sfuggire.

Pronunciò una sola parola e poi cercò nuovamente di scusarsi, benché la donna non potesse capire il termine.

— Certamente il maggiore è precipitato nell’inizio dell’inferno.

Lei lo corresse:

— Il maggiore si è trovato alla fine dell’inferno; le guerre erano in corso da vent’anni, e la nazione era sull’orlo del disastro. Il maggiore Moresby è arrivato in tempo per assistere alla fine nostra e degli Stati Uniti. Dopo di lui, il governo ha cessato di esistere. Dopo vent’anni eravamo completamente esausti, consumati, e non avremmo potuto difenderci da nessuno.

La vecchia parlava con voce stanca e asciutta, stanca per una fatica troppo lunga e troppo dura, e ascoltandola Chaney poteva sentire la sua mente che ripercorreva il passato. Le guerre erano cominciate dopo l’elezione presidenziale del 1980, subito dopo le esplorazioni sperimentali a Joliet. Arthur Saltus le aveva parlato delle due città cinesi cancellate dalla carta geografica; e improvvisamente, in un giorno di dicembre, i cinesi avevano bombardato Darwin, in Australia, restituendo dopo molto tempo quel tremendo colpo. Le radiazioni avevano reso inabitabile l’intera Australia settentrionale. L’opinione pubblica non era stata mai informata del primo colpo contro i nodi ferroviari cinesi, ma solo del secondo: era stato dipinto come un atto di selvaggia brutalità contro una popolazione innocente. La radioattività si era diffusa attraverso il mare fino alle isole, a nord, ed era giunta fino alle Filippine. La Gran Bretagna aveva chiesto aiuto agli Stati Uniti.

Il presidente rieletto e il suo congresso avevano dichiarato guerra alla Repubblica Popolare Cinese nella settimana successiva all’insediamento, dopo avere combattuto una guerra non dichiarata fin dal 1954. Il Pentagono aveva privatamente assicurato il presidente che la faccenda avrebbe potuto essere sistemata e il nemico sconfitto entro tre settimane. Alcuni mesi dopo il presidente aveva inviato massicci contingenti di truppe nello Scacchiere Asiatico: il fronte di guerra comprendeva già undici nazioni, dalla Repubblica delle Filippine fino al Pakistan, e in difesa dell’Australia. Poi il presidente era stato costretto a inviare truppe in Corea, per respingere i nuovi attacchi lanciati dai comunisti nel settore; ma tutte queste truppe erano state perdute quando i cinesi e i mongoli avevano invaso la penisola e avevano messo fine all’occupazione straniera.

Katrina disse, con voce stanca:

— Il presidente fu rieletto nel 1980, e di nuovo, per un terzo quadriennio, nel 1984. Da quando Arthur aveva portato quelle notizie terribili da Joliet, l’uomo è sembrato incapace di controllarsi, e incapace di fare qualcosa di giusto. La proibizione delle tre presidenze consecutive venne abolita, dietro sua richiesta, e durante il terzo quadriennio anche la Costituzione fu sospesa «per tutta la durata dello stato di emergenza». Lo stato di emergenza non è mai terminato. Brian, quell’uomo è stato l’ultimo presidente eletto che il paese abbia avuto. Dopo di lui non c’è stato più niente.

Chaney disse, amaramente:

— L’idiota, il maledetto idiota! Spero che sia ancora vivo, per vedere tutto!

— Non è vivo, non è vissuto tanto. È stato assassinato, e il suo corpo è stato gettato nel rogo della Casa Bianca. Hanno bruciato Washington, per distruggere un simbolo di oppressione.

— Bruciata! Aspetti che gli dica questo!

Lei fece un piccolo gesto per farlo tacere, o per contraddirlo.

— Tutto questo e di più, molto di più. Quei vent’anni sono stati una prova tremenda; gli ultimi anni sono stati angosciosi. La vita si è fermata, per cedere il passo alla barbarie. All’inizio abbiamo perduto le piccole cose: i treni passeggeri e gli aerei vennero chiusi al traffico civile, il recapito della corrispondenza venne ridotto a due distribuzioni settimanali, e poi cessò del tutto, i notiziari televisivi vennero ridotto a uno al giorno, e poi, quando la guerra si aggravò, vennero ulteriormente ridotti a semplici notizie locali, non di natura militare. Siamo stati isolati dal mondo, e quasi del tutto isolati da Washington.

«I nostri camion sono stati requisiti, per venire usati altrove; il cibo non arrivava più, le medicine erano sparite, gli abiti non venivano più prodotti, né il carburante, e ci siamo ridotto a vivere delle provviste rimaste nella base. Il personale militare è stato trasferito in altre basi, o sul teatro di guerra, e questa base è rimasta sotto la sorveglianza di un personale molto ridotto.

«Brian, quelle poche guardie sono state costrette a sparare sugli abitanti delle città vicine che tentavano di saccheggiare le nostre provviste; si era diffusa la voce che enormi provviste di cibo erano conservate qui, e quella gente era affamata, disperatamente affamata.

Katrina abbassò lo sguardo, inghiottì.

— I vent’anni finirono per noi in una paurosa guerra civile.

Chaney disse: — Ramjets.

— Li hanno chiamati così, quando si sono mostrati apertamente, quando è stata resa pubblica la dichiarazione dei loro intenti: Revolution And Morality, rivoluzione e morale. A volte abbiamo visto delle bandiere che portavano la parola RAM, ma il nome è diventato ben presto una cosa sporca… qualcosa di simile all’altro nome, con il quale erano stati chiamati per secoli: è stato un momento amaro, e lei avrebbe sofferto, se fosse rimasto nella base.

«Brian, la gente moriva di fame dappertutto, moriva di cento malattie, marciva in miseria, abbandonata e dimenticata, ma quella gente possedeva un’organizzazione e una guida che a noi mancavano. I ramjets avevano un comando efficiente. I loro capi li hanno usati contro di noi, ed è venuto anche per noi il turno di soffrire. C’è stata una rivoluzione, ma poca o niente morale; la morale che potevano possedere all’inizio si è perduta ben presto nella rivolta, e ne abbiamo sofferto tutti. Il paese è ripiombato in un’insensata barbarie.

— Moresby è arrivato a questo punto?

Un cenno d’assenso, stanco e triste.

Il maggiore Moresby aveva assistito all’inizio della guerra civile, quand’era emerso nella data del “bersaglio”. Loro avevano scelto la stessa data per la rivolta… avevano scelto il quattro luglio come simbolo del loro desiderio d’indipendenza dall’America bianca, e il bombardamento di Chicago avrebbe dovuto essere il segnale. Gli agenti di collegamento ramjet a Peiping avevano preso accordi in tal senso: Chicago - non Atlanta o Memphis o Birmingham - era l’oggetto del loro odio, dopo gli anni del muro. Ma il piano era fallito.

La ribellione era scoppiata quasi una settimana prima… per caso… e a farla scattare era stata una sommossa in una piccola città fluviale, Cairo nell’Illinois. Un arresto del traffico, in quel luogo, seguito da una sparatoria e poi da una enorme retata di prigionieri negri, aveva rovesciato tutti i programmi: la rivolta era rapidamente sfuggita a ogni controllo. La milizia statale e la polizia erano state impotenti, annichilite dal numero, impoverite di uomini dalla guerra, povere di armi e di munizioni; negli Stati Uniti non era rimasto un esercito regolare, solo pochi gruppi eli soldati dislocati in basi e centri governai ivi, e perfino le guardie d’onore di servizio presso i monumenti nazionali erano siate inviate oltreoceano. Non era rimasta una forza sufficiente a prevenire la ribellione. Il maggiore Moresby era sceso dal proprio veicolo e si era trovato al centro dell’olocausto.

L’agonia era continuata per quasi diciassette mesi.

Il presidente era stato assassinato, il congresso era fuggito… o era perito tentando di fuggire… e Washington era stata bruciata. Avevano incendiato quasi tutte le città nelle quali erano stati numericamente più forti. Spinti dalla passione e dall’odio, avevano bruciato le loro stesse case e avevano distrutto i campi e i prodotti che li avevano nutriti.

Le poche linee di trasporto superstiti, che avevano resistito fino a quel momento, erano state distrutte. I camion erano stati intercettati, saccheggiati e bruciati, e i conducenti erano stati uccisi. Gli autobus erano stati bloccati sulle grandi autostrade, e i passeggeri bianchi erano stati uccisi. I treni erano stati abbandonati là dove si erano fermati, o dove le rotaie erano state divelte, i macchinisti e il personale erano stati uccisi sul posto. L’arresto del traffico aveva prodotto immediatamente una fame disperata, ovunque.

Katrina disse:

— Tutti si aspettavano che i cinesi intervenissero, che ci invadessero; e sapevamo che non avremmo potuto fermarli. Brian, il nostro paese aveva perduto o abbandonato venti milioni di uomini all’estero; eravamo impotenti di fronte a qualsiasi invasore. Ma non vennero; ringrazio Dio che non siano venuti. Non hanno potuto venire, sono stati i sovietici a impedirglielo, quando li hanno attaccati in una guerra santa dichiarata nel nome del Comunismo: quella lunga, interminabile disputa di frontiera era finalmente sfociata in un conflitto aperto, e i russi avevano invaso il territorio cinese. — Fece un gesto stanco. — Non abbiamo mai saputo cosa sia accaduto; non abbiamo mai saputo come siano finite le cose in Europa. Forse stanno ancora combattendo, se è rimasto qualcuno vivo per combattere. I nostri contatti con il vecchio continente sono stati perduti, e per quello che ne sappiamo non sono mai stati ristabiliti. Noi abbiamo perduto il contatto con quel gruppo militare in Virginia, quando l’elettricità è mancata. Eravamo soli.

Le disse, sorpreso, attonito, incredulo:

— Israele, Egitto, Australia, Inghilterra, Russia, Cina… tutti. Tutto il mondo.

— Tutti — ripeté lei, stancamente. — E i nostri soldati sono stati sprecati quasi in tutti i paesi, mandati al sacrificio da un uomo dall’ambizione insaziabile. Poche migliaia di uomini sono ritornate; tutti gli altri sono stati perduti. Era la fine.

— Immagino che il comandante sia giunto verso la fine… diciassette mesi dopo — disse Chaney.

— Arthur è uscito dal TDV nella sua data-bersaglio, subito dopo la fine: l’inizio del secondo inverno dopo la ribellione. Pensiamo che la rivoluzione fosse finita, esaurita e consumata dalla propria furia. Pensiamo che gli uomini che lo avevano assalito al cancello non fossero altro che fuggiaschi, sopravvissuti al primo inverno. Arthur ha detto che erano stati sorpresi dalla sua apparizione, quanto lui era rimasto sorpreso dalla loro; se non li avesse attaccati forse sarebbero fuggiti. — Katrina unì le punta delle dita sul tavolo, nel vecchio gesto familiare, e lo guardò. — Durante il secondo inverno abbiamo visto alcune bande armate vagare per la pianura. Abbiamo riparato il recinto, abbiamo mantenuto una stretta guardia, ma non siamo stati più molestati: Arthur ha messo fuori dei segni d’ammonimento che aveva trovato nel libro che lei gli ha prestato, Brian. Nella primavera seguente, le bande armate si erano ridotte a pochi uomini che andavano a caccia nella pianura, per trovare cibo. Ma poi non abbiamo più visto nessuno. Fino al suo arrivo, non abbiamo più visto nessuno.

Le disse: — Così termina il maledetto ordine del giorno.

Capitolo diciottesimo

Katrina lo guardò e cercò di rompere il cupo silenzio che era caduto tra loro.

— Una famiglia, ha detto? Padre, madre e un bambino? Un bambino sano? Quanti anni aveva?

— Non so; tre, forse quattro. Il bambino si divertiva… giocava, saltava, correva, raccoglieva oggetti… fino a quando io non ho spaventato i suoi genitori. — Chaney ricordava ancora con amarezza l’incontro. — Avevano tutti un’aria abbastanza sana. Correvano come gente in piena salute.

Katrina annuì, soddisfatta.

— Questo dà speranze per il futuro, non trova?

— Penso di sì.

Lo rimproverò.

— Lei lo sa che è così. Se quelle persone stavano bene, significa che mangiavano bene e vivevano con una certa sicurezza. Se l’uomo non portava armi, significa che non riteneva ce ne fosse bisogno. Se avevano un bambino ed erano insieme, significa che la vita familiare è stata ristabilita. E se quel bambino è sopravvissuto al parto e stava bene e giocava, significa che una quieta normalità è ritornata nel mondo, una certa misura di saggezza e di quiete. Questo mi dà speranze per il futuro.

— Una quieta normalità — ripeté lui. — Il sole in quel cielo era quieto. Era freddo, fuori.

Gli occhi di Katrina lo fissarono.

— Non ha mai ammesso, tra sé, di aver potuto commettere un errore, Brian? Non ha pensato di sbagliarsi? Oggi ha pensato alla sua traduzione? Lei era testardo; è arrivato quasi a schernire il maggiore Moresby.

Chaney non rispose; non era facile rivalutare il rotolo dell’Eschatos in un giorno. Una parte della sua mente diceva ancora che le antiche fantasie ebraiche erano solo fantasie.

Sedettero in silenzio nella stanza d’addestramento, guardandosi alla luce della lampada, e sapendo che la fine stava arrivando. Chaney si sentiva a disagio. C’erano state cento… mille domande che avrebbe voluto fare, quando era entrato nella stanza, quando l’aveva trovata là, ma ora non sapeva più cosa dire. Katrina era là, quella che un giorno era stata la giovane e bella Katrina, la Katrina piena di vita della piscina… e fuori c’era la famiglia di Katrina, che aspettava di vederlo partire.

Avrebbe voluto disperatamente fare un’ultima domanda, ma nello stesso tempo aveva paura di parlare: cosa era accaduto a lui dopo il ritorno, alla fine della missione? Cosa era accaduto a lui? Avrebbe voluto sapere dove era andato, cosa aveva fatto, com’era riuscito a sopravvivere agli anni pericolosi… voleva sapere se era riuscito a sopravvivere a quegli anni. Chaney era convinto già da molto tempo di non essersi trovato nella base, nel 1980, al tempo degli esperimenti; ma dove era stato allora? Forse lei si era tenuta in contatto, dopo la fine della missione, quando lui se ne era andato. Ma aveva paura di chiederlo. Il consiglio di Pindaro gli fermava la voce.

Si alzò, bruscamente, dalla sedia.

— Katrina, vuole accompagnarmi giù?

Lei gli lanciò un’occhiata strana, quasi spaventata, ma disse:

— Sì, signore.

Katrina si alzò in piedi, e girò intorno al tavolo, avvicinandosi a lui. L’età aveva rallentato la sua andatura agile, e Chaney provò una fitta di dolore, vedendola muoversi con difficoltà. Chaney prese la lampada e le offrì il braccio libero. Provò un brivido di eccitazione quando Katrina si avvicinò a lui, e lo toccò.

Discesero le scale senza parlare. Chaney rallentò il passo, per adeguarsi all’andatura di lei, e scesero lentamente, cautamente, un gradino dopo l’altro. Kathryn Van Hise si appoggiava al corrimano, e si muoveva con il passo esitante dei vecchi.

Si fermarono davanti alla porta aperta della stanza delle operazioni. Chaney sollevò la lampada, per guardare bene il veicolo: il portello era aperto e lo scafo, in basso, era coperto di polvere; la nicchia di cemento pareva sommersa dalla polvere dei lunghi anni trascorsi.

Un mondo antico e un mondo nuovo. Polvere e sole quieto.

Le domandò, d’un tratto:

— Quanto ho riferito nel mio rapporto, Katrina? Ho parlato di lei? Della sua famiglia? Ho parlato di quella famiglia sui vecchi binari della ferrovia? Che cosa ho detto?

— Niente. — Non voleva guardarlo; teneva gli occhi bassi.

— Cosa?

— Lei non ha fatto rapporto. Non ha detto niente.

Gli parve di avvertire un tremito nella voce, quando parlò.

— Ma dovevo dire qualcosa. Gilbert Seabrooke chiederà qualcosa! Vorrà sapere!

— Brian… — Lei si interruppe, inghiottì più volte, e poi ricominciò. — Lei non ha fatto nessun rapporto, signor Chaney. Lei non è ritornato dal suo lancio. Abbiamo saputo che lei era perduto, per noi, quando il veicolo non è ritornato al sessantunesimo secondo; lei era completamente perduto, per noi.

Brian Chaney, lentamente, con studiata prudenza, poggiò a terra la lampada, e poi fece voltare Katrina, e le sollevò il viso. Voleva vedere quel viso, voleva capire per quale motivo gli stava mentendo. I suoi occhi erano umidi di lacrime trattenute, ma non c’era alcuna menzogna, in quegli occhi.

Rigidamente: — Perché no, Katrina?

— Noi non abbiamo energia, signor Chaney. Il veicolo è impotente, immobile.

Chaney girò il capo per fissare il TDV, e subito si girò verso la donna. Non si rese conto di stringerla troppo forte.

— I tecnici mi possono riportare indietro.

— No. Non possono fare niente per lei; l’hanno perduta quando gli strumenti hanno cessato di seguire il suo cori idolo temporale, quando il computer ha taciuto, quando l’energia è mancata, qui, e lei ha superato la data del guasto, spinto dall’energia di lancio. I tecnici l’hanno perduta; hanno perduto il veicolo. — Si liberò dalla stretta di Chaney, e il suo sguardo incerto si abbassò. — Lei non è ritornato al laboratorio, signor Chaney. Nessuno l’ha più vista dopo il lancio; nessuno l’ha più vista, fino a quando non è comparso qui, oggi.

Quasi un grido: — La smetta di chiamarmi signor Chaney!

— Io sono… sono terribilmente dispiaciuta. Lei era perduto, per noi, come il maggiore Moresby. Abbiamo pensato…

Voltò le spalle alla donna e deliberatamente entrò nella stanza delle operazioni. Brian Chaney salì sul serbatoio di poliacqua, e scavalcò il bordo e infilò una gamba nel portello aperto del TDV. Non si preoccupò di spogliarsi o di togliersi gli stivali pesanti. Penetrò nel portello, e lo chiuse sopra il suo capo, e cercò la luce verde ammiccante. Non c’era nessuna luce. Chaney si distese sulla figlia, e spinse con forza con i talloni il pedale, sul fondo. Nessuna luce gli rispose.

Conobbe il panico, in quel momento.

Combatté contro quel panico cieco, e aspettò che i nervi si calmassero, aspettò che una quiete innaturale scendesse sopra di lui. Gli ritornò il ricordo di quel primo collaudo: allora aveva pensato che il veicolo somigliava a una stretta tomba soffocante, e adesso continuava a pensarlo. Disteso sulla griglia metallica per la prima volta… e aspettando che accadesse qualcosa di spettacolare… aveva provato un forte dolore alle gambe indolenzite, e aveva allungato le gambe per alleviare il dolore. I suoi piedi avevano colpito il pedale, rispedendolo all’inizio del collaudo, prima che i tecnici fossero stati pronti; erano stati molto in collera con lui. E un’ora più tardi, nella stanza della conferenza, tutti avevano visto e sentito i risultati della sua azione: il veicolo scaraventato indietro per la spinta dei suoi piedi, il rumore che aveva colpito i timpani e le luci che si erano affievolite per un istante. I tecnici, sbalorditi, avevano lasciato di corsa la stanza, e Gilbert Seabrooke aveva proposto di sottoporre all’Indic un nuovo programma di studio. Il TDV aspirava l’energia dal presente, e non dal passato, dal suo passato.

Chaney allungò la mano per chiudere bene il portello. Era chiuso. La luce che avrebbe dovuto ammiccare, la luce verde, era spenta e restava spenta. Chaney appoggiò i piedi al pedale, e spinse, spinse con forza. La luce rossa rimase spenta. Spinse di nuovo, poi scalciò con violenza. Dopo un momento si girò a guardare, attraverso la bolla di plastica, la stanza. Era illuminata fievolmente dalla lampada posata sulla soglia.


Camminò lentamente lungo il corridoio, alla luce fioca della lampada, camminò rigidamente, come in sogno, in uno stato di choc venato di paura. Il rifiuto del veicolo di muoversi dietro le sue sollecitazioni lo aveva come stordito. Desiderò disperatamente di trovare Katrina, desiderò di trovarla in piedi con una parola o un gesto ai quali lui potesse appigliarsi per avere speranza, ma Katrina non si vedeva nel corridoio. Lo aveva lasciato mentre lui aveva lottato con il veicolo, forse per ritornare nella stanza di addestramento, forse per uscire, forse per ritirarsi nel rifugio che divideva con suo figlio e sua figlia. Chaney era solo, e lottava contro il panico. La porta del laboratorio tecnico era aperta, come la porta del deposito, ma lei non lo aspettava là. Chaney ascoltò, sperando di udire la sua voce o il suo respiro, ma non udì niente, e proseguì, dopo un attimo di sosta. Il corridoio polveroso finì, e una rampa di scale lo condusse in alto, verso la porta delle operazioni.

Pensò che il vecchio cartello cancellato sulla porta fosse un’amara presa in giro… una delle tante che aveva conosciuto da quando era partito per Israele, un secondo prima. Maledisse il giorno in cui aveva letto e tradotto quei rotoli… ma nello stesso tempo desiderò disperatamente di conoscere l’identità dello scriba che si era divertito e aveva divertito i suoi colleghi creando il documento dell’Eschatos. Un solo nome sarebbe bastato: un Amos, o un Malachia, o un Ibico.

Allora avrebbe levato alto un bicchiere d’acqua attinto alla cisterna nabatea, e salutato il genio sconosciuto per la sua intelligenza e la sua saggezza, per la sua feroce ironia. Avrebbe gridato al cielo pulito di fresco:

— Ecco, maledetti i tuoi occhi, Ibico! Ecco, per i draghi morti da tanto tempo e per il recinto caduto e per il ghiaccio sui fiumi. Ecco, per la mia testa d’oro, il mio petto d’argento, le mie gambe di ferro e i miei piedi d’argilla. I miei piedi d’argilla, Ibico! — E avrebbe scagliato il bicchiere contro il TDV senza vita.

Chaney girò le chiavi nelle serrature, e spinse la porta, e uscì nella fredda aria notturna. L’oscurità lo sorprese; non si era reso conto di avere passato tante ore dolci e amare là dentro, con Katrina. Il parcheggio conteneva solo il carro e il fucile che lui aveva abbandonato I tigli eli Katrina non lo avevano aspettato, e Chaney si rese conto di provare un poco di dolore.

Si allontanò dall’edificio e poi si voltò a guardarlo: un massiccio tempio bianco di cemento, sotto i raggi della luna. Le legioni barbariche non erano riuscite ad abbatterlo, malgrado i danni prodotti in tutte le altre parti della base.

Il cielo fu la seconda sorpresa: l’aveva visto ili giorno e l’aveva trovato prodigioso, ma di notte era incredibilmente bello, di una bellezza sconvolgente. Le stelle erano luminose e fisse come gemme scintillanti e levigate, e ce n’erano cento e mille più di quante ne avesse mai viste prima; non aveva mai conosciuto un cielo simile, in tutta la sua vita. L’intero orizzonte orientale era illuminato dai raggi brillanti della luna sorgente.

Chaney rimase al centro del parcheggio, solo, guardando la faccia della luna, cercando il Mare dei Vapori e la depressione nota come il Cratere di Bode. Il laser che pulsava lassù attirò il suo sguardo e lo trattenne. Quella cosa, almeno, non era cambiata… quel monumento, almeno, non era stato distrutto. La lucciola luminosa lampeggiava ancora ai bordi del Cratere di Bode, indicando perennemente il luogo in cui due astronauti erano caduti, negli anni settanta, indicando per sempre la loro tomba, ricordandoli per sempre nell’infinito. Uno di loro era stato negro. Brian Chaney si considerò fortunato: lui aveva dell’aria da respirare, ma quegli uomini non ne avevano avuta.

Disse, a voce alta:

— Non eri poi così dannatamente astuto, Ibico! Quello l’hai trascurato… i tuoi profeti non ti hanno mostrato il nuovo segno nel cielo.

Chaney sedette sul carro inclinato e allungò le gambe per restare in equilibrio. Il fucile era uno scomodo gonfiore nella schiena, e lo mise da parte, per liberarsene. Dopo qualche tempo si sdraiò, appoggiato all’interno del carro. Tutto l’orizzonte di sud-est era davanti a lui; gran parte di quel cielo era davanti ai suoi occhi. Chaney pensò che avrebbe dovuto andare a cercare Katrina, e Arthur e Kathryn, e un posto per dormire. Forse l’avrebbe fatto, tra qualche tempo, ma non ora, non ora.

Un fuggevole pensiero gli passò per la mente: i tecnici avevano avuto ragione su una cosa: il serbatoio di poliacqua non aveva perduto.

Elwood Station era in pace.

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