PARTE III

«Il solo fatto di sentir nominare Parigi mi procurò un’ondata di piacere davvero straordinaria, un senso di sollievo così simile al benessere che mi stupii, non solo di essere capace di provarlo, ma di averlo quasi dimenticato.

«Mi chiedo se tu riesci a capire che cosa significa. Le mie parole di adesso non possono comunicartelo, perché quello che per me oggi è Parigi è molto diverso da quello che significava allora, in quei giorni, in quel momento; eppure, ancora oggi, a pensarci, provo un sentimento abbastanza simile alla felicità. E, ora più che mai, ho motivo di affermare che la felicità è qualcosa che non conoscerò mai, o che non meriterò mai di conoscere. Non sono particolarmente innamorato della felicità. Eppure il nome di Parigi me la fa provare.

«La bellezza mortale spesso mi procurava malessere e la magnificenza mortale può pervadermi l’animo d’una disperata nostalgia, come sul Mediterraneo. Ma Parigi, Parigi invece mi trasse vicino al suo cuore e mi dimenticai completamente di me. Dimenticai quella parte soprannaturale, dannata e perpetuamente irrequieta di me che era infatuata della carne e dell’abbigliamento mortale. Parigi mi soverchiava, mi illuminava e mi appagava molto più di qualsiasi promessa.

«Era la madre di New Orleans, tieni presente questo fatto innanzitutto; aveva donato a New Orleans la vita, la sua prima popolazione; ed era tutto quello che da tanto tempo New Orleans aveva cercato di essere. Ma New Orleans, quantunque fosse piena di bellezza e disperatamente piena di vita, era anche disperatamente fragile. Vi era rimasto sempre qualcosa di selvaggio e di primitivo, qualcosa che minacciava la vita esotica e sofisticata sia dall’interno che dall’esterno. Non c’era un millimetro di quelle strade di legno o un mattone di quelle affollate case spagnole che non fosse stato strappato alla landa selvaggia che sempre circondava la città, pronta a inghiottirla. Cicloni, inondazioni, febbri, la peste — lo stesso clima umido della Louisiana corrodeva infaticabilmente le assi di legno o le facciate di pietra, così che in ogni momento New Orleans appariva come un sogno alla sua combattiva popolazione, un sogno mantenuto intatto, attimo per attimo, da una tenace quanto inconscia volontà collettiva.

«Ma Parigi, Parigi era un universo completo e compiuto in se stesso, scavato e foggiato dalla storia; così m’appariva in questa età di Napoleone III, coi suoi palazzi torreggianti, le imponenti cattedrali, i grandiosi boulevard e le antiche tortuose stradine medievali: vasta e indistruttibile come la natura stessa. Tutto era esaltato da Parigi, dalla sua volubile e incantata popolazione che si accalcava nelle gallerie, nei teatri, nei caffè, continuando a dare alla luce genio e santità, filosofia e guerra, frivolezza e arte sublime; sembrava che anche se tutto il resto del mondo fosse sprofondato nell’oscurità, quanto vi era di raffinato, di bello e d’essenziale avrebbe potuto continuare a dare a Parigi il suo fiore più bello. Persino gli alberi maestosi che ornavano e proteggevano le sue strade le si intonavano, le acque della Senna, che si snodano quiete attraverso il suo cuore; lì la terra, plasmata dal sangue e dalla coscienza, ha cessato di essere terra ed è diventata Parigi.

«Eravamo vivi, di nuovo. Eravamo innamorati, e io tanto euforico, dopo quelle vane notti di vagabondaggio nell’Europa orientale, che quando Claudia volle che ci sistemassimo all’Hotel Saint-Gabriel sul Boulevard des Capucines, l’accontentai. Si diceva fosse uno degli alberghi più grandi d’Europa, con stanze immense che avrebbero fatto scomparire la memoria della nostra vecchia casa di città, pur ricordandola per l’accogliente splendore. Avremmo avuto uno degli appartamenti più belli. Le nostre finestre guardavano proprio sopra il boulevard illuminato a gas dove, nelle prime ore della sera, i marciapiedi di asfalto brulicavano di gente e dove scorreva interminabile un fiume di carrozze, che portavano le signore sfarzosamente vestite e i loro cavalieri all’Opera o all’Opera Comique, al balletto, ai teatri, ai balli e ai ricevimenti senza fine alle Tuileries.

«Claudia mi espose le sue ragioni per tutte queste spese con garbo e logicità, ma vedevo che era stanca di ordinare ogni cosa attraverso di me. L’albergo, diceva, ci permetteva la più completa libertà, le nostre abitudini notturne passavano inosservate nella continua ressa di turisti europei, le nostre stanze erano mantenute immacolate da un personale anonimo, e l’elevato prezzo che pagavamo ci garantiva la privacy e la sicurezza; ma c’era qualcosa di più in questo, c’era una febbrile risolutezza nel suo comperare.

«‘Questo è il mio mondo’ mi spiegò, seduta in una poltroncina di velluto davanti al balcone aperto, osservando una lunga fila di carrozze che si fermavano una dopo l’altra davanti alle porte dell’albergo. ‘Lo voglio come piace a me’ concluse come parlando tra sé. E così fu come piaceva a lei: splendide tappezzerie rosa e oro, mobili ricoperti di damasco e velluto, cuscini ricamati e guarnizioni di seta per il letto a colonne. Ogni giorno dozzine di rose comparivano sulle mensole dei caminetti e sui tavoli intarsiati, riempiendo l’alcova del suo spogliatoio, riflettendosi all’infinito negli specchi inclinati. Infine Claudia affollò le ampie porte-finestre con un vero e proprio giardino di camelie e felci. ‘Più di tutto mi mancano i fiori’ mormorava. E li ricercò persino nei dipinti che comprammo nei negozi e nelle gallerie: magnifiche tele, come non ne avevo mai viste a New Orleans: dai bouquet realistici, eseguiti nello stile classico, che invitavano a toccare i petali caduti su una tovaglia tridimensionale, a quelli di un nuovo stile sconcertante nel quale i colori risplendevano con una tale intensità da distruggere le vecchie linee, la vecchia solidità, per creare una visione simile a quei miei stati di alterazione mentale che sfiorano il delirio, quando i fiori mi crescono davanti agli occhi e crepitano come le fiamme di una lampada. Parigi scorreva dentro le nostre stanze.

«Mi trovai perfettamente a mio agio, abbandonando ancora una volta i miei sogni di semplicità essenziale per ciò che mi aveva donato la garbata insistenza di un’altra persona, perché l’aria qui era dolce come quella del nostro cortile in Rue Royale e tutto vibrava in una profusione incredibile di luce a gas che fugava le ombre persino dagli alti soffitti riccamente ornati. La luce correva sulle volute dorate, tremolava sui pendagli dei lampadari. Il buio non esisteva. I vampiri non esistevano.

«E sebbene fossi sempre impegnato nella mia ricerca, m’era dolce il pensiero che, per un’ora, padre e figlia salivano sul calesse, abbandonando tanto lusso civile, solo per andare lungo le rive della Senna, oltre il ponte, nel Quartiere latino, a girare per quelle strade strette e buie in cerca di storia, non di vittime. E poi far ritorno alla pendola ticchettante, agli alari di ottone e alle carte da gioco preparate sul tavolo. Libri di poesia, il programma di una commedia, e tutt’intorno il sommesso brusio del vasto albergo: violini lontani, la voce di una donna, rapida, animata, sopra il suono cadenzato di una spazzola, e un uomo all’ultimo piano, che ripete continuamente all’aria della notte: ‘Capisco, adesso comincio… adesso comincio a capire…’

«‘È come volevi che fosse?’ mi domandò Claudia, silenziosa da ore, forse solo per farmi sapere che non si era dimenticata di me; niente discorsi sui vampiri. Ma qualcosa non andava. Non era l’antica serenità, la pensosità di chi si abbandona ai ricordi. C’era un ansioso rimuginare, nel suo silenzio, un’insoddisfazione repressa. E sebbene svanisse dai suoi occhi non appena la chiamavo o le rispondevo, l’ira sembrava appena sotto la superficie.

«‘Oh, tu sai come avrei voluto che fosse’ le risposi. ‘Una soffitta vicina alla Sorbona, abbastanza vicino al frastuono di Rue Saint-Michel, ma anche abbastanza lontana. Ma più che altro desideravo che fosse come volevi tu’. Vidi che si era animata, ma il suo sguardo mi oltrepassava, come a significare: ‘Non c’è rimedio per te; non t’avvicinare troppo, non chiedere a me quello che io chiedo a te: sei soddisfatto?’

«La mia memoria è troppo chiara, troppo nitida; i contorni delle cose dovrebbero sfocarsi e ciò che è rimasto irrisolto dovrebbe attenuarsi. Così, certe scene sono vicine al mio cuore come ritratti nei medaglioni, ma ritratti mostruosi che nessun artista e nessuna macchina fotografica potrebbe mai eseguire; continuamente vedevo Claudia accanto al pianoforte, quell’ultima notte che Lestat suonava, preparandosi a morire, il viso di lei quando lui la provocava, quella smorfia che si trasformò in una maschera; un po’ più di attenzione avrebbe potuto salvargli la vita, sempre che fosse davvero morto.

«Qualcosa si stava addensando in Claudia, e lentamente si rivelava all’osservatore che meno avrebbe voluto notarlo al mondo. Le era nata una passione per anelli e braccialetti che i bambini non portano. Il suo modo di camminare, elegante e impettito, non era quello di una bambina, e spesso entrava in certi negozietti, precedendomi, puntando un dito imperioso su un profumo o dei guanti che poi pagava da sé. Io le stavo sempre vicino, un po’ a disagio: non perché temessi qualcosa in quella grande città, ma perché avevo paura di lei. Per le sue vittime era sempre stata la ‘bimba sperduta’, ‘l’orfanella’, e ora mi sembrava che volesse essere qualcosa di diverso, qualcosa di perverso e di sconvolgente per i passanti che cadevano nella sua rete. Ma spesso tutto avveniva senza che io lo sapessi: mi lasciava un’ora ad aggirarmi tra le sculture di Notre-Dame, o ad aspettarla in carrozza, ai margini di un parco.

«E poi una notte mi svegliai nello sfarzoso letto del nostro appartamento all’albergo, il mio libro frusciò sgradevolmente sotto di me, e vidi che era sparita. Non osai chiedere al personale dell’albergo se l’avevano vista. Era nostra abitudine non farci mai notare: per il personale non avevamo nome. La cercai dappertutto: nei corridoi, nelle strade laterali, persino nella sala da ballo, perché mi aveva colto l’inesplicabile terrore che ci potesse essere andata da sola; ma poi la vidi arrivare dalle porte laterali dell’atrio, coi capelli scintillanti sotto la tesa del cappellino per la pioggia leggera, come una bambina che corre eccitata per una marachella, illuminando i volti degli uomini e delle donne che la guardavano inteneriti salire la scalinata e passarmi accanto come se non mi vedesse. Tanto graziosa da sembrare impossibile; una strana, tenera bagatella.

«Chiusi la porta dietro di me proprio mentre si toglieva il mantello e scuoteva i capelli in un turbinio di gocce dorate. I nastri spiegazzati del cappellino ricaddero sciolti e io provai un immediato sollievo alla vista del vestitino infantile, di quei nastri e di qualcosa di meravigliosamente rassicurante tra le sue braccia, una piccola bambola di porcellana. Ancora non mi aveva detto una parola; era tutta presa dalla sua bambola. Quei minuscoli piedini, attaccati in qualche modo con uncini o fil di ferro al vestito vaporoso, tintinnavano come campanelle. ‘È una donna adulta’ mi disse. ‘Vedi? È una adulta’. La mise sul cassettone.

«‘È vero’ mormorai.

«‘L’ha fatta una signora’ disse, ‘che ha un negozio di bambole, tutte bambole bambine, sempre bambine, finché le ho detto che volevo una bambola grande, adulta’.

«Era inquietante, misteriosa. Claudia sedeva assorta, con le ciocche bagnate che le rigavano la fronte spaziosa, a osservare la bambola. ‘Sai perché me l’ha fatta?’ domandò. Desiderai che la stanza avesse delle ombre, potermi allontanare dal cerchio di calore di quel fuoco superfluo rifugiandomi in qualche punto oscuro, non stare sul letto come su un palcoscenico illuminato, non vedere Claudia davanti a me e nei suoi specchi, maniche a sbuffo e poi ancora maniche a sbuffo.

«‘Perché sei una bella bambina e voleva farti felice’ risposi, con una voce sommessa ed estranea ai miei stessi orecchi.

«Claudia rideva in silenzio. ‘Una bella bambina, eh?’ ripeté, lanciandomi un’occhiata. ‘È questo che ancora credi che sia?’ Il suo viso si oscurò e riprese a giocare con la bambola, abbassandole con le dita la scollatura a uncinetto fino ai seni di porcellana. ‘Sì, io assomiglio alle sue bambole, sono proprio come le sue bamboline. Dovresti vederla lavorare in quel negozio; china sulle sue bambole, tutte con la stessa faccia, la stessa bocca’. Si toccò le labbra con le dita. Qualcosa sembrò spostarsi, qualcosa tra le quattro mura di quella stanza, e gli specchi tremarono con la sua immagine come se la terra avesse sospirato da sotto le fondamenta. Le carrozze rintronavano nelle strade; ma erano troppo lontane. E allora vidi che cosa stava facendo quella creatura dall’aspetto tanto infantile: una mano reggeva la bambola, l’altra era posata sulle labbra; e la mano che teneva la bambola la stritolava, finché con uno schianto la bambola si piegò su se stessa e si ruppe in una manciata di vetri che caddero dalla mano aperta e sanguinante sul tappeto. Torse il minuscolo vestito in una pioggia di frammenti; io distolsi lo sguardo solo per rivederla nello specchio sopra al caminetto, per vedere i suoi occhi che mi esploravano dalla testa ai piedi. Attraversò quello specchio e si avvicinò al letto.

«‘Perché non mi guardi?’ domandò con una voce dolcissima come una campana d’argento. Ma poi rise piano, con una risata da donna, e disse: ‘Pensavi che sarei stata per sempre la tua bambina? Sei il padre degli stupidi, il più stupido dei padri?’

«‘Sei molto sgarbata con me’ risposi.

«‘Mmm… sgarbata’. Annuì, credo. Era una vampata nell’angolo del mio occhio, fiamme azzurre, fiamme d’oro.

«‘E che cosa pensano di te’ domandai dolcemente, ‘là fuori?’ Indicai la finestra aperta.

«‘Molte cose’ sorrise. ‘Molte cose. Gli uomini sono straordinari quanto a spiegazioni. Non hai visto i folletti dei parchi, i circhi, i mostri? La gente paga per farsi beffe di loro’.

«‘Io ero soltanto un apprendista stregone!’ proruppi senza volere. ‘Apprendista!’ ripetei. Volevo toccarla, carezzarle i capelli, ma restai seduto dov’ero: avevo paura di lei, di quella sua rabbia simile a un fiammifero che sta per prender fuoco.

«Sorrise di nuovo, poi mi prese la mano, se la mise in grembo e la coprì meglio che poteva con la sua. ‘Apprendista, sì’ rise. ‘Ma dimmi una cosa sola, una cosa sola da quell’altezza sublime. Com’era… fare l’amore?’

«Prima ancora di rendermene conto, mi stavo allontanando da lei, cercavo il mantello e i guanti, come un povero idiota. ‘Non ricordi?’ mi domandò con perfetta calma. Io avevo già la mano sulla maniglia della porta.

«Mi fermai, sentendo i suoi occhi sulla schiena, pieno di vergogna, poi mi voltai. ‘Dove sto andando, che farò, perché resto qui?’ pensai.

«‘Era qualcosa di precipitoso’ risposi, cercando ora di incontrare i suoi occhi. Com’erano azzurri, di un azzurro perfetto, freddo. E com’erano intensi. ‘E… di rado si gustava… qualcosa di acuto che si perdeva velocemente. Penso che fosse come un pallido riflesso dell’uccidere’.

«‘Ahhh…’ commentò lei. ‘Come quello che provo adesso nel farti del male… anche questo è un pallido riflesso dell’uccidere’.

«‘Sì, signora’ risposi. ‘Sono propenso a credere che ciò sia corretto’. E, con un rapido inchino, le augurai la buona notte».


«Era passato molto tempo da che l’avevo lasciata quando rallentai l’andatura. Avevo attraversato la Senna. Volevo le tenebre. Per nascondermi da lei e dai sentimenti che erano scaturiti in me, dalla grande, divorante paura di essere assolutamente incapace di renderla felice, o di rendere felice me stesso compiacendola.

«Avrei dato il mondo per farla contenta, il mondo che ora possedevamo, che appariva a un tempo vuoto ed eterno. Tuttavia ero offeso dalle sue parole e dal suo sguardo, e nessuna delle tante spiegazioni che potevo darle — che mi passavano avanti e indietro per la mente, che persino prendevano forma sulle mie labbra in disperati sussurri, dopo che avevo lasciato Rue Saint-Michel e mi inoltravo sempre più nelle strade più vecchie, più scure del Quartiere latino — nessuna di quelle spiegazioni mi sembrava potesse alleviare quello che immaginavo fosse il suo grave malcontento, o il mio dolore.

«Alla fine abbandonai del tutto le parole, tranne che per una strana cantilena. Ero immerso nel nero silenzio d’una strada medievale, e ne seguivo ciecamente le brusche svolte, consolato dall’altezza dei suoi stretti caseggiati, che sembravano capaci di crollare contemporaneamente da un momento all’altro, chiudendo il vicolo come una cucitura, sotto le stelle indifferenti. ‘Non sono capace di farla felice, non è felice con me; e la sua infelicità cresce ogni giorno’. Questa era la mia cantilena, che ripetevo come un rosario, un incantesimo per cambiare i fatti, la sua inevitabile disillusione nella nostra ricerca, che ci lasciava in un limbo dove sentivo che s’allontanava da me, schiacciandomi col suo enorme bisogno. Ero arrivato persino a concepire una gelosia selvaggia per la donna che le aveva donato qualcosa, per un attimo, che lei teneva stretta a sé in mia presenza come se io non esistessi.

«Che significava? Dove mi avrebbe portato?

«Da quando ero arrivato a Parigi, mesi prima, non avevo mai avuto una percezione così completa dell’immensa vastità della città, di come potevo passare dalla strada stretta e tortuosa che avevo scelto a un mondo di delizie; e mai avevo avuto una sensazione così acuta della sua inutilità. Inutile per lei, se non riusciva a sopportare quella rabbia, se non riusciva in qualche modo a comprendere i limiti di cui sembrava essere irosamente, amaramente conscia. Io ero impotente, lei pure. Ma lei era più forte di me. E io sapevo, lo sapevo anche nel momento in cui m’ero allontanato da lei, all’albergo, che sotto quello sguardo c’era il suo incrollabile amore per me.

«E pur stordito e stanco e ora piacevolmente sperduto, m’accorsi, con l’inestinguibile sensibilità del vampiro, di essere seguito.

«Il mio primo pensiero fu irrazionale. Era Claudia che m’aveva seguito e che, più brava di me, m’aveva pedinato a grande distanza. Ma quasi contemporaneamente a questo, un altro pensiero si presentò. Quei passi erano troppo pesanti per essere i suoi. Era solo un mortale che camminava nello stesso vicolo, avvicinandosi incautamente alla morte.

«Così io continuai, quasi pronto a ricadere nel mio dolore, quando la mia mente mi disse: ‘Sei uno sciocco; ascolta’. E mi accorsi che i passi che echeggiavano a grande distanza da me erano in perfetta sincronia coi miei. Un caso. Perché se erano passi mortali, i miei passi erano troppo lontani per un udito mortale. Ma, quando mi fermai per considerare la cosa, si fermarono anch’essi. E quando mi voltai, pensando: ‘Louis, ti stai ingannando’ e ripresi, anch’essi ripresero. Passi in sincronia coi miei, che acceleravano quando io acceleravo. E poi accadde qualcosa di innegabile. Allarmato com’ero, scivolai su una tegola caduta da un tetto e andai a sbattere contro il muro. E dietro di me, quei passi ripeterono alla perfezione il ritmo strascicato della mia caduta.

«Ero allibito, in uno stato d’allarme che andava molto al di là della paura. A destra e a sinistra la strada era buia. Neppure una luce offuscata dalla finestra di una soffitta; e la sola salvezza che m’era offerta, la grande distanza tra me e quei passi, era anche la garanzia che non erano umani. Non avevo la minima idea di cosa fare. Provai il desiderio quasi irresistibile di chiamare ad alta voce quell’essere e di dargli il benvenuto, di fargli sapere nel modo più veloce e completo possibile che l’aspettavo, l’avevo cercato, e desideravo confrontarmi con lui. Eppure avevo paura. La cosa più sensata sembrava riprendere a camminare, aspettando che s’avvicinasse; e come lo feci, mi ritrovai di nuovo canzonato dalla mia stessa andatura, e la distanza fra di noi rimaneva la stessa. La tensione dentro di me aumentava, il buio si faceva sempre più minaccioso, e io continuavo a ripetermi, misurando quei passi: ‘Perché mi segui, perché vuoi farmi sapere che ci sei?’

«Poi, dopo una brusca svolta della strada, m’apparve davanti all’angolo seguente il brillio di una luce. La strada saliva verso quel brillio e io avanzai molto lentamente, con le orecchie assordate dal battito del mio cuore, riluttante all’idea di dovermi rivelare in quella luce.

«E come esitai — anzi, mi fermai — proprio davanti a quell’angolo, giunse dall’alto una specie di rombo o di clangore, come se il tetto della casa accanto a me fosse crollato. Saltai indietro appena in tempo, prima che un mucchio di tegole si schiantassero al suolo: una mi sfiorò la spalla. Ora tutto era silenzio. Guardai le tegole, ascoltando, aspettando; poi lentamente svoltai l’angolo rasente il muro e uscii nella luce, solo per vedere profilarsi in cima alla strada, sotto il lampione, l’inconfondibile figura di un altro vampiro.

«Era enorme di statura, sebbene magro come me, la faccia lunga e bianca luminosissima sotto il lampione; i suoi grandi occhi neri mi fissavano con evidente meraviglia. Aveva la gamba destra lievemente piegata come se si fosse bloccato a metà di un passo. Poi improvvisamente mi resi conto che non solo i suoi capelli erano neri e pettinati esattamente come i miei, e non soltanto indossava una giacca e un mantello identici ai miei, ma stava imitando alla perfezione la mia posizione e l’espressione del mio viso. Deglutii e feci scorrere lentamente il mio sguardo su lui, cercando disperatamente di nascondergli il ritmo veloce delle mie pulsazioni, mentre i suoi occhi mi scrutavano nella stessa identica maniera. Quando lo vidi sbattere gli occhi, capii che io avevo appena sbattuto gli occhi, e quando alzai le braccia e le incrociai sul petto, egli lentamente fece la stessa cosa. C’era da impazzire. Altro che impazzire! Mossi appena le labbra, e lui mosse appena le labbra, e le parole morirono prima di pronunciarle, e non riuscivo a trovarne altre per far fronte a questa situazione; per farlo smettere. E sempre c’erano quella statura, quegli occhi neri penetranti e quella attenzione che naturalmente era solo beffa, ma che, nonostante tutto, si fissava su di me. Lui era il vampiro, io sembravo lo specchio.

«‘Bravo’ sbottai disperato: naturalmente lui ripeté quella parola con la stessa rapidità con cui io l’avevo pronunciata. E pur esasperato, mi sorpresi a cedere a un lento sorriso, sfidando il sudore che mi scendeva da ogni poro e il tremore nelle gambe. Anche lui sorrise, ma i suoi occhi avevano una ferocia animalesca, non assomigliavano affatto ai miei, e il suo sorriso meccanico era sinistro.

«Allora feci un passo avanti, e lui fece lo stesso; mi fermai improvvisamente, fissandolo, e lui fece lo stesso. Ma poi, lentamente, molto lentamente, alzò il braccio destro, sebbene il mio restasse a mezz’aria, e, stringendo le dita in un pugno, si battè il petto con ritmo crescente che scimmiottava il battito del mio cuore. Esplose in una fragorosa risata. Buttò la testa all’indietro, mostrando i canini, e quella risata sembrò riempire il vicolo. Lo detestavo. Nel modo più assoluto.

«‘Hai intenzione di offendermi?’ domandai, solo per sentire quelle parole beffardamente ripetute.

«‘Farabutto!’ sbottai. ‘Buffone!’

«Quella parola lo fermò. Morì sulle sue labbra nell’istante stesso in cui la pronunciava, e il suo viso si irrigidì.

«La mia reazione fu dettata dall’impulso. Gli voltai le spalle e feci per andarmene, forse perché mi seguisse e mi domandasse chi ero. Ma con un movimento tanto rapido, che mi fu impossibile vederlo, mi si parò ancora di fronte, come materializzandosi in quel punto. Di nuovo gli voltai le spalle — e me lo ritrovai di fronte sotto il lampione, che si sistemava i capelli, unico segno che si era effettivamente mosso.

«‘Ti stavo cercando! Sono venuto a Parigi apposta!’ Mi costrinsi a dire quelle parole e vidi che non mi rifaceva il verso né si muoveva, ma rimaneva immobile a guardarmi.

«Si fece avanti lentamente, con grazia, e notai che quel corpo e quei modi adesso erano proprio i suoi; allungò la mano, come se volesse porgermela, ma tutt’a un tratto mi spinse all’indietro, facendomi perdere l’equilibrio. Mi sentii la camicia zuppa e appiccicata alla pelle quando mi drizzai, la mano imbrattata dal muro umido.

«E quando mi voltai per affrontarlo, egli mi sbatté a terra del tutto.

«Vorrei poterti descrivere la sua forza. Lo sapresti, se ti aggredissi, se ti tirassi un colpo fortissimo con un braccio che non hai mai visto neanche muoversi.

«Ma qualcosa mi disse: ‘Mostragli la tua forza!’ perciò mi rialzai velocemente lanciandomi contro di lui con tutte e due le braccia. Colpii la notte, la notte vuota che turbinava sotto quel lampione, e rimasi lì a guardarmi intorno, solo, come un imbecille. Questa era una prova di nuovo tipo, compresi, sebbene consciamente fissassi la mia attenzione sulla strada buia, sui recessi dei portoni, su qualunque luogo in cui poteva essersi nascosto. Non avevo nessuna voglia di sottopormi a questa prova, ma non vedevo via di uscita. E riflettevo su come spiegarglielo con sufficiente sdegno, quando riapparve all’improvviso, mi spinse di nuovo e mi scagliò contro l’acciottolato dov’ero caduto prima. Sentii il suo stivale sulle mie costole. Infuriato, gli afferrai stretta la gamba, e quasi non ci credevo quando sentii la stoffa e l’osso. Cadde contro il muro di pietra di fronte e ringhiò irosamente.

«Seguì la confusione più assoluta. Mi aggrappai saldamente a quella gamba, sebbene lo stivale cercasse di colpirmi. Ma a un certo punto lui si gettò su di me e si liberò dalla mia stretta; mi sentii sollevare in aria da mani vigorose. È facile immaginare cosa mi sarebbe potuto accadere. Avrebbe potuto scaraventarmi a parecchi metri di distanza, ne aveva sicuramente la forza. Pesto e ferito, avrei potuto perdere conoscenza. Persino nella foga della lotta, ero turbato dal fatto di non sapere se era possibile per me perdere conoscenza. Ma non ne feci mai la prova. Mi accorsi, pur nella confusione, che qualcun altro s’era intromesso fra noi, qualcuno che lo attaccava a fondo, costringendolo a mollare la presa.

«Quando sollevai lo sguardo, ero in mezzo alla strada, e per un istante vidi due figure, come il baluginio di una immagine appena si chiudono gli occhi. Poi soltanto un turbinio di vesti nere, uno stivale che batteva sul selciato, il vuoto della notte. Rimasi, ansante, col sudore che mi scorreva sul viso, a guardare nel vuoto attorno a me, infine levai lo sguardo al sottile, pallido nastro di cielo. Lentamente, solo perché i miei occhi erano totalmente concentrati sul cielo, una figura emerse sopra di me dall’oscurità. Acquattata sulle pietre aggettanti dell’architrave, si girò, così che potei notare il raggio debolissimo della luce brillare sui suoi capelli e poi sul viso duro e bianco. Uno strano viso, più largo, non magro come l’altro, col grande occhio scuro che mi fissava imperturbabile. Un sussurro gli uscì dalle labbra, sebbene non sembrassero muoversi. ‘Ora state bene’.

«Stavo più che bene. Ero in piedi, pronto ad attaccare. Ma la figura restava accucciata come se fosse parte del muro. Vidi una mano bianca che rovistava in quella che sembrava essere una tasca del panciotto. Ne uscì un biglietto, bianco come le mani che me lo porgevano. Non mi mossi per prenderlo. ‘Venite a trovarci, domani notte’ disse quello stesso sussurro che giungeva dal volto senza rilievi né espressione, che continuava a mostrare alla luce soltanto un occhio. ‘Non vi farò del male’ continuò. ‘E neppure quell’altro ve ne farà. Non lo permetterò’. E la sua mano fece ciò che i vampiri possono fare, cioè sembrò abbandonare il suo corpo nel buio e depositare il biglietto nella mia mano, e la scritta purpurea brillò immediatamente nella luce. E la figura, fuggendo all’insù come un gatto sul muro, svanì rapidamente fra i tetti delle soffitte.

«Sapevo d’essere rimasto solo ormai, lo sentivo. E il battito del mio cuore sembrò riempire la piccola strada vuota mentre leggevo il biglietto sotto il lampione. Conoscevo abbastanza bene l’indirizzo: più d’una volta ero stato a teatro in quella strada. Ma il nome era stupefacente: ‘Teatro dei Vampiri’ e l’ora erano le nove di sera.

«Lo girai e vidi la nota scritta a mano: ‘Portate con voi la piccola bellezza. Sarete i benvenuti. Armand’.

«Non c’era alcun dubbio che la figura che mi aveva dato questo messaggio l’aveva anche scritto. Mi rimaneva pochissimo tempo per ritornare all’albergo e raccontare a Claudia queste cose prima dell’alba. Correvo in fretta, tanto in fretta che anche la gente cui passai accanto nei boulevard non s’accorse dell’ombra che la sfiorò».


«Al Teatro dei Vampiri si entrava solo su invito, e la notte seguente il portiere controllò un istante il mio biglietto, intanto che la pioggia cadeva leggera intorno a noi: sull’uomo e sulla donna che si erano fermati davanti al botteghino chiuso; sui manifesti increspati che raffiguravano vampiri da romanzo dell’orrore con braccia e mantelli sollevati come ali di pipistrello, pronti a richiudersi sulle spalle nude d’una vittima mortale; sulla coppia che ci oltrepassò in fretta per entrare nel ridotto stipato di gente, dove mi accorsi immediatamente che tutta quella folla era composta di esseri umani, che fra loro non c’era neppure un vampiro, neppure il ragazzo che ci fece entrare infine nella ressa delle chiacchiere, della lana umida, delle dita guantate delle signore che armeggiavano sui cappelli dalle tese di feltro e tra i ricci bagnati. Mi affrettai verso l’ombra in preda a un’eccitazione febbrile. Avevamo anticipato il nostro pasto per far sì che per la strada del teatro la nostra pelle non fosse troppo bianca, o i nostri occhi troppo limpidi. E il sapore del sangue che non avevo goduto mi aveva lasciato estremamente inquieto; ma non avevo il tempo di badarci. Questa non era la notte per uccidere. Questa era la notte delle rivelazioni, poco importava come sarebbe andata a finire. Ne ero certo.

«Ma intanto eravamo in mezzo a questa folla troppo umana, quando le porte si aprirono sulla platea e un ragazzino aprì un varco tra la folla verso di noi, ci fece dei cenni e indicò le scale puntando il dito al di sopra delle spalle della gente. Ci avevano riservato un palco, uno dei migliori del teatro, e se il sangue non aveva smorzato completamente il candore della mia pelle né aveva fatto di Claudia una bambina umana, la maschera non sembrò affatto accorgersene o badarvi. Anzi, sorrise con eccessiva sollecitudine quando scostò la tenda e ci mostrò due poltrone davanti alla balaustra di ottone.

«‘Secondo te, possono avere degli schiavi umani?’ sussurrò Claudia.

«‘Lestat non si è mai fidato degli schiavi umani’ ribattei. Osservavo la gente che prendeva posto e i cappelli mirabilmente fioriti che navigavano sotto di me tra le poltrone di seta. Spalle bianche rilucevano nella curva profonda della balconata ai lati del nostro palco; i diamanti scintillavano nella luce a gas. ‘Ricorda, cerca di essere furbo per una volta’ mi sussurrò Claudia da sotto la testa bionda reclinata. ‘Sei troppo signore’.

«Le luci si spensero, prima nella balconata, poi lungo le pareti della platea. Un gruppo di musicisti si era raccolto nella fossa dell’orchestra sotto il palcoscenico, e ai piedi del lungo sipario di velluto verde il gas tremolò, poi ebbe un guizzo e il pubblico sembrò allontanarsi come in una nube grigia nella quale si distingueva soltanto lo sfavillio dei diamanti ai polsi, al collo, alle dita. E scese un brusio sommesso come quella nube grigia, finché tutti i rumori si raccolsero in un’eco persistente di tossicchiamenti. Poi il silenzio. E il lento, ritmico battito d’un tamburello. Vi si aggiunse la tenue melodia di un flauto di legno, che sembrava raccogliere i suoni acuti e metallici delle campane del tamburello e avvolgerli in una tormentosa melodia di timbro medievale. Poi il pizzicato di strumenti a corda che sottolineava il ritmo del tamburello. Il flauto, in una melodia malinconica, triste. Aveva fascino, questa musica, e tutto il pubblico sembrava quietato e unito da essa, quasi la musica di quel flauto fosse un nastro luminoso che si svolgeva lentamente nel buio. Neppure l’alzarsi del sipario ruppe il silenzio assoluto. Le luci divennero più forti, e il palcoscenico sembrava un luogo boscoso e fitto, dove la luce brillava sui tronchi irruviditi e sui folti ciuffi di foglie sotto un arco di tenebre; e attraverso gli alberi si scorgeva quella che sembrava la bassa sponda di pietra di un fiume; e sopra di questa, al di là, le acque scintillanti del fiume stesso; tutto questo mondo tridimensionale era riprodotto su un velo di seta dipinto che tremava appena, agitato da una lievissima corrente.

«Un leggero scroscio d’applausi salutò quell’effetto illusionistico, raccogliendo approvazioni da tutta la sala finché raggiunse un breve crescendo e si spense. Una figura scura, ammantata, si mosse sul palcoscenico da un tronco all’altro, tanto rapidamente che appena entrò nella luce sembrò apparire come per incanto al centro, con un braccio che balenava fuori dal mantello a mostrare una falce d’argento e l’altro che reggeva di fronte alla faccia invisibile una maschera in cima a un sottile bastone, una maschera che rappresentava il volto luccicante della Morte, un teschio dipinto.

«Gridolini soffocati si levarono dalla folla. Era la Morte che librava la falce davanti al pubblico, la Morte al margine del bosco oscuro. E qualcosa in me reagì come reagiva il pubblico, non con paura, ma in modo quasi umano, alla magia di quel fragile scenario dipinto, al mistero di quel mondo illuminato, quel mondo in cui quella figura si muoveva avanti e indietro nel suo mantello nero di fronte al pubblico con l’eleganza di una grande pantera, strappando gridolini, sospiri e riverenti sussurri.

«Ed ecco, dietro questa figura, la cui sola mimica sembrava avere un potere di seduzione pari al ritmo della musica alla quale si muoveva, apparvero altre figure dalle quinte. Per prima una vecchia, tutta curva, coi capelli grigi e un braccio abbassato dal peso d’un grande cesto di fiori. I suoi passi strascicati grattavano sul palcoscenico, e la testa le sobbalzava al ritmo della musica e dei passi guizzanti dal Feroce Mietitore. Come posò lo sguardo su di lui indietreggiò e, deponendo lentamente il cesto, giunse le mani in atto di preghiera. Era stanca; chinò la testa sulle mani, come per dormire, e poi protese le braccia verso di lui, in un atto di supplica. Ma lui le si avvicinò, e si chinò per guardarle il viso, nascosto al nostro sguardo dall’ombra dei capelli; poi balzò indietro, agitando la mano come per rinfrescare l’aria. Risa incerte si levarono dal pubblico. Ma quando la vecchia si alzò e si lanciò all’inseguimento della Morte, fu uno scroscio di risate.

«Di colpo la musica si trasformò in una giga che accompagnava la loro corsa, intanto che la vecchia inseguiva la Morte su e giù per il palcoscenico, finché la Morte si appiattì nel buio d’un tronco d’albero, il viso mascherato sotto l’ala come un uccello. La vecchia, sperduta, sconfitta, raccolse il suo canestro, mentre la musica si affievoliva e rallentava al passo con la sua andatura, e uscì lentamente di scena. Non m’era piaciuto. Non m’era piaciuta la risata. Vidi le altre figure entrare in scena, accompagnate nei loro gesti dalla musica: storpi sulle grucce e pezzenti dai cenci cinerei, tutti che cercavano di prendere la Morte. Ma la Morte piroettava vorticosamente, sfuggiva a questo inarcando improvvisamente la schiena, scappava da quell’altro con un gesto effeminato di disgusto, e alla fine faceva cenno a tutti di allontanarsi ostentando affettatamente la sua noia e la sua stanchezza.

Fu allora che mi accorsi che la languida mano bianca che faceva quei comici archi non era dipinta di bianco. Era una mano di vampiro che strappava le risate alla folla. Una mano di vampiro che, ora che il palcoscenico s’era svuotato, si levava davanti al teschio ghignante come per reprimere uno sbadiglio. Poi il vampiro, sempre con la maschera davanti al viso, simulò magistralmente d’appoggiarsi con tutto il peso contro un albero dipinto sulla seta, come se si stesse addormentando dolcemente. La musica cinguettò come un canto d’uccelli e s’increspò come l’acqua di uno stagno; il riflettore che lo racchiudeva in un cerchio di luce gialla si abbassò e quasi si spense come a concigliarli il sonno.

«E un altro riflettore perforò il velo, sembrò fonderlo completamente, per rivelare una giovane donna, sola in fondo al palcoscenico. Era maestosamente alta e quasi completamente racchiusa da una voluminosa chioma biondo oro. Sentii lo sgomento del pubblico quando lei cominciò a dibattersi nella luce del riflettore: sembrava perduta tra gli alberi. E difatti era perduta, non era un vampiro. Lo sporco sulla misera camicetta e sulla gonna non era trucco di scena, e nulla aveva toccato il suo viso perfetto, che ardeva ora nella luce, bello e finemente cesellato come il viso d’una Vergine di marmo, nell’aureola dei capelli. Non riusciva a vedere nella luce, mentre tutti potevano vedere lei. E il gemito che le sfuggì dalle labbra mentre così si dibatteva sembrava echeggiare il canto sottile e romantico del flauto, un tributo a tanta bellezza. La figura della Morte si svegliò di soprassalto nel pallido cerchio di luce, e si voltò a guardarla come la stava guardando il pubblico, alzando la mano libera in segno di tributo, di riverenza.

«Il cinguettio delle risa morì prima di nascere. La ragazza era troppo bella, i suoi occhi grigi troppo angosciati. La rappresentazione troppo perfetta. E poi la maschera col teschio fu gettata tra le quinte e la Morte rivelò al pubblico un viso splendente, si lisciò con mani frettolose i bei capelli neri, si sistemò il panciotto, si scrollò polvere immaginaria dai risvolti della giacca. La Morte innamorata. Un applauso accolse il volto luminoso, gli zigomi luccicanti, gli occhi neri ammiccanti, come se tutto fosse un’illusione magistrale, quando in realtà era semplicemente e sicuramente il volto di un vampiro, del vampiro che m’aveva avvicinato nel Quartiere latino, quel vampiro sogghignante, dallo sguardo maligno, crudemente illuminato dalla luce gialla del riflettore.

«La mia mano cercò nel buio quella di Claudia e la strinse forte. Ma lei restò immobile, come in estasi. La foresta della scena, attraverso la quale quella inerme fanciulla mortale guardava ciecamente in direzione delle risate, si divise in due metà allontanandosi dal centro, lasciando il vampiro libero d’avvicinarsi a lei.

«E lei, che si stava dirigendo verso le luci della ribalta, all’improvviso lo vide e si fermò, gemendo come una bambina. E in realtà aveva molto della bambina, anche se chiaramente era una donna fatta. Soltanto qualche lievissima ruga nella tenera carne attorno agli occhi denunciava la sua età. I seni, se pur piccoli, erano magnificamente modellati sotto la camicetta e i suoi fianchi, se pur stretti, davano alla lunga gonna polverosa un’elegante e sensuale angolosità. Quando indietreggiò alla vista del vampiro, vidi le lacrime brillare nei suoi occhi come vetro nel tremolio delle luci, e sentii il mio spirito contrarsi di paura per lei e di desiderio. La sua bellezza era struggente.

«Dietro di lei, numerosi teschi dipinti si stagliarono improvvisamente sullo sfondo nero; le figure che portavano le maschere erano invisibili nei loro abiti neri, a eccezione delle mani bianche che afferravano l’orlo d’un mantello, le pieghe d’una gonna. C’erano delle donne vampiro che s’avvicinavano insieme agli uomini alla vittima e ora tutti quanti, uno dopo l’altro, gettarono via le maschere in modo che cadessero ad arte in un mucchio; i bastoni che sembravano ossa, i teschi ghignanti nell’oscurità che li sovrastava. E là si fermarono, sette vampiri, di cui tre donne, le bianche braccia ben modellate splendevano sopra gli attillati corpetti neri dei loro abiti, e nei duri volti luminescenti spiccavano, sotto i riccioli neri, gli occhi scuri. Erano d’una bellezza superba, eppure incolore e fredda, paragonata a quei capelli d’oro scintillanti, a quella pelle rosata come un petalo. Sentivo il respiro del pubblico, la tensione, i sommessi sospiri. Era un vero spettacolo, quel cerchio di visi bianchi che s’avvicinavano sempre più, e quella figura principale, quella Morte Gentiluomo che ora si voltava verso il pubblico con le mani incrociate sul cuore, piegando la testa con aria nostalgica per suscitare la loro simpatia: non era irresistibile quella ragazza? Serpeggiò un mormorio di risa e sospiri.


«Ma fu lei a rompere il magico silenzio.

«‘Non voglio morire…’ sussurrò. La sua voce era come una campanella.

«‘Noi siamo la morte’ le rispose il vampiro; e tutt’intorno a lei si levò il sussurro: ‘Morte’. La donna si voltò, scuotendo i capelli come in una pioggia d’oro, ricca e viva sopra la polvere dei suoi poveri abiti. ‘Aiutatemi!’ gridò piano, quasi avesse paura persino d’alzare la voce. ‘Qualcuno…’ disse alla folla che non vedeva ma sapeva che ci doveva essere. Un risolino soffocato uscì dalle labbra di Claudia. La ragazza sul palcoscenico capiva solo vagamente dov’era e che cosa stava succedendo, ma sapeva infinitamente di più di tutti quegli spettatori che la guardavano a bocca aperta.

«‘Non voglio morire! Non voglio!’ La sua voce delicata si ruppe, i suoi occhi si fissarono sull’alto, maligno capo vampiro, quel diabolico farabutto che stava uscendo dal cerchio degli altri vampiri e andava verso di lei.

«‘Tutti muoiono’ le rispose lui. ‘Se c’è una cosa che avete in comune con gli altri mortali è la morte’. La sua mano racchiuse in un gesto l’orchestra, i volti lontani della balconata, i palchi.

«‘No’ protestò lei incredula. ‘Ho tanti anni davanti, tanti anni…’ La sua voce era leggera, melodiosa, pur nel dolore. La rendeva irresistibile, come il movimento del collo nudo e la mano che vi tremava accanto.

«‘Anni!’ ripeté il vampiro capo. ‘Come sapete di avere tutti questi anni? La Morte non ha alcun riguardo per l’età! Potrebbe esserci una malattia nel vostro corpo che vi divora da dentro, o fuori di qui un uomo che vi ucciderà solo per i vostri capelli biondi!’ La sua mano si protese a toccarli; la sua voce profonda, soprannaturale, vibrava ancora nell’aria. ‘C’è bisogno che vi dica cosa potrebbe riservarvi il destino?’

«‘Non m’importa… Non ho paura’ protestò lei. La sua voce flautata appariva così fragile dopo quella di lui. ‘Correrò questo rischio…’

«‘E se anche correste questo rischio e viveste, viveste per anni, quale sarebbe il vostro guadagno? L’aspetto ingobbito e sdentato della vecchiaia?’ E così dicendo le sollevò i capelli dietro la schiena, mettendole in mostra la pallida gola. Lentamente sfilò il legaccio dalle pieghe sciolte della camicetta. Il povero tessuto si aprì, le maniche le scivolarono dalle strette e rosee spalle; lei ne afferrò un lembo, ma il vampiro le agguantò i polsi, facendole mollare la presa con violenza. Il pubblico sospirò come un sol uomo, le donne dietro i binocoli da teatro, gli uomini protesi nelle poltrone. Vedevo il tessuto cadere, vedevo la pelle pallida, immacolata vibrare al battito del suo cuore, i piccoli capezzoli trattenere a stento la stoffa, il vampiro stringerle il polso destro al fianco, le lacrime rigarle le guance avvampate, i denti morderle la carne delle labbra. ‘Quanto è certo che questa carne è rosa, tanto è certo che diventerà grigia e rugosa con l’età’ dichiarò il vampiro.

«‘Lasciate ch’io viva, vi prego’ implorò lei, scostando il viso. ‘Non m’importa… Non m’importa!’

«‘Ma allora, perché vi dovrebbe importare di morire adesso? Se queste cose non vi spaventano… questi orrori?’

«La ragazza scosse la testa, confusa, giocata, disarmata. Sentivo la rabbia scorrermi nelle vene, forte come la passione. A capo chino, lei da sola portava l’intera responsabilità di difendere la vita, ed era ingiusto, mostruosamente ingiusto, che dovesse portare argomentazioni logiche per dimostrare qualcosa che era evidente, e sacro, e così splendidamente incarnato in lei. Ma il vampiro la fece ammutolire, fece apparire piccino, confuso, il suo irresistibile istinto. Sentivo che lei moriva dentro, s’indeboliva; e odiavo lui.

«La camicetta le scivolò fino alla vita. Un mormorio percorse la folla eccitata quando apparvero i piccoli seni rotondi. Ella cercò di liberare il polso, ma il vampiro non mollava.

«‘E anche se dovessimo lasciarvi andare… anche se il Feroce Mietitore avesse un cuore capace di resistere alla vostra bellezza… su chi dovrebbe riversare la sua passione? Qualcuno deve morire al vostro posto. Volete scegliere voi la persona? La persona che dovrà soffrire quello che voi state soffrendo adesso?’ Fece un gesto verso il pubblico. Sul viso di lei c’era uno sgomento terribile. ‘Avete una sorella… una madre… un bambino?’

«‘No… no…’ boccheggiò la ragazza, scuotendo la chioma.

«‘Sicuramente c’è qualcuno che può prendere il vostro posto, un amico? Scegliete!’

«‘Non posso. Non voglio…’ Si dibatteva nella salda stretta di lui. I vampiri intorno a lei la osservavano, immobili, coi visi che non tradivano alcuna emozione, come se quelle loro carni soprannaturali fossero maschere. ‘Non potete farlo?’ la tormentava quello. E io sapevo che se lei avesse detto che poteva, lui avrebbe risposto che era malvagia quanto lo era lui nel destinare qualcuno alla morte, che si meritava la sua sorte.

«‘La morte vi attende in ogni luogo’ sospirò ora come se improvvisamente si sentisse deluso. Il pubblico non se ne accorse, io sì. Io vidi indurirsi i muscoli del suo viso levigato. Cercava di costringerla a guardarlo negli occhi, ma lei distoglieva lo sguardo, disperatamente, anzi: speranzosamente. Nell’aria calda riuscivo a distinguere l’odore della polvere e il profumo della sua pelle, a sentire il tenue battito del suo cuore. ‘La morte incosciente… il destino di tutti i mortali’. Si chinò su di lei, assorto, infatuato, ma inquieto. ‘Mmmm… ma noi siamo la morte cosciente! Questo farà di voi una sposa. Sapete cosa significa essere amati dalla Morte?’ Le baciò quasi il viso, le tracce luccicanti delle lacrime. ‘Sapete cosa vuol dire che la Morte conosce il vostro nome?’

«Lei lo guardò, sopraffatta dalla paura. Poi i suoi occhi parvero annebbiarsi, la tensione delle labbra allentarsi. Il suo sguardo lo oltrepassava, fissandosi sulla figura d’un altro vampiro emerso lentamente dall’ombra. Questo era restato per molto tempo ai margini del gruppo, con le mani giunte, e i grandi occhi scuri immobili. Il suo atteggiamento non era famelico. Non sembrava estasiato. Ma lei lo stava guardando negli occhi e il dolore le dava una luce di bellezza che la rendeva irresistibilmente seducente. Era una terribile sofferenza che attanagliava il pubblico spossato. Mi sembrava di poter toccare la sua pelle, i suoi piccoli seni a punta, sentire le mie braccia che la carezzavano. Era ciò che sentiva tutta quella comunità di vampiri che le stava intorno. Non aveva speranza.

«Riaprii gli occhi e la vidi sfolgorare nella luce fumosa del palcoscenico, vidi le sue lacrime come oro, e dal vampiro in disparte giunsero leggere le parole: ‘Niente dolore’.

«L’altro vampiro, il farabutto, si irrigidì, ma nessuno se ne accorse. Vedevano solo il viso liscio, infantile della ragazza, quelle labbra dischiuse, aperte in innocente meraviglia mentre guardava il vampiro che aveva parlato, sentivano soltanto la sua voce ripetere piano: ‘Niente dolore?’

«‘La vostra bellezza è un dono per noi’. La sua voce calda riempì senza sforzo il teatro, sembrò fermare e mitigare la marea montante dell’eccitazione. E lievemente, quasi impercettibilmente, la sua mano si mosse.

«Il farabutto stava arretrando, diventando una di quelle facce bianche e pazienti in cui fame e sopportazione erano stranamente una cosa sola. E lentamente, con grazia, l’altro avanzò verso di lei. Lei era languida, dimentica della sua nudità, le palpebre le tremavano, un sospiro sfuggiva alle sue labbra umide. ‘Niente dolore’ ripeté enfaticamente. Mi riusciva insopportabile vedere come lo desiderava, vedere che stava per morire. Volevo gridare, rompere il suo deliquio. E la desideravo. Il vampiro le si avvicinava; le sciolse il legaccio della gonna e lei si piegò verso di lui, la testa all’indietro, e la stoffa nera le scivolava sui fianchi, sul luccichio dorato dei peli tra le gambe — una peluria infantile, riccia, delicata — e infine cadeva ai suoi piedi. Il vampiro aprì le braccia, la schiena rivolta alle luci tremolanti della ribalta, i capelli ramati che parevano tremare mentre l’oro dei capelli della fanciulla gli inondava la giacca nera. ‘Niente dolore… niente dolore…’ le sussurrava, e lei gli si abbandonava.

«Il vampiro la girò lentamente di lato, in modo che tutti potessero vedere il suo volto sereno, e la sollevò; la schiena della ragazza si inarcò e i seni nudi sfiorarono i bottoni della giacca di lui, le braccia gli circondano il collo. La ragazza s’irrigidì, gridò quando il vampiro affondò i denti, il suo viso era immobile nel teatro buio che riverberava di quella passione. La mano bianca brillò sulle natiche floride, sfiorata, carezzata dai capelli di lei. E quando il vampiro bevve, la sollevò completamente dal pavimento, appoggiando la cerea guancia a quella gola luccicante. Mi sentivo debole, stordito, la fame saliva in me, stringendomi il cuore, le vene. Sentivo la mia mano afferrare la sbarra d’ottone del palco, stringere la presa finché il metallo scricchiolò nelle giunture. E quel suono leggero, lacerante, che nessuno di quei mortali poteva udire, mi trattenne in qualche modo al luogo concreto in cui mi trovavo.

«Reclinai la testa; volevo chiudere gli occhi. L’aria odorava della sua pelle salata, vicina, calda, dolce. Gli altri vampiri si fecero avanti, la mano bianca che la teneva stretta tremò e il vampiro dai capelli di rame la lasciò andare, girandola, mettendola in mostra, consegnandola agli altri con la testa rovesciata all’indietro; e una delle donne vampiro, di straordinaria bellezza, la cullava, la carezzava e si chinava su di lei per bere. Ora le erano tutti intorno e se la passavano dall’uno all’altro, di fronte alla folla incantata, con la testa gettata sulle spalle di un vampiro maschio, la nuca allettante quanto le piccole natiche o la pelle immacolata delle lunghe cosce, o il tenero incavo delle ginocchia mollemente piegate.

«M’ero appoggiato allo schienale della poltrona, il sapore di lei mi riempiva la bocca e le mie vene pulsavano in tormento. Con la coda dell’occhio vidi il vampiro dai capelli di rame che l’aveva conquistata, in disparte, come prima, con gli occhi scuri che parevano stanarmi nel buio e fissarsi su di me sopra le correnti di aria calda.

«A uno a uno i vampiri si ritirarono. La foresta dipinta scivolò silenziosamente al suo posto. La ragazza mortale, delicata e bianchissima, giacque nuda in quella misteriosa foresta, sdraiata nella seta del nero catafalco come sul terreno della foresta; la musica aveva riattaccato, lugubre e allarmante, crescendo col calare delle luci. Tutti i vampiri se n’erano andati, salvo il farabutto, che aveva raccolto dal buio la sua falce e la sua maschera. Si accucciò accanto alla ragazza addormentata mentre le luci si affievolivano lentamente e solo la musica aveva ancora forza e vigore nel buio che li racchiudeva. E poi anch’essa morì.

«Per un istante, la folla restò in assoluto silenzio.

«Poi incominciarono gli applausi qua e là e di colpo tutti si unirono ai primi. Le luci si accesero nei palchi, le teste si girarono l’una verso l’altra, le chiacchiere si scatenarono ovunque. Una donna si alzò in mezzo a una fila afferrando bruscamente la pelliccia di volpe, anche se nessuno ancora si era mosso per farla passare; qualcun altro si spingeva in fretta verso il corridoio tra le file; poi tutti gli spettatori furono in piedi, come se qualcuno li spingesse verso le uscite.

«Ma poi il ronzio divenne il ronzio spensierato e stanco della folla sofisticata e profumata che aveva riempito il ridotto e la volta del teatro prima dello spettacolo. L’incanto era rotto. Le porte si spalancarono sulla pioggia odorosa, sul rumore degli zoccoli dei cavalli, sulle voci che chiamavano le vetture. Laggiù, in un mare di poltrone leggermente oblique, un guanto bianco brillava su un cuscino di seta verde.

«Rimasi fermo a guardare, ad ascoltare, proteggendo con una mano, da tutti e da nessuno, il viso abbassato; tenevo il gomito appoggiato alla balaustra, la passione in me diminuiva ma avevo ancora sulle labbra il sapore della ragazza. Era come se nell’odore della pioggia mi giungesse ancora il suo profumo e potessi udire nel teatro vuoto il battito violento del suo cuore. Trattenni il respiro e intravidi Claudia assolutamente immobile, con le mani guantate in grembo.

«Avevo un sapore amaro in bocca e confusione nella testa. Una maschera solitaria passò nel corridoio sotto di noi, raddrizzando le poltrone e raccattando i programmi caduti qua e là sul tappeto. Sapevo che quel malessere, quella confusione, quella passione accecante che non voleva abbandonarmi sarebbero svaniti se fossi corso giù in uno di quei passaggi a volta, tra le tende, se avessi trascinato velocemente la maschera nell’oscurità e l’avessi ucciso come era stata uccisa quella ragazza. Desideravo farlo, e non desideravo nulla. Claudia mi sussurrò all’orecchio: ‘Pazienza, Louis, pazienza’.

«Aprii gli occhi. C’era qualcuno vicino, alla periferia della mia visione; qualcuno che aveva giocato il mio udito, il mio potere di anticipare le sensazioni che penetrava come un’antenna aguzza persino in questa confusione, o almeno così credevo. Ma eccolo lì, muto, oltre le tende del palco, quel vampiro dai capelli ramati, quel vampiro distaccato, fermo sul tappeto della scala, che ci guardava. In quel momento il sospetto diventò certezza: era il vampiro che m’aveva dato il biglietto d’invito per il teatro. Armand.

«Mi avrebbe spaventato, se non fosse stato per la sua immobilità, per la sua espressione lontana, sognante. Sembrava che fosse in piedi contro quella parete da molto tempo e non accennò a cambiare posizione neanche quando lo guardammo e avanzammo verso di lui. Se non avesse assorbito così intensamente la mia attenzione, avrei provato sollievo notando che non si trattava del vampiro alto coi capelli neri; ma non ci pensai. I suoi occhi fissarono languidamente Claudia, senza curarsi affatto dell’abitudine umana di dissimulare lo sguardo fisso. Posai la mano sulla spalla di lei. ‘Vi cerchiamo da moltissimo tempo’ gli dissi, e intanto il mio cuore si calmava, come se la sua calma mi togliesse la trepidazione, l’affanno, come il mare toglie le cose dalla terra e le ingloba in sé. Emanava da lui una calma straordinaria che mi colpì enormemente. Eppure non riesco a descriverla e non ci riuscivo neanche allora. Avevo la netta sensazione che sapesse perfettamente cosa io stessi facendo, e la sua posa tranquilla e i suoi profondi occhi castani sembravano dire che non c’era alcuna utilità in quello che stavo pensando e, tantomeno, nelle parole che mi stavo sforzando di formulare in quel momento. Claudia non disse niente.

«Armand si scostò dalla parete e cominciò a scendere le scale, invitandoci a seguirlo con un cenno di benvenuto. I suoi gesti erano incredibilmente fluidi e veloci. I miei, al confronto, erano una caricatura dei gesti umani. Aprì una porta nella parete più in basso e ci fece entrare nelle stanze sotto il teatro; i suoi piedi sfioravano appena le scale di pietra mentre scendeva, e ci dava le spalle con completa fiducia.

«Entrammo in quella che sembrava una vasta sala da ballo sotterranea, ricavata da una cantina molto più antica del teatro che le stava sopra. Sopra di noi, la porta che aveva aperto si richiuse da sé e la luce svanì prima che potessi farmi una chiara idea della stanza. Udii il fruscio dei suoi abiti nel buio e poi la lieve esplosione d’un fiammifero. Il suo viso apparve come una grande fiamma al di sopra del fiammifero. Poi una figura si mosse nella luce accanto a lui, un giovane, che gli porgeva una candela. La vista del ragazzo mi riportò in una scossa il piacere tormentoso della donna nuda sul palcoscenico, del suo corpo prono, del sangue pulsante. Il ragazzo si voltò e mi guardò, in modo molto simile a quello del vampiro dai capelli ramati, che aveva acceso la candela e gli sussurrava: ‘Va’. La luce si diffuse fino alle pareti lontane; il vampiro teneva alta la candela e avanzava lungo il muro, facendoci segno di seguirlo.

«M’accorsi che un mondo di affreschi e di pitture murali dai colori profondi e vibranti ci circondava al di sopra della fiamma ondeggiante, e gradualmente ne divennero chiari anche il tema e il contenuto. Era il terribile ‘Trionfo della Morte’ di Bruègel, dipinto su scala così imponente che la moltitudine di orrende figure torreggiava sopra noi nel buio, gli scheletri spietati che traghettano il morto inerme in un fetido fossato o tirano un carretto di teschi umani, decapitano un cadavere disteso o appendono gli umani alle forche. Una campana suona a morto sopra l’inferno sconfinato di terra bruciata e fumante, verso cui avanzano grandi eserciti di uomini, in quella marcia orribile e dissennata dei soldati che vanno al massacro. Distolsi lo sguardo, ma il vampiro dai capelli di rame mi prese la mano e mi portò avanti, lungo la parete, finché vidi materializzarsi ‘La caduta degli angeli’, con i ribelli precipitati dalle altezze celestiali in un lurido caos di mostri banchettanti. Era così vivido, così perfetto, che rabbrividii. La mano che m’aveva toccato lo fece di nuovo, ma io restai immobile, guardando di proposito la parte alta dell’affresco, dove riuscii a distinguere nell’ombra due splendidi angeli con le trombe in bocca. E per un attimo l’incanto fu rotto. Provai la stessa forte sensazione della prima sera che entrai a Notre-Dame; ma subito svanì, come qualcosa d’impalpabile e prezioso che mi veniva strappato.

«La candela salì. E gli orrori salirono tutt’intorno a me: i dannati muti, passivi e abietti di Bosch, i cadaveri gonfi nelle bare di Traini, i mostruosi cavalieri di Dürer, e, ingrandita al di là di ogni sopportabile scala, una teoria di silografie, emblemi e incisioni medievali. Lo stesso soffitto si contorceva con gli scheletri e i morti in disfacimento, coi demoni e gli strumenti di tortura, come se fossimo nella cattedrale stessa della morte.

«Nel punto dove infine ci fermammo, al centro della stanza, la candela sembrava richiamare in vita le immagini tutt’intorno a noi. Il delirio mi minacciava, la stanza cominciò a oscillare ed ebbi l’impressione di cadere. Afferrai la mano di Claudia. Stava contemplando la stanza con viso assente; ricambiò il mio sguardo con occhi distaccati, come a dirmi di lasciarla in pace; poi i suoi piedi saettarono via da me, con un rapido ticchettio sul pavimento di pietra che echeggiò lungo le pareti, come dita che mi picchiettassero le tempie, il cranio. Mi strinsi il capo, fissando ammutolito il pavimento in cerca di riparo, come se, alzando gli occhi, fossi costretto a guardare un’orribile sofferenza che non volevo, non potevo sopportare. Poi vidi nuovamente il volto del vampiro fluttuare nella fiamma, gli occhi senza età orlati da ciglia scure. Le sue labbra erano sempre immobili, ma quando lo guardai sembrò sorridere, senza fare il benché minimo movimento. Lo scrutavo intensamente, convinto che si trattasse di un’illusione che avrei potuto penetrare con l’attenzione; e più lo osservavo, più sembrava sorridere e infine animarsi di un silenzioso mormorio, un borbottio, un canto. Era come il rumore di qualcosa che s’avvolgeva a spirale nel buio, come la carta da parati si arriccia al calore del fuoco o la vernice si scrosta dalla faccia d’una bambola che brucia. Provavo un bisogno pressante di toccarlo, di scuoterlo violentemente in modo che il suo viso immobile si muovesse, confessasse il suo canto sommesso; e a un tratto lo trovai stretto a me, con un braccio attorno al mio torace, le ciglia così vicine che le vedevo brillare sopra l’orbita incandescente dei suoi occhi, e il respiro delicato, insapore, contro la mia pelle. Era il delirio.

«Feci per allontanarmi, e tuttavia ero tanto attratto da lui che non mi muovevo affatto; il suo braccio mi stringeva saldamente, la candela ardeva vicino al mio occhio, tanto che ne sentivo il calore; tutta la mia fredda carne anelava a quel calore, ma invece agitai la mano per spegnerla; brancolai senza trovarla e vidi solo il suo viso radioso, come non avevo mai visto il viso di Lestat, bianco, senza un poro, muscoloso e maschio. L’altro vampiro. Tutti gli altri vampiri. Una processione infinita di rappresentanti della mia specie.

«Il momento finì.

«Mi ritrovai con la mano tesa a toccargli il viso. Lui mi stava distante, come se non mi fosse mai venuto vicino, e non faceva alcun tentativo per liberarsi della mia mano. Feci un passo indietro, vergognoso e stordito.

«Lontano, nella notte di Parigi, rintoccava una campana; i cerchi monotoni, dorati del suono penetravano nelle pareti e le travi sembravano portare giù nella terra quel suono come grandi canne d’organo. Di nuovo mi giunse quel sussurro, quel canto inarticolato. E attraverso l’oscurità vidi quel ragazzo mortale che mi stava osservando, sentii il caldo profumo della sua carne. La svelta mano del vampiro gli fece un cenno e quello venne verso di me, con uno sguardo impavido ed eccitante, mi si avvicinò al lume della candela e mi mise le braccia attorno al collo.

«Non avevo mai provato niente di simile, non avevo mai conosciuto il concedersi di un mortale cosciente. Ma prima che potessi respingerlo, vidi il livido bluastro sul suo tenero collo. Me lo stava offrendo. Si schiacciava con tutto il corpo contro di me e io sentivo il suo sesso duro e vigoroso sotto i vestiti premere contro la mia gamba. Un orrendo singulto mi sfuggì dalle labbra, ma lui chinò la testa accanto al mio viso, le labbra su quella che per lui doveva essere una cosa fredda e senza vita; affondai i denti nella sua pelle, irrigidendomi, quel sesso duro contro il mio corpo, e in un accesso di passione lo sollevai dal pavimento. Il suo cuore pulsante passava dentro di me, un’onda dopo l’altra, e io dondolavo con lui, senza peso, divorandolo, divorando la sua estasi, il suo piacere cosciente.

«Poi, debole e boccheggiante, lo vidi lontano da me; le mie braccia vuote, la mia bocca ancora inondata dal sapore del suo sangue. Era appoggiato al vampiro dai capelli ramati, gli circondava la vita col braccio e mi guardava con lo stesso sguardo pacifico del vampiro, ma i suoi occhi erano annebbiati e deboli per la perdita di vita. Ricordo che avanzai senza una parola, attirato da lui e apparentemente incapace di controllarmi; quello sguardo mi tormentava, quella vita cosciente mi provocava; doveva morire e non voleva morire; voleva vivere, capire, sopravvivere a quell’intimità! Mi voltai. La schiera dei vampiri si muoveva nell’ombra, le loro candele saettavano e svanivano nell’aria fresca; e sopra loro incombeva una massa di figure a inchiostro: il cadavere dormiente d’una donna devastato da un avvoltoio dal viso umano; un uomo nudo legato mani e piedi a un albero, accanto a lui il torso di un altro uomo le cui braccia mozzate erano legate a un altro ramo, e trafitta su una lancia la testa di questo morto con gli occhi sbarrati.

«Ritornava quel canto, quel canto sottile, etereo. Lentamente il desiderio si placava in me, obbediente, ma la mia testa pulsava violentemente e le fiamme delle candele sembravano confluire in cerchi bruniti di luce. Qualcuno mi toccò, mi spinse, tanto che persi quasi l’equilibrio, e quando mi rimisi dritto, vidi la faccia magra, angolosa del vampiro che disprezzavo. Allungò le sue mani bianche su di me, ma l’altro, quello lontano, si fece subito avanti e si mise in mezzo. Mi parve di vederlo muoversi, colpire l’altro vampiro, e al tempo stesso mi parve che rimanesse immobile; entrambi erano fermi come statue, si fissavano l’un l’altro, e il tempo scorreva, onda dopo onda, come la risacca su una spiaggia tranquilla. Non so dire quanto restammo, tutti e tre, in quelle ombre, e come mi paressero assolutamente immobili; solo le fiamme scintillanti dietro di me sembravano vive. Poi ricordo che avanzai oscillando lungo la parete e trovai una grande poltrona di quercia nella quale crollai. Mi sembrava che Claudia fosse vicina e che parlasse con qualcuno sottovoce ma in un tono dolce. La mia fronte formicolava di sangue, di calore.

«‘Venite con me’ disse il vampiro dai capelli ramati. Esploravo il suo viso alla ricerca del movimento delle labbra che doveva aver preceduto il suono, ma era passato irrimediabilmente troppo tempo. Poi scendemmo, tutti e tre, per una lunga scala di pietra che s’inabissava ancor più sotto la città; Claudia ci precedeva e la sua ombra si proiettava lunga contro la parete. L’aria era fresca e frizzante per la fragranza dell’acqua e vedevo le goccioline che stillavano dalle pietre come perline d’oro alla luce della candela del vampiro.

«Entrammo in una piccola camera; un fuoco ardeva in un profondo camino nel muro di pietra. All’altro estremo c’era un letto incassato nella roccia e chiuso da due cancelletti di ottone. Appena entrato vidi distintamente queste cose, come la lunga parete di libri dall’altra parte della stanza, di fronte al camino, lo scrittoio di legno, e la bara sull’altro lato; ma poi la stanza cominciò a oscillare e il vampiro dai capelli ramati mi posò le mani sulle spalle e mi guidò verso una poltrona di pelle. Il fuoco scottava contro la mia gamba, ma era una sensazione gradevole, chiara e precisa, qualcosa che poteva farmi uscire da quella confusione. M’appoggiai allo schienale della poltrona con gli occhi semichiusi e cercai di vedere di nuovo quello che mi stava intorno. Quel letto lontano era come un palcoscenico e sui cuscini di lino era sdraiato quel ragazzo; i capelli neri con la scriminatura in mezzo gli si arricciavano attorno agli orecchi e lo facevano somigliare, con quel suo aspetto sognante, febbricitante, a una di quelle flessuose e androgine creature del Botticelli; accoccolata vicino a lui, con la manina bianca contro la carne rosea, stava Claudia, il viso sepolto nel suo collo. Il vampiro dai capelli ramati stava a osservare, con le dita intrecciate, e quando Claudia si alzò, il ragazzo rabbrividì. Il vampiro la sollevò delicatamente, come avrei potuto fare io, e Claudia si reggeva al suo collo, gli occhi socchiusi e le labbra arrossate dal sangue. Lui la fece sedere garbatamente sullo scrittoio e lei si appoggiò ai libri rilegati in pelle, lasciando cadere graziosamente le mani sul vestito color lavanda. Il ragazzo seppellì il viso nei cuscini e si addormentò.

«C’era qualcosa che mi disturbava in quella stanza, ma non sapevo che cosa. A dir la verità non sapevo che cosa non andava in me, sapevo solo d’esser stato tirato fuori a forza, da me stesso o da qualcun altro, da due stati d’animo violenti, consumanti: un rapimento in quei dipinti atroci, e l’uccisione, alla quale mi ero abbandonato, oscenamente, sotto gli occhi di altri.

«Non sapevo che cosa mi minacciava in quel momento, da che cosa la mia mente cercava di fuggire. Continuavo a guardare Claudia, come stava appoggiata ai libri, come stava seduta tra gli oggetti della scrivania: il teschio bianco levigato, il candeliere, il libro aperto di pergamena il cui testo dipinto a mano brillava nella luce; poi sopra di lei misi a fuoco un dipinto smaltato con un diavolo medievale, cornuto e ungulato, che incombeva con la sua sagoma bestiale sopra una congrega di streghe adoranti. La testa di Claudia era proprio sotto, le ciocche ricciolute dei suoi capelli lo sfioravano; e guardava gli occhi castani del vampiro con occhi spalancati e stupiti. Volevo portarla via, quando, all’improvviso, in un’orribile allucinazione della mia immaginazione esaltata, la vidi cadere giù come una bambola. Tornai a guardare il diavolo: quella faccia mostruosa era preferibile alla vista di Claudia nella sua lugubre immobilità.

«‘Non sveglierete il ragazzo se parlate’ disse il vampiro dagli occhi marroni. ‘Venite da così lontano, viaggiate da tanto tempo!’ E pian piano la mia confusione diminuì, come un fumo che sale e viene portato via da una corrente di aria fresca. Ora ero sveglio e molto calmo, e lo guardavo seduto nella poltrona di fronte. Anche Claudia lo fissava; lui ricambiava i nostri sguardi; il suo viso liscio e i suoi occhi pacifici avevano lo stesso aspetto di sempre, come se non avesse subito alcun cambiamento.

«‘II mio nome è Armand’ continuò. ‘Ho mandato Santiago a portarvi l’invito. Conosco i vostri nomi. Siate i benvenuti in casa mia’.

«Raccolsi le mie forze per parlare, ma la voce suonò strana ai miei stessi orecchi quando gli dissi che avevamo temuto di essere soli.

«‘Ma voi come siete diventati vampiri?’ domandò lui. La mano di Claudia si alzò impercettibilmente dal grembo; i suoi occhi si spostavano meccanicamente dal suo viso al mio. Lo notai e capii che anche lui doveva averlo notato, ma non lo mostrò in alcun modo. Capii subito che cosa voleva dirmi Claudia. ‘Non volete rispondere’ osservò Armand, con una voce bassa e ancora più misurata di quella di Claudia, molto meno umana della mia. Mi sentii scivolare di nuovo nella contemplazione di quella voce e di quegli occhi, alla quale dovetti sottraimi con grande sforzo.

«‘Siete il capo di questo gruppo?’ gli chiesi.

«‘Non capo come si intende di solito’ rispose. ‘Ma se ci fosse un capo, quello sarei io’.

«‘Non sono venuto… vorrete perdonarmi… per parlare di come sono diventato vampiro. Perché questo per me non è un mistero, non presenta alcun interrogativo. Perciò, se voi non avete un potere al quale io sia tenuto a rendere omaggio, non desidero parlare di queste cose’.

«‘Se vi avessi detto che avevo un tale potere, voi l’avreste rispettato?’ mi domandò.

«Vorrei saper descrivere il suo modo di parlare, come ogni volta sembrava uscire da uno stato di contemplazione molto simile a quello in cui io mi sentivo trasportare, quello stato da cui riuscii a staccarmi solo dopo molto tempo; eppure lui non si muoveva mai, e pareva costantemente vigile. Ciò mi rendeva perplesso, e allo stesso tempo ne ero potentemente attratto, come ero attratto da quella stanza, dalla sua semplicità, da quella ricca, calda combinazione di cose indispensabili: i libri, lo scrittoio, le due poltrone accanto al fuoco, la bara, i quadri. Il lusso delle nostre camere all’albergo appariva volgare, ma soprattutto inutile, al confronto di questa stanza. Ne capivo ogni cosa a eccezione del ragazzo mortale, che non afferravo affatto.

«‘Non ne sono sicuro’ gli riposi, incapace di togliere gli occhi da quell’orrido Satana medievale. ‘Dovrei sapere da cosa… da chi deriva. Se dai vampiri… o da qualche altra parte’.

«‘Qualche altra parte…’ ripeté. ‘Che significa qualche altra parte?’

«‘Quello!’ Additai il quadro medievale.

«‘Quello è un quadro’.

«‘Nient’altro?’

«‘Nient’altro’.

«‘Allora Satana… non è un potere satanico che da potere a voi, come capo o come vampiro?’

«‘No’ rispose con calma, con tanta calma che mi era impossibile sapere che cosa pensasse delle mie domande, ammesso che ne pensasse qualcosa.

«‘E agli altri vampiri?’

«‘No’.

«‘Allora noi non siamo…’ mi misi a sedere ‘…i figli di Satana?’

«‘Come potremmo essere i figli di Satana?’ domandò. ‘Credi che sia stato Satana a creare questo mondo?’

«‘No, credo che l’abbia creato Dio, se qualcuno l’ha creato. Ma deve aver creato anche Satana, e io voglio sapere se noi siamo i suoi figli!’

«‘Esattamente, e, se credi che Dio abbia creato Satana, devi renderti conto che tutti i poteri di Satana provengono da Dio, che Satana è solo il figlio di Dio, e che noi pure siamo figli di Dio. Non ci sono figli di Satana’.

«Non riuscii a mascherare la mia reazione. Mi abbandonai contro lo schienale della poltrona, a contemplare la piccola incisione del diavolo, liberato per un momento da qualunque senso di obbligo verso la presenza di Armand, perduto nei miei pensieri, nelle innegabili implicazioni della sua semplice logica.

«‘Ma perché la cosa ti preoccupa? Sicuramente ciò che ti dico non ti sorprende’ disse. ‘Perché ti fai affliggere?’

«‘Lasciate che vi spieghi’ incominciai. ‘So che siete un maestro. Vi rispetto. Ma io non sono capace del vostro distacco. So che cos’è, e non lo possiedo e dubito che lo possiederò mai. È una cosa che ho imparato ad accettare’.

«‘Capisco’ fece cenno col capo. ‘Ti ho visto in teatro, la tua sofferenza, la tua compassione per quella ragazza. Ho visto la tua pena per Denis quando te l’ho offerto: tu muori quando uccidi, come se sentissi che meriti di morire, e non ti risparmi nulla. Ma perché, con questa passione e questo senso della giustizia, vuoi chiamarti figlio di Satana?’

«‘Io sono malvagio, malvagio come qualunque altro vampiro mai esistito! Ho ucciso mille e mille volte e lo farò ancora. Ho assalito quel ragazzo, quando me l’avete offerto, sebbene non sapessi se sarebbe sopravvissuto o no’.

«‘Perché questo ti renderebbe malvagio come qualsiasi altro vampiro? Non vi sono dei gradi del male? Il male è un grande abisso, in cui si cade col primo peccato, precipitando verso il fondo?’

«‘Sì, credo di sì’ gli risposi. ‘Non è logico, come voi lo vorreste far sembrare. Ma è questo buio, questo vuoto. E non c’è consolazione’.

«‘Ma tu non sei giusto’ osservò, e la sua voce ebbe per la prima volta un barlume di espressione. ‘Sicuramente tu attribuisci gradi e notevoli variazioni alla bontà. C’è la bontà del bambino che è innocenza, e la bontà del monaco che ha lasciato ogni cosa agli altri e vive una vita di sacrificio al servizio di Dio. La bontà dei santi, la bontà delle buone massaie. Sono tutte uguali?’

«‘No. Ma tutte ugualmente e infinitamente diverse dal male’.

«Non sapevo di pensare queste cose. Le dicevo come mi venivano in mente. E i miei sentimenti più riposti assumevano una forma che non avrebbero mai preso se non li avessi espressi parlando con un altro. Pensai allora di avere una mente passiva, in un certo senso. Voglio dire che la mia mente riusciva a formulare pensieri dalla confusione del desiderio e del dolore solo quando era toccata, fertilizzata da un’altra. In quel momento provavo una sensazione rarissima, acutissima, di sollievo dalla solitudine. Vedevo e soffrivo quel momento di tanti anni prima, di un altro secolo, in cui mi ero fermato ai piedi della scala di Babette; percepivo la perpetua, fredda frustrazione degli anni con Lestat; e poi l’affetto appassionato, predestinato, per Claudia, che aveva nascosto la solitudine dietro il morbido appagamento dei sensi, gli stessi sensi che mi facevano desiderare di uccidere. E vedevo la cima desolata della montagna dell’Europa orientale dove avevo affrontato e ucciso quel vampiro senza cervello nelle rovine del monastero. Era come se il lato femminile della mia mente venisse svegliato di nuovo per essere soddisfatto. E lo sentivo malgrado le mie stesse parole: ‘Ma è questo buio, questo vuoto. E non c’è consolazione’.

«Guardai Armand, i suoi grandi occhi marroni in quel viso liscio, senza tempo, che mi osservavano come da un quadro; e provai quella sensazione di lento movimento del mondo fisico che avevo provato nella sala da ballo affrescata, il richiamo del mio vecchio delirio, il destarsi di un bisogno così terribile che la stessa promessa del suo appagamento conteneva l’intollerabile possibilità della delusione. E tuttavia rimaneva la questione, terrificante, antica, implacabile del male.

«Credo di essermi portato le mani alla testa come fanno i mortali quando sono profondamente angosciati, come se potessero penetrare dentro il cranio e massaggiare l’organo vivente fino a liberarlo dal suo tormento.

«‘E come si giunge a questo male?’ domandò lui. ‘Come accade che uno perda la grazia e diventi in un istante malvagio quanto il tribunale del popolo della Rivoluzione o il più crudele degli imperatori romani? Basta che uno manchi alla messa domenicale o morda l’ostia della Comunione? O che rubi una pagnotta… o dorma con la moglie del vicino?’

«‘No…’ Scossi la testa. ‘No’.

«‘Ma se il male non conosce gradi, e questa condizione di malvagità esiste, allora basta un solo peccato. Non è questo che stai dicendo? Che Dio esiste e…’

«‘Non so se Dio esiste’ lo interruppi. ‘E per quanto ne so io… non esiste’.

«‘Allora nessun peccato ha importanza’ concluse Armand. ‘Nessun peccato consegue il male’.

«‘Questo non è vero. Perché se Dio non esiste noi siamo le creature che hanno il più alto grado di coscienza di tutto l’universo. Solo noi comprendiamo il passare del tempo e il valore di ogni minuto della vita umana. E ciò che costituisce il male, il vero male, è la soppressione di una sola vita umana. Che un uomo debba comunque morire domani o il giorno dopo o alla fine… non ha importanza, perché se Dio non esiste, questa vita… ogni secondo di essa… è tutto ciò che abbiamo’.

«Armand si abbandonò sulla sedia, come se per il momento avesse finito, socchiudendo i grandi occhi e poi fissando le profondità del fuoco. Era la prima volta, da quando era venuto a cercarmi, che distoglieva lo sguardo da me e io mi trovavo a osservarlo senza essere osservato. Rimase in quella posizione per molto tempo, e io riuscivo quasi a percepire i suoi pensieri, quasi palpabili nell’aria come fumo; non leggerli, capisci, ma sentirne fìsicamente il potere. Armand sembrava possedere un’aura e sebbene il suo viso fosse molto giovane, il che, come sapevo, non significava niente, appariva infinitamente vecchio e saggio. Non saprei descriverlo, non saprei spiegare come le linee giovanili del suo volto e i suoi occhi esprimessero contemporaneamente innocenza ed esperienza.

«Infine si alzò e guardò Claudia, le mani mollemente intrecciate dietro la schiena. Il silenzio di Claudia per tutto quel tempo mi era perfettamente comprensibile. Quelli non erano i suoi problemi, tuttavia era affascinata da lui, lo aspettava e senza dubbio aveva bevuto le sue parole per tutto il tempo che aveva parlato. Ma ora che si fissavano capii qualcosa d’altro: Armand si era alzato in piedi con una padronanza totale del suo corpo, completamente scevra delle abitudini dei gesti umani, gesti radicati nella necessità, nella ritualità, nella fluttuazione della mente; e la sua immobilità ora era ultraterrena. E Claudia, cosa che non avevo mai notato, possedeva la stessa immobilità. Si guardavano in un’intesa soprannaturale dalla quale io ero semplicemente escluso.

«Per loro io ero qualcosa che turbinava e vibrava, come per me i mortali. E seppi, quando Armand si voltò verso di me, che aveva ormai capito che Claudia non credeva o non condivideva il mio concetto di male.

«Il suo discorso cominciò senza il minimo preavviso. ‘Questo è il solo vero male che resta’ mormorò rivolto alle fiamme.

«‘Sì’ risposi, sentendo tornare quell’argomento che tutto consuma, che cancella ogni altra preoccupazione, com’era sempre stato per me.

«‘È vero’ disse lui, sconvolgendomi, facendomi precipitare ancora di più nella tristezza, nella disperazione.

«‘Allora Dio non esiste… voi non avete alcuna nozione della sua esistenza?’

«‘Nessuna’.

«‘Non ne sapete nulla!’ esclamai, senza vergognarmi della mia semplicità, di quel mio miserabile dolore umano.

«‘Nulla’.

«‘E nessuno di questi vampiri comunica con Dio o col diavolo!’

«‘Nessuno dei vampiri che io ho conosciuto’ confermò, con aria meditabonda, con le fiamme che gli danzavano negli occhi. ‘E a quanto ne so oggi, dopo quattrocento anni, io sono il più vecchio vampiro vivente al mondo’.

«Lo fissai, attonito.

«Poi cominciai a comprendere. Era proprio come avevo sempre temuto: la stessa solitudine, la stessa condizione senza speranza. Tutto sarebbe andato avanti come prima, sempre, sempre. La mia ricerca era finita. Mi abbandonai sulla sedia e osservai indifferente le fiamme guizzanti.

«Era inutile farlo proseguire, inutile viaggiare per il mondo solo per sentire ancora la stessa storia. ‘Quattrocento anni’ — credo di aver ripetuto quelle parole — ‘quattrocento anni’. Ricordo di essere rimasto a fissare il fuoco. C’era un ceppo che cadeva molto lentamente nelle fiamme, veniva trasportato verso il basso in un processo che sarebbe durato tutta la notte, ed era butterato da tanti minuscoli fori dove una sostanza di cui era imbevuto era bruciata velocemente, e in ciascuno di questi minuscoli buchi danzava una fiammella in mezzo alle fiamme più grandi; e tutte queste minuscole fiammelle con le loro bocche nere sembravano visi che intonavano un coro; e il coro cantava senza voce. Non ne aveva alcun bisogno: in un unico respiro nel fuoco ininterrotto cantava la sua canzone silenziosa.

«Tutt’a un tratto Armand venne avanti, in un fruscio di abiti, un insieme di ombra e di luce crepitanti che lo lasciarono inginocchiato ai miei piedi, le mani tese che mi stringevano la testa e gli occhi ardenti.

«‘Questo male, questo concetto, viene dalla delusione, dall’amarezza! Non capisci? Figli di Satana! Figlio di Dio! È questa la sola domanda che mi porti, è questo il solo potere che ti ossessiona, tanto che devi farci demoni o dèi, quando il solo potere che esiste è in noi stessi? Come potevi credere a queste vecchie, fantastiche menzogne, a questi miti, a questi simboli del soprannaturale?’ Strappò il diavolo sopra al volto immobile di Claudia con una tale rapidità che non riuscii a vedere quel gesto, solo il demonio che mi saettava davanti col suo ghigno beffardo e poi crepitava nelle fiamme.

«Qualcosa si spezzò dentro di me quando disse queste cose; uno squarcio si aprì e un torrente di sentimenti si rovesciò in tutte le mie membra. Mi tirai in piedi e arretrai di fronte a lui.

«‘Siete pazzo?’ domandai, stupito della mia ira, della mia disperazione. ‘Noi siamo qui, tutti e due, immortali, senza età, ci alziamo ogni notte per alimentare quell’immortalità col sangue umano; e là, sul vostro scrittoio, contro il sapere dei secoli, siede una meravigliosa bambina, diabolica quanto noi; e voi mi chiedete come faccio a credere di poter trovare un significato nel soprannaturale! Vi assicuro che dopo aver visto quel che sono diventato potrei credere a qualsiasi cosa! Voi no? E così credendo, così confuso, posso anche accettare la verità più fantastica di tutte: che nessuna di queste cose ha un senso!’

«Arretrai fino alla porta, lontano dal suo viso allibito, dalla sua mano sospesa davanti alle labbra, dalle dita che si curvavano fino a piantarsi nel palmo. ‘No! Torna indietro…’ mormorò.

«‘No, non ora. Lasciatemi andare. Solo per un po’… lasciatemi andare… Niente è cambiato; è tutto uguale. Lasciatemi il tempo di comprendere… lasciatemi andare’.

«Mi voltai e diedi un’occhiata prima di chiudere la porta. Claudia mi guardava, anche se era ancora seduta come prima, con le mani giunte sulle ginocchia. Poi fece un gesto, vago, come il suo sorriso, velato da un’ombra di tristezza, a significare che dovevo andare via.

«Volevo fuggire lontano dal teatro, ritrovare le strade di Parigi e vagare, lasciando che quell’enorme cumulo di emozioni violente si consumasse pian piano. Ma, brancolando lungo il corridoio di pietra del sotterraneo più basso, fui colto dal turbamento. Forse ero incapace di esercitare la mia volontà. Mi sembrava più che mai assurdo che Lestat fosse morto, se poi lo era davvero; ripensando a lui come, a quanto pare, facevo sempre, lo vedevo con più benevolenza. Perduto come tutti noi. Non il geloso difensore di una conoscenza che temeva di dividere con gli altri. Non sapeva niente. Non c’era niente da sapere.

«Ma non era l’unico pensiero che si stava pian piano facendo strada dentro di me. L’avevo odiato per motivi completamente sbagliati, era vero. Ma ancora non l’avevo capito del tutto. In quello stato di confusione, mi ritrovai infine seduto su quei gradini bui; la luce che veniva dalla sala da ballo proiettava la mia ombra sullo scabro pavimento; mi tenevo la testa tra le mani, sopraffatto da una specie di sfinimento. La mia mente mi diceva: ‘Dormi’. Ma più in profondità, mi stava dicendo: ‘Sogna’. E tuttavia non facevo niente per ritornare all’albergo Saint-Gabriel, che in quel momento mi sembrava un luogo molto sicuro e arioso, un luogo di sottile e lussuosa consolazione mortale, dove avrei potuto abbandonarmi in una poltrona di velluto rossiccio, appoggiare un piede sull’ottomana e osservare il fuoco lambire le piastrelle di marmo, cercando tutto il mondo e me stesso nei lunghi specchi come un uomo pensieroso. ‘Fuggi da questo’ pensavo, ‘fuggì da tutto quello che ti attrae’. E di nuovo mi ossessionò quel pensiero: avevo trattato ingiustamente Lestat, l’avevo odiato per motivi sbagliati. Sussurravo queste parole, cercando di ritirare questo pensiero dalla pozza buia, inarticolata della mia mente, e il mio sussurro produsse un suono stridulo sotto la volta di pietra delle scale.

«Ma poi una voce giunse a me per l’aria, bassa, troppo fievole per i mortali: ‘Com’è questa storia? Com’è che l’hai trattato ingiustamente?’

«Mi voltai così bruscamente che mi mancò il respiro. Un vampiro sedeva vicino a me, così vicino da sfiorarmi quasi la spalla con la punta dello stivale, con le gambe piegate contro il corpo e le mani sulle caviglie. Per un attimo pensai che i miei occhi mi ingannassero. Era il vampiro farabutto, quello che Armand aveva chiamato Santiago.

«Ma nulla nei suoi modi indicava che fosse la stessa persona di prima, quella persona malvagia, odiosa che avevo visto solo poche ore prima, quando m’aveva aggredito e Armand l’aveva colpito. Mi fissava al di sopra delle sue gambe piegate, coi capelli scompigliati, la bocca aperta, senza malizia.

«‘Non cambia niente per nessuno’ gli risposi, mentre la paura dentro di me scemava.

«‘Ma avete fatto un nome; vi ho sentito pronunciare un nome’ insistette.

«‘Un nome che non ho intenzione di ripetere’ gli dissi, distogliendo lo sguardo da lui. Ora capivo come m’aveva giocato, perché la sua ombra non cadeva sulla mia: si era acquattato nella mia ombra. Vederlo scivolare giù per le scale di pietra e sedersi dietro a me mi disturbava un po’. Ogni cosa in lui mi dava fastidio e ricordai a me stesso che non dovevo fidarmi di lui. Mi sembrava che Armand, col suo potere ipnotico, tendesse al massimo della verità nel presentare se stesso: mi aveva tirato fuori, senza parole, ‘1 mio stato d’animo. Ma questo vampiro era un bugiardo. E io ne sentivo il potere, un potere grezzo, violento, quasi forte come quello di Armand.

«‘Venite a Parigi in cerca di noi, e poi ve ne state seduto da solo sulle scale…’ disse in tono conciliante. ‘Perché non salite, non parlate con noi e ci raccontate di quella persona di cui avete fatto il nome: io so chi era, conosco il suo nome’.

«‘Voi non sapete, non potete sapere. Era un mortale’ obiettai, più per istinto che per convinzione. Il pensiero di Lestat mi disturbava, il pensiero che questa creatura venisse a sapere della sua morte.

«‘Siete venuto qui per riflettere sui mortali, sulla giustizia resa ai mortali?’ mi domandò; ma non c’era rimprovero né scherno nella sua voce.

«‘Sono venuto qui per stare da solo, senza offesa. È la verità’ mormorai.

«‘Tutto solo, con questo stato d’animo, che non vi permette neppure di sentire i miei passi… mi piacete. Voglio che veniate di sopra’. E detto questo, mi fece lentamente alzare in piedi.

«In quel momento la porta della cella di Armand gettò una lunga luce nel corridoio. Lo sentii arrivare, e Santiago mi lasciò andare. Rimasi fermo, perplesso. Armand apparve ai piedi delle scale, tenendo Claudia in braccio. Questa aveva la stessa espressione piatta sul volto che aveva avuto per tutto il tempo della mia conversazione con Armand. Era come se fosse profondamente assorta nelle sue riflessioni e non vedesse nulla intorno a sé; ricordo di averlo notato, ma di non aver saputo neanche allora che cosa pensarne. La presi rapidamente dalle braccia di Armand e sentii le sue morbide membra contro di me, come se fossimo tutti e due nella bara, abbandonati a un sonno simile alla paralisi.

«E poi, con un colpo potente del braccio, Armand spinse via Santiago. Mi parve che questi cadesse all’indietro e si rialzasse solo per farsi trascinare in cima alle scale da Armand; tutto questo accadde così velocemente che riuscii solo ad avere la visione sfocata dei loro abiti e a udire lo scalpiccio dei loro stivali. Poi Armand restò solo e io salii verso di lui.

«‘Non potete lasciare il teatro stanotte senza rischio’ mi sussurrò. ‘Sospetta di voi. E per il fatto che vi ho portato qui, crede che sia suo diritto conoscervi meglio. La nostra sicurezza dipende da questo’. Mi guidò lentamente nella sala da ballo. Ma poi si voltò verso di me e mi appoggiò quasi le labbra sull’orecchio: ‘Debbo mettervi in guardia. Non rispondete a nessuna domanda. Chiedete e aprirete un bocciolo di verità per voi stesso. Ma non concedete nulla, nulla, specialmente sulle vostre origini’.

«Si allontanò da noi e ci fece cenno di seguirlo nell’oscurità dove si raccoglievano gli altri, raggruppati come remote statue di marmo, in tutto simili a noi nel volto e nelle mani. Ebbi allora la sensazione nettissima di come fossimo fatti tutti della stessa materia, un pensiero che mi si era presentato solo occasionalmente in tutti i lunghi anni di New Orleans; e mi turbava, soprattutto quando vidi gli altri riflessi nei lunghi specchi che spezzavano la densità di quegli orridi dipinti murali.

«Quando trovai una poltrona di quercia intagliata e mi ci accomodai, Claudia sembrò svegliarsi. Si chinò su di me e disse qualcosa di stranamente incoerente, che sembrava volermi invitare a fare come aveva detto Armand: non rivelare niente sulle nostre origini. Volevo parlare con lei, ma vedevo Santiago che ci osservava, muovendo lentamente gli occhi da noi a Armand. Molte vampire si erano raccolte intorno ad Armand e io provai un tumulto di sensazioni vedendole cingergli la vita con le braccia. E quello che mi sgomentava non erano le loro forme squisite, le mani aggraziate e i lineamenti delicati resi duri come il vetro dalla natura di vampiro, o i loro occhi ammalianti che ora si posavano su di me in un improvviso silenzio; quello che mi spaventava era la mia feroce gelosia. Ebbi paura quando le vidi così vicine a lui, paura quando lui si voltò e le baciò una per una. E quando le portò vicino a me mi sentii insicuro e confuso.

«Estelle e Celeste sono i nomi che ricordo, bellezze di porcellana, che coccolavano Claudia fino all’eccesso, facevano scorrere le mani sui suoi capelli radiosi, le toccavano persino le labbra, e lei, con occhi sempre annebbiati e distanti, tollerava tutto questo, sapendo quello che anch’io sapevo e che invece le vampire sembravano incapaci di afferrare: che una mente di donna, penetrante e chiara quanto la loro, abitava quel piccolo corpo. Questo mi fece pensare, intanto che Claudia si girava per mostrarsi a loro, sollevando la gonna color lavanda e sorridendo freddamente alla loro adorazione, quante volte dovevo essermene dimenticato, quante volte dovevo averle parlato come se fosse una bambina, averla carezzata con eccessiva libertà, averla presa tra le braccia con l’abbandono di un adulto. La mia mente prese tre direzioni: quell’ultima notte all’albergo Saint-Gabriel, che mi sembrava lontana anni e anni, quando Claudia aveva parlato dell’amore con rancore; il mio sconvolgimento di fronte alle rivelazioni di Armand; e la quieta, profonda osservazione dei vampiri intorno a me, che mormoravano nel buio sotto quei grotteschi dipinti murali. Perché potevo apprendere molte cose da loro senza fare neppure una domanda e la loro vita parigina era proprio come avevo temuto che fosse, tutto ciò che aveva indicato il piccolo palcoscenico del teatro sopra di noi.

«In quella casa la penombra era d’obbligo, i dipinti erano estremamente apprezzati, accresciuti quasi ogni notte da un vampiro che portava una nuova incisione o un nuovo quadro di un artista contemporaneo. Celeste, posando la sua mano fredda sul mio braccio, parlava con disprezzo degli uomini come di coloro che avevano creato quei dipinti ed Estelle, che teneva Claudia in grembo, faceva notare a me, all’ingenuo coloniale, che non erano stati i vampiri a fare quegli orrori ma li avevano solo collezionati, insistendo continuamente sul fatto che gli uomini erano capaci di una malvagità di molto superiore a quella dei vampiri.

«‘Perché, c’è del male nel dipingere questi quadri?’ domandò Claudia a voce bassa, con quel suo tono inespressivo.

«Celeste buttò indietro i riccioli neri e rise. ‘Quello che si può immaginare si può fare’ rispose prontamente, ma i suoi occhi riflettevano una certa ostilità trattenuta. ‘Naturalmente, noi ci sforziamo di eguagliare gli uomini in omicidi di ogni specie, non è vero?’ Si chinò in avanti e toccò il ginocchio di Claudia. Ma Claudia si limitò a osservarla ridere nervosamente. Santiago si avvicinò per parlare delle nostre stanze al Saint-Gabriel. ‘Terribilmente rischioso’ disse, con un gesto esagerato e teatrale delle mani. E rivelò una conoscenza stupefacente di quelle stanze. Conosceva la cassa in cui dormivamo; la trovava volgare. ‘Venite qui!’ mi disse con quella semplicità quasi infantile che aveva rivelato sulle scale. ‘Venite a vivere con noi e non avrete più bisogno di mascherarvi così. Abbiamo le nostre guardie. E ditemi, di dove siete?’ chiese inginocchiandosi, posando la mano sul bracciolo della mia poltrona. ‘La vostra voce, conosco quell’accento; parlate ancora’.

«Ero vagamente orripilato al pensiero che il mio francese avesse un accento, ma non era la mia preoccupazione più immediata. Il suo carattere deciso e sfacciatamente possessivo mi rimandava un’immagine di quella possessività che cresceva dentro di me di attimo in attimo. Frattanto, i vampiri intorno a noi continuavano a conversare; Estelle spiegava che il nero era il colore per gli abiti dei vampiri, che il grazioso vestito color pastello di Claudia era bello ma insipido. ‘Noi ci confondiamo con la notte’ disse. ‘Brilliamo di un bagliore funereo’. Poi, abbassandosi fino ad avvicinare la guancia a quella di Claudia, rise per addolcire la critica; e Celeste rise, e Santiago rise, e l’intera stanza si rianimò di quelle risa ultraterrene, squillanti, voci soprannaturali che echeggiavano contro le pareti dipinte, increspando le deboli fiamme delle candele. ‘Ah, certo però che nascondere simili boccoli…’ disse Celeste, giocando coi capelli d’oro di Claudia. E io capii quello che avrebbe dovuto essere evidente: che si erano tutti tinti i capelli di nero, eccetto Armand; era questo, unito ai vestiti neri, che aumentava quell’impressione fastidiosa che fossimo tutte statue create dallo stesso scalpello e dallo stesso pennello. Non potrei mai esagerare nel descrivere quanto fui turbato da quell’impressione. Mi sembrava che smuovesse qualcosa nelle profondità del mio animo, qualcosa che non riuscivo ad afferrare completamente.

«Mi trovai a vagare lontano da loro verso uno di quegli specchi stretti e a osservarli al di sopra della mia spalla. Claudia in mezzo a loro brillava come un gioiello; e altrettanto avrebbe fatto quel ragazzo mortale che dormiva di sotto. Mi stavo rendendo conto di trovarli terribilmente noiosi: noia, noia ovunque guardassi; quei loro occhi scintillanti di vampiri erano monotoni, quel loro spirito piatto come una campana di ottone.

«Soltanto la conoscenza di cui avevo bisogno mi distraeva da questi pensieri. ‘I vampiri dell’Europa orientale…’ diceva Claudia. ‘Creature mostruose, cos’hanno a che vedere con noi?’

«‘Revenants’ rispose a voce bassa Armand dalla distanza che li separava, facendo leva su quei perfetti orecchi soprannaturali perché sentissero ciò che era più flebile di un sussurro. Il silenzio calò sulla stanza. ‘Il loro sangue è diverso, vile. Essi si moltiplicano come noi ma senza intelligenza o discernimento. Nei tempi antichi…’ Si fermò bruscamente. Vidi il suo viso nello specchio. Era stranamente rigido.

«‘Oh, sì, raccontaci dei tempi antichi’ supplicò Celeste con voce stridula, di intensità umana. C’era qualcosa di perverso nel suo tono di voce.

«Santiago insistette nello stesso tono lusinghiero. ‘Sì, parlaci delle congreghe delle streghe e delle erbe che ci rendevano invisibili’. Sorrise. ‘E dei roghi!’

«Armand fissò Claudia. ‘Guardatevi da quei mostri’ disse, e il suo sguardo si spostò, in modo calcolato, su Santiago e poi su Celeste. ‘Quei revenants. Vi assaliranno come se foste degli umani’.

«Celeste rabbrividì, pronunciando qualche parola di disprezzo, un’aristocratica che parla dei cugini volgari che portano lo stesso nome. Ma io stavo osservando Claudia, perché mi sembrava che i suoi occhi fossero di nuovo annebbiati come prima. Improvvisamente distolse lo sguardo da Armand.

«Nuovamente si levarono le voci degli altri, voci affettate da ricevimento, che si raccontavano le uccisioni della serata, descrivevano i loro incontri senza l’ombra di emozione, si abbandonavano a incitamenti alla crudeltà che erompevano come lampi di luce bianca: qualcuno aveva avvicinato un vampiro alto e magro in un angolo e gli rimproverava la sua inutile visione romantica della vita mortale, la sua mancanza di coraggio, il suo rifiuto a fare la cosa più divertente quando ne aveva l’occasione. Lui era semplice, si stringeva nelle spalle, non trovava facilmente le parole, cadeva per lunghi periodi in uno stordito silenzio, come se, ubriaco di sangue, preferisse ritirarsi nella bara che rimanere lì. E invece rimaneva, trattenuto dall’insistenza di questo gruppo mostruoso che aveva fatto dell’immortalità un club di conformisti. Che cosa ne avrebbe pensato Lestat? C’era stato? Che cosa l’aveva spinto a partire? Nessuno aveva comandato Lestat, era stato il padrone del suo piccolo ambiente; ma come avrebbero lodato la sua inventiva, quell’abilità felina di giocare con le sue vittime. E lo spreco… quella parola, quel valore ch’era stato importantissimo per me al tempo in cui ero un vampiro in erba, quella parola veniva pronunciata spesso. Hai ‘sprecato’ l’occasione di uccidere un bambino. Hai ‘sprecato’ l’occasione di spaventare una povera donna o di fare impazzire un uomo, cosa per cui sarebbe bastato soltanto un po’ di prestidigitazione.

«La testa mi girava. Un comune mal di testa mortale. Desideravo ardentemente allontanarmi da quei vampiri, e solo la lontana figura di Armand mi tratteneva, nonostante i suoi avvertimenti. Sembrava completamente distaccato dagli altri, sebbene annuisse spesso e pronunciasse qualche parola, tanto da mostrare di prender parte alla conversazione, e occasionalmente la sua mano si levava dalla zampa di leone della poltrona. Mi si allargò il cuore vedendo che nessun altro coglieva il suo sguardo come lo coglievo io e lo tratteneva di tanto in tanto come lo trattenevo io. Eppure lui mi stava lontano; solo i suoi occhi ritornavano a me. Il suo ammonimento mi echeggiava nelle orecchie, ma non me ne curavo. Volevo più che mai andare via da quel teatro e invece restavo lì svogliato, a raccogliere informazioni che si rivelavano sterili e profondamente tediose.

«‘Ma non c’è nessun delitto presso di voi, nessun delitto cardinale?’ domandò Claudia. I suoi occhi violetti sembravano fissi su di me, persino nello specchio, quando le davo le spalle.

«‘Delitto! Noia!’ gridò Estelle, e puntò un bianco dito verso Armand. Lui rise piano insieme a lei dalla sua lontana posizione in fondo alla stanza. ‘La noia è la morte!’ strillò Estelle, e snudò i denti da vampiro, così che Armand si mise una languida mano sulla fronte in un gesto teatrale di paura e di caduta.

«Ma Santiago, che stava osservando con le mani dietro la schiena, intervenne. ‘Delitto! Sì, c’è un delitto. Un delitto per il quale perseguiteremmo un altro vampiro fino a distruggerlo. Non indovinate di cosa si tratta?’ Lanciò un’occhiata a Claudia, poi a me e poi di nuovo all’immobile viso di lei. ‘Dovreste saperlo, voi che non volete parlare del vampiro che vi ha fatti’.

«‘E perché?’ domandò Claudia. I suoi occhi si allargarono impercettibilmente.

«Il silenzio calò sulla stanza, gradualmente, poi completamente; tutte quelle facce bianche erano girate verso Santiago che, con un piede in avanti e le mani dietro la schiena, incombeva su Claudia. I suoi occhi scintillarono debolmente quando si accorse di essere al centro dell’attenzione. Poi si mosse e scivolò dietro di me, posandomi una mano sulla spalla. ‘Riuscite a indovinare cos’è questo delitto? Non ve l’ha detto il vostro maestro?’

«Mi guidò lentamente in giro con quelle mani invadenti e familiari e intanto mi picchiettava leggermente sul cuore a tempo col suo passo sempre più veloce.

«‘È il delitto che significa morte per qualunque vampiro, dovunque lo commetta. Uccidere qualcuno della nostra specie!’

«‘Aaaah!’ gridò Claudia, scoppiando in una risata. Attraversò la stanza con passi veloci e risonanti, in un turbinio di seta color lavanda. Mi prese la mano e disse: ‘Avevo paura che fosse essere nati come Venere dalla schiuma del mare, com’è successo a noi! Maestro! Vieni, Louis, andiamo!’ e mi trascinò via.

«Armand rideva. Santiago era immobile. Fu Armand ad alzarsi quando guadagnammo la porta. ‘Sarò felice se verrete domani sera’ disse. ‘E la sera dopo’.»


, «Credo di non aver ripreso fiato finché non fui sulla strada. Cadeva ancora la pioggia e la strada era fradicia e desolata, ma bella. Qualche pezzo di carta volava nel vento, una carrozza luccicante passava lentamente accompagnata dal rumore denso e ritmico degli zoccoli dei cavalli. Il cielo era viola pallido. Correvo; Claudia faceva strada, accanto a me, poi, vinta dalla lunghezza della mia falcata, mi venne in braccio.

«‘Non mi piacciono’ dichiarò con furia gelida, quando fummo vicini all’albergo Saint-Gabriel. Anche in quell’immenso atrio illuminato era calata la quiete dell’ora che precede l’alba. Scivolai come un’ombra oltre gli impiegati assonnati. ‘Li ho cercati per tutto il mondo, e li disprezzo!’ Claudia gettò via il mantello e andò nel centro della stanza. Una raffica di pioggia colpì le porte-finestre. Mi trovai ad accendere le luci una per una e ad alzare il candelabro verso le fiamme del gas come se fossi stato Lestat o Claudia. Poi, cercando la poltrona di velluto rossiccio che mi era apparsa in quel sotterraneo, mi ci sprofondai, esausto. Mi sembrò, per un attimo, che la stanza ardesse intorno a me; quando i miei occhi si fissarono su un quadro in una cornice dorata con alberi color pastello e acque serene, l’incantesimo dei vampiri si ruppe. Qui loro non potevano toccarci, e tuttavia io sapevo che era solo una stupida illusione.

«‘Sono in pericolo, in pericolo!’ esclamò Claudia con ira repressa.

«‘Ma come possono sapere che cosa gli abbiamo fatto? E comunque, siamo in pericolo! Per un istante hai potuto pensare che io non voglia riconoscere la mia colpa! E se fossi anche solo tu…’ Si avvicinò a me e feci per toccarla, ma il suo sguardo altero si posò su di me e le mie mani ricaddero inerti. ‘Crédi che ti lascerei nel pericolo?’

«Sorrideva. Per un attimo non credetti ai miei occhi. ‘No, non lo faresti, Louis. Non lo faresti. Il pericolo ti unisce a me…’

«‘L’amore mi unisce a te’ mormorai.

«‘Amore?’ ripeté meditabonda. ‘Cosa intendi per amore?’ E poi, quasi riuscisse a vedere il dolore sul mio viso, mi venne vicino e mi posò le mani sulla guancia. Era fredda e insoddisfatta quanto me, stimolata da quel ragazzo mortale ma insoddisfatta.

«‘Che tu possa sempre contare sul mio amore…’ le risposi, ‘…e che siamo uniti…’ Ma nel momento in cui pronunciavo queste parole sentii vacillare la mia antica convinzione, e provai lo stesso strazio di quella notte in cui m’aveva tormentato coi suoi dubbi sulle passioni mortali. Mi voltai.

«‘Mi abbandoneresti per Armand se lui ti invitasse…’

«‘Mai…’ la interruppi.

«‘Tu mi lasceresti, e lui ti vuole quanto tu lo vuoi. Ti aspettava…’

«‘Mai…’ Mi alzai e mi incamminai verso la camera. Le porte erano chiuse a chiave, ma non sarebbero riuscite a tenere lontano quei vampiri. Solo noi potevamo tenerli lontani alzandoci appena la luce ce l’avesse permesso. Mi voltai e le dissi di avvicinarsi. E lei venne al mio fianco. Avevo voglia di nascondere il viso nei suoi capelli e di chiederle scusa. Perché, in verità, aveva ragione; eppure io l’amavo, l’amavo come sempre. E quando fu nella cassa accanto a me, disse: ‘Sai che cos’era che continuava a dirmi senza mai pronunciare una parola? Che cos’era il nocciolo della trance nella quale mi ha fatto cadere, tanto che i miei occhi non riuscivano a guardarlo, attraendomi come se il mio cuore fosse legato a un filo?’

«‘Anche tu lo sentivi…’ sussurrai. Trovavi le mie stesse emozioni…’

«‘Mi rendeva impotente!’ esclamò. Rividi l’immagine di quando era appoggiata a quei libri sopra lo scrittoio, il collo inerte, le mani senza vita.

«‘Ma che stai dicendo? Che t’ha detto, che…’

«‘Senza parole!’ ripeté. Vedevo le luci a gas affievolirsi, le fiamme delle candele resistere nella loro immobilità. La pioggia batteva sui vetri. ‘Sai che diceva… che devo morire!’ sussurrò. ‘Che devo lasciarti andare’.

«Scossi la testa, ma nel mio cuore mostruoso sentii levarsi un’ondata di eccitazione. Diceva la verità, quella che credeva fosse la verità. C’era un velo sui suoi occhi, vitreo e argento. ‘Mi toglie la vita e se ne appropria’ disse, e le labbra le tremavano violentemente, una vista che non potevo sopportare. La strinsi forte, ma i suoi occhi erano pieni di lacrime. ‘Toglie la vita a quel ragazzo che è suo schiavo, e a me, che vorrebbe fare sua schiava. Lui ti ama. Ti ama. Ti vuole e vuole togliermi di mezzo’.

«‘Tu non lo capisci!’ mi opposi, baciandola. Volevo sommergerla di baci, sulle guance, sulle labbra.

«‘No, lo capisco fin troppo bene’ sussurrò alle mie labbra che baciavano le sue. ‘Sei tu che non lo capisci. L’amore ti ha reso cieco, il fascino della sua conoscenza, del suo potere. Se tu sapessi come beve morte, l’odieresti più di quanto tu abbia mai odiato Lestat. Louis, non devi tornare mai più da lui. Credimi, sono in pericolo!’


«La notte seguente la lasciai presto, convinto che ci si potesse fidare soltanto di Armand tra tutti i vampiri del teatro. Lei mi lasciò andare riluttante e io ero profondamente turbato dall’espressione dei suoi occhi. La debolezza le era sconosciuta, ma notai in lei paura e abbattimento quando mi lasciò andare. M’affrettai al mio appuntamento, aspettando fuori del teatro finché l’ultimo degli avventori se ne fu andato e i portieri cominciavano a chiudere le porte.

«Non sapevo esattamente che cosa pensavano che fossi. Un attore come gli altri, che non s’era tolto il trucco? Non aveva importanza. Mi bastava che mi facessero entrare. Passai accanto a loro e ad alcuni vampiri nella sala da ballo senza venire avvicinato da nessuno, e finalmente arrivai davanti alla porta aperta di Armand. Mi vide immediatamente, senz’altro aveva sentito i miei passi da lontano; mi diede il benvenuto e mi invitò a sedere. Era occupato col suo ragazzo umano, che stava cenando con carne e pesce su un piatto d’argento. Vicino a lui c’era una caraffa di vino bianco, e malgrado fosse debole e febbricitante per la notte precedente, la sua pelle era florida e il suo calore e il suo profumo erano per me un vero tormento. Ma non per Armand, a quanto sembrava, che era seduto in una poltrona di pelle accanto al fuoco, dall’altra parte della stanza, rivolto verso l’umano, con le braccia incrociate sul bracciolo di pelle. Il ragazzo si riempì il bicchiere e lo sollevò in segno di saluto. ‘Mio padrone’ disse, e mi rivolse un’occhiata sorridente; ma il brindisi era per Armand.

«‘Tuo schiavo’ sussurrò Armand, tirando un profondo respiro appassionato. E osservava il ragazzo bere a grandi sorsi. Lo vedevo assaporare le labbra bagnate, la carne della gola mossa dal vino che scendeva. Poi il ragazzo prese un boccone di carne bianca, ripetendo lo stesso gesto di saluto, e lo mangiò lentamente, con lo sguardo fisso su Armand. Era come se Armand si pascesse di quel banchetto, bevendo quella parte di vita alla quale non poteva più partecipare tranne che con gli occhi. E sebbene vi apparisse completamente immerso, tutto era calcolato; non come la tortura che avevo provato anni prima fuori dalla finestra di Babette, consumato dalla nostalgia della vita umana.

«Quando il ragazzo ebbe finito, s’inginocchiò con le braccia attorno al collo di Armand, come se gustasse veramente quella gelida carne. Mi venne in mente la notte in cui Lestat venne da me la prima volta: come sembravano bruciare i suoi occhi, come sembrava brillare il suo viso bianco.

«Il banchetto era finito. Il ragazzo doveva dormire e Armand chiuse i cancelli di ottone su di lui. Poco dopo, appesantito dal cibo, si appisolò, e Armand sedeva di fronte a me, coi suoi grandi, splendidi occhi sereni e apparentemente innocenti. Quando sentii che mi trascinavano verso di lui, abbassai lo sguardo sperando che vi fosse del fuoco nel caminetto, ma c’erano solo ceneri.

«‘M’avete detto di non dire nulla delle mie origini. Perché?’ gli domandai, alzando lo sguardo su di lui. Era come se percepisse la mia reticenza, eppure non era offeso, solo mi guardava con leggero stupore. Ma io ero debole, troppo debole per sostenere quello stupore, e abbassai di nuovo lo sguardo.

«‘Avete ucciso il vampiro che vi ha fatto? È per questo che siete qui senza di lui e che rifiutate di fare il suo nome? Santiago è convinto di sì’.

«‘E se fosse vero, o se non riuscissimo a convincervi del contrario, cerchereste di distruggerci?’ domandai.

«‘Non cercherei di farvi niente’ rispose calmo. ‘Ma ti ho già detto che qui io non sono il capo nel senso che intendi tu’.

«‘Però quelli credono che voi siate il capo, vero? E mi avete protetto due volte da Santiago’.

«‘Sono più potente di Santiago, più vecchio. Santiago è più giovane di te’ disse con semplicità, senz’ombra d’orgoglio nella voce. Questi erano i fatti.

«‘Noi non vogliamo avere alcun contrasto con voi’.

«‘Ce l’avete già’ rispose. ‘Non con me, però. Con quelli di sopra’.

«‘Ma che motivo ha Santiago di sospettare di noi?’

«Sembrò riflettere, lo sguardo abbassato, il mento appoggiato al pugno chiuso. Dopo un momento, che mi parve interminabile, mi guardò. ‘Potrei darvi delle ragioni’ incominciò. ‘Siete troppo silenziosi. I vampiri del vecchio mondo sono pochi, vivono nel terrore dei conflitti interni e scelgono con cura i loro nuovi accoliti, sincerandosi che portino grandissimo rispetto agli altri vampiri. Ci sono quindici vampiri in questa casa, e questo numero è rigorosamente protetto. I vampiri deboli sono temuti; devo dire anche questo. È chiaro che per loro qualcosa in te non funziona: sei troppo sensibile, pensi troppo. Anche per te, mi hai detto, il distacco dei vampiri non ha molto valore. E poi c’è quella bambina misteriosa: una bimba che non potrà mai crescere, che non diventerà mai autosufficiente. Io non farei mai un vampiro di quel ragazzo, non ora, se la sua vita, che mi sta così a cuore, fosse in grave pericolo; perché è troppo giovane, le sue membra non sono abbastanza forti, la sua vita mortale si sta appena schiudendo: e tu porti appresso questa bimba! Che specie di vampiro l’ha creata, domandano; sei stato tu? E così, capisci, vi portate dietro queste imperfezioni e questo mistero eppure non spiegate nulla. Quindi non possono fidarsi di voi. E Santiago sta cercando un pretesto. Ma c’è un’altra ragione, più vicina alla verità di tutto quello che ho detto finora. Quando hai visto Santiago per la prima volta nel Quartiere latino… disgraziatamente… gli hai dato del buffone’.

«‘Aaaaah!’ M’appoggiai allo schienale della poltrona.

«‘Quella volta decisamente avresti fatto meglio a star zitto!’ Sorrise, e vide che avevo afferrato quanto lui l’ironia della cosa.

«Riflette! su quanto aveva detto; mi sentivo pesare addosso anche quegli strani ammonimenti di Claudia, questo giovane dallo sguardo gentile le aveva detto: ‘Muori’ e inoltre il disgusto, che andava lentamente accumulandosi in me per quei vampiri nella sala da ballo di sopra.

«Provai un tremendo desiderio di parlargli di queste cose. Della paura di Claudia no, non ancora, sebbene non potessi credere, guardandolo negli occhi, che avrebbe cercato di esercitare questo potere su di lei; i suoi occhi dicevano: ‘Vivi’. E dicevano: ‘Conosci’. Sentivo l’impulso di confidargli la vastità di ciò che non avevo capito; quanto fossi meravigliato, dopo aver cercato tutti questi anni, di scoprire che quei vampiri lassù avevano fatto dell’immortalità un’associazione fondata sui capricci mondani e su un conformismo di bassa lega. E tuttavia, in mezzo a questa tristezza, a questa confusione, mi si formulò chiaramente il pensiero: Perché dovrebbe essere altrimenti? Che mi aspettavo? Che diritto avevo avuto di essere tanto deluso da Lestat da lasciare che morisse? Perché non mi aveva rivelato quello che dovevo trovare in me stesso? Che cosa aveva detto Armand? // solo potere che esiste è dentro di noi…

«‘Ascoltami’ disse ora. ‘Devi stare lontano da loro. Il tuo viso non nasconde nulla. Ti arrendesti a me, ora, se dovessi interrogarti. Guardami negli occhi’.

«Non gli obbedii. Fissai il mio sguardo saldamente su uno dei quadretti sopra la sua scrivania finché cessò di essere la Madonna col Bambino e divenne un’armonia di linee e di colori. Perché sapevo che quello che mi diceva era vero.

«‘Fermateli, se volete, fategli capire che non intendiamo far loro alcun male. Perché non potete farlo? Voi stesso dite che non siamo vostri nemici, qualunque cosa abbiamo fatto…’

«Lo udii sospirare debolmente. ‘Per il momento li ho fermati’ disse. ‘Ma non voglio avere su di loro il potere necessario per fermarli completamente. Perché se esercitassi un tale potere, poi dovrei difenderlo. Mi farei dei nemici. E mi toccherebbe averci a che fare per sempre, quando invece tutto ciò che desidero qui è un po’ di spazio, un po’ di pace. O non esserci affatto. Accetto questa sorta di scettro che mi hanno dato, non per governarli, ma per tenerli a distanza’.

«‘Avrei dovuto immaginarlo’ osservai, fissando sempre lo sguardo su quel quadro.

«‘Quindi dovete stare lontani. Celeste ha molto potere, perché è uno dei vampiri più vecchi, ed è gelosa della bellezza della bimba. E Santiago, come avrete notato, sta solo aspettando di trovare uno straccio di prova che dimostri che siete dei fuorilegge’.

«Mi voltai lentamente e lo guardai di nuovo; stava seduto con quella soprannaturale immobilità dei vampiri, come se non fosse affatto vivo. Il silenzio si prolungava. Le sue parole mi tornarono in mente proprio come se le stesse ripetendo: ‘Tutto ciò che desidero qui è un po’ di spazio, un po’ di pace. O non esserci affatto’. Provai per lui un desiderio così forte che mi ci volle tutta la mia forza per frenarlo, per restare seduto a contemplarlo. Questo era quel che desideravo: Claudia al sicuro in mezzo a questi vampiri, in qualche modo; non colpevole di alcun crimine che potessero mai scoprire da lei o da chiunque altro, e io libero, libero di rimanere per sempre in questa cella finché vi fossi gradito o perlomeno tollerato, finché m’avessero permesso di starci, a qualunque condizione.

«Vedevo di nuovo quel ragazzo, non addormentato sul letto, ma in ginocchio, accanto ad Armand, con le braccia intorno al suo collo. Per me era il ritratto dell’amore. L’amore che provavo. Non l’amore fisico, devi capire. Non parlo affatto di quello, anche se Armand era bello, e nessuna intimità con lui avrebbe mai potuto essere ripugnante. Per i vampiri, l’amore fisico culmina e trova soddisfazione in una cosa sola: uccidere. Parlo d’un altro tipo d’amore, che mi trascinava completamente verso di lui, verso il maestro che Lestat non era mai stato. La conoscenza non mi sarebbe mai stata celata da Armand, lo sapevo. Sarebbe passata attraverso di lui come attraverso una lastra di vetro e io mi ci sarei potuto beare, avrei potuto assorbirla e crescere. Chiusi gli occhi. E credetti di sentirlo parlare, così debolmente che non ne ero certo. Mi pareva che dicesse: ‘Sai perché mi trovo qui?’

«Di nuovo lo guardai, chiedendomi se conoscesse i miei pensieri, se sapesse veramente leggerli, se era concepibile che il suo potere fosse tanto grande. Solo ora, dopo tutti quegli anni, sentivo di poter perdonare Lestat per essere stato solamente una creatura ordinaria, incapace di mostrarmi l’uso dei miei poteri. Tutto era pervaso di tristezza, tristezza per la mia debolezza e per il mio atroce dilemma. Claudia mi aspettava. Claudia, la mia bambina e il mio amore.

«‘Cosa debbo fare? Fuggire da loro, fuggire da voi? Dopo tutti questi anni…’

«‘Loro non contano per te’ rispose lui.

«Io sorrisi e annuii.

«‘Che cosa vorresti fare?’ domandò. E la sua voce assunse un tono gentilissimo, estremamente affettuoso.

«‘Non lo sapete? Non avete quel potere?’ domandai. ‘Non siete capace di leggermi i pensieri come fossero parole?’

«Egli scosse la testa. ‘Non nel senso in cui credi tu. Io so solo che il pericolo per te e per la bimba è reale perché è reale per te. E so che la tua solitudine, anche col suo amore, è quasi più tremenda di quanto puoi sopportare’.

«Mi alzai. Alzarsi, prendere la porta, percorrere velocemente il corridoio potrà sembrare una cosa semplice; e invece dovetti raccogliere ogni grammo della mia forza, ogni minima parte di quella strana cosa che ho chiamato il mio distacco.

«‘Vi chiedo di tenerli lontani da noi’ gli dissi sulla porta; ma non ce la facevo a voltarmi a guardarlo, non desideravo neppure la dolce intrusione della sua voce.

«‘Non andartene’.

«‘Non ho scelta’.

«Ero nel corridoio, quando lo udii così vicino a me che trasalii. Mi fu accanto e mi guardò dritto negli occhi; teneva in mano una chiave che fece scivolare nella mia.

«‘C’è una porta laggiù’ disse, indicando con un gesto l’estremità buia del corridoio, dove io avevo pensato che ci fosse solo un muro. ‘E delle scale che danno sulla strada laterale; nessuno le usa tranne me. Vai da questa parte: eviterai gli altri. Sei preoccupato e lo noterebbero’. Mi voltai per andare, malgrado ogni parte del mio essere desiderasse restare là. ‘Ma lascia che ti dica questo’ aggiunse, e premette leggermente il dorso della mano contro il mio cuore. ‘Usa il potere che hai dentro, non aborrirlo più! E quando ti vedranno nelle strade lassù, usa quel potere per fare del tuo viso una maschera e pensa, quando li guardi come guarderesti chiunque altro: in guardia! Prendi queste parole come un amuleto che ti ho donato perché lo porti al collo. E quando incontrerai gli occhi di Santiago, o gli occhi di qualsiasi altro vampiro, digli educatamente cosa vuoi, ma pensa a queste parole, e solo a queste. Ricordalo. Ti parlo con semplicità perché tu ami le cose semplici. Le capisci. Questa è la tua forza’.

«Accettai la chiave che mi diede, ma non ricordo di averla infilata nella serratura, d’aver salito le scale. Né dov’era lui e cosa fece. Tranne che, uscendo sulla buia strada laterale dietro al teatro, lo udii vicino a me, da qualche parte, che mi sussurrava: ‘Vieni a trovarmi, quando puoi’. Mi guardai intorno, ma non mi sorpresi di non riuscire a vederlo. A un certo momento, non so bene quando, m’aveva anche detto di non lasciare l’albergo Saint-Gabriel: non dovevo fornire agli altri quello straccio di prova di colpevolezza di cui erano in cerca. ‘Vedi’ mi disse, ‘uccidere altri vampiri è molto eccitante; è per questo che è proibito, pena la morte’.

«Poi mi parve di risvegliarmi. La strada di Parigi splendeva di pioggia, i palazzi alti e stretti mi sovrastavano da ambo i lati, la porta si era chiusa e dietro di me c’era solo una solida parete buia. Armand non c’era più.

«Sapevo che Claudia m’aspettava, le ero passato davanti, incorniciata nella finestra dell’albergo sopra le lampade a gas, una figurina in piedi tra fiori dai petali di cera, e tuttavia mi allontanai dal boulevard e mi lasciai inghiottire dalle strade più buie, come avevo fatto tante volte a New Orleans.

«Non era che non l’amassi; anzi, sapevo fin troppo bene che l’amavo, che la mia passione per lei era grande quanto quella per Armand. E ora fuggivo da entrambi, lasciando che il desiderio di uccidere salisse dentro di me come una febbre gradita, ottundendo la coscienza e il dolore.

«Emergendo dalla nebbia seguita alla pioggia, un uomo veniva verso di me. Mi ricordo di lui come d’un viandante in un paesaggio di sogno, perché la notte intorno a me era buia e irreale. La collina avrebbe potuto essere in qualunque parte del mondo e le morbide luci di Parigi erano un amorfo scintillio nella nebbia. Quell’uomo, ubriaco e dallo sguardo penetrante, camminava come cieco nelle braccia della morte stessa, protendendo le dita vibranti per toccarmi le ossa del viso.

«Io non ero ancora in preda alla frenesia, non ancora disperato. Avrei potuto dirgli: ‘Tirate dritto’. Credo che le mie labbra abbiano formato le parole che mi aveva suggerito Armand: ‘In guardia!’ Eppure lasciai che facesse scivolare le sue braccia audaci ed ebbre attorno alla mia vita; cedetti a quegli occhi adoranti, alla voce che mi pregava di posare per un ritratto e parlava di calore; all’odore carico, dolce, dei colori a olio che rigavano la sua molle camicia. Lo seguivo attraverso Montmartre e gli sussurravo: ‘Voi non siete un membro dei morti’. Mi condusse attraverso un giardino lussureggiante, attraverso l’erba dolce, bagnata, e rideva quando gli ripetevo: ‘Vivo! Vivo!’ La sua mano mi toccava la guancia, mi carezzava il viso, infine mi stringeva il mento guidandomi nella luce del basso atrio. Il suo viso arrossato riluceva illuminato sotto le lampade a petrolio e il calore si diffuse intorno a noi quando la porta si chiuse.

«Vidi le grandi orbite luccicanti dei suoi occhi, le piccole vene rosse che guizzavano verso le iridi scure, la mano calda che accendeva il mio freddo desiderio guidandomi verso una sedia. E tutt’intorno a me visi fiammeggianti, che salivano nel fumo delle lampade, nello scintillio della stufa accesa: un paese delle meraviglie di colori sulle tele ci circondava sotto il piccolo tetto spiovente, uno sfolgorio di bellezza che vibrava e pulsava. ‘Sedete, sedete…’ mi disse, appoggiandomi quelle mani febbrili sul petto; io gliele strinsi, ma scivolarono via, e il mio desiderio mi sommergeva come le onde del mare.

«E poi lo vidi distante, lo sguardo intento, la tavolozza in mano, l’enorme tela che oscurava il braccio in movimento. E io, incosciente e inerme nella mia sedia, andavo alla deriva coi suoi quadri, perdendomi in quegli occhi adoranti, abbandonandomi sempre di più finché gli occhi di Armand scomparvero e Claudia correva per quel corridoio di pietra, in un rumore di tacchi, lontano, lontano da me…

«‘Sei vivo’ sussurrai. ‘Ossa’ mi rispose. ‘Ossa…’ E le vidi in mucchi, prelevate dalle tombe poco profonde di New Orleans e riposte in camere dietro il sepolcro perché un altro potesse venir sepolto in quello stretto pezzo di terra. Sentii che mi si chiudevano gli occhi, che il mio desiderio diventava spasimo, il mio cuore chiedeva un altro cuore vivente; e poi sentii il pittore muoversi in avanti, drizzarmi il viso con le mani — quel passo, quel barcollamento fatale. Un sospiro mi sfuggì dalle labbra. ‘Mettiti in salvo’ gli sussurrai. ‘Stai in guardia’.

«E poi nel fulgore umido del suo viso accadde qualcosa, qualcosa prosciugò i vasi rotti della sua fragile pelle. Indietreggiò da me e il pennello gli cadde di mano. Io mi alzai e gli fui addosso, sentii i miei denti contro il labbro, gli occhi riempirsi dei colori del suo viso, le orecchie del suo grido ribelle, le mani di quella carne forte che si dibatteva finché non riuscii a stringerlo, inerme. Lacerai quella carne e bevvi il sangue che le dava la vita. ‘Muori’ sussurrai. Non lo tenevo più stretto e la sua testa mi ricadeva sul petto. ‘Muori’ e sentivo che si sforzava d’alzare lo sguardo su di me. Bevvi ancora e di nuovo lui si dibatté, finché floscio, sconvolto e prossimo alla morte, scivolò al suolo. Ma i suoi occhi non si chiudevano.

«Andai davanti alla tela, debole, tranquillo, e lo osservai, guardai i suoi occhi vaghi ingrigire e le mie mani colorite, la mia pelle così meravigliosamente calda. ‘Sono di nuovo mortale’ gli sussurrai. ‘Sono vivo. Col tuo sangue sono vivo’. I suoi occhi si chiusero. M’abbandonai all’indietro contro il muro e mi sorpresi a contemplare il mio viso.

«Aveva fatto poco più di uno schizzo, una serie di audaci linee nere che tuttavia ricreavano perfettamente il mio viso e le mie spalle, e c’era già qualche tocco di colore: il verde dei miei occhi, il bianco della mia guancia. Ma l’orrore, l’orrore di vedere la mia espressione! L’aveva colta perfettamente, e non vi era nulla di orrendo. Quegli occhi verdi mi guardavano da quella forma abbozzata con un’innocenza incosciente, con la meraviglia inespressiva di quell’irresistibile brama che lui non aveva compreso. Il Louis d’un centinaio d’anni prima, perduto nell’ascolto del sermone del prete durante la messa, le labbra schiuse e lente, i capelli in disordine, una mano piegata abbandonata in grembo. Un Louis mortale. Credo di aver riso, mettendomi le mani sul viso, fin quasi a farmi venire le lacrime agli occhi; quando staccai le dita, erano rimaste le macchie delle lacrime, tinte di sangue mortale. E già era cominciato in me il fremito del mostro che aveva ucciso, che avrebbe ucciso ancora, che aveva preso il quadro e fuggiva dalla casetta portandoselo via.

«Ma improvvisamente l’uomo si alzò con un gemito animalesco e mi afferrò per lo stivale; le sue mani scivolarono sul cuoio. Con una forza incredibile che mi sfidava, si protese verso il quadro e si aggrappò a esso con le mani che sbiancavano. ‘Ridammelo!’ ringhiò. ‘Ridammelo!’ Nessuno dei due voleva mollare la presa; guardavo il pittore e le mie mani che tenevano con tanta facilità ciò che lui cercava così disperatamente di strapparmi, come se dovesse portarlo con sé in paradiso o all’inferno; io, la creatura che il suo sangue non poteva rendere umana; lui, l’uomo che la mia malvagità non aveva sopraffatto. E poi, quasi non fossi stato me stesso, gli tolsi di mano il quadro, lo sollevai fino alle mie labbra con un sol braccio e gli squarciai la gola con furia».


«Come fui nelle stanze dell’albergo Saint-Gabriel, posai il quadro sulla mensola sopra al camino e lo guardai a lungo. Claudia era da qualche parte nelle stanze, e qualche altra presenza s’era intromessa, come se su uno dei balconi di sopra ci fossero un uomo o una donna, qualcuno che emanava un inconfondibile profumo personale. Non sapevo perché avessi preso il quadro, perché avessi lottato per tenerlo, cosa di cui mi vergognavo più che dell’uccisione stessa, perché lo tenessi sulla mensola di marmo, perché lo guardassi con la testa chinata e le mani che tremavano. E poi lentamente girai la testa. Desideravo che le stanze prendessero forma attorno a me; volevo i fiori, il velluto, le candele nelle loro bugie. Essere mortale, comune, e al sicuro. E poi, come in una nebbia, vidi una donna.

«Era seduta tranquilla al tavolo lussuoso dove Claudia si pettinava; ed era così immobile, così assolutamente priva di paura, con le maniche di taffetà verde e le gonne riflesse negli specchi inclinati, da non sembrare una sola donna, ma una riunione di donne. I suoi capelli rosso scuro erano divisi in mezzo e tirati indietro sulle orecchie, sebbene una dozzina di ricciolini sfuggissero a formare una corona attorno al volto pallido. Mi guardava con due tranquilli occhi violetti e una bocca infantile quasi caparbiamente morbida, un arco di cupido caparbiamente puro, puro dal trucco o dalla personalità; quella bocca sorrideva e diceva: ‘Sì, è come hai detto tu, e già l’amo. È proprio come hai detto’. Si alzò, sollevando delicatamente quell’abbondanza di taffetà scuro, e i tre piccoli specchi si vuotarono all’istante.

«Sconcertato e quasi incapace di parlare, mi voltai e vidi Claudia lontana sul letto immenso, rigida e calma in volto, benché stringesse la tenda di seta con dita contratte. ‘Madeleine’ disse sottovoce, ‘Louis è timido’. E guardò con occhi freddi Madeleine, che si limitò a sorridere; avvicinandosi a me, mise entrambe le mani sull’orlo di pizzo attorno alla gola, scostandolo perché potessi notare i due piccoli segni. Poi il sorriso le morì sulle labbra, che immediatamente divennero imbronciate e sensuali. Socchiuse gli occhi e in un soffio proferì la parola: ‘Bevete’.

«Mi allontanai da lei, sollevando il pugno in preda a una costernazione per la quale non potrei trovare parole. Ma Claudia mi afferrò quel pugno e mi guardò con occhi implacabili. ‘Fallo, Louis’ ordinò. ‘Perché io non posso’. La sua voce era penosamente calma, tutta l’emozione celata sotto quel tono duro, misurato. ‘Non sono grande abbastanza, non ne ho la forza! Ci hai pensato tu quando mi hai fatto! Fallo per me!’

«Mi staccai violentemente da lei, stringendomi il polso come se me l’avesse bruciato. Vedevo la porta, e mi sembrava che la cosa più saggia fosse andarmene immediatamente. Sentivo la forza di Claudia, la sua volontà, e gli occhi della donna mortale sembravano infiammati dalla stessa volontà. Ma Claudia mi tratteneva, non con miti suppliche o miserevoli blandizie che avrebbero dissipato il suo potere, mi avrebbero fatto provare pietà per lei e raccogliere le mie forze. Mi tratteneva con l’emozione che i suoi occhi avevano rivelato anche attraverso la sua freddezza e col modo in cui ora si allontanava da me, quasi fosse stata immediatamente sconfitta. Non capivo il modo in cui si era abbandonata sul letto, con la testa china, le labbra che tremavano febbrili e gli occhi che si alzavano soltanto per scrutare le pareti. Volevo toccarla e dirle che quanto mi chiedeva era impossibile; volevo domare quel fuoco che sembrava consumarla dentro.

«La morbida donna mortale s’era accomodata in una delle poltrone di velluto accanto al fuoco, e il fruscio e l’iridescenza del suo abito di taffetà sembrava far parte del suo mistero, dei suoi occhi calmi che ci osservavano, della febbre del suo volto pallido. Ricordo che mi voltai verso di lei, spronato da quella bocca infantile, imbronciata, che contrastava col fragile viso. Il bacio del vampiro non aveva lasciato nessuna traccia visibile eccetto la ferita, nessun cambiamento indelebile su quella carne rosa pallido. ‘Che impressione vi facciamo?’ le domandai, vedendo il suo sguardo posato su Claudia. Sembrava eccitata dalla minuscola bellezza, la sua tremenda passione femminile sembrava legata a quelle manine con le fossette.

«Si destò dalla contemplazione e alzò lo sguardo verso me. ‘Vi chiedo… che impressione vi facciamo? Ci trovate belli, magici, con la pelle bianca, gli occhi crudeli? Oh, ricordo perfettamente com’era la visione mortale, quant’era confusa, e come bruciava attraverso quel velo la bellezza del vampiro, così seducente, così totalmente ingannatrice! Bevete, voi mi dite. Voi non avete la più vaga concezione di quello che chiedete!’

«Ma Claudia si alzò dal letto e venne verso di me. ‘Come osi!’ sibilò. ‘Come osi prendere questa decisione per tutti e due! Sai quanto ti disprezzo? Con una violenza che mi divora come un cancro!’ Il suo piccolo corpo tremava, le sue mani volteggiavano sopra il corpetto pieghettato del vestito giallo. ‘Non distogliere lo sguardo da me! Sono disgustata dai tuoi sguardi obliqui, dalla tua sofferenza. Non capisci niente. La tua malvagità sta nel fatto che sei incapace di essere malvagio, e io devo soffrire per questo. Sai che ti dico, che non soffrirò più’. Conficcò le dita nella carne del mio polso; mi contorsi e arretrai di fronte all’odio, alla furia che montava in lei come una bestia dormiente, che guardava attraverso i suoi occhi. ‘Strapparmi da mani mortali come due macabri mostri di una fiaba dell’orrore, voi infingardi, ciechi genitori! Padri!’ Mi sputò addosso quella parola. ‘Riempiti pure gli occhi di lacrime. Non hai abbastanza lacrime per quello che mi hai fatto. Ancora sei anni di vita mortale, sette, otto… avrei potuto essere così!’ Il suo indice puntato guizzò verso Madeleine, che si era portata le mani sul viso, che guardava con occhi velati. Il suo gemito sembrava il nome di Claudia. Ma Claudia non la udì. ‘Sì, così, avrei potuto sapere com’era camminare al tuo fianco. Mostri! Donarmi l’immortalità in questa forma impotente, in questa sembianza inetta!’ Le si riempirono gli occhi di lacrime. Le parole si erano spente, ritirate, per così dire, nel suo petto.

«‘Ora, dammela!’ disse piegando il capo, e i riccioli le caddero in avanti, formando un velo che le nascondeva il viso. ‘Dammela. Fallo, oppure porta a termine l’opera di quella notte nell’albergo di New Orleans. Non continuerò più a vivere con questo odio, con questa rabbia! Non posso. Non lo sopporterò!’ E scuotendo i capelli, si mise le mani sulle orecchie come per arrestare il suono delle sue stesse parole. Respirava affannosamente e rapidamente, e le lacrime parevano bruciarle le guance.

«Ero caduto in ginocchio accanto a lei, le mie braccia erano tese come per cingerla. Eppure non osavo toccarla, non osavo neppure pronunciare il suo nome, per timore che il mio dolore erompesse con la prima sillaba in una mostruosa esplosione di grida disperatamente inarticolate. ‘Oooh!’ Scosse la testa, le lacrime le inondavano le guance, serrando forte i denti. ‘Io ti amo ancora, ecco quello che mi strazia! Lestat non l’ho mai amato. Ma tu! La misura del mio odio è questo amore. Sono la stessa cosa! Tu sai quanto io ti odio!’ Mi lanciò un lampo attraverso il velo rosso che le copriva gli occhi.

«‘Sì’ sussurrai. Chinai il capo. Ma lei era andata a rifugiarsi nelle braccia di Madeleine, che l’abbracciava disperatamente, come se potesse proteggere Claudia da me — ironia, patetica ironia — proteggerla da se stessa. Le sussurrava: ‘Non piangere, non piangere!’ e le sue mani le carezzavano il viso e i capelli con una violenza che avrebbe coperto di lividi un bambino mortale.

«Ma Claudia sembrò abbandonarsi d’un tratto contro il petto della donna, gli occhi chiusi e il viso calmo, come se ogni passione si fosse consumata; le sue braccia scivolarono attorno al collo di Madeleine, la testa le cadde contro il taffetà e il pizzo. Restò immobile, le lacrime le rigavano il viso, come se tutto quello che era risalito in superficie l’avesse lasciata debole e disperatamente bisognosa di oblio, come se la stanza intorno a lei, e io stesso, non esistessimo.

«Stavano là insieme: le mortali, calde braccia stringevano ciò che non era possibile per lei comprendere, questa specie di bambina bianca, crudele e contro natura che credeva di amare. E se non avessi provato compassione per lei, per questa donna folle e temeraria che amoreggiava coi dannati, se non avessi provato per lei tutto il dolore che provavo per il mio Io mortale, le avrei strappato dalle braccia il piccolo demonio, l’avrei stretto a me, negando e rinegando le parole che avevo appena udito. Ma invece restavo immobile, in ginocchio, a pensare soltanto: ‘L’amore è come l’odio’ e mi tenevo egoisticamente in petto questo pensiero, aggrappandomi a esso mentre mi lasciavo cadere contro il letto.

«Molto tempo prima che Madeleine se ne accorgesse, Claudia aveva smesso di piangere e sedeva immobile come una statua nel suo grembo, gli occhi liquidi fissi su di me, dimentica dei morbidi capelli rossi che le cadevano attorno e della mano che ancora la stava accarezzando. Io ero abbandonato contro la colonna del letto, fissavo di rimando quegli occhi di vampiro, senza potere né volere parlare in mia difesa. Madeleine stava sussurrando qualcosa all’orecchio di Claudia, bagnandole di lacrime le trecce. Poi con gentilezza Claudia le disse: ‘Lasciaci’.

«‘No’. Madeleine scosse la testa e si strinse forte a Claudia. Poi chiuse gli occhi e tremò come scossa da uno spaventoso nervosismo, da un terribile tormento. Ma Claudia la condusse via dalla poltrona e lei era arrendevole, sconvolta, bianca in volto; il taffetà verde si gonfiava attorno al vestitino di seta gialla.

«Sotto la volta del salotto si fermarono, e Madeleine si arrestò confusa, con la mano sulla gola. Si guardava intorno, come la vittima inerme sul palcoscenico del Teatro dei Vampiri, senza sapere dove si trovava. Ma Claudia era andata a prendere qualcosa. La vidi emergere dall’ombra con quella che sembrava una grande bambola. Mi alzai per guardarla. Era proprio una bambola, la bambola di una bimba coi capelli corvini e gli occhi verdi, adorna di pizzi e nastri, col viso dolce e gli occhi spalancati; i piedini di porcellana tintinnarono quando Claudia la depose tra le braccia di Madeleine. E gli occhi di Madeleine sembrarono indurirsi quando la strinse, le labbra le scoprirono i denti in una smorfia quando le carezzò i capelli. Rise piano. ‘Sdraiati’ le disse Claudia; e insieme affondarono nei cuscini del divano; il taffetà verde frusciò quando Claudia si sdraiò con lei e le mise le braccia attorno al collo. Vidi la bambola scivolare e poi cadere, ma Madeleine la trovò a tastoni e la tenne penzolante, la testa buttata all’indietro, gli occhi serrati e i riccioli di Claudia sul viso.

«Mi misi a sedere sul pavimento e mi appoggiai al morbido rivestimento del letto. Ora Claudia parlava a voce bassa, poco più di un sussurro, e diceva a Madeleine di essere paziente, di stare calma. Udii con terrore il suono dei suoi passi sul tappeto, il suono delle porte che scorrevano e chiudevano dentro Madeleine, temevo l’odio che si stendeva tra di noi come un vapore micidiale.

«Ma quando alzai lo sguardo, Claudia era immobile, perduta nei suoi pensieri; tutto il rancore e l’amarezza erano spariti dal suo viso, che ora aveva la stessa inespressività di quella bambola.

«‘Tutto ciò che mi hai detto è vero’ le dissi. ‘Io merito il tuo odio. L’ho meritato fin dai primi istanti, quando Lestat ti mise nelle mie braccia’.

«Sembrava non accorgersi di me e i suoi occhi erano soffusi di una luce dolcissima. La sua bellezza bruciava così forte nella mia anima che a stento la sopportavo; poi lei disse, con aria perplessa: ‘Avresti potuto uccidermi allora, malgrado lui. Avresti potuto farlo’. Poi i suoi occhi si posarono su di me, calmi. ‘Desideri farlo adesso?’

«‘Farlo adesso!’ La circondai col braccio, la tirai a me, confortato da quella voce raddolcita. ‘Sei pazza? Se lo voglio fare adesso!’

«‘Io lo voglio’ disse lei. ‘Chinati come facesti allora, bevi il sangue da me goccia a goccia, tutto quello che hai la forza di cavare; spingi il mio cuore sul baratro. Sono piccola, tu puoi finirmi. Non ti resisterò, sono una cosa fragile che puoi schiacciare come un fiore’.

«‘Pensi davvero queste cose? Pensi veramente quello che mi dici?’ domandai. ‘Perché non pianti il coltello qui e non lo giri nella ferita?’

«‘Vorresti morire con me?’ domandò lei con un sorriso malizioso, canzonatorio. ‘Davvero vorresti morire con me?’ insistette. ‘Non capisci cosa mi sta succedendo? Che lui mi sta uccidendo, quel maestro vampiro che ti tiene in schiavitù, che non vuol dividere con me il tuo amore, neanche una goccia! Vedo nei tuoi occhi il suo potere. Vedo la tua infelicità, la tua angoscia, l’amore per lui che non riesci a nascondere. Voltati, ti costringerò a guardarmi con quegli occhi che lo desiderano, ti costringerò ad ascoltare’.

«‘No, smetti, no… Io non ti lascerò. Te l’ho giurato, non capisci? Non posso darti quella donna’.

«‘Ma io combatto per la mia vita. Dammela: potrà prendersi cura di me, completare l’apparenza che io debbo avere per vivere! E allora lui potrà averti. Io sto combattendo per la mia vita! ‘

«Le diedi quasi una spinta. ‘No, no, è follia, è un incantesimo’ le risposi, cercando di resisterle. ‘Sei tu che non vuoi dividermi con lui, tu che vuoi ogni goccia di amore. Se non da me, da lei. Lui ti domina, non si cura di te, e sei tu che lo vuoi morto, come hai ucciso Lestat. Ebbene, tu non mi avrai come complice di questa morte, non di questa morte! Io non la renderò una di noi, io non condannerò le legioni di mortali che morirebbero per mano sua! Il tuo potere su di me si è spezzato. Non lo farò!’

«Oh, se solo avesse potuto capire!

«Neppure per un istante avevo potuto credere veramente alle sue parole contro Armand, al fatto che, in quel suo distacco del tutto superiore alla vendetta, lui potesse egoisticamente desiderare la morte di Claudia. Ma in quel momento, questo non aveva per me alcuna importanza; stava accadendo qualcosa di molto più terribile di quanto potessi intuire, qualcosa che stavo soltanto incominciando a capire, al cui confronto la mia ira era una burla, un vano tentativo di oppormi alla sua indomabile volontà. Lei mi odiava, mi aborriva, come aveva confessato lei stessa, e il cuore mi si avvizziva in petto, come se, privandomi di quell’amore che mi aveva sostenuto per tutta una vita, mi avesse infetto un colpo mortale. Io morivo per lei, morivo per quell’amore come la prima notte in cui Lestat la diede a me, le fece posare lo sguardo su di me, le disse il mio nome; quell’amore che mi aveva riscaldato nel mio odio per me stesso, che mi aveva permesso di esistere. Oh, come doveva averlo capito Lestat! E ora finalmente il suo piano era fallito.

«Ma c’era anche dell’altro, in qualche regione dalla quale rifuggivo, camminando a grandi passi avanti e indietro, avanti e indietro, le mie mani che si aprivano e si chiudevano lungo i miei fianchi, e in quegli occhi liquidi non sentivo soltanto il suo odio: sentivo il suo dolore. Mi aveva rivelato il suo dolore! Donarmi l’immortalità in questa forma impotente, questa sembianza inetta. Mi misi le mani sulle orecchie, quasi che lei stesse ancora pronunciando quelle parole, e piansi. Per tutti quegli anni ero dipeso completamente dalla sua crudeltà, dalla sua assoluta ignoranza del dolore. E invece era dolore che mi mostrava, un innegabile dolore. Oh, come avrebbe riso di noi Lestat! Questa era la ragione per cui Claudia l’aveva accoltellato, perché avrebbe riso. Per distruggermi completamente le bastava mostrarmi il suo dolore. La bambina che io avevo trasformato in un vampiro soffriva. La sua angoscia era la mia angoscia.

«C’era una bara in quell’altra stanza, un letto per Madeleine, dove Claudia si ritirò per lasciarmi solo con quanto non riuscivo a sopportare. Fui felice del silenzio. E durante le poche ore della notte che restavano mi ritrovai spesso alla finestra aperta, ad assaporare sulla pelle la fitta pioggerella: brillava sulle foglie delle felci, sui dolci fiori bianchi che pendevano, si inchinavano e infine cadevano dagli steli. Un tappeto di fiori copriva il balconcino, la pioggia batteva dolcemente sui petali sparsi. Mi sentivo debole e assolutamente solo. Ciò che era accaduto fra di noi quella notte non avrebbe mai potuto essere cancellato.

«E tuttavia, in qualche modo, e la cosa mi sconcertava, non avevo alcun rimpianto. Forse era la notte, il cielo privo di stelle, le lampade a gas gelate nella nebbiolina, a darmi quello strano piacere che non avevo mai chiesto e che, in quel vuoto e in quella solitudine, non sapevo come giudicare. ‘Sono solo’ pensavo. ‘Sono solo’. M’immaginai solo per sempre, come se, acquistando la forza di vampiro la notte della mia morte, avessi abbandonato Lestat e non mi fossi più voltato indietro a cercarlo, senza bisogno di lui né di nessun altro; come se la notte m’avesse detto: ‘Tu sei la notte, e solo la notte ti capisce e ti accoglie tra le sue braccia’. Una cosa sola con le tenebre. Senza incubi. Una pace inesplicabile.

«Eppure sentivo la fine di questa pace con la stessa certezza con cui sentivo il mio breve abbandono a essa: si stava diradando come le nubi. Il dolore insostenibile per la perdita di Claudia m’incalzava, come una forma rappresa agli angoli di quella stanza ingombra e misteriosamente aliena. Ma fuori, mentre la notte sembrava dissolversi in un vento furioso, sentivo qualcosa che mi chiamava, qualcosa di inanimato che non avevo mai conosciuto. Una forza dentro me sembrava rispondere a quella forza, senza opporre resistenza ma con un impeto imperscrutabile e raggelante.

«Avanzai in silenzio per le stanze, aprendo delicatamente le porte finché, nella luce fioca e tremula delle lampade a gas, vidi la donna che dormiva coricata nella mia ombra sul sofà, la bambola floscia contro il petto. Qualche istante prima di inginocchiarmi accanto a lei vidi i suoi occhi aprirsi, e sentii, oltre le sue spalle, dove si raccoglieva il buio, quegli altri occhi che mi osservavano, il piccolo faccino di vampiro che attendeva col fiato sospeso.

«‘Ti prenderai cura di lei, Madeleine?’ Vidi quelle mani stringere la bambola, girarle la faccia verso il petto. E anche la mia mano si protese verso la bambola, anche se non sapevo perché, intanto che Madeleine mi rispondeva.

«‘Sì!’ ripeté ancora disperatamente.

«‘È questo che credi che sia, una bambola?’ le chiesi, chiudendo la mano sulla testa di porcellana. Me la strappò via, strinse i denti e mi guardò torva.

«‘Una bambina che non può morire! Ecco che cos’è’ rispose, come se pronunciasse una bestemmia.

«‘Aaaaah…’ mormorai.

«‘Ho finito con le bambole’ disse, lanciandola lontano tra i cuscini del sofà. Stava armeggiando con qualcosa che aveva sul petto: una cosa che voleva che vedessi e che non vedessi; le sue dita l’afferrarono e si chiusero. Sapevo che cos’era, l’avevo notato prima. Un medaglione fissato con una spilla d’oro. Vorrei poter descrivere la passione che contaminava le sue fattezze, com’era contorta la morbida bocca infantile.

«‘È la bimba che invece è morta?’ azzardai. Vedevo un negozio di bambole, di bambole tutte con la stessa faccia. Madeleine scosse la testa e tirò la spilla, strappando il taffetà. Vidi in lei la paura, un panico che la distruggeva. La mano sanguinava quando la aprì e mi mostrò la spilla rotta. Presi il medaglione dalle sue dita. ‘Mia figlia’ mormorò con le labbra tremanti.

«C’era un viso di bambola sul piccolo frammento di porcellana, il viso di Claudia, un viso di bambina, una zuccherosa, dolce imitazione dell’innocenza che vi aveva dipinto un artista, una bambina coi capelli corvini come la bambola. E la madre, terrorizzata, fissava l’oscurità davanti a sé.

«‘Dolore…’ mormorai con delicatezza.

«‘Ho finito col dolore’ rispose lei, socchiudendo gli occhi e mi fissò. ‘Se tu sapessi quanto desidero possedere il tuo potere; sono pronta, lo bramo!’ Mi si avvicinò, respirando profondamente, tanto che il suo seno sembrò gonfiarsi innaturalmente sotto l’abito.

«Ma una violenta delusione le straziò il viso. Si scostò da me, scuotendo la testa, i riccioli. ‘Se tu fossi un uomo mortale; uomo e mostro!’ esclamò rabbiosamente. ‘Se solo potessi mostrarti il mio potere…’ e mi fece un sorriso maligno, provocatorio ‘…potrei costringerti a volermi, a desiderarmi! Ma tu sei un essere contro natura!’ Gli angoli della bocca le si piegarono in giù. ‘Cosa posso darti! Cosa posso fare perché tu mi dia quello che hai!’ Si passò la mano sui seni, sembrò carezzarli come la mano di un uomo.

«Era un momento strano; strano perché non avrei mai potuto prevedere la sensazione che quelle parole suscitarono in me, il modo in cui guardavo quel vitino eccitante, la curva rotonda, piena, dei suoi seni e quelle labbra delicate, imbronciate. Non immaginava nemmeno lontanamente che cos’era in me l’uomo mortale, quanto ero tormentato dal sangue che avevo appena bevuto. La desideravo, più di quanto credesse: perché non capiva la natura dell’uccidere. E con orgoglio virile volevo provarglielo, umiliarla per quello che mi aveva detto, per la volgare vanità della sua provocazione, per gli occhi che guardavano lontano da me, disgustati. Ma questa era follia. Non erano queste le ragioni per concedere la vita eterna.

«E crudelmente, con fermezza, le domandai: ‘Amavi questa bambina?’

«Non dimenticherò mai il suo viso in quel momento, la sua violenza, il suo odio assoluto. ‘Sì’ mi sibilò in faccia. ‘Come osi!’ Allungò la mano per prendere il medaglione che stringevo tra le dita. Era il senso di colpa che la consumava, non l’amore. Era il senso di colpa — quel negozio di bambole che Claudia m’aveva descritto, scaffali e scaffali dell’immagine della bambina morta. Ma un senso di colpa che aveva capito perfettamente la finalità della morte. C’era in lei qualcosa di altrettanto duro della mia malvagità, qualcosa di altrettanto forte. Tese la mano, mi toccò il panciotto e aprì le dita, premendomele contro il petto. Io ero in ginocchio, m’avvicinavo a lei, e i suoi capelli mi sfioravano il viso.

«‘Stringiti forte a me quando ti prendo’ le dissi, vedendo i suoi occhi spalancarsi, le sue labbra schiudersi. ‘E quando il delirio è al culmine, ascolta più forte che puoi il battito del mio cuore. Tienti stretta a me e ripeti continuamente: Io vivrò’.

«‘Sì, sì’ annuiva, e il cuore le batteva violentemente per l’eccitazione.

«Le sue mani bruciavano attorno al mio collo, le sue dita si infilavano nel mio colletto. ‘Guarda laggiù, oltre me, quella luce; non togliere mai gli occhi da lì, neppure per un momento, e ripeti continuamente: Io vivrò’.

«Boccheggiò quando le lacerai la carne, la calda corrente mi entrava nelle vene; i suoi seni schiacciati contro il mio petto, il suo corpo inarcato, indifeso, sollevato dal divano. Vedevo i suoi occhi, persino quando chiusi i miei, la sua bocca stuzzicante, provocante. La succhiavo forte, tenendola sollevata, e sentivo che s’indeboliva; le mani le cadevano flosce lungo i fianchi. ‘Stringi, stringi’ le sussurrai nel caldo fiume del suo sangue, col tuono del suo cuore nelle orecchie; il suo sangue mi pulsava nelle vene ormai sazie. ‘La lampada’ sussurrai, ‘guardala!’ Il suo cuore rallentò, si fermò, e la sua testa cadde all’indietro sul velluto, i suoi occhi divennero opachi come in punto di morte. Per un attimo mi parve di non potermi muovere, eppure dovevo. Sentii che qualcun altro mi portava il polso alla bocca mentre la stanza girava, girava; mi concentravo su quella lampada come avevo detto di fare a lei, assaggiai il sangue dal mio polso e poi glielo misi a forza sulla bocca. ‘Bevi, bevi’ le dissi. Ma lei giaceva come morta. La strinsi a me, il sangue le colava sulle labbra. Poi aprì gli occhi, e sentii la delicata pressione della sua bocca e le sue mani che mi stringevano il braccio quando cominciò a succhiare. La cullavo, le sussurravo, cercavo disperatamente di spezzare il mio deliquio; poi mi sentii tirare in tutti miei vasi sanguigni. Mi succhiava con tale violenza che mi tenni aggrappato al divano con le mani, il suo cuore batteva furiosamente contro il mio, le sue dita si conficcavano profondamente nel mio braccio, nel palmo della mia mano tesa. Mi feriva, mi lacerava, tanto che quasi gridai, intanto che lei beveva e beveva; mi allontanai da lei, e poi me la tirai dietro; la vita mi scorreva via dal braccio, e il suo gemito seguiva il ritmo delle sue sorsate. Le mie vene, come fili metallici incandescenti, tiravano il mio cuore sempre più forte, finché, senza volerlo, mi staccai da lei, stringendo forte nella mano quel polso sanguinante.

«Lei mi fissava, e il sangue le macchiava la bocca aperta. Quel suo sguardo mi sembrò durare un’eternità: Madeleine si raddoppiava e triplicava nella mia vista offuscata, poi si fuse in una sola forma tremante. La mano le andò alla bocca, gli occhi non si mossero da me ma si dilatarono. Poi si alzò lentamente, non come per forza propria, ma come sollevata da qualche invisibile potere che la faceva girare per la stanza con occhi sgranati. La pesante gonna si muoveva rigida come fosse fatta di un unico pezzo, girava come un grande ornamento scolpito su un carillon, che danza inerme al suono della musica. All’improvviso Madeleine abbassò lo sguardo sul taffetà, lo afferrò, lo strinse tra le dita facendolo frusciare, poi lo lasciò cadere, si coprì subito le orecchie, chiuse gli occhi, poi li sbarrò di nuovo. Mi parve che vedesse la lampada, la lontana e fioca lampada a gas nell’altra stanza che mandava una luce fragile attraverso le doppie porte. Corse verso di essa e ci si fermò accanto, guardandola come se fosse viva. ‘Non toccare…’ le disse Claudia e la condusse via gentilmente. Ma Madeleine aveva visto i fiori sul balcone e ci si stava avvicinando con le palme aperte, sfiorò i petali e poi si portò le goccioline di pioggia sul viso.

«Mi aggiravo ai margini della stanza, osservavo ogni sua mossa: come prendeva i fiori, li schiacciava tra le mani e lasciava cadere i petali tutt’intorno a sé, come premeva le punte delle dita sullo specchio e si guardava fisso negli occhi. Il mio dolore era cessato, mi ero legato un fazzoletto attorno al polso, e aspettavo, aspettavo, accorgendomi che Claudia non aveva alcun ricordo di quello che sarebbe seguito. Danzavano insieme, e la pelle di Madeleine diventava sempre più pallida nell’instabile luce dorata. Raccolse Claudia nelle sue braccia e Claudia volteggiava con lei, col faccino attento e stanco dietro il sorriso.

«Poi Madeleine s’indebolì. Fece un passo indietro e sembrò perdere l’equilibrio, ma si rimise diritta immediatamente e lasciò scivolare delicatamente al suolo Claudia. Sulle punte dei piedi, Claudia l’abbracciò. ‘Louis’ sussurrò, ‘Louis…’

«Le feci cenno di allontanarsi. E Madeleine, che sembrava non vederci, fissava le proprie mani tese. Il suo viso era bianco e tirato; si fregò le labbra e fissò le macchie scure sulla punta delle dita. ‘No, no!’ l’ammonii gentilmente, prendendo Claudia per mano e tenendola stretta al mio fianco. Un lungo gemito sfuggì dalle labbra di Madeleine.

«‘Louis’ sussurrò Claudia con quella voce soprannaturale che Madeleine non poteva ancora udire.

«‘Sta morendo, una cosa che la tua mente di bimba non ricorda. Ti è stata risparmiata, non ha lasciato traccia su di te’ le mormorai, scostandole delicatamente i capelli dall’orecchio, ma senza distogliere lo sguardo da Madeleine, che errava da uno specchio all’altro. Le lacrime le scorrevano ormai liberamente dagli occhi, e la vita abbandonava il suo corpo.

«‘Ma, Louis, se muore…’ gridò Claudia.

«‘No’. M’inginocchiai, vedendo l’angoscia dipinta sul suo faccino. ‘Il sangue era forte abbastanza: vivrà. Ma avrà paura, una paura terribile’. E con tenerezza, con fermezza, strinsi la mano di Claudia e le baciai la guancia. Lei mi guardò allora con un misto di meraviglia e di paura. Mi avvicinai a Madeleine, richiamato dalle sue grida. Barcollava, con le mani protese: l’afferrai e la strinsi a me. I suoi occhi ardevano già di una luce innaturale, un fuoco violetto si rifletteva nelle sue lacrime.

«‘È la morte umana, solo la morte umana’ le dissi affettuosamente. ‘Vedi il cielo? Ora dobbiamo lasciarlo, e tu devi stringerti a me, sdraiarti al mio fianco. Un sonno pesante come la morte scenderà sulle mie membra, e non potrò confortarti. Dovrai lottare da sola. Ma stringiti a me nell’oscurità, mi senti? Stringi le mie mani, e io stringerò le tue finché potrò’.

«Per un attimo sembrò perdersi nel mio sguardo, e io percepii la meraviglia che la circondava, come lo splendore dei miei occhi fosse per lei lo splendore di tutti i colori. La guidai dolcemente verso la bara, dicendole ancora di non avere paura. ‘Quando ti sveglierai, sarai immortale’ le dissi. ‘Nessuna causa naturale di morte potrà colpirti. Vieni, sdraiati’. Vedevo la sua paura, la vedevo ritrarsi dalla stretta cassa, il cui raso non le era di alcun conforto. Già la sua pelle cominciava a rilucere, a possedere la stessa luminosità mia e di Claudia. Ora sapevo che non si sarebbe lasciata andare finché non mi fossi sdraiato con lei.

«La strinsi a me e guardai, in fondo alla stanza, il punto dove Claudia stava in piedi, accanto a quella strana bara, e mi guardava. I suoi occhi erano calmi ma oscurati da un indefinibile sospetto, da una fredda diffidenza. Feci sedere Madeleine accanto al suo letto e mi incamminai verso quegli occhi. Mi inginocchiai tranquillamente accanto a Claudia e la presi tra le braccia. ‘Non mi riconosci?’ le domandai. ‘Non sai chi sono io?’

«Lei mi guardò. ‘No’ rispose.

«Sorrisi e abbassai il capo. ‘Non serbarmi rancore’ le dissi. ‘Siamo pari’.

«Allora piegò la testa da un lato e mi studiò attentamente, poi sembrò sorridere a dispetto di se stessa e annuire col capo.

«‘Perché, vedi’ le dissi, con la stessa voce calma, ‘ciò che è morto stanotte in questa stanza non è quella donna. Le ci vorranno molte notti per morire, forse anni. Ciò che è morto in questa stanza stanotte sono le mie ultime vestigia di umanità’.

«Un’ombra le calò sul viso; chiara, come se la sua compostezza venisse stracciata come un velo. Schiuse le labbra, ma solo per respirare appena. Poi disse: ‘Be’, allora hai ragione. Davvero. Siamo pari’.


«‘Voglio bruciare il negozio di bambole!’

«Fu Madeleine a dircelo. Stava bruciando nel fuoco del caminetto i vestiti della figlia morta, pizzi bianchi e lini beige, scarpe accartocciate, cappellini che odoravano di palline di canfora e di sacchetti di profumo. ‘Ormai non significa più niente, nessuna di queste cose’. Restò in piedi a osservare il fuoco che divampava. E guardava Claudia con occhi trionfanti, ferocemente devoti.

«Non le credevo, tanto ero sicuro — anche se, notte dopo notte, avevo dovuto condurla via dagli uomini e dalle donne che non poteva più prosciugare, tanto s’era saziata col sangue delle uccisioni precedenti, spesso alzando le vittime dal suolo nell’impeto della passione, spezzando loro la gola con le sue dita d’avorio, con la stessa sicurezza con cui beveva il loro sangue — tanto ero sicuro che presto o tardi quella folle intensità doveva diminuire, e Madeleine avrebbe visto con altri occhi gli ornamenti di questo incubo, la propria pelle luminescente, queste stanze sontuose all’albergo Saint-Gabriel, e avrebbe gridato di essere svegliata, di essere libera. Non aveva capito che non si trattava di un esperimento; mostrava i suoi nuovi denti agli specchi dalle cornici dorate, era pazza.

«Ma ancora non avevo capito quanto fosse pazza e abituata a sognare; e che non avrebbe reclamato la realtà, ma piuttosto dato la realtà in pasto ai suoi sogni, elfo diabolico che alimenta il suo filatoio con i pettini del mondo per potersi creare la tela del proprio universo personale.

«Stavo appena cominciando a capire la sua avidità, la sua magia.

«Aveva acquisito una notevole abilità nel costruire bambole facendo col suo vecchio amante continue riproduzioni della figlia morta che, come avevo capito, affollavano gli scaffali del negozio che presto avremmo visitato. Inoltre, possedeva l’abilità e lo zelo di un vampiro, tanto che, una notte in cui l’avevo distolta dall’uccidere, con lo stesso insaziabile bisogno, aveva creato con pochi pezzi di legno, un cesello e un coltello, una perfetta sedia a dondolo in miniatura, di forma e proporzioni tali che Claudia, seduta accanto al fuoco, sembrava una donna adulta. A questa aggiunse, col passare delle notti, una tavola delle stesse proporzioni; e da un negozio di giocattoli una minuscola lampada a olio, una tazzina e un piattino di porcellana; dalla borsa di una signora un taccuino di appunti rilegato in pelle che nelle mani di Claudia diventava un grosso volume. Il mondo si sbriciolava e cessava di esistere ai confini del piccolo spazio che aveva preso le dimensioni dello spogliatoio di Claudia: un letto le cui colonne mi arrivavano ai bottoni del panciotto, piccoli specchi che riflettevano le gambe di un goffo gigante, quando mi ci trovai sperduto; quadri appesi bassi, all’altezza degli occhi di Claudia; e infine, sulla piccola toeletta, guantini neri da sera, una veste scollata di velluto nero, un diadema preso da un ballo mascherato per bambini. E Claudia, il gioiello supremo, una reginetta delle fate con bianche spalle nude, s’aggirava con le sue trecce lucenti nel suo minuscolo mondo. Io l’osservavo dalla porta, ammaliato, sgraziato, disteso sul tappeto in modo da poter appoggiare la testa sul gomito e guardare negli occhi la mia amante, occhi che vedevo misteriosamente addolciti, per il momento, dalla perfezione di quel santuario. Com’era bella vestita di pizzo nero: una donna fredda, con i capelli biondo chiari, una faccia da cherubino e occhi liquidi che mi guardavano tanto placidamente e tanto a lungo che sicuramente dovevano avermi dimenticato; quegli occhi dovevano vedere qualcun altro disteso sul pavimento; qualcos’altro che non fosse il goffo universo che mi circondava, delimitato e invalidato da qualcuno che vi aveva sofferto, che aveva sempre sofferto ma che ora non sembrava più soffrire, ma bearsi nel tintinnio di un carillon, nel ticchettio di un orologio giocattolo. Ebbi una visione di ore accorciate e di piccoli minuti dorati, e l’impressione di essere pazzo.

«Misi le mani sotto la testa e guardai trasognato il lampadario: era difficile per me districarmi da un mondo ed entrare nell’altro. E Madeleine, sul divano, lavorava con quello zelo regolare, come se l’immortalità non potesse in alcun modo significare riposo, cuciva pizzi color crema su del raso color lavanda per il piccolo letto, e si fermava solo di tanto in tanto per asciugarsi la bianca fronte dal sudore tinto di sangue.

«Mi domandavo se, chiudendo gli occhi, questo regno di minuscoli oggetti avrebbe consumato le stanze intorno a me, e io, come Gulliver, mi sarei destato per scoprirmi legato mani e piedi, sgradito gigante. M’immaginai delle case costruite per Claudia nei cui giardini i topi erano mostri, minuscole carrozze e arbusti in fiore che si trasformavano in alberi. I mortali ne erano completamente ammaliati, e cadevano in ginocchio per guardare attraverso le finestrelle. Quel mondo, come la tela del ragno, attirava.

«Io vi ero legato mani e piedi. Non soltanto da quella leggiadra bellezza — quello squisito segreto delle bianche spalle di Claudia, il ricco splendore delle perle, quel languore ammaliante, una minuscola bottiglia di profumo, diventata una caraffa, da cui usciva un incantesimo che prometteva l’Eden — ero legato dalla paura. Che al di fuori di queste stanze, dove teoricamente io presiedevo all’educazione di Madeleine — confuse conversazioni sull’omicidio e sulla natura dei vampiri, argomenti sui quali Claudia l’avrebbe potuta istruire molto più facilmente di me, se solo avesse voluto prendere il comando — che al di fuori queste stanze, dove ogni notte con dolci baci e sguardi felici mi si rassicurava che quell’odio violento che Claudia aveva rivelato una volta e una volta soltanto non si sarebbe mai più ripresentato — che al di fuori di queste stanze avrei scoperto che, come avevo frettolosamente ammesso, ero veramente cambiato: la parte mortale di me era la parte che aveva amato, ne ero certo. Perciò, cosa provavo allora per Armand, l’essere per cui avevo trasformato Madeleine, per cui avevo desiderato ritrovare la libertà? Un curioso e sconcertante sentimento di distanza? Un sordo dolore? Un tremore senza nome? Persino in questa confusione mondana, vedevo Armand nella sua cella monacale, i suoi occhi marrone scuro, e sentivo quel misterioso magnetismo.

«E tuttavia non mi muovevo per andare da lui. Non osavo scoprire la vastità di quanto forse avevo perduto. E neppure osavo cercare di separare quella perdita da un’altra scoperta angosciosa: che in Europa non avevo trovato alcuna verità che potesse alleviare la solitudine, trasformare la disperazione. Piuttosto, avevo scoperto i meccanismi più profondi della mia piccola anima, il dolore di Claudia, e una passione per un vampiro che era forse più malvagio di Lestat, per il quale io ero diventato malvagio quanto Lestat, ma nel quale vedevo la sola promessa di bene nel male che potevo concepire.

«Alla fine, era tutto al di là del mio controllo. L’orologio ticchettava sulla mensola; Madeleine chiedeva di poter vedere gli spettacoli del Teatro dei Vampiri e giurava di difendere Claudia da qualunque vampiro che avesse osato insultarla; Claudia parlava di strategia e diceva: ‘Non ancora, non adesso’ e io stavo sdraiato a osservare con un certo sollievo l’amore di Madeleine per Claudia, la sua avida, cieca passione. Oh, nel mio cuore ho così poca pietà e ricordo così poco di Madeleine… Pensavo che avesse visto soltanto la prima venatura della sofferenza, che non avesse alcuna comprensione della morte. Si incattiviva facilmente e si lasciava trascinare alla violenza gratuita. Supponevo, nella mia smisurata presunzione e nel disprezzo di me stesso, che il mio dolore per mio fratello morto fosse l’unica emozione autentica. Mi permettevo di dimenticare quanto profondamente mi ero innamorato degli occhi iridescenti di Lestat, che avevo venduto la mia anima per quei colori e quella luminescenza, pensando che una superficie molto riflettente trasmettesse il potere di camminare sulle acque.

«Che cosa avrebbe dovuto fare Cristo perché io lo seguissi come Matteo o Pietro? Vestire bene, per cominciare. E possedere una magnifica testa di curatissimi capelli biondi.

«Mi odiavo. E mi sembrava, quand’ero mezzo assopito, come spesso mi capitava, cullato dalla loro conversazione — Claudia mormorava di omicidi e della velocità e dell’abilità dei vampiri, Madeleine era china sul suo ago canterino — mi sembrava la sola emozione di cui fossi ancora capace: l’odio verso me stesso. Io le amo. Io le odio. Non m’importa se esistono. Claudia mi mette le mani sui capelli come se volesse dirmi, con l’antica familiarità, che il suo cuore è in pace. Non me ne importa. E l’apparizione di Armand, quel potere, quella struggente chiarezza. Come dietro a un vetro, sembra. E, prendendo la mano giocosa di Claudia, capisco per la prima volta nella mia vita che cosa prova lei quando mi perdona di essere me stesso, che lei dice di odiare e amare: non prova quasi nulla.


«Una settimana dopo accompagnammo Madeleine a compiere la sua missione, a incendiare un universo di bambole dietro una vetrina di cristallo. Ricordo di essermi allontanato, svoltando in una stretta caverna di oscurità dove l’unico suono era la pioggia che cadeva. Ma poi vidi il bagliore rosso contro le nuvole. Le campane suonarono e gli uomini gridarono, e Claudia accanto a me parlava a voce bassa della natura del fuoco. Il denso fumo che saliva in quel bagliore tremolante mi rendeva nervoso. Avevo paura. Non una paura folle, mortale, ma paura fredda come un uncino piantato nel fianco. Questa paura era la vecchia casa di città che bruciava in Rue Royale, Lestat coricato sul pavimento in fiamme.

«‘II fuoco purifica…’ diceva Claudia. E io: ‘No, il fuoco distrugge solamente…’

«Madeleine ci aveva oltrepassato e s’aggirava in cima alla strada, un fantasma nella pioggia, le mani bianche frustavano l’aria, ci chiamavano, bianchi archi descritti da lucciole bianche. E ricordo che Claudia mi lasciò per raggiungerla. Visione di biondi capelli appassiti che si agitavano. Mi disse di seguirla. Un nastro calpestato, che sbatteva e fluttuava in un vortice di acqua nera. Mi sembrò che fossero sparite. Mi chinai per raccogliere quel nastro. Ma un’altra mano si tese per prenderlo. Era Armand.

«Ero sconvolto di vederlo lì, così vicino, la Morte Gentiluomo sotto un portone, meravigliosamente reale col suo mantello nero e la sua cravatta di seta, eppure etereo come un’ombra nella sua immobilità. Nei suoi occhi c’era un debolissimo riflesso del fuoco, del rosso che scaldava il nero, a formare il più intenso marrone.

«Mi risvegliai come da un sogno, mi destai alla percezione della sua mano che stringeva la mia, della sua testa piegata come per dirmi che desiderava essere seguito — ridestato alla mia stessa esperienza eccitata della sua presenza, che mi consumava quanto mi aveva consumato nella sua cella. Camminavamo insieme, veloci, verso la Senna, tanto rapidi e scaltri attraverso un capannello di uomini che questi ci videro a stento, che noi li vedemmo a stento. Fui molto meravigliato dal fatto che riuscivo facilmente a tenergli dietro. Mi stava costringendo a prendere atto dei miei poteri, a riconoscere che quelli che avevo sempre scelto erano cammini umani che non avevo più bisogno di seguire.

«Desideravo disperatamente parlargli, fermarlo, mettergli le mani sulle spalle, soltanto per guardarlo di nuovo negli occhi, come avevo fatto quell’ultima notte, per legarlo a un qualche tempo e luogo, in modo da poter controllare l’eccitazione dentro di me. C’erano tante cose che volevo dirgli, spiegargli. E tuttavia non sapevo cosa dire o perché avrei dovuto dirlo, sapevo solo che la pienezza di quella sensazione mi consolava fin quasi alle lacrime. Questo era ciò che avevo temuto di più.

«Non sapevo dove ci trovavamo in quel momento, ma nei miei vagabondaggi ero già passato di lì: una strada di antichi palazzi, di muri, di giardini e passaggi per le carrozze, torri e finestre impiombate sotto arcate di pietra. Case di altri secoli, alberi nodosi, quell’improvvisa tranquillità densa e silenziosa che significa che le folle sono chiuse fuori; un pugno di mortali abita questa vasta regione di stanze dagli alti soffitti; la pietra assorbe il suono dei respiri, lo spazio di intere vite.

«Ora Armami era in cima a un muro con un braccio appeso al ramo sporgente d’un albero, e l’altra mano protesa per prendermi; in un attimo fui accanto a lui, il fogliame bagnato mi sfiorava il viso. Sopra di me vidi un piano dopo l’altro salire in una torre solitaria, che a stento emergeva dalla scura pioggia. ‘Ascoltami; noi scaleremo quella torre’ diceva Armand.

«‘Non posso… è impossibile…!’

«‘Non hai neppure idea di quali siano i tuoi poteri. Puoi salire tranquillamente. Ricorda, se cadrai non ti ferirai. Fa’ come me. Ma sappi questo. Gli abitanti di questa casa mi conoscono da cent’anni e mi credono uno spirito; così, se ti dovessero vedere o tu li vedessi attraverso quelle finestre, ricorda che cosa credono che tu sia e non far mostra di averli notati per non deluderli o confonderli. Hai capito? Non corri alcun rischio’.

«Non sapevo bene che cosa mi spaventasse di più, se la scalata o l’idea di essere scambiato per uno spettro; ma non avevo tempo per abbandonarmi a oziosi sofismi. Armand aveva iniziato a salire, i suoi piedi trovavano le fessure tra le pietre, le sue mani erano salde come artigli nelle crepe; e io dietro di lui, rasente al muro, senza osare guardar giù, aggrappandomi per un attimo allo spesso arco intagliato di una finestra, intravedendo all’interno, al di sopra delle lingue d’un fuoco, una spalla scura, una mano che manovrava l’attizzatoio, una figura che si muoveva, ignorando d’essere osservata. Sparita. Ci arrampicavamo sempre più in alto, finché raggiungemmo la finestra della torre stessa, che Armand rapido spalancò. Le sue lunghe gambe sparirono sopra al davanzale; salii dopo di lui, sentendo il suo braccio cingermi le spalle.

«Sospirai mio malgrado, non appena mi trovai nella stanza, e mi massaggiai la parte posteriore delle braccia, esplorando con lo sguardo quel luogo strano e umido. I tetti scintillavano argentei sotto di noi, torrette spuntavano qua e là attraverso le cime gigantesche, fruscianti degli alberi; e lontano lontano brillava la catena spezzata di un boulevard illuminato. La stanza sembrava umida quanto la notte all’esterno. Armand stava facendo un fuoco.

«Da una pila ammuffita di mobili raccoglieva delle sedie, le rompeva agevolmente nonostante lo spessore dei loro pioli. C’era qualcosa di grottesco in lui, acuito dalla sua grazia e dalla calma imperturbabile del suo viso. Stava facendo quello che qualunque vampiro poteva fare, spezzava quei grossi pezzi di legno fino a ridurli in schegge, ma anche quello che solo un vampiro poteva fare. E non sembrava esservi nulla di umano in lui; persino i bei lineamenti e i capelli ramati diventavano gli attributi di un angelo terribile che aveva in comune con noi soltanto una somiglianza superficiale. Quella giacca era un miraggio. E sebbene mi sentissi attirato da lui, forse più di quanto fossi mai stato attirato da qualunque altra creatura tranne Claudia, Armand mi turbava in modi diversi, che assomigliavano alla paura. Non mi sorprese il fatto che, quando ebbe finito, mi apprestasse una pesante poltrona di quercia, ma che si ritirasse presso la mensola di marmo del caminetto a scaldarsi le mani sul fuoco, che gli gettava sul viso delle ombre rosse.

«‘Sento gli abitanti della casa’ gli dissi. Il calore era gradevole. Sentivo la pelle dei miei stivali asciugarsi, il tepore nelle mie dita.

«‘Allora sai che li sento anch’io’ rispose piano; e sebbene non vi fosse ombra di rimprovero nella sua voce, mi resi conto delle implicazioni delle mie parole.

«‘E se vengono?’ insistetti, studiandolo.

«‘Non capisci dal mio comportamento che non verranno?’ mi domandò. ‘Potremmo restare seduti qui tutta la notte senza mai parlare di loro. Ci tengo che tu sappia che se parliamo di loro è perché sei tu a volerlo’. Non risposi, e forse assunsi un’aria un poco sconfitta, allora Armand mi spiegò con dolcezza che molti anni prima avevano chiuso ermeticamente quella torre e l’avevano lasciata indisturbata; se pure avessero visto il fumo salire dal camino o la luce nella finestra, nessuno di loro si sarebbe avventurato lassù fino al giorno dopo.

«Vidi che c’erano molti scaffali di libri su un lato del caminetto, e uno scrittoio. I fogli sullo scrittoio erano avvizziti, ma c’era un calamaio e parecchie penne. Immaginavo che la stanza poteva essere un luogo molto accogliente quando non c’era il temporale, come in quel momento, o dopo che il fuoco aveva asciugato l’aria.

«‘Vedi’ disse Armand, ‘tu non hai alcun bisogno delle stanze che occupi all’albergo. In realtà quello che ti occorre è ben poco. Ma ciascuno di noi deve decidere che cosa vuole. Presso la gente di questa casa io sono famoso; gli incontri con me danno luogo a chiacchiere per vent’anni. Sono solo istanti isolati del mio tempo che non significano nulla. Non possono farmi del male, e io uso la loro casa per restare solo. Nessuno del Teatro dei Vampiri sa che vengo qui. È un mio segreto’.

«Ero stato a guardarlo parlare, e i pensieri che mi erano passati per la testa nella cella del teatro si ripresentarono. I vampiri non invecchiano, e io mi domandavo quanto il suo viso e le sue maniere giovanili di oggi potessero essere diversi da un secolo prima; perché il suo viso, seppur non segnato dalle lezioni della maturità, non era sicuramente una maschera. Era potentemente espressivo, come la sua voce discreta, ma non riuscivo a stabilire esattamente perché. Sapevo solo che ero violentemente attratto da lui; e in una certa misura le parole che ora gli dicevo erano un sotterfugio. ‘Ma che cosa ti trattiene al Teatro dei Vampiri?’ domandai.

«‘Un bisogno, naturalmente. Ma ho trovato ciò di cui ho bisogno’ rispose. ‘Perché mi sfuggi?’

«‘Non è vero’ risposi cercando di nascondere l’agitazione che queste parole produssero in me. ‘Io devo proteggere Claudia, che non ha nessun altro all’infuori di me. O perlomeno, non aveva nessun altro finché…’

«‘Finché Madeleine non è venuta a vivere con voi…’

«‘Sì…’

«‘Ma ora Claudia ti ha lasciato libero, eppure tu continui a stare con lei, resti legato a lei come alla tua amante’ continuò.

«‘No, non è affatto una mia amante; tu non capisci’ replicai. ‘Semmai è mia figlia, e non so se può lasciarmi libero…’ Erano pensieri su cui avevo riflettuto varie volte. ‘Non so se un figlio ha il potere di lasciar libero il genitore. Non so se non sarò legato a lei finché…’

«Mi fermai. Stavo per dire ‘finché morte non ci separi’. Ma mi resi conto che era un vuoto stereotipo mortale. Claudia sarebbe vissuta per sempre, come me. Ma non era lo stesso anche per i padri mortali? Le loro figlie vivono per sempre perché quei padri muoiono prima. Ero confuso; ma sempre conscio di come Armand ascoltava; lui ascoltava come noi sogniamo che gli altri ci ascoltino, pareva riflettere su tutto quel che dicevo. Non si precipitava a impossessarsi d’ogni mia minima pausa, a pretendere di aver capito i miei pensieri prima che finissi di esporli, o a ribattere seguendo un impulso immediato, irresistibile — tutte cose che rendono spesso impossibile il dialogo.

«Dopo un lungo intervallo Armand mi disse: ‘Io ti voglio. Ti voglio più d’ogni altra cosa al mondo’.

«Per un attimo non credetti alle mie orecchie. Mi pareva incredibile. Ne fui irreparabilmente disarmato, l’inesprimibile visione della nostra convivenza dilagò nella mia mente e cancellò ogni altra considerazione.

«‘Ho detto che ti voglio. Più d’ogni altra cosa al mondo’ ripeté, con un sottile cambiamento di espressione. E poi rimase ad aspettare, a guardare. Il suo viso era tranquillo come sempre, la sua fronte liscia, bianca sotto la massa dei capelli ramati, senza traccia di affanni, i suoi occhi grandi che mi studiavano, le sue labbra immobili.

«‘Tu vuoi questo da me, eppure da me non vieni’ continuò. ‘Ci sono cose che vuoi sapere, e non chiedi. Vedi che Claudia si sta allontanando lentamente da te, eppure sembri totalmente incapace di impedirlo; e poi vorresti affrettare questo processo, però non fai niente’.

«‘Io non capisco i miei sentimenti. Forse sono più chiari a te di quanto lo siano a me…’

«‘Non immagini neppure che mistero sei!’

«‘Ma almeno tu ti conosci fino in fondo. Io non posso dire altrettanto. Io la amo, eppure non le sono vicino. Voglio dire che quando sono con te, come ora, io so di non sapere niente di lei, niente di nessuno’.

«‘Per te, lei è un’epoca, un’epoca della tua vita. Se e quando romperai con lei, romperai con la sola persona viva che ha diviso con te tutto questo tempo. Tu temi questo, l’isolamento, il fardello, la libertà d’azione della vita eterna’.

«‘Sì, è vero, ma è solo una piccola parte della verità. Quest’epoca non significa molto per me. È stata lei a far sì che significasse qualcosa. Altri vampiri devono aver vissuto il passaggio di un’epoca ed essere sopravvissuti, di un centinaio di epoche’.

«‘Ma non sono sopravvissuti’ rispose. ‘Il mondo sarebbe intasato di vampiri se fossero sopravvissuti. Come credi che sia arrivato a essere il più vecchio, qui come in qualunque altro posto?’

«Ci riflettei. Poi azzardai: ‘Sono morti di morte violenta?’

«‘No, quasi mai. Non è necessario. Quanti vampiri credi che abbiano la tempra per l’immortalità? Tanto per cominciare, molti hanno dell’immortalità una concezione estremamente squallida. Perché diventando immortali vogliono che tutte le forme della loro vita vengano fissate così come sono e rimangano incorruttibili: carrozze della stessa foggia immutata e affidabile, abiti con il taglio che si addiceva alla loro giovinezza, uomini che si abbigliano e parlano nel modo che hanno sempre capito e apprezzato. Quando, in realtà, tutte queste cose cambiano, tranne il vampiro stesso; ogni cosa, eccetto il vampiro, è soggetta a costante corruzione e alterazione. Presto, se si ha una mentalità rigida, e spesso anche quand’è elastica, l’immortalità diventa una detenzione in un manicomio di figure e di forme irrimediabilmente incomprensibili e prive di valore. Una sera un vampiro si alza e si rende conto di ciò che ha temuto forse per decenni: semplicemente che non vuoi più saperne di vivere, a nessun costo. Che qualunque stile o modo o forma di esistenza che gli aveva reso piacevole l’immortalità è stato spazzato via dalla faccia della terra. E che non resta altra fuga dalla disperazione che l’atto di uccidere. E quel vampiro va a morire. Nessuno troverà i suoi resti. Nessuno saprà dov’è andato. E spesso nessuno di quelli che gli sono vicini — sempre che ancora cercasse la compagnia di altri vampiri — nessuno saprà che versa nella disperazione. Avrà cessato da molto tempo di parlare di se stesso o di qualunque cosa. Svanirà’.

«M’abbandonai nella poltrona, impressionato da quell’ovvia verità, e tuttavia, al tempo stesso, ogni cosa dentro me si rivoltava contro quella prospettiva. Mi resi conto della profondità della mia speranza e del mio terrore; di come questi sentimenti fossero diversissimi dall’alienazione che aveva descritto, diversissimi da quell’orribile disperazione distruttiva. C’era qualcosa di immorale e di repellente in quella disperazione. Non la potevo accettare.

«‘Ma tu non ti lasceresti mai vincere da un simile stato d’animo’ mi trovai a rispondergli. ‘Se anche non restasse più una sola opera d’arte al mondo… e ce ne sono migliaia… se non ci fosse più una sola bellezza naturale… se il mondo si riducesse a una sola cella vuota e una sola fragile candela, non posso fare a meno di vederti là a studiare quella candela, assorto nel tremolio della sua luce, nel cambiamento dei suoi colori… per quanto tempo potrebbe sorreggerti… che possibilità potrebbe creare? Mi sbaglio? Sono un pazzo idealista?’

«‘No’ rispose Armand. Un breve sorriso apparve sulle sue labbra, un’evanescente vampa di piacere, poi continuò con semplicità. ‘Ma tu senti un impegno verso un mondo che ami perché per te questo mondo è ancora intatto. È anche possibile che la tua stessa sensibilità diventi strumento di follia. Tu parli di opere d’arte e di bellezza naturale. Vorrei avere il potere artistico di far rivivere per te la Venezia del quindicesimo secolo, il palazzo del mio padrone, l’amore che provavo per lui quand’ero un ragazzo mortale e l’amore che lui provava per me quando mi fece vampiro. Oh, se solo potessi riportare in vita quei tempi, per te o per me… solo per un istante! A che servirebbe? E quanto è triste che il tempo non sbiadisca il ricordo di quel periodo, ch’esso diventi sempre più ricco e incantato alla luce del mondo che vedo oggi’.

«‘Amore?’ domandai. ‘C’era amore tra te e il vampiro che ti fece?’ Mi protesi in avanti.

«‘Sì’ confermò. ‘Un amore tanto forte che lui non poteva lasciarmi invecchiare e morire. Un amore che attese pazientemente finché io fui abbastanza forte da poter nascere alle tenebre. Vuoi dirmi che non c’era nessun legame d’amore tra te e il vampiro che ti ha fatto?’

«‘Nessuno’ risposi immediatamente. Non riuscii a reprimere un sorriso amaro.

«Lui mi studiò. ‘Perché allora ti diede questi poteri?’ domandò.

«Mi lasciai cadere contro lo schienale della poltrona. ‘Tu vedi questi poteri come un dono!’ esclamai. ‘Naturalmente. Perdonami, ma mi stupisce come tu, nella tua complessità, riesca a essere così profondamente ingenuo’. E risi.

«‘Dovrei considerarlo un insulto?’ sorrise. E tutto il suo comportamento mi confermò quel che avevo appena detto. Sembrava così innocente. Ero ancora lontano dal comprenderlo.

«‘No, non da me’ gli dissi, e guardandolo il mio polso accelerò. ‘Tu sei tutto quel che io sognavo quando sono diventato un vampiro. Tu vedi questi poteri come un dono!’ ripetei. ‘Ma dimmi… provi ancora amore per quel vampiro che ti diede la vita eterna? Lo provi, ora?’

«Sembrò riflettere, poi rispose lentamente: ‘Che importanza può avere?’ Ma continuò. ‘Non credo d’aver avuto la fortuna di provare amore per molte persone o cose. Ma sì, io lo amo. Forse non nel modo che intendi tu. Mi fai confondere, e con una certa facilità. Tu sei un mistero. Ma non ho più bisogno di quel vampiro’.

«‘Mi fu donata la vita eterna, una percezione superiore, e il bisogno di uccidere’ spiegai velocemente, ‘perché il vampiro che mi fece voleva la casa che possedevo e il mio denaro. Riesci a capire una cosa del genere?’ domandai. ‘Ah, ma ci sono molte altre cose dietro a quello che dico. Sto arrivando a conoscerle così lentamente, così parzialmente! È come se tu mi avessi sfondato una porta e la luce si riversasse fuori dalla breccia, e io ardo dal desiderio di prenderla, di spingerla indietro, di entrare nella regione che tu dici che esiste al di là. Quando in realtà io non ci credo! Il vampiro che mi ha fatto era tutto ciò che io sinceramente credevo essere il male: squallido, prosaico, arido, e irrimediabilmente ed eternamente deludente, come io credevo che dovesse essere il male! Ora lo so per certo. Ma tu, tu sei qualcosa di completamente diverso! Apri la porta per me, spalancala. Raccontami di questo palazzo di Venezia, di questa storia d’amore con la dannazione. Voglio capire’.

«‘Tu inganni te stesso. Il palazzo non significa niente per te’ disse. ‘La porta che vedi conduce a me, ora. Al fatto che tu venga a vivere con me, così come sono. Io sono il male, con infinite sfumature e senza colpa’.

«‘Sì, esattamente’ mormorai.

«‘E questo ti rende infelice’ proseguì. ‘Tu, che sei venuto a trovarmi nella mia cella e hai detto che resta un solo peccato, la soppressione volontaria d’una vita umana innocente’.

«‘Sì…’ ammisi. ‘Chissà come avrai riso di me…’

«‘Non ho mai riso di te. Non posso permettermi di ridere di te. È attraverso di te che posso salvarmi dalla disperazione che ti ho descritto come la nostra morte, attraverso di te che devo crearmi un legame con questo diciannovesimo secolo, arrivare a capirlo in un modo che mi rivitalizzi, cosa di cui ho un disperato bisogno. È per aspettare te che sono rimasto al Teatro dei Vampiri. Se avessi conosciuto un mortale con la tua sensibilità, il tuo dolore, la tua lucidità, ne avrei fatto immediatamente un vampiro. Ma capita assai di rado. No, ho dovuto aspettare il tuo arrivo. E ora mi batterò per averti. Vedi quanto sono spietato in amore? È questo che intendevi per amore?’

«‘Oh, ma commetteresti un terribile errore’ replicai, guardandolo negli occhi. Le sue parole si stavano imprimendo nella mia mente a poco a poco. Non avevo mai sentito la mia frustrazione devastatrice con tanta evidenza. Non era pensabile che potessi soddisfarlo. Non ero capace di soddisfare Claudia. Non ero mai stato capace di soddisfare Lestat. E il mio fratello mortale, Paul: con che meschinità, che mortale meschinità l’avevo deluso!

«‘No. Io devo entrare in contatto con quest’epoca’ insistette con tono calmo. ‘E posso farlo grazie a te… non per imparare da te delle cose che posso vedere in una galleria d’arte o leggere nei libri più densi… tu sei lo spirito, tu sei il cuore’.

«‘No, no’. Levai di scatto le mani. Ero sul punto di scoppiare in una risata amara, isterica. ‘Non capisci? Io non sono lo spirito di nessuna epoca. Sono in lotta contro tutto e lo sono sempre stato. Non ho mai avuto legami con nessun posto, con nessuno, in nessun momento!’ Era troppo penoso, troppo vero.

«Ma per tutta reazione il suo viso s’illuminò d’un sorriso irresistibile. Sembrava che stesse per ridermi in faccia, poi le sue spalle si scossero di questa risata. ‘Ma Louis’ disse piano. ‘E proprio questo lo spirito del tuo tempo. Non capisci? Tutti provano quello che provi tu. La tua caduta dalla grazia e dalla fede è la caduta di un secolo’.

«Fui così colpito da quest’osservazione che rimasi immobile con lo sguardo fisso sul fuoco. Aveva quasi consumato il legno, e covava sotto un deserto di cenere un paesaggio grigio e rosso che sarebbe crollato al tocco dell’attizzatoio. Ma era ancora molto caldo e mandava una luce potente. Vidi in un attimo tutta la mia vita.

«‘E i vampiri del teatro…’ domandai a voce bassa.

«‘Riflettono l’epoca in un cinismo che non può comprendere la morte delle possibilità; un fatuo, sofisticato indulgere alla parodia del miracoloso; una decadenza il cui estremo rifugio è la presa in giro di se stessi; una manierata disperazione. Li hai visti; li conosci da sempre. Tu rifletti la tua età in modo diverso. Tu rifletti il suo cuore spezzato’.

«‘Ma questa è infelicità. Un’infelicità che non puoi neanche immaginare’.

«‘Non ne dubito. Dimmi cosa provi adesso, cosa ti rende infelice. Dimmi perché per sette giorni non sei venuto da me, sebbene ardessi dal desiderio di farlo. Dimmi che cosa ti trattiene ancora con Claudia e con l’altra donna’.

«Scossi la testa. ‘Tu non sai che cosa domandi. Vedi, per me è stato immensamente difficile trasformare Madeleine in vampiro. Ho dovuto rompere un giuramento con me stesso che mai l’avrei fatto, che la mia solitudine non m’avrebbe mai spinto a farlo. Non vedo la nostra vita come poteri e doni. La vedo come una maledizione. Non ho il coraggio di morire. Ma creare un altro vampiro! Allargare a un altro questa sofferenza, condannare a morte tutti quegli uomini e quelle donne che il vampiro dovrà uccidere. Ho rotto un grave giuramento. E nel fare questo…’

«‘Ma se ti può consolare… avrai capito di sicuro che ho avuto la mia parte in questa decisione’.

«‘Che l’ho fatto per liberarmi da Claudia, per essere libero di venire da te… sì, questo lo so. Ma io ne ho la responsabilità ultima!’

«‘No. Voglio dire, direttamente. Sono io che te l’ho fatto fare! Io ero vicino a te quella notte. Esercitai tutto il mio potere per persuaderti a farlo. Non lo sapevi?’

«‘No’.

«Chinai il capo.

«‘Avrei fatto io un vampiro di questa donna’ mormorò. ‘Ma pensavo che fosse meglio farlo fare a te. Altrimenti non avresti mai rinunciato a Claudia. Dovevi sapere di volerlo…’

«‘Aborrisco ciò che ho fatto!’

«‘Allora aborrisci me, non te stesso’.

«‘No. Non hai capito. Hai quasi distrutto quello che stimi in me. Ti ho resistito con tutte le mie forze senza neppure sapere ch’era il tuo potere ad agire su di me. Qualcosa in me per poco non è morta. La passione è quasi morta. Fui quasi distrutto quando Madeleine fu creata!’

«‘Ma questa cosa non è più morta, questa passione, questa umanità, comunque tu voglia chiamarla. Se non fosse viva, ora non ci sarebbero lacrime nei tuoi occhi. Non ci sarebbe collera nella tua voce’.

«Per un istante non potei rispondere. Riuscii solo ad annuire. Poi mi sforzai di parlare nuovamente. ‘Non devi mai costringermi a fare qualcosa contro la mia volontà! Non devi mai esercitare un simile potere…’ balbettai.

«‘No’ convenne immediatamente. ‘Non devo. Il mio potere si arresta a un certo punto dentro di te, a una certa soglia. Di lì in poi non ho più alcun potere. Comunque… questa creazione di Madeleine è fatta. Tu sei libero’.

«‘E tu sei soddisfatto’ ribattei io, riprendendo il controllo su me stesso. ‘Non intendo essere duro. Tu mi hai. Io ti amo. Ma sono sconcertato. Sei soddisfatto?’

«‘Come potrei non esserlo? Sono soddisfatto, certo’.

«Mi alzai e andai alla finestra. L’ultima brace stava morendo. La luce cominciava a ingrigire il cielo. Armand mi seguì al davanzale. Sentivo la sua presenza accanto a me; i miei occhi si abituavano sempre più alla luminosità del cielo, e ora riuscivo a vedere il suo profilo e il suo occhio contro la pioggia che cadeva. Il suono della pioggia era dappertutto e ovunque diverso: scorreva nella grondaia sotto il tetto, picchiettava sulle assicelle, cadeva dolcemente attraverso gli strati scintillanti dei rami degli alberi, schizzava sul davanzale di pietra davanti alle mie mani. Un dolce miscuglio di suoni che inzuppava e colorava tutta la notte.

«‘Mi perdoni… per averti forzato, con quella donna?’ mi domandò.

«‘Non hai bisogno del mio perdono’.

«‘Ne hai bisogno tu’ ribattè. ‘E perciò anch’io’. Sul suo viso regnava una calma assoluta.

«‘Si prenderà cura di Claudia? Resisterà?’ domandai.

«‘È perfetta. Pazza; ma per questi giorni è perfetta. Si prenderà cura di Claudia. Non è mai vissuta da sola neppure un secondo della sua vita; le è naturale essere devota ai suoi compagni. Non ha bisogno di ragioni particolari per amare Claudia. E poi, al di là dei suoi bisogni, le ragioni particolari ci sono. La bellezza di Claudia, la sua tranquillità, il suo controllo. Stanno perfettamente insieme. Ma io penso… che al più presto dovrebbero lasciare Parigi’.

«‘Perché?’

«‘Il perché lo sai: Santiago e gli altri vampiri le guardano con sospetto. Tutti i vampiri hanno visto Madeleine: la temono perché lei sa di loro e loro non sanno niente di lei. Non lasciano mai in pace chi sa di loro’.

«‘E il ragazzo, Denis? Che intendi fare con lui?’

«‘È morto’ rispose.

«Ero allibito. Sia per le sue parole che per la sua calma. ‘L’hai ucciso?’ farfugliai.

«Annuì. E non disse nulla. Ma i suoi grandi occhi scuri sembravano incantati da me, dall’emozione, dallo sconvolgimento che non tentavo di dissimulare. Il suo dolce, sottile sorriso sembrava trascinarmi vicino a lui; le sue mani si chiusero sulle mie sul davanzale bagnato e io sentii il mio corpo girarsi per mettersi di fronte a lui, avvicinarsi a lui, come se fosse lui a muovermi e non io stesso. ‘Meglio così’ mi concedette benevolmente. ‘Ora dobbiamo andare…’ E diede un’occhiata alla strada.

«‘Armand’ dissi. ‘Io non posso…’

«‘Louis, seguimi’ sussurrò. E poi, sul davanzale, si fermò. ‘Anche se tu dovessi cadere sul selciato laggiù’ disse, ‘ti faresti male solo per poco. Guariresti così rapidamente e perfettamente che in pochi giorni non ti rimarrebbe più alcun segno, le tue ossa e la tua pelle guarirebbero insieme; perciò lascia che questa conoscenza ti renda libero di fare quanto già sai fare con tanta facilità. Scendi, ora’.

«‘Che cosa può uccidermi?’ domandai.

«Si fermò di nuovo. ‘La distruzione dei tuoi resti’ disse. ‘Non lo sai questo? Il fuoco, lo smembramento… il calore del sole. Nient’altro. Ti possono restare delle cicatrici, sì; ma sei elastico. Sei immortale’.

«Guardavo giù nell’oscurità attraverso la quieta pioggia d’argento. Poi una luce tremolò al di sotto dei grossi rami che s’agitavano, e i pallidi raggi che emanava illuminarono la strada. Il selciato bagnato, il gancio di ferro del campanello sul deposito delle carrozze, i rampicanti abbarbicati al muro. La grossa carcassa nera d’una carrozza sfiorò i rampicanti, poi la luce s’indebolì, la strada trascolorò dal giallo all’argento e svanì completamente, come se gli alberi scuri l’avessero ingoiata. O meglio, come se fosse stata rapita dalle tenebre. Mi girava la testa. Sentivo muoversi tutta la casa. Armand era seduto sul davanzale e mi guardava.

«‘Louis, vieni con me stanotte’ sussurrò improvvisamente, con leggera insistenza.

«‘No’ risposi dolcemente. ‘È troppo presto. Non posso ancora abbandonarle’.

«Lo vidi girare la testa e guardare il cielo grigio. Mi sembrò che sospirasse, ma non lo sentii. Sentii la sua mano chiudersi sulla mia sul davanzale. ‘Va bene…’ mormorò.

«‘Ancora un po’ di tempo…’ dissi. Lui annuì e mi sfiorò la mano come a dire che andava tutto bene. Fece ondeggiare le gambe e sparì. Per un attimo esitai, schernito dal battito violento del mio cuore. Ma poi scavalcai il davanzale e, lo seguii senza mai osare guardar giù».


«Mancava molto poco all’alba quando infilai la chiave nella toppa all’albergo. La luce a gas sfolgorava lungo le pareti. E Madeleine, con l’ago e il filo in mano, s’era addormentata presso il caminetto. Claudia era in piedi, immobile, e mi guardava tra le felci della finestra, in ombra. Aveva in mano la spazzola. I suoi capelli brillavano.

«Provai una specie di choc, come se tutti i piaceri e i turbamenti sensuali di quelle stanze mi attraversassero in un’onda e il mio corpo ne venisse permeato. Era tutto così diverso dall’incanto di Armand e della torre dov’ero stato. C’era qualcosa di confortante, qui, e di inquietante. Cercai la mia poltrona. Mi ci sedetti, con le mani sulle tempie. E poi sentii Claudia vicino a me, le sue labbra sulla mia fronte.

«‘Sei stato con Armand’ disse. ‘Vuoi andare con lui’.

«La guardai. Com’era dolce e bello il suo viso e, improvvisamente, com’era mio. Non provai alcun rimorso cedendo al bisogno di toccare le sue guance, di sfiorarle leggermente le palpebre — familiarità, libertà che non mi prendevo con lei dalla notte del nostro litigio. ‘Ci vedremo ancora; non qui, in altri posti. Saprò sempre dove sei!’ le risposi.

«Mi buttò le braccia al collo. Mi strinse forte, io chiusi gli occhi e seppellii il viso nei suoi capelli. Le coprivo il collo di baci. La tenevo per le braccine rotondette e sode. Le baciavo la morbida insenatura della carne nella piega delle braccia, i polsi, le palme aperte. Sentivo le sue dita carezzarmi i capelli, il viso. ‘Qualunque cosa tu desideri’ promise. ‘Qualunque cosa tu desideri’.

«‘Sei felice? Hai quello che vuoi?’ le domandai implorante.

«‘Sì, Louis’. Mi stringeva al suo vestito, premendomi la nuca con le dita. ‘Ho tutto ciò che voglio. Ma tu sai veramente ciò che vuoi?’ Mi sollevò il viso, di modo che dovetti guardarla negli occhi. ‘È per te che ho paura, paura che tu stia commettendo un errore fatale. Perché non lasci Parigi con noi!’ disse improvvisamente. ‘Abbiamo tutto il mondo, vieni con noi!’

«‘No!’ Mi tirai indietro. ‘Tu vuoi che sia come era con Lestat. Non può più essere così, mai più. Non lo sarà’.

«‘Sarà nuovo e diverso con Madeleine. Non voglio che sia come allora. Sono stata io a farlo finire’ disse. ‘Ma tu capisci veramente a che cosa vai incontro con Armand?’

«Le voltai le spalle. C’era qualcosa di testardo e di misterioso nella sua avversione per lui, nella sua incapacità di capirlo. Avrebbe detto ancora che Armand desiderava la sua morte, cosa alla quale non credevo. Lei non si rendeva conto di una cosa che io avevo capito: lui non poteva volere la sua morte, perché io non la volevo. Ma come potevo spiegarglielo senza apparire presuntuoso e cieco nel mio amore per lui? ‘E destino che sia così. È quasi una specie di ordine’ dissi, come se me ne rendessi conto solo in quel momento, sotto la pressione dei suoi dubbi. ‘Lui solo può darmi la forza di essere ciò che sono. Non posso continuare a vivere diviso e consumato dall’infelicità. O andrò con lui, o morirò. E c’è qualcos’altro, che è irrazionale, che non si può spiegare e che convince solo me…’

«‘…e cioè?’ domandò lei.

«‘Che lo amo’ risposi.

«‘Ah, senza dubbio’ riflette. ‘Ma d’altra parte potresti amare anche me’.

«‘Claudia, Claudia’ l’attirai a me e sentii il suo peso sul mio ginocchio. Lei si strinse al mio petto.

«‘Spero solo che quando avrai bisogno di me tu riesca a trovarmi…’ sussurrò. ‘Che io possa tornare da te… così spesso t’ho fatto del male. Ti ho fatto tanto soffrire…’ Le uscivano a stento le parole. Restò immobile contro di me. Sentivo il suo peso e pensavo: ‘Tra poco non l’avrò più’. Desideravo solo stringerla. Avevo sempre trovato tanto piacere in quella semplice cosa. Il suo peso addosso a me, quella mano appoggiata al mio collo.

«Mi parve che una lampada si spegnesse da qualche parte. Che dall’aria fredda e umida, all’improvviso e senza rumore, quella luce venisse portata via. Ero al confine del sogno. Se fossi stato mortale, sarei stato felice di addormentarmi così. E in quel piacevole stato di sonnolenza ebbi una strana, vecchia sensazione da mortale: che il sole m’avrebbe risvegliato dolcemente più tardi e che avrei avuto la ricca, consueta visione delle felci nel sole e del sole sulle goccioline di pioggia. Mi abbandonai a quella sensazione. Socchiusi gli occhi.

«Molte volte, dopo, cercai di ricordare quei momenti. Ricordare cosa fu esattamente in quelle stanze, nel nostro riposo, che incominciò a disturbarmi, che avrebbe dovuto disturbarmi. Come avvenne che, avendo abbassato la guardia, fossi diventato insensibile ai soliti cambiamenti che dovettero prodursi. Molto tempo dopo, pesto, spogliato e amareggiato più di quanto mi sarei potuto sognare nei miei peggiori incubi, riandai attentamente a quei momenti, quei sonnolenti, tranquilli momenti che s’avvicinavano al mattino, quando l’orologio ticchettava quasi impercettibile sulla mensola del camino e il cielo si faceva sempre più pallido; e tutto ciò che riuscivo a ricordare — nonostante la disperazione con cui cercavo di prolungare e fissare quel momento — tutto ciò che riuscivo a ricordare era il tenue cambiamento della luce.

«Fossi stato all’erta, non avrei mai lasciato che accadesse. Ingannato da preoccupazioni più grandi, non lo notai affatto. Una lampada spenta, una candela soffocata dal tremolio della sua pozza bollente di cera. Attraverso le palpebre semichiuse, ebbi la sensazione dell’incombente oscurità, di essere imprigionato nelle tenebre.

«E poi aprii gli occhi, senza pensare più a lampade né a candele. Ed era troppo tardi. Ricordo ch’ero in piedi, la mano di Claudia scivolava sul mio braccio, e ricordo la visione di una schiera di uomini e donne vestiti di nero che attraversavano le stanze, i loro abiti parevano raccogliere la luce da ogni bordo dorato o superficie laccata, parevano prosciugarla tutta. Lanciai un grido non appena li vidi, gridai per avvertire Madeleine; la vidi svegliarsi di soprassalto, una novizia terrorizzata che si afferrava al bracciolo della poltrona, poi cadeva in ginocchio, facile preda. Santiago e Celeste venivano verso di noi, e dietro loro Estelle e altri di cui ignoravo il nome che riempivano gli specchi e si accalcavano a formare muri di ombra mobile, minacciosa. Gridai a Claudia di fuggire, spalancando la porta. La spinsi per la porta, poi mi allungai per proteggere l’uscita, tirando calci contro Santiago che era sopraggiunto.

«La debole difesa che gli avevo opposto nel Quartiere latino non era nulla a paragone della forza che possedevo ormai. Forse ero troppo indebolito nell’animo per poter combattere con convinzione per difendere me stesso, ma l’istinto di proteggere Madeleine e Claudia era troppo potente. Ricordo d’aver respinto Santiago con un calcio e poi d’aver colpito la bella, vigorosa Celeste, che cercava di superarmi. I piedi di Claudia risuonavano sulla lontana scala di marmo. Celeste barcollava, mi ghermiva, m’afferrava e mi graffiava il viso fino a farmi colare il sangue sul colletto. Lo vedevo luccicare con la coda dell’occhio. Ora ero avvinghiato a Santiago, mi rotolavo con lui, conscio della forza spaventosa delle braccia che mi tenevano, delle mani che cercavano di stringermi la gola. ‘Battiti, Madeleine’ gridai. Ma sentivo solo i suoi singhiozzi. Poi la vidi in un gorgo, smarrita, rigida, terrorizzata, circondata da altri vampiri. Ridevano di quel riso vuoto dei vampiri simile a campane d’argento. Santiago si portò le mani al viso. I miei denti gli avevano cavato sangue. Gli colpivo il petto, la testa, il dolore mi bruciava dentro il braccio, mi sentii stringere il petto da due braccia, mi liberai, udii il fragore del vetro rotto dietro di me. Ma qualcos’altro, qualcun altro m’attanagliava un braccio e mi tirava con forza e tenacia.

«Non ricordo quando mi vennero meno le forze. Né ricordo un momento preciso in cui qualcuno mi battè. Rammento solo d’essere stato schiacciato dal numero. Irrimediabilmente fui immobilizzato, circondato e trascinato fuori dall’appartamento. Fui spinto lungo il corridoio dalla calca dei vampiri; e poi caddi dagli scalini, mi trovai libero per un attimo davanti alle strette porte di servizio dell’albergo, ma solo per essere circondato nuovamente e tenuto stretto. Vedevo il viso di Celeste molto vicino al mio e, se avessi potuto, l’avrei ferita coi denti. Perdevo molto sangue, e mi stringevano così forte un polso che non avevo più sensibilità in quella mano. Madeleine era vicina a me e non aveva smesso di piangere. Fummo caricati in una carrozza. Mi colpirono ripetutamente, ma ancora non persi conoscenza. Ricordo che mi aggrappavo tenacemente ai miei sensi, sentivo quei colpi dietro la testa, sentivo la testa bagnata di sangue che mi gocciolava giù per il collo, mentre giacevo sul fondo della carrozza. Pensavo soltanto: ‘Riesco a sentire il movimento della carrozza; sono vivo; sono cosciente’.

«E non appena fummo trascinati dentro il Teatro dei Vampiri, mi misi a gridare il nome di Armand.

«Mi lasciarono andare. Vacillai sui gradini del sotterraneo, circondato davanti e dietro da quell’orda che mi spingeva con mani minacciose. A un certo punto afferrai Celeste, lei urlò, e qualcuno mi colpì da dietro.

«E poi vidi Lestat: il colpo più atroce. Lestat, al centro della sala da ballo, diritto, coi grigi occhi acuti e penetranti e la bocca che si distendeva in un grazioso sorriso. Era vestito in modo impeccabile, come sempre, splendido nell’ampio mantello nero e nei lini finissimi; ma le cicatrici solcavano ancora ogni centimetro della sua bianca carne. E come alteravano il bel viso teso, quei fili duri e sottili che incidevano la pelle delicata sopra alle labbra, sulle palpebre, sulla liscia convessità della fronte. E gli occhi gli bruciavano di un’ira muta che pareva infusa di vanità, una spaventosa, inesorabile vanità che diceva: ‘Vedi che cosa sono!’

«‘È lui?’ chiese Santiago, spingendomi avanti.

«Ma Lestat si girò con violenza verso di lui e gli sibilò con voce aspra e bassa: ‘Ti ho detto che volevo Claudia, la bambina! È stata lei!’ Vidi la sua testa muoversi involontariamente con quello scoppio d’ira e la sua mano protendersi come se volesse afferrarsi al bracciolo di una poltrona, ma si richiuse subito e Lestat si riprese, guardandomi.

«‘Lestat’ incominciai, intravedendo ormai le poche possibilità che mi restavano. ‘Tu sei vivo! Hai la tua vita! Racconta loro come ci hai trattato…’

«‘No’ scosse furiosamente la testa. ‘Ritornerai da me, Louis’ disse.

«Per un attimo non potei credere alle mie orecchie. Dentro di me, la mia parte più saggia, più disperata implorò: ‘Cerca di trattare con lui’ nel momento stesso in cui una risata sinistra sgorgò dalle mie labbra. ‘Tu sei pazzo!’

«‘Ti restituirò la tua vita! ‘ esclamò, e le palpebre gli tremavano per lo sforzo di quelle parole, il petto si gonfiava, quella mano si tendeva nuovamente e si chiudeva impotente nel buio. ‘Me l’hai promesso’ disse a Santiago, ‘che avrei potuto riportarlo con me a New Orleans’. Mosse lo sguardo dall’uno all’altro dei vampiri che ci circondavano; il suo respiro divenne un rantolo furibondo, infine proruppe: ‘Claudia, dov’è? È lei, è stata lei, te l’ho detto!’

«‘Tra un momento’ rispose Santiago. E quando fece per toccare Lestat, questi si ritrasse e mancò poco che perdesse l’equilibrio. Aveva trovato il bracciolo della poltrona e vi si afferrò saldamente, con gli occhi chiusi, finché non riprese il controllo.

«‘Ma lui l’ha aiutata, ha collaborato con lei…’ balbettò Santiago, avvicinandosi a lui. Lestat lo guardò.

«‘No’ rispose. ‘Louis, devi tornare da me. C’è qualcosa che devo dirti… di quella notte nella palude’. Ma poi si fermò e di nuovo si guardò intorno, con lo sguardo di chi è intrappolato, ferito, disperato.

«‘Ascoltami, Lestat’ incominciai. ‘Tu lasciala andare, lasciala libera… e io… io tornerò da te’. Le mie parole suonarono vuote, metalliche. Cercai di fare un passo verso di lui, di rendere i miei occhi duri e indecifrabili, di sentire il mio potere emanarne come due raggi di luce. Lestat mi guardava, mi studiava, lottando incessantemente con la sua fragilità. E Celeste mi teneva il polso. ‘Devi dirglielo’ continuai, ‘come ci hai trattato; che non conoscevamo le leggi; che lei non sapeva che esistessero altri vampiri’ dissi. E continuavo a pensare, mentre quella voce meccanica usciva dalle mie labbra: ‘Armand deve ritornare stanotte, Armand deve ritornare. Lui li farà smettere, non lascerà che questa cosa continui’.

«Sentii il rumore di qualcosa che si trascinava sul pavimento. Sentii il pianto sfinito di Madeleine. Mi guardai intorno e la vidi in una poltrona: quando vide i miei occhi su di lei, il suo terrore parve aumentare. Cercò d’alzarsi, ma glielo impedirono. ‘Lestat’ dissi. ‘Che vuoi da me? Ti darò tutto quello che…’

«E in quell’istante vidi che cosa produceva quel rumore. Anche Lestat la vide. Era una bara con grosse serrature di ferro che veniva trascinata nella stanza. Capii subito. ‘Dov’è Armand?’ domandai disperato.

«‘È stata lei, Louis. E stata lei. Tu non c’entri. È lei che deve morire!’ disse Lestat; la sua voce era sottile, stridula, come se parlare gli costasse fatica. ‘Portate via quella cosa, lui viene con me’ gridò furioso a Santiago. E Santiago rise, Celeste rise, e la risata sembrò contagiarli tutti.

«‘Me l’avete promesso’ insistette Lestat.

«‘Io non ti ho promesso niente’ rispose Santiago.

«‘T’hanno preso in giro’ gli dissi amaramente mentre quelli aprivano la cassa. ‘Ti hanno gabbato! Devi trovare Armand, Armand è il capo qua dentro’ esplosi. Ma sembrava non capire.

«Ciò che accadde in seguito fu orribile, confuso e disperato: io sferravo calci, lottavo per liberarmi le braccia, gridavo che Armand li avrebbe fatti smettere, che non osassero fare del male a Claudia. E tuttavia mi misero a forza nella bara, i miei sforzi frenetici non servirono a nulla, solo a isolare la mia mente dalle grida di Madeleine, dalle sue orribili grida lamentose, e dal terrore che da un momento all’altro vi si sarebbero potute aggiungere le grida di Claudia. Ricordo d’aver lottato contro il coperchio che mi schiacciava, di averlo tenuto fermo per un istante prima che l’abbassassero a forza su di me e le serrature venissero chiuse in uno stridore di metallo e di chiavi. Mi tornarono in mente parole di molti anni prima, di un Lestat stridulo e sorridente in quel luogo remoto e immune da preoccupazioni dove noi tre avevamo litigato. ‘Una bambina affamata è uno spettacolo spaventoso… un vampiro affamato è anche peggio. Sentirebbero le sue grida fino a Parigi’. Il mio corpo bagnato e tremante si afflosciò nella bara soffocante e mi dissi: ‘Armand non lo permetterà; non c’è un posto abbastanza sicuro dove possano metterci’.

«La bara fu sollevata, udii uno scalpiccio di stivali, mi sentii oscillare da una parte e dall’altra; con le braccia puntellate contro i fianchi della cassa, chiusi gli occhi forse per un attimo, non so. Mi dissi di non toccare i fianchi della cassa, non misurare il sottile margine di aria tra la mia faccia e il coperchio. Sentii la bara inclinarsi quando raggiunsero i gradini. Vanamente cercavo di decifrare le grida di Madeleine, poiché mi sembrava che invocasse Claudia, che la chiamasse, come se ci potesse aiutare. ‘Chiama Armand: deve tornare a casa stanotte’ pensavo disperatamente. E soltanto il pensiero della terribile umiliazione di sentire il mio grido sepolto con me invadermi le orecchie e restare prigioniero, m’impedì di gridare.

«Ma un altro pensiero mi aveva assalito, nel momento stesso in cui avevo formulato quelle parole: ‘E se non venisse? E se, nascosta da qualche parte in quel palazzo, avesse una bara a cui è tornato…?’ E allora mi parve che il mio corpo si liberasse improvvisamente, imprevedibilmente, dal controllo della mia mente, e battei contro il legno che mi circondava, sforzandomi di rigirarmi e scatenare la forza della mia schiena contro il coperchio della bara. Ma non riuscii: era troppo vicino. La mia testa ricadde all’indietro sulle assi, e il sudore mi inondò la schiena e i fianchi.

«Le grida di Madeleine si erano spente. Sentivo solo il rumore degli stivali e del mio respiro. ‘Comunque, domani notte ritornerà — sì, domani notte — e glielo diranno, e lui ci troverà e ci libererà’.

«La bara oscillava. Il profumo dell’acqua mi riempì le narici, la sua freschezza mi giunse palpabile attraverso il calore soffocante della bara; e poi, con l’odore dell’acqua, arrivò anche l’odore della terra profonda. La bara fu posata rudemente, le membra mi dolevano, mi sfregavo il dorso delle braccia con le mani, cercando disperatamente di non toccare il coperchio per non sentire com’era vicino, spaventato dalla mia stessa paura che stava diventando panico, terrore.

«Pensavo che ormai se ne sarebbero andati, e invece no. Erano vicini e indaffarati, e un altro odore m’arrivò alle narici, un odore crudo e sconosciuto. Ma poi mi resi conto che posavano dei mattoni e che quello era l’odore del cemento. Lentamente, cautamente, sollevai la mano per detergermi il viso. ‘Benissimo, allora, domani notte’ ragionavo tra me e me, e mi pareva che le mie spalle crescessero contro le pareti della bara. ‘Benissimo, allora, domani notte lui verrà; e fino a quel momento questi sono solo i confini della mia bara, il prezzo che ho pagato per tutto questo, notte dopo notte’.

«Ma le lacrime mi stavano riempiendo gli occhi e mi vedevo battere nuovamente contro il legno; la mia testa si girava da una parte all’altra, e la mia mente correva alla notte dopo, e alla notte dopo ancora, e ancora più in là. E poi, quasi per distraimi da questa follia, pensai a Claudia: sentii subito le sue braccia che mi cingevano nella luce fioca di quelle stanze all’albergo Saint-Gabriel, vedevo la curva della sua guancia nella luce, il dolce, languido frullio delle sue ciglia, il tocco serico delle sue labbra. Il mio corpo s’irrigidì, i miei piedi scalciarono contro le assi. Il rumore dei mattoni era svanito, i passi s’erano spenti. E io gridai il suo nome: ‘Claudia’, finché il mio collo non si contorse di dolore, e le unghie mi ebbero scavato il palmo della mano; e lentamente, come un torrente ghiacciato, la paralisi del sonno calò su di me. Cercai di gridare il nome di Armand; assurdamente, disperatamente, intuendo appena, mentre le mie palpebre si facevano pesanti e le mie mani si afflosciavano, che il sonno era calato anche su di lui, da qualche parte, dove riposava immobile nel suo giaciglio. Mi dibattei un’ultima volta. I miei occhi videro il buio, le mie mani tastarono il legno. Ma ero debole. E poi non ci fu più nulla».


«Mi risvegliai al suono d’una voce, lontana ma chiara. Pronunciò due volte il mio nome. Per un attimo, non capii dove mi trovavo. Avevo sognato qualcosa di disperato che minacciava di svanire del tutto, senza che mi rimanesse il minimo ricordo di cos’era stato, qualcosa di spaventoso che desideravo, bramavo che scomparisse. Aprii gli occhi e tastai il coperchio della bara. Mi resi conto di dove mi trovavo nello stesso istante in cui, per fortuna, capii che era Armand che mi chiamava. Gli risposi, ma la mia voce era sepolta dentro la bara assieme a me ed era assordante. In un momento di terrore pensai: ‘Mi sta cercando e io non gli posso dire che sono qui’. Ma lo sentii parlarmi, dirmi di non aver paura. Udii un forte rumore. E un altro ancora. Poi qualcosa che si fracassava, e il fragoroso precipitare dei mattoni. Mi parve che parecchi mattoni colpissero la bara. Poi sentii che venivano tolti uno dopo l’altro. Mi sembrò che schiodasse via le serrature.

«Il legno pesante del coperchio scricchiolò. Un puntino di luce si accese davanti ai miei occhi. Trassi un respiro a quella vista e sentii il sudore che mi inondava il viso. Il coperchio si alzò cigolando, e per un attimo rimasi abbacinato; poi mi alzai a sedere e la luce splendente di una lampada filtrò attraverso le mie dita.

«‘Presto’ mi disse. ‘Non fare rumore’.

«‘Ma, dove andiamo?’ gli domandai. Vidi un corridoio di ruvidi mattoni che si stendeva al di là della porta che aveva abbattuto; lungo tutto quel corridoio vi erano delle porte sigillate, come era stata la porta dietro cui mi trovavo. Di colpo ebbi la visione di tutte le bare poste dietro a quei mattoni, di vampiri morti di fame e imputriditi. Ma Armand mi stava rimettendo in piedi e mi ripeteva di non fare rumore; strisciavamo lungo il corridoio.

«Si fermò davanti a una porta di legno e spense la lampada. Per un attimo restammo completamente al buio, fino a quando vedemmo risplendere la fessura sotto la porta. Armand aprì la porta così delicatamente che i cardini non fecero alcun rumore. Io sentivo il rumore del mio respiro e cercavo di fermarlo. Stavamo entrando in quel corridoio più basso che conduceva alla sua cella. Ma correndo dietro di lui, mi resi improvvisamente conto di una terribile verità: Armand mi stava liberando, ma liberava solo me. Tesi una mano per fermarlo, ma lui mi trascinò dietro di sé. Solo quando ci arrestammo nel vicolo accanto al Teatro dei Vampiri riuscii ad arrestarlo. E anche allora, era sul punto di ripartire. Cominciò a scuotere il capo prima ancora che io aprissi bocca.

«‘Non posso salvarla’ disse.

«‘Ma non ti aspetterai davvero che me ne vada senza di lei! È in loro possesso, là dentro!’ Ero inorridito. ‘Armand, devi salvarla. Non hai scelta! ‘

«‘Perché dici così?’ rispose. ‘Io non ne ho il potere! Devi capirlo. Si solleveranno contro di me. Non hanno alcuna ragione per non farlo. Louis, te lo ripeto, io non posso salvarla. Rischierei soltanto di perdere te. Non puoi tornare indietro’.

«Mi rifiutavo di ammettere che potesse essere vero. Armand era la mia sola speranza. Ma devo confessare sinceramente che ero ormai oltre la paura. Sapevo soltanto che dovevo salvare Claudia oppure morire in quell’impresa. Era davvero una cosa molto semplice; non aveva niente a che fare col coraggio. E sapevo anche, lo capivo dalla sua passività, da come parlava, che Armand mi avrebbe seguito, se fossi ritornato là dentro, che non avrebbe tentato di impedirmelo.

«Avevo ragione. Mi precipitai di nuovo in quel corridoio e lui mi venne dietro, verso la scala che portava alla sala da ballo. Sentivo gli altri vampiri. Sentivo ogni genere di rumore. Il traffico di Parigi. Quella che aveva tutta l’aria di un’assemblea nel sotterraneo del teatro sopra alle nostre teste. E, come giunsi in cima alle scale, vidi Celeste nel vano della porta della sala da ballo. Teneva in mano una di quelle maschere di scena. Mi guardò. Non sembrava allarmata. In realtà, appariva stranamente indifferente.

«Se si fosse precipitata contro di me, se avesse lanciato l’allarme, avrei potuto capirlo. Invece, non fece nulla di tutto questo. Rientrò camminando a ritroso nella stanza da ballo; girò su se stessa, e pareva compiacersi del lieve fluttuare delle sue gonne, pareva muoversi in quel modo per il piacere di vedere le sue gonne allargarsi, e così volteggiando in cerchi sempre più ampi, si lasciò trasportare al centro della sala. Appoggiò la maschera sul viso, e mormorò, dietro a quel teschio dipinto ‘Lestat…: ecco il vostro amico Louis che è venuto a trovarvi. Sbrigatevi, Lestat!’ Lasciò cadere la maschera, e si udì da qualche parte una cascatella di risa. Allora vidi ch’erano tutti riuniti in quella stanza, forme spettrali, sedute qua e là, o in piedi in gruppo. E Lestat, seduto in una poltrona, le spalle ingobbite, col viso rivolto lontano. Mi parve che stesse armeggiando con qualcosa, qualcosa che non riuscivo a vedere; lentamente alzò lo sguardo, e l’onda dei folti capelli biondi gli ricadde sugli occhi. C’era paura nei suoi occhi, senza alcun dubbio. Ora guardava Armand. E Armand attraversò la stanza a passi lenti e regolari; tutti i vampiri si ritrassero, osservandolo. ‘Bonsoir, Monsieur’ Celeste si inchinò al suo passaggio, reggendo quella maschera nella mano come uno scettro. Lui non la degnò d’uno sguardo. Abbassò gli occhi su Lestat e gli domandò: ‘Siete soddisfatto?’

«Gli occhi grigi di Lestat fissavano stupiti Armand e le sue labbra tremavano nello sforzo di articolare una parola. Vedevo che i suoi occhi si riempivano di lacrime. ‘Sì…’ mormorò, e intanto tormentava quel che teneva nascosto sotto il mantello nero. Ma infine mi guardò e le lacrime gli rigarono il viso. ‘Louis’ disse. E la sua voce, ora profonda e piena, rivelava un conflitto insopportabile. ‘Ti prego, devi ascoltarmi. Tu devi tornare…’ E poi, piegando il capo, fece una smorfia di vergogna.

«Santiago in qualche punto della stanza rideva. Armand disse piano a Lestat che doveva andarsene, doveva lasciare Parigi; che era bandito.

«E Lestat restava immobile, con gli occhi chiusi, il volto sfigurato dalla sofferenza. Sembrava un sosia, una creatura sensibile, ferita, che non avevo mai conosciuto. ‘Ti prego’ mormorò, con una voce suadente e tenera, implorante.

«‘Non ti posso parlare in questo posto! Non ti posso spiegare. Tu verrai con me… anche soltanto per poco… fino a che non sarò tornato me stesso?’

«‘Ma questa è pazzia!…’ risposi, e mi portai improvvisamente le mani alle tempie. ‘Lei, dov’è? Lei dov’è?’ Girai lo sguardo sui loro volti immoti, passivi, su quei sorrisi indecifrabili. ‘Lestat’. Lo scossi, afferrandolo per i risvolti del suo mantello nero.

«E allora vidi che cosa aveva in mano. Capii cos’era. In un baleno glielo strappai e lo fissai ammutolito, quel fragile cosino di seta… l’abito giallo di Claudia. Lestat portò la mano alle labbra e voltò la faccia dall’altra parte. Scoppiò in singhiozzi, lievi singhiozzi repressi, e io lo guardavo fisso, guardavo il vestito di Claudia. Le mie dita scorrevano lentamente sulle lacrime di cui era intriso, sulle macchie di sangue, le mie mani lo stringevano tremando e lo premevano forte contro il mio petto.

«Per un istante che mi parve un’eternità, restai immobile, senza reagire. Il tempo non aveva alcun rapporto con me, né con quei vampiri che mi riempivano le orecchie delle loro risa leggere, eteree. Ricordo che avrei desiderato tapparmi le orecchie con le mani, ma non volevo lasciare il vestito, non riuscivo a smettere di piegarlo sempre di più, fino a che potei nasconderlo tra le mani. Ricordo una fila di candele accese, una fila disuguale di candele che mi apparivano una dopo l’altra contro le pareti dipinte. C’era una porta spalancata sulla pioggia, e le candele sibilavano e soffiavano nel vento, come se le fiammelle venissero strappate dagli stoppini. E invece erano fisse al loro posto. Sapevo che Claudia era al di là della porta. Le candele si mossero. I vampiri le tenevano in mano. Santiago ne reggeva una e, con un inchino, mi invitò a varcare la porta. Io quasi non mi accorgevo della sua esistenza. Non mi curavo né di lui né degli altri. Qualche cosa dentro di me mi diceva: ‘Se tu badi a loro, diventerai pazzo. E poi non contano. Lei sola conta. Dov’è lei? Trovala’. E la loro risata era lontana, sembrava avere un colore e una forma ma far parte del nulla.

«Poi attraverso la porta aperta vidi qualcosa che avevo visto prima, molto, molto tempo prima. Nessuno sapeva di questa cosa tranne me. No. Lestat ne era a conoscenza. Ma non aveva importanza. Adesso non l’avrebbe saputo, né l’avrebbe capito. Che io e lui avevamo visto quella scena, fermi, in piedi, sulla porta della cucina di mattoni in Rue Royale; due creature che erano state vive, ora bagnate, rattrappite, la madre e la figlia, l’una nelle braccia dell’altra, assassinate sul pavimento della cucina. Ma queste due che giacevano sotto la pioggia sottile erano Madeleine e Claudia, e i bei capelli rossi di Madeleine si mescolavano con l’oro dei capelli di Claudia, che ondeggiavano e risplendevano nel vento che sibilava attraverso la porta aperta. Solo ciò che era stato vivo era stato distrutto dal fuoco: non i capelli, non il lungo abito di velluto svuotato, non la piccola camicia macchiata di sangue dagli occhielli di merletto bianco. E quella cosa annerita, bruciacchiata, rinsecchita che era stata Madeleine, serbava ancora sul volto l’espressione della vita, e la mano che teneva stretta la bambina era intera come la mano d’una mummia. Ma la bambina, quell’antica bambina, la mia Claudia, era cenere.

«Un urlo crebbe dentro di me, un selvaggio, devastante urlo che veniva dalle viscere del mio essere, si alzava come il vento in quel luogo angusto, il vento che faceva turbinare la pioggia tamburellante su quelle ceneri, che batteva sull’impronta di una piccola mano sui mattoni, che sollevava quei capelli biondi, quelle ciocche sparse che volavano verso l’alto. E mentre lanciavo quest’urlo disperato, un colpo mi stordì; abbracciai quello che credevo essere Santiago, e lo assalii, per distruggerlo, gli torsi quella bianca faccia sogghignante con le mie mani, in una morsa da cui non riusciva a liberarsi, contro la quale imprecava, urlando, e le sue urla si mescolavano alle mie. I suoi stivali calpestavano quelle ceneri e io, accecato dalla pioggia e dalle lacrime, lo scagliai lontano e lo feci cadere a terra. Mi slanciai contro di lui, ma lui tese una mano. E mi accorsi che stavo lottando con Armand. Armand, che mi stava spingendo fuori dal piccolo cimitero, verso i turbinosi colori della sala da ballo, verso le grida, le voci confuse, verso quelle dure risate metalliche.

«E Lestat gridava: ‘Louis, aspettami; Louis, devo parlarti!’

«Vedevo gli splendidi occhi scuri di Armand vicino ai miei e mi sentivo sempre più fiacco, a stento mi rendevo conto che Madeleine e Claudia erano morte. La voce di Armand mi disse piano, anzi forse senza emettere nessun suono: ‘Non potevo impedirlo, non potevo…’ E loro erano morte, così, semplicemente, erano morte. Stavo perdendo i sensi. Santiago era vicino a loro, in qualche luogo, dove giacevano immobili, coi capelli sollevati nel vento, sbattuti su quei mattoni, i riccioli disfatti. Ma io ormai stavo perdendo i sensi.

«Io non potevo raccogliere i loro corpi, non potevo portarli via con me. Armand teneva il braccio dietro la mia schiena, la mano sotto il mio braccio, mi stava quasi trasportando di peso attraverso un locale con le pareti di legno, vuoto, risuonante di echi, e gli odori della strada si alzavano nell’aria, l’odore fresco dei cavalli e del cuoio, e c’erano carrozze che scintillavano debolmente. E io mi vidi, chiaramente, correre per il Boulevard des Capucines, con una piccola bara sottobraccio, e la gente si faceva da parte al mio passaggio, decine di persone si alzavano attorno ai tavoli affollati dei caffè all’aperto, un uomo levava un braccio. Poi mi parve di inciampare, quel Louis che Armand sosteneva col suo braccio, e ancora vidi i suoi occhi scuri che mi fissavano, provai quella sonnolenza, quella sensazione di sprofondare. Eppure camminavo, mi muovevo, vedevo lo scintillio dei miei lucidi stivali sul marciapiede. ‘È pazzo, a dirmi quelle cose?’ chiedevo con voce aspra e irata, il cui stesso suono in qualche modo mi consolava. Ridevo, ridevo forte. ‘Lestat è pazzo furioso a parlarmi così. L’hai sentito?’. E gli occhi di Armand mi dicevano: ‘Dormi’. Volevo dire qualcosa su Madeleine e su Claudia, che non potevamo lasciarle laggiù, e sentii ancora quell’urlo salirmi dentro, quell’urlo che sommergeva ogni altra cosa. Stringevo i denti per trattenerlo, perché era così acuto e così potente che avrebbe potuto distruggermi se l’avessi lasciato uscire dalla gola.

«E fu allora che mi feci un’idea fin troppo chiara di tutto. Ora stavamo camminando, con quel passo bellicoso, cieco, che hanno gli uomini quando sono ubriachi fradici e pieni di odio verso gli altri, e allo stesso tempo si sentono invincibili. Camminavo così per le strade di New Orleans la notte che per la prima volta incontrai Lestat, con quell’andatura da ubriaco che è tutto uno sbattere ovunque, e che però miracolosamente procede con sicurezza verso la meta. Vidi le mani di un ubriaco armeggiare con stupefacente destrezza con un fiammifero. Ero accanto alla vetrina di un caffè. L’uomo tirava boccate dalla sua pipa. Non era per nulla ubriaco. Armand era accanto a me, eravamo nell’affollato Boulevard des Capucines. O era il Boulevard du Temple? Non ne ero certo. Mi sentivo oltraggiato dal fatto che i loro corpi fossero rimasti in quel luogo immondo. Vedevo il piede di Santiago toccare quel corpo annerito dalle fiamme che era stato mia figlia! Ripresi a urlare con i denti stretti, l’uomo si alzò dalla tavola e il vetro di fronte al suo viso si coprì di vapore. ‘Vattene’ dicevo ad Armand. ‘Vattene al diavolo, non venirmi vicino. Ti avverto, non venirmi vicino’. Mi allontanavo da lui, risalendo il boulevard e vedevo un uomo e una donna che si ritraevano al mio passaggio, l’uomo tendeva il braccio per proteggere la donna.

«Poi mi misi a correre. La gente mi vedeva correre. Mi domandai come apparissi a loro, una creatura bianca, folle, troppo veloce per i loro occhi? Mi ricordo che quando mi fermai mi sentii debole e sofferente, le vene mi bruciavano come se stessi morendo di fame. Pensai a uccidere, ma il pensiero mi ripugnava. Ero seduto sui gradini di pietra di una chiesa, sprangata e chiusa a chiave per la notte. La pioggia era diminuita. O almeno mi sembrava. E la strada era desolata e silenziosa, anche se un uomo passava in lontananza sotto un grande ombrello nero lucido. Armand era in piedi, lontano, sotto gli alberi. Sembrava che dietro di lui ci fosse una grande distesa di alberi e di umidi prati, e che la nebbia salisse come se la terra fosse calda.

«Riuscii a calmarmi pensando a una cosa sola, al male che sentivo allo stomaco e alla testa, alla morsa che mi stringeva il petto. Non appena queste sensazioni dolorose svanirono e mi sentii nuovamente tranquillo, mi resi conto di tutto quel che era successo, della grande distanza che avevamo percorso dal teatro, del fatto che i resti di Madeleine e di Claudia erano ancora là. L’una tra le braccia dell’altra, vittime di un olocausto. Mi sentii deciso e vicinissimo alla mia propria distruzione.

«‘Non ho potuto impedirlo’ ripeteva Armand a bassa voce. Alzai lo sguardo sul suo viso, era indicibilmente triste. Volse lo sguardo altrove, come se capisse che era inutile cercare di convincermi, sentivo la sua tristezza opprimente, la sua sconfìtta. Avevo l’impressione che se avessi sfogato tutta la mia ira su di lui, avrebbe opposto ben poca resistenza. E sentivo quel suo distacco, quella sua passività, come qualcosa di pervasivo alla radice di quel che ancora ripeteva: ‘Non avrei potuto impedirlo’.

«‘Oh, avresti potuto benissimo impedirlo!’ risposi a bassa voce. ‘Lo sai benissimo che avresti potuto farlo. Tu eri il capo! Tu solo conoscevi i limiti del tuo potere. Loro non sapevano. Non capivano. La tua conoscenza è superiore alla loro’.

«Guardò lontano. Ma vedevo l’effetto delle mie parole sul suo volto. Vedevo stanchezza, e nei suoi occhi una cupa, opaca tristezza.

«‘Tu avevi potere su di loro. Ti temevano!’ continuai. ‘Avresti potuto fermarli, se avessi voluto usare quel potere oltre i limiti che tu stesso ti sei imposto. Ma non volevi violare l’immagine di te stesso. La tua personale e preziosa concezione della verità! Ti capisco perfettamente. Vedo me stesso riflesso in te!’

«Il suo sguardo si mosse lentamente fino a fissarsi sul mio. Ma non disse una parola. Il dolore sul suo volto era terribile. Era un dolore senza violenza e senza speranza, sull’orlo di una terribile ed esplicita emozione che non sarebbe stato capace di controllare. Armand temeva quell’emozione. Io no. Lui sentiva la mia sofferenza con quell’enorme potere incantatore che possedeva, di gran lunga superiore al mio. Io non sentivo il suo dolore. Non mi importava.

«‘Ti capisco fin troppo bene…’ dissi. ‘L’origine di tutto, il vero male è stato per me quella passività. Quella debolezza, quel rifiuto di compromettere una moralità stupida e già in pezzi, quello spaventoso orgoglio! Per questo ho permesso che diventassi ciò che sono, quando sapevo che era sbagliato. Per questo ho permesso che Claudia diventasse un vampiro, quando sapevo che era sbagliato. Per questo sono stato fermo a guardare quando uccise Lestat, e sapevo che era sbagliato, che era la cosa che l’avrebbe portata alla rovina. Non alzai un dito per impedirlo. E Madeleine, Madeleine, non avrei mai dovuto farla diventare una creatura come noi. Sapevo ch’era sbagliato! Ebbene, sai cosa ti dico, non sono più quell’essere passivo e debole che ha tessuto un male dietro l’altro in una tela spessa e vasta, della quale è rimasto egli stesso la ridicola vittima. È finita! Adesso so cosa devo fare. E ti avverto, per quella misericordia che mi hai dimostrato liberandomi dalla tomba dove sarei morto: non cercare più la tua cella né il Teatro dei Vampiri. Non ti avvicinare’.


«Non aspettai di udire la sua risposta. Forse non provò neppure a rispondere. Lo lasciai senza voltarmi indietro. Se mi seguì, non me ne accorsi. Non cercavo di saperlo. Non me ne importava.

«Mi stavo ritirando verso il cimitero di Montmartre. Perché quel posto, non sapevo, so solo che non era lontano dal Boulevard des Capucines, e Montmartre allora era una zona di campagna, buia e tranquilla in confronto alla metropoli. Vagando qua e là tra le basse case con i loro orti, uccisi senza ombra di soddisfazione e infine mi cercai nel cimitero la bara in cui dovevo riposare durante il giorno. Con le mani nude grattai via i resti e mi distesi su un giaciglio di sudiciume, di umido e di fetore di morte. Non posso dire che ciò mi abbia dato conforto. Mi diede ciò che desideravo. Avviluppato in quell’oscurità, con l’odore della terra, lontano da ogni forma umana vivente, mi abbandonai completamente a tutto ciò che invadeva e soffocava i miei sensi. E mi consegnai totalmente al mio dolore.

«Ma fu un breve momento.

«Quando, il giorno dopo, il freddo e grigio sole invernale tramontò, mi risvegliai e sentii il torpore abbandonarmi quasi subito, come succede d’inverno, e gli oscuri esseri viventi che abitavano nella bara fuggire davanti alla mia resurrezione. Mi levai lentamente sotto la pallida luna, assaporai il gelo, accarezzai la perfetta levigatezza della lastra di marmo che spostavo per fuggire. E, vagabondando lontano dalle tombe e dal cimitero, studiavo un piano, un piano per il quale ero disposto a giocarmi la vita con l’assoluta libertà di chi sinceramente non si cura di quella vita, che possiede l’eccezionale forza d’essere disposto a morire.

«In un orto vidi qualcosa, qualcosa che era stato solo un’immagine confusa nella mia mente fino a quando non l’ebbi fra le mani. Era una piccola falce, la lama affilata e ricurva era ancora incrostata di semi verdi rimasti attaccati dall’ultima mietitura. Appena l’ebbi pulita e feci scorrere le dita lungo la lama tagliente, fu come se il piano mi si presentasse con perfetta chiarezza e potei dedicarmi subito a quel che mi restava da fare: procurarmi una carrozza e un cocchiere che rimanesse ai miei ordini per alcuni giorni, abbagliato dal denaro che gli diedi e dalla promessa di altro; far trasportare la mia cassa dall’albergo Saint-Gabriel all’interno della carrozza e trovare tutte le altre cose che mi erano necessarie. E poi vennero le lunghe ore della notte, nelle quali finsi di bere col cocchiere e ottenni la sua ben retribuita collaborazione nel portarmi all’alba da Parigi a Fontainebleau. Dormivo dentro la carrozza; la mia salute delicata esigeva che io non venissi disturbato per nessuna ragione. Questo isolamento mi era tanto indispensabile che ero più che disposto ad aggiungere un’altra generosa mancia alla somma che già gli pagavo solo perché non toccasse nemmeno la maniglia dello sportello fino a quando non fossi uscito.

«E quando fui certo che era d’accordo e anche sufficientemente ubriaco da dimenticare quasi ogni altra cosa fuorché prendere in mano le redini e arrivare a Fontainbleau, ci avviammo lentamente, guardinghi, imboccammo la strada del Teatro dei Vampiri, e aspettammo a una certa distanza finché il cielo cominciasse a schiarire.

«Il teatro era chiuso e sprangato contro il giorno che sorgeva. Strisciai verso la porta quando l’aria e la luce m’avvertirono che mi rimanevano al massimo quindici minuti per mettere in esecuzione il mio piano. Sapevo che, giù nei sotterranei, i vampiri del teatro erano già dentro alle loro bare. E che, anche se un vampiro ritardatario avesse indugiato a coricarsi, non avrebbe udito i miei primi preparativi. Velocemente misi delle travi di legno contro le porte sprangate. Velocemente vi piantai dei chiodi, che sbarrarono queste porte dall’esterno. Un passante notò forse ciò che stavo facendo, ma tirò diritto, forse pensando che stessi chiudendo l’edificio per ordine del proprietario. Non sapevo. Sapevo però che prima di avere finito avrei potuto imbattermi nei bigliettai, negli uscieri, negli uomini che facevano le pulizie dopo lo spettacolo, che probabilmente rimanevano in teatro a sorvegliare i vampiri durante il loro sonno diurno.

«Era a questi uomini che stavo pensando mentre portavo la carrozza fino al vicolo di Armand, dove la fermai, portando via con me due piccoli barili di cherosene fino alla porta di Armand.

«La chiave mi aprì con facilità, come speravo, e una volta giunto nel corridoio inferiore, entrai nella sua cella per constatare che non c’era. La bara era scomparsa. In realtà tutto era scomparso tranne il mobilio, compreso il letto incassato del ragazzo morto. Aprii velocemente un barile e, facendo rotolare l’altro davanti a me verso le scale, corsi lungo il corridoio, spruzzando le travi con il cherosene, gettandolo sulle porte di legno delle altre celle. L’odore era forte, più forte e più potente di qualunque rumore che avrei potuto fare per scatenare l’allarme. E benché restassi completamente immobile ai piedi delle scale coi barili e la falce, in ascolto, non udivo alcun suono, alcun segno di vita, niente che indicasse la presenza di quei guardiani che presumevo in teatro, nessun segno di vita neppure da parte dei vampiri. Stringendo tra le mani l’impugnatura della falce, m’avventurai lentamente su per le scale, fino alla porta della sala da ballo. Non c’era nessuno a vedermi versare il cherosene sulle poltrone imbottite di crine o sui tendaggi, o a vedermi esitare per un istante sulla soglia del cortiletto dove Madeleine e Claudia erano state uccise. Oh, quanto desideravo aprire quella porta! Fu una tentazione così forte che per un momento quasi dimenticai il mio piano. Stavo quasi per lasciar cadere i barili e girare la maniglia. Ma vidi la luce filtrare attraverso le fessure della vecchia porta di legno. E capii che dovevo andare avanti. Madeleine e Claudia non c’erano. Erano morte. E che cosa avrei fatto se avessi aperto quella porta e mi fossi di nuovo trovato di fronte a quei resti, a quei capelli d’oro, ingarbugliati e scarmigliati? Non c’era tempo, non c’era ragione. Corsi lungo corridoi bui mai esplorati prima, versando cherosene sulle vecchie porte di legno, sicuro che i vampiri giacevano rinchiusi là dentro; mi affrettai con passi felpati verso il teatro vero e proprio, dove una luce fredda e grigia, che filtrava attraverso la porta d’ingresso sprangata, mi spinse a gettare velocemente uno spruzzo scuro sul grande sipario di velluto, sulle poltrone imbottite, sui tendaggi delle porte del ridotto.

«E finalmente vuotai il barile e lo gettai da parte. Tirai fuori la rozza torcia che m’ero fabbricato, accesi con un fiammifero gli stracci imbevuti di cherosene e diedi fuoco alle poltrone: le fiamme lambirono la seta pesante e l’imbottitura mentre io correvo verso il palcoscenico e facevo divampare il fuoco su per quello scuro sipario in una corrente fredda e vorticosa.

«Dopo pochi secondi il teatro risplendeva come inondato dalla luce del giorno, tutte le sue strutture scricchiolavano e gemevano, il fuoco mugghiava tra le mura, lambendo il grande arco del proscenio e le volute in stucco dei palchi. Ma non avevo tempo per ammirare quello spettacolo, per assaporarne l’odore e il suono, per godere la vista delle nicchie e degli angoli segreti investiti dalla violenta illuminazione che presto li avrebbe ridotti in cenere. Stavo volando di nuovo al piano inferiore, e spingevo la torcia nel divano di crine della sala da ballo, nei tendaggi, in tutto quello che poteva prender fuoco.

«Qualcuno batteva con grande strepito sulle assi di sopra, in stanze che non avevo mai visto. E allora udii l’indubbio rumore di una porta che si apriva. Ma era troppo tardi, mi dissi, stringendo tra le mani sia la falce sia la torcia. L’edificio era in fiamme. Sarebbero stati distrutti. Corsi verso le scale mentre un grido lontano si alzava sul crepitio e sul rombo delle fiamme, la mia torcia strisciava lungo le travi imbevute di cherosene sopra la mia testa, le fiamme avvolgevano il vecchio legno e lambivano l’umido soffitto. Era l’urlo di Santiago, ne ero certo; come balzai al piano inferiore, lo vidi sopra di me, dietro di me, che correva giù dalle scale; il fumo riempiva tutta la tromba delle scale attorno a lui, gli occhi gli lacrimavano, la gola era strozzata dal fumo, le mani protese verso di me. ‘Tu… tu… maledetto!’ balbettò. M’irrigidii, stringendo gli occhi davanti al fumo, sentendo che le lacrime cominciavano a riempirli e li bruciavano, ma senza abbandonare per un solo istante la sua immagine, poiché il vampiro ora usava tutto il suo potere per lanciarsi contro di me con una tale velocità da diventare invisibile. E quando il viluppo nero che erano i suoi abiti arrivò in fondo alle scale, io vibrai la falce, la vidi colpire il suo collo e ne sentii la resistenza, e vidi Santiago cadere di fianco, portando ambo le mani all’orrenda ferita. L’aria era piena di grida, di urla, e una bianca faccia si profilava al di sopra di Santiago, una maschera di terrore. Alcuni vampiri fuggivano lungo il corridoio davanti a me verso la porta segreta che dava sulla viuzza. Ma io rimasi fermo, come sospeso, fissando Santiago, vedendolo rialzarsi nonostante la ferita. E vibrai di nuovo la falce, lo colpii facilmente. Non c’erano più ferite. Solo due mani che brancolavano in cerca di una testa che non c’era più.

«E la testa, fiume di sangue dal collo divelto, occhi follemente spalancati sotto le travi in fiamme, scuri capelli di seta appiccicati, bagnati di sangue, cadde ai miei piedi. La colpii con violenza con lo stivale, la feci ruzzolare lungo il corridoio. E corsi dietro quella testa, gettai la torcia e la falce, alzando le braccia per proteggermi dalla vampa accecante di luce bianca che inondava le scale verso il vicolo.

«La pioggia cadeva in aghi luccicanti sui miei occhi, che socchiusi per vedere la sagoma scura della carrozza tremolante contro il cielo. Il cocchiere, accasciato sul sedile, si raddrizzò al mio rauco ordine, la sua mano impacciata cercò istintivamente la frusta, e la carrozza partì traballando come io spalancai lo sportello. I cavalli procedevano veloci, io cercavo di aprire il coperchio della cassa e il mio corpo veniva sbattuto bruscamente da un lato, le mie mani bruciacchiate scivolarono sulla fredda seta protettrice, e il coperchio scese su di me in un’oscurità che mi sottraeva a ogni cosa.

«I cavalli si allontanarono sempre più velocemente dall’angolo dell’edificio in fiamme, eppure sentivo ancora l’odore del fumo: m’aveva soffocato, m’aveva bruciato gli occhi e i polmoni, come le mie mani e la mia fronte erano state bruciate dalla prima luce del sole.

«Ma noi stavamo fuggendo dal fumo e dalle urla. Fuggivamo da Parigi. Ce l’avevo fatta. Il Teatro dei Vampiri stava bruciando dalle fondamenta.

«Sentii il mio capo cadere indietro, e vidi ancora Claudia e Madeleine abbracciate in quel sinistro cortile, e io dicevo loro dolcemente, piegandomi verso quella soffice massa di capelli che brillavano alla luce delle candele: ‘Non vi ho potuto portar via. Non vi ho potuto prendere. Ma loro vi giaceranno intorno, morti e distrutti. Se non li consumerà il fuoco, sarà il sole. Se non saranno bruciati, sarà la gente che verrà a combattere il fuoco che li esporrà alla luce del giorno. Ma ve lo prometto, moriranno tutti come siete morte voi, chiunque sia rinchiuso là dentro, in questa alba, morirà. E queste sono le uniche morti che ho causato nella mia lunga vita che sono a un tempo eccellenti e giuste’.


«Due notti dopo tornai. Dovevo vedere quel sotterraneo inondato dalla pioggia, ogni mattone bruciacchiato sgretolarsi, le poche travi scheletrite pugnalare il cielo come pali di un rogo. Quei mostruosi dipinti murali che un tempo racchiudevano la sala da ballo erano frammenti arsi tra le macerie; qui un viso dipinto, là un pezzo d’ala d’un angelo, le sole cose identificabili che restavano.

«I giornali della sera in mano, mi aprii faticosamente la strada fino al retro di un affollato caffè teatro, dall’altra parte della via; e là, protetto dalla fioca luce delle lampade a gas e dal denso fumo dei sigari, lessi il resoconto dell’incendio. Pochi corpi erano stati trovati nel teatro distrutto dal fuoco, ma vestiti e costumi erano sparsi per ogni dove, come se i famosi attori vampiri avessero in realtà abbandonato il teatro molto prima dell’incendio. In altre parole, solo i vampiri più giovani avevano lasciato là le loro ossa; i vecchi erano stati completamente annientati. Nessuna menzione di un testimone oculare o di una vittima sopravvissuta. E come avrebbero potuto essercene?

«Eppure c’era qualcosa che mi preoccupava moltissimo. Non avevo paura che qualche vampiro fosse scampato. Non avevo nessun desiderio di dar loro la caccia se si fossero salvati. Ero certo che la maggior parte della compagnia fosse morta. Ma come mai non c’erano i custodi umani? Ero sicuro che Santiago aveva parlato di custodi, e avevo pensato che fossero i portieri e le maschere che costituivano il personale del teatro prima della rappresentazione. Ero stato pronto persino ad affrontarli con la mia falce. Ma non ne avevo incontrati. Era strano. Questo mi agitava.

«Ma poi, quando misi da parte i giornali e ripensai a tutto ciò, m’accorsi che non aveva alcuna importanza. Quel che contava era che io mi trovavo ancora più solo al mondo di quanto fossi stato fino a quel momento. Che Claudia era ormai oltre ogni possibilità di grazia e io avevo meno ragione e meno desiderio di vivere di quanti ne avessi mai avuti.

«Eppure il dolore non mi schiacciò, non venne neppure a farmi visita, non mi ridusse a quel relitto, a quella creatura disperata che mi sarei aspettato di poter diventare. Forse non era possibile sostenere lo strazio che avevo provato quando avevo visto i resti bruciati di Claudia. Forse non era possibile conoscere un simile dolore e sopravvivere. Mi domandavo oscuramente, col passare delle ore, mentre il fumo nel caffè diventava sempre più denso e il sipario stinto della piccola scena illuminata saliva e scendeva e robuste donne cantavano sul palcoscenico, la luce brillava sui loro gioielli falsi e le loro voci ricche, morbide, si spiegavano in lamenti squisitamente malinconici — mi domandavo oscuramente come sarebbe stato conoscere una simile perdita, un simile oltraggio, ed essere assolto, meritare compassione e consolazione. Non avrei mai parlato della mia sventura con un essere umano. Le mie stesse lacrime non significavano nulla per me.

«Dove andare, allora, se non a morire? Fu strano come mi venne la risposta. Strano come uscii dal caffè, girai attorno al teatro in rovina, vagai senza meta fino all’ampia Avenue Napoléon e la percorsi fino al palazzo del Louvre. Era come se quel posto mi chiamasse, eppure non ero mai stato dentro quelle mura. Ero passato davanti alla lunga facciata un migliaio di volte, rimpiangendo di non essere un comune mortale per un giorno solo, per poter girare entro quelle innumerevoli sale e ammirare i magnifici dipinti. Avevo voglia di entrarci, ora, posseduto solo da una vaga idea che nelle opere d’arte avrei potuto trovare un certo conforto, che non potevo portare niente della morte a ciò che era inanimato e tuttavia splendidamente imbevuto dello spirito della vita stessa.

«Sull’Avenue Napoléon udii dietro di me un passo, che riconobbi per quello di Armand. Era come se mi mandasse segnali per farmi sapere che era vicino. Ma io mi limitai a rallentare il passo e lasciare che mi raggiungesse, e per un bel pezzo continuammo a camminare senza dire una parola. Non osavo guardarlo. Naturalmente avevo pensato tutto il tempo a lui, a come, se noi fossimo stati degli uomini e Claudia il mio amore, avrei potuto finalmente abbandonarmi tra le sue braccia, con quel bisogno così forte, così consumante di dividere un dolore comune. La diga sembrò cedere allora; eppure non cedette. Ero intontito e camminavo come una persona intontita.

«‘Sai cosa ho fatto?’ dissi alla fine. Avevamo girato l’angolo del viale e ora vedevo di fronte a me la lunga fila di doppie colonne sulla facciata del Musée Royal. ‘Hai portato via la tua bara come ti avevo avvertito…’

«‘Sì’ rispose. Ci fu un’improvvisa, inconfondibile nota di piacere nella sua voce. M’indebolì. Ma ero troppo lontano dal dolore, troppo stanco.

«‘Eppure tu sei qui con me ora. Hai intenzione di vendicarli?’

«‘No’ disse.

«‘Erano i tuoi compagni, tu eri il loro capo’ continuai. ‘Eppure tu non li hai avvertiti che mi volevo vendicare di loro, come ti avevo avvisato’.

«‘No’ ribadì.

«‘Ma senza dubbio mi disprezzi per questo. Certamente tu rispetterai certe regole, una forma di fedeltà alla tua specie’.

«‘No’ rispose a voce bassa.

«Mi sorprese come la sua risposta fosse logica, anche se non potevo spiegarmela né capirla.

«E allora qualcosa emerse con chiarezza dalle remote regioni delle mie inesorabili considerazioni. ‘C’erano dei guardiani, c’erano quei portieri che dormivano in teatro. Perché non c’erano più quando sono entrato? Come mai non stavano a proteggere i vampiri nel sonno?’

«‘Perché erano alle mie dipendenze e io li avevo licenziati. Li avevo mandati via’ rispose Armand.

«Mi fermai. Armand non mostrava alcuna inquietudine per il fatto che io l’affrontassi, e appena i nostri occhi s’incontrarono desiderai che il mondo non fosse quella nera, vuota rovina di ceneri e morte. Desiderai che fosse fresco e bello, che noi due fossimo vivi e ricchi di amore da donarci l’un l’altro. ‘Tu hai fatto questo, conoscendo il mio piano?’

«‘Sì’ rispose.

«‘Ma tu eri il loro capo! Avevano fiducia in te. Credevano in te. Vivevano con te!’ Esclamai. ‘Non ti capisco… perché?…’

«‘Datti la risposta che preferisci’ disse calmo, con delicatezza, come se non volesse farmi male con accuse o col disprezzo, ma volesse che io semplicemente accettassi la sua risposta in modo letterale. ‘Io ne posso pensare molte. Ma tu pensa a quella di cui hai bisogno e credici. È verosimile quanto ogni altra. Ti dirò il motivo reale, che è il meno vero: stavo per lasciare Parigi. Il teatro mi apparteneva. Così li ho licenziati’.

«‘Ma con quello che sapevi…’

«‘Te l’ho detto, era il motivo reale ed era il meno vero’ ripeté pazientemente.

«‘Mi distruggeresti con la stessa facilità con cui hai lasciato che loro venissero distrutti?’ domandai.

«‘Perché dovrei?’ chiese.

«‘Dio mio’ mormorai.

«‘Tu sei molto cambiato’ disse. ‘Ma in un certo senso sei sempre la stessa persona’.

«Camminai ancora un poco e poi, davanti all’ingresso del Louvre, mi fermai. In un primo momento mi sembrò che le numerose finestre fossero buie e inargentate dal chiaro di luna e dalla pioggia sottile. Ma poi mi parve di vedere una debole luce là dentro, come se un guardiano camminasse tra quei tesori. Lo invidiai ardentemente. I miei pensieri si fissarono con ostinazione su quel guardiano, cercando d’immaginare come un vampiro potesse arrivare fino a lui, come potesse prendergli la vita, la lanterna, le chiavi. Il piano era confuso. Non ero capace di fare piani. Ne avevo fatto uno solo nella mia vita, e l’avevo portato a termine.

«E poi finalmente mi arresi. Mi voltai verso Armand e lasciai che il mio sguardo penetrasse il suo, lasciai che si avvicinasse a me, come se intendesse fare di me la sua vittima, piegai il capo, e sentii il suo braccio forte attorno alla spalla. E ricordai all’improvviso, con una percezione acutissima, le parole di Claudia, quelle che furono quasi le sue ultime parole: la sua ammissione che lei sapeva che potevo amare Armand, dal momento che avevo potuto amare persino lei. Quelle parole di colpo mi apparvero significative e ironiche, più dense di significato di quanto lei stessa potesse immaginare.

«‘Sì’ mormorai. ‘Questo è il male supremo, che noi possiamo giungere persino ad amarci, tu e io. E chi altro ci offrirebbe una briciola di amore, una briciola di compassione o di misericordia? Chi altro, conoscendoci come ci conosciamo, potrebbe fare qualcosa di diverso dal distruggerci? Eppure noi possiamo amarci’.

«Per un lungo momento rimase immobile là a guardarmi, poi s’avvicinò, piegò la testa lentamente da un lato, socchiuse le labbra come se volesse parlare, ma sorrise soltanto. E scosse la testa delicatamente quasi a confessare che non aveva capito.

«Ma già io non pensavo più a lui. Ero in uno di quei rari momenti in cui mi sembrava di non pensare a nulla. La mia mente non aveva forma. M’accorsi che la pioggia era cessata. Vidi l’aria pura e fredda, le strade luminose. E volevo entrare nel Louvre. Lo dissi ad Armand, gli chiesi se poteva aiutarmi a fare quanto era necessario perché il Louvre fosse mio fino all’alba.

«La giudicò una richiesta molto semplice. Disse solo che si domandava come mai avessi aspettato tanto.


«Lasciammo Parigi poco dopo quella notte. Dissi ad Armand che desideravo tornare sul Mediterraneo — non in Grecia, come avevo sognato per così tanto tempo. Volevo andare in Egitto. Vedere il deserto e, cosa più importante, le piramidi e le tombe dei re. Volevo entrare in contatto con quei ladri di tombe che ne conoscevano i segreti assai più degli studiosi, scendere in quei sepolcri ancora inesplorati e vedere i re come erano stati seppelliti, con il corredo di mobili e oggetti d’arte deposti con loro, vedere le pitture murali. Anche Armand era più che disposto a intraprendere quel viaggio. E così dicemmo addio a Parigi una notte, nelle prime ore, in carrozza, senza tante cerimonie.

«Feci una cosa che val la pena raccontare. Ritornai all’appartamento dell’albergo Saint-Gabriel. Avevo l’intenzione di raccogliere alcune cose di Claudia e di Madeleine, di deporle nelle bare e di far preparare per loro due tombe nel cimitero di Montmartre. Ma non lo feci. Rimasi poco tempo nelle stanze, dove ogni cosa era in ordine e al suo posto, grazie al personale, sembrava che da un momento all’altro potessero fare ritorno. Il telaio di Madeleine giaceva con le matassine di filo su un tavolino da lavoro vicino alla poltrona. Lo guardai e guardai ogni altra cosa, e il mio compito mi apparve privo di significato. Così uscii.

«Ma qualcosa mi era accaduto là dentro; o meglio, qualcosa di cui ero già cosciente era diventato più chiaro. Ero andato al Louvre quella notte per far riposare la mia anima, per trovare qualche piacere trascendente che cancellasse il dolore e mi facesse dimenticare completamente me stesso. Ero stato accontentato. Sul marciapiede davanti alle porte dell’hotel, in attesa della carrozza che m’avrebbe portato da Armand, vedevo la gente che passava — la folla irrequieta dei boulevard, signore e signori ben vestiti, strilloni, facchini, cocchieri — tutta questa folla, sotto una luce nuova. Prima, l’arte aveva serbato per me la promessa di una comprensione più profonda del cuore umano. Ormai il cuore umano non significava più nulla. Non lo denigravo. Lo avevo solo dimenticato. Gli splendidi quadri del Louvre per me non avevano un intimo legame con le mani di chi li aveva dipinti. Erano completamente distaccati e morti, come fanciulli mutati in pietra. Come Claudia, divisa da sua madre, mantenuta in vita per decine e decine d’anni tra le perle e l’oro sbalzato. Come le bambole di Madeleine. E naturalmente, come Claudia e Madeleine e io stesso, queste opere potevano essere ridotte in cenere».

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