PARTE II

«Rimasi tutta la notte sul ponte della nave francese Mariana a osservare le passerelle da sbarco. Il lungo argine era affollatissimo, i ricevimenti duravano fino a tardi nelle lussuose cabine e i ponti rimbombavano dei passi dei passeggeri e degli ospiti. Ma man mano che la notte avanzava verso l’alba, a uno a uno i ricevimenti terminarono e le carrozze abbandonarono le stradine lungo il fiume. Salirono a bordo alcuni passeggeri in ritardo; una coppia indugiò per ore presso la ringhiera della banchina. Ma Lestat e il suo apprendista, se pure erano sopravvissuti all’incendio (e io ero convinto di sì), non arrivarono alla nave. Il nostro bagaglio aveva lasciato l’appartamento durante il giorno e, se qualcosa era rimasto che poteva rivelare loro la nostra destinazione, ero sicuro che era stato distrutto. Eppure stavo ancora in guardia. Claudia era al sicuro nella nostra cabina chiusa a chiave, con gli occhi fissi sull’oblò. Ma Lestat non venne.

«Alla fine, come speravo, l’agitazione della partenza cominciò prima del sorgere del sole. Alcune persone salutavano dal molo e dalla collinetta erbosa dell’argine, la grande nave ebbe un tremito, poi una scossa violenta da un lato, e scivolò con un maestoso movimento nella corrente del Mississippi.

«Le luci di New Orleans divennero piccole e fioche finché dietro a noi apparve solo una pallida fosforescenza contro le nubi che si rischiaravano. Io ero stanco al di là d’ogni immaginazione, eppure rimasi sul ponte finché riuscii a vedere quella luce: sapevo che forse non l’avrei mai più rivista. In pochi istanti oltrepassammo il molo di Frenière e di Pointe du Lac, e quando vidi la grande parete di piante di cotone e di cipressi che emergeva verdeggiante dall’oscurità sulla riva del fiume, compresi che il mattino era vicino. Pericolosamente vicino.

«Quando infilai la chiave nella serratura della mia cabina, provai la più forte sensazione di sfinimento che forse ho mai conosciuta. In tutti gli anni che avevo vissuto in seno alla nostra eletta famiglia, mai avevo provato una paura come quella notte: la coscienza della mia vulnerabilità, il terrore puro. E non ci sarebbe stato alcun sollievo immediato da quella condizione. Nessuna immediata sensazione di sicurezza. Solo il sollievo che impone la spossatezza, quando né l’anima né il corpo possono sopportare più a lungo il terrore. Perché, benché Lestat fosse ormai lontano da noi miglia e miglia, aveva risvegliato in me, con la sua resurrezione, un viluppo di complessi timori ai quali non potevo sfuggire. Persino quando Claudia mi mormorò: ‘Siamo al sicuro, Louis, al sicuro’ e io le risposi di sì, anche allora vidi Lestat nel vano della porta, vidi quegli occhi tumefatti, quella carne martoriata dalle cicatrici. Come aveva fatto a ritornare, a vincere la morte? Come aveva potuto un essere vivente sopravvivere a quella distruzione fisica, a quella rovina? Qualunque fosse stata la risposta, che significato aveva — non solamente per lui, ma per Claudia, per me? Eravamo salvi da lui, ma da noi stessi?

«La nave fu colpita da una strana ‘febbre’. In compenso, incredibilmente, non era infestata dai topi, anche se poteva capitare di trovarne i corpi, leggeri e asciutti, come se fossero morti da giorni. Ma la febbre c’era. Dapprima colpì un passeggero sotto forma di debolezza e d’infiammazione alla gola; talvolta sulla gola c’erano dei segni, altre volte invece i segni erano in altri punti; oppure non c’erano affatto, anche se poteva accadere che una vecchia ferita si riaprisse e tornasse a dolere. E talvolta il malato, che dormiva sempre più col progredire del viaggio e della febbre, moriva durante il sonno. Così, durante la traversata dell’Atlantico, in diverse occasioni si tennero funerali sul mare. Giustamente timoroso del contagio, schivavo i passeggeri, non volevo unirmi a loro nella sala per i fumatori, ascoltare le loro storie, conoscere i loro sogni e le loro speranze. Io consumavo i miei ‘pasti’ da solo. Ma Claudia amava osservare i passeggeri, restare sul ponte a guardarli andare e venire nelle prime ore della sera, e dirmi sottovoce più tardi, quando ero seduto davanti all’oblò: ‘Credo che quella cadrà preda…’

«Io deponevo il libro e guardavo fuori dall’oblò, sentivo il dolce dondolio del mare, guardavo le stelle, più chiare e brillanti che sulla terra, che si abbassavano a sfiorare le onde. A momenti mi sembrava, quando sedevo solo nella cabina buia, che il cielo fosse sceso a incontrare il mare e che in quell’incontro sarebbe stato svelato qualche grande segreto, che qualche grande abisso sarebbe stato miracolosamente richiuso per sempre. Ma chi avrebbe operato questa rivelazione quando mare e cielo erano divenuti indistinguibili e l’uno e l’altro erano solo caos? Dio? O Satana? All’improvviso pensai quanto sarebbe stato consolante conoscere Satana, guardarlo in viso, per quanto terribile fosse il suo aspetto, sapere che gli appartenevo completamente e acquietare per sempre il tormento della mia ignoranza. Squarciare un velo che m’avrebbe separato definitivamente da ciò che chiamavo la natura umana.

«Sentivo la nave avvicinarsi sempre di più a questo segreto. Non c’era un limite visibile al firmamento. Si chiudeva intorno a noi con un silenzio e una bellezza mozzafiato. Ma poi la parola acquietare mi apparve grottesca: non vi sarebbe stata quiete nella dannazione, non poteva essercene. E che cos’era questo tormento al confronto delle fiamme incessanti dell’inferno? Il mare che dondolava sotto le stelle immobili, le stesse stelle, che aveva a che fare tutto ciò con Satana? E quelle immagini che ci appaiono tanto statiche nell’infanzia quando siamo così travolti da frenesia mortale da riuscire a malapena a immaginarle come desiderabili: il serafino che guarda eternamente il volto di Dio — e il volto stesso di Dio -questa era la pace eterna, di cui questo mare, che ci cullava teneramente, era solo una vaghissima promessa.

«Ma persino in questi momenti, quando la nave dormiva e tutto il mondo dormiva, né paradiso né inferno mi parevano qualcosa di più che una tormentosa fantasia. Conoscere, credere nell’uno o nell’altro… questa era forse la sola salvezza che potessi sognare.

«Claudia, che aveva lo stesso amore di Lestat per la luce, accendeva le lampade appena si svegliava. Aveva un mazzo di carte meraviglioso, regalatele da una signora che si trovava a bordo; i disegni delle carte erano nello stile di Maria Antonietta e sul retro vi erano gigli d’oro su uno sfondo viola brillante. Giocava a un solitario in cui le carte formavano i numeri d’un orologio. E mi chiedeva, finché non cominciai a risponderle, come aveva fatto Lestat. Non era più sconvolta. Se ricordava le proprie grida nell’incendio, non amava indugiare su questo ricordo. Se ricordava, prima dell’incendio, d’aver pianto vere lacrime tra le mie braccia, la cosa non aveva prodotto alcun cambiamento in lei; era di nuovo, come sempre in passato, una persona decisa, la cui abituale tranquillità non contemplava l’ansietà o il rimpianto.

«‘Avremmo dovuto bruciarlo’ disse. ‘Siamo stati degli sciocchi a credere dal suo aspetto che fosse morto’.

«‘Ma come ha potuto sopravvivere?’ le domandai. ‘L’hai visto, sai cos’era diventato’. L’argomento non mi piaceva affatto. L’avrei cacciato volentieri in fondo alla mia mente, ma la mia mente non me lo consentiva. E adesso era Claudia che mi rispondeva, ma in realtà dialogava con se stessa. ‘Immagina, però, che Lestat abbia smesso di combattere contro di noi’ spiegava, ‘che fosse ancora vivo, imprigionato in quell’inerme cadavere disseccato, eppure conscio e lucido…’

«‘Conscio in quello stato!’ sussurrai io.

«‘E supponi che, quando finì nell’acqua della palude e udì la nostra carrozza che se ne andava, abbia avuto forza sufficiente per muoversi. C’erano creature tutt’intorno a lui nel buio. Una volta lo vidi staccare la testa a una lucertolina da giardino e osservare il sangue che colava nel bicchiere. Riesci a immaginarti la tenacia della sua voglia di vivere, le sue mani che cercano d’afferrare nell’acqua qualunque cosa si muova?’

«‘Voglia di vivere? Tenacia?’ mormorai. ‘E se fosse stato qualcos’altro…’

«‘E poi, quando si sentì ritornare le forze, forse solo quanto bastava a sorreggerlo fino alla strada, in qualche punto incontrò qualcuno. Forse si acquattò aspettando che passasse una carrozza; forse strisciò, prendendo tutto il sangue che trovava finché giunse alle baracche degli immigrati o alle case sparse per la campagna. E che spettacolo deve essere stato per loro!’ Fissava la lampada sospesa, con gli occhi socchiusi, la voce piatta, senza emozione. ‘E poi? Per me è chiaro. Se non è riuscito a tornare a New Orleans in tempo, può senz’altro aver raggiunto il cimitero dell’Old Bayou. L’ospedale dei poveri lo rifornisce di nuove bare ogni giorno. Me lo vedo che arranca sulla terra umida fino a una di quelle bare, scaricando nell’acquitrino il suo fresco contenuto, mettendosi al sicuro fino al calare della notte in quella tomba angusta dove nessuna specie d’uomo avrebbe osato disturbarlo. Sì… è così che ha fatto, ne sono certa’.

«Ci riflettei per molto tempo, cercando di raffigurarmi la cosa, concludendo che poteva essere andata solo così. Poi la sentii aggiungere sovrappensiero, mentre metteva giù le carte e osservava il viso ovale di un re dal bianco copricapo: ‘Io ci sarei riuscita’.

«‘E si può sapere perché mi guardi in quel modo?’ mi domandò, raccogliendo le carte e sforzandosi con le piccole dita di farne un mazzo compatto e poi mischiarle.

«‘Ma tu credi che… se avessi bruciato i suoi resti sarebbe morto?’

«‘Certo che lo credo. Se non resta più niente da far risorgere, niente può più risorgere. Dove stai andando a parare?’ Ora faceva le carte, le distribuiva sul piccolo tavolo di quercia per fare una mano con me. Guardai le carte, ma non le toccai.

«‘Non so…’ le sussurrai. ‘Solo che forse non c’era alcuna volontà di vivere, alcuna tenacia… perché, molto semplicemente, non occorreva né l’una né l’altra’.

«I suoi occhi mi guardavano fissi, senza lasciar intendere cosa pensasse o se avesse capito cosa volevo dire.

«‘Perché forse non poteva morire… forse lui è… noi siamo… davvero immortali?’

«Mi guardò in silenzio per molto tempo.

«‘Coscienza in quello stato…’ aggiunsi infine, distogliendo lo sguardo da lei. ‘Se così fosse, allora non potrebbe esservi coscienza in qualsiasi altra cosa? Nel fuoco, nella luce del sole…?’

«‘Louis’ disse infine con voce sommessa. ‘Tu hai paura. Tu non stai in guardia contro la paura. Non capisci il pericolo che rappresenta la paura. Avremo la risposta quando troveremo quelli che ce la possono dare, che posseggono da secoli la conoscenza, dal tempo in cui creature come noi apparvero sulla terra. Quella conoscenza era un nostro innato diritto, e Lestat ce ne ha privato. Ha meritato la sua morte’.

«‘Ma non è morto…’ ribattei.

«‘È morto’ insistette lei. ‘Nessuno sarebbe riuscito a fuggire da quella casa a meno di correre via con noi, al nostro fianco. No, è morto, e così pure quell’esteta tremante, il suo amico. La coscienza, che importanza ha?’

«Raccolse le carte e le mise da parte, accennandomi di passarle i libri sul tavolo accanto alla cuccetta, i libri che aveva tolto dalle valigie appena giunta a bordo: le poche testimonianze scelte delle tradizioni sui vampiri che s’era portata perché le facessero da guida. Non includevano nessuna delle leggende assurde dell’Inghilterra, nessun racconto di Edgar Allan Poe, nessuna storia fantastica. Solo quei pochi resoconti sui vampiri dell’Europa orientale, che erano diventati per lei una specie di Bibbia. In quei paesi, in effetti, quando trovavano un vampiro ne bruciavano i resti, gli trafiggevano il cuore con un paletto e gli tagliavano la testa. Li leggeva per ore e ore, questi antichi libri che erano stati letti e riletti prima ancora di trovare la strada al di là dell’Atlantico; erano racconti di viaggiatori, preti e studiosi. E progettava il nostro viaggio, senza bisogno di penna o carta, tutto a mente. Un viaggio che ci avrebbe subito portato lontano dalle scintillanti capitali d’Europa verso il Mar Nero, dove saremmo attraccati a Varna, per cominciare la nostra ricerca nella campagna dei Carpazi.

«Per me era una prospettiva poco piacevole, anche se vi ero costretto, perché in me c’era il desiderio d’altri posti, di una diversa conoscenza, che Claudia non accennava a capire. I semi di questo desiderio erano stati piantati in me anni prima, semi che divennero amari fiori quando la nostra nave passò per lo stretto di Gibilterra nelle acque del Mediterraneo.

«Avrei voluto che quelle acque fossero azzurre. Ma non lo erano. Erano acque della notte, e quanto soffrii allora, sforzandomi di ricordare i mari che i sensi di un giovane semplice avevano ritenuto ovvi, che una memoria indisciplinata aveva lasciato scivolar via per l’eternità. Il Mediterraneo era nero, nero al largo delle coste dell’Italia, nero al largo delle coste della Grecia, sempre nero, e ancora nero quando, nelle brevi, fredde ore che precedono l’alba, quando anche Claudia dormiva, stanca per le letture e per i magri pasti che la prudenza concedeva alla fame del vampiro, calavo una lanterna finché la fiamma risplendeva proprio sopra le acque sciabordanti; e nulla veniva alla luce su quella superficie oscillante fuorché la luce stessa, il riflesso di quel raggio che viaggiava sempre con me, un occhio immobile che pareva fissarmi dalle profondità marine e dirmi: ‘Louis, la tua ricerca è solo per l’oscurità; questo mare non è il tuo, i miti e i tesori degli uomini non sono i tuoi’.

«Ma, come mi riempiva d’amarezza la ricerca dei vampiri del Vecchio Mondo! Un’amarezza che potevo quasi assaporare, come se l’aria stessa avesse perduto la sua freschezza. Quali segreti, quali verità potevano rivelarci quelle mostruose creature della notte? Quali dovevano essere necessariamente i loro terribili limiti, sempre che fossimo riusciti a trovarli? Cosa può dire il dannato al dannato?

«Non scesi mai a terra al Pireo. Eppure nella mia mente vagai per l’Acropoli di Atene, vidi sorgere la luna attraverso il tetto aperto del Partenone, misurai la mia altezza contro quelle grandiose colonne, camminai per le strade dei greci che morirono a Maratona, ascoltai il suono del vento tra gli antichi olivi. Questi erano i monumenti degli uomini che non potevano morire, non le pietre dei morti viventi; qui i segreti avevano superato lo scorrere del tempo che solo vagamente avevo incominciato a comprendere. E tuttavia nulla mi distolse dalla nostra ricerca e nulla poteva distogliermi, ma continuamente meditavo sul rischio dei nostri interrogativi, sul rischio che implica qualsiasi domanda posta con sincerità; perché la risposta deve comportare un prezzo incalcolabile, un tragico pericolo. Chi lo sapeva meglio di me, che avevo assistito alla morte del mio corpo, veduto tutto ciò che chiamo umano appassire e morire solo per formare un’infrangibile catena che mi teneva legato a questo mondo e che pure mi aveva esiliato per sempre da esso, facendo di me uno spettro con un cuore pulsante?

«Il mare mi cullava portandomi brutti sogni, aspri ricordi. Una notte d’inverno a New Orleans, vagavo per il cimitero di St. Louis e vedevo mia sorella, vecchia e curva, un mazzo di rose bianche in mano, le spine accuratamente avvolte da una vecchia pergamena, la grigia testa reclinata, il passo deciso attraverso la pericolosa oscurità fino alla tomba dove si ergeva la lapide di suo fratello Louis, accanto a quella del fratello minore… Louis, morto nell’incendio di Pointe du Lac lasciando una generosa eredità a un suo figlioccio e omonimo che lei non conobbe mai. Quei fiori erano per Louis, come se non fosse passato mezzo secolo dalla sua morte, come se la sua memoria non le desse tregua. Il dolore aveva acuito la sua bellezza cinerea e incurvato la schiena sottile. E cosa non avrei dato, mentre la guardavo, per poter toccare i suoi capelli d’argento, per sussurrarle parole d’amore, se questo amore non le avesse scatenato, nei suoi ultimi anni, un orrore assai più terribile del dolore. La lasciai col dolore. Di nuovo e di nuovo e di nuovo.

«Sognavo troppo. Troppo a lungo, nella prigione di quella nave, nella prigione del mio corpo, ch’era in accordo con ogni levar del sole come nessun corpo mortale lo fu mai. E il mio cuore batteva più forte al pensiero delle montagne dell’Europa orientale, batteva più forte, ormai, per quella sola speranza che in qualche luogo di quella campagna primitiva avremmo forse saputo perché nel regno di Dio esisteva questa sofferenza, perché aveva potuto iniziare, e come si potesse porvi termine. Io non avevo il coraggio di mettervi fine, lo sapevo, senza quella risposta. E col tempo le acque del Mediterraneo diventarono le acque del Mar Nero».

II vampiro sospirò. Il ragazzo aveva il gomito appoggiato al tavolo, il viso contenuto nel palmo della mano destra, l’espressione avida in contrasto col rossore degli occhi stanchi.

«Pensi che stia giocando con te?» domandò il vampiro, aggrottando per un attimo le sue sottili sopracciglia scure.

«No» rispose subito il ragazzo. «Ormai ho imparato a non farle altre domande. Mi dirà lei ogni cosa a suo tempo». Tacque e guardò il vampiro come a dire che per lui si poteva ricominciare.

Poi vi fu un rumore lontano, da qualche punto del vecchio palazzo vittoriano dove si trovavano, il primo rumore del genere che avessero sentito. Il ragazzo guardò verso la porta del corridoio. Era come se si fosse dimenticato dell’esistenza del palazzo. Qualcuno camminava con passi pesanti sulle vecchie assi, ma il vampiro non si scompose. Guardò lontano come se stesse nuovamente allontanandosi dal presente.

«Quel villaggio. Non so dirti come si chiamava; il nome l’ho dimenticato. Ricordo che distava miglia dalla costa, e che avevamo viaggiato da soli in carrozza. E che carrozza! Era stata Claudia a volere quella carrozza, e avrei dovuto aspettarmelo; ma le cose mi prendono sempre alla sprovvista. Dal primo momento che arrivammo a Varna, notai certi cambiamenti in lei che mi ricordarono che era figlia di Lestat oltre che mia. Da me aveva appreso il valore del denaro, ma da Lestat aveva ereditato la passione di spenderlo; e non ne voleva sapere di partire se non con la più lussuosa carrozza nera che potemmo trovare, con sedili di pelle che avrebbero potuto accogliere una comitiva di viaggiatori, figuriamoci un uomo e una bambina che usavano quel magnifico scompartimento solo per trasportarvi una cassa di quercia intagliata. Dietro erano legati due bauli coi vestiti più eleganti che si potevano trovare nei negozi di quel paese, e noi procedevamo di gran carriera, con le enormi ruote leggere e le molle sottili che portavano il grosso carico su per le strade di montagna con terrorizzante disinvoltura. I cavalli al galoppo e il lieve sbandare della carrozza suscitarono scalpore in quello strano paese altrimenti deserto.

«Ed era veramente uno strano paese. Tenebroso come sono sempre i paesi rurali, i castelli e le rovine spesso completamente oscurati quando la luna spariva dietro alle nuvole, tanto che provai un’inquietudine mai provata a New Orleans. E la gente non era di alcun conforto. Eravamo esposti e sperduti nei loro minuscoli villaggi, e sempre coscienti che in mezzo a loro eravamo in grave pericolo.

«A New Orleans non c’era mai stato bisogno di nascondere gli omicidi. Le devastazioni della febbre, della peste, dei delitti, tutte queste cose gareggiavano con noi e avevano la meglio. Ma qui dovevamo stare molto attenti che non si accorgessero degli omicidi. Perché questa semplice gente di campagna, che avrebbe trovato terrificanti le affollate strade di New Orleans, era profondamente convinta che i morti camminassero e bevessero il sangue dei vivi. Conoscevano i nostri nomi: vampiro, demonio. E noi, sempre all’erta per la minima diceria, non intendevamo affatto suscitarne.

«Viaggiavamo soli; veloci e circondati da grande lusso in mezzo a loro, cercando di non esporci al pericolo pur nella nostra ostentazione, ascoltando i discorsi sui vampiri, accanto al fuoco nelle taverne, dove io, con mia figlia che dormiva tranquilla contro il mio petto, trovavo regolarmente qualcuno che sapeva abbastanza tedesco o addirittura francese per discutere con me di quelle leggende familiari.

«Infine giungemmo a un villaggio che avrebbe segnato una svolta nelle nostre peregrinazioni; di quel viaggio non ricordo nulla con piacere, neppure la freschezza dell’aria o le notti terse. Anche ora non riesco a parlarne senza un vago tremore.

«La notte prima ci eravamo fermati in una fattoria, e così nessuna notizia ci aveva messi sull’avviso; solo l’aspetto desolato del luogo: perché quando vi arrivammo non era tardi, tanto tardi da spiegare perché le finestre nella stradina fossero tutte sprangate e una lanterna oscurata pendesse pigramente sotto la volta della locanda.

«I rifiuti erano ammucchiati davanti agli ingressi delle case. E altri segni stavano a indicare che qualcosa non andava. Una cassettina di fiori appassiti sotto la saracinesca chiusa di un negozio. Un barile che rotolava avanti e indietro in mezzo al cortile della locanda. Sembrava un posto assediato dalla peste.

«Ma mentre stavo facendo scendere Claudia sulla terra battuta accanto alla carrozza, vidi una fessura di luce sotto la porta della locanda. ‘Tira su il cappuccio del mantello’ mi disse lei immediatamente. ‘Stanno arrivando’. Qualcuno all’interno stava tirando indietro il chiavistello.

«Al primo momento vidi solo la luce dietro la sagoma di una donna nello strettissimo margine della porta. Poi la luce delle lanterne della carrozza baluginò nei suoi occhi.

«‘Una stanza per la notte!’ le dissi in tedesco. ‘E i miei cavalli hanno estremo bisogno di cura! ‘

«‘La notte non è il momento per viaggiare…’ mi disse con una voce strana, piatta. ‘Specialmente con una bambina’. Mentre lo diceva, notai altre persone nella stanza, dietro di lei. Sentivo i loro mormoni e scorsi il guizzare d’un fuoco. Da quel che riuscivo a vedere, attorno al caminetto c’erano perlopiù contadini, tranne un uomo dall’abbigliamento molto simile al mio, con una giacca di buon taglio e un cappotto sulle spalle; ma i suoi vestiti erano sciupati e malconci. I suoi capelli rossi brillavano alla luce del fuoco. Era uno straniero, come noi, e il solo che non ci guardasse. La sua testa oscillava lievemente come se fosse stato ubriaco.

«‘Mia figlia è stanca’ dissi alla donna. ‘Non c’è altro posto dove possiamo fermarci’. Presi in braccio Claudia, che voltò il viso verso di me e mi sussurrò: ‘Louis, l’aglio! Il crocifisso sulla porta!’

«Non li avevo visti. Era un piccolo crocifisso, con un Cristo in bronzo su una croce di legno, e l’aglio vi era disposto attorno a ghirlanda: una ghirlanda fresca intrecciata con una vecchia, dai germogli appassiti e secchi. Gli occhi della donna seguirono i miei, poi mi guardò bruscamente: notai quanto era sfinita, com’erano rosse le sue pupille, e come tremava la mano che stringeva lo scialle al petto. I neri capelli erano scarmigliati. Mi avvicinai finché fui quasi sulla soglia, e lei spalancò improvvisamente la porta come se avesse deciso solo in quell’istante di farci entrare. Disse una preghiera mentre le passai accanto, ne ero sicuro, sebbene non fossi in grado di capire le parole slave.

«La stanza piccola, dalle travi basse, era zeppa di gente, uomini e donne addossati alle ruvide pareti, seduti su panche e persino sul pavimento. Sembrava che si fosse riunito l’intero villaggio. Un bambino dormiva in grembo alla madre e un altro sulla scala, infagottato di coperte, con le ginocchia piegate contro uno scalino, le braccia che gli facevano da cuscino su quello superiore. E aglio dappertutto, appeso a chiodi e ganci, tra pentole e bricchi. L’unica fonte di luce era il fuoco, che gettava ombre deformanti sulle facce immobili che ci guardavano.

«Nessuno si mosse per farci sedere o offrirci qualcosa; infine la donna mi disse in tedesco che potevo portare i cavalli in scuderia. Mi guardava con occhi un po’ folli, cerchiati di rosso, poi il suo viso s’addolcì. Mi disse che m’avrebbe aspettato sulla porta della locanda con una lanterna ma che dovevo sbrigarmi e lasciare lì la bambina.

«Ma qualcos’altro m’aveva turbato, un odore che individuai sotto la greve fragranza del legno che bruciava e del vino: l’odore della morte. Sentii la mano di Claudia premermi il petto, e vidi il suo ditino indicare una porta ai piedi delle scale: l’odore veniva da lì.

«Al mio ritorno, trovai ad attendermi un bicchiere di vino e una scodella di zuppa che la donna m’aveva preparato. Mi misi a sedere, con Claudia sulle ginocchia, che spostò lo sguardo dal fuoco verso quella porta misteriosa. Come prima, tutti gli occhi tornarono a fissarsi su noi tranne quelli del forestiero. Ora vedevo chiaramente il suo profilo. Era molto più giovane di quanto avessi pensato e quell’aspetto smunto era causato dall’emozione. Aveva un viso magro ma molto gradevole e la sua pelle chiara, lentigginosa, lo faceva sembrare un ragazzo. I suoi grandi occhi azzurri erano fissi sul fuoco come se ci stesse parlando, le palpebre e le sopracciglia splendevano dorate nella luce, il che gli dava un’espressione aperta, innocente. Ma era infelice, turbato, ubriaco. A un tratto si rivolse a me, e vidi che stava piangendo. ‘Parlate inglese?’ domandò, e la sua voce rimbombò nel silenzio.

«‘Sì’ gli risposi. Lanciò agli altri un’occhiata trionfante, ma lo guardarono gelidamente.

«‘Voi parlate inglese!’ gridò, tirando le labbra in un sorriso amaro, lo sguardo al soffitto e poi sui miei occhi. ‘Andate via da questo paese, immediatamente. Prendete la carrozza, i cavalli, spingeteli finché crollano, ma andate via di qui!’ Poi un tremito convulso gli scosse le spalle, come se fosse stato malato. Si portò la mano alla bocca. La donna, appoggiata a un muro con le mani incrociate sul grembiule pieno di macchie, disse calma in tedesco: ‘All’alba potete andare. All’alba’.


«‘Ma che succede?’ le sussurrai; poi guardai lui. Mi stava osservando, con occhi vitrei e rossi. Nessuno parlava. Un ceppo cadde pesantemente nel camino.

«‘Non volete spiegarmelo voi?’ chiesi garbatamente all’inglese. Lui si alzò. Per un attimo pensai che stesse per cadere. Era molto più alto di me, e la testa gli ondeggiò avanti e poi indietro prima che riuscisse a star dritto appoggiandosi all’orlo del tavolo. La sua giacca nera era macchiata di vino, e così pure un polsino della camicia. ‘Volete vedere?’ ansimò, scrutando la mia espressione. ‘Volete vedere coi vostri occhi?’ Mentre pronunciava queste parole, c’era nella sua voce una sfumatura dolce, patetica.

«‘Lasciate qui la bambina!’ intimò bruscamente la donna, con un gesto rapido e imperioso.

«‘Dorme’ risposi. Mi alzai e seguii l’inglese fino alla porta ai piedi delle scale.

«Vi fu un po’ di confusione quando quelli vicino alla porta si scostarono. Entrammo insieme in un salottino.

«Una sola candela ardeva sulla credenza e la prima cosa che vidi fu una fila di piatti delicatamente dipinti su uno scaffale. C’erano delle tende alla finestra e sulla parete un quadro con la Vergine Maria e Gesù bambino. Ma le pareti e le sedie contenevano a malapena un grande tavolo di quercia e sul tavolo giaceva il corpo di una giovane donna, con le bianche mani intrecciate sul petto, i capelli arruffati sparsi attorno alla gola bianca e sottile e sotto le spalle. Il suo bel viso era già indurito dalla morte. I grani d’ambra del rosario le brillavano attorno al polso e lungo la sottana di lana scura. Aveva accanto un grazioso cappello di feltro rosso con una tesa larga e morbida e una veletta, e un paio di guanti scuri. Erano posati là come se di lì a poco si dovesse alzare e indossarli. L’inglese, avvicinandosi, accarezzò piano il cappello. Era sull’orlo di un crollo totale. Estrasse dalla giacca un grande fazzoletto e se lo passò sul viso. ‘Sapete che vogliono fare di lei?’ mi sussurrò. ‘Ne avete un’idea?’

«La donna entrò dietro di noi e fece per prenderlo per il braccio, ma lui se ne liberò bruscamente. ‘Lo sapete?’ mi domandò con occhi furiosi. ‘Selvaggi!’

«‘Ora basta!’ fece lei sottovoce.

«L’inglese strinse i denti e scosse la testa, così che una ciocca dei capelli rossi gli cadde sugli occhi. ‘State lontana da me’ disse alla donna in tedesco. ‘Lontana da me’. Qualcuno bisbigliava nella stanza accanto. L’inglese guardò ancora la giovane donna e i suoi occhi si riempirono di lacrime. ‘Così innocente’ mormorò; poi alzò lo sguardo al soffitto e, chiudendo la destra in un pungo, ansimò: ‘Sia maledetto… Iddio! Maledetto!’

«‘Signore!’ sussurrò la donna, facendosi alla svelta il segno della croce.

«‘Vedete?’ mi domandò lui. E scostò con estrema cautela i pizzi sulla gola della morta, come se non potesse, non volesse toccare quella carne indurita. Là, sulla gola, vi erano due inconfondibili punture come ne avevo viste migliaia e migliaia di volte, incise nella pelle giallastra. L’uomo si portò le mani al viso e il suo corpo alto e magro dondolò sulle punte dei piedi. ‘Forse sto impazzendo!’ gemette.

«‘Ora venite’ disse la donna, avvinghiandosi a lui con un improvviso rossore sul viso.

«‘Lasciatelo stare’ intervenni io. ‘Via, lasciatelo stare. Di lui mi occupo io’.

«La donna storse la bocca. ‘Vi sbatterò tutti fuori di qui, fuori al buio, se non la smettete’. Era sfinita: anche i suoi nervi stavano per cedere. Ma poi ci voltò le spalle, si strinse lo scialle intorno al busto e uscì. L’inglese piangeva.

«Volevo che mi raccontasse tutto e il cuore mi batteva in muta eccitazione. Era straziante vederlo in quello stato. Il destino mi aveva portato troppo vicino a lui.

«‘Resterò con voi’ mi offrii. Presi due sedie e le accostai al tavolo. Si sedette pesantemente, gli occhi sulla candela tremolante al suo fianco. Chiusi la porta, le pareti parvero quasi indietreggiare e il cerchio delle candele sembrava più luminoso attorno alla sua testa piegata. S’appoggiò contro la credenza e si asciugò il viso con un fazzoletto; poi estrasse dalla tasca una fiaschetta ricoperta di pelle, me la offrì, ma declinai.

«‘Volete raccontarmi cos’è accaduto?’

«Annuì. ‘Forse voi potete portare un po’ di normalità in questo posto. Voi siete francese, vero? Io sono inglese, sapete’.

«‘Sì’ risposi.

«Poi, stringendomi la mano con ardore, senza accorgersi che era gelida perché i suoi sensi erano completamente annebbiati dal liquore, mi disse che il suo nome era Morgan e che aveva un bisogno disperato di me, come mai nella sua vita aveva avuto bisogno di qualcuno. E in quel momento, sentendo la febbre di quella mano, feci una cosa strana: gli dissi il mio nome, che non avevo confidato quasi a nessun altro. Ma lui guardava la donna morta come se non mi avesse sentito, formando con le labbra il più debole dei sorrisi, con gli occhi ancora pieni di lacrime. La sua espressione avrebbe commosso qualunque essere umano; per alcuni sarebbe stata addirittura insopportabile.

«‘Sono stato io’ disse, accennando col capo. ‘Io l’ho portata qui’. E inarcò le sopracciglia con aria perplessa.

«‘No’ ribattei immediatamente. ‘Non siete stato voi a fare questo. Ditemi chi è stato’.

«Ma sembrava confuso, perduto nei suoi pensieri. ‘Non ero mai stato fuori dell’Inghilterra’ incominciò. ‘Io dipingevo, sapete… come se ora importasse qualcosa… i quadri, il libro! Pensavo fosse tutto così interessante! Così pittoresco!’ Il suo sguardo errò per la stanza, la voce si spense. Guardò ancora a lungo la donna, poi le disse dolcemente: ‘Emily’ ed ebbi l’impressione che ci fosse qualcosa di prezioso nel suo cuore.

«Poi, a poco a poco, la storia venne fuori. Un viaggio di nozze, attraverso la Germania, in questo paese, ovunque li portava il servizio regolare di carrozze, ovunque Morgan trovava delle scene da dipingere. Infine erano giunti in questo posto remoto perché c’era un monastero abbandonato che aveva fama d’essere molto ben conservato.

«Ma Morgan ed Emily a quel monastero non arrivarono mai. La tragedia li aveva aspettati qui.

«Scoprendo che le carrozze regolari non andavano da quelle parti, Morgan aveva pagato un fattore perché li portasse col suo carro. Ma il pomeriggio in cui arrivarono c’era una grande agitazione nel cimitero fuori città. Il fattore, dopo aver dato un’occhiata, si rifiutò di andare oltre.

«‘Sembrava una specie di processione’ raccontò Morgan, ‘tutti col vestito della festa, molti con dei fiori; la verità è che lo trovavo molto affascinante. Volevo vederlo. Ero così smanioso che dissi al fattore di lasciarci lì, coi bagagli e tutto quanto. Poco più avanti si vedeva il villaggio. Veramente ero più io a volerlo di Emily, ma lei era così accondiscendente… La lasciai seduta sulle valigie e m’incamminai su per la collina. Arrivando avete notato il cimitero? Sicuramente no. Grazie a Dio quella vostra carrozza vi ha portato qui sani e salvi. Però, se aveste continuato, per stanchi che fossero i vostri cavalli…’ Poi tacque.

«‘Qual è il pericolo?’ lo sollecitai gentilmente.

«‘Ah… il pericolo! Barbari!’ mormorò. E gettò uno sguardo alla porta. Prese un’altra sorsata dalla fiaschetta e la richiuse.

«‘Be’, non era affatto una processione. Me ne accorsi subito’ riprese. ‘Quando salii, la gente non volle neppure parlarmi — sapete come sono fatti; ma non fecero obiezioni al fatto che stessi a guardare. Non mi crederete quando vi dirò cosa vidi, ma dovete credermi, se no vuoi dire che sono proprio matto’.

«‘Vi crederò, continuate’ lo rassicurai.

«‘Bene, notai che il cimitero era pieno di nuove sepolture, alcune con croci di legno, altre semplici tumuli di terra con dei fiori ancora freschi; alcuni contadini tenevano in mano dei fiori, come se volessero adornare queste tombe; ma tutti quanti erano come impietriti, con gli occhi fissi su due individui che tenevano per le briglie un cavallo bianco — e che cavallo! Scalciava e scalpitava e scartava da un lato, come se avesse in odio quel luogo; uno splendido animale, però, uno stallone, tutto bianco. Be’, a un certo punto — e non potrei dirvi come si siano messi d’accordo, perché nessuno di loro disse una parola — uno, il capo, penso, gli diede un colpo tremendo col manico d’una pala, e il cavallo partì all’impazzata su per la collina. Ve lo potete immaginare. Io pensavo che non l’avremmo più visto, almeno per un po’. Ma mi sbagliavo. Dopo un minuto rallentò e incominciò a girare intorno alle vecchie tombe, poi scese giù per la collina verso quelle nuove. E tutti rimasero immobili a guardarlo. Nessuno emise un suono. Ed ecco che tornò trottando sopra i tumuli, attraverso i fiori, e nessuno fece un movimento per afferrare le briglie. Poi all’improvviso si fermò, sopra una tomba’.

«Si asciugò gli occhi, ma non avevano quasi più lacrime. Sembrava incantato dalla propria storia, come lo ero io.

«‘Ed ecco cosa accadde’ continuò. ‘L’animale restò lì fermo e a un tratto un grido si levò dalla folla. No, non era un grido, era come se tutti quanti ansimassero e gemessero, poi tornò il silenzio generale. E il cavallo era sempre fermo e scuoteva la testa; allora il capo si fece avanti, chiamando a gran voce molti altri; una delle donne lanciò un urlo e si gettò sulla tomba quasi sotto gli zoccoli del cavallo. Mi avvicinai più che potei. Vidi la pietra col nome del morto: era una giovane donna, morta solo da sei mesi, le date erano incise, e lì c’era quella donna sventurata inginocchiata sul terriccio, che ora abbracciava la pietra come per strapparla dalla terra. E la gente cercava di tirarla su e portarla via.

«‘Avevo una mezza intenzione di andarmene, ma non ci riuscivo, non prima di vedere cosa avrebbero fatto. Emily era al sicuro e nessuno aveva minimamente badato né a me né a lei. Be’, alla fine due di loro la fecero alzare, e gli altri arrivarono con i badili e cominciarono a scavare nella tomba. Poco dopo uno di loro scese nella fossa e tutti stavano così in silenzio che si sarebbe sentita una mosca volare, intanto che il badile scavava e la terra ricadeva in un cumulo. Non posso descriverti quella strana atmosfera. Sopra noi il sole era alto e in cielo non c’era una nuvola; tutti erano in piedi, si stringevano l’uno all’altro, e persino quella donna disperata…’ Si fermò un momento: il suo sguardo era caduto su Emily. Aspettai. Sentii il rumore del whisky quando sollevò di nuovo la fiaschetta, e fui felice per lui che ce ne fosse ancora tanto, che potesse bere e attenuare il suo dolore. ‘Avrebbe potuto essere anche mezzanotte su quella collina’ disse con voce bassissima, guardandomi. ‘A me sembrava che lo fosse. E poi udii quell’uomo nella fossa. Stava spaccando il coperchio della bara con la sua pala! Poi uscirono le assi rotte. Le buttava fuori, a destra, a sinistra. E tutt’a un tratto mandò un grido orrendo! Gli altri accorsero subito tutt’intorno alla fossa; e caddero indietro come un’ondata, urlando, alcuni voltandosi, cercando di farsi strada per fuggire. E la povera donna, come impazzita, si piegava sulle ginocchia, cercando di liberarsi degli uomini che la tenevano stretta. Be’, non potevo non avvicinarmi. Credo che niente avrebbe potuto tenermi lontano; e vi dirò che era la prima volta che facevo una cosa del genere e, Dio m’aiuti, sarà anche l’ultima. Ora, dovete credermi, dovete! Là, in quella bara, con quell’uomo che stava ritto sulle assi spaccate, c’era la morta, e vi assicuro che… era fresca, e rosea’ — la sua voce s’incrinò e lui rimase un secondo immobile, con gli occhi spalancati, la mano librata in aria come se stringesse tra le dita qualcosa di invisibile, supplicandomi di credergli — ‘rosea come fosse viva! Sepolta da sei mesi! Il sudario era gettato indietro e le sue mani erano appoggiate sul petto proprio come se stesse dormendo’.

«Sospirò. La mano gli ricadde sulla gamba, scosse la testa, e per un istante guardò nel vuoto. ‘Ve lo giuro!’ continuò. ‘E poi l’uomo che stava nella fossa si piegò e sollevò la mano della morta. Vi dico che quel braccio si muoveva libero come il mio! L’uomo le teneva la mano come se le guardasse le unghie. Poi urlò; e la donna accanto alla fossa scalciava contro gli uomini che la tenevano e puntava i piedi per terra, così la terra cadde giù, sul viso e sui capelli del cadavere. Oh, com’era bella quella donna morta! Se aveste potuto vederla… e cosa le fecero!’

«‘Ditemi cosa le fecero’ gli domandai sommessamente. Ma lo sapevo già prima che me lo dicesse.

«‘Vi dico…’ riprese. ‘Non sappiamo cosa vuoi dire una cosa finché non la vediamo!’ Mi guardò, con le sopracciglia inarcate, come se mi stesse confidando un terribile segreto. ‘Non lo sappiamo’.

«‘No, non sappiamo’ feci eco.

«‘Allora, ecco… Presero un paletto, un paletto di legno, e quello nella fossa afferrò il paletto e un martello e lo poggiò sul petto di lei. Non credevo ai miei occhi! Poi con un colpo solo, foltissimo, glielo conficcò nel cuore. Vi giuro: non sarei riuscito a muovermi neppure se l’avessi voluto; ero inchiodato. E poi l’uomo prese la pala e con entrambe le braccia la vibrò violentemente in gola alla morta. La testa si staccò’. Chiuse gli occhi, la faccia stravolta, reclinando la testa da un lato.

«Io lo guardavo, ma non lo vedevo. Vedevo la donna nella tomba con la testa spiccata e sentivo una violenta repulsione, come se una mano mi premesse la gola e le viscere salissero dentro di me e non mi lasciassero respirare. Poi sentii il labbro di Claudia sul mio polso. Fissava Morgan, a quanto sembrava, già da un po’.

«Lentamente Morgan levò su di me il suo sguardo, stravolto. ‘È quello che vogliono fare con lei’ disse. ‘Con Emily! Ma io non lo permetterò’. Scosse la testa, inflessibile. ‘Non glielo permetterò. Dovete aiutarmi, Louis’. Le labbra gli tremavano e il suo viso era talmente scomposto da quest’improvvisa disperazione che forse, senza volerlo, indietreggiai. ‘Lo stesso sangue scorre nelle nostre vene, in voi e in me. Voglio dire, francesi, inglesi, siamo uomini civili, Louis. Loro sono dei selvaggi!’

«‘Ora cercate di calmarvi Morgan’ gli dissi, allungando la mano per toccarlo. ‘Voglio che mi diciate cosa accadde poi. Voi ed Emily…’

«Si affannava a cercare la bottiglia. Gliela tirai fuori dalla tasca e lui svitò il tappo. ‘Sei un amico Louis, un vero amico’ disse enfaticamente. ‘Be’, portai via Emily di corsa; quelli stavano per bruciare il cadavere lì nel cimitero, e lei non doveva vederlo, non mentre io…’ Scosse la testa. ‘Non si riusciva a trovare una carrozza che ci portasse via di lì; nessuno di loro voleva accompagnarci per i due giorni di viaggio che ci avrebbero condotto in posto decente!’

«‘Ma come ve lo spiegarono, Morgan?’ Insistetti. Vedevo che non gli restava molto tempo.

«‘Vampiri!’ esplose; il whisky sciaguattava nella bottiglia. ‘Vampiri, Louis. Non è incredibile?’ Accennò alla porta con la bottiglia. ‘Un’invasione di vampiri! Tutto bisbigliando, come se il diavolo in persona stesse origliando alla porta! Naturalmente, Dio abbia misericordia, dicevano di aver messo fine a questa storia. Avevano impedito a quella povera donna nella bara di levarsi di notte per cibarsi di noi!’ Si portò la bottiglia alle labbra. ‘Oh… Dio!’ gemette.

«Lo osservai bere in paziente attesa.

«‘Ed Emily…’ continuò, ‘lo trovava affascinante. Un po’ per il fuoco, un po’ per la cena decorosa e per un discreto bicchiere di vino. Non aveva visto quella donna! Non aveva visto cosa le avevano fatto! Io volevo andarmene via di qui; offrii loro dei soldi. Se la cosa è finita, continuavo a dire, uno di voi deve pur volere questo denaro, una piccola fortuna solo per portarci via di qua’.

«‘Ma non era finita…’ sussurrai.

«Vedevo le lacrime che gli si raccoglievano negli occhi, la bocca che si torceva per il dolore.

«‘Com’è successo a lei?’ gli domandai.

«‘Non lo so’ rispose ansimando, scuotendo la testa, tenendo premuta la fiaschetta contro la fronte, come se fosse qualcosa di freddo, di rinfrescante, mentre invece non lo era.

«‘Entrò nella locanda?’

«‘Dissero che fu lei ad andargli incontro’ rispose, con le lacrime che gli scorrevano sulle guance. ‘Era tutto sprangato! Porte, finestre! Avevano sprangato tutto! Poi, la mattina, tutti gridavano, e lei era sparita. La finestra era spalancata e lei non c’era. Non m’infilai neppure la vestaglia. Corsi. Ma mi fermai di colpo, su di lei, riversa là fuori, dietro la locanda. Per poco non la calpestai… era là per terra sotto gli alberi di pesco. Aveva in mano una coppa vuota e la stringeva. Dicono che lui l’abbia adescata… lei gli aveva offerto dell’acqua’.

«La fiaschetta gli sfuggì di mano. Si portò le mani sulle orecchie e si piegò su se stesso, il capo chino.

«Rimasi a lungo immobile, a guardarlo: non avevo niente da dirgli. E quando, tra le lacrime, mormorò che volevano profanarla, che affermavano che Emily ormai era un vampiro, con dolcezza cercai di rassicurarlo, anche se credo che non mi udisse.

«Alla fine si mosse, ma pareva che dovesse cadere da un momento all’altro. Voleva prendere la candela, ma prima d’appoggiare il braccio sulla credenza la toccò con le dita e la cera bollente spense la sottile fiammella che ancora ardeva sullo stoppino. Eravamo al buio e lui aveva piegato la testa sul braccio.

«Ora tutta la luce della camera sembrava raccogliersi negli occhi di Claudia. Il silenzio ci avvolgeva e speravo che Morgan non rialzasse il capo, quando sulla porta apparve la donna. La candela che teneva in mano lo illuminò, addormentato e ubriaco.

«‘Ora andatevene’ mi disse la donna. Una folla di oscure forme si muoveva attorno a lei e la vecchia locanda di legno risuonava dei passi strascicati di uomini e donne. ‘Andate al caminetto’.

«‘Cosa volete fare?’ le domandai imperioso, alzando Claudia e stringendola a me. ‘Voglio sapere che volete fare!’

«‘Andate vicino al fuoco!’ mi ordinò.

«‘No, non fatelo’ mormorai. Ma la donna stinse gli occhi e digrignò i denti. ‘Muovetevi!’ ringhiò.

«‘Morgan’ chiamai, ma non mi udì: non poteva.

«‘Lasciatelo in pace!’ m’intimò la donna con violenza.

«‘Ma è stupido quello che state per fare; non lo capite? Questa donna è morta! ‘ la supplicai.

«‘Louis’ sussurrò Claudia, così piano che non la potevano udire, con un braccio stretto attorno al mio collo sotto il pelo del cappuccio. ‘Lascia perdere questa gente’.

«Ora gli uomini e le donne si muovevano qua e là per la stanza, giravano attorno alla tavola, i loro visi tetri rivolti verso di noi.

«‘Ma da dove vengono questi vampiri?’ domandai alla donna in un sussurro. ‘Avete frugato il cimitero! Se si tratta di vampiri, dove si nascondono? Questa donna non può farvi alcun male. Date la caccia ai vostri vampiri, piuttosto!’

«‘Di giorno’ mi rispose gravemente. ‘Di giorno. Li prenderemo di giorno!’

«‘Dove, nel cimitero, scavando le tombe dei vostri compaesani?’

«Scosse la testa. ‘Le rovine’ mormorò. ‘Sono sempre state quelle rovine. Ci siamo sbagliati. Ai tempi dei miei nonni erano le rovine e ancora oggi è così. Le abbatteremo, pietra dopo pietra, se sarà necessario. Ma voi ora andate. Perché se non ve ne andate da solo, vi mettiamo fuori al buio!’

«Da sotto il grembiule tirò fuori il pugno che stringeva il paletto e lo alzò nella luce tremolante della candela. ‘Mi avete capito? Andatevene!’ Gli uomini intanto si stringevano tutti dietro lei, le labbra contratte, gli occhi fiammeggianti nella luce.

«‘Sì…’ le risposi. ‘Là fuori. Preferisco così. Là fuori’. Le scivolai dietro, quasi scostandola, e vidi gli altri farsi da parte per lasciarmi passare. La mia mano era già sulla serratura della porta della locanda. La aprii velocemente.

«‘No!’ gridò la donna nel suo tedesco gutturale. ‘Siete pazzo!’ E si precipitò su di me, guardando fisso la serratura, ammutolita. Gettò le braccia contro gli scabri pannelli della porta. ‘Sapete quello che fate?’

«‘Dove sono le rovine?’ le domandai calmo. ‘Sono lontane? Sono sulla sinistra della strada oppure sulla destra?’

«‘No, no!’ Scosse la testa con violenza. Una donna addossata al muro disse qualcosa, aspra e incollerita, e un bambino gemette nel sonno. ‘Me ne vado; voglio solo una cosa da voi: ditemi dove sono le rovine, in modo da starne lontano. Ditemelo’.

«‘Voi non sapete, non sapete’ balbettò; allora la presi per un polso e la feci cadere sul pavimento, il suo sguardo era stravolto. Gli uomini si avvicinarono, ma come lei uscì a malincuore nella notte, si bloccarono. Lei scosse la testa, i capelli le caddero sugli occhi, che fissavano la mia mano e la mia faccia con espressione torva. ‘Ditemi…’ mormorai.

«M’accorsi che non era me che guardava, ma Claudia. Claudia si era voltata verso di lei e la luce che veniva dal camino le illuminava il viso. La donna non vedeva, lo sapevo, le guance paffute né le labbra increspate, ma solo gli occhi di Claudia, che la fissavano con uno sguardo oscuro, diabolico. La donna si morse le labbra.

«‘Verso nord o verso sud?’

«‘Verso nord…’ mormorò.

«‘Sulla destra o sulla sinistra?’

«‘Sulla sinistra’.

«‘Quant’è lontano?’

«La sua mano cercava disperatamente di liberarsi dalla mia presa. ‘Tre miglia’ rispose, ansimante. La lasciai andare: cadde all’indietro contro la porta, gli occhi spalancati dalla paura e dall’agitazione. Mi ero voltato per andarmene, quando improvvisamente mi disse di aspettare un momento. Mi voltai e la vidi strappare il crocefisso dalla trave sopra il suo capo e gettarmelo addosso. E dal paesaggio da incubo della mia memoria, dall’oscurità vidi emergere Babette, che mi guardava inorridita con quello stesso sguardo di tanti anni prima quando avevo pronunciato quelle parole: ‘Vade retro, Satana’. Ma il volto della donna era disperato. ‘Prendetelo, ve ne prego, in nome di Dio’ implorò, ‘e andate in fretta’. E la porta si chiuse, abbandonando me e Claudia nella più completa oscurità.


«Erano passati solo pochi minuti da quando il buio della notte si era richiuso al di sopra delle deboli lanterne della nostra carrozza, come se quel villaggio non fosse mai esistito. Seguimmo una curva, le balestre scricchiolarono; la luna pallida rivelò per un istante il profilo indistinto delle montagne al di là dei pini. Non riuscivo a smettere di pensare a Morgan, di riudire la sua voce. Il suo racconto si mescolava alla mia orrenda anticipazione dell’incontro con l’essere che aveva ucciso Emily, quell’essere che, senza alcun dubbio, era uno di noi. Claudia invece era frenetica. Se fosse stata capace di guidare i cavalli, avrebbe preso lei stessa le redini. Senza posa m’incitava a dare di piglio alla frusta. Colpiva selvaggiamente i pochi rami bassi che comparivano all’improvviso nella luce delle lanterne davanti ai nostri volti; e il braccio che si stringeva alla mia vita sulla panca dondolante era saldo come il ferro.

«Ricordo che la strada svoltò bruscamente, le lanterne tintinnarono, e la voce di Claudia, più forte del vento, gridò: ‘Ecco, Louis, vedi?’ Tirai violentemente le redini.

«Claudia si era messa in ginocchio, schiacciata contro di me, e la carrozza oscillava come una nave nel mare.

«Una grande nube aveva abbandonato la luna e sopra di noi si profilava la sagoma scura della torre. Una sola lunga finestra rivelava il pallido cielo che vi stava dietro. Rimasi fermo, afferrandomi alla panca, cercando di arrestare quel movimento che perdurava nella mia testa anche quando la carrozza fu ferma sulle balestre. Un cavallo nitrì, poi tutto fu silenzio.

«Claudia diceva: ‘Louis, vieni…’

«Mormorai qualcosa: un rapido, irrazionale diniego; ebbi l’impressione netta, terrorizzante, che Morgan mi fosse vicino e mi parlasse con quella voce bassa e appassionata con cui m’aveva supplicato nella locanda. Nessun essere vivente si agitava nella notte attorno a noi, solo il vento e il lieve fruscio delle foglie.

«‘Credi che sappia che stiamo arrivando?’ le domandai e la mia voce nel vento mi suonò estranea. Ero ancora in quella stanza con Morgan, come se non ci fosse modo di fuggire, e questa fitta foresta non fosse reale. Forse rabbrividii. Poi sentii la mano di Claudia toccare dolcemente la mano con cui mi ero coperto gli occhi. Dietro di lei i pini sottili si agitavano e il fruscio delle foglie cresceva, come se una bocca enorme risucchiasse il vento e stesse per cominciare una tempesta. ‘La seppelliranno a un bivio? È questo che faranno? Una donna inglese!’ mormorai.

«‘Se fossi grande come te…’ disse Claudia. ‘E se tu avessi il mio cuore. Oh Louis…’ La sua testa si inclinò verso di me, in un atteggiamento così simile a quello del bacio del vampiro che io feci per ritrarmi; ma le sue labbra premettero solo delicatamente le mie, trovando un punto da dove suggere il respiro e farlo rifluire dentro di me. ‘Lascia che ti guidi…’ implorava. ‘Ormai non si può più tornare indietro… prendimi nelle tue braccia e mettimi giù sulla strada’.

«Mi parve di restare immobile un’eternità a sentire le sue labbra sul mio viso e sulle mie palpebre. Infine Claudia si mosse, il suo piccolo corpo morbido si staccò da me, con un movimento così aggraziato e rapido che sembrò librarsi nell’aria accanto alla carrozza; per un attimo la sua mano afferrò la mia, poi la lasciò andare. Allora abbassai lo sguardo e la vidi che mi guardava, in piedi sulla strada, nella pozza di luce vibrante della lanterna. Mi fece cenno di seguirla, camminando all’indietro, uno stivaletto dietro l’altro. ‘Louis, scendi…’ finché minacciò di svanire nell’oscurità. In un attimo avevo sfilato la lampada dal gancio e l’avevo raggiunta nell’erba alta.

«‘Ma non senti il pericolo?’ le sussurrai. ‘Non lo respiri come l’aria?’ Uno di quei suoi sorrisi rapidi, elusivi, le danzò sulle labbra come si volse verso il pendio. La lanterna ci aprì un sentiero nella foresta sempre più fitta. Una piccola mano bianca strinse il mantello di lana al collo, e Claudia si avviò.

«‘Aspetta solo un istante…’

«‘La paura è il tuo nemico…’ mi rispose; ma non si fermò.

«Camminava davanti alla luce, con piede sicuro, anche quando l’erba alta lasciò il posto a mucchi bassi di pietrisco, la foresta si infittì, e la torre lontana svanì con lo scolorire della luna e nell’alto intrico dei rami sopra noi. Presto il rumore e l’odore dei cavalli morì nel calare del vento. ‘Stai in guardia’ sussurrò Claudia. Di tanto in tanto si fermava, quando a tratti gli avviluppati rampicanti e le rocce potevano far pensare che ci fosse un riparo. Quelle rovine erano molto antiche. Chissà cosa aveva devastato la città: un’epidemia, un incendio, un nemico straniero… Solo il monastero era rimasto in piedi.

«Nel buio percepii un fruscio, simile a quello del vento o delle foglie, ma non era né l’una né l’altra cosa. Vidi la schiena di Claudia drizzarsi, balenare il bianco palmo della sua mano e il suo passo rallentare. Poi capii che si trattava di acqua, acqua che scendeva serpeggiando dalle montagne, e la vidi lontano lontano tra i tronchi degli alberi, una cascata diritta, illuminata dalla luna, che si riversava in una pozza. La sagoma scura di Claudia si stagliò contro la cascata e la sua mano afferrò dalla terra umida una radice; ora la vedevo salire, aggrapparsi con le mani, su per il dirupo coperto di vegetazione; il braccio le tremava appena, gli stivaletti penzolavano, si piantavano nel terreno; poi penzolavano di nuovo. L’acqua era fredda e rendeva l’aria attorno a noi fragrante e leggera, così mi fermai per un attimo. Nulla si muoveva attorno a me. Ascoltavo, e i miei sensi distinguevano tranquillamente la melodia dell’acqua da quella delle foglie, ma nient’altro si muoveva. E poi pian piano mi colpì, come un gelo che mi saliva su per le braccia, per il collo e infine sulla faccia, il pensiero che la notte era troppo desolata, troppo priva di vita. Era come se persino gli uccelli sfuggissero questo posto, e così le miriadi di creature che avrebbero dovuto popolare le sponde di quel ruscello. Ma Claudia, sopra di me sulla cornice della roccia, allungò la mano per prendere la lanterna, sfiorandomi il volto col mantello. La sollevai e lei balzò improvvisamente nella luce, come un lugubre cherubino. Mi tese la mano, come se, nonostante le sue dimensioni, potesse aiutarmi a salire quel terrapieno. In un attimo eravamo di nuovo in cammino, sopra il torrente, su per la montagna. ‘Lo senti?’ mormorai. ‘C’è troppo silenzio’.

«Ma la sua mano strinse la mia, come per dirmi: ‘Sta’ tranquillo’. La collina era sempre più scoscesa, e quella pace m’innervosiva. Cercavo di guardare oltre la luce, per vedere ogni nuovo albero che si profilava dinnanzi a noi. Qualcosa si mosse e io afferrai Claudia, tirandola vicino a me quasi con violenza; ma era solo un rettile, che guizzava tra le foglie frustandole con la coda. Le foglie tornarono immobili. Ma Claudia arretrò e si appoggiò a me, nascondendosi sotto le pieghe del mio mantello, stringendo forte con la mano la stoffa della mia giacca; sembrava spingermi avanti, e il mio mantello ricadeva sulle pieghe del suo.

«Presto svanì il profumo dell’acqua, e quando la luna splendette chiara vidi, proprio davanti a noi, una specie di radura nel bosco. Claudia afferrò con mano sicura la lanterna e ne chiuse lo sportello di metallo. Cercai di fermarla, la mia mano lottò contro le sue, ma poi lei mi disse con voce calma: ‘Chiudi gli occhi per un istante, e poi riaprili lentamente. Quando l’avrai fatto, lo vedrai’.

«Ebbi un brivido, ma mi afferrai saldamente alla sua spalla e obbedii; quando aprii gli occhi vidi, oltre le lontane cortecce degli alberi, i lunghi, bassi muri del monastero e l’alta cima quadrata della massiccia torre. Al di là della torre, in lontananza, sopra un’immensa vallata nera, brillavano i picchi nevosi delle montagne. ‘Vieni’ mi disse Claudia, ‘tranquillo, come se il tuo corpo non avesse peso’. E s’avviò senza esitare verso quelle mura, verso ciò che ci aspettava là dentro, qualunque cosa fosse.


«Poco dopo trovammo il varco: una grande apertura ancora più nera delle pareti che la circondavano, con rampicanti che ne rivestivano fittamente i bordi, come a tenere insieme le pietre. Sopra di noi, attraverso il soffitto aperto, mentre l’odore umido delle pietre penetrava nelle mie narici, vidi, oltre le striature delle nuvole, un debole brillio di stelle. Una grande scala saliva, da un angolo all’altro, su su fino alle anguste finestre che davano sulla vallata. E sotto la prima rampa di scale, dal buio, emerse la vasta, oscura apertura che portava alle altre stanze del monastero.

«Claudia era immobile, come se fosse diventata una di quelle pietre. Stava ascoltando, e mi misi ad ascoltare con lei. Si sentiva solo il sommesso rumore di fondo del vento. Claudia si mosse, lenta e guardinga, e con la punta del piede pian piano grattò nella terra umida. Vidi che c’era una pietra piatta, che suonò vuota quando lei vi battè lievemente col tacco. Vidi anche quant’era larga e che aveva un angolo rialzato; e mi tornò alla mente un’immagine, atroce nella sua nitidezza: quella torma di uomini e donne del villaggio che circondavano la lapide e la sollevavano con una leva gigantesca. Lo sguardo di Claudia percorse la scala e si fissò su una porta sotto di essa. La luna brillò per un attimo attraverso una finestra in alto. Poi Claudia si mosse, così improvvisamente che si trovò al mio fianco senza aver prodotto il minimo rumore. ‘Lo senti?’ sussurrò. ‘Ascolta’.

«Era un suono così basso che nessun mortale sarebbe riuscito a sentirlo. E non veniva dalle rovine. Veniva da molto lontano, non dalla strada lunga e tortuosa che avevamo percorso noi su per il pendio, ma da un’altra strada, lungo il dorso della collina, la via più diretta dal villaggio. Ora era solo un fruscio, ma costante; poi lentamente cominciammo a distinguere il rumore di passi pesanti. Claudia mi strinse forte la mano e spingendomi delicatamente mi condusse sotto la rampa delle scale. Vedevo le pieghe del suo abito gonfiarsi leggermente sotto l’orlo del mantello. Il rumore dei passi si faceva più vicino: mi accorsi che un passo precedeva nettamente l’altro, e il secondo si trascinava lento per terra. Era la camminata di uno zoppo, che si faceva sempre più vicina, al di sopra del vento che fischiava cupo. Il mio cuore batteva forte contro il petto, sentivo le vene contrarsi nelle tempie e un tremore percorrermi le membra, tanto che sentivo la stoffa della camicia contro la pelle, l’orlo rigido del colletto, addirittura i bottoni sfregare contro il mantello.

«Poi col vento giunse un debole odore. L’odore del sangue, che mi eccitò immediatamente, contro la mia volontà; l’odore caldo, dolce, del sangue umano, di sangue versato, fluente, e l’odore della carne viva, poi udii un respiro secco e rauco che seguiva il ritmo dei passi. Ma c’era un altro suono ancora, debole e confuso col primo, mentre i passi pesanti si avvicinavano sempre di più alle mura: il suono del respiro interrotto, faticoso, di un’altra creatura. Sentivo anche il cuore di quella creatura: batteva irregolare, una palpitazione spaventosa; ma sotto quello c’era un altro cuore, che batteva calmo e ritmico, sempre più forte, un cuore robusto come il mio! Poi, attraverso la breccia frastagliata da cui eravamo entrati, lo vidi.

«Prima apparvero la spalla grande, enorme, e un lungo braccio penzolante, con la mano dalle dita ricurve; poi vidi la testa. Sopra l’altra spalla portava un corpo. Si drizzò nell’ingresso franato, spostò il peso e guardò dritto nell’oscurità verso di noi. Ogni muscolo del mio corpo divenne duro come il ferro appena vidi il profilo della sua testa stagliato contro il cielo. Ma nulla del suo viso si distingueva, eccetto un occhio che il debole riflesso della luna faceva brillare come un frammento di vetro. Poi il raggio luccicò sui suoi bottoni che udii tintinnare quando il braccio si mosse ancora e una lunga gamba si piegò; la creatura riprese ad avanzare verso la torre, proprio nella nostra direzione.

«Stringevo Claudia a me, pronto a farle scudo col mio corpo. Ma poi mi resi conto che la creatura non vedeva me come io vedevo lei e che si trascinava faticosamente sotto il peso di quel corpo verso la porta del monastero. Ora la luce della luna cadeva sulla sua testa piegata, su una massa di capelli scuri ondulati che gli sfioravano le spalle incurvate e la manica nera della giacca. Un risvolto di quella giacca era tutto lacerato e la manica sembrava strappata dalla cucitura. Mi sembrò di vedere la carne attraverso la spalla. L’essere umano che portava in braccio si agitò e gemette in modo straziante. La creatura si fermò per un istante e parve colpire l’uomo con la mano. Mi scostai dalla parete e gli andai incontro.

«Nessuna parola uscì dalle mie labbra: non sapevo cosa dire. Sapevo solo che avanzavo nella luce della luna davanti a lui, che la sua scura testa ricciuta si levò con uno scatto, e che vidi i suoi occhi.

«Mi guardò per un lungo istante, e vidi la luce brillare in quegli occhi e poi su due aguzzi canini; poi un grido rauco, strozzato, salì dalla sua gola, tanto profondo che per un istante credetti che venisse dalla mia. L’umano crollò sulle pietre e un gemito da far rabbrividire gli uscì dalle labbra. Il vampiro si lanciò contro di me, levando ancora quel grido strozzato. L’odore fetido del suo alito mi penetrò nelle narici e le dita ad artiglio lacerarono fin la pelliccia del mio mantello. Caddi all’indietro, sbattendo il capo contro il muro; le mie mani afferrarono la sua testa, stringendo tra le dita il lurido viluppo dei suoi capelli. Subito il tessuto umido e marcescente della sua giacca cedette sotto la mia stretta, ma il braccio che mi afferrava era saldo come il ferro; e, mentre mi dibattevo per tirare indietro la testa, le sue zanne toccarono la carne della mia gola. Claudia gridò dietro di lui. Qualcosa gli colpì la testa, immobilizzandolo istantaneamente; poi subito fu colpito un’altra volta. Mentre si voltava per assalirla, gli sferrai un pugno in faccia con tutta la forza che avevo. Ancora una volta Claudia gli scagliò addosso una pietra e guizzò via. Io mi lanciai a corpo morto contro di lui e sentii cedere la sua gamba storpia. Ricordo che gli pestai furiosamente la testa, fin quasi a strappargli i luridi capelli dalle radici, e lui protendeva verso di me le zanne, e i suoi artigli mi graffiavano, mi laceravano. A lungo rotolammo l’uno sull’altro finché di nuovo l’inchiodai al suolo e la luce piena della luna brillò sulla sua faccia. E io, ansando freneticamente, vidi che cosa stringevo tra le braccia. Gli enormi occhi sporgevano da nude orbite e al posto del suo naso c’erano due piccoli buchi ripugnanti; solo una carne putrida e coriacea gli racchiudeva il teschio e i brandelli maleodoranti e disfatti che gli coprivano lo scheletro erano impastati di terra, melma e sangue. Combattevo contro un cadavere animato e privo di ragione! Ma non più.

«Dall’alto, una pietra aguzza gli cadde in piena fronte, e una fontana di sangue gli sgorgò in mezzo agli occhi. Si dibatté, ma un’altra pietra lo colpì con una tal forza che sentii il rumore delle sue ossa fracassate. Il sangue gocciolava dal garbuglio dei capelli, penetrando nelle pietre e nell’erba. Il petto sussultò sotto di me, le braccia ebbero un fremito e poi si immobilizzarono. Mi alzai con un nodo alla gola e il cuore in fiamme, ogni fibra del mio corpo doleva per la lotta. Per un attimo mi sembrò che la grande torre si piegasse, ma subito si drizzò. Mi accasciai contro il muro a guardare quella cosa, col sangue che mi correva nelle orecchie. Pian piano m’accorsi che Claudia s’era inginocchiata sul suo torace e stava esplorando la massa di capelli e ossa che era stata la sua testa. Stava sparpagliando i frammenti del suo teschio. Avevamo conosciuto il vampiro d’Europa, la creatura del Vecchio Mondo. Era morto».


«Giacqui a lungo sull’ampia scala, senza badare alla terra che la ricopriva; mi sentivo la testa fresca contro la terra e intanto guardavo quella creatura. Claudia era in piedi davanti a lui, le mani lungo i fianchi. Vidi i suoi occhi chiudersi per un istante, due piccole palpebre che facevano apparire il suo viso come quello d’una piccola statua bianca illuminata dalla luna. Poi il suo corpo cominciò a dondolare molto lentamente. ‘Claudia’ la chiamai. Si risvegliò. Aveva un aspetto desolato che raramente le avevo visto. Indicò l’uomo che giaceva in fondo al pavimento della torre vicino al muro. Era sempre immobile, ma sapevo che non era morto. Me n’ero dimenticato completamente, distratto dal mio corpo dolorante e con i sensi ancora annebbiati dal fetore di quel cadavere sanguinante. Ma ora lo vidi. Sapevo quale sarebbe stato il suo destino e non me ne importava nulla: mancava solo un’ora all’alba.

«‘Si muove’ mi disse Claudia. Cercai di alzarmi dai gradini. Sarebbe meglio che non si svegliasse, che non si svegliasse affatto, volevo dire; lei avanzava verso lui, oltrepassando indifferente quella cosa esanime che ci aveva quasi uccisi entrambi. Vidi la sua schiena e l’uomo che si agitava davanti a lei, i suoi piedi che si contorcevano nell’erba. Non so cosa m’aspettassi di vedere avvicinandomi, forse un contadino o un fattore terrorizzato, un povero disgraziato che aveva già visto in faccia quella cosa che ci aveva portato qui. E per un attimo non capii che era Morgan; la luna illuminava il suo volto pallido, i segni del vampiro sulla sua gola, e gli occhi azzurri che fissavano il vuoto, muti e senza espressione.

«A un tratto, come mi avvicinai a lui, si spalancarono. ‘Louis!’ mormorò sbalordito, muovendo le labbra come se cercasse di articolare delle parole senza riuscirci. ‘Louis…’ disse ancora; vidi che sorrideva. Un suono secco e aspro gli uscì dalla gola. Si tirò a fatica sulle ginocchia e mi tese la mano. Il suo viso esangue e stravolto si contrasse nello sforzo, ma il suono gli morì in gola. Scosse disperato la testa e i capelli rossi scomposti gli caddero sugli occhi. Mi voltai e corsi via da lui. Claudia mi raggiunse come un lampo, afferrandomi per un braccio. ‘Lo vedi il colore del cielo!’ sibilò. Morgan cadde in avanti, col viso sulle mani, dietro di lei. ‘Louis’ mi chiamò ancora, e la luce gli balenò negli occhi. Sembrava cieco alle rovine, cieco alla notte, cieco a ogni cosa che non fosse quel viso che riconosceva; le sue labbra formavano di nuovo quell’unica parola. Mi coprii le orecchie con le mani, arretrando. La mano che sollevava era coperta di sangue. Ne sentivo l’odore, e lo vedevo. Anche Claudia.

«Scese rapida su di lui, spingendolo a terra sulle pietre, infilando le dita fra i rossi capelli. Morgan cercò di alzare la testa. Le sue mani tese le incorniciarono il viso, poi le carezzò i riccioli biondi. Claudia affondò i denti, e le mani di Morgan ricaddero inerti.

«Ero già ai margini della foresta quando lei mi raggiunse. ‘Vai da lui, finiscilo’ ordinò. Sentivo l’odore del sangue sulle sue labbra, vedevo il calore sulle sue guance. Il suo polso bruciava contro il mio corpo, tuttavia non mi mossi. ‘Ascoltami, Louis’ mi disse con voce disperata e rabbiosa. ‘Io l’ho lasciato per te, ma sta morendo… non c’è tempo’.

«La presi in braccio e incominciai la lunga discesa. Non c’era più bisogno di prudenza o di silenzio: nessun essere soprannaturale ci stava attendendo. Per noi la porta che introduceva ai segreti dell’Europa orientale era chiusa. ‘Devi ascoltarmi’ gridava Claudia. Si aggrappava alla mia giacca, m’afferrava i capelli, ma io andavo avanti, senza curarmi di lei. ‘Lo vedi il cielo, lo vedi?’ protestava singhiozzando mentre attraversavo sguazzando il torrente gelido e mi gettavo a capofitto sulla strada alla ricerca della lanterna. Quando trovai la carrozza il cielo era già azzurro cupo. ‘Dammi il crocefisso’ gridai a Claudia facendo schioccare la frusta. ‘C’è un solo posto dove andare’. Mi cascò addosso quando la carrozza si scrollò violentemente girando su se stessa per dirigersi al villaggio.

«Provai una sensazione inspiegabile quando vidi la foschia salire tra gli scuri alberi bruni. L’aria era, fredda e frizzante e gli uccelli incominciavano a cantare come se stesse sorgendo il sole. Eppure non me ne importava. Ma sapevo che non era ancora l’alba, che c’era ancora tempo. Era una sensazione meravigliosa, tranquillizzante. I graffi e le ferite mi bruciavano la carne e il cuore mi doleva per la fame, ma mi sentivo la testa meravigliosamente leggera. Finché scorsi le grigie forme della locanda e il campanile della chiesa: erano troppo chiari. E le stelle in cielo scolorivano in fretta.

«Un attimo dopo martellavo all’uscio della locanda. Come si aprì, mi tirai il cappuccio sul viso e presi in braccio Claudia, avvolgendola nel mantello. ‘Il vostro villaggio è libero dal vampiro!’ annunciai alla donna, che mi guardò allibita. Stringevo il crocefisso che mi aveva dato. ‘Ringraziando Iddio è morto. Troverete i resti nella torre. Comunicatelo subito alla vostra gente’. Le passai accanto ed entrai in fretta nella locanda.

«La gente che vi era riunita si scosse e mi si fece attorno, ma io insistetti che ero stanco oltre il sopportabile. Dovevo pregare e riposare. Bisognava prendere la cassa dalla carrozza e portarla in una buona camera dove avrei potuto dormire. Attendevo un messaggio dal vescovo di Varna: solo in questo caso avrebbero dovuto svegliarmi. ‘Dite al buon padre, quando arriva, che il vampiro è morto, dategli da bere e da mangiare e fate che mi aspetti’ dissi. La donna fece il segno della croce. ‘Voi capite’ le dissi affrettandomi su per le scale. ‘Non potevo rivelare la mia missione finché il vampiro non fosse…’ ‘Sì, sì’ rispose. ‘Ma voi non siete un prete… e la bambina!’ ‘No, sono solo molto esperto. Il Malvagio non può neanche lontanamente tenermi testa’. Mi fermai. La porta del salottino era aperta; sul tavolo di quercia c’era solo un quadrato di stoffa bianca. ‘Il vostro amico’ mi disse, e abbassò lo sguardo sul pavimento. ‘È corso fuori nella notte… era pazzo’. Mi limitai ad accennare col capo.

«Chiudendo la porta della stanza sentii che gridavano. Sembrava che corressero in tutte le direzioni; poi giunse il suono acuto della campana, il rapido scampanio dell’allarme. Claudia era scivolata giù dalle mie braccia e mi fissava con un’espressione grave. Aprii con estrema lentezza la persiana della finestra: una gelida luce si diffuse nella stanza. Lei mi stava ancora guardando. Poi la sentii al mio fianco. Abbassai lo sguardo e vidi che mi tendeva la mano. ‘Qui’ disse. Doveva aver notato che ero in uno stato di confusione. Ero così debole che quando la guardai il suo volto mi sembrava tremolare, l’azzurro degli occhi danzava sulle guance candide.

«‘Bevi’ mormorò avvicinandosi. ‘Bevi’. E mi tese la morbida, tenera carne del suo polso. ‘No, so cosa devo fare; non l’ho già fatto in passato?’ le dissi. Fu lei che sprangò la finestra e tirò il chiavistello della pesante porta. Ricordo che m’inginocchiai accanto al caminetto e tastai gli antichi pannelli. Sotto la superficie verniciata erano marci, e cedettero alla pressione delle mie dita. Vidi all’improvviso il mio pugno affondarvi dentro e sentii l’acuta stilettata delle schegge nel mio polso. Poi ricordo d’aver tastato nel buio e d’aver afferrato qualcosa di caldo e pulsante. Un’ondata di aria fredda e umida mi colpì in volto; l’oscurità a poco a poco mi circondava, un’oscurità fresca e umida come se quell’aria fosse un’acqua silenziosa che filtrava attraverso la spaccatura della parete e riempisse la stanza. La stanza non esisteva più. Stavo bevendo a una sorgente inesauribile di tiepido sangue che mi fluiva nel petto, dentro al cuore e attraverso le vene: la pelle del mio corpo era calda, a contatto con quell’acqua fredda e scura. Le pulsazioni del sangue che bevevo cominciarono a rallentare, e tutto il mio essere urlava perché non rallentassero, il mio cuore batteva cercando di far battere con sé anche quel cuore. Mi sembrava di galleggiare nell’oscurità, poi l’oscurità, come il battito del cuore, cominciò a diminuire. Nel mio deliquio vidi qualcosa tremolare, vibrare debolmente col rumore dei passi sulle scale, sulle assi del pavimento, col rullio delle ruote e il calpestio degli zoccoli dei cavalli sul terreno, e nel suo tremolio emetteva un suono metallico. Era circondata da una piccola cornice di legno e nella cornice emerse, dal tremolio, la figura di un uomo. Era una figura familiare. Alta e snella, i capelli neri, ondulati. I suoi occhi verdi mi guardavano fissi. E tra i denti, tra i denti teneva stretto qualcosa di enorme, soffice e scuro, reggendolo con le mani. Era un ratto. Un enorme, orrendo ratto marrone, con le zampe sospese nell’aria, la bocca spalancata, la lunga coda ricurva immobile. Con un urlo lo gettò via e rimase con gli occhi spalancati dal terrore, mentre il sangue scorreva dalla bocca aperta.

«Una luce accecante mi colpì negli occhi. Lottavo per tenerli aperti e tutta la stanza brillava. Claudia mi stava di fronte. Non era più una bambina piccola, ma qualcuno di molto più grande che mi tirava verso di sé con tutte e due le mani. Era in ginocchio e le mie braccia le circondarono la vita. Poi scese l’oscurità, e io la tenni stretta a me. La serratura si chiuse. Le mie membra furono invase da un grande torpore, e infine giacqui immobile e senza sensi nell’oblio.


«E così fu in tutta la Transilvania, l’Ungheria e la Bulgaria, e in tutti quei paesi dove i contadini sanno che i morti viventi camminano, dove le leggende sui vampiri abbondano. In ogni villaggio dove incontrammo vampiri fu la stessa cosa».

«Un cadavere incosciente?» domandò il ragazzo.

«Proprio così» rispose il vampiro. «Quando riuscivamo a trovarlo. Saranno stati al massimo una dozzina. Talvolta ci limitavamo a spiarli da lontano, c’erano fin troppo familiari: quelle teste bovine e ondeggianti, quelle spalle stanche, quei vestiti a brandelli, imputriditi. In un villaggio c’era una donna, morta solo da pochi mesi: gli abitanti del villaggio l’avevano intravista e la conoscevano di nome. Fu lei a darci l’unico momento di speranza dopo il mostro della Transilvania, ma fu un’altra delusione. La donna fuggì nella foresta e noi le corremmo dietro, cercando di ghermirla per i lunghi capelli neri. L’abito bianco in cui era stata seppellita era impregnato di sangue secco, le sue dita incrostate del terriccio della tomba. E i suoi occhi… erano vuoti, assenti, due pozze d’acqua in cui si rifletteva la luna. Nessun segreto, nessuna verità, solo disperazione».

«Ma che cos’erano questi esseri? Perché erano ridotti così?» chiese il ragazzo con una smorfia di disgusto sulle labbra. «Non riesco a capire. Come potevano essere così diversi da lei e da Claudia, e tuttavia esistere?»

«Io avevo le mie teorie. E anche Claudia. Ma soprattutto predominava in me la disperazione. E nella disperazione la paura ricorrente d’avere ucciso l’unico vampiro simile a noi: Lestat. Eppure mi sembrava inconcepibile. Se avesse posseduto la scienza d’un mago, i poteri di una strega… avrei potuto concepire che in qualche modo fosse riuscito a strappare una vita cosciente alle stesse forze che governavano questi mostri. Ma lui era solo Lestat, quel Lestat che t’ho descritto: privo di mistero, insomma. In quei mesi passati in Europa orientale, ricordavo perfettamente i suoi limiti quanto il suo fascino. Volevo dimenticarlo, e invece il suo ricordo mi tormentava continuamente. Era come se le notti vuote fossero fatte apposta per pensare a lui. Talvolta mi sorprendevo a ricordarlo con una tale vivezza che pareva avesse appena lasciato la stanza e il suono squillante della sua voce fosse sospeso ancora nell’aria. E provavo una specie di inquietante conforto a ricordarlo e, senza volerlo, mi tornava alla memoria il suo viso — non come l’avevo visto quell’ultima notte nell’incendio, ma altre notti, quell’ultima serata che aveva passato a casa con noi, quando le sue mani scorrevano pigramente sulla tastiera della spinetta, la testa reclinata da un lato. Provai un dolore più terribile dell’angoscia quando capii che cosa significavano i miei sogni. Desideravo che fosse vivo! Nelle buie notti dell’Europa orientale, Lestat era il solo vampiro che avessi trovato.

«Ma i pensieri di Claudia erano di natura assai più pratica. Mi costringeva continuamente a raccontarle di quella notte nell’albergo di New Orleans in cui era diventata un vampiro. E rianalizzava continuamente quel processo in cerca di qualcosa che le permettesse di spiegare perché quelle creature che avevamo incontrato nei cimiteri di campagna erano prive di ragione. Cosa sarebbe successo se, dopo l’infusione del sangue di Lestat, fosse stata messa in una tomba e rinchiusa finché il desiderio soprannaturale del sangue l’avesse spinta a rompere la porta di pietra del sepolcro in cui giaceva? Che ne sarebbe stato della sua mente, quando fosse stata affamata, per così dire, fino al limite estremo? Il suo corpo si sarebbe potuto conservare anche senza traccia di coscienza. E sarebbe andata alla cieca per il mondo, devastando dove poteva, come avevamo visto fare a quelle creature. Questa era la sua spiegazione della loro esistenza. Ma che cosa le aveva generate, come erano nate? Questo non riusciva a spiegarselo; ma aveva la speranza di scoprirlo, un giorno; invece io, per pura stanchezza, non ne avevo alcuna. ‘Procreano la loro specie, è ovvio, ma da dove è cominciato tutto?’ domandava. E poi, a un certo punto, vicino alla periferia di Vienna, mi pose una domanda mai prima d’allora uscita dalle sue labbra. ‘Perché non potrei fare quello che Lestat ha fatto a noi due? Perché non posso creare un altro vampiro?’ Non so perché sulle prime non riuscii neppure a capirla. Forse perché, detestando profondamente questa condizione con tutta la forza del mio animo, temevo particolarmente quella domanda, per me peggiore di qualunque altra. La solitudine mi ci aveva fatto pensare anni prima, quando ero stato stregato da Babette Frenière. Ma era un dubbio che avevo sempre tenuto dentro come un’insana passione. Dopo Babette, avevo fuggito la vita mortale. Uccidevo estranei. E l’inglese Morgan, dal momento che lo conoscevo, era immune dal mio abbraccio mortale quanto lo era stata Babette. Entrambi mi causavano troppa sofferenza. Non potevo neppure concepire di dar loro la morte. La vita nella morte: era mostruoso. M’allontanai da Claudia. Non volevo risponderle. Ma lei, nella sua rabbia, nell’infelicità che le dava l’impazienza, non poteva sopportare quel distacco. S’avvicinò a me, cercando di consolarmi con le mani e con gli occhi come una figlia amorosa.

«‘Non ci pensare, Louis’ disse più tardi, quand’eravamo comodamente sistemati in un albergo di periferia. Io ero in piedi presso la finestra, guardavo il lontano bagliore di Vienna e desideravo ardentemente quella città, per la sua civiltà, anche solo per le sue dimensioni. La notte era chiara e la foschia della città si alzava nel cielo. ‘Lascia che tranquillizzi la tua coscienza, anche se non saprò mai esattamente cos’è’ mi disse in un orecchio, carezzandomi i capelli.

«‘Te ne prego, Claudia’ le risposi io. ‘Fallo. Dimmi che non parlerai mai più di creare altri vampiri’.

«‘Non voglio altri orfani come noi!’ mi assicurò precipitosamente. Le mie parole, i miei sentimenti la infastidivano. ‘Io voglio risposte, conoscenza’ continuò. ‘Ma, Louis, che cosa ti rende così sicuro di non averlo mai fatto senza saperlo?’

«Ancora una volta c’era in me quella deliberata ottusità. Devo averla guardata con l’aria di non capire il significato delle sue parole. Avrei voluto che tacesse e mi stesse vicina, e che fossimo a Vienna. Le scostai i capelli all’indietro sfiorandole le lunghe ciglia con le dita; poi distolsi lo sguardo verso la luce.

«‘Dopotutto, che ci vuole per fare quelle creature?’ riprese. ‘Quei mostri vagabondi? Quante gocce del tuo sangue si devono mischiare col sangue umano… e che specie di cuore, per sopravvivere a quel primo assalto?’

«Sentivo che mi scrutava il volto, ma rimasi fermo, con le braccia incrociate, la schiena addossata al muro accanto alla finestra, a guardare fuori.

«‘Quella Emily, con quel suo volto pallido, e quel povero inglese…’ continuava, incurante del fremito di dolore sul mio viso. ‘I loro cuori non valevano nulla, e fu più la paura della morte che la perdita di sangue a ucciderli. L’idea li uccise. Ma che ne è dei cuori che sopravvivono? Sei sicuro di non aver generato una società di mostri che, di tanto in tanto, cercano vanamente e istintivamente di seguire le tue orme? Quale sarà stata la vita di questi orfani che ti lasciavi dietro? Un giorno là, una settimana qui, prima che il sole li riducesse in cenere, o che qualche vittima mortale li facesse a pezzi?’

«‘Smettila’ la implorai. ‘Se tu sapessi come mi raffiguro in ogni dettaglio tutto quello che mi descrivi, mi risparmieresti queste parole. Ti dico che non è mai successo! Lestat mi tolse il sangue fino al limite della morte per trasformarmi in vampiro. E mi restituì tutto quel sangue mischiato al suo. È così che successe!’

«Distolse lo sguardo da me e sembrò guardarsi le mani. Forse sospirò, ma non ne ero sicuro. Poi il suo sguardo mi percorse lentamente, su e giù, finché incontrò il mio. Sembrò sorridere. ‘Non ti spaventare per le mie fantasie’ disse piano. ‘Dopotutto la decisione finale spetta sempre a te. Non è così?’

«‘Non capisco’ risposi. E lei, dandomi le spalle, proruppe in una fredda risata.

«‘Te lo immagini?’ disse a voce così bassa che la sentii a stento. ‘Una congrega di bambini! È tutto quello che potrei fare…’

«‘Claudia’ mormorai.

«‘Stai tranquillo’ fece lei improvvisamente, sempre a voce bassa. ‘Ti dico che nonostante odiassi Lestat…’ Si fermò.

«‘Sì…’ sussurrai. ‘Sì…’

«‘Nonostante lo odiassi davvero, con lui eravamo… completi’. Mi guardò, e le palpebre le tremavano, come se il fatto di aver alzato lievemente la voce l’avesse turbata quanto me.

«‘No, solo tu eri completa…’ le dissi. ‘Perché noi eravamo in due al tuo fianco, uno da un lato e uno dall’altro, fin dall’inizio’.

«Forse sorrise. Piegò la testa, ma vedevo i suoi occhi che si muovevano sotto le ciglia, avanti e indietro, avanti e indietro… Poi disse: ‘Io tra voi. Anche questo te lo immagini quando lo dici, come tutto il resto?’

«Il ricordo di una notte di tanti anni prima era in me una presenza quasi fisica, quasi m’avvolgesse ancora, ma non glielo dissi. Quella notte lei era disperata, fuggiva da Lestat che la voleva spingere a uccidere una donna; ma lei aveva indietreggiato, visibilmente terrorizzata. Ero sicuro che quella donna assomigliava a sua madre. Infine era fuggita lontano da entrambi, e poi l’avevo trovata nell’armadio, sotto le giacche e i soprabiti, stretta alla sua bambola. La portai nel suo lettino, le sedetti accanto e le cantai una ninna nanna. Lei mi fissava stringendo la bambola, come se cercasse ciecamente e misteriosamente di calmare un dolore che non aveva neppure iniziato a comprendere. Te la immagini, questa splendida scenetta domestica, luci abbassate, il padre vampiro che canta la ninna nanna alla figlia vampiro? Solo la bambola aveva un viso umano, solo la bambola.

«‘Ma dobbiamo andarcene di qui!’ esclamò all’improvviso la Claudia del presente, come se quel pensiero avesse appena preso forma nella sua mente con una particolare urgenza. Teneva una mano sull’orecchio, come per ripararlo da qualche terribile suono. ‘Lontano dalle strade che ci siamo lasciati dietro, lontano da ciò che vedo ora nei tuoi occhi; perché io do voce a pensieri che per me sono solo semplici considerazioni…’

«‘Perdonami’ le mormorai più teneramente che potevo, ritirandomi lentamente da quella stanza di tanto tempo prima, da quel lettino disfatto, da quel mostro bambino terrorizzato e da quella voce di mostro. E Lestat, dov’era Lestat? Un fiammifero acceso nell’altra stanza, un’ombra che balza all’improvviso alla vita, quando luce e buio si animano dove non c’erano che tenebre.

«‘No, sei tu che devi perdonarmi…’ mi stava dicendo Claudia in quella stanzetta d’albergo vicino alla prima capitale dell’Europa orientale. ‘No, anzi, perdoniamoci a vicenda. Ma non dobbiamo perdonare lui; ora che siamo senza di lui, vedi come stanno le cose tra di noi’.

«‘Solo adesso, perché siamo stanchi e tutto è triste…’ dissi a lei e a me stesso, perché non c’era nessun altro al mondo con cui potevo parlare.

«‘Ah, sì; e questo deve finire. Comincio a capire che abbiamo sbagliato tutto dall’inizio. Dobbiamo lasciar perdere Vienna. Abbiamo bisogno della nostra lingua, della nostra gente. Voglio andare subito a Parigi’».

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