2 Catturata

Il falco uscì presto dalla visuale e sulla strada continuavano a non vedersi altri viaggiatori, ma per quanto Perrin incalzasse, i solchi ghiacciati che rischiavano di rompere la zampa di un cavallo e il collo di un cavaliere non consentivano di procedere molto veloci. Il vento portava ghiaccio e la promessa di altra neve l’indomani. Era metà pomeriggio quando svoltò attraverso gli alberi in bianchi cumuli che in alcuni punti arrivavano fino al ginocchio dei cavalli, e coprì l’ultimo miglio fino all’accampamento nella foresta dove avevano lasciato gli uomini dei Fiumi Gemelli e gli Aiel, quelli di Mayene e del Ghealdan. E Faile. Nulla lì era come se l’aspettava. Come sempre, c’erano quattro accampamenti disposti a intervalli fra gli alberi, in realtà, ma i fumanti fuochi da campo delle Guardie Alate giacevano abbandonati attorno alle tende a strisce di Berelain, in mezzo a bricchi rovesciati e pezzi di equipaggiamento lasciati cadere sulla neve, e le stesse tracce di urgenza costellavano il terreno calpestato dove i soldati di Alliandre si erano stabiliti quando si era allontanato quella mattina. L’unico segno di vita in ciascun posto erano i custodi dei cavalli, i maniscalchi e i carrettieri, avviluppati in abiti di lana e affollati in gruppetti attorno a dove erano impastoiati i cavalli e agli alti carri delle provviste. Stavano fissando tutti ciò che catturò il suo occhio. A cinquecento passi dalla piatta collina rocciosa dove le Sapienti avevano montato le loro tende basse, erano schierati i Mayenesi: tutti e novecento circa, i cavalli che scalpitavano con impazienza, i manti rossi e i lunghi pennacchi sulle loro lance che sventolavano nella brezza gelida. Più vicino alla collina, ai piedi un versante, proprio presso la vicina riva di un torrente congelato, i Ghealdani formavano un blocco di lance altrettanto largo, queste con i pennacchi verdi. Le giubbe e le armature verdi dei soldati a cavallo apparivano smorte a paragone degli elmi e dei pettorali rossi dei Mayenesi, ma i loro ufficiali rilucevano nelle armature argentee e con le giubbe e i mantelli scarlatti, con redini e bardature orlate di cremisi. Un magnifico spettacolo, per uomini in una sfilata, ma non stavano sfilando. Le Guardie Alate erano rivolte verso i Ghealdani, i Ghealdani verso la collina. E la sommità dell’altura era contornata da uomini dei Fiumi Gemelli, archi lunghi in mano. Nessuno era teso, non ancora, ma ogni uomo aveva una freccia incoccata e pronta. Una follia. Spronando Resistenza a quanto di più simile a un galoppo il baio poteva sopportare, Perrin si fece strada attraverso la neve, seguito dagli altri, finché non raggiunse la testa della formazione degli uomini del Ghealdan. Berelain era lì, avvolta in un mantello rosso bordato di pelliccia, poi c’era Gallenne, il capitano con un occhio solo delle sue Guardie Alate, e infine Annoura, la sua consigliera Aes Sedai: tutti quanti che parevano discutere col primo capitano di Alliandre, un tizio basso e ostinato di nome Gerard Arganda, che stava scuotendo la testa così forte che le sue grosse piume bianche fremevano sull’elmo luccicante. La Prima di Mayene sembrava pronta a mordere il ferro, l’irritazione filtrava attraverso la calma da Aes Sedai di Annoura, e Gallenne stava tastando l’elmo con le piume rosse che pendeva dalla sua sella come decidendo se indossarlo o no. Alla vista di Perrin, tacquero all’improvviso e voltarono le loro cavalcature verso di lui. Berelain sedeva eretta sulla sella, ma i suoi capelli neri erano scompigliati dal vento e la giumenta bianca dalle caviglie sottili stava tremando, la schiuma di un’intensa corsa che le si ghiacciava sui fianchi. Con così tanta gente attorno, era del tutto impossibile distinguere gli odori individuali, ma a Perrin non serviva il suo naso per riconoscere problemi appesi a un filo. Prima che potesse chiedere cosa nel nome della Luce pensavano di star facendo, Berelain parlò con una cerimoniosità delicata come porcellana che da principio gli fece sgranare gli occhi.

«Lord Perrin, la tua signora e moglie e io stavamo cacciando con la regina Alliandre quando siamo stati attaccati dagli Aiel. Io sono riuscita a fuggire. Nessun altro del gruppo è tornato, non ancora, anche se può darsi che gli Aiel abbiano preso dei prigionieri. Ho inviato una squadra di lancieri in esplorazione. Eravamo circa dieci miglia a sudovest, perciò dovrebbero tornare con delle notizie per il crepuscolo.»

«Faile è stata catturata?» disse Perrin con voce incerta. Anche prima di giungere ad Amadicia da Ghealdan avevano sentito di Aiel che bruciavano e depredavano, ma era sempre stato da qualche altra parte, il villaggio un po’ più distante o quello ancora oltre, se non più lontano. Mai abbastanza vicino da preoccuparsi o per essere sicuri che fosse qualcosa di più di semplici dicerie. Non quando aveva gli ordini di Rand dannato al’Thor da eseguire! E guarda cos’era costato.

«Perché siete ancora tutti qui?» domandò ad alta voce. «Perché non siete tutti a cercarla?» Si rese conto che stava urlando. Voleva ululare, morderli.

«Siate tutti dannati, cosa state aspettando?» La calma della sua risposta, come lei stesse riferendo quanto foraggio rimaneva nei cavalli, gli infilò aghi di rabbia nella testa. Ancor di più perché aveva ragione.

«Sono stati in due o trecento a tenderci un agguato, lord Perrin, ma tu sai quanto me che, da quanto abbiamo sentito, potrebbero facilmente esserci una dozzina di bande del genere, o anche più, che vagano per la campagna. Se le inseguiamo in forze, rischieremmo di ritrovarci in una battaglia che potrebbe costarci molto, contro Aiel che non sappiamo nemmeno se siano quelli che hanno catturato tua moglie. Non siamo nemmeno sicuri che sia ancora viva. Dobbiamo sapere questo prima, lord Perrin, o il resto sarà meno che inutile.»

Se era ancora viva. Fu percorso da un tremito; il freddo era dentro di lui, all’improvviso. Nelle sue ossa. Nel suo cuore. Doveva essere viva. Doveva. Oh, Luce, non avrebbe mai dovuto permettere che venisse ad Abila con lui. Il viso dalla bocca larga di Annoura era una maschera di solidarietà incorniciata da trecce tarabonesi. All’improvviso si rese conto del dolore alle mani, serrate sulle redini. Si costrinse ad allentare la stretta e piegò le dita all’interno dei suoi guanti d’arme.

«Lei sta bene» disse piano Elyas, avvicinando il suo castrone. «Trattieniti. Se incappi negli Aiel, stai solo chiedendo di morire. Forse porteresti molti uomini con te a una brutta fine. Morire non serve a niente se tua moglie rimane prigioniera.» Cercò di assumere un tono più leggero, ma Perrin poteva fiutare la tensione nella sua voce. «Comunque, la troveremo, ragazzo. Una donna come lei potrebbe anche essere scappata. Può darsi che si stia dirigendo qui a piedi. Impiegherebbe molto tempo, in un abito lungo. Gli esploratori della Prima troveranno delle tracce.» Passandosi le dita nella lunga barba, Elyas proruppe in una risatina autoironica. «Se non riesco a trovare più dei Mayenesi, mangerò della corteccia. Te la riporteremo.»

Perrin non si era lasciato ingannare. «Sì» disse in tono aspro. Nessuno poteva sfuggire agli Aiel a piedi. «Vai ora. Sbrigati.» Non l’aveva ingannato per niente. Quell’uomo si aspettava di trovare il corpo di Faile. Doveva essere viva, e questo voleva dire prigioniera, ma meglio prigioniera che... Non potevano parlare fra loro come facevano coi lupi, ma Elyas esitò come se comprendesse i pensieri di Perrin. Non cercò di negarli, però. Il suo castrone si avviò verso sudest al passo, tanto veloce quanto la neve gli consentiva, e, dopo una rapida occhiata a Perrin, Aram lo seguì, il volto cupo. All’ex Calderaio non piaceva Elyas, ma quasi adorava Faile, anche solo perché era la moglie di Perrin.

Non sarebbe servito a nulla spossare gli animali, si disse Perrin, accigliandosi verso le loro schiene che si allontanavano. Voleva che corressero. Voleva correre con loro. Gli sembrava di essere percorso da crepe sottili. Se fossero tornati con le notizie sbagliate, sarebbe andato in pezzi. Con sua meraviglia, i tre Custodi spinsero al trotto le loro cavalcature dietro Elyas e Aram fra spruzzi di neve, semplici mantelli di lana che sventolavano alle loro spalle, poi adeguarono la velocità non appena li ebbero raggiunti. Riuscì a rivolgere a Masuri e Seonid un cenno di gratitudine col capo, e incluse Edarra e Carelle. Chiunque fosse stato a suggerirlo, non c’era dubbio su chi avesse dato il permesso. Il fatto che nessuna delle Sorelle tentasse di prendere il comando era una misura del controllo che le Sapienti avevano stabilito. Era probabile che le Aes Sedai lo volessero, ma le loro mani guantate rimasero piegate sui pomelli delle loro selle e nessuna tradì impazienza né batté ciglio. Non tutti stavano osservando gli uomini che si allontanavano. Annoura si alternava fra l’irradiare solidarietà verso di lui ed esaminare le Sapienti con la coda dell’occhio. A differenza delle altre due Sorelle, non aveva fatto promesse, ma era circospetta verso le Aiel quasi quanto loro stesse. L’unico occhio di Gallenne era fisso su Berelain, in attesa di un segnale per estrarre la spada che teneva stretta, mentre lei era concentrata su Perrin, il suo viso ancora liscio e indecifrabile. Grady e Neald tenevano le loro teste vicine, scoccando rapide occhiate torve nella sua direzione. Balwer sedeva del tutto immobile, come un passerotto appollaiato sulla sella, cercando di essere invisibile, intento ad ascoltare.

Arganda spinse il suo alto castrone roano oltre il nero dal torace possente di Gallenne, ignorando l’unico occhio del Mayenese che lo fissava con aria di offesa. La bocca del primo capitano si agitava con rabbia dietro le lucenti sbarre della visiera del suo elmo, ma Perrin non udì nulla. In testa aveva solo Faile. Oh, Luce, Faile! Si sentiva come se avesse il petto avvolto in cinghie di ferro. Era in preda al panico, e si reggeva sul precipizio solo con le unghie. Dalla disperazione protese la sua mente, cercando freneticamente dei lupi. Elyas doveva averci già provato — Elyas non si era fatto prendere dal panico alla notizia — ma doveva provare lui stesso.

Cercandoli, li trovò: branchi di Tre Dita e Acqua Gelida, Crepuscolo e Picco di Primavera, e altri ancora. Il dolore fluì insieme alla sua richiesta d’aiuto, ma si acuì in lui invece che attenuarsi. Avevano udito Giovane Toro e si dolevano con lui per la perdita della sua compagna, ma si tenevano a distanza dai due-zampe, che spaventavano tutte le prede ed erano morti per ogni lupo che trovavano da solo. C’erano così tanti branchi di due-zampe in giro, a piedi e sopra i piedi-duri quattro-zampe, che non potevano dire se qualcuno di quelli che percepivano era colei che lui cercava. I duezampe erano due-zampe per loro, indistinguibili, tranne quelli che potevano incanalare e i pochi con cui potevano parlare. Piangila, gli dissero, e vai avanti, e incontrala di nuovo nel sogno dei lupi.

Una a una, le immagini che nella sua mente si trasformavano in parole svanirono, finché solo una indugiò. Piangila, e incontrala di nuovo nel sogno dei lupi. Poi anche quella scomparve.

«Stai ascoltando?» domandò Arganda in tono rude. Non era un nobile dai modi melliflui e, nonostante le sete e gli intarsi dorati sul suo pettorale argenteo, appariva ciò che era, un soldato ingrigito che aveva sollevato la lancia per la prima volta da ragazzo e probabilmente aveva due dozzine di cicatrici. I suoi occhi scuri erano febbrili quasi quanto quelli degli uomini di Masema. Odorava di rabbia e paura. «Quei selvaggi hanno preso anche la regina Alliandre!»

«Troveremo la tua regina quando avremo trovato mia moglie» disse Perrin, la sua voce fredda e dura quanto il filo della sua ascia. Doveva essere viva. «Suppongo che tu voglia dirmi che è per via di tutto questo che siete schierati e pronti a caricare, a quanto sembra. E state perfino minacciando la mia gente.» Lui aveva anche altre responsabilità. Riconoscerlo era amaro come fiele. Nient’ altro contava di fronte a Faile. Niente! Ma gli uomini dei Fiumi gemelli erano la sua gente.

Arganda spinse il suo cavallo vicino e afferrò la manica di Perrin in un pugno guantato di maglia. «Ascoltami! La Prima Berelain dice che sono stati gli Aiel a prendere la regina Alliandre, e ci sono Aiel al riparo di quei tuoi arcieri. Ho degli uomini che sarebbero ben felici di interrogarli.» Il suo sguardo accalorato si mosse verso Edarra e Carelle per un momento. Forse stava pensando che c’erano Aiel senza arcieri a proteggerli.

«Il primo capitano è... agitato» mormorò Berelain, appoggiando una mano sull’altro braccio di Perrin. «Gli ho spiegato che nessuno degli Aiel qui era coinvolto. Sono sicura di poterlo convincere...»

Lui la scrollò via e liberò il suo braccio dalla stretta del Ghealdano. «Alliandre ha giurato fedeltà a me, Arganda. Tu hai giurato fedeltà a lei, e questo mi rende il tuo signore. Ti dico che troverò Alliandre quando avrò trovato Faile.» Il filo di un’ascia. Era viva. «Non interrogherete nessuno, non toccherete nessuno, se non lo dico io. Quello che farai è riportare i tuoi uomini al vostro accampamento, ora, e fare in modo che siano pronti a cavalcare quando darò l’ordine. Se non sarete pronti quando darò l’adunata, sarete lasciati indietro.»

Arganda lo fissò, respirando a fatica. I suoi occhi si allontanarono di nuovo, stavolta verso Grady e Neald, poi tornarono di nuovo al volto di Perrin. «Come comandate, mio signore» disse rigidamente. Facendo ruotare il suo roano, gridò ordini ai suoi ufficiali e stava già galoppando via prima che quelli cominciassero a impartire i loro. I Ghealdani cominciarono ad andarsene per colonne, cavalcando dietro il loro primo capitano. Verso il loro accampamento, anche se nessuno poteva dire se Arganda intendesse rimanervi. E se magari questo non sarebbe stato per il peggio.

«Te la sei cavata molto bene, Perrin» disse Berelain. «Una situazione difficile, e un momento doloroso per te.» Per nulla formale, ora. Solo una donna piena di pietà, il suo sorriso compassionevole. Oh, Berelain aveva proprio mille maschere.

Lei allungò una mano guantata di rosso e Perrin fece indietreggiare Resistenza prima che potesse toccarlo. «Smettila, dannazione!» ringhiò. «Mia moglie è stata catturata! Non ho tempo per i tuoi giochi infantili!»

Lei sussultò come se Perrin l’avesse colpita. Le sue guance acquistarono colore e cambiò di nuovo, diventando agile e slanciata sulla sella. «Non infantili, Perrin» mormorò, la sua voce profonda e divertita. «Due donne che si battono per te e tu sei il premio? Secondo me dovresti essere lusingato. Seguimi, lord capitano Gallenne. Suppongo che anche noi dovremo essere pronti a cavalcare al comando.»

L’uomo con un occhio solo indietreggiò verso le Guardie Alate al suo fianco, al piccolo galoppo per quanto la neve lo permetteva. Si sporse verso di lei come per ascoltare delle istruzioni. Annoura restò ferma dov’era, afferrando le redini della sua giumenta marrone. La sua bocca era una linea di rasoio sotto il suo naso adunco. «Alle volte sei davvero un enorme sciocco, Perrin Aybara. Piuttosto spesso, in effetti.»

Non sapeva di cosa lei stesse parlando e in fondo non gli importava. Alle volte sembrava rassegnata al fatto che Berelain desse la caccia a un uomo sposato, altre volte ne era divertita, e la aiutava perfino a fare in modo che restasse sola con lui. In quel momento, la Prima e l’Aes Sedai lo disgustavano entrambe. Percuotendo Resistenza ai fianchi, lo allontanò da lei al trotto senza proferire parola.

Gli uomini in cima alla collina si aprirono abbastanza da lasciarlo passare, borbottando fra loro e osservando i lancieri lì sotto che cavalcavano verso i rispettivi campi, poi si separarono di nuovo per lasciar passare Sapienti, Aes Sedai e Asha’man. Non ruppero la formazione e si assieparono attorno a lui, come si aspettava, e fu loro grato. L’intera sommità della collina odorava di cautela. Quasi tutta la collina. La neve in cima al colle era stata calpestata e in alcuni punti non c’era più, tranne qualche cumulo gelato e lastre di ghiaccio. Le quattro Sapienti rimaste indietro quando lui si era diretto ad Abila stavano di fronte a una delle basse tende aiel, alte donne imperturbabili con scuri scialli di lana attorno alle spalle, che osservavano le due Sorelle smontare insieme a Carelle ed Edarra, e pareva che non prestassero attenzione a ciò che accadeva attorno a loro. I gai’shain che fungevano da servitori erano affaccendati nei loro normali compiti in silenzio, umilmente, i volti nascosti nei profondi cappucci delle loro vesti bianche. Uno stava perfino battendo un tappeto che pendeva da una corda legata fra due alberi! Fra gli Aiel, l’unico segno che si erano trovati sull’orlo di un combattimento erano Gaul e le Fanciulle: accovacciati sui talloni, gli shoufa attorno alle loro teste e veli neri che lasciavano scoperti solo gli occhi, corte lance e scudi tondi di pelle di toro in mano. Mentre Perrin balzava giù di sella, si alzarono. Dannil Lewin trotterellò in avanti, mordicchiando con preoccupazione gli spessi baffi che facevano sembrare il suo naso ancora più grosso di quanto non fosse. Aveva il suo arco in una mano e stava rinfilando una freccia nella faretra alla sua cintura. «Non sapevo cos’altro fare, Perrin» disse con voce spasmodica. Dannil era stato ai pozzi di Dumai e aveva affrontato i Trolloc in patria, ma questo era fuori dalla sua visione del mondo. «Quando abbiamo scoperto cos’era accaduto, quei tizi del Ghealdan si stavano già dirigendo da questa parte, perciò ho mandato Jondyn Barran e un paio di altri, Hu Marwin e Get Ayliah; ho detto ai Cairhienesi e ai tuoi servitori di formare un cerchio coi carri e rimanere all’interno — sono quasi stato sul punto di legare quelli che seguono sempre lady Faile in giro; volevano andare a cercarla, e nemmeno uno di loro sa riconoscere un’impronta da una quercia — poi ho portato tutti quanti qui. Pensavo che quei Ghealdani potessero caricarci, finché non è arrivata la Prima coi suoi uomini. Devono essere pazzi a pensare che qualcuno dei nostri Aiel possa far del male a lady Faile.» Anche quando chiamavano lui semplicemente Perrin, gli uomini dei Fiumi Gemelli attribuivano quasi sempre a Faile il titolo onorifico.

«Hai agito bene, Dannil» disse Perrin, lanciandogli le redini di Resistenza. Hu e Get erano bravi boscaioli e Jondyn Barran poteva seguire il vento del giorno prima. Gaul e le Fanciulle stavano cominciando a partire, in fila per uno. Erano ancora velati. «Distacca qui un uomo su tre» disse Perrin a Dannil in tono sbrigativo. Solo perché aveva avuto la meglio su Arganda, non c’era ragione di credere che l’uomo avesse cambiato idea. E continuò:

«Fa tornare indietro il resto perché si preparino. Voglio che siano pronti a partire al mio ordine.»

Senza aspettare una replica, si affrettò per mettersi di fronte a Gaul e fermò l’uomo alto con una mano sul petto. Per qualche motivo, gli occhi verdi di Gaul si strinsero sopra il suo velo. Sulin e il resto delle Fanciulle disposte dietro di lui si alzarono sui calcagni.

«Trovala per me, Gaul» disse Perrin. «Tutti voi, per favore, scoprite chi l’ha presa. Se c’è qualcuno che può rintracciare gli Aiel, siete voi.»

La tensione negli occhi di Gaul svanì repentina com’era arrivata, e anche le Fanciulle si rilassarono. Per quanto potevano rilassarsi gli Aiel. Era molto strano. Non potevano pensare che lui desse loro la colpa in alcun modo.

«Ci sveglieremo tutti dal sogno, un giorno,» disse Gaul gentilmente «ma se lei ancora sogna, la troveremo. Se l’hanno presa gli Aiel, dobbiamo andare. Si muoveranno in fretta. Anche in... questo.» Mise un considerevole disgusto nella parola, dando un calcio a un monticello di neve. Perrin annuì e si fece rapidamente da parte, lasciando che gli Aiel si avviassero con passo veloce. Dubitava che riuscissero a mantenerlo per molto, ma era sicuro che potessero tenere quell’andatura più a lungo di chiunque altro. Mentre le Fanciulle lo superavano, ognuna premette velocemente le dita sul velo sopra le proprie labbra, poi gli toccò la spalla. Sulin, proprio dietro Gaul, gli rivolse un cenno col capo, ma nessuna disse una parola. Faile avrebbe saputo quello che intendevano con quel gesto. C’era qualcosa di strano sulla loro partenza, si rese conto mentre l’ultima Fanciulla lo superava. Stavano lasciano la guida a Gaul. Normalmente, ognuna di loro lo avrebbe trapassato con una lancia prima di permetterlo. Perché...? Forse... Chiad e Bain dovevano trovarsi con Faile. A Gaul non importava nulla di Bain, ma Chiad era tutta un’altra faccenda. Le Fanciulle certo non avevano incoraggiato la speranza di Gaul che Chiad abbandonasse la lancia per sposarlo... tutto tranne quello... ma forse era così. Perrin grugnì fra sé per il disgusto. Chiad e Bain, e chi altro? Anche se accecato dalla paura per Faile, avrebbe dovuto chiedere questo. Se aveva intenzione di riprenderla, doveva strangolare la paura e capire. Ma era come cercare di strangolare un albero. La piatta sommità della collina ora brulicava di attività. Qualcuno aveva già condotto via Resistenza, e gli uomini dei Fiumi Gemelli stavano lasciando l’anello attorno alla cima, affrettandosi verso il loro accampamento come un flusso confuso, gridandosi l’un l’altro quello che avrebbero fatto se i lancieri avessero caricato. Ogni tanto un uomo alzava la voce per chiedere di Faile, se qualcuno sapeva se la signora era al sicuro, se sarebbero andati a cercarla, ma altri lo zittivano sempre in fretta con occhiate preoccupate verso Perrin. I gai’shain continuarono con le loro faccende tranquillamente in mezzo a tutta la confusione. A meno che qualcuno non avesse ordinato loro di fermarsi, avrebbero continuato a farlo anche con una battaglia che imperversava attorno a loro, non sollevando una mano per ostacolare o aiutare. Tutte le Sapienti erano andate in una delle tende con Seonid e Masuri, e i lembi non solo erano abbassati, ma legati. Non volevano essere disturbate. Avrebbero discusso di Masema, senza dubbio. Forse avrebbero dibattuto su come uccidere quell’uomo senza che lui o Rand sapessero che l’avevano fatto. Per l’irritazione sbatté un pugno contro il palmo. Finora si era proprio dimenticato di Masema. Quell’uomo doveva aggregarsi a loro prima dell’imbrunire, con una guardia d’onore di cento uomini. Con un po’ di fortuna, gli esploratori mayenesi sarebbero tornati per allora, ed Elyas e gli altri subito dopo.

«Lord Perrin?» disse Grady dietro di lui. Perrin si voltò. I due Asha’man in piedi davanti ai loro cavalli, giocherellavano con fare incerto con le redini. Grady prese fiato e proseguì, con Neald che annuiva in accordo. «Noi due potremmo coprire molto terreno, Viaggiando. E se troviamo quelli che l’hanno rapita, be’, dubito che perfino qualche centinaio di Aiel possano impedire a due Asha’man di riprenderla.»

Perrin aprì la bocca per dir loro di partire all’istante, poi la chiuse di nuovo. Grady era stato un contadino, vero, ma mai un cacciatore o un boscaiolo. Neald pensava che ogni posto senza un muro di pietra fosse un villaggio. Avrebbero potuto distinguere un’impronta da una quercia, ma se anche avessero trovato delle tracce, molto probabilmente nessuno dei due sarebbe stato in grado di dire in quale direzione erano dirette. Certo, sarebbe potuto andare con loro. Non era abile come Jondyn, ma... sarebbe potuto andare, e lasciare Dannil a vedersela con Arganda. E con Masema. Per non parlare degli intrighi delle Sapienti.

«Andate a prepararvi» disse con calma. Dov’era Balwer? Non lo vedeva da nessuna parte. Non era molto probabile che lui fosse corso via a cercare Faile. «Ci può essere bisogno di voi qui.»

Grady sbatté le palpebre dalla sorpresa e Neald spalancò la bocca. Perrin non diede loro l’opportunità di discutere. Si avviò a grandi passi verso la bassa tenda coi lembi legati. I legacci dall’esterno non si potevano disfare. Quando le Sapienti non volevano essere disturbate non c’era modo di uscirne né per i capoclan né per nessun altro, incluso un abitante delle terre bagnate a cui avevano addossato il titolo di signore dei Fiumi Gemelli. Estrasse il suo pugnale e si chinò per tagliare i legacci, ma, prima che potesse infilare la lama attraverso la stretta fenditura fra i lembi dell’ingresso, questi sussultarono come se qualcuno li stesse disfacendo dall’interno. Si raddrizzò e attese. I lembi della tenda si aprirono e Nevarin venne fuori. Aveva il suo scialle legato attorno alla vita, ma, tranne per il suo fiato che si condensava, pareva non sentire l’aria gelida. I suoi occhi verdi videro il pugnale che lui aveva in mano e piantò i pugni sulle anche in un tintinnio di braccialetti. Aveva lunghi capelli color sabbia tenuti indietro da uno scuro fazzoletto ripiegato; era esile quasi quanto Nynaeve e più alta quasi di un palmo, ma era sempre lei che gli ricordava. Era ritta a bloccare l’entrata della tenda.

«Sei impetuoso, Perrin Aybara.» La sua voce lieve era calma, ma lui aveva l’impressione che stesse meditando di dargli uno scapaccione. Proprio come Nynaeve. «Anche se può essere comprensibile, date le circostanze. Cosa vuoi?»

«Come...?» Dovette smettere di deglutire. «Come la tratteranno?»

«Non so dirlo, Perrin Aybara.» Non c’era compassione sul suo viso, non c’era la minima espressione. Gli Aiel avrebbero potuto dare delle lezioni alle Aes Sedai in quello. «Prendere prigionieri abitanti delle terre bagnate è contro le usanze, a meno che non si tratti degli assassini dell’albero, anche se questo è cambiato. Come è cambiato l’uccidere senza necessità. Ma molti hanno rifiutato di accettare le verità rivelate dal Car’a’carn. Alcuni sono stati presi dalla tetraggine e hanno abbandonato le lance, tuttavia potrebbero averle riprese. Altri se ne sono semplicemente andati, per vivere nel modo che secondo loro si addice a noi. Non so dire quali usanze possano essere state mantenute o abbandonate da coloro che hanno lasciato clan e setta.» L’unica emozione che mostrò fu una punta di disgusto alla fine, per coloro che avevano abbandonato clan e setta.

«Per la Luce, donna, devi avere qualche idea! Di certo puoi fare un’ipotesi...»

«Non diventare irrazionale» lo interruppe bruscamente. «Accade spesso agli uomini, in situazioni simili, ma abbiamo bisogno di te. Penso che non gioverà alla tua reputazione con gli altri abitanti delle terre bagnate se dobbiamo legarti finché non ti calmi. Va’ alla tua tenda. Se non riesci a controllare i tuoi pensieri, bevi finché non sarai più in grado di pensare. E non disturbarci mentre siamo in consiglio.» Si chinò per rientrare nella tenda, e i lembi si richiusero di colpo e cominciarono a contrarsi mentre venivano legati di nuovo.

Perrin esaminò i lembi richiusi, facendo scorrere il pollice lungo la lama del suo coltello, poi lo infilò nel fodero. Avrebbero potuto mettere in atto ciò che Nevarin aveva minacciato, se lui avesse fatto irruzione. E avrebbero potuto non dire nulla di ciò che voleva sapere. Ma non pensava che Nevarin avrebbe tenuto dei segreti in un momento come questo. Non su Faile, comunque.

La sommità della collina era silenziosa, ora che la maggior parte degli uomini dei Fiumi Gemelli se n’era andata. Quelli rimanenti, che ancora osservavano guardinghi l’accampamento ghealdano lì sotto, battevano i piedi per scrollarsi il freddo di dosso, ma nessuno parlava. I gai’shain affaccendati quasi non facevano rumore. Gli alberi oscuravano parte degli accampamenti degli uomini di Ghealdan e di Mayene, ma Perrin poteva vedere che in entrambi i carri venivano caricati. Comunque decise di lasciare gli uomini in allerta. Poteva trattarsi di un inganno di Arganda. Un uomo con un odore del genere poteva solo essere... irrazionale, terminò il pensiero freddamente.

Non aveva nient’altro da fare sulla collina, perciò si avviò a fare il mezzo miglio che lo separava dalla sua tenda. La tenda che divideva con Faile. Ogni tanto incespicava, facendo fatica quando la neve si sollevava attorno alle sue gambe. Si strinse il mantello attorno, sia per impedire che si agitasse per il vento, sia per stare al caldo. Non c’era calore. Quando vi giunse, l’accampamento dei Fiumi Gemelli brulicava di attività. I carri formavano un grosso cerchio, con uomini e donne dalle tenute di Dobraine a Cairhien che li caricavano, mentre altri approntavano i cavalli per essere sellati. Con la neve tanto abbondante, per le ruote sarebbe stato come procedere nel fango, perciò le avevano legate con delle cinghie ai lati dei carri e rimpiazzate con delle slitte di legno. Infagottati per difendersi dal freddo al punto che sembravano larghi il doppio, i Cairhienesi quasi non si fermavano a guardarlo, ma ogni uomo dei Fiumi Gemelli che lo vedeva non smetteva di guardare finché qualcun altro non gli dava di gomito per incitarlo a continuare con quello che stava facendo. Perrin era lieto che nessuno aggiungesse parole alla solidarietà in quegli sguardi. Pensava che sarebbe potuto scoppiare a piangere, se qualcuno l’avesse fatto. Non sembrava neanche che ci fosse nulla da fare per lui qui. La sua grande tenda — sua e di Faile — era già smontata e su un carro, insieme a ciò che conteneva. Basel Gill stava camminando lungo i carri con una lunga lista fra le mani. L’uomo corpulento aveva assunto il mestiere di shambayan, amministrando la casa di Faile e Perrin come uno scoiattolo in un magazzino di granturco. Ma, essendo più abituato alle città che a viaggiare fuori dalle loro mura, soffriva per il freddo e indossava non solo un mantello, ma una spessa sciarpa attorno al collo, una cappello a tesa floscia e pesanti guanti di lana. Per qualche ragione, Gill quando lo vide trasalì e borbottò qualcosa in merito al fatto che bisognava controllare i carri, prima di allontanarsi più veloce che poteva. Strano.

Perrin rifletté e, ricordandosi di Dannil, impartì ordini di dare il cambio agli uomini sulla collina ogni ora e assicurarsi che tutti avessero un pasto caldo.

«Prima occupati degli uomini e dei cavalli» disse una voce pacata ma decisa. «Ma poi devi prenderti cura di te stesso. C’è della zuppa calda nel pentolino, del pane, e ho messo da parte del prosciutto affumicato. Con la pancia piena assomiglierai meno a un assassino che cammina.»

«Grazie, Lini» disse. Un assassino che cammina? Luce, gli sembrava di essere un morto, non un assassino. «Mangerò fra poco.»

La cameriera di Faile era una donna dall’aspetto fragile, la pelle come pergamena e i capelli bianchi raccolti in una crocchia in cima alla testa, ma la schiena dritta e gli occhi scuri limpidi e acuti. Ma la preoccupazione increspava la sua fronte, ora, e le mani tenevano il suo mantello troppo stretto, in preda allo sforzo. Doveva essere in ansia per Faile, certo, ma...

«Maighdin era con lei» disse lui, senza bisogno che lei annuisse. Maighdin era sempre con Faile, che la considerava un tesoro. E Lini sembrava considerare quella donna come una figlia, anche se qualche volta Maighdin non pareva apprezzarlo quanto Lini. «Le riporterò indietro,» promise «tutte e due.» A quel punto la sua voce si ruppe. «Continua col tuo lavoro» proseguì in modo rude, affrettato. «Mangerò fra poco. Devo occuparmi di... di...» E si allontanò senza terminare.

Non c’era nulla di cui si doveva occupare. Nulla a cui riusciva a pensare, tranne Faile. Quasi non sapeva dov’era diretto, finché i suoi passi non lo condussero fuori dal cerchio dei carri.

A cento passi oltre le linee dei cavalli, una bassa cresta rocciosa si estendeva come una cima nera attraverso la neve. Da lì, sarebbe stato in grado di vedere le tracce lasciate da Elyas e dagli altri. Da lì, li avrebbe visti tornare.

Il suo naso gli disse che non era solo molto prima di arrivare presso la sommità della cresta e gli suggerì anche chi c’era lassù. L’altro uomo non stava ascoltando, poiché Perrin arrancò rumorosamente verso la cima prima che lui balzasse in piedi nel punto in cui si trovava, accucciato sui talloni. Tallanvor, con le mani coperte dai guanti d’arme, tastò la lunga elsa della sua spada e scrutò Perrin incerto. Un uomo grosso, che aveva subito duri colpi nella vita, era probabilmente molto sicuro di sé. Forse si aspettava una ramanzina per non essere stato lì al momento della cattura di Faile, anche se lei lo aveva respinto come guardia del corpo... d’altronde aveva respinto ogni guardia del corpo. Oltre a Bain e Chiad, almeno, che apparentemente non contavano. O forse pensava solo che Perrin l’avrebbe cacciato via e fatto tornare ai carri, in modo da poter rimanere solo. Perrin cercò di assumere una faccia meno — come l’aveva chiamata Lini? — ‘da assassino che cammina’. Tallanvor era innamorato di Maighdin e, se i sospetti di Faile erano corretti, si sarebbero sposati presto. Quell’uomo aveva il diritto di vegliare.

Rimasero lì sulla cresta mentre calava il sole, e nulla si muoveva nella foresta innevata davanti ai loro occhi. L’oscurità giunse senza alcun movimento, e senza Masema, ma Perrin al Profeta non pensava neanche. La gobba di luna risplendeva bianca sulla neve, spandendo tanta luce quasi come se fosse piena. Poi le nubi cominciarono ad addensarsi e a nasconderla, e le ombre corsero lungo la neve, sempre più fitte. Cominciò a nevicare con un secco fruscio. La neve avrebbe sepolto orme e tracce. In silenzio nel freddo, i due uomini rimasero lì, osservando la nevicata, aspettando, sperando.

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