21 Una questione di proprietà

Egeanin giaceva supina sul letto con le mani alzate, i palmi verso il soffitto e le dita allargate. Le sue pallide gonne blu si aprivano a ventaglio fra le sue gambe e lei cercava di stare completamente immobile per non sgualcire troppo le strette pieghettature. Questo modo in cui le vesti limitavano i movimenti doveva essere un invenzione del Tenebroso. Giacendo lì, esaminò le sue unghie, troppo lunghe perché potesse mettere mano a una piega senza spezzarsele. Non che si fosse mai occupata di persona delle pieghe da qualche anno, ma era sempre pronta e in grado, in caso.

«...semplice follia!» brontolò Bayle, dando dei colpetti ai ciocchi in fiamme che bruciavano nel caminetto di mattoni. «Che la buona sorte mi tocchi, il Falco del mare, può navigare ancora più sottovento e più veloce di ogni nave seanchan mai costruita. C’erano anche delle bufere davanti, e...» Lei ascoltò solo quanto bastava per sapere che aveva smesso di lamentarsi della stanza e aveva ripreso lo stesso vecchio argomento. La camera a pannelli scuri non era la migliore della locanda La donna errante, né vi si avvicinava, tuttavia corrispondeva ai requisiti da lui richiesti, tranne che per la vista. Le due finestre davano sul cortile delle stalle. Lei era un capitano dei verdi con col rango di un generale di stendardo, ma qui molti di coloro che superava in grado erano aiutanti, segretari o ufficiali superiori dell’Esercito Sempre Vittorioso. Fra l’esercito come in mare, essere del Sangue non era di molto aiuto, a meno che non si trattasse del Sommo Sangue.

Lo smalto verde acqua sulle unghie delle sue piccole dita scintillava. Aveva sempre sperato di salire di rango, forse fino a capitano dei dorati, comandando flotte, come aveva fatto sua madre. Da ragazza, aveva perfino sognato di essere nominata Mano dell’imperatrice in mare, proprio come sua madre, per stare alla sinistra del Trono di Cristallo, so’jhin della stessa imperatrice, che potesse vivere per sempre, a cui era permesso parlare direttamente a lei. Le giovani donne avevano sogni sciocchi. E doveva ammettere che una volta scelta per i Predecessori, aveva preso in considerazione la possibilità di un nuovo nome. Non ci sperava, certo — questo avrebbe voluto dire sopravvalutarsi — tuttavia tutti sapevano che recuperare le terre sottratte avrebbe comportato nuove aggiunte al Sangue. Ora era capitano dei verdi, dieci anni prima di potervi anche solo aspirare, e stava sui pendii di quella ripida montagna che si innalzava attraverso le nuvole fino al sublime pinnacolo dell’imperatrice, che potesse vivere per sempre. Dubitava che le sarebbe stato affidato il comando di un galeone, però, men che meno di uno squadrone. Suroth affermava di accettare la sua storia, ma se era così, perché era stata lasciata a Cantorin? Perché, quando erano infine arrivati gli ordini, erano stati assegnati qui e non su una nave?

Certo, c’era solo un certo numero di comandi disponibili, perfino per un capitano dei verdi. Poteva trattarsi di quello. Poteva essere stata scelta per una posizione accanto a Suroth, anche se i suoi ordini dicevano solo che doveva recarsi a Ebou Dar coi primi mezzi disponibili e attendere ulteriori istruzioni. Forse. Il Sommo Sangue poteva parlare ai sottoposti senza l’intervento di una Voce, ma le sembrava che Suroth si fosse dimenticata di lei non appena l’aveva congedata dopo che aveva ricevuto le sue ricompense. Il che poteva anche voler dire che Suroth era diffidente. Argomentazioni che correvano in cerchio. In ogni caso, avrebbe potuto vivere bevendo solo acqua di mare se quel Cercatore avesse abbandonato i suoi sospetti. Non aveva nient’ altro, altrimenti lei sarebbe già stata a strillare in una segreta, tuttavia, se era ancora in città, probabilmente la stava sorvegliando, in attesa di un suo passo falso. Lui non poteva versare neanche una goccia del suo sangue, ma i Cercatori erano esperti nel trattare con quel genere di secondaria difficoltà. Finché si fosse limitato a sorvegliarla, però, poteva fissarla finché i suoi occhi non fossero avvizziti. Lei aveva un ponte stabile sotto i suoi piedi, ora, e d’ora in avanti avrebbe fatto ogni passo con estrema cautela. Capitano dei dorati poteva non essere più possibile, tuttavia ritirarsi come capitano dei verdi era onorevole.

«Be’?» domandò Bayle. «Che ne dici?»

Largo, massiccio e forte, proprio il genere di uomo che lei aveva sempre desiderato, era in piedi accanto al letto in maniche di camicia, un cipiglio sul suo volto e i pugni alle anche. Non la posa che un so’jhin avrebbe assunto con la sua padrona. Con un sospiro, lei lasciò ricadere le mani sullo stomaco. Bayle non avrebbe mai il comportamento appropriato per un so’jhin. Lo prendeva come uno scherzo o una recita, come se niente di tutto ciò fosse reale. Talvolta diceva perfino di voler essere la sua Voce, non importa quanto spesso lei gli spiegasse che lui non era del Sommo Sangue. Una volta l’aveva fatto percuotere, e Bayle poi si era rifiutato di dormire nello suo stesso letto finché lei non si fosse scusata. Scusata!

In fretta, passò in rassegna quello che aveva parzialmente udito dei suoi borbottii. Sì, le stesse argomentazioni dopo tutto questo tempo. Nulla di nuovo. Dondolando le gambe oltre il lato del letto, lei si sedette ed enumerò i punti sulle sue dita. L’aveva fatto così spesso che poteva pronunciarli a memoria. «Se tu avessi cercato di fuggire, la damane sull’altra nave avrebbe spezzato i tuoi pennoni come ramoscelli. Non ci hanno fermato per caso, Bayle, e tu lo sai; la loro prima chiamata era una richiesta di sapere se tu fossi il Falco del mare. Mostrandoti apertamente e annunciando che eravamo diretti a Cantorin con un dono per l’imperatrice — che possa vivere per sempre — ho placato i loro sospetti. Qualcosa di diverso — qualunque cosa! — e saremmo stati tutti incatenati nella stiva e venduti non appena avessimo raggiunto Cantorin. E dubito che saremmo stati tanto fortunati da affrontare il boia, invece.» Tenne in alto il pollice. «E, come ultima cosa, se ti fossi mantenuto calmo come ti avevo detto, non saresti nemmeno stato portato al palco di vendita. Mi sei costato un bel po’!» Pareva che diverse altre donne a Cantorin avessero il suo stesso gusto in fatto di uomini. Avevano continuato a rilanciare in modo eccessivo. Per quanto l’uomo fosse testardo, si accigliò e si sfregò con irritazione la corta barba. «Continuo a dire che avremmo dovuto gettare tutto in mare» borbottò. «Quel Cercatore non aveva prove che ce l’avessi a bordo.»

«I Cercatori non hanno bisogno di prove» disse lei, scimmiottando il suo accento. «I Cercatori trovano prove, e trovarle è doloroso.» Se veniva limitato a sollevare argomentazioni che aveva riconosciuto già da molto, forse lei si stava avvicinando all’esito di tutta quella faccenda. «In ogni caso, Bayle, tu hai già ammesso che non c’è pericolo che Suroth abbia quel collare e quei braccialetti. Non possono essere messi su di lui a meno che qualcuno non si avvicini abbastanza, e non ho udito nulla che lasci intendere che qualcuno l’abbia fatto o che lo farà.» Evitò di aggiungere che, se qualcuno l’avesse fatto, non avrebbe avuto importanza. Bayle non aveva molta familiarità nemmeno con le versioni delle Profezie che avevano da questo lato del Mare del Mondo, ma era convinto che nessuna accennasse alla necessità che il Drago Rinato si inginocchiasse al Trono di Cristallo. Poteva rivelarsi necessario che gli venisse messo questo a’dam maschile, ma Bayle non l’avrebbe mai compreso. «Quel che è fatto è fatto, Bayle. Se la Luce splende su di noi, vivremo a lungo al servizio dell’impero. Ora, tu conosci questa città, a quanto dici. Cosa c’è di interessante da vedere o da fare?»

«Ci sono sempre feste di qualche tipo» disse lentamente, malvolentieri. Non gli piaceva arrendersi in una discussione, non importa quanto fosse futile. «Alcune potrebbero essere di tuo gradimento. Altre no, penso. Tu sei... schizzinosa.» Cosa voleva dire con ciò? All’improvviso lui sogghignò. «Potremmo trovare una Donna Sapiente. Sono loro ad ascoltare le promesse nuziali, qui.» Si fece passare le dita lungo il lato rasato del suo scalpo, roteando gli occhi all’insù come cercando di vederlo. «Ovviamente, mi ricordo la lezione che mi hai insegnato sui ‘diritti e privilegi’ della mia posizione, che i so’jhin possono sposare solo altri so’jhin, perciò dovrai liberarmi, prima. Che la buona sorte mi tocchi, non hai neanche un centimetro di quei possedimenti che ti sono stati promessi, ancora. Posso riprendere la mia vecchia occupazione e darti una tenuta in breve tempo.»

La bocca di lei si spalancò. Questo non era qualcosa di vecchio. Era qualcosa di completamente nuovo. Era sempre stata orgogliosa della propria assennatezza. Era arrivata a un posto di comando grazie alla capacità e all’audacia, una veterana di battaglie navali, tempeste e naufragi. E proprio in quel momento si sentì come un mozzo al suo primo viaggio che guardava giù dal gavone principale, terrorizzata e confusa, col mondo intero che roteava attorno a lei e una caduta nel mare apparentemente inevitabile che le riempiva gli occhi.

«Non è così semplice» disse lei, sollevandosi in piedi in modo da costringerlo a fare un passo indietro. Per la Luce, odiava quando il suo tono suonava soffocato! «L’affrancamento richiede che io provveda al tuo sostentamento come uomo libero, che mi accerti che tu ti possa mantenere.»

Luce! Quelle parole che fluivano da lei in fretta erano molto sgradevoli, come se il suo tono fosse stato soffocato. Immaginò sé stessa su un ponte. La aiutò, un poco. «Nel tuo caso, vuol dire comprare una nave, suppongo,» disse lei, almeno in tono calmo «e, come tu mi hai ricordato, non ho ancora alcun possedimento. Inoltre, non potrei permetterti di ritornare al contrabbando, e tu lo sai.» Questa era una semplice verità, e il resto non era proprio una bugia. I suoi anni in mare erano stati fruttuosi e, anche se l’oro di cui poteva disporre era ben poca cosa per qualcuno del Sangue, poteva comprare una nave, sempre che lui non volesse un galeone, ma in effetti non aveva negato di potersene permettere una.

Lui allargò le braccia, un’altra cosa che non si presumeva che facesse, e dopo un momento lei gli appoggiò la guancia contro l’ampia spalla e lasciò che lui la avvolgesse. «Andrà tutto bene, ragazza» mormorò con gentilezza. «In qualche modo, andrà tutto bene.»

«Non devi chiamarmi ‘ragazza’, Bayle» lo rimproverò lei, con lo sguardo fisso oltre la sua spalla verso il caminetto. Non sembrava riuscire a metterlo a fuoco. Prima di lasciare Tanchico lei aveva deciso di sposarlo, una di quelle decisioni lampo per cui era celebre. Poteva essere stato un contrabbandiere, ma lei vi aveva messo un freno, e lui era risoluto, forte e intelligente, un vero navigatore. L’ultima era sempre stata una necessità, per lei. Solo non era al corrente dei suoi costumi. In alcuni posti dell’impero, erano gli uomini a chiedere e si offendevano sul serio se una donna anche solo lo proponeva. Inoltre lei non sapeva nulla su come allettare un uomo. I suoi pochi amanti erano stati tutti uomini del suo stesso rango, persone a cui poteva avvicinarsi apertamente e a cui poteva dire addio quando venivano assegnate a un’altra nave o promosse. E ora lui era so’jhin. Non c’era nulla di sbagliato nell’andare a letto col proprio so’jhin, naturalmente, sempre di non andare in giro a vantarsene. Di solito lui preparava un giaciglio ai piedi del letto, anche se non vi dormiva mai. Ma liberare un so’jhin, privarlo dai diritti e dai privilegi che Bayle scherniva, era il culmine della crudeltà. No, stava mentendo di nuovo per sfuggire ai fatti e, peggio, stava mentendo a sé stessa. Voleva sposare l’uomo Bayle Domon con tutto il cuore. Ma era amaramente incerta di potersi decidere a sposare una proprietà affrancata.

«Come la mia signora comanda, così sarà» disse in un’allegra parodia di formalità.

Lei gli diede un pugno sotto le costole. Non forte. Solo abbastanza da farlo grugnire. Doveva imparare! Non voleva più vedere i panorami di Ebou Dar. Voleva solo rimanere dov’era, avvolta fra le braccia di Bayle, senza dover prendere delle decisioni, restare proprio dove si trovavano, per sempre.

Un marcato bussare risuonò alla porta, e lei lo spinse via. Almeno lui sapeva che non era il caso di protestare per quello. Mentre Bayle si infilava la giacca, lei scrollò le pieghe del suo abito e cercò di lisciar via le grinze. Sembravano essercene un bel po’, malgrado fosse stata seduta sul letto, immobile. Questo bussare poteva essere una convocazione da Suroth o una cameriera che si voleva informare se le servisse qualcosa, ma chiunque fosse, lei non avrebbe lasciato che nessuno la vedesse con l’aspetto di chi sembra che si sia rotolato per il ponte.

Abbandonando i futili tentativi, attese finché Bayle non si fu abbottonato e avesse adottato l’atteggiamento che lui reputava appropriato per un so’jhin — come un capitano sul suo cassero pronto a sbraitare ordini, pensò lei, sospirando fra sé — poi urlò: «Avanti!»

La donna che aprì la porta era l’ultima che si sarebbe aspettata di vedere. Bethamin la scrutò con esitazione prima di guizzare dentro e chiudere piano la porta dietro di sé. La sul’dam trasse un profondo respiro, poi si inginocchiò, tenendosi rigidamente eretta. Il suo abito blu scuro con i suoi riquadri rossi decorati col fulmine pareva appena lavato e stirato. Il netto contrasto col suo disordine irritò Egeanin. «Mia signora» cominciò Bethamin incerta, poi deglutì. «Mia signora, una parola con te, per favore.»

Lanciando un’occhiata a Bayle, lei si umettò le labbra. «In privato, se permetti, mia signora.»

L’ultima volta che Egeanin aveva visto questa donna era stata in uno scantinato a Tanchico, quando aveva rimosso da Bethamin un a’dam e le aveva detto di andarsene. Sarebbe stato sufficiente per ricattarla se fosse stata del Sommo Sangue! Senza dubbio l’accusa sarebbe stata la stessa di quella per aver liberato una damane. Tradimento. Tranne che Bethamin non poteva rivelarlo senza condannare anche sé stessa.

«Lui può sentire qualunque cosa tu abbia da dire, Bethamin» disse con calma. Era in acque basse, e non c’era posto per nulla tranne per la calma.

«Cosa vuoi?»

Bethamin si agitò sulle ginocchia e perse altro tempo a umettarsi le labbra. Poi, all’improvviso, le parole uscirono di getto. «Un Cercatore è venuto da me e mi ha ordinato di riprendere la nostra... conoscenza e fargli rapporto su di te.» Come per smettere di farfugliare, si prese il labbro inferiore fra i denti e fissò Egeanin. I suoi occhi scuri erano disperati e imploranti, proprio come erano stati in quello scantinato a Tanchico. Egeanin incontrò freddamente il suo sguardo. Acque basse e una burrasca inattesa. I suoi strani ordini di recarsi a Ebou Dar all’improvviso trovarono una spiegazione. Non le serviva una descrizione per concludere che doveva trattarsi dello stesso uomo. Né aveva bisogno di chiedere perché Bethamin stesse commettendo tradimento mettendo allo scoperto il Cercatore. Se lui avesse deciso che i suoi sospetti erano abbastanza forti da prenderla per un interrogatorio, alla fine Egeanin gli avrebbe detto tutto quello che sapeva, inclusa la storia di un certo scantinato, e Bethamin si sarebbe presto trovata di nuovo con un a’dam al collo. L’unica speranza della donna era aiutare Egeanin a sfuggirgli.

«Alzati» le disse. «Siediti.» Per fortuna c’erano due sedie, anche nessuna di esse pareva comoda. «Bayle, penso che ci sia del brandy in quella fiasca nel comò a cassettoni.»

Bethamin tremava tanto che Egeanin dovette aiutarla ad alzarsi e guidarla verso una sedia. Bayle portò delle coppe lavorate d’argento con un po’ di brandy e si ricordò di inchinarsi e di offrirlo a Egeanin per prima, ma, quando tornò presso il comò, lei si accorse che se n’era versato anche per sé. Rimase lì in piedi, la coppa in mano, osservandole come se fosse la cosa più naturale al mondo. Bethamin lo fissava con occhi sgranati.

«Cosa fai lì, aspetti di essere impalata?» disse Egeanin, e la sul’dam trasalì, il suo sguardo spaventato che guizzò verso il volto di Egeanin. «Sei in errore, Bethamin. L’unico vero crimine che io ho commesso è stato liberare te.» Non esattamente vero, ma alla fine, dopotutto, lei stessa aveva messo l’ a’dam maschile nelle mani di Suroth. E parlare con le Aes Sedai non era un crimine. Il Cercatore poteva sospettare — aveva provato a origliare a una porta a Tanchico — ma lei non era una sul’dam, con l’incarico di catturare marath’damane. Nell’ipotesi peggiore, questo avrebbe significato un rimprovero. «Finché non viene a sapere di quello, non ha ragione di arrestarmi. Se vuole sapere quello che dico o qualsiasi altra cosa su di me, diglielo. Ricorda solo che se decide di arrestarmi, gli farò il tuo nome.» Un monito non poteva che proteggerla da un improvviso pensiero di Bethamin di vedere una via d’uscita sicura, lasciando lei indietro. «Non dovrà nemmeno farmi gridare una volta.»

Con sua sorpresa, la sul’dam cominciò a ridere in modo isterico. Fino a che Egeanin non si sporse in avanti e la schiaffeggiò, almeno. Sfregandosi con aria imbronciata la guancia, Bethamin disse: «Sa quasi abbastanza di tutto tranne lo scantinato, mia signora.» E cominciò a descrivere una bizzarra rete di tradimento che collegava Egeanin, Bayle, Suroth e forse la stessa Tuon con Aes Sedai, marath’damane e damane che erano state Aes Sedai.

La voce di Bethamin cominciò a farsi spaventata mentre passava da un’incredibile accusa a un’altra e, dopo non molto, Egeanin cominciò a sorseggiare il brandy. Semplici sorsetti. Era calma. Aveva il controllo di sé stessa. Era... Questo andava oltre le acque basse. Stava procedendo vicino a una costa sottovento, e lo stesso Accecaanime cavalcava quella bufera e veniva a rubarle gli occhi. Dopo aver ascoltato per un po’, coi suoi occhi che si sgranavano sempre più, Bayle tracannò una coppa stracolma dello scuro liquore in un sorso. Lei fu sollevata di vederlo scioccato, e si sentì in colpa per quel sollievo. Non avrebbe creduto che lui fosse un assassino. Inoltre, era molto bravo a usare le mani, ma appena capace con una spada; con armi o a mani nude, il Sommo Signore Turak avrebbe sbudellato Bayle come una carpa. La sua sola scusa per averlo solo pensato era che c’erano state due Aes Sedai con lui a Tanchico. Tutto ciò era un’assurdità. Doveva esserlo! Quelle due Aes Sedai non erano state parte di alcun complotto, era solo un incontro casuale. Per la Luce; erano state poco più che ragazze, innocenti per giunta, troppo sensibili per accettare il suo suggerimento di tagliare la gola del Cercatore quando ne avevano l’opportunità. Quello era un peccato. Erano state loro a consegnarle l’ a’dam maschile. Il gelo le percorse la spina dorsale. Se il Cercatore fosse venuto a sapere che lei aveva avuto intenzione di sbarazzarsi dell’ a’dam nel modo che quelle Aes Sedai avevano suggerito, chiunque l’avesse saputo, sarebbe stata giudicata colpevole di tradimento come se l’avesse davvero gettato nelle profondità dell’oceano. Non lo sei?, domandò a sé stessa. Il Tenebroso stava venendo a rubarle gli occhi. Con le lacrime che le colavano sulle guance, Bethamin prese la coppa e se la strinse al seno. Se stava cercando di impedirsi di tremare, aveva fallito miseramente. Fremendo, fissò Egeanin o forse qualcosa al di là: qualcosa di terrificante. Il fuoco non aveva riscaldato molto la stanza, ma il sudore imperlava il suo volto. «...E se scopre di Renna e Seta» farfugliò «lo saprà di sicuro! Verrà a prendere me e le altre sul’dam! Devi fermarlo! Se mi prende, io gli farò il tuo nome, Egeanin! Lo farò!» Bruscamente inclinò la coppa che aveva sollevato con fare incerto alla bocca e tracannò il contenuto, strozzandosi e tossendo, poi l’allungò verso Bayle per chiederne ancora. Lui non si mosse. Sembrava irrigidito.

«Chi sono Renna e Seta?» chiese Egeanin. Era spaventata quanto la sul’dam, ma, come sempre, teneva la sua paura all’interno di un banco di scogli. «Cosa può scoprire il Cercatore su di loro?» Gli occhi di Bethamin scivolarono via, rifiutando di incontrare i suoi, e d’improvviso lei seppe.

«Sono sul’dam, vero, Bethamin? Ed è stato messo il collare anche a loro, come è accaduto a te.»

«Sono al servizio di Suroth» piagnucolò la donna. «A loro non viene mai permesso di essere complete, però. Suroth sa.»

Egeanin si sfregò gli occhi con aria stanca. Forse c’era una cospirazione, dopotutto. Oppure Suroth stava nascondendo la vera identità di quelle due per proteggere l’impero. L’impero dipendeva dalle sul’dam: la sua forza era costruita su di loro. La notizia che le sul’dam fossero donne che potevano imparare a incanalare avrebbe potuto mandare in frantumi l’impero fino alle fondamenta. Di certo aveva scosso lei. Forse l’aveva mandata in frantumi. Di certo non aveva liberato Bethamin per senso del dovere. Erano cambiate così tante cose a Tanchico. Lei non credeva più che ogni donna in grado di incanalare meritasse un collare. Delinquenti, certo, e forse coloro che rifiutavano di prestare giuramento al Trono di Cristallo, e... Non lo sapeva. Una volta la sua vita era stata fatta da certezze salde come la roccia, come stelle guida che non venivano mai a mancare. Rivoleva la sua vecchia vita. Voleva qualche certezza.

«Ho pensato» cominciò Bethamin. Non le sarebbero più rimaste delle labbra se non avesse smesso di leccarsele. «Mia signora, se al Cercatore... capitasse un incidente... forse il pericolo morirebbe con lui.» Luce, la donna credeva in questo intrigo contro il Trono di Cristallo ed era pronta a lasciar correre per salvarsi la pelle. Egeanin si alzò e la sul’dam non ebbe altra scelta che seguirla. «Ci penserò, Bethamin. Verrai a trovarmi ogni giorno in cui sei libera. È ciò che il Cercatore si aspetta. Finché non avrò preso una decisione, non farai nulla. Mi capisci? Nulla tranne i tuoi compiti, e quello che io ti dirò.» Bethamin capiva. Era così sollevata che qualcun altro si stesse occupando del pericolo che si inginocchiò di nuovo e baciò la mano di Egeanin. Quasi cacciando a forza la donna dalla stanza, Egeanin chiuse la porta, poi scagliò la sua coppa nel caminetto. Questa colpì i mattoni e rimbalzò, rotolando lungo il piccolo tappeto sul pavimento. Si era scheggiata. Suo padre le aveva dato quel set di coppe quando lei aveva ottenuto il suo primo comando. Tutte le forze sembravano averla abbandonata. Il Cercatore aveva intrecciato raggi lunari ed eventi casuali in un cappio per il suo collo. Sempre che invece non venisse resa proprietà. A quella possibilità un brivido la percorse. Qualunque cosa facesse, il Cercatore la teneva in trappola.

«Posso ucciderlo.» Bayle si torceva le grandi mani. «È un uomo magro, da quel che ricordo. Abituato al fatto che tutti obbediscono ai suoi ordini. Non si aspetterà che qualcuno gli spezzi il collo.»

«Non riuscirai mai a trovarlo, Bayle. Non la incontrerà due volte nello stesso posto, e anche se tu la seguissi giorno e notte, è probabile che lui sarà travestito. Non puoi uccidere ogni uomo con cui parla.»

Irrigidendo la schiena, lei si diresse al tavolo dove si trovava il suo scrittoio e lo aprì. Lo scrittoio intagliato con delle onde, col suo calamaio di vetro con montatura in argento e una boccetta di sabbia sempre in argento, era stato il dono da parte di sua madre per il suo primo comando. I fogli di carta sottile, ordinatamente impilati, recavano il sigillo che le era appena stato concesso, una spada e un’ancora impigliata. «Scriverò il tuo affrancamento,» disse, intingendo il pennino d’argento «e ti darò abbastanza soldi per ottenere un passaggio.» La penna scivolò sulla pagina: aveva sempre avuto una buona mano. Le registrazioni del diario di bordo dovevano essere leggibili. «Non abbastanza per comprare una nave,temo, ma dovrà bastarti. Partirai sulla prima imbarcazione disponibile. Rasati il resto della testa e non dovresti avere problemi. È ancora sorprendente vedere uomini calvi che non indossano parrucche, ma finora sembra che nessuno...» Rimase a bocca aperta mentre Bayle faceva scivolare il foglio da sotto la sua penna.

«Se mi liberi, non puoi darmi ordini» disse. «Inoltre, devi assicurarti che io possa mantenermi, se mi liberi.» Gettò la pagina nel fuoco e osservò mentre si anneriva e si arricciava. «Una nave, hai detto, e dovrai tener fede alla tua parola.»

«Ascoltami bene» disse lei nella sua miglior voce da cassero, ma su di lui non fece alcuna impressione. Doveva essere per via di quel maledetto abito.

«Ti serve un equipaggio» disse lui sovrastando le sue parole «e posso trovartene uno, perfino qui.»

«A cosa mi serve un equipaggio? Non ho una nave. E anche se l’avessi, dove potrei navigare in modo che il Cercatore non possa trovarmi?»

Bayle scrollò le spalle come se quello non avesse importanza. «Un equipaggio, come prima cosa. Ho riconosciuto quel giovane nelle cucine, quello con la ragazza sulle ginocchia. Smetti di fare smorfie. Non c’è nulla di male in qualche bacio.»

Lei si raddrizzò, pronta a rimetterlo in riga con fermezza. Era accigliata, non stava facendo smorfie; quei due si stavano palpando in pubblico come animali, e lui era sua proprietà! Non poteva parlarle in questo modo!

«Il suo nome è Mat Cauthon» proseguì Bayle perfino mentre lei apriva la bocca. «A giudicare dai suoi vestiti, ha fatto strada nel mondo, e molta. La prima volta che lo vidi aveva una giacca da contadino e stava sfuggendo ai Trolloc in un posto di cui perfino i Trolloc hanno paura. L’ultima volta mezza città di Whitebridge stava bruciando, o quasi, e un Myrddraal stava cercando di uccidere lui e i suoi amici. Non l’ho visto coi miei occhi, ma non faccio fatica a crederci. Ogni uomo che riesce a sopravvivere a Trolloc e Myrddraal è utile, penso. Specialmente ora.»

«Qualche giorno» borbottò lei «ho proprio voglia di vedere alcuni di questi Trolloc e Myrddraal di cui vai parlando.» Quelle cose non potevano essere terrificanti la metà di come le descriveva.

Lui sogghignò e scosse il capo. Sapeva ciò che lei pensava su questa cosiddetta progenie dell’Ombra. «Ancora meglio, il giovane mastro Cauthon aveva dei compagni sulla mia nave. Uomini ottimi per questa situazione. Uno lo conosci. Thom Merrilin.»

Egeanin trattenne il fiato. Merrilin era un vecchio astuto. Un vecchio pericoloso. Ed era stato con quelle due Aes Sedai quando lei aveva incontrato Bayle. «Bayle, c’è una cospirazione? Dimmelo. Per favore.» Nessuno diceva ‘per favore’ alla sua proprietà, nemmeno ai so’jhin. A meno che non volesse qualcosa molto fortemente, comunque.

Scuotendo di nuovo la testa, lui appoggiò una mano sulla mensola di pietra del camino e si accigliò verso le fiamme. «Le Aes Sedai tramano così come i pesci nuotano. Potrebbero complottare con Suroth, ma la domanda è: lei potrebbe complottare con loro? L’ho vista guardare le damane come se fossero cani rognosi con le pulci e pieni di malattie. Potrebbe anche solo parlare a una Aes Sedai?» Alzò lo sguardo, e i suoi occhi erano limpidi e schietti, non nascondevano nulla. «Dico la verità. Sulla tomba di mia madre, non so di nessun complotto. Ma anche se sapessi che ce ne sono dieci, impedirei comunque che quel Cercatore o chiunque altro ti facesse del male, a qualunque costo.» Era il genere di cose che ogni leale so’jhin avrebbe potuto dire. Be’, nessun so’jhin di cui lei aveva mai sentito parlare sarebbe stato così diretto, ma il modo di pensare era lo stesso. Solo, lei sapeva che non era questo il suo caso, non avrebbe mai potuto esserlo.

«Grazie, Bayle.» Una voce ferma era indispensabile per comandare, ma fu orgogliosa che la sua voce lo fosse ora. «Trova questo mastro Cauthon, e Thom Merrilin, se riesci. Forse si può fare qualcosa.»

Lui non si inchinò prima di lasciare il suo cospetto, ma lei non prese nemmeno in considerazione l’ipotesi di rimproverarlo. Non aveva nemmeno intenzione di lasciare che il Cercatore la prendesse. Qualunque cosa per fermarlo. Era una decisione che aveva raggiunto prima di congedare Bethamin. Riempì di brandy la coppa sbeccata fino all’orlo, intenzionata a ubriacarsi tanto da non riuscire a pensare, ma invece si sedette a scrutare nel liquido scuro senza toccarne una goccia. Qualunque cosa fosse necessaria. Luce, non era migliore di Bethamin! Ma saperlo non cambiava nulla. Qualunque cosa.


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