12 Un giglio in inverno

Un altro servitore inchinandosi quasi cadde sul proprio naso, ed Elayne sospirò mentre scivolava via lungo il corridoio del Palazzo. Almeno, cercava di scivolare. L’erede al trono di Andor, solenne e serena. Voleva correre, anche se le sue gonne blu scuro probabilmente l’avrebbero fatta inciampare, se ci avesse provato. Poteva quasi sentire gli occhi strabuzzati dell’uomo tarchiato che seguiva lei e le sue compagne. Un’irritazione minima e passeggera; un granello di sabbia nella sua scarpa. Quel maledetto Rand io-so-cos’è-meglio-per-tutti al’Thor è come polvere pruriginosa lungo la mia schiena!, pensò. Se fosse riuscito a sfuggirle stavolta...

«Ricorda soltanto» disse in tono deciso «non deve sapere nulla di spie, radice biforcuta o cose del genere!» L’ultima cosa che le occorreva era che lui decidesse di ‘salvarla’. Gli uomini facevano quel genere di sciocchezze; Nynaeve lo definiva ‘pensare coi peli del petto’. Luce, probabilmente avrebbe trasferito di nuovo gli Aiel e i Saldeani nella città. Nel palazzo stesso! Per quanto amaro fosse ammetterlo, se l’avesse fatto, non avrebbe potuto fermarlo: non senza una guerra aperta, e anche quella poteva non essere sufficiente. «Non gli dirò cose che non gli occorre sapere» disse Min, accigliandosi verso una servitrice dinoccolata dagli occhi sgranati, la cui riverenza la fece quasi crollare sulle piastrelle rosso scuro. Guardando Min di traverso, Elayne si ricordò di quando anche lei indossava delle brache e si chiese se potesse provarci ancora. Di certo erano più comode delle gonne. Non gli stivali a tacco alto, però, decise giudiziosamente. Rendevano Min alta quasi quanto Aviendha, ma perfino Birgitte barcollava su quelli, e con le brache attillate di Min e una giacca che le copriva a malapena i fianchi, avrebbe certo dato scandalo.

«Tu gli menti?» Il sospetto trasudava dal tono di Aviendha. Anche il modo con cui si aggiustò lo scialle scuro sulle spalle trasmetteva disapprovazione, e rivolgendo un’occhiata torva a Min, guardò oltre Elayne.

«Certo che no» replicò nettamente Min, restituendole l’occhiataccia. «A meno che non sia necessario.» Aviendha ridacchiò, poi parve sorpresa per averlo fatto e assunse un’espressione impassibile.

Cosa doveva fare con loro? Dovevano piacersi. Dovevano. Ma le due donne si erano fissate come strani gatti in una stanzetta fin da quando si erano incontrate. Oh, erano d’accordo su tutto — non c’era stata molta scelta, non quando nessuna di loro poteva indovinare quando tutte loro avrebbero avuto quell’uomo sottomano — ma sperava che non si dimostrassero di nuovo a vicenda quant’erano abili nel maneggiare i loro pugnali. Con estrema noncuranza, non sottintendendo alcuna minaccia, ma anche in maniera molto palese. D’altro canto Aviendha era rimasta piuttosto colpita dal numero di coltelli che Min portava addosso. Un giovane servitore allampanato che portava un vassoio di paralumi si inchinò, passando lì accanto. Li guardò con tale concentrazione da dimenticarsi di prestare attenzione al proprio carico. Il fragore di vetro in frantumi sul pavimento invase il corridoio. Elayne sperava che tutti si abituassero presto al nuovo ordine delle cose. Non era lei l’oggetto di tutti quegli sguardi stralunati, certo, o Aviendha, o perfino Min, anche se probabilmente ne attirava alcuni. No, erano Caseille e Deni, che le seguivano da presso, a far strabuzzare gli occhi e inciampare i servitori. Aveva otto guardie del corpo, ora, e quelle due erano in piedi a sorvegliare la sua porta quando si era svegliata.

Era molto probabile che alcuni degli sguardi stralunati fossero dovuti proprio al fatto che Elayne aveva delle guardie che la seguivano, e quasi certamente perché erano donne. Nessuno si era ancora abituato a quello. Ma Birgitte aveva detto che le avrebbe fatte sembrare cerimoniali e così aveva fatto. Doveva aver messo al lavoro ogni sarta e modista a palazzo non appena aveva lasciato le stanze di Elayne la notte prima. Ogni donna indossava un cappellino rosso acceso con una lunga piuma appoggiata di piatto lungo la larga tesa e una fusciacca rossa orlata di candido merletto lungo il torace con bianchi leoni rampanti. Le loro giubbe cremisi col colletto bianco erano di seta, e il taglio era stato modificato un poco in modo che calzassero meglio e arrivassero fin quasi al ginocchio sopra brache scarlatte con una striscia bianca sulla parte esterna delle gambe. Pallido merletto pendeva fitto ai polsi e al collo, e gli stivali neri erano stati lucidati fino a risplendere. Avevano un aspetto piuttosto affascinante e perfino Deni, coi suoi occhi placidi, camminava impettita. Elayne sospettava che sarebbero state ancora più orgogliose non appena le cinture e i foderi con le lavorazioni in oro sarebbero stati pronti, così come gli elmi e i pettorali laccati. Birgitte stava facendo preparare dei pettorali adatti per delle donne, cosa che, sospettava Elayne, di certo aveva fatto strabuzzare gli occhi degli armaioli.

Al momento, Birgitte era occupata in colloqui con altre donne per arrivare alle venti per la scorta. Elayne poteva sentirla concentrarsi, senza segno di attività fisica, quindi doveva trattarsi di quello, a meno che non stesse leggendo o giocando a sassolini, e di rado sottraeva ai suoi doveri qualche momento per sé. Elayne sperava che si sarebbe limitata a venti. Sperava che Birgitte fosse tanto occupata da non farci caso finché non fosse troppo tardi, quando avesse camuffato il legame. E pensare che era stata tanto preoccupata che Birgitte percepisse quello che lei voleva tenere per sé, quando la soluzione stava in una semplice domanda a Vandene. La risposta era stata un cocente promemoria di quanto poco sapesse in verità sull’essere Aes Sedai, in special modo le parti che altre Sorelle davano per scontate. Apparentemente ogni Sorella che aveva un Custode sapeva come, perfino quelle che rimanevano nubili.

Era strano come le cose si aggiustassero, a volte. Se non fosse stato per le guardie del corpo, se non si fosse chiesta come poter sfuggire a loro e a Birgitte, non le sarebbe mai venuto in mente di chiedere e non avrebbe mai appreso come camuffare il legame in tempo per questo. Non che avesse in programma di sfuggire alla sua scorta a breve, ma era meglio essere pronti in anticipo, in caso. Birgitte di certo non avrebbe più permesso a lei e ad Aviendha di girovagare per la città da sole, né di giorno né di notte. Il loro arrivo alla porta di Nynaeve scacciò del tutto i pensieri di Birgitte dalla sua mente. Tranne che non doveva camuffare il legame fino all’ultimo istante possibile. Rand era dall’altra parte di quella porta. Rand che talvolta affollava i suoi pensieri fino a che lei si domandava se non fosse come una di quelle sciocche donne nei racconti che sbattevano la testa contro il muro per un uomo. Aveva sempre pensato che quelle storie dovevano essere state scritte da uomini. Alle volte Rand la faceva davvero sentire sciocca, però. Almeno non se ne rendeva conto, grazie alla Luce.

«Aspettate qui fuori e non fate entrare nessuno» ordinò alle guardie. Ora non poteva permettersi interruzioni o protocolli. Con un po’ di fortuna, la sua scorta era tanto nuova che nessuno avrebbe riconosciuto neanche cosa significavano quelle eleganti uniformi. «Ci metterò solo pochi minuti.»

Le guardie fecero un rapido saluto, un braccio al petto, e presero posizione a entrambi i lati della porta: Caseille col volto impassibile e una mano sull’elsa della sua spada, Deni afferrando con entrambe le mani il suo lungo randello e con un debole sorriso. Elayne era certa la donna pensava che Min l’avesse portata qui per incontrare un amante segreto. Sospettava che Caseille pensasse lo stesso. Di fronte alle due donne non erano state tanto discrete quanto avrebbero potuto; nessuna aveva menzionato il suo nome, ma c’erano stati fin troppi ‘lui questo’ e ‘lui quello’. Almeno nessuna delle due guardie aveva cercato di inventare una scusa per andare a far rapporto a Birgitte. Se erano la sua scorta, allora dovevano essere la sua, non di Birgitte. Tranne il fatto che non avrebbero tenuto fuori Birgitte se lei avesse camuffato il legame troppo presto.

Si rese conto che stava tremando. L’uomo che sognava ogni notte era dall’altro lato di quella porta, e lei se ne stava lì come una stupida. Aveva atteso così tanto, l’aveva desiderato così tanto, e ora era quasi spaventata. Non avrebbe lasciato che questo andasse storto. Con uno sforzo, si ricompose.

«Siete pronte?» La sua voce non era tanto forte quanto aveva sperato, ma almeno non tremava. Farfalle delle dimensioni di volpi svolazzavano nel suo stomaco. Non le succedeva da molto tempo.

«Ma certo» asserì Aviendha, ma prima dovette deglutire.

«Sono pronta» disse Min con voce flebile.

Entrarono senza bussare, affrettandosi a chiudere la porta alle loro spalle. Nynaeve balzò in piedi con gli occhi sgranati prima che fossero del tutto nel salotto, ma Elayne quasi non notò né lei né Lan, anche se il dolce aroma della pipa del Custode impregnava la stanza. Rand si trovava davvero lì; era difficile credere che ci sarebbe stato. Quell’orrendo travestimento che Min aveva descritto era svanito, tranne per gli indumenti logori e i rozzi guanti, ed era... bellissimo.

Anche lui alla sua vista balzò dalla sedia, ma prima che fosse completamente dritto, vacillò e afferrò il tavolo con entrambe le mani, conati secchi che lo fecero soffocare e ansimare. Elayne abbracciò la Fonte e fece un passo verso di lui, poi si fermò costringendosi a lasciar andare il Potere. La sua abilità con la Guarigione era minima, e comunque Nynaeve si era mossa veloce quanto lei, il bagliore di saidar d’improvviso attorno a lei, le mani sollevate verso Rand.

Lui si tirò indietro, scacciandola con un gesto. «Non è nulla che tu possa Guarire, Nynaeve» disse con voce roca. «Comunque sia, sembra che tu abbia vinto la discussione.» Il suo volto era una maschera rigida che celava le emozioni, ma a Elayne sembrava che lui volesse inglobare lei con lo sguardo. E anche Aviendha. Fu sorpresa di sentirsi allietata da ciò. Aveva sperato che andasse a quel modo, di potercela fare per sua sorella, e ora non doveva neanche sforzarsi per questo. Per lui raddrizzarsi costituì un’evidente fatica, così come distogliere lo sguardo da lei e da Aviendha, anche se cercò di nascondere entrambe le cose. «Ce ne saremmo già dovuti andare da un pezzo, Min» disse.

La mascella di Elayne si spalancò. «Pensi di potertene andare senza neanche parlare a me, a noi?» riuscì a dire.

«Uomini!» sbuffarono Min e Aviendha quasi nello stesso istante, e si guardarono a vicenda con aria stupita. In fretta sciolsero le braccia, che tenevano incrociate. Per un istante, malgrado fossero diverse quasi in tutto, furono come immagini speculari di disgusto femminile.

«Gli uomini che hanno cercato di uccidermi a Cairhien trasformerebbero questo palazzo in un cumulo di macerie se sapessero che sono qui» disse Rand con calma. «Forse anche se lo sospettassero soltanto. Suppongo che Min vi abbia detto che sono stati gli Asha’man. Non fidatevi di nessuno di loro. Forse solo di tre potreste fidarvi: Darner Flinn, Jahar Narishma ed Eben Hopwil. Per quanto riguarda gli altri...» Serrò i pugni nei guanti d’arme contro i fianchi, in un gesto quasi inconsapevole. «Alle volte una spada si rivolta in mano, ma mi serve comunque una spada. State semplicemente alla larga da ogni uomo con una giubba nera. Ascoltate, non ho tempo per parlare. È meglio che me ne vada in fretta.» Si era sbagliata. Rand non era esattamente come l’aveva sognato. Ogni tanto in lui c’era stato un certo infantilismo, ma ora era svanito, come bruciato. Lei se ne rammaricò per lui. Non pensava che Rand lo facesse, o che potesse farlo.

«Ha ragione su una cosa» disse Lan attorno al cannello della sua pipa con la stessa calma. Un altro uomo che sembrava non essere mai stato un ragazzo. I suoi occhi erano ghiaccio azzurro sotto il cuoio intrecciato che circondava le sue sopracciglia. «Chiunque accanto a lui è in grave pericolo: chiunque.» Per qualche motivo, Nynaeve sbuffò. Poi mise la sua mano su un fagotto di cuoio con delle dure protuberanze sul tavolo e sorrise. Ma dopo un momento il suo sorriso vacillò.

«Mia sorella prima e io temiamo il pericolo?» domandò Aviendha, piantando i pugni sui fianchi. Lo scialle le scivolò dalle spalle e cadde sul pavimento, ma lei era così concentrata che sembrò non accorgersene.

«Quest’uomo ha toh nei nostri confronti, Aan’allein, e noi nei suoi. Dev’essere risolto.»

Min allargò le mani. «Non so cosa sia questo toh di cui va cianciando Aviendha, ma non andrò da nessuna parte finché non avrai parlato con loro, Rand!» Lei fece finta di non notare l’occhiataccia indignata di Aviendha. Sospirando, Rand si appoggiò contro un angolo del tavolo e fece passare le dita guantate attraverso gli scuri riccioli rossicci che gli pendevano sul collo. Parve discutere con sé stesso sottovoce.

«Mi spiace che le sul’dam e le damane siano finite a voi» disse infine. Suonava dispiaciuto, ma non molto; era come se si rammaricasse per il freddo. «Taim, avrebbe dovuto consegnarle alle Sorelle che pensavo fossero con voi. Ma suppongo che chiunque possa commettere un errore del genere. Forse pensava che tutte quelle Sapienti dei villaggi e Donne Sapienti che Nynaeve aveva radunato fossero Aes Sedai.» Il suo sorriso era tranquillo. Ma non coinvolgeva il suo sguardo.

«Rand» chiamò Min in un tono basso di avvertimento.

Lui ebbe la sfacciataggine di guardarla con aria interrogativa, come se non capisse. «Comunque, sembra che ne abbiate abbastanza per trattenerle con un manipolo di donne finché non le potrete consegnare alle... alle altre Sorelle, quelle con Egwene. Le cose non vanno mai nel modo che ci si aspetta, vero? Chi avrebbe pensato che poche Sorelle in fuga da Elaida sarebbero arrivate ribellarsi contro la Torre Bianca? Con Egwene come Amyrlin! E la Banda della Mano Rossa come suo esercito. Suppongo che Mat possa star lì ancora per un po’.» Per qualche ragione sbatté le palpebre e si toccò la fronte, poi proseguì con quell’irritante tono di noncuranza. «Bene. In tutti i sensi, una strana svolta degli eventi. A questo punto, non sarei sorpreso se i miei amici nella Torre trovassero abbastanza coraggio da venire allo scoperto.»

Inarcando un sopracciglio, Elayne lanciò un’occhiata a Nynaeve. Sapienti dei villaggi e Donne Sapienti? La Banda era l’esercito di Egwene e Mat era con lei? Il tentativo di sgranare gli occhi per proclamare la propria innocenza fece sembrare Nynaeve la personificazione della colpa inchiodata a una porta. Elayne pensò che non importava. Lui avrebbe appreso presto la verità, se l’avessero convinto ad andare da Egwene. In ogni caso, lei aveva faccende più importanti da discutere. Quell’uomo stava blaterando, per quanto provasse a sembrare improvvisato, gettando loro qualunque amo a cui potessero aggrapparsi nella speranza di sviare la loro attenzione.

«Non funzionerà, Rand.» Elayne serrò le mani sulle gonne per impedirsi di agitargli un dito contro. O un pugno; non era sicura. Le altre Sorelle? Le vere Aes Sedai, stava per dire. Come osava? E i suoi amici nella Torre!

Poteva davvero credere ancora alla strana lettera di Alviarin? La sua voce era fredda, decisa e ferma, e non tollerava sciocchezze. «Nulla di questo ha la minima importanza, ora. Tu, Aviendha, Min e io siamo tutto ciò di cui dobbiamo parlare. E lo faremo. Lo faremo tutti, Rand al’Thor, e tu non lascerai il palazzo finché non l’avremo fatto!»

Per un tempo lunghissimo, lui rimase semplicemente a guardarla, la sua espressione immutata. Poi trasse un profondo respiro e il suo volto si fece di granito. «Io ti amo, Elayne.» Proseguì senza esitare, le parole che gli scorrevano fuori come acqua da una diga infranta. Il suo volto era un muro di pietra. «Io ti amo, Aviendha. Io ti amo, Min. E neanche un briciolo di meno delle altre due. Non voglio solo una di voi, voglio tutte e tre. Dunque ecco qua. Sono un libertino. Ora potete andar via e non guardarvi indietro. È follia, comunque. Non posso permettermi di amare nessuno!»

«Rand al’Thor,» strillò Nynaeve «questa è la cosa più scandalosa che ho mai sentito dalla tua bocca! L’idea stessa di dire a tre donne che tu le ami!

Tu sei peggio di un libertino! E adesso, chiedi scusa!» Lan si era tolto la pipa di bocca e stava fissando Rand.

«Ti amo, Rand,» disse Elayne semplicemente «e anche se non l’hai chiesto, voglio sposarti.» Arrossì un poco, ma intendeva essere subito dopo molto più diretta, perciò pensò che quelle parole quasi non contassero. La bocca di Nynaeve si contrasse, ma non ne uscì alcun suono.

«Il mio cuore è nelle tue mani, Rand» disse Aviendha, trattando il suo nome come qualcosa di raro e prezioso. «Se farai una ghirlanda nuziale per mia sorella prima e per me, io l’accetterò.» Anche lei arrossì, cercando di nascondere la cosa piegandosi a raccogliere il suo scialle da terra e aggiustandoselo sulle braccia. Secondo le usanze degli Aiel, niente del genere poteva essere detto così. Nynaeve riuscì finalmente a emettere un suono. Uno squittio.

«Se non hai capito finora che ti amo,» disse Min «allora sei cieco, sordo e morto!» Lei non arrossì di certo; c’era una luce birichina nei suoi occhi scuri e sembrava pronta a ridere. «E, per quanto riguarda il matrimonio, be’, la risolveremo fra noi tre: perciò ecco qua!» Nynaeve afferrò la sua treccia con entrambe le mani e diede un bello strattone, respirando affannosamente attraverso il naso. Lan aveva cominciato uno studio approfondito del contenuto del fornello della sua pipa. Rand le squadrò tutte e tre come se non avesse mai visto prima una donna e si chiedesse cosa fossero. «Siete tutte matte» disse infine. «Io sposerei chiunque di voi — tutte voi, che la Luce mi aiuti! — ma non può accadere, e lo sapete.» Nynaeve crollò su una sedia, scuotendo il capo. Borbottò fra sé, ed Elayne riuscì a capire che diceva qualcosa sulla Cerchia delle Donne, che si sarebbero mangiate la lingua.

«C’è qualcos’altro di cui dobbiamo discutere» disse Elayne. Luce, era come se Min e Aviendha stessero guardando un pasticcino! Con uno sforzo riuscì a rendere il suo stesso sorriso un po’ meno... bramoso. «Nelle mie stanze, ritengo. Non c’è bisogno di disturbare Nynaeve e Lan.» O meglio, temeva che Nynaeve, se avesse sentito, avrebbe cercato di fermarle. Quella donna era molto svelta a usare la propria autorità quando si trattava di faccende da Aes Sedai.

«Sì» disse Rand lentamente. E poi inaspettatamente aggiunse: «Direi che hai vinto, Nynaeve. Non me ne andrò senza averti rivista.»

«Oh!» Nynaeve ebbe un sussulto. «Sì. Certo che no. Io l’ho visto crescere» farfugliò, rivolgendo un debole sorriso a Elayne. «Quasi dall’inizio. Ho visto i suoi primi passi. Non può andarsene che dopo una bella chiacchierata con me.»

Elayne la guardò con diffidenza. Luce, sembrava proprio una vecchia balia. Tranne che Lini non aveva mai farfugliato così. Sperò che Lini fosse viva e stesse bene, ma temeva molto che nessuna delle due cose fosse vera. Perché Nynaeve si stava comportando in questa maniera? Quella donna stava architettando qualcosa e, se non aveva intenzione di metterla in pratica avvalendosi della propria posizione, doveva trattarsi di qualcosa che perfino lei sapeva essere sbagliato.

All’improvviso Rand sembrò tremolare, come se l’aria tutt’intorno a lui stesse luccicando per il calore, e tutto il resto scomparve dalla mente di Elayne. In un istante lui fu... qualcun altro, più basso e tozzo, rozzo e volgare. E tanto repellente alla vista che lei non prese nemmeno in considerazione il fatto che stava usando la metà maschile del Potere. Untuosi capelli neri ricadevano su un volto di un pallore malsano, dominato da porri coperti di peli, e un naso bitorzoluto sopra labbra grosse e molli che sembravano sul punto di sbavare. Lui strizzò gli occhi e deglutì, le mani che afferravano i braccioli della sedia, come se non potesse sopportare di essere guardato.

«Sei ancora bellissimo, Rand» disse lei con gentilezza.

«Ah!» sbottò Min. «Quella faccia farebbe svenire una capra!» Be’, era vero, ma non avrebbe dovuto dirlo.

Aviendha rise. «Tu hai senso dell’umorismo, Min Farshaw. Quella faccia farebbe svenire un gregge di capre!» Oh, Luce, era proprio vero! Elayne soffocò una risatina giusto in tempo.

«Sono ciò che sono» disse Rand, alzandosi dalla sedia. «È solo che non lo vedete.»

Non appena Deni vide Rand nel suo travestimento, il sorriso le scivolò via dalla faccia. La bocca di Caseille si spalancò. E tanti saluti alle ipotesi di amanti segreti, pensò Elayne, sorridendo fra sé divertita. Era certa che lui attirasse tante occhiate quanto le guardie, avanzando fra loro con un’andatura dinoccolata e un cupo cipiglio. Di certo nessuno poteva sospettare chi fosse. I servitori nel corridoio probabilmente pensavano che fosse stato arrestato per qualche crimine. Di certo ne aveva l’aria. Caseille e Deni lo fissavano con occhi severi come se anche loro pensassero lo stesso.

Le guardie arrivarono quasi a discutere quando si resero conto che lei voleva che aspettassero fuori dai suoi appartamenti mentre le tre donne lo portavano dentro.

All’improvviso, il travestimento di Rand non sembrò più così divertente. La bocca di Caseille si assottigliò e l’ampio volto di Deni si irrigidì in un ostinato malcontento. Elayne dovette quasi sventolare il suo anello col Gran Serpente sotto il loro naso prima che prendessero posizione accanto alla sua porta, corrucciate. Lei chiuse la porta piano, tagliando fuori la vista delle loro facce accigliate, ma voleva sbatterla. Per la Luce, quell’uomo avrebbe potuto scegliere qualcosa di un po’ meno disgustoso, come travestimento. Lui, dal canto suo, andò dritto verso il tavolo intarsiato, e vi si appoggiò contro mentre l’aria attorno a lui luccicava e diventava di nuovo sé stesso. Le teste di drago sui dorsi delle sue mani scintillavano di un bagliore metallico, scarlatto e oro. «Ho bisogno di bere» borbottò in modo confuso, notando la caraffa d’argento a collo alto sul lungo tavolino contro il muro. Senza ancora guardare lei, Min o Aviendha, vi si diresse con passo incerto e riempì un calice d’argento che svuotò quasi in una lunga sorsata. Quel vino dolce speziato era stato lasciato quando avevamo portato via la sua colazione. Doveva essere gelato ora. Nessuno si aspettava che lei ritornasse così presto nelle sue stanze, perciò il fuoco nel focolare era stato coperto sotto le ceneri. Ma lui non fece alcun gesto apparente per riscaldare il vino incanalando. Se l’avesse fatto, lei avrebbe visto almeno il vapore. E perché aveva camminato fino al vino invece di incanalare per portarlo a sé? Quello era il genere di cose che lui faceva sempre, far fluttuare in giro calici e lampade su filamenti di Aria.

«Stai bene, Rand?» chiese Elayne. «Voglio dire, sei malato?» Il suo stomaco si contrasse al pensiero di quale malattia potesse essere, trattandosi di lui. «Nynaeve può...»

«Non potrei stare meglio» disse in tono piatto. Ancora dando loro le spalle. Svuotando il calice, cominciò a riempirlo di nuovo. «Allora, cos’è che non volevate che Nynaeve sentisse?»

Le sopracciglia di Elayne scattarono in alto e si scambiò delle occhiate con Aviendha e Min. Se lui aveva capito il suo sotterfugio, di certo lo aveva fatto anche Nynaeve. Perché le aveva lasciate andare? E come l’aveva capito lui? Aviendha scosse lievemente il capo dallo stupore. Anche Min scosse il suo, ma con un sorrisetto che diceva che ogni tanto bisognava aspettarsi cose del genere. Elayne avvertì appena una fitta di — non proprio gelosia: la gelosia era fuori questione, per loro — solo di irritazione per il fatto che Min avesse passato così tanto tempo con lui e lei no. Be’, se lui voleva giocare alle sorprese...

«Vogliamo legarti come nostro Custode» disse lei, lisciandosi il vestito mentre si sedeva. Min si sedette sul bordo del tavolo, dondolando le gambe, e Aviendha si sistemò sul tappeto a gambe incrociate, allargando con attenzione le sue pesanti gonne di lana. «Tutte e tre. È consuetudine chiedere, prima.»

Lui si voltò, il vino che fuoriusciva dal suo calice, altro ancora che veniva versato dalla caraffa prima che potesse raddrizzarla. Borbottando un’imprecazione, si affrettò a togliersi dalla macchia sul tappeto che si andava allargando e rimise la caraffa sul vassoio. Una grossa chiazza umida decorava il davanti della sua rozza giacca insieme a goccioline di vino scuro che cercò di togliere con la mano libera. Davvero soddisfacente.

«Siete davvero matte» ringhiò. «Sapete cosa mi aspetta. Sapete cosa significa per chiunque a cui io sia legato. Anche se non impazzisco, quella persona dovrà sperimentare la mia morte! E cosa vuol dire, tutte e tre? Min non può incanalare. Comunque, Alanna Mosvani c’è riuscita prima di voi, e non si è presa la briga di chiedere. Lei e Verin stavano portando alcune ragazze dei Fiumi Gemelli alla Torre Bianca. Sono legato a lei da mesi, ormai.»

«E tu me l’hai tenuto nascosto, zuccone di un pastore?» domandò Min.

«Se l’avessi saputo...» Estrasse agilmente un sottile pugnale dalla manica, poi lo fissò per un attimo e lo rimise a posto con aria cupa. Quella cura avrebbe fatto tanto male a Rand quanto ad Alanna.

«Questo era contro le usanze» disse Aviendha, in tono perplesso e interrogativo. Cambiò posizione sul tappeto e tastò il suo pugnale.

«Proprio così» replicò in modo deciso Elayne. Che una Sorella facesse una cosa simile a qualunque uomo era disgustoso. Che Alanna l’avesse fatto a Rand... Si ricordava della scura, focosa Verde, col suo umore imprevedibile e il suo caratterino. «Alanna ha più toh nei suoi confronti di quanto ne possa ripagare in un’intera vita! E nei nostri. E anche se così non fosse, desidererà che io l’abbia semplicemente uccisa, dopo che metterò le mani su di lei!»

«Dopo che noi avremo messo le mani su di lei» disse Aviendha, annuendo per aggiungere enfasi.

«Allora.» Rand scrutò dentro il suo vino. «Capite che questo non ha senso. Io... Io penso che sia meglio che torni da Nynaeve, ora. Vieni, Min?»

Malgrado quello che loro gli avevano detto, dalla sua voce pareva che non ci credesse davvero, come se Min potesse abbandonarlo ora. Non sembrava impaurito da questo, solo rassegnato.

«Ma c’è un senso» disse Elayne con insistenza. Si sporse verso di lui, cercando con la propria forza di volontà di fare in modo che accettasse ciò che stava dicendo. «Un legame non ti impedisce di averne un altro. Le Sorelle non legano lo stesso uomo solo per usanza, Rand, ma perché non vogliono condividerlo: non perché non possa essere fatto. E non è nemmeno contro la legge della Torre.» Certo, alcune usanze erano forti come la legge, almeno agli occhi delle Sorelle. Nynaeve sembrava essere convinta ogni giorno di più sul fatto di sostenere le usanze e la dignità delle Aes Sedai. Quando avesse saputo questo, probabilmente sarebbe esplosa fino a bucare il soffitto. «Be’, noi vogliamo condividerti! Noi ti condivideremo, se tu sei d’accordo.»

Com’era stato facile dirlo! Un tempo non era stata sicura di poterlo fare. Finché non era arrivata a rendersi conto che amava Aviendha quanto lui, solo in modo diverso. E anche Min; un’altra sorella, anche se loro non si erano adottate. Avrebbe fatto a fettine Alanna dalla testa ai piedi per averlo toccato, se ne avesse avuto l’opportunità, ma con Aviendha e Min era diverso. Erano parte di lei. In un certo senso, erano lei, e lei era loro. Ammorbidì il suo tono. «Te lo sto chiedendo, Rand. Te lo stiamo chiedendo. Per favore, lascia che ti leghiamo a noi.»

«Min» mormorò lui, quasi in tono d’accusa. I suoi occhi sul volto di Min grondavano disperazione. «Tu lo sapevi, vero? Sapevi che se avessi posato gli occhi su di loro...» Scosse il capo, incapace o riluttante a continuare.

«Non sapevo del legame finché non me l’hanno detto meno di un’ora fa» disse lei, incontrando i suoi occhi con lo sguardo più gentile che Elayne avesse mai visto. «Ma sapevo quello che sarebbe successo se le avessi riviste, ci speravo. Alcune cose devono accadere, Rand. Devono accadere.»

Rand guardò nel calice, i momenti che sembravano dilatarsi come ore, e alla fine lo rimise sul vassoio. «D’accordo» disse piano. «Non posso dire di non volerlo perché non è così. Che la Luce mi folgori per questo! Ma pensate al costo. Pensate al prezzo che pagherete.»

Elayne non aveva bisogno di pensare al prezzo. Lo aveva saputo fin dal principio, ne aveva discusso con Aviendha per assicurarsi che anche lei comprendesse. L’aveva spiegato a Min. Prendi ciò che vuoi, e pagane il prezzo, diceva il vecchio adagio. Nessuna di loro dovette pensare al prezzo; lo conoscevano, ed erano disposte a pagarlo. Non c’era tempo da perdere, però. Perfino ora, credeva che lui avrebbe voluto decidere se il prezzo era troppo alto. Come se si trattasse di una sua decisione!

Aprendosi a saidar, si collegò con Aviendha, scambiando un sorriso con lei. L’accresciuta consapevolezza l’una dell’altra, la condivisione più intima di emozioni e sensazioni fisiche era sempre un piacere con sua sorella. Era molto simile a quello che presto avrebbero condiviso con Rand. Aveva studiato tutto questo con attenzione, l’aveva esaminato sotto ogni aspetto. Quello che era stata in grado di apprendere dai flussi dell’adozione aiel era stato di grande aiuto. Era stata quella cerimonia a darle l’idea. Con cautela intessé Spirito, un flusso di centinaia di filamenti, tutti al posto giusto, e lo appoggiò su Aviendha seduta sul pavimento, poi fece lo stesso con Min sul tavolo. In un certo senso, non si trattava di flussi separati. Risplendevano con una precisa somiglianza e sembrava che, guardando uno, potesse vedere anche l’altro. Questi non erano i flussi usati nella cerimonia dell’adozione, ma usavano gli stessi princìpi. Includevano: ciò che accadeva a uno intessuto in quel flusso, accadeva a tutti. Non appena i flussi furono al loro posto, lei passò la guida del cerchio di due ad Aviendha. I flussi già fatti rimasero e Aviendha ne intessé immediatamente altri identici attorno a Elayne e di nuovo attorno a Min, fondendo questo in modo che fosse indistinguibile da quello precedente di Elayne prima di ripassarle il controllo. Dopo un bel po’ di pratica, adesso a loro riusciva molto facile. Quattro flussi, o meglio adesso tre, tuttavia sembrava che fosse lo stesso.

Tutto era pronto. La fiducia in sé stessa di Aviendha era come una roccia, forte quanto qualunque cosa Elayne aveva mai percepito da Birgitte. Min sedeva afferrando il bordo del tavolo, le sue caviglie serrate insieme; non poteva vedere i flussi, ma esibì un sorrisetto spavaldo che fu guastato un poco quando si leccò le labbra. Elayne respirò profondamente. Ai suoi occhi, loro tre erano circondate e connesse da un disegno di Spirito che faceva impallidire il miglior merletto. Ora restava solo da vedere se avrebbe funzionato come credeva.

Da ognuna di loro, lei estese il flusso in stretti fili verso Rand, intrecciandoli in uno, trasformandoli nel legame da Custode. Poi lo appoggiò su Rand con tanta delicatezza come se stesse posando una coperta su un bambino. La ragnatela di Spirito si assestò attorno a lui, dentro di lui. Rand non batté ciglio, ma era fatto. Lasciò andare saidar. Fatto. Lui le fissò senza espressione e lentamente si portò le dita alle tempie.

«Oh, per la Luce, Rand, il dolore» mormorò Min con voce dolente.

«Non l’ho mai saputo; non l’ho mai immaginato. Come puoi sopportarlo?

Ci sono dolori che sembra che tu non avverta nemmeno, come se avessi vissuto con essi così a lungo che sono parte di te. Gli aironi sulle tue mani; puoi ancora sentire la marchiatura. Quelle cose sulle tue braccia dolgono!

E il tuo fianco. Oh, Luce, il tuo fianco! Perché non stai urlando, Rand?

Come fai a non urlare?»

«Egli è il Car’a’carn,» disse Aviendha ridendo «forte quanto la stessa Terra delle Tre Piegature!» Il suo volto era orgoglioso — oh, quanto orgoglioso — ma perfino mentre rideva, le lacrime colavano lungo le sue guance scurite dal sole. «Le venature dorate. Oh, le venature dorate. Mi ami davvero, Rand.»

Elayne si limitò a fissarlo, a percepirlo nella sua mente. Il dolore delle ferite e delle lesioni che lui aveva davvero dimenticato. La tensione e l’incredulità: lo stupore. Le sue emozioni erano troppo rigide, però, come un nodo di resina di pino indurita, quasi pietra. Tuttavia, intrecciate attorno a esse, venature dorate pulsavano e brillavano quando guardava Min o Aviendha. O lei. L’amava davvero. Le amava tutte e tre. E questo le fece desiderare di ridere dalla gioia. Altre donne avrebbero potuto avere dubbi, ma lei avrebbe sempre saputo che il suo amore era vero.

«Voglia la Luce che sappiate quello che avete fatto» disse a voce bassa.

«Voglia la Luce che voi non...» La resina di pino si fece un pizzico più dura. Era sicuro che loro avrebbero sofferto e si stava già indurendo. «Io... io devo andare, ora. Almeno saprò che state bene; non dovrò preoccuparmi per voi.» All’improvviso sorrise; sarebbe potuto sembrare quasi fanciullesco se quel sorriso si fosse esteso anche agli occhi. «Nynaeve sarà fuori di sé pensando che sono sgattaiolato via senza vederla. Non che non si meriti un po’ di agitazione.»

«C’è un’altra cosa, Rand» disse Elayne, e smise di deglutire. Luce, e lei che aveva pensato che questa sarebbe stata la parte semplice.

«Suppongo che io e Aviendha dovremmo parlare finché possiamo» si affrettò a dire Min, balzando giù dal tavolo. «Da qualche parte dove possiamo essere sole. Ti dispiace scusarci?»

Aviendha si alzò dal tappeto con grazia, lisciandosi le gonne. «Sì. Min Farshaw e io dobbiamo conoscerci meglio.» Rivolse a Min un’occhiata dubbiosa, aggiustandosi lo scialle, ma se ne andarono sottobraccio. Rand le guardò con aria cauta, come se sapesse che la loro uscita era stata pianificata. Un lupo messo alle strette. Ma quelle venature dorate le brillavano in testa.

«C’è qualcosa che loro hanno avuto da te e io no» cominciò Elayne e quasi si strozzò, un rossore le avvampava sul volto. Sangue e ceneri! Come affrontavano questa cosa le altre donne? Con attenzione esaminò nella sua testa il groviglio di sensazioni che era lui e quello che invece era Birgitte. Non c’era ancora nessun cambiamento nel secondo. Immaginò di avvolgerlo in un fazzoletto, di annodarlo per bene, e Birgitte svanì. C’era solo Rand. E quelle luccicanti venature dorate. Farfalle delle dimensioni di molossi sbattevano le ali nel suo stomaco. Deglutendo forte, tirò un lungo respiro. «Dovrai aiutarmi con i bottoni» disse in tono incerto. «Non riesco a togliermi questo vestito da sola.»

Le due guardie si riscossero quando Min uscì nel corridoio con la donna aiel e si misero dritte in un balzo quando si resero conto, mentre Min chiudeva la porta, che non stava uscendo nessun altro.

«I suoi gusti non possono essere tanto orrendi» borbottò sottovoce la donna robusta con gli occhi assonnati, le mani serrate sul suo lungo randello. Min pensò che quel commento non fosse per le orecchie di nessuno.

«Troppo coraggio e troppa innocenza» grugnì l’alta donna mascolina. «Il capitano generale ce lo aveva detto.» Mise una mano guantata sul chiavistello a testa di leone.

«Andate lì dentro ora e potrebbe scuoiare anche voi» disse Min allegramente. «L’avete mai vista in collera? Potrebbe far piangere un orso!»

Aviendha staccò il suo braccio da Min e mise distanza fra loro. Furono le guardie a essere oggetto della sua occhiataccia, però. «Dubitate che mia sorella non sia in grado di gestire un uomo solo? È una Aes Sedai, e ha il cuore di un leone. E voi siete vincolate da un giuramento a obbedirle! Potete seguirla dove vi conduce, non mettete il naso nei suoi affari.»

Le guardie si scambiarono una lunga occhiata. La donna più robusta si strinse nelle spalle. Quella esile fece una smorfia, ma tolse la mano dal chiavistello. «Sono vincolata da un giuramento a tenere in vita quella ragazza,» disse con voce dura «e intendo farlo. Ora voi bambine andate a giocare con le vostre bambole e lasciatemi fare il mio lavoro.»

Min meditò di estrarre un pugnale ed esibirsi in uno dei plateali volteggi sulle dita che Thom Merrilin le aveva insegnato. Giusto per mostrar loro chi era una bambina. La donna magra non era giovane, ma non c’era grigiore nei suoi capelli e pareva piuttosto forte. E veloce. Min voleva credere che parte della mole dell’altra donna fosse grasso, ma così non era. Non poteva vedere immagini o aure attorno ad alcuna di loro, ma nessuna delle due sembrava minimamente timorosa di fare quello che reputava necessario. Be’, almeno stavano lasciando in pace Elayne e Rand. Forse il coltello non era necessario.

Con la coda dell’occhio si accorse che la Aiel stava lasciando ricadere una mano con riluttanza dal proprio pugnale. Se quella donna non avesse smesso di rispecchiarla in ogni sua azione, avrebbe cominciato a pensare che in quel gioco di prestigio col Potere ci fosse altro di cui non era stata informata. Tuttavia, era cominciato prima del gioco di prestigio. Forse erano semplicemente simili. Un pensiero preoccupante. Luce, tutta questa storia su lui che sposava tutte e tre loro andava bene per parlare, ma quale avrebbe davvero sposato?

«Elayne è coraggiosa,» disse alle guardie «più coraggiosa di chiunque abbia mai incontrato. E non è stupida. Se iniziate col pensare che lo sia, presto i vostri rapporti con lei si guasteranno.» Loro la fissarono dalla superiorità di quindici o vent’anni di più, risolute, imperturbate e determinate. Fra un momento le avrebbero ripetuto di andare. «Be’, non possiamo star qui se abbiamo intenzione di parlare, non è vero, Aviendha?»

«No» sussurrò Aviendha con voce salda, guardando torva le guardie.

«Non possiamo star qui.»

Le guardie non diedero alcun segno di accorgersi del loro allontanamento. Avevano un lavoro da svolgere che non aveva nulla a che fare col sorvegliare le amiche di Elayne. Min sperò che lo svolgessero bene. Non è affatto stupida, pensò. Alle volte lascia che sia il coraggio a guidarla. Sperò che non stessero abbandonando Elayne ad agitarsi fra rovi da cui non poteva liberarsi. Procedendo lungo il corridoio, osservò la Aiel di traverso. Aviendha camminava a grandi falcate da lei, restandole il più lontano possibile pur rimanendo nello stesso corridoio. Non lanciando neanche un’occhiata in direzione di Min, tirò fuori dal suo borsello un braccialetto d’avorio con fitte incisioni e se lo fece scivolare sul polso sinistro con un sorrisetto soddisfatto. Pareva aver avuto la mosca al naso fin dall’inizio e Min non capiva perché. Si supponeva che gli Aiel fossero abituati al fatto che delle donne condividessero un uomo. Molto diverso da quello che poteva dire per sé. Lei lo amava tanto che era disposta a condividerlo e, se doveva, non c’era nessuno al mondo oltre a Elayne con cui avrebbe voluto farlo. Con lei non sembrava quasi condivisione. La Aiel era un’estranea, però. Elayne aveva detto che era importante che si conoscessero, ma come potevano se quella donna non le parlava?

Ma non trascorse troppo tempo a preoccuparsi di Elayne o di Aviendha. Quello che aveva in testa era troppo meraviglioso. Rand. Come una pallina che le diceva tutto di lui. Era stata certa che tutta quella faccenda non sarebbe riuscita, per lei almeno. Come sarebbe stato fare l’amore con lui, ora che lei sapeva tutto? Per la Luce! Certo, anche lui avrebbe saputo tutto di lei. Era decisamente incerta su come sentirsi riguardo a questo!

All’improvviso si rese conto che il groviglio di emozioni e sensazioni non era lo stesso di prima. C’era un... ruggito rosso... in esso, ora, come un incendio che imperversa attraverso una foresta di legno secco. Cosa poteva...? Per la Luce! Inciampò e riuscì a riacquistare l’equilibrio appena prima di cadere. Se avesse saputo che questa fornace, questa fame ardente era dentro di lui, avrebbe temuto di lasciare che la toccasse! D’altro canto... Poteva essere bello, sapendo che lei aveva acceso un tale inferno. Non vedeva l’ora di sperimentare se poteva produrre lo stesso effetto di... Incespicò di nuovo e stavolta dovette sorreggersi a un comò finemente intarsiato. Oh, Luce! Elayne! Il suo volto pareva una fornace. Era come sbirciare attraverso le tende del letto!

Si affrettò a tentare il trucco di cui Elayne le aveva parlato, immaginando quel grumo di emozioni racchiuso in un fazzoletto. Non accadde nulla. Tentò di nuovo in modo frenetico, ma il fuoco furibondo era ancora lì!

Doveva smettere di guardare, smettere di sentire. Qualunque cosa per distogliere la sua attenzione da lì! Qualunque! Forse se avesse cominciato a parlare.

«Avrebbe dovuto bere quel tè di cuordifoglia» farfugliò. Non diceva mai le cose che vedeva tranne a quelli che esse riguardavano, e solo se volevano sentirle, ma doveva dire qualcosa. «Rimarrà incinta per questo. Due bambini; un maschio e una femmina; entrambi sani e forti.»

«Lei vuole bambini da lui» borbottò la Aiel. I suoi occhi verdi erano fissi di fronte a sé; la sua mascella era serrata e il sudore le imperlava la fronte. «Io stessa non berrò il tè se...» Con un tremito, lanciò uno sguardo accigliato verso Min dall’altro lato del corridoio. «Mia sorella e le Sapienti mi hanno detto di te. Tu vedi davvero sulle persone cose che si avverano?»

«Talvolta vedo cose, e se so cosa significano, accadono» disse Min. Le loro voci, che avevano alzato per potersi sentire, vagavano per il corridoio. Servitori in livree rosse e bianche si voltarono per fissarle. Min si mosse verso il centro del corridoio. Avrebbe incontrato l’altra donna a metà strada, non oltre. Dopo un momento, Aviendha la raggiunse. Min si chiese se dirle o meno cosa aveva visto mentre erano tutti insieme. Anche Aviendha avrebbe avuto bambini da Rand. Quattro tutti insieme! C’era qualcosa di strano in quello, però. I bambini sarebbero stati sani, ma c’era comunque qualcosa di strano. E alla gente spesso non piaceva sentire il proprio futuro, perfino quando dicevano di volerlo. Desiderò che qualcuno potesse dirle se lei stessa avrebbe... Continuando a camminare in silenzio, Aviendha si deterse il sudore dal volto con le dita e deglutì. Anche Min dovette deglutire. Tutto ciò che Rand stava provando era in quel corridoio. Proprio tutto!

«Il trucco del fazzoletto non ha funzionato nemmeno per te?» disse in tono basso.

Aviendha sbatté le palpebre, e un rossore le rabbuiò il volto. Un attimo più tardi disse: «Va meglio. Grazie. Io... Con lui in testa mi ero dimenticata.» Si accigliò. «Per te non ha funzionato?»

Min scosse la testa con aria miserevole. Questo era indecente! «Parlare aiuta, però.» In qualche modo doveva diventare amica di questa donna, se tutta questa singolare faccenda doveva avere una speranza di funzionare.

«Mi spiace per quello che ho detto. Sul fatto di cianciare, intendo. Conosco un po’ delle vostre usanze. È solo che c’è qualcosa in quell’uomo che mi innervosisce. Non riesco a controllare la lingua. Ma non penso di aver intenzione di lasciare che tu mi colpisca o mi dia una ripassata. Forse ho toh, ma dovremo trovare qualche altro modo. Potrei sempre strigliarti il cavallo, quando abbiamo tempo.»

«Sei orgogliosa come mia sorella» borbottò Aviendha, accigliandosi. Cosa voleva dire con quello? «Anche tu hai un buon senso dell’umorismo.» Sembrava che stesse parlando fra sé. «Non ti comporti come una sciocca riguardo a Rand e Elayne come farebbe la maggior parte delle donne delle terre bagnate. E mi hai ricordato...» Con un sospiro, si gettò lo scialle sopra le spalle. «So dove trovare un po’ di oosquai. Se sei troppo ubriaca per pensare, allora...» Con lo sguardo fisso lungo il corridoio, si fermò di colpo. «No!» borbottò. «Non ancora!»

Una figura appena apparsa che si dirigeva verso di loro fece spalancare la mascella di Min. La costernazione scacciò Rand al di là della consapevolezza. Da alcuni commenti aveva appreso che il capitano generale delle guardie di Elayne era una donna, e la sua Custode, per di più, ma nient’altro. Questa donna aveva una spessa e intricata treccia dorata tirata su una spalla della sua giacca rossa corta e col colletto bianco, e i suoi voluminosi pantaloni blu erano infilati in stivali con tacchi alti quanto quelli di Min. Delle aure danzavano attorno a lei e tremolavano immagini, più di quante Min ne avesse mai viste attorno a chiunque: apparentemente migliaia, che precipitavano l’una sopra l’altra. La Custode di Elayne e capitano generale delle guardie della regina... tremolava... un poco, come se lei avesse bevuto l’ oosquai. I servitori che la notarono decisero che avevano dei lavori in sospeso in altre parti del palazzo, lasciando loro tre sole nel corridoio. Lei non sembrò vedere Min e Aviendha finché quasi non andò a sbattere contro di loro.

«L’hai dannatamente aiutata tu in questo, vero?» ringhiò, concentrando i suoi occhi azzurri cristallini su Aviendha. «Prima lei sparisce maledettamente dalla mia testa, e poi...» Tremò, poi riassunse visibilmente il controllo, ma anche allora stava respirando con affanno. Le sue gambe sembravano non volerla tenere dritta. Umettandosi le labbra, deglutì e proseguì in tono adirato. «Che sia folgorata, non riesco a concentrarmi abbastanza da scrollarmelo via! Lascia che te lo dica, se sta facendo quello che penso stia facendo, prenderò a calci il suo amichetto per tutto il dannato palazzo, poi darò a lei tante di quelle maledette scudisciate che non potrà sedersi per un mese — e a te con lei! — anche se per farlo dovrò trovare della radice biforcuta!»

«Mia sorella prima è una donna adulta, Birgitte Trahelion» disse Aviendha con ferocia. Malgrado il suo tono, le sue spalle erano incurvate e non incontrava mai lo sguardo dell’altra donna. «Devi smetterla di trattarci come bambine!»

«Il giorno in cui comincerà a comportarsi come una maledetta adulta, io comincerò a trattarla come tale, ma non ha alcun diritto di fare questo, non nella mia dannata testa, nossignore! Non nella mia...» All’improvviso Birgitte strabuzzò gli occhi azzurri e lucidi. La bocca della donna bionda si spalancò, e sarebbe caduta se Min e Aviendha non l’avessero afferrata, ciascuna per un braccio. Strizzando gli occhi, singhiozzò una sola volta e piagnucolò: «Due mesi!» Liberandosi di loro, si raddrizzò e fissò Aviendha con gli occhi azzurri limpidi come acqua e duri come ghiaccio. «Schermala per me e ti risparmierò la tua dose.» L’occhiataccia indignata e imbronciata di Aviendha scivolò appena su di lei.

«Tu sei Birgitte Arco d’Argento!» sussurrò Min. Ne era stata sicura anche prima che Aviendha dicesse il nome. Non c’era da meravigliarsi che la Aiel si stesse comportando come se temesse che quelle minacce sarebbero state messe in pratica lì e ora. Birgitte Arco d’Argento! «Ti ho vista a Falme!»

Birgitte ebbe un sussulto come se le avessero dato una pacca sul sedere, poi si guardò attorno in fretta. Appena si rese conto che erano sole, si rilassò un poco. Squadrò Min dall’alto in basso. «Qualunque cosa tu abbia visto, Arco d’Argento è morta» disse senza mezzi termini. «Sono Birgitte Trahelion, ora. Questo è tutto.» Le sue labbra si contrassero in una smorfia sarcastica per un momento. «La dannata lady Birgitte Trahelion, prego. Penso che bacerei una pecora per il Giorno delle Madri, se potessi fare qualcosa al riguardo. E chi saresti tu che te ne vai in giro come se fossi a casa tua? Mostri sempre le tue gambe come un dannata danzatrice di piume?»

«Sono Min Farshaw» replicò brusca. Questa era Birgitte Arco d’Argento, eroina di un centinaio di leggende? Questa donna era sboccata! E cosa significava che Arco d’Argento era morta? Quella donna era proprio in piedi di fronte a lei! Inoltre, quelle moltitudini di immagini e aure balenavano fin troppo velocemente perché lei riuscisse a distinguerne qualcuna chiaramente, ma era certa che indicavano più avventure di quante una donna potesse avere in una vita intera. Stranamente, alcune erano connesse con un uomo orrendo che era più vecchio di lei, e altre con un uomo orrendo che era molto più giovane, tuttavia in qualche modo Min sapeva che si trattava dello stesso uomo. Leggenda o no, quell’aria di superiorità non faceva che irritarla. «Elayne, Aviendha e io abbiamo appena legato un Custode» disse senza pensare. «E se Elayne sta festeggiando un po’, be’ farai meglio a pensarci due volte prima di precipitarti dentro, o sarai tu quella che dovrà sedersi sui cuscini.»

Questo fu sufficiente per farla tornare consapevole di Rand. La fornace furibonda era ancora lì, per nulla diminuita, ma grazie alla Luce non stava più... Il sangue le irrorò le guance. Lui aveva giaciuto spesso fra le sue braccia, riprendendo fiato nel groviglio del loro amplesso, ma questo sembrava quasi uno spiare!

«Lui?» disse piano Birgitte. «Per il latte acido di mia madre! Avrebbe potuto innamorarsi di un tagliagole o di un ladro di cavalli, ma no... doveva scegliere lui, quella sciocca. Da quello che ho visto di lui nel luogo che hai menzionato, quell’uomo è troppo bello da andar bene per qualunque donna. In ogni caso, deve smetterla.»

«Non hai alcun diritto!» insistette Aviendha imbronciata, e Birgitte assunse uno sguardo condiscendente. Una pazienza forzata, ma pur sempre pazienza.

«Può essere decorosa come una fanciulla talmouri finché non si tratta di mettere la testa sul ceppo del boia, ma penso che troverà il coraggio per metterlo alla prova di nuovo, e se farà qualunque cosa abbia fatto, si dimenticherà di qualsiasi cosa e tornerà nella mia testa. Ma io non sopporterò di nuovo tutto questo!» Si raddrizzò, chiaramente pronta a dirigersi ad affrontare Elayne.

«Vedilo come un bello scherzo» disse Aviendha in tono supplichevole. Supplichevole! «Ti ha giocato un bello scherzo, tutto qua.» Una smorfia del labbro di Birgitte dimostrò quello che ne pensava.

«C’è un trucchetto di cui mi ha parlato Elayne» si affrettò a dire Min, afferrando Birgitte per la manica. «Non ha funzionato per me, ma forse...»

Sfortunatamente, una volta che l’avesse spiegato...

«È ancora lì» disse Birgitte cupa dopo un momento. «Levati dalla mia strada, Min Farshaw» disse, liberando il braccio «oppure...»

« Oosquai!» la voce di Aviendha si levò disperatamente e lei si stava davvero torcendo le mani! «So dove trovare dell’ oosquai! Se sei ubriaca... Per favore, Birgitte! Mi impegno a obbedirti, come un’apprendista con la maestra, ma per favore non interromperla! Non umiliarla così!»

« Oosquai?» meditò Birgitte, sfregandosi la mascella. «È simile al brandy? Hmmm. Penso che la ragazza stia arrossendo! È davvero pudica il più delle volte, sapete. Uno scherzo, dite?» All’improvviso sorrise e allargò le braccia in un gesto espansivo. «Portami dove si trova questo tuo oosquai, Aviendha. Non so voi due, ma io intendo ubriacarmi abbastanza da... be’, da togliermi i vestiti e ballare sul tavolo. E non un goccio di più.»

Min non capì affatto cosa intendeva, o perché Aviendha fissò Birgitte e all’improvviso cominciò a ridere per il fatto che si trattava di ‘uno scherzo stupendo’ ma era sicura di sapere perché Elayne stava arrossendo, se lo stava facendo davvero. Quel grumo pesante di sensazioni nella sua testa era di nuovo un incendio furibondo.

«Potremmo andare a trovare quell’ oosquai, ora?» disse. «Voglio ubriacarmi come un topo affogato, e in fretta!»

Quando Elayne si svegliò il mattino successivo, la camera da letto era gelata, una neve leggera stava cadendo su Caemlyn, e Rand se n’era andato. Ma non dalla sua testa. Sarebbe bastato. Sorrise, un sorriso lento. Per ora, sarebbe bastato. Stiracchiandosi languidamente sotto le coperte, si ricordò del suo abbandono della notte prima — e anche di buona parte del giorno! Quasi non riusciva a credere che si fosse trattato di lei! — e pensò che sarebbe dovuta arrossire come il sole! Ma voleva abbandonarsi con Rand, e pensò che non sarebbe mai più arrossita, non per qualcosa che lo riguardava.

Meglio ancora, le aveva lasciato un regalo. Sul cuscino accanto a lei quando si era svegliata giaceva un giglio dorato in fiore, la fresca rugiada sui petali rigogliosi. Dove fosse riuscito a trovare una cosa del genere nel mezzo dell’inverno, lei non riusciva neanche a immaginarlo. Ma intessé una Conservazione attorno a esso e lo appoggiò su un comodino dove l’avrebbe visto ogni mattina appena sveglia. Aveva appreso quel flusso da Moghedien, ma avrebbe mantenuto il fiore fresco per sempre e le gocce di rugiada non sarebbero mai evaporate: ricordo costante dell’uomo che le aveva dato il suo cuore.

La sua mattinata fu occupata dalla notizia che Alivia era scomparsa durante la notte, una faccenda seria che mise la Famiglia in subbuglio. Fu solo dopo che Zaida apparve in uno stato di agitazione poiché Nynaeve non si era recata a una lezione con gli Atha’an Miere; e sempre quella mattina Elayne apprese anche che Nynaeve e Lan erano spariti dal palazzo, e nessuno sapeva come o quando. Non passò molto tempo prima che venisse a sapere che, dalla collezione di angreal e ter’angreal che aveva portato via da Ebou Dar, mancava il più potente dei tre angreal, nonché diversi altri oggetti. Alcuni di quelli, era certa, erano fatti per una donna che si aspettava di essere attaccata in qualunque momento con l’Unico Potere. Il che rese la nota scribacchiata da Nynaeve, che lei aveva lasciato nascosta, ancor più allarmante.

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