Robert Jordan Il cuore dell’inverno

I sigilli che trattengono la notte si indeboliranno, e nel profondo dell’inverno il cuore dell’inverno nascerà fra i gemiti di lamento e il digrignar di denti, poiché il cuore dell’inverno cavalcherà un nero destriero. Il suo nome è morte.

Il ciclo Karaethon:

Le Profezie del Drago

Prologo Neve

Tre lanterne proiettavano una luce tremolante, più che sufficiente a illuminare la stanzetta dalle pareti e dal soffitto bianchi e spogli, ma Seaine teneva gli occhi fissi sulla pesante porta di legno. Illogico, lo sapeva; assurdo, per un’Adunante delle Bianche. Il flusso di saidar che aveva avvolto attorno allo stipite le portava occasionali echi di passi lontani nel labirinto di corridoi al di fuori, sussurri che svanivano non appena li udiva. Un semplice trucchetto, appreso da un’amica nei suoi lontani giorni di noviziato, ma se qualcuno si fosse avvicinato sarebbe stata avvertita con largo anticipo. Comunque, poche persone si spingevano tanto giù, fino al secondo livello sotterraneo.

Il flusso intercettò un distante squittio di ratti. Luce! Da quanto tempo non c’erano ratti a Tar Valon, specialmente nella Torre? Alcuni di essi erano forse spie del Tenebroso? Si umettò le labbra, a disagio. La logica non contava nulla in questo caso. Vero. Seppur illogico. Voleva ridere. Con uno sforzo si ritrasse dall’orlo dell’isteria. Doveva pensare a qualcosa di diverso dai ratti. Qualcosa di diverso dai... Uno strillo soffocato proruppe nella stanza dietro di lei, poi si ridusse a un muto piagnucolio. Cercò di tapparsi le orecchie. Doveva concentrarsi!

In un certo senso, lei e le sue compagne si erano ritrovate in questa stanza poiché le donne a capo delle Ajah sembravano incontrarsi in segreto. Lei stessa aveva scorto Ferane Neheran che confabulava in un angolo appartato della biblioteca con Jesse Bilal, che godeva di una reputazione molto elevata fra le Marroni, se non la più elevata. Pensava che fosse più sulle sue nei confronti di Suana Dagrand, delle Gialle. Così pensava. Ma allora perché Ferane era andata a passeggiare insieme a Suana, entrambe avvolte in semplici mantelli, in una parte recondita dei terreni della Torre?

Adunanti delle diverse Ajah si parlavano anche apertamente, seppur in modo freddo. Le altre avevano notato cose simili; non avrebbero fatto nomi di appartenenti alla loro Ajah, ovviamente, ma due avevano menzionato Ferane. Un mistero preoccupante. La Torre era una palude brulicante in questi giorni, ogni Ajah pronta a balzare alla gola dell’altra, e nonostante ciò i capi si incontravano negli angoli. Nessuna che non appartenesse a una certa Ajah sapeva con certezza chi la guidasse, ma apparentemente i capi si conoscevano fra loro. Cosa stavano progettando? Cosa? Sfortunatamente non poteva chiederlo a Ferane, ma anche se Ferane avesse tollerato le domande di chicchessia, lei non osava. Non ora. Per quanto si concentrasse, Seaine non riusciva a focalizzarsi sul problema. Sapeva che stava fissando la porta e si stava preoccupando di enigmi che non poteva risolvere solo per evitare di guardare alle sue spalle. Verso l’origine di quei gemiti soffocati e singhiozzanti lamenti. Come se il solo pensare a quei suoni la costringesse, si voltò lentamente a guardare le sue compagne, il suo respiro sempre più irregolare mentre la testa le girava piano. La neve stava cadendo fitta su Tar Valon, molto più in alto, ma la stanza pareva incomprensibilmente calda. Si costrinse a guardare!

Con lo scialle dalla frangia marrone avvolto attorno alle braccia, Saerin se ne stava ritta, i piedi distanziati, giocherellando con l’elsa del pugnale ricurvo altarano infilato nella sua cintura. Una fredda rabbia scuriva la sua carnagione olivastra tanto che la cicatrice sulla mascella risaltava pallida. Pevara appariva più calma, a prima vista, tuttavia con una mano stringeva saldamente le sue gonne ricamate di rosso e con l’altra teneva il liscio cilindro bianco del bastone dei giuramenti come un corto randello che era pronta a usare. Poteva esserlo per davvero; Pevara era molto più dura di quanto il suo rigido aspetto esteriore suggerisse, e talmente determinata che a paragone Saerin sembrava una scansafatiche.

Dall’altro lato della Sedia del Rimorso, la minuta Yukiri teneva le braccia cinte attorno al proprio corpo; la lunga frangia grigio-argentea del suo scialle tremava a ogni suo brivido. Umettandosi le labbra, Yukiri gettò un’occhiata preoccupata alla donna che le stava accanto. Doesine, più simile a un bel ragazzo che a una Sorella Gialla di considerevole reputazione, non lasciava trasparire alcuna reazione davanti a ciò che stavano facendo. Era lei che di fatto manipolava i flussi che si estendevano fin nella Sedia e fissava il ter’angreal, concentrandosi così forte sul suo compito che il sudore imperlava la sua pallida fronte. Erano tutte Adunanti, inclusa la donna alta che si stava contorcendo sulla Sedia.

Il sudore inzuppava Talene, le scompigliava la chioma dorata, la infradiciava la sottoveste di lino appiccicandogliela addosso. Il resto dei suoi vestiti era ammassato in un mucchio in un angolo. Le sue palpebre chiuse vibravano, mentre emetteva una serie continua di lamenti strozzati e piagnucolanti suppliche appena sussurrate. Seaine si sentiva male, ma non riusciva a distogliere lo sguardo. Talene era un’amica. Era stata un’amica. Nonostante il suo nome, il ter’angreal non assomigliava per niente a una sedia, ma era solo un grosso blocco rettangolare grigio marmoreo. Nessuno sapeva di cosa fosse fatto, ma il materiale era duro come l’acciaio ovunque eccetto nella parte superiore inclinata. La statuaria Verde vi affondava un poco, e in qualche modo quella parte si modellava attorno a lei comunque si contorcesse. I flussi di Doesine scorrevano all’interno dell’unica incrinatura della Sedia, un foro rettangolare su un lato, delle dimensioni di un palmo e con delle minuscole tacche disposte intorno a esso in modo irregolare. Quando venivano presi dei criminali a Tar Valon, venivano portati quaggiù per provare la Sedia del Rimorso e sperimentare alcune conseguenze dei propri crimini, selezionate con cura. Appena rilasciati, fuggivano immancabilmente dall’isola. C’era davvero poca criminalità a Tar Valon. In preda alla nausea, Seaine si chiese se questo era l’uso che veniva fatto della Sedia nell’Epoca Leggendaria.

«Cosa sta... vedendo?» Si lasciò sfuggire la domanda con un sussurro. Talene non stava solamente vedendo; per lei tutto quello era reale. Grazie alla Luce non aveva un Custode, quasi inconcepibile per una Verde. Aveva affermato che un’Adunante non ne aveva bisogno. Ora avrebbe avuto diverse ragioni.

«Quei maledetti Trolloc la stanno dannatamente frustando» disse Doesine con voce roca. Ogni tanto qualcosa della sua lingua madre Cairhien appariva nella sua voce, cosa che accadeva di rado, solo quando era sotto pressione. «Quando avranno finito... Può già vedere il cuoco dei Trolloc che sta facendo bollire il pentolone sul fuoco, e un Myrddraal che la sta guardando. Sa che dopo ci sarà l’uno o l’altro. Che io sia dannata, se non si spezza questa volta...» Doesine, irritata, si deterse il sudore dalla fronte e cominciò a respirare in maniera irregolare. «Piantatela di infastidirmi. È da parecchio che non faccio una cosa del genere.»

«Già tre volte» mormorò Yukiri. «Perfino i più forti vengono spezzati dalla loro stessa colpa, per lo meno dopo due volte! E se fosse innocente?

Luce, questo è come rubare le pecore mentre il pastore sta guardando!»

Seppur tremante, riusciva ad apparire regale, ma le sue parole suonavano sempre come ciò che era stata: una popolana. Si guardò intorno truce, rivolgendosi a ognuna di loro. «La legge proibisce di usare la Sedia sulle iniziate. Verremo tutte destituite! E se essere escluse dal Consiglio non è sufficiente, probabilmente verremo esiliate. E fustigate prima di essere allontanate, per aggiungere al danno la beffa! Dannazione, se abbiamo torto, potremmo essere quietate!»

Seaine rabbrividì. Avrebbero evitato quell’ultima parte, se i loro sospetti si fossero rivelati corretti. No, non sospetti, certezze. Dovevano esserlo!

Ma anche in tal caso, Yukiri aveva ragione riguardo al resto. La legge della Torre di rado teneva conto della necessità o di qualsiasi presunto bene superiore. Se avevano ragione, però, era un prezzo che valeva la pena pagare. Pregò che la Luce facesse sì che avessero ragione!

«Sei cieca e sorda?» sbottò Pevara, scuotendo il bastone dei giuramenti davanti a Yukiri. «Si è rifiutata di pronunciare di nuovo il Giuramento di non proferire mai parole non vere, e deve trattarsi di qualcosa di più dello stupido orgoglio dell’Ajah Verde, dopotutto quello che avevamo già fatto. Quando l’ho schermata, ha tentato di pugnalarmi! Questo grida forse innocenza, eh? A quanto ne sapeva lei, noi volevamo solo parlarle finché non ci si fossero seccate le lingue! Per quale ragione avrebbe dovuto aspettarsi altro?»

«Grazie a entrambe» intervenne Saerin secca «per aver affermato l’ovvio. È troppo tardi per tornare indietro, Yukiri, perciò faremmo meglio ad andare avanti. E se fossi in te, Pevara, non mi metterei a inveire contro una delle uniche quattro donne nella Torre di cui so di potermi fidare.»

Yukiri arrossì e si riaggiustò lo scialle, e Pevara sembrò un po’ imbarazzata. Solo un po’. Potevano pure essere tutte Adunanti, ma Saerin aveva chiaramente assunto il controllo. Seaine non era certa di come sentirsi al riguardo. Poche ore prima, lei e Pevara erano state due vecchie amiche sole in una missione pericolosa, alla pari, e che concordavano insieme le decisioni; ora avevano delle alleate. Avrebbe dovuto essere riconoscente per il fatto di avere altre compagne. Non erano nel Consiglio, però, e non potevano vantare diritti da Adunanti in questa faccenda. Erano subentrate le gerarchie della Torre, tutte le distinzioni sottili e meno sottili su chi stava dove rispetto a chi. Per la verità, Saerin era stata novizia e Ammessa per un tempo doppio rispetto alla maggior parte di loro, ma quarant’anni come Adunante — più a lungo di chiunque altra nel Consiglio — avevano un grosso peso. Seaine non si aspettava certo che Saerin chiedesse la sua opinione, e tanto meno il suo parere, prima di prendere una qualunque decisione. Assurdo, tuttavia solo saperlo era fastidioso come una spina nel piede.

«I Trolloc la stanno trascinando verso il pentolone» disse Doesine all’improvviso, con voce aspra. Un acuto lamento sfuggì fra i denti stretti di Talene; tremava fin quasi a vibrare. «I-io... non so se posso... posso dannatamente riuscire a...»

«Risvegliala» ordinò Saerin rivolgendo un semplice sguardo a ognuna di loro per osservarne le reazioni. «Leva quel broncio, Yukiri, e stai pronta.»

La Grigia le rivolse un’occhiata furiosa piena d’orgoglio, ma quando Doesine lasciò che i flussi si dissipassero e gli occhi azzurri di Talene sbatterono e si aprirono, il luccichio di saidar circondò Yukiri e lei schermò la donna distesa sulla Sedia senza proferire una parola. Al comando c’era Saerin, ognuna lo sapeva: era così e basta. Una spina davvero affilata. Lo schermo non sembrava neanche necessario. Talene tremolava e ansimava come se avesse corso per dieci miglia alla massima velocità, il suo volto era una maschera di terrore. Affondava ancora nella superficie molle, ma senza Doesine a incanalare, la Sedia non si modellava più attorno a lei. Talene fissò il soffitto con occhi gonfi, poi li chiuse di colpo, per riaprirli di nuovo. Qualsiasi fossero i ricordi dietro le sue palpebre, erano qualcosa che non voleva affrontare.

Accostandosi alla Sedia con due falcate, Pevara mise bruscamente il bastone dei giuramenti di fronte alla donna sconvolta. «Rinuncia a tutti i giuramenti che ti legano e pronuncia nuovamente i Tre Giuramenti, Talene» disse con durezza. Talene si ritrasse dal bastone come se fosse un serpente velenoso, poi sobbalzò dall’altra parte quando Saerin si chinò su di lei.

«La prossima volta, Talene, ti aspetta il pentolone. O le tenere attenzioni del Myrddraal.» Il volto di Saerin era implacabile, ma il suo tono lo faceva sembrare dolce, a paragone. «Non ti risveglierai prima. E se non basta, ci sarà un’altra volta, e un’altra ancora: tutte quelle che ci vogliono anche se dovessimo rimanere quaggiù fino all’estate.» Doesine aprì la bocca in atteggiamento di protesta prima di lasciar perdere con una smorfia. Solo lei fra loro sapeva come far funzionare la Sedia, ma in questo gruppo contava poco come Seaine.

Talene continuava a fissare Saerin. Le lacrime colmavano i suoi grandi occhi, e cominciò a piangere, grossi singhiozzi disperati che la scuotevano. Alla cieca allungò la mano, cercando a tentoni finché Pevara non le ficcò in mano il bastone dei giuramenti. Abbracciando la Fonte, Pevara incanalò un filamento di Spirito verso il bastone. Talene strinse lo spesso bastone così forte che le sue nocche divennero bianche, eppure se ne rimase lì distesa a singhiozzare. Poi Saerin si raddrizzò. «Temo che sia ora di rimetterla a dormire, Doesine.»

Le lacrime di Talene raddoppiarono, ma balbettò attraverso di esse. «Io... rinuncio... a tutti i giuramenti... che mi legano.» Pronunciata l’ultima parola, proruppe in un urlo.

Seaine sobbalzò, poi deglutì amaramente. Conosceva sulla sua pelle il dolore di rimuovere un singolo giuramento e aveva meditato su che agonia fosse rimuoverne più di uno alla volta, ma ora la realtà era di fronte a lei. Talene urlò finché non le rimase più fiato, poi inspirò ancora solo per gridare nuovamente, tanto che Seaine quasi si aspettava che della gente sarebbe accorsa dalla stessa Torre. L’alta Verde si contorceva, dimenando braccia e gambe tutt’intorno, poi all’improvviso si arcuò, al punto che solo i talloni e la testa toccavano la grigia superficie, ogni muscolo contratto, il suo intero corpo in preda a spasmi incontrollati.

Così bruscamente com’era iniziata la crisi, Talene crollò come senza nerbo e giacque lì piangendo come un bimbo sperduto. Il bastone dei giuramenti rotolò dalla sua mano inerte giù per la grigia superficie inclinata. Yukiri mormorò qualcosa col tono di una fervida preghiera. Doesine continuava a sussurrare «Luce!» in continuazione con voce tremante. «Luce!

Luce!»

Pevara raccolse il bastone e richiuse nuovamente le dita di Talene attorno a questo. Non c’era pietà nell’amica di Seaine, non in questa circostanza. «E adesso pronuncia i Tre Giuramenti» intimò. Per un istante sembrò che Talene potesse rifiutarsi, ma lentamente ripeté i giuramenti che le rendevano tutte Aes Sedai e le tenevano insieme. Non proferire parola che non sia vera. Non costruire un’arma che consenta a un uomo di ucciderne un altro. Non usare mai l’Unico Potere come un’arma, tranne che per difendere la propria vita, quella del proprio Custode o di un’altra Sorella. Alla fine, cominciò a piangere in silenzio, tremando senza emettere alcun suono. Forse erano i giuramenti che le si stringevano addosso. Appena formulati erano sgradevoli. Forse. Poi Pevara le comunicò l’altro giuramento che le veniva richiesto. Talene trasalì, ma mormorò le parole in tono disperato. «Giuro di obbedire a tutte voi cinque completamente.» A parte ciò, non fece altro che tenere lo sguardo indolente di fronte a sé, mentre le lacrime le colavano lungo le guance.

«Rispondimi in modo veritiero» le disse Saerin. «Sei un membro dell’Ajah Nera?»

«Lo sono.» Le parole scricchiolarono, come se la gola di Talene fosse arrugginita.

Le semplici parole gelarono Seaine in un modo che non si sarebbe mai aspettata. Era stata incaricata di dare la caccia all’Ajah Nera, dopotutto, e credeva nell’esistenza della sua preda, a differenza di molte altre Sorelle. Aveva messo le mani su un’altra Sorella, un’Adunante, aveva contribuito a trascinare Talene lungo i corridoi deserti dei sotterranei avvolta in flussi di Aria, aveva infranto una dozzina di leggi della Torre, commesso crimini seri, e tutto per udire una risposta di cui era stata quasi certa prima che la domanda fosse formulata. Ora l’aveva sentita. L’Ajah Nera esisteva davvero. Stava fissando una Sorella Nera, un Amico delle Tenebre che indossava lo scialle. E credere non era altro che una pallida ombra rispetto all’essere nella realtà. Era solo la mascella serrata quasi da far male a impedirle di battere i denti. Si ricompose a fatica, per pensare in modo razionale. Ma gli incubi erano reali e vagavano liberi per la Torre.

Qualcuno sospirò pesantemente, e Seaine si rese conto di non essere l’unica a scoprire che il proprio mondo si era completamente ribaltato. Yukiri si riscosse, poi fissò gli occhi su Talene, come determinata a mantenere lo schermo su di lei con la sola forza di volontà, se fosse stato necessario. Doesine si umettava le labbra e lisciava le sue scure gonne dorate con fare perplesso. Solo Saerin e Pevara sembravano a loro agio.

«Dunque...» cominciò Saerin calma. Forse ‘piano’ era una parola più appropriata. «Dunque. Ajah Nera...» Trasse un profondo respiro e il suo tono divenne energico. «Non ce n’è più bisogno, Yukiri. Talene, tu non tenterai di scappare o di resistere in alcun modo. Non proverai neanche a toccare la Fonte senza il permesso di una di noi. Anche se suppongo che qualcun altro se ne occuperà una volta che ti avremo consegnata. Yukiri?» Lo schermo su Talene si dissipò, ma il luccichio rimase attorno a Yukiri, come se non si fidasse degli effetti del bastone su una Sorella Nera. Pevara si accigliò. «Prima di consegnarla a Elaida, Saerin, voglio scoprire il più possibile. Nomi, luoghi, qualunque cosa. Ogni cosa che sa!» Gli Amici delle Tenebre avevano ucciso l’intera famiglia di Pevara, e Seaine era sicura che sarebbe andata in esilio pronta a dare la caccia personalmente fino all’ultima Sorella Nera. Ancora rannicchiata sulla Sedia, Talene emise un suono, tra il riso amaro e il pianto. «Quando lo farete, saremo tutte morte! Morte! Elaida è dell’Ajah Nera!»

«Questo è impossibile!» esclamò Seaine. «È stata Elaida stessa a darmi l’ordine.»

«Deve esserlo» Doesine sussurrò a mezza bocca. «Talene ha pronunciato di nuovo i giuramenti; l’ha appena nominata!» Yukiri annuì con veemenza.

«Usate la testa» brontolò Pevara, scuotendo la sua per il disgusto. «Siete consapevoli quanto me che se si crede in una menzogna, la si può dire come una verità.»

«E questa è una verità» disse Saerin con fermezza. «Quali prove hai, Talene? Hai visto Elaida ai vostri... incontri?» Stringeva l’elsa del suo coltello così forte che le nocche le erano diventate pallide. Saerin aveva dovuto combattere più duramente di molte altre per lo scialle, per lo stesso diritto di rimanere nella Torre. Per lei, la Torre era più di una casa, era più importante della sua stessa vita. Se Talene avesse dato la risposta sbagliata, Elaida avrebbe potuto non riuscire a vivere tanto da affrontare un processo.

«Non hanno incontri» mormorò cupa Talene. «Eccetto il Consiglio Supremo, suppongo. Ma deve esserlo. Essi conoscono ogni rapporto che lei riceve, perfino quelli segreti, ogni parola che le viene detta. Conoscono ogni decisione che prende prima ancora che venga annunciata. Giorni prima; talvolta settimane. Come potrebbero, a meno che non sia lei a dirglielo?» Mettendosi a sedere con uno sforzo, cercò di fissarle una a una con uno sguardo deciso. Ma fece solo sembrare che i suoi occhi scattassero in preda all’ansia. «Dobbiamo fuggire, dobbiamo trovare un posto in cui nasconderci. Vi aiuterò... vi dirò tutto ciò che so! Ma se non fuggiamo ci uccideranno.»

Strano, pensò Seaine, quanto in fretta per Talene i suoi ex amici fossero diventati ‘loro’ e lei avesse cercato di identificarsi con i restanti. No. Stava evitando il vero problema, ed evitarlo era stupido. Elaida l’aveva davvero incaricata di dare la caccia all’Ajah Nera? In effetti non ne aveva mai menzionato il nome. Aveva forse inteso qualcos’altro? Elaida era sempre balzata alla gola di chiunque avesse soltanto fatto riferimento alla Nera. Quasi ogni Sorella avrebbe fatto lo stesso, eppure...

«Elaida si è rivelata una sciocca,» disse Saerin «e più di una volta mi sono rammaricata di averla sostenuta, ma non crederò che sia della Nera, non senza altre prove.» Le labbra serrate, Pevara scattò in un cenno d’assenso. Come Rossa, avrebbe preteso molto di più.

«Questo è comprensibile, Saerin,» disse Yukiri «ma non possiamo trattenere Talene a lungo prima che l’Ajah Verde cominci a chiedere dove si trova. Per non parlare della... Nera. Faremo meglio a decidere in fretta il da farsi, o staremo ancora scavando sul fondo del pozzo quando le piogge cominceranno a battere.» Talene rivolse a Saerin un flebile sorriso, probabilmente per ingraziarsela. Si spense di fronte al cipiglio dell’Adunante Marrone.

«Non ci azzarderemo a dirlo a Elaida fino a che non potremo infliggere un duro colpo alla Nera» disse Saerin infine. «Non discutere, Pevara; è sensato.» Pevara sollevò le mani e assunse un’espressione ostinata, ma tenne la bocca chiusa. «Se Talene ha ragione,» continuò Saerin «la Nera sa già di Seaine o lo saprà presto, perciò dobbiamo garantire la sua sicurezza al meglio delle nostre possibilità. Non sarà facile, essendo solo in cinque. Non possiamo fidarci di nessuno finché non siamo assolutamente certe!

Per lo meno abbiamo Talene, e chissà cosa apprenderemo prima di averla strizzata per bene.» Talene cercò di sembrare disposta a essere strizzata, ma nessuna le stava prestando la minima attenzione. La gola di Seaine era ormai secca.

«Potremmo non essere del tutto sole» disse Pevara riluttante. «Seaine, di’ loro del tuo piccolo piano con Zerah e le sue amiche.»

«Piano?» disse Saerin. «Chi è Zerah? Seaine? Seaine!» Seaine sobbalzò.

«Cosa? Oh. Pevara e io abbiamo scoperto un piccolo covo di ribelli qui nella Torre» cominciò in modo affannato. «Dieci Sorelle mandate per diffondere dissenso.» Saerin avrebbe fatto in modo che fosse al sicuro, vero?

Non c’era neanche da chiederlo. Anche lei era un’Adunante; era Aes Sedai da quasi centocinquant’anni. Che diritto aveva Saerin o chiunque altro per...? «Pevara e io abbiamo cominciato a porre fine a tutto questo. Abbiamo già costretto una di loro, Zerah Dacan, a formulare lo stesso giuramento aggiuntivo di Talene, e le abbiamo già detto di portare Bernaile Gelbarn nelle mie stanze questo pomeriggio senza destare i suoi sospetti.»

Luce, qualunque Sorella fuori da questa stanza potrebbe essere della Nera. Qualunque Sorella. «Poi useremo quelle due per portarne un’altra, finché tutte quanto non avranno giurato obbedienza. Ovviamente, porremo a tutte la stessa domanda che abbiamo fatto a Zerah, la stessa che abbiamo fatto a Talene.» L’Ajah Nera poteva avere già il suo nome, poteva già sapere che era stata inviata a dar loro la caccia. Come avrebbe potuto Saerin mantenerla al sicuro? «Coloro che danno la risposta sbagliata possono essere interrogate, e coloro che danno quella corretta possono espiare in parte la loro slealtà dando la caccia alla Nera sotto la nostra guida.» Luce, come?

Quando ebbe terminato, le altre discussero la questione per un po’, il che poteva solo significare che Saerin era incerta sulla decisione da prendere. Yukiri insisteva nel consegnare immediatamente Zerah e le sue alleate alle autorità — se poteva essere fatto senza rivelare la loro stessa situazione con Talene. Pevara era dell’opinione che bisognasse usare le ribelli, anche se a malincuore; il dissenso che stavano diffondendo era incentrato su ignobili storie che riguardavano l’Ajah Rossa e falsi Draghi. Doesine sembrava suggerire che dovessero rapire ogni Sorella nella Torre e le dovessero costringere tutte a formulare il giuramento aggiuntivo, ma le altre tre le prestavano scarsa attenzione. Seaine non partecipò alla discussione. La sua reazione alla loro situazione fu l’unica possibile, pensò. Barcollò fino all’angolo più vicino e vomitò rumorosamente.

Elayne cercò di non digrignare i denti. Fuori, un’altra tormenta imperversava su Caemlyn, oscurando il cielo di mezzogiorno tanto che le lampade lungo le pareti del soggiorno erano tutte accese. Violente raffiche sbatacchiavano i battenti delle alte finestre ad arco. Lampi di fulmini illuminavano i vetri limpidi e i tuoni rimbombavano sordi in cielo: una bufera di neve, la peggior specie di tormenta invernale, la più violenta. La stanza non era proprio fredda, ma... Mentre distendeva le mani davanti ai ciocchi che scoppiettavano nell’ampio caminetto di marmo, poteva ancora sentire un brivido levarsi attraverso lo strato di tappeti sul pavimento a piastrelle, e anche attraverso le sue scarpette di velluto. L’ampio colletto e i polsini di pelliccia nera di volpe sulla sua camicia da notte bianca e rossa erano graziosi, ma certo non contribuivano a riscaldarla più delle perline sulle maniche. Impedire di lasciarsi toccare dal freddo non voleva dire che non lo percepisse.

Dov’era Nynaeve? E Vandene? I suoi pensieri erano confusi come il tempo. Dovrebbero essere già qui! Luce! Vorrei imparare a poter far a meno di dormire, e loro se la prendono comoda! No, questo era ingiusto. La sua rivendicazione formale del Trono del Leone risaliva solo a pochi giorni prima, e per lei tutto il resto per ora veniva in secondo piano. Nynaeve e Vandene avevano altre priorità, altre responsabilità, come loro le consideravano. Nynaeve era impegnatissima nell’organizzare insieme a Reatine e al resto del Circolo della Maglia come far fuggire di nascosto le donne della Famiglia dalle terre controllate dai Seanchan prima che venissero scoperte e che fosse messo loro il collare. Le donne della Famiglia sapevano come non ostentare troppo, ma i Seanchan non le avrebbero liquidate come semplici selvatiche come avevano sempre fatto le Aes Sedai. Presumibilmente, Vandene era ancora scossa per l’omicidio della sorella: mangiava appena e a stento era in grado di dare consigli di qualunque genere. Anche se mangiava poco, ciò che la stava davvero consumando era il desiderio di trovare l’assassino. Mentre apparentemente si aggirava per i corridoi a strani orari in preda alla sofferenza, in realtà stava dando in segreto la caccia agli Amici delle Tenebre. Tre giorni prima, quel solo pensiero sarebbe bastato a far rabbrividire Elayne; ora era un pericolo fra tanti. Era un pensiero più forte degli altri, in effetti, perché ne aveva molti. Erano impegnate in compiti importanti, con l’approvazione e l’incoraggiamento di Egwene; nonostante ciò desiderava che si sbrigassero, per quanto sembrasse egoista. Vandene era prodiga di buoni consigli, grazie a lunghi studi ed esperienze, e gli anni passati da Nynaeve a trattare col Consiglio del Villaggio e la Cerchia delle Donne a Emond’s Field le avevano conferito una certa scaltrezza nelle faccende politiche, per quanto lei lo negasse. Che io sia dannata, ho un centinaio di problemi, alcuni proprio qui a palazzo, e ho bisogno di loro! Se avesse potuto fare a modo suo, Nynaeve al’Meara sarebbe stata l’Aes Sedai consigliera della prossima regina dell’Andor. Le serviva tutto l’aiuto che riusciva a trovare — e di cui poteva fidarsi. Lisciandosi il viso, voltò le spalle al caldo focolare. Tredici sedie alte, intarsiate in modo semplice ma squisito, formavano un ferro di cavallo di fronte al caminetto. Paradossalmente il posto d’onore, dove la regina sedeva quando riceveva in quel luogo, si trovava più distante dal calore del fuoco. Proprio così. La sua schiena cominciò a riscaldarsi immediatamente, mentre il davanti si raffreddava. Fuori la neve cadeva, il tuono rimbombava e il fulmine guizzava. Proprio come nella sua testa. Calma. Una regnante aveva bisogno di calma quanto qualunque Aes Sedai.

«Deve trattarsi dei mercenari» disse, non riuscendo del tutto a impedire che dalla sua voce trasparisse rammarico. Di certo entro un mese sarebbero cominciati ad arrivare dai suoi possedimenti uomini armati, non appena avessero appreso che lei era viva, ma ci sarebbe voluto mezzo anno prima che quelli che Birgitte stava reclutando fossero in grado allo stesso tempo di cavalcare e maneggiare una spada. «...E Cercatori del Corno, se si segnano e imprecano.» C’erano molti di entrambe le fazioni intrappolati a Caemlyn per via delle intemperie. Troppi di entrambe, dicevano in molti, che si ubriacavano, si azzuffavano e molestavano donne che non volevano essere oggetto delle loro attenzioni. Almeno lei li avrebbe resi utili a qualcosa, adoperandoli per fermare i guai invece di esserne la causa. Desiderava non pensare che stesse cercando di convincere sé stessa in merito a tutto ciò. «Costoso, ma l’oro nei forzieri basterà.» Per un po’ sarebbe bastato. Sperava che gli introiti che assicuravano i suoi possedimenti arrivassero presto.

Ancor più incredibile, le due donne in piedi davanti a lei reagirono in modo molto simile.

Dyelin emise un grugnito irritato. Una grossa spilla rotonda d’argento, decorata col gufo e la quercia di Taravin era fissata sul collo alto del suo abito verde scuro, l’unico gioiello che indossava. Un’ostentazione di orgoglio per la sua casata, forse troppo; la Somma Signora della casata Taravin era un donna nel complesso fiera. I suoi capelli d’oro erano striati di grigio e rughe sottili si intessevano agli angoli dei suoi occhi; nonostante ciò il suo volto era deciso, il suo sguardo controllato e acuto. La sua mente era un rasoio. O forse una spada. Una donna senza peli sulla lingua, o almeno così sembrava, che non nascondeva le proprie opinioni.

«I mercenari conoscono il lavoro,» disse sprezzante «ma sono difficili da controllare, Elayne. Quando hai bisogno di un tocco leggero, sono propensi a essere un martello, e quando ti serve un martello, hanno la tendenza a essere altrove, per di più a rubare. Sono fedeli all’oro, e solo finché questo dura. Sempre che non tradiscano prima per averne di più. Sono certa che su questo lady Birgitte sarà d’accordo con me.»

Le braccia incrociate sotto il seno e gli alti stivali ben divaricati, Birgitte fece una smorfia, come sempre quando qualcuno usava il suo nuovo titolo. Elayne le aveva concesso un possedimento non appena avevano raggiunto Caemlyn, dove poteva essere registrato. In privato, Birgitte brontolava continuamente di questo e dell’altro cambiamento nella sua vita. I suoi pantaloni azzurro cielo avevano lo stesso taglio di quelli che indossava di solito, gonfi e raccolti alle caviglie, ma la sua corta giubba nera aveva un alto colletto bianco e ampi polsini bianchi bordati d’oro. Era lady Birgitte Trahelion nonché capitano generale delle guardie della regina, e poteva borbottare e lamentarsi quanto voleva, sempre che lo facesse in privato.

«Lo sono» bofonchiò controvoglia, rivolgendo a Dyelin un’occhiataccia non proprio furtiva. Il legame fra Custode e Aes Sedai riportava a Elayne ciò che aveva percepito per tutta la mattina. Frustrazione, irritazione, determinazione. Alcune di queste emozioni potevano essere un riflesso delle sue, però. Da quando avevano stretto il legame si rispecchiavano a vicenda in modi sorprendenti, in senso emotivo e non solo. Addirittura il suo ciclo si era spostato di più di una settimana per uniformarsi a quello dell’altra donna!

Era evidente che la riluttanza di Birgitte a discutere la seconda ipotesi era pari alla sua avversione ad assentire. «I Cacciatori non sono dannatamente meglio, Elayne» borbottò. «Hanno prestato il giuramento del Cercatore per trovare avventura e un posto nelle storie, se ci riescono. Non per sistemarsi e osservare la legge. Quasi tutti sono boriosi saccenti, guardano chiunque altro dall’alto in basso; gli altri non fanno solo quello che è necessario, ma vanno in cerca di occasioni. Basta che venga sussurrata una chiacchiera sul Corno di Valere e a dir tanto due su tre spariranno dalla sera alla mattina.»

Dyelin esibì un lieve sorriso, come se avesse segnato un punto a suo favore. L’olio e l’acqua non erano nulla, paragonati a quelle due: ognuna sembrava andare piuttosto d’accordo con chiunque altro, ma, per qualche motivo, fra loro potevano litigare perfino sul colore del carbone. E lo facevano. «Inoltre, sia i Cacciatori sia i mercenari sono quasi tutti forestieri. Questo scontenterà poveri e ricchi allo stesso modo. Li scontenterà molto. L’ultima cosa che vuoi è scatenare una ribellione.» Un fulmine guizzò, illuminando brevemente i battenti delle finestre, e un rombo di tuono particolarmente fragoroso sottolineò le sue parole. In mille anni, sette regine dell’Andor erano state rovesciate da un’aperta rivoluzione, e le due che erano sopravvissute probabilmente avrebbero desiderato essere morte. Elayne trattenne un sospiro. Su uno dei tavolini intarsiati lungo le pareti era appoggiato un pesante vassoio d’argento con delle coppe e un’alta caraffa di caldo vino speziato. Vino speziato tiepido, ora. Lei incanalò un tenue filamento di Fuoco e un esile sbuffo di vapore si levò dalla brocca. Riscaldarlo conferì alle spezie un vago sapore amarognolo, ma ne valeva la pena solo per il calore della coppa intarsiata d’argento fra le sue mani. Con uno sforzo, resistette al desiderio di riscaldare l’aria nella stanza tramite il Potere e abbandonò la Fonte; comunque il calore non sarebbe durato a meno che non avesse tenuto costanti i filamenti. Aveva superato la riluttanza a lasciar andare saidar ogni volta che lo abbracciava — be’, fino a un certo punto — tuttavia di recente la voglia di attingerne sempre più cresceva ogni volta. Ogni Sorella doveva confrontarsi con quel pericoloso desiderio. A un gesto, anche le altre si versarono del vino.

«Conoscete la situazione» disse loro. «Solo uno sciocco non la reputerebbe disperata, e nessuna di voi due è una sciocca.» Le guardie erano un involucro: se una manciata erano uomini passabili, più del doppio erano energumeni e bruti più adatti a gettare ubriachi fuori dalle taverne, o a essere buttati fuori loro stessi. E ora che i Saldeani se n’erano andati e gli Aiel stavano partendo, il crimine dilagava come le erbacce in primavera. Pensava che la neve l’avrebbe smorzato, ma ogni nuovo giorno c’erano rapine, incendi e anche peggio. Più il tempo passava, più la situazione peggiorava. «A questo ritmo, ci saranno delle ribellioni nel giro di poche settimane. Forse prima. Se non riesco a mantenere l’ordine nella stessa Caemlyn, la gente mi si rivolterà contro.» Se non fosse riuscita a mantenere l’ordine nella capitale, sarebbe stato come annunciare al mondo che non era adatta a governare. «Non mi piace, ma dev’essere fatto, perciò così sarà.» Entrambe aprirono la bocca, pronte a discutere ancora, ma lei non diede loro alcuna possibilità. La sua voce si fece salda. «Sarà fatto.»

La treccia dorata di Birgitte, lunga fino alla vita, dondolò mentre scuoteva la testa; ciò nonostante un consenso di malavoglia filtrò attraverso il legame. Aveva una visione decisamente singolare della loro relazione come Aes Sedai e Custode, ma aveva imparato a riconoscere quando non era il caso di insistere con Elayne. Lo aveva imparato fino a un certo punto. C’erano il possedimento e il titolo. Comandare le guardie, e qualche altra piccola questione. Dyelin piegò un poco il collo, e forse le ginocchia; poteva essere un inchino, ma il suo volto era di pietra. Era bene ricordare che molti di coloro che non volevano Elayne Trakand sul Trono del Leone vi avrebbero preferito Dyelin Taravin. La donna le era stata di enorme aiuto, ma erano ancora i primi giorni e talvolta una vocina insistente sussurrava nei recessi della testa di Elayne. Forse Dyelin stava semplicemente aspettando che lei commettesse qualche grosso pasticcio prima di farsi avanti per ‘salvare’

Andor? Qualcuno abbastanza prudente, abbastanza subdolo, avrebbe potuto tentare quella strada e perfino riuscirci. Elayne sollevò una mano per sfregarsi la tempia, ma lo tramutò invece nel gesto di aggiustarsi i capelli. Così tanto sospetto, così poca fiducia. Il Gioco delle Casate si era diffuso in Andor da quando era partita per Tar Valon. Era grata ai mesi passati fra le Aes Sedai non solo per aver appreso a usare il potere. Daes Dae’Mar era il pane quotidiano per molte Sorelle. Era grata anche per gli insegnamenti di Thom. Senza nessuno dei due, forse non sarebbe sopravvissuta tanto a lungo dopo il suo ritorno. Volesse la Luce che Thom fosse al sicuro, che lui, Mat e gli altri fossero sfuggiti ai Seanchan e si trovassero sulla strada per Caemlyn. Ogni giorno da quando aveva lasciato Ebou Dar, lei pregava per la loro salvezza, ma quella breve supplica era tutto ciò per cui aveva tempo, ora.

Prendendo posto al centro dell’arco, sullo scranno della regina, cercò di assumerne la posa, schiena dritta, la sua mano libera appoggiata leggera sul bracciolo intarsiato. ‘Avere l’aspetto di una regina non è sufficiente’, le aveva detto spesso sua madre, ‘ma una mente sveglia, un’acuta conoscenza delle questioni e un cuore valoroso non serviranno a nulla se la gente non ti vede come una regina’. Birgitte la stava osservando con molta attenzione, quasi con sospetto. Talvolta il legame era decisamente inopportuno!

Dyelin accostò alle labbra la sua coppa di vino.

Elayne trasse un profondo respiro. Aveva affrontato questa faccenda da ogni punto di vista possibile e non riusciva a vedere nessun altro modo.

«Birgitte, per primavera voglio che le guardie siano un esercito pari al numero di uomini che dieci casate possono mettere in campo.» Era molto probabile che fosse impossibile riuscirci, ma solo provarci voleva dire mantenere i mercenari arruolati ora e trovarne altri, ingaggiando tutti gli uomini che mostravano la minima inclinazione. Luce, che tremendo intrico!

Dyelin si strozzò, strabuzzando gli occhi; del vino scuro le sprizzò dalla bocca. Ancora sputacchiando, prese un fazzoletto smerlettato dalla manica e se lo passò sul mento.

Un’ondata di panico si riversò lungo il legame da Birgitte. «Oh, che io sia dannata, Elayne, tu non intendi... Sono un arciere, non un generale! È quello che sono sempre stata, non l’hai ancora capito? Ho fatto solo ciò che dovevo, quello che le circostanze mi hanno costretto a fare! Comunque, non sono più lei; sono solo io e...» Lasciò morire la frase, rendendosi conto che forse aveva detto troppo. Non era la prima volta. Il suo volto si fece scarlatto e intanto Dyelin la scrutava con curiosità.

Avevano detto in giro che Birgitte proveniva da Kandor, dove le donne di campagna indossavano vestiti simili ai suoi, tuttavia Dyelin sospettava chiaramente che si trattasse di una menzogna. Ogni volta che Birgitte non teneva a freno la lingua, rischiava di lasciarsi scappare anche il segreto. Elayne le scoccò un’occhiata che prometteva che più tardi avrebbero fatto una chiacchierata.

Non pensava che le guance di Birgitte potessero diventare più rosse di così. La mortificazione soffocò qualsiasi altra sensazione nel legame, sommergendola finché Elayne non sentì avvampare il suo stesso viso. Assunse in fretta un’espressione austera, sperando che le guance scarlatte venissero scambiate per qualcosa di diverso da un intenso desiderio di rannicchiarsi nella propria sedia per l’illuminazione di Birgitte. L’effetto a specchio poteva essere più che semplicemente inopportuno!

Dyelin indugiò solo per un momento su Birgitte. Infilando di nuovo il fazzoletto al suo posto, appoggiò con attenzione la coppa sul vassoio, poi si piantò le mani sulle anche. Il suo volto si era rannuvolato come subito prima di un temporale. «Le guardie sono sempre state il nucleo dell’esercito dell’Andor, Elayne, ma questo... La Luce abbia misericordia, questa è follia! Potresti metterti contro qualsiasi uomo dal fiume Erinin alle Montagne di Nebbia!»

Elayne si ricondusse alla calma. Se era in errore, Andor sarebbe stata una nuova Cairhien, un’altra terra bagnata di sangue in preda al caos. E lei sarebbe morta, ovviamente, un misero prezzo rispetto al costo totale. Non tentare era impensabile e in ogni caso per Andor ottenere un risultato sarebbe stato lo stesso che fallire. Una calma fredda, composta, inflessibile. Una regina non poteva mostrarsi spaventata, anche se lo era. Specialmente quando lo era. Sua madre le aveva sempre detto di spiegare le decisioni il meno possibile; più spesso spiegavi, più spiegazioni erano necessarie, finché il tuo tempo non era dedicato che a quelle. Gareth Bryne diceva di spiegare se potevi; la tua gente reagiva meglio se conosceva il perché delle tue scelte. Oggi, lei avrebbe seguito Gareth Bryne. Parecchie battaglie erano state vinte grazie a lui.

«Ho tre sfidanti dichiarate.» E forse una non dichiarata. Incontrò di proposito lo sguardo di Dyelin. Non con rabbia; solo occhi che incontravano occhi. O forse Dyelin la prese per rabbia, poiché la sua mascella si serrò e il volto arrossì. Se era così, tanto meglio. «Di per sé, Armilla è insignificante, ma Nasin ha unito la casata Caeren alla sua e, che lui sia sano di mente o meno, il suo appoggio significa che lei va tenuta in considerazione. Naean ed Elenia sono imprigionate; i loro soldati no. La gente di Naean può anche mostrarsi dubbiosa e discutere finché non trova una guida, ma Jarid è il Sommo Signore della casata Sarand e correrà rischi per soddisfare l’ambizione della moglie. La casata Baryn e la casata Anshar cercano di allearsi con entrambe; il meglio che posso sperare è che una vada con Sarand e l’altra con Arawn. Diciannove casate nell’Andor sono abbastanza forti perché le casate minori seguano la loro guida. Sei sono schierate contro di me, e io ne ho due.» Sei, finora... e grazie alla Luce lei ne aveva due!

Non fece apposta menzione delle tre grandi casate che per poco non si erano dichiarate per Dyelin; almeno Egwene le aveva bloccate nel Murandy, per ora.

Fece cerino verso una sedia vicino a lei e Dyelin si sedette, sistemandosi le gonne con attenzione. Le nubi temporalesche avevano abbandonato il volto dell’anziana donna. Lei studiò Elayne, non lasciando trasparire alcun indizio relativo alle sue domande o alle sue conclusioni. «So tutto questo bene quanto te, Elayne, ma Luan ed Ellorien porteranno le loro casate da te, e lo stesso farà Abelle, sono sicura.» Anche la voce era cauta, ma si accalorò man mano che procedeva. «Anche le altre casate allora si mostreranno ragionevoli. Sempre che non diventino irragionevoli perché tu le spaventi. Luce, Elayne, questa non è una Successione. Trakand prende il posto di Trakand, non di un’altra casata. Perfino una Successione di rado è sfociata in lotta aperta! Fa’ diventare le guardie un esercito e metti tutto a rischio.»

Elayne tirò indietro la testa, ma la sua risata non conteneva alcun divertimento. Era forte come il boato di un tuono. «Ho rischiato tutto quanto il giorno che sono tornata a casa, Dyelin. Tu dici che Norwelyn e Traemane verranno da me, e anche Pendar? Bene: allora io ne avrò cinque contro sei. Non penso che le altre casate si dimostreranno ‘ragionevoli’, per dirla con le tue parole. Se qualcuna di loro farà una mossa prima che sia chiaro come il cristallo che la Corona di Rose è mia, sarà contro di me, non a mio favore.» Con un po’ di fortuna, lord e lady sarebbero stati riluttanti ad allearsi con amici intimi di Gaebril, ma a lei non piaceva dipendere dalla fortuna. Non era Mat Cauthon. Luce, erano in molti a essere sicuri che Rand avesse ucciso sua madre, e pochi credevano che lord Gaebril non fosse altro che uno dei Reietti. Per riparare al danno che Rahvin aveva causato ad Andor le ci sarebbe voluta l’intera vita, perfino se fosse riuscita a vivere tanto a lungo quanto le donne della Famiglia! Alcune casate non avrebbero rifiutato di fornirle il loro supporto per gli oltraggi che Gaebril aveva perpetrato nel nome di Morgase, e altre non si sarebbero sottratte perché Rand aveva detto di aver intenzione di ‘darle’ il trono. Lei lo amava in tutto e per tutto, ma maledizione a lui per aver messo il becco in questo! Anche se era quello a trattenere Dyelin. Anche il più misero contadino dell’Andor si sarebbe messo la falce in spalla per scacciare un fantoccio dal Trono del Leone!

«Se posso, voglio evitare che gli Andorani uccidano gli Andorani, Dyelin, ma Successione o meno, Jarid è pronto a combattere, anche con Elenia incarcerata. Naean è pronta a combattere.» Meglio portare entrambe le donne a Caemlyn il prima possibile; avevano troppe possibilità di far filtrare messaggi e ordini da Aringill. « Arymilla è pronta, con gli uomini di Nasin a spalleggiarla. Per loro, questa è una Successione, e l’unico modo per impedire che combattano è essere tanto forti che non oseranno. Se Birgitte può far trasformare le guardie in un esercito per primavera, molto bene, perché se prima di allora non avrò un esercito, me ne occorrerà uno. E se questo non basta, ricordati dei Seanchan. Non si limiteranno a Tanchico ed Ebou Dar; vogliono tutto quanto. Non lascerò che conquistino Andor, Dyelin, come non lascerò che lo faccia Arymilla.» Il tuono rombò nel cielo. Voltandosi un poco per guardare Birgitte, Dyelin si umettò le labbra. Le sue dita pizzicarono inconsciamente le gonne. Pochissime cose la spaventavano, e i racconti dei Seanchan erano fra queste. Però mormorò: «Speravo di evitare una vera e propria guerra civile.» E questo poteva non significare nulla... o moltissimo! Forse sondarla un poco avrebbe dimostrato quale delle due.

«Gawyn» disse all’improvviso Birgitte. La sua espressione era più leggera, così come le emozioni che fluivano attraverso il legame. In particolare si notava il sollievo. «Quando arriverà, prenderà il comando. Sarà il tuo primo principe della spada.»

«Per il latte acido di mia madre!» sbottò Elayne e un fulmine balenò alla finestra a enfatizzare la sua espressione di disgusto. Perché quella donna doveva cambiare argomento ora? Dyelin sobbalzò e il volto di Elayne avvampò di nuovo. A giudicare dalla bocca spalancata della donna, sapeva esattamente quant’era scurrile quell’imprecazione. Era stranamente imbarazzante; non avrebbe dovuto contar nulla il fatto che Dyelin fosse stata amica di sua madre. Senza pensarci, bevve un lungo sorso di vino e quasi si strozzò per quant’era amaro. Represse alla svelta le immagini di Lini che minacciava di lavarle la bocca e si ricordò che era una donna adulta con un trono da ottenere. Dubitava che a sua madre fosse capitato di sentirsi sciocca tanto spesso.

«Sì, Birgitte, lo farà» proseguì, più calma «quando arriverà.» Tre messaggeri erano in viaggio per Tar Valon. Anche se nessuno fosse riuscito a superare Elaida, alla fine Gawyn avrebbe appreso che lei aveva fatto la sua rivendicazione e sarebbe venuto. Aveva disperatamente bisogno di lui. Non si faceva illusioni di poter essere un generale, e Birgitte era così timorosa di non essere all’altezza delle leggende su di lei che talvolta sembrava che avesse paura di tentare. Fronteggiare un esercito sì; guidarlo, mai e poi mai!

Birgitte era ben conscia della confusione nella sua mente. Proprio in quel momento il suo viso era teso, pieno di imbarazzo e di una collera verso sé stessa che cresceva sempre di più. Con una punta di irritazione, Elayne aprì la bocca per far seguito all’accenno di Dyelin alla guerra civile prima di cominciare a riflettere la rabbia di Birgitte.

Prima che potesse proferire parola, però, le alte porte rosse si aprirono. La sua speranza che si trattasse di Nynaeve o Vandene fu vanificata dall’ingresso di due donne del Popolo del Mare, a piedi nudi nonostante il tempo.

Una nuvola di profumo muschiato si diffuse davanti a loro che, pur essendo solo due, andavano come in processione, vestite di pantaloni e bluse di broccato di seta di colori brillanti, con pugnali ingioiellati e collane d’oro e avorio. Lisci capelli neri sbiancati alle tempie nascondevano quasi i dieci piccoli anelli alle orecchie di Renaile din Calon, ma l’arroganza era evidente nei suoi occhi scuri, come la catenina d’oro carica di medaglioni che collegava un orecchino al suo cerchietto sul naso. Il suo volto era risoluto e, malgrado un leggero dondolio nella sua andatura, pareva pronta ad avanzare dritta attraverso un muro. Quasi un palmo più bassa della compagna e più scura del carbone, Zaid din Parede aveva molti altri medaglioni che le penzolavano sulla guancia sinistra ed esibiva un’aria di comando piuttosto che di arroganza, un’incrollabile certezza che chiunque le avrebbe obbedito. Del grigio punteggiava la sua chioma di fitti riccioli neri, ciò nonostante era affascinante, una di quelle donne che diventavano sempre più belle con l’avanzare dell’età.

Dyelin alla loro vista trasalì e si mise una mano davanti alla bocca. Una reazione piuttosto comune per le persone non abituate agli Atha’an Miere. Elayne fece una smorfia, e non per i loro anelli al naso. Le venne perfino in mente un’altra imprecazione, qualcosa di più... pungente. Tranne i Reietti, non riusciva a pensare a due persone che avesse meno voglia di vedere di quelle due. Reene era stata incaricata di provvedere a che questo non succedesse!

«Perdonatemi,» disse lei, alzandosi con grazia «ma adesso sono molto occupata. Affari di stato, capirete, o vi accoglierei come si confà al vostro rango.» Il Popolo del Mare era pignolo su cerimoniali e decoro, almeno secondo i propri termini. Era molto probabile che avessero superato la prima cameriera semplicemente non dicendole di voler vedere Elayne, ma di certo si sarebbero offese se le avesse accolte da seduta prima che la corona fosse sua. E, che la Luce le folgorasse entrambe, non poteva permettersi di offenderle. Birgitte apparve al suo fianco, inchinandosi in modo formale per prendere la sua coppa; il legame del Custode trasmetteva cautela. Era sempre circospetta col Popolo del Mare nei paraggi; aveva lasciato sfuggire la lingua anche in loro presenza. «Vi vedrò più tardi» concluse Elayne, aggiungendo: «...se la Luce ci. assiste.» Prediligevano anche pieghe cerimoniose nelle espressioni, e quella mostrava loro cortesia e forniva una via d’uscita.

Renaile non si fermò finché non fu proprio di fronte a Elayne, un po’ troppo vicina. Una mano tatuata fece un breve cenno per darle il permesso di sedere. Il permesso. «Mi stai evitando.» La sua voce era profonda per una donna e fredda quanto la neve che stava cadendo sul tetto. «Ricorda che sono il Cercavento di Nesta din Reas Due Lune, Maestra delle Navi degli Atha’an Miere. Devi ancora onorare il resto dell’Accordo che hai stipulato per la tua Torre Bianca.» Il Popolo del Mare sapeva delle divisioni nella Torre — a questo punto lo sapevano tutte loro e sua sorella — ma Elayne non aveva pensato che fosse il caso di rendere la situazione più difficile per sé dichiarando pubblicamente da che parte stava. Non ancora. Renaile terminò con un imperioso tono di comando. «Tu tratterai con me, ora!»

E tanti saluti ai cerimoniali e al decoro.

«Lei sta evitando me, non te, Cercavento.» In contrasto con Renaile, Zaida pareva quasi che stesse intrattenendo una semplice conversazione. Piuttosto che affrettarsi lungo i tappeti, si mosse distrattamente per la stanza, fermandosi ad accarezzare un alto vaso di fine porcellana verde, poi si alzò in punta di piedi per scrutare attraverso un caleidoscopio a quattro cilindri sopra un alto scaffale. Quando lanciò un’occhiata verso Elayne e Renaile, un luccichio divertito scintillò nei suoi occhi neri. «Dopotutto, l’Accordo era con Nesta din Reas, portavoce delle navi.» Oltre a essere Maestra delle Onde del Clan Catelar, Zaida era un’ambasciatrice della Maestra delle Navi. Per Rand, non per Andor, ma il suo mandato le dava l’autorità di parlare e stipulare accordi per Nesta stessa. Passando da un cilindro con incisioni dorate a un altro, si mise di nuovo in punta di piedi per guardare attraverso l’oculare. «Hai promesso venti insegnanti agli Atha’an Miere, Elayne. Finora ne hai consegnata una.»

Il loro ingresso era stato così improvviso, così drammatico, che Elayne fu sorpresa di vedere Merilille chiudere le porte e voltarsi verso di lei. Più bassa di Zaida, la Sorella Grigia era elegante nell’abito di lana blu scuro con pelliccia argentea e piccole pietre di luna cucite sul corsetto, tuttavia poco più di due settimane passate a insegnare alle Cercavento avevano introdotto dei cambiamenti. Quasi tutte erano donne potenti assetate di sapere, più che pronte a strizzare Merilille come uva in un torchio, pretendendo fino all’ultima goccia di succo. Una volta, Elayne l’aveva creduta una persona controllata, che non si faceva cogliere dalla sorpresa, ma ora Merilille aveva gli occhi costantemente sgranati, le labbra sempre un poco socchiuse, come se fosse mezza sbigottita e si aspettasse che qualcosa la facesse trasalire di nuovo da un momento all’altro. Incrociando le mani alla cintura, attese presso la porta e apparve sollevata di non essere al centro dell’attenzione. Schiarendosi rumorosamente la gola, Dyelin si alzò in piedi e rivolse uno sguardo accigliato verso Zaida e Renaile. «Prestate attenzione a come parlate» ringhiò. «Siete in Andor, ora, non su una delle vostre navi, ed Elayne Trakand sarà regina di Andor! Il vostro Accordo sarà onorato in tempo. Per ora, abbiamo questioni più importanti di cui occuparci.»

«In nome della Luce, non c’è nulla di più importante» brontolò a sua volta Renaile, voltandosi verso di lei. «Dici che l’Accordo verrà onorato? Allora farai da garante. Sappi che ci sarà spazio per far penzolare anche te per le caviglie dal sartiame se...»

Zaida schioccò le dita. Tutto qua, ma un tremito percorse Renaile. Afferrando la scatoletta dorata di sali che pendeva da una delle sue collane, se la premette contro il naso e inspirò profondamente. Poteva essere una Cercavento della Maestra delle Navi, una donna di grande autorità e potere fra gli Atha’an Miere, ma per Zaida era... una Cercavento. Il che feriva oltremodo il suo orgoglio. Elayne era sicura che ci dovesse essere un modo per sfruttare questa cosa per tenerle fuori dai piedi, ma ancora non l’aveva trovato. Oh, sì; nel bene o nel male, aveva il Daes Dae’mar nelle ossa, ora. Si mosse attorno a una Renaile piena di rabbia silenziosa come se fosse una colonna, una parte della stanza, ma non si diresse verso Zaida. Se c’era qualcuno che aveva diritto a essere disinvolto qui, era lei. Non poteva permettersi di concedere a Zaida neanche il minimo vantaggio, o la Maestra delle Onde avrebbe dato il suo scalpo ai fabbricanti di parrucche. Presso il caminetto, distese di nuovo le mani di fronte alle fiamme.

«Nesta din Reas confidava che avremmo adempiuto all’Accordo, altrimenti non vi avrebbe mai acconsentito» disse calma. «Hai recuperato la Scodella dei Venti, ma mettere insieme altre diciannove Sorelle che si uniscano a voi richiede tempo. So che ti preoccupi per le navi che erano a Ebou Dar quando sono arrivati i Seanchan. Fai aprire a Renaile un passaggio per Tear. Ci sono centinaia di vascelli degli Atha’an Miere là.» Ogni rapporto lo riferiva. «Puoi apprendere ciò che sanno e riunirti al tuo popolo. Avranno bisogno di te, contro i Seanchan.» E lei si sarebbe liberata di loro. «Le altre Sorelle vi verranno inviate non appena potrà essere predisposto.» Merilille non si mosse dalla porta, ma il suo volto assunse una sfumatura verde di panico alla possibilità di rimanere sola in mezzo al Popolo del Mare. Zaida smise di guardare attraverso il caleidoscopio e lanciò a Elayne un’occhiata in tralice. Un sorriso le increspò le labbra. «Io devo rimanere qui, almeno finché non avrò parlato con Rand al’Thor. Se mai arriverà.» Il sorriso si tese per un istante prima di tornare a sbocciare di nuovo; Rand non avrebbe avuto vita facile con lei. «E terrò Renaile e le sue compagne, per ora. Una manciata di Cercavento in più o in meno non farà una grossa differenza contro questi Seanchan, mentre qui, se la Luce ci assiste, possono imparare qualcosa che sarà loro molto utile.» Renaile sbuffò. Zaida si accigliò e cominciò a giocherellare con l’oculare che si trovava alla stessa altezza del suo viso. «Ci sono cinque Aes Sedai qui nel tuo palazzo, inclusa te» mormorò pensierosa. «Forse alcune di voi potrebbero insegnare.»

Come se quell’idea le fosse appena venuta in mente. E se era così, Elayne poteva sollevare entrambe le donne del Popolo del Mare con una mano!

«Oh, sì, sarebbe stupendo» proruppe Merilille, facendo un passo avanti. Poi lanciò un’occhiata a Renaile e si zittì, il rossore si diffuse sul suo pallore cairhienese. Incrociando di nuovo le mani sulla vita, si avvolse di mansuetudine come di una seconda pelle. Birgitte scosse il capo per lo stupore. Dyelin fissò l’Aes Sedai come se non l’avesse mai vista prima.

«Troveremo una soluzione, se così vorrà la Luce» disse Elayne cauta. Dovette sforzarsi per non grattarsi le tempie. Desiderava poter dar colpa del suo mal di testa ai tuoni incessanti. Nynaeve sarebbe andata su tutte le furie per quel suggerimento e Vandene avrebbe ignorato un ordine del genere, ma sarebbe stato possibile per Careane e Sareitha. «Per non più di qualche ora al giorno, capirai. Quando hanno tempo.» Evitò di guardare Merilille. Anche Careane e Sareitha si sarebbero potute rifiutare di essere gettate in quel torchio.

Zaida portò una mano alle labbra. «Così è pattuito, in nome della Luce.»

Elayne sbatté le palpebre. Questo sì che era sinistro: a quanto pareva, agli occhi della Maestra delle Onde, avevano appena stipulato un altro accordo. La sua limitata esperienza nel trattare con gli Atha’an Miere era che potevi ritenerti fortunato se ti allontanavi con la camicia ancora addosso. Be’, stavolta le cose sarebbero andate diversamente. Per esempio, cosa ci avrebbero guadagnato le Sorelle? Dovevano esserci due parti in un accordo. Zaida sorrise, come se sapesse ciò che Elayne stava pensando e ne fosse divertita. L’apertura di una delle porte fu quasi un sollievo, e le diede una scusa per distogliere lo sguardo dalle donne del Popolo del Mare. Reene Harfor scivolò nella stanza con deferenza ma senza servilismo, e la sua riverenza fu sobria, appropriata per la Somma Signora di una potente casata che stava per essere la sua regina. D’altro canto, ogni Somma Signora con un po’ di sale in zucca sapeva di dover portare rispetto alla prima cameriera. I suoi capelli ingrigiti erano raccolti in una crocchia, come se avesse una corona in testa, e indossava un tabarro scarlatto sopra il suo abito rosso e bianco, con la testa del leone bianco di Andor appoggiata sul suo prosperoso petto. Reene non aveva voce in capitolo su chi sarebbe salita al trono, ma aveva adottato l’intero abito da cerimonia dal giorno dell’arrivo di Elayne, come se la regina fosse già insediata. Il suo volto si indurì per un attimo alla vista delle donne degli Atha’an Miere che l’avevano scavalcata, ma questo fu l’unico segno che diede di averle notate. Per ora. Avrebbero appreso a proprie spese cosa comportava incorrere nell’ostilità della prima cameriera.

«Mazrim Taim, è finalmente arrivato, mia signora.» Reene riuscì a farlo suonare molto simile a ‘mia regina’. «Devo dirgli di attendere?»

Non così presto!, mormorò Elayne nella sua testa. Lo aveva mandato a chiamare due giorni fa! «Sì, comare Harfor. Dagli del vino. Il terzo migliore, facciamo. Informalo che lo riceverò non appena...»

Taim, entrò nella stanza a grandi falcate come se fosse il padrone del palazzo. Non c’era bisogno che le dicessero che era lui. Draghi blu e dorati si intrecciavano attorno alle maniche della sua giubba nera dai gomiti fino ai polsi, a imitare i draghi sulle braccia di Rand. Ebbe il sospetto che lui non avrebbe apprezzato quell’osservazione. Era alto, quasi quanto Rand, il naso adunco e gli occhi rapaci, un uomo dal fisico possente che si muoveva con la grazia di un Custode, ma le ombre sembravano seguirlo, come se la metà delle lampade nella stanza si fosse spenta, in un’aria di imminente violenza che sembrava tanto palpabile da risucchiare la luce. Altri due uomini in giubba nera lo seguivano da vicino: un tizio calvo con una lunga barba brizzolata e occhi azzurri lascivi, e uno più giovane, magro come un serpente e coi capelli scuri, con la beffarda arroganza che i giovani spesso assumevano prima di diventare più maturi. L’alto colletto di entrambi era decorato con la spada argentea e il drago di smalto rosso. Nessuno dei tre portava una spada al fianco, però: non ne avevano bisogno. D’improvviso il soggiorno parve più piccolo e affollato. D’istinto, Elayne abbracciò saidar e si protese a formare il legame. Merilille scivolò facilmente nel cerchio; per quanto sbalorditivo, Renaile fece lo stesso. Un rapido sguardo alla Cercavento diminuì la sua sorpresa. Il volto terreo, Renaile teneva il pugnale infilato dietro la sua fusciacca tanto stretto che Elayne poteva percepire il dolore sulle sue nocche attraverso il legame. Era a Caemlyn da abbastanza tempo da sapere cos’era un Asha’man. Gli uomini sapevano che qualcuna aveva abbracciato saidar, naturalmente, anche se non potevano vedere il bagliore che circondava le tre donne. L’uomo calvo si irrigidì; il giovane magro serrò i pugni. Le fissarono con occhi di fuoco. Di certo avevano afferrato saidin. Elayne cominciò a pentirsi di aver agito di riflesso, ma non avrebbe rilasciato la Fonte, non ora. Taim, irradiava pericolo allo stesso modo in cui un fuoco emette calore. Lei attinse in profondità dal legame, fino al punto in cui la schiacciante percezione della vita si tramutò in un acuto formicolio di avvertimento. Le dava perfino un senso di... contentezza. Con così tanto Potere dentro di lei, avrebbe potuto devastare il palazzo, ma si chiese se fosse sufficiente per eguagliare quello di Taim, e degli altri due. Desiderò proprio avere uno dei tre angreal che avevano trovato a Ebou Dar, ora messi al sicuro sotto chiave col resto di quel carico di oggetti finché non avesse trovato altro tempo per studiarli.

Taim, scosse il capo in modo sprezzante, un mezzo sorriso che gli guizzava lungo le labbra. «Usate gli occhi.» La sua voce era calma, ma dura e beffarda. «Ci sono due Aes Sedai qui. Avete paura di due Aes Sedai? Inoltre, non vorrete certo spaventare la futura regina di Andor.» I suoi compagni si rilassarono visibilmente, poi cominciarono a cercare di emulare la spontanea autorità del suo atteggiamento.

Reene non sapeva nulla di saidar e saidin; era passata attorno agli uomini, lanciando loro un’occhiataccia, non appena erano entrati. Asha’man o no, si aspettava che le persone si comportassero in modo consono. Borbottò qualcosa quasi sottovoce. Non abbastanza, però. Le parole ‘ratti schifosi’ erano appena udibili.

La prima cameriera arrossì quando si rese conto che tutti nella stanza avevano sentito, ed Elayne vide per la prima volta Reene Harfor innervosirsi. Al che la donna si raddrizzò e disse, con una grazia e una dignità che ogni regnante le avrebbe invidiato: «Perdonami, mia signora Elayne, ma mi è stato detto che ci sono ratti schifosi che infestano le dispense. Cosa piuttosto inconsueta, in questo periodo dell’anno, e sono così tanti. Se vuoi scusarmi, mi accerterò che le mie direttive su disinfestatori ed esche avvelenate vengano attuate.»

«Rimani» le disse Elayne con disinvoltura. Con calma. «Ci si può occupare dei parassiti a tempo debito.» Due Aes Sedai. Lui non si era reso conto che Renaile poteva incanalare e aveva sottolineato ‘due’. Il fatto che fossero tre donne avrebbe dato loro un vantaggio? O ne sarebbero servite di più? Era chiaro che gli Asha’man sapevano di avere qualche vantaggio su donne che fossero in numero inferiore a un circolo di tredici. Non sarebbero certo venuti al suo cospetto senza neanche il suo permesso, altrimenti.

«Potrai accompagnare questi gentiluomini all’uscita quando avrò finito con loro.» I tre si accigliarono al sentirsi chiamare ‘gentiluomini’, ma Taim, stesso non fece altro che esibire un altro di quei suoi mezzi sorrisi. Era abbastanza sveglio da sapere che Elayne quando aveva parlato di parassiti aveva pensato a lui. Luce! Forse Rand aveva avuto bisogno di quest’uomo un tempo, ma perché continuava a tenerlo con sé ora, e in una tale posizione di autorità? Be’, la sua autorità qui non contava nulla. Senza fretta, si accomodò di nuovo sullo scranno e si concesse un momento per aggiustarsi le gonne. Gli uomini avrebbero dovuto girarle attorno per starle di fronte come supplicanti, altrimenti avrebbero parlato rivolti a un lato della sua testa fin quando lei si fosse rifiutata di guardarli. Per un istante prese in considerazione di passare il controllo del piccolo circolo. Gli Asha’man avrebbero di certo concentrato la loro attenzione su di lei. Renaile era ancora esitante, però, con rabbia e paura che si agitavano l’una sull’altra dentro di lei; avrebbe potuto passare all’attacco non appena il legame fosse arrivato a lei. Merilille provava un timore, che riusciva appena a tenere sotto controllo, misto a una gran quantità di sensazioni... ‘da ochetta’ che si adattavano ai suoi occhi sgranati e alle labbra socchiuse; solo la Luce sapeva cosa avrebbe potuto fare lei col legame. Dyelin si mosse a lato dello scranno di Elayne, come per proteggerla dagli Asha’man. Qualunque cosa passasse per la mente della Somma Signora di Taravin, il suo volto era severo, privo di paura. Le altre donne non avevano perso tempo e si erano preparate quanto meglio potevano. Zaida era in piedi, completamente immobile, accanto al caleidoscopio, e faceva del suo meglio per apparire minuta e inoffensiva, ma le sue mani erano dietro la schiena e il pugnale mancava dalla sua fusciacca. Birgitte oziava presso il caminetto, puntellandosi con la mano sinistra sullo stipite, apparentemente a suo agio, ma il fodero del pugnale che aveva alla cintura era vuoto e, dal modo in cui l’altra sua mano era appoggiata al fianco, era pronta per un lancio furtivo. Il legame trasmetteva... concentrazione. Freccia incoccata, corda tesa fino alla guancia, pronta a scagliare. Elayne non fece alcun tentativo di guardare oltre Dyelin in direzione dei tre uomini. «Prima rispondi troppo tardi alle mie convocazioni, mastro Taim,,, e poi troppo presto.» Luce, stava trattenendo saidin? C’erano dei metodi per interferire con un uomo che stava incanalando, a parte schermarlo, ma era una pratica difficile, rischiosa, e lei conosceva poco più della teoria. Lui si diresse di fronte a lei, a diversi passi di distanza, ma non pareva un supplicante. Mazrim Taim,, sapeva chi era e quanto valeva, pur tendendo a dare un’immagine esagerata di sé. Il lampo che balenò alle finestre mandò strane luci sul suo volto. Molti sarebbero stati sopraffatti da lui, anche senza la sua lussuosa giubba o il suo famigerato nome. Lei no. Non l’avrebbe permesso!

Taim,, si sfregò il mento con fare pensieroso. «Ho saputo che hai fatto rimuovere gli stendardi del Drago da tutta Caemlyn, comare Elayne.» C’era divertimento nella sua voce profonda, anche se non nei suoi occhi! Dyelin sibilò, passando dalla furia all’affronto a Elayne, ma lui la ignorò. «Ho sentito dire che i Saldeani si sono ritirati all’accampamento della legione del Drago, e presto anche gli Aiel rimasti saranno in campi fuori città. Cosa dirà lui quando lo saprà?» Non c’era alcun dubbio su chi fosse la persona a cui si riferiva. «E perfino dopo che ti ha mandato un regalo. Dal sud. Lo farò portare più tardi.»

«Stipulerò l’alleanza fra Andor e il Drago Rinato a tempo debito,» gli disse lei in tono freddo «ma Andor non è una provincia sconfitta, né per lui né per nessun altro.» Costrinse le sue mani a rimanere rilassate sui braccioli dello scranno. Luce, convincere gli Aiel e i Saldeani ad andarsene era stata la sua maggior impresa finora, e anche col dilagare del crimine era stato necessario! «In ogni caso, mastro Taim, non è affar tuo richiamarmi a questo compito. Se Rand obietta, me la vedrò io con lui!» Taim, sollevò un sopracciglio e quella strana increspatura della sua bocca svanì lentamente. Dannazione a me, pensò indignata, non avrei dovuto usare il nome di Rand! Era chiaro che quell’uomo sapeva esattamente come lei si sarebbe occupata della rabbia del maledetto Drago Rinato! Ma il peggio era che, se avesse avuto l’opportunità di finire a letto con Rand, ci sarebbe andata. Non per questo, non per vedersela con lui, ma perché lo desiderava. Che genere di regalo le aveva mandato?

La rabbia indurì la sua voce. Rabbia per il tono di Taim, per il fatto che Rand fosse assente da così tanto tempo. Per sé stessa, per essere arrossita e aver pensato ai regali. Regali! «Avete recintato quattro miglia di Andor.»

Luce, era un’area grande quasi la metà della Città Interna! Quanta di questa gente poteva contenere? Il pensiero le fece accapponare la pelle. «Col permesso di chi, mastro Taim,? Non dirmi del Drago Rinato. Non ha nessun diritto di dare il permesso per alcunché nell’Andor.» Dyelin si mosse nervosa accanto a lei. Nessun diritto, ma una forza sufficiente poteva costituire un diritto. Elayne mantenne la sua attenzione su Taim,. «Avete negato alle guardie della regina l’accesso al vostro...complesso.» Non che avessero provato prima che lei fosse tornata in patria. «La legge dell’Andor ricomprende tutto l’Andor, mastro Taim,. La giustizia sarà la stessa per nobili e contadini... e Asha’man. Non pretenderò di poter entrare a forza.» Lui cominciò a sorridere ancora, o quasi. «Non mi abbasserò a questo. Ma a meno che non venga consentito l’accesso alle guardie della regina, ti prometto che nemmeno una patata potrà attraversare quei cancelli. So che potete Viaggiare. Lascia che i tuoi Asha’man passino i loro giorni a Viaggiare per comprare cibo.» Il sorriso accennato si dileguò in una debole smorfia; i suoi stivali si mossero un poco.

La sua irritazione durò solo un istante, però. «Il cibo è un piccolo problema» disse lui tranquillo, allargando le braccia. «Come dici, i miei uomini possono Viaggiare. Dovunque io voglia ordinare. Dubito che tu possa impedirmi di comprare tutto ciò che desidero perfino a dieci miglia da Caemlyn, ma non mi impensierirebbe se tu potessi. Tuttavia, sono disposto a consentire visite ogni volta che lo chiederai. Visite controllate, con scorte tutto il tempo. L’allenamento è duro nella Torre Nera. Uomini muoiono quasi ogni giorno. Non vorrei che ci fossero degli incidenti.»

Era irritante quanto fosse accurato sulla distanza da Caemlyn che la sua ordinanza ricopriva. Ma non più che irritante. Quelle sue puntualizzazioni sul Viaggiare dovunque ordinasse e sugli ‘incidenti’ erano forse velate minacce? No di certo. Un’ondata di furia la percorse mentre si rendeva conto di essere sicura che non l’avrebbe minacciata per via di Rand. Lei non aveva intenzione di nascondersi dietro Rand al’Thor. Visite controllate?

Quando l’avesse chiesto? Avrebbe dovuto ridurre quell’uomo in cenere dove si trovava!

D’improvviso si rese conto di quello che veniva trasmesso da Birgitte attraverso il legame: rabbia, un riflesso della sua, che si univa a quella di Birgitte, che si rispecchiava da Birgitte a lei, che rimbalzava da lei a Birgitte, che si nutriva di sé stessa, crescendo. La mano di Birgitte che reggeva il pugnale fremeva dal desiderio di scagliarlo. E lei? La furia la riempiva! Ancora un poco e avrebbe perduto saidar. O lo avrebbe usato per attaccare. Con un sforzo, represse la rabbia in una sembianza di calma. Una rozza apparenza in subbuglio. Deglutì, cercando di mantenere invariato il suo tono di voce. «Le guardie faranno visita ogni giorno, mastro Taim,.» E come ci sarebbe riuscita con questo tempo, non lo sapeva. «Forse verrò di persona, con qualche altra Sorella.» Se il pensiero di avere delle Aes Sedai nella sua Torre Nera infastidiva Taim, lui non lo diede a vedere. Luce, lei stava cercando di far valere l’autorità di Andor, non pungolare quell’uomo. In fretta esegui un esercizio da novizia, il fiume contenuto dall’argine, per cercare di calmarsi. Funzionò, un poco. Ora voleva solo gettargli addosso tutte le coppe di vino. «Acconsentirò alla tua richiesta di scorte, ma nulla dev’essere nascosto. Non tollererò crimini celati dai vostri segreti. Ci siamo capiti?»

L’inchino di Taim, era beffardo — beffardo! — ma c’era fermezza nella sua voce. «Ti capisco perfettamente. Comprendi me, però. I miei uomini non sono contadini che portano le nocche alla fronte al tuo passaggio. Fai troppe pressioni su un Asha’man e potresti scoprire quanto è forte la tua legge.»

Elayne aprì la bocca per dirgli con esattezza quant’era forte la legge nell’Andor.

«È il momento, Elayne Trakand» disse una voce di donna dalla porta.

«Sangue e ceneri!» borbottò Dyelin. «Sta venendo qui tutto il mondo?»

Elayne riconobbe la nuova voce. Aveva atteso questa convocazione senza sapere quando sarebbe giunta. Sapendo, però, che doveva obbedire all’istante. Si alzò, desiderando di avere un po’ più tempo per mettere le cose in chiaro con Taim,. Lui guardò accigliato la donna che era appena entrata e poi Elayne, chiaramente incerto su come comportarsi in questa circostanza. Bene. Che se ne stesse a cuocere finché lei non avesse avuto tempo di metterlo in riga sugli speciali diritti che gli Asha’man avevano nell’Andor. Nadere era alta quanto ciascuno dei due uomini presso la porta, una donna robusta, corpulenta per quanto potesse esserlo una Aiel. I suoi occhi verdi esaminarono i due per un momento prima di accantonarli come privi di importanza. Gli Asha’man non facevano impressione alle Sapienti. Erano poche le cose che ci riuscivano. Aggiustandosi lo scialle scuro sulle spalle con un tintinnio di braccialetti, avanzò fino ad arrivare di fronte a Elayne, dando le spalle a Taim,. Malgrado il freddo, indossava solo quello scialle sopra la leggera blusa bianca, anche se stranamente portava un pesante mantello di lana che le pendeva da un braccio. «Devi venire ora,» disse a Elayne «senza indugio.» Le sopracciglia di Taim, si protesero inarcandosi; senza dubbio non era abituato a essere ignorato tanto.

«Luce del paradiso!» sussurrò Dyelin, massaggiandosi le tempie. «Non so cosa riguardi questo, Nadere, ma dovrà aspettare finché...»

Elayne le appoggiò una mano sul braccio. «Non lo sai, Dyelin, e non può aspettare. Manderò via tutti e verrò con te, Nadere.»

La Sapiente scosse la testa in segno di disapprovazione. «Un bimbo che aspetta di nascere non può perdere tempo a mandar via le persone.» Diede uno scrollone allo spesso mantello. «Ti ho portato questo per proteggere la tua pelle dal freddo. Forse dovrei lasciarlo, e dire ad Aviendha che la tua modestia supera il suo desiderio di avere una sorella. Dyelin restò senza fiato, comprendendo all’improvviso. Il legame fra Custode e Aes Sedai fremette per il risentimento di Birgitte.

C’era una sola scelta possibile. Nessuna scelta, in realtà. Lasciando che il legame con le altre donne si dissolvesse, lei rilasciò saidar. Il bagliore rimase attorno a Renaile e Merilille, però. «Mi aiuterai coi bottoni, Dyelin?»

Elayne fu fiera della fermezza della propria voce. Si era aspettata questo. Solo non con così tanti spettatori!, pensò flebilmente. Voltando le spalle a Taim, — almeno non l’avrebbe visto osservarla! — cominciò dai bottoncini sulle maniche. «Dyelin, per cortesia? Dyelin?» Dopo un momento, Dyelin si mosse come una sonnambula e iniziò ad armeggiare coi bottoni lungo la schiena di Elayne, borbottando fra sé in tono indignato. Uno degli Asha’man accanto alla porta emise una risatina.

«Dietro front!» sbraitò Taim, e un rumore di stivali risuonò presso le porte.

Elayne non sapeva se anche lui si fosse voltato — era certa di poter sentire i suoi occhi su di lei — ma all’improvviso Birgitte fu lì, e Merilille e Reene, e Zaida, e perfino Renaile, assiepate spalla a spalla, corrucciate mentre formavano un muro fra lei e gli uomini. Un muro davvero inadeguato. Nessuna era alta quanto lei, e Zaida e Merilille non le arrivavano neanche alla spalla.

Concentrati, disse a sé stessa. Sono serena, sono tranquilla. Mi sto... mi sto spogliando nuda in una stanza piena di gente... ecco cosa sto facendo!

Si svestì il più in fretta possibile, lasciando che il suo abito e la sua blusa cadessero a terra, lanciandovi sopra le scarpette e le calze. Le venne la pelle d’oca nell’aria gelida; ignorare il freddo significava solo che non stava tremando. E preferiva pensare che il calore nelle sue gote avesse qualcosa a che fare con quello.

«Follia!» borbottò Dyelin a bassa voce, raccogliendo i vestiti. «Pura follia!»

«Cosa riguarda tutto questo?» sussurrò Birgitte. «Non dovrei venire con te?»

«Devo andare da sola» le mormorò Elayne di rimando. «Non discutere!»

Non che Birgitte le avesse dato espliciti segni di volerlo fare, ma il legame ne trasportava a bizzeffe. Togliendosi i cerchi dorati dalle orecchie, li pose a Birgitte, poi esitò prima di aggiungervi l’anello col Gran Serpente. Le Sapienti avevano detto che doveva venire come un bimbo alla nascita. Avevano fornito un gran numero di istruzioni, prima fra tutte di non dire a nessuno cosa sarebbe accaduto. A tale riguardo, sarebbe piaciuto saperlo anche a lei. Un bimbo nasceva senza sapere nulla di ciò che stava per accadere. I borbottii di Birgitte cominciarono ad assomigliare a quelli di Dyelin.

Nadere venne avanti col mantello, ma non fece altro che porgerglielo; fu Elayne a doverlo prendere e avvolgerlo rapidamente attorno a sé. Era ancora certa di poter percepire lo sguardo di Taim,. Tenendo stretta la pesante lana, il suo istinto fu di affrettarsi a lasciare la stanza, ma invece si erse in tutta la sua statura e si voltò lentamente. Non sarebbe sgattaiolata via avvolta in un mantello piena di vergogna.

Gli uomini che erano venuti con Taim, se ne stavano rigidi, con la faccia rivolta alle porte, e lo stesso Taim, stava scrutando il caminetto, le braccia incrociate sul petto. La sensazione dei suoi occhi era stata solo immaginazione, allora. Eccetto Nadere, le altre donne la guardavano con espressioni che variavano fra curiosità, costernazione e sorpresa. Nadere pareva semplicemente impaziente. Elayne cercò di assumere una voce il più possibile da regina. «Comare Harfor, offrite del vino a mastro Taim, e ai suoi uomini, prima che vadano.» Be’, almeno non tremava. «Dyelin, per favore, intrattieni la Maestra delle Onde e la Cercavento e vedi se riesci a dissipare i loro timori. Birgitte, aspetto di sentire il tuo piano di arruolamento stanotte.» Le donne che aveva nominato sbatterono le palpebre dallo stupore e annuirono senza parlare.

Poi se ne andò dalla stanza, seguita da Nadere, desiderando di aver potuto fare di meglio. L’ultima cosa che udì prima che le porte si chiudessero dietro di lei fu la voce di Zaida. «Strane usanze avete, voi terricoli.»

Nel corridoio tentò di muoversi un po’ più veloce, anche se non era semplice mentre impediva al mantello di spalancarsi. Le piastrelle rosse e bianche del pavimento erano molto più fredde dei tappeti nel soggiorno. Alcuni servi, avvolti nel calore di livree di lana buona, la fissarono mentre passava, poi si affrettarono a tornare ai propri compiti. Le fiamme delle lampade sui sostegni tremolavano; c’erano sempre degli spifferi nei corridoi. Di tanto in tanto l’aria si muoveva tanto da far increspare pigramente un arazzo alla parete.

«L’hai fatto di proposito, vero?» disse a Nadere, non intendendola proprio come una domanda. «Quando mi avessi chiamata, dovevi fare in modo che ci fossero molte persone a osservare. Per accertarti che adottare Aviendha fosse abbastanza importante per me.» Doveva essere più importante di qualunque altra cosa, le avevano detto. «Cosa avete fatto a lei

Aviendha talvolta sembrava avere ben poca modestia: se ne andava spesso in giro per i suoi appartamenti svestita e incurante, senza nemmeno fare caso a quando entravano i servitori. Far spogliare lei in mezzo alla folla non avrebbe provato nulla.

«Starà a lei dirtelo, se desidera» disse Nadere calma. «Sei acuta; molti non riescono a capirlo.» Il suo petto si gonfiò in un grugnito che avrebbe potuto essere una risata. «Quegli uomini che ti voltavano le spalle, e quelle donne che ti proteggevano. Vi avrei posto fine se l’uomo con la giubba ricamata non avesse continuato a guardare voltandosi appena per ammirarti i fianchi. E se il tuo rossore non avesse lasciato trasparire che lo sapevi.»

Elayne mancò un passo e inciampò. Il mantello si allargò, perdendo il poco calore corporeo che aveva intrappolato prima che lei riuscisse a richiuderlo di nuovo. «Quel lurido badamaiali!» borbottò. «Io... Io...!»

Dannazione a lei, cosa avrebbe potuto fare? Dirlo a Rand? Lasciare che si occupasse lui di Taim,? Mai e poi mai!

Nadere le lanciò un’occhiata interrogativa. «A molti uomini piace guardare il sedere di una donna. Smettila di pensare agli uomini, e inizia a pensare alla donna che vuoi come sorella.»

Arrossendo di nuovo, Elayne si concentrò su Aviendha. Non servì per niente a calmarle i nervi. C’erano cose specifiche a cui le era stato detto di pensare prima della cerimonia, e alcune la mettevano a disagio. Nadere uniformò il suo passo a quello di Elayne, e lei fece parecchia attenzione a non lasciare che le gambe sbucassero fuori dall’apertura del mantello — c’erano servi dappertutto — perciò impiegarono un bel po’ di tempo per raggiungere la stanza dove erano radunate le Sapienti, più di una dozzina di loro nelle loro gonne voluminose, bluse bianche e scialli scuri, adornate con collane e bracciali d’oro e argento, gemme e avorio, i loro lunghi capelli trattenuti indietro con sciarpe avvolte e annodate. Tutto il mobilio e i tappeti erano stati sgombrati, restavano solo le spoglie piastrelle bianche del pavimento, e neanche il fuoco nel caminetto. Qui, nel profondo del palazzo, senza finestre, il fragore del tuono si udiva a malapena. Gli occhi di Elayne si diressero subito verso Aviendha, in piedi all’estremità opposta della stanza. Nuda. Lei sorrise a Elayne nervosamente. Nervosamente! Aviendha! Scrollandosi rapidamente di dosso il mantello, Elayne le sorrise di rimando. Nervosamente, si rese conto. Aviendha emise una sommessa risata e, dopo un attimo, anche Elayne fece lo stesso. Luce, l’aria era fredda! E il pavimento lo era ancora di più!

Non conosceva la maggior parte delle Sapienti nella stanza, ma una faccia la colpì. I capelli prematuramente bianchi di Amy, combinati con fattezze che si distaccavano da quelle di mezza età delle altre, le conferivano un aspetto simile a quello di una Aes Sedai. Doveva aver Viaggiato da Cairhien. Egwene aveva istruito le camminatrici dei sogni per ripagare i loro insegnamenti su Tel’aran’rhiod. E per ripagare un debito, affermava, anche se non aveva mai chiarito quale.

«Speravo che Melanie sarebbe stata qui» disse Elayne. Le piaceva la moglie di Bael, una donna passionale e generosa. Non come le altre due nella stanza che aveva riconosciuto, l’ossuta Tamela, col suo volto spigoloso, e Viendre, una stupenda donna dal profilo aquilino e dagli occhi azzurri. Il Potere di entrambe era più forte del suo, più forte di qualunque altra Sorella aveva incontrato tranne Nynaeve. Si supponeva che questo non avesse importanza fra gli Aiel, ma non riusciva a pensare a nessun altro motivo per cui sogghignassero e la guardassero sempre dall’alto in basso. Si aspettava che Amys avrebbe preso il comando — Amys lo faceva sempre, sembrava — ma fu una donna bassa di nome Monaelle, dai capelli biondi con punte di rosso, a farsi avanti. Non era proprio bassa, tuttavia era l’unica donna nella stanza alta meno di Elayne. E anche il suo Potere era il più debole: a Tar Valon sarebbe stato a malapena sufficiente per farle ottenere lo scialle, se ci fosse andata. Forse per gli Aiel non contava davvero.

«Se Melanie fosse stata qui,» disse Monaelle, in tono brusco ma non ostile «i bambini che ha in grembo avrebbero fatto parte del vincolo fra te e Aviendha, se i filamenti li avessero sfiorati. Sempre che fossero sopravvissuti, certo; coloro che non sono ancora nati non sono abbastanza forti per questo. La domanda è: voi due lo siete?» Fece dei gesti con entrambe le mani, indicando dei punti sul pavimento poco distanti da lei. «Venite qui, in mezzo alla stanza, tutte e due.»

Per la prima volta, Elayne si rese conto che saidar avrebbe avuto una parte in questo. Aveva pensato che si sarebbe trattato solo di una cerimonia, uno scambio di impegni e forse la stipula di giuramenti. Cosa stava per accadere? Non importava, eccetto... Si mosse a passi strascicati verso Monaelle. «La mia Custode... Il nostro legame... Lei verrà... influenzata... da questo?» Aviendha, spostandosi per stare di fronte a lei, si era accigliata quando Elayne aveva esitato, ma alla domanda rivolse occhi sbigottiti verso Monaelle. Chiaramente, era qualcosa a cui non aveva pensato. La bassa Sapiente scosse vigorosamente il capo. «Nessuno al di fuori di questa camera può essere toccato dai filamenti. Lei può avvertire parte di ciò che condividete l’una con l’altra, per via del suo legame con te. Ma solo un minimo.» Aviendha tirò un sospiro di sollievo. Elayne le fece eco.

«Ora» proseguì Monaelle. «Ci sono cerimoniali da seguire. Venite. Non siamo capoclan che discutono pegni di acqua bevendo oosquai. » Ridendo per quella che sembrava una battuta sui capoclan e il forte liquore aiel, le altre donne formarono un circolo attorno ad Aviendha ed Elayne. Monaelle si sistemò con grazia sul pavimento, sedendo a gambe incrociate a due passi di distanza a lato delle donne nude. Il riso cessò quando la sua voce si fece formale. «Siamo riunite perché due donne desiderano essere sorelle prime. Noi stabiliremo se sono abbastanza forti e, in tal caso, le aiuteremo. Le loro madri sono presenti?»

Elayne sobbalzò, ma un attimo dopo Viendre era dietro di lei. «Io rappresento la madre di Elayne Trakand, che non può essere qui.» Le mani sulle spalle di Elayne, Viendre la spinse in avanti e la premette all’ingiù finché lei non fu in ginocchio sulle fredde piastrelle di fronte ad Aviendha, poi si inginocchiò dietro di lei. «Offro mia figlia per la sua prova.»

Tamela apparve dietro Aviendha, spingendola giù finché le sue ginocchia quasi toccarono quelle di Elayne, poi si rannicchiò dietro le sue spalle.

«Io rappresento la madre di Aviendha, che non può essere qui. Offro mia figlia per la sua prova.»

In un’altra occasione, Elayne avrebbe potuto emettere un risolino. Nessuna delle donne pareva più vecchia di cinque o sei anni rispetto ad Aviendha o a lei. Un’altra volta, non ora. Le Sapienti in piedi avevano espressioni solenni. Stavano studiando lei e Aviendha, come soppesandole, incerte che fossero all’altezza.

«Chi soffrirà i dolori del parto al loro posto?» chiese Monaelle, e Amys si fece avanti.

Altre due vennero con lei, una donna dai fiammeggianti capelli rossi di nome Shyanda, che Elayne aveva visto con Melanie, e una dai capelli grigi che non conosceva. Aiutarono Amys a spogliarsi completamente. Fiera nella sua nudità, Amys fronteggiò Monaelle e diede della pacche al proprio ventre teso. «Io ho portato in grembo bambini. Ho allattato» disse lei, con dei seni talmente sodi che facevano pensare che non avesse fatto nulla del genere. «Offro me stessa.»

Al solenne cenno di assenso di Monaelle, Amys si mise in ginocchio a due passi di distanza dall’altro lato di Elayne e Aviendha, e si sistemò. Shyanda e la Sapiente dai capelli grigi furono al suo fianco, e all’improvviso il bagliore del Potere circondò ogni donna nella stanza tranne Elayne, Aviendha e Amys.

Elayne trasse un profondo respiro e vide Aviendha fare lo stesso. Di tanto in tanto un braccialetto tintinnava contro un altro fra le Sapienti, l’unico suono nella stanza oltre al respiro e ai fiochi tuoni distanti. Fu quasi uno shock quando Monaelle parlò.

«Farete tutte e due come vi verrà ordinato. Se esiterete o dubiterete, la vostra dedizione non sarà abbastanza forte. Vi manderò via, e questa sarà la fine di tutto questo, per sempre. Vi porrò delle domande, e voi risponderete con sincerità. Se vi rifiuterete di rispondere, verrete mandate via. Se qualcuna qui penserà che state mentendo, verrete mandate via. Potrete andarvene di vostra iniziativa in qualunque momento, naturalmente. Anche questo decreterà la fine per sempre. Qui non ci sono seconde opportunità. Ora. Qual è la cosa migliore che sapete della donna che volete come sorella prima?»

Elayne quasi si aspettava quella domanda. Questa era una delle cose su cui le era stato detto di riflettere. Scegliere una virtù fra tante non era stato facile, tuttavia aveva la risposta pronta. Quando parlò, flussi di saidar all’improvviso si intrecciarono insieme fra lei e Aviendha, e nessun suono provenne dalla sua lingua, o da quella di Aviendha. Senza pensare, una parte della sua mente registrò i filamenti; anche ora cercare di apprendere faceva parte di lei quanto il colore dei suoi occhi. I flussi svanirono quando le sue labbra si chiusero.

«Aviendha è così sicura di sé, così fiera. Non le importa ciò che gli altri pensano che dovrebbe fare, o essere; lei è quella che vuole essere» Elayne udì la sua voce dire, mentre d’improvviso le parole di Aviendha erano udibili allo stesso tempo. «Anche quando Elayne è tanto spaventata che la sua bocca si secca, il suo spirito non si piega. Lei è più coraggiosa di chiunque abbia mai conosciuto.»

Elayne fissò la sua amica. Aviendha pensava che lei fosse coraggiosa?

Luce, non era certo una codarda, ma coraggiosa? Stranamente, Aviendha stava fissando lei con aria incredula.

«Il coraggio è un pozzo,» disse Viendre all’orecchio di Elayne «molto profondo in alcuni, poco in altri. Molto o poco: i pozzi alla fine si seccano, anche se vengono riempiti in seguito. Ti troverai davanti a qualcosa che non riuscirai ad affrontare. La tua spina dorsale diventerà di gelatina e il tuo decantato coraggio ti lascerà a piangere nella polvere. Quel giorno arriverà.» Suonava come se volesse essere lì a vederlo. Elayne fece un breve cenno di assenso. Sapeva della sua spina dorsale che diventava di gelatina; sembrava lottasse con questo ogni giorno.

Tamela stava parlando ad Aviendha, con una voce compiaciuta quanto quella di Viendre. «Il ji’e’toh ti lega come bande d’acciaio. Per ji, tu fai esattamente quello che ci si aspetta da te, fino in fondo. Per toh, se necessario, umilierai te stessa e striscerai sulla pancia. Perché ti importa fin nelle ossa quello che ciascuno pensa di te.»

Elayne rimase quasi senza fiato. Questo era duro e ingiusto. Sapeva qualcosa del ji’e’toh, ma Aviendha non era così. Tuttavia Aviendha stava annuendo, proprio come aveva fatto lei. Un’irrequieta accettazione di ciò che già sapeva.

«Nobili aspetti da amare in una sorella prima,» disse Monaelle, spostando il suo scialle all’ingiù fino ai gomiti «ma quale pensate che sia il suo peggior difetto?»

Elayne si agitò sulle ginocchia infreddolite e si umettò le labbra prima di parlare. Aveva temuto questo. Non era solo il monito di Monaelle. Aviendha aveva sostenuto che dovevano dire il vero. Dovevano, o a cosa valeva il vincolo di sorelle? Di nuovo i flussi tennero prigioniere le loro parole finché non ebbero terminato.

«Aviendha...» disse la voce di Elayne, esitante. «Lei... lei pensa che la violenza costituisca sempre la risposta. A volte, l’unica cosa a cui crede è il pugnale. A volte, è come un fanciullo che non vuole crescere!»

«Elayne sa che...» cominciò a voce di Aviendha, poi deglutì e andò avanti tutto d’un fiato. «Lei sa di essere bella, sa quale potere le dà sugli uomini. Espone metà del suo petto, a volte, all’aria, e sorride per far fare agli uomini ciò che vuole.»

Elayne rimase a bocca aperta. Aviendha pensava questo di lei? La faceva sembrare una sgualdrina! Aviendha si accigliò a sua volta e socchiuse la sua bocca, ma Tamela premette di nuovo le sue spalle e cominciò a parlare.

«Pensi che gli uomini non fissino il tuo viso e non gli piaccia ciò che vedono?» disse la Sapiente con voce incisiva: il miglior attributo che si poteva associare al suo volto era ‘forte’. «Non guardano i tuoi seni nella tenda della sauna? Non ammirano i tuoi fianchi? Sei bella, e tu lo sai. Negalo, e negherai te stessa! Hai provato piacere per gli sguardi degli uomini, e hai sorriso loro. Non sorrideresti mai a un uomo per dar più peso alle tue argomentazioni, o non toccheresti il suo braccio per distrarlo dalla loro debolezza? Lo farai, e questo non ti sminuirà.»

Un rossore si diffuse sulle gote di Aviendha, ma Elayne era occupata ad ascoltare Viendre. E a lottare contro il suo stesso imbarazzo. «C’è violenza dentro di te. Negalo, e negherai te stessa. Non sei mai caduta in preda alla rabbia e hai aggredito qualcuno? Non hai mai fatto scorrere sangue? Non l’hai mai desiderato? Neanche un pensiero? Finché respiri, sarà parte di te.» Elayne pensò a Taim, e ad altre occasioni, e il suo volto le parve una fornace. Questa volta, c’era più di un’unica risposta.

«Le tue braccia si indeboliranno» stava dicendo Tamela ad Aviendha.

«Le tue gambe perderanno la loro rapidità. Una giovane sarà in grado di strapparti il coltello di mano. A cosa ti gioveranno l’abilità o la ferocia allora? Le vere armi sono il cuore e la mente. Ma apprendesti a usare la lancia in un giorno, quando eri una Fanciulla? Se non affili ora la tua mente e il tuo cuore, diventerai vecchia e i bambini confonderanno le tue facoltà. I capoclan ti faranno sedere in un angolo a giocare a labirinto di fili e, quando parlerai, udiranno solo il vento. Fai attenzione finché puoi.»

«La bellezza passa» proseguì Viendre, rivolta a Elayne. «Gli anni faranno cedere i tuoi seni, la carne diventerà floscia, la pelle somiglierà sempre più al cuoio. Uomini che sorridevano vedendo il tuo viso ti parleranno proprio come se fossi un altro uomo. Tuo marito potrà vederti sempre come la prima volta che i suoi occhi si posarono su di te, ma nessun altro uomo ti sognerà. Non sarai più la stessa? Il tuo corpo è solo un vestito. La tua carne avvizzirà, ma tu sei la tua mente e il tuo cuore, ed essi non cambieranno tranne che per diventare più forti.»

Elayne scosse la testa. Non per negarlo. Non proprio. Non aveva mai pensato a invecchiare, però. Specialmente non da quando era andata alla Torre. Gli anni accarezzavano gentilmente perfino le Aes Sedai molto vecchie. Ma se fosse vissuta tanto a lungo quanto le donne della Famiglia?

Questo avrebbe significato rinunciare a essere una Aes Sedai, certo, ma se l’avesse fatto? Ci voleva un tempo enorme perché venissero le rughe alle componenti della Famiglia, ma alla fine segnavano anche loro. A cosa stava pensando Aviendha? Era inginocchiata lì con un’aria... imbronciata.

«Qual è la cosa più infantile che sapete della donna che volete come sorella prima?» disse Monaelle. Questo era più facile, non così problematico. Elayne sorrise perfino mentre parlava. Anche Aviendha lo fece, il broncio svanito. Di nuovo i flussi portarono le loro parole e le liberarono insieme, voci che contenevano ilarità.

«Aviendha non lascia che le insegni a nuotare. Ho tentato. Non ha paura di nulla, solo di entrare nell’acqua che sia appena più profonda di una vasca da bagno.»

«Elayne si ingozza di dolci con due mani come un bambino che sfugge allo sguardo di sua madre. Se continua così, sarà grassa come un maiale prima di diventare vecchia.»

Elayne sussultò. Si ingozza? Si ingozza? Non faceva che assaggiarne, ogni tanto. Solo ogni tanto. Grassa? E perché Aviendha la stava guardando torva? Rifiutarsi di entrare in acqua oltre il ginocchio era infantile. Monaelle nascose un leggero colpo di tosse con una mano, ma Elayne pensò che stesse celando un sorriso. Alcune delle Sapienti in piedi risero proprio. Per la stupidità di Aviendha? O per lei... che si ingozzava?

Monaelle riassunse la sua dignità, aggiustandosi le gonne sparse sul pavimento, ma c’era ancora una punta di ilarità nella sua voce. «Qual è la cosa che invidiate di più della donna che volete come sorella prima?»

Forse Elayne avrebbe potuto rispondere in maniera elusiva malgrado il requisito della sincerità. La verità le si era distesa davanti non appena le era stato detto di pensare a questo, ma aveva trovato qualcosa di più piccolo, meno imbarazzante per entrambe, che avrebbe superato l’ispezione. Forse. Ma c’era quella parte sul fatto che lei sorrideva agli uomini ed esponeva il petto. Forse sorrideva, è vero, ma Aviendha camminava di fronte ai servitori imbarazzati senza neanche uno straccio addosso e non sembrava nemmeno vederli! Dunque lei si ingozzava di dolci, eh? Sarebbe diventata grassa? Disse l’amara verità mentre i flussi catturavano le sue parole e la bocca di Aviendha si muoveva in un cupo silenzio, finché alla fine quello che avevano detto non venne liberato.

«Aviendha ha giaciuto fra le braccia dell’uomo che amo. Io non l’ho mai fatto; potrei non farlo mai e lo rimpiangerei!»

«Elayne ha l’amore di Rand al’Th... di Rand. Il mio cuore è reso polvere dal desiderio che lui mi ami, ma non so se lo farà mai.»

Elayne scrutò il volto indecifrabile di Aviendha. Era gelosa di lei per Rand? Quando quell’uomo evitava Elayne Trakand come se lei avesse la scabbia? Non ebbe altro tempo per pensarci.

«Colpiscila più forte che puoi con la mano aperta» disse Tamela ad Aviendha, togliendole le sue stesse mani dalle spalle. Viendre strizzò piano quelle di Elayne. «Non difenderti.» Nessuno aveva loro detto nulla di questo! Di certo, Aviendha non avrebbe... Sbattendo le palpebre, Elayne si rialzò dalle gelide piastrelle del pavimento. Si toccò con circospezione la guancia e trasalì. Le sarebbe rimasta l’impronta del palmo per tutto il giorno. Quella donna non doveva colpirla così forte.

Tutte attesero finché lei non fu di nuovo in ginocchio, poi Viendre si avvicinò chinandosi.

«Colpiscila più forte che puoi con la mano aperta.»

Be’, non avrebbe certo colpito Aviendha in preda alla foga. Non avrebbe... Uno schiaffo a braccio teso mandò Aviendha lunga distesa sulle piastrelle, facendola scivolare quasi fino a Monaelle. Il palmo di Elayne le bruciava quasi quanto la guancia.

Aviendha si rimise dritta in modo malfermo, scrollò la testa, poi tornò carponi alla sua posizione. E Tamela disse: «Colpiscila con l’altra mano.»

Questa volta, Elayne scivolò sulle piastrelle gelate fino ad Amys, la testa che le ronzava, entrambe le guance che bruciavano. E quando tornò in ginocchio di fronte ad Aviendha, quando Viendre le disse di colpire, lei mise nello schiaffo tutto il suo corpo, tanto che quasi crollò su Aviendha quando l’altra donna cadde.

«Potete andare ora» disse Monaelle.

Gli occhi di Elayne si posarono di colpo sulle Sapienti. Aviendha, quasi tornata in ginocchio, si fece rigida come pietra.

«Se lo desiderate» proseguì Monaelle. «È quello che fanno di solito gli uomini, a questo punto, se non prima. Anche molte donne lo fanno. Ma se vi amate ancora abbastanza da andare avanti, allora abbracciatevi.»

Elayne si gettò verso Aviendha e incontrò un impeto che la fece quasi cadere all’indietro. Si strinsero l’una all’altra. Elayne sentì le lacrime colarle dagli occhi e si rese conto che anche Aviendha stava piangendo. «Mi spiace» sussurrò Elayne con fervore. «Mi spiace, Aviendha.»

«Perdonami» le mormorò Aviendha di rimando. «Perdonami.»

Monaelle era in piedi sopra di loro, adesso. «Conoscerete la rabbia reciproca di nuovo, vi rivolgerete parole aspre, ma vi ricorderete sempre di esservi già colpite. E solo perché così vi era stato detto. Lasciate che quei colpi valgano per tutti quelli che vorrete darvi. Avete toh l’una nei confronti dell’altra, toh che non potete né proverete a ripagare, poiché ogni donna è sempre in debito con la propria sorella prima. Rinascerete.»

La sensazione di saidar nella stanza stava cambiando, ma Elayne non aveva modo di capire come ci avesse solo pensato. La luce scemò man mano che le lampade venivano spente. La sensazione dell’abbraccio di Aviendha scemò. Il suono scemò. L’ultima cosa che udì fu la voce di Monaelle. «Rinascerete.» Ogni cosa sbiadì. Lei sbiadì. Lei cessò di esistere. Una sorta di consapevolezza. Non riusciva a pensare a sé stessa, non riusciva a pensare affatto, ma era consapevole. Del suono. Lo sciacquio di un liquido attorno. Muti gorgoglii e rimbombi. E un tonfo ritmico. Più forte di ogni altro suono. Tu-tum. Tu-tum. Non conosceva la contentezza, ma era contenta. Tu-tum.

Tempo. Non conosceva il tempo, ma le Epoche passavano. C’era un suono dentro di lei, un suono che era lei. Tu-tum. Lo stesso suono, lo stesso ritmo dell’altro. Tu-tum. E da un altro posto, vicino. Tu-tum. Diverso. Tu-tum. Lo stesso suono, lo stesso battito, come il suo. Non diverso. Erano lo stesso; erano uno. Tu-tum.

L’eternità passò al ritmo di quella pulsazione, tutto il tempo che era mai esistito. Toccò l’altra che era lei. Poteva percepirla. Tu-tum. Si mosse, lei e l’altra che era lei, contorcendosi l’una contro l’altra, arti che si aggrovigliavano, rotolavano via ma poi tornavano sempre a toccarsi. Tu-tum. C’era luce, alle volte, nel buio; tanto fioca da non consentire di vedere, ma vivida per qualcuno che non aveva conosciuto altro che il buio. Tu-tum. Aprì gli occhi, fissò gli occhi dell’altra che era lei, poi chiuse di nuovo i suoi, contenta. Tu-tum. Cambiamento, improvviso, scioccante per qualcuno che non aveva mai conosciuto alcun cambiamento. Pressione. Tu-tum-tu-tum. Quel battito confortante era più rapido. Pressione convulsa. Ancora. Ancora. Sempre più forte. Tu-tum-tu-tum! Tu-tum-tu-tum!

All’improvviso, l’altra che era lei... non c’era più. Era sola. Non conosceva la paura, ma era spaventata, e sola. Tu-tum-tu-tum! Pressione! Più forte di qualunque altra cosa prima d’ora! Che la stringeva, la stritolava. Se avesse saputo come urlare, se avesse saputo cos’era un urlo, avrebbe strillato. E poi luce, accecante, piena di motivi vorticanti. Aveva peso; non aveva mai avvertito peso prima. Un dolore lacerante al centro di lei. Qualcosa le solleticò il piede. Qualcosa la schiena. Sulle prime non si rese conto che il suono lamentoso proveniva da lei. Scalciò debolmente, agitò arti che non sapeva come muovere. Venne sollevata, appoggiata su qualcosa di soffice, ma più rigido di qualunque cosa avesse sentito prima, tranne i ricordi dell’altra che era lei, l’altra che non c’era più. Tu-tum. Tu-tum. Il suono. Lo stesso suono, lo stesso battito. Regnava la solitudine, non riconosciuta, ma c’era anche contentezza.

La memoria cominciò a tornare, lentamente. Sollevò il capo da uno dei seni di Amys e alzò lo sguardo verso il suo volto. Sì, Amys. Lucida di sudore e con gli occhi stanchi, ma sorridente. E lei era Elayne; sì, Elayne Trakand. Ma c’era qualcos’altro in lei, ora. Diverso dal legame col Custode, ma in qualche modo simile. Più flebile, ma più straordinario. Lentamente, su un collo che traballava incerto, voltò la testa per guardare l’altra che era lei, appoggiata sull’altro seno di Amys. Per guardare Aviendha, i capelli arruffati, il volto e il corpo luccicanti di sudore. Sorridente di gioia. Ridendo, piangendo, si strinsero l’una all’altra e così rimasero come se non avessero intenzione di smettere.

«Questa è mia figlia Aviendha,» disse Amys «e questa è mia figlia Elayne, nate nello stesso giorno, alla stessa ora. Che possano sempre proteggersi a vicenda, aiutarsi, amarsi a vicenda.» Lei rise piano, stanca, con amore. «E ora perché qualcuno non ci porta degli indumenti prima che io e le mie nuove figlie ci congeliamo?»

In quel momento a Elayne non importava morire di freddo. Rimase stretta ad Aviendha fra risa e lacrime. Aveva finalmente trovato sua sorella. Luce, aveva trovato sua sorella!

Toveine Gazai si svegliò ai rumori di un sommesso andirivieni, altre donne che si muovevano in giro, alcune che parlavano piano. Distesa sulla sua branda stretta e dura, sospirò dal dispiacere. Le sue mani attorno alla gola di Elaida erano state solo un piacevole sogno. Questa stanzetta dalle pareti di tela era la realtà. Aveva dormito male e si sentiva smagrita, svuotata. Aveva anche dormito fino a tardi; non avrebbe avuto tempo per la colazione. Riluttante, si scostò di dosso le coperte. L’edificio era stato una sorta di piccolo magazzino, con pareti spesse e pesanti travi sul soffitto, ma non forniva alcun calore. Il suo respiro si condensò e la gelida aria mattutina la raggiunse attraverso la sottoveste prima ancora che i suoi piedi toccassero lo scabro assito. Pur contemplando di poter rimanere a letto in questo posto, aveva i suoi ordini. Il sordido legame di Logain rendeva impossibile disobbedirgli, a prescindere da quanto spesso lei lo desiderasse. Cercava sempre di pensare a lui semplicemente come Ablar o, al peggio, come mastro Ablar, ma quello che le veniva sempre alla mente era Logain. Il nome che l’aveva reso famigerato. Logain, il falso Drago che aveva sbaragliato gli eserciti del suo stesso nativo Ghealdan. Logain, che si era fatto strada attraverso i pochi Altarani e Murandiani con abbastanza fegato da cercare di fermarlo finché non aveva minacciato Lugard stessa. Logain, che era stato domato e in qualche modo poteva incanalare di nuovo, che aveva osato fissare il suo contaminato flusso di saidin su Toveine Gazai. Un peccato per lui non averle ordinato di smettere di pensare! Lei poteva percepire quell’uomo, nei recessi della propria mente. Era sempre lì. Per un istante, chiuse gli occhi a forza. Luce! La fattoria di comare Doweel era sembrata il Pozzo del Destino, anni di esilio e penitenza senza via d’uscita tranne l’impensabile: diventare una rinnegata braccata. A malapena mezza settimana dalla sua cattura, sapeva che non era così. Questo era il Pozzo del Destino. E non c’era modo per fuggire. Rabbiosa, scosse il capo e con le dita si sfregò via dalle gote l’umidità luccicante. No! Sarebbe fuggita, in qualche modo, anche solo per mettere le sue vere mani attorno alla gola di Elaida. In qualche modo.

A parte la branda, c’erano solo altri tre pezzi di mobilio, tuttavia le lasciavano poco spazio per muoversi. Ruppe il ghiaccio nella brocca striata di giallo sopra il lavabo col suo pugnale, riempì la bacinella sbeccata e incanalò per riscaldare l’acqua finché non si levarono dei fili di vapore. Le era consentito incanalare per quello. Quello e nient’altro. In maniera meccanica, si lavò i denti sfregandoseli con sale e soda, poi prese una sottoveste pulita e delle calze dalla piccola cassapanca di legno ai piedi della branda. Lasciò dentro il suo anello, riposto sotto tutto il resto in un borsellino di velluto. Un altro ordine. Tutte le sue cose erano qui, tranne la sua scrivania portatile. Per fortuna, quella era andata perduta quando era stata presa. I suoi vestiti erano su un appendiabiti, l’ultimo pezzo di mobilio della stanza. Scegliendone uno senza guardarlo davvero, se lo mise addosso in modo meccanico, poi si pettinò e si spazzolò i capelli. La spazzola col manico d’avorio rallentò quando si vide davvero nello scadente specchio pieno di bolle del lavabo. Respirando in modo irregolare, appoggiò la spazzola accanto al pettine. L’abito che aveva scelto era di lana finemente intessuta, di un rosso tanto scuro e disadorno da sembrare quasi nero. Nero, come la giubba di un Asha’man. La sua immagine distorta la fissava a sua volta, contorcendo le labbra. Cambiarsi sarebbe stata una sorta di resa. Con fare determinato, afferrò il suo mantello bordato di martora dall’appendiabiti. Quando scostò il lembo di tela che fungeva da porta, all’incirca venti sorelle occupavano già il lungo corridoio centrale fiancheggiato da stanze di tela. Qua e là c’erano alcune che parlavano sussurrando, ma il resto evitava gli occhi delle altre, anche quando appartenevano alla stessa Ajah. Molte mostravano paura, ma era la vergogna che ricopriva la maggior parte dei volti. Akoure, una corpulenta Grigia, stava fissando la mano su cui di norma indossava l’anello. Desandre, una Gialla slanciata, nascondeva la sua mano destra sotto l’ascella.

Le sommesse conversazioni si smorzarono quando apparve Toveine. Diverse donne le rivolsero uno sguardo apertamente ostile. Incluse Jenare e Lemai, della sua stessa Ajah! Desandre si riprese abbastanza da voltarle le spalle con freddezza. Nel giro di due giorni, cinquantuno Aes Sedai erano cadute prigioniere di quei mostri in giubba nera, e cinquanta di loro incolpavano Toveine Gazai come se Elaida a’Roihan non avesse alcuna parte nel disastro. Se non fosse stato per l’intervento di Logain, avrebbero ottenuto vendetta la loro prima notte lì. Non aveva apprezzato che lui vi avesse messo un freno, costringendo Carniele a Guarire le sferzate delle cinture, i lividi di pugni e calci. Avrebbe preferito che percuotessero lei a morte, piuttosto che essere in debito con lui.

Mettendosi il mantello sulle spalle, camminò con orgoglio lungo il corridoio, fuori nella pallida luce del mattino che si adattava al suo umore stremato. Dietro di lei, qualcuna gridò parole acide prima che le porte si richiudessero. Le sue mani tremavano mentre si tirava su il cappuccio, rannicchiandosi nella scura pelliccia attorno al volto. Nessuno che tiranneggiasse Toveine Gazai la passava liscia. Perfino comare Doweel, che l’aveva ridotta a una parvenza di sottomissione nel corso degli anni, l’aveva imparato quando il suo esilio era terminato. Gliel’avrebbe fatta vedere. Gliel’avrebbe fatta vedere a tutte!

Il dormitorio che condivideva con le altre si trovava alla periferia di un grosso villaggio, per quanto molto singolare. Un villaggio di Asha’man. Altrove, così le era stato detto, il terreno era delimitato per strutture che essi affermavano che avrebbero fatto sembrare insignificante la Torre Bianca, ma era in edifici del genere che molti di loro vivevano ora. Cinque grosse, robuste caserme di pietra, disposte ad ampi intervalli come i fabbricati di Tar Valon, potevano contenere un centinaio di soldati Asha’man ciascuna. Non erano ancora piene, grazie alla Luce, ma delle impalcature coperte di neve attorno alle spesse mura di altre due attendevano l’arrivo di operai, quasi pronte per essere ricoperte con un tetto di paglia. Quasi una dozzina di strutture di pietra più piccole era fatta per contenere dieci Dedicati ciascuna, e anche un’altra di quelle era in costruzione. Sparse attorno a esse si ergevano quasi duecento case simili a quelle di qualunque villaggio, dove vivevano alcuni degli uomini sposati e le famiglie di altri che non erano abbastanza avanti con l’allenamento. Gli uomini che potevano incanalare non la spaventavano. Una volta aveva ceduto al panico per un istante, certo, ma non era questo il punto. Cinquecento uomini che potevano incanalare, comunque, erano come un ossicino incuneato fra i denti che non riusciva a togliere. Cinquecento! E potevano Viaggiare, alcuni di loro almeno. Un ossicino affilato. Inoltre, aveva percorso un miglio o più attraverso il bosco, fino al muro. Quello la spaventava, ciò che significava. Non era completo in alcun punto, non era più alto di dodici o quindici piedi da nessuna parte, né era ancora cominciata la costruzione delle torri o dei bastioni. In alcuni punti, avrebbe potuto arrampicarsi sulle pile di pietra nera, se non fosse stato per i suoi ordini di non tentare di fuggire. Quella cosa correva per otto miglia, però, e credeva a Logain quando diceva che era stata iniziata meno di tre mesi prima. Quell’uomo l’aveva in suo potere tanto saldamente da non preoccuparsi di mentire. Lui chiamava il muro uno spreco di tempo e di risorse, e forse lo era, ma questo le faceva battere i denti. Solo tre mesi. Costruito usando il Potere. La metà maschile del Potere. Quando pensava a quel muro nero, vedeva una forza implacabile che non poteva essere fermata, una valanga di pietra nera che scivolava per seppellire la Torre Bianca. Impossibile, ovviamente. Impossibile, ma quando non sognava di strangolare Elaida, sognava quello. C’era stata una nevicata durante la notte, e una pesante coltre bianca ricopriva ogni tetto, ma non dovette avanzare con prudenza lungo le ampie strade. La terra battuta era stata ripulita, una delle incombenze degli uomini in addestramento prima che sorgesse il sole. Usavano il Potere per tutto, dal riempire i contenitori di legna al pulirsi gli abiti! Uomini vestiti di nero si affrettavano su e giù per le strade, e molti si stavano radunando in file di fronte alle loro caserme mentre altri facevano l’appello a gran voce. Donne infagottate per il freddo camminavano attorno, portando placidamente canestri al magazzino del furiere o secchi d’acqua alla fontana più vicina, anche se come potessero rimanere, sapendo quello che i loro mariti erano, andava oltre la comprensione di Taverne. Ancora più bizzarro, dei bambini scorrazzavano su e giù per le strade, attorno ai ranghi di uomini che potevano incanalare, urlando e ridendo, facendo rotolare cerchi, tirandosi palle dipinte, giocando con bambole o cani. Un briciolo di normalità che inaspriva il malvagio fetore del resto. Davanti a lei, un gruppo a cavallo stava procedendo al passo su per la strada. Nel breve tempo che era stata lì — un tempo infinito — non aveva visto nessuno cavalcare nel villaggio, eccetto operai su carri o calessi. Né alcun visitatore, cosa che questi dovevano ovviamente essere. Cinque uomini in nero stavano scortando una dozzina in giubbe rosse e mantelli delle guardie della regina, con alla testa due donne dai capelli biondi, una avvolta in un mantello rosso e bianco bordato di pelliccia nera e l’altra... Le sopracciglia di Toveine si sollevarono. L’altra indossava verdi pantaloni Kandori e una giubba confezionata come se fosse del capitano generale delle guardie. Il suo mantello rosso aveva perfino i nodi del grado sulla spalla! Forse si sbagliava sugli uomini. Quella non l’avrebbe passata liscia se avesse incontrato delle vere guardie. In ogni caso, era stranamente presto per le visite. Ogni volta che lo strano gruppo raggiungeva una delle formazioni, l’uomo lì di fronte urlava «Asha’man, a-t-tenti!» e i tacchi dei suoi stivali percuotevano la terra battuta mentre gli altri al segnale si irrigidivano come pilastri di pietra.

Tirandosi più su il cappuccio per nascondere meglio il volto, Toveine si spostò a lato dell’ampia strada, proprio accanto all’angolo di una delle piccole caserme di pietra. Ne uscì un uomo anziano con la barba biforcuta, una spilla d’argento a forma di spada sul suo alto colletto, che la osservò con aria curiosa senza rallentare la sua andatura.

Ciò che lei aveva fatto la colpì come una secchiata d’acqua gelida fino a farla quasi piangere. Nessuno di quegli stranieri avrebbe notato la faccia di una Aes Sedai, sempre che potessero riconoscerla. Se una di quelle donne poteva incanalare, per quanto fosse improbabile, non era passata abbastanza vicino da capire che anche Toveine poteva farlo. Fremeva e si crucciava su come disobbedire a Logain, e poi faceva tutto ciò che serviva per eseguire le sue istruzioni senza nemmeno pensarci!

Come atto di sfida, si fermò dove si trovava, voltandosi per osservare i visitatori. In maniera automatica, le mani controllarono il cappuccio prima che potesse portarle ai fianchi. Era pietoso e ridicolo. Conosceva l’Asha’man che guidava il gruppo, almeno di vista, un uomo corpulento di mezz’età con capelli neri unti, un sorriso viscido e occhi rapaci. Ma non conosceva nessun altro. Cosa poteva sperare di ottenere con questo? Come poteva affidare un messaggio a chiunque di loro? Perfino se la scorta fosse svanita, come poteva avvicinarsi abbastanza da passare un messaggio quando le era proibito rivelare la presenza di Aes Sedai agli estranei?

Il tizio dagli occhi rapaci sembrava annoiato dalla sua mansione di questa mattina, e si preoccupava a malapena di nascondere i suoi sbadigli dietro una mano guantata. «...Quando avremo finito qui,» stava dicendo mentre passava davanti a Toveine «vi mostrerò il Quartiere dei Mestieri. Decisamente più grande di questo. Abbiamo ogni tipo di artigiani: muratori, carpentieri, fabbri e sarti. Possiamo fare ogni cosa di cui abbiamo bisogno, lady Elayne.»

«Tranne le rape» disse una delle donne ad alta voce, e l’altra rise. Toveine sussultò. Osservò i cavalieri muoversi lungo la strada accompagnati dallo sbraitare degli ordini e dal ritmo del passo. Lady Elayne Trakand? La più giovane delle due poteva corrispondere alla descrizione che le era stata data. Elaida non aveva rivelato perché disperasse tanto dal mettere le mani su un’Ammessa fuggitiva, perfino una che poteva diventare regina ma non permetteva mai che una Sorella lasciasse la Torre senza ordini su cosa fare nel caso in cui l’avesse incontrata. Sta’ molto attenta, Elayne, pensò Toveine. Non mi piacerebbe che Elaida avesse la soddisfazione di mettere le mani su di te.

Voleva pensare a questo, alla possibilità che ci fosse qualche modo per servirsi della presenza della ragazza qui, ma all’improvviso fu consapevole delle sensazioni nei recessi della sua mente. Un moderato appagamento e un crescente proposito. Logain aveva terminato di far colazione. Sarebbe uscito presto. Le aveva detto di essere lì, per allora.

Prima che potesse rifletterci i suoi piedi stavano già correndo. Col risultato che le gonne le si impigliarono nelle gambe e lei cadde duramente a terra, restando senza fiato. Rabbia e furia montavano dentro di lei, ma si rialzò in piedi e, senza fermarsi a togliersi di dosso la polvere, raccolse le sue gonne fino alle ginocchia e riprese a correre, col mantello che le si gonfiava dietro. Le grida roche degli uomini la seguivano lungo la strada, e bambini ridevano e la indicavano mentre lei li superava correndo. All’improvviso un branco di cani le fu attorno, ringhiando e cercando di morderle le caviglie. Lei saltò, roteò e scalciò, ma quelli la incalzavano. Voleva strillare dalla frustrazione e dalla furia. I cani erano sempre una seccatura e lei non poteva incanalare nemmeno una piuma per cacciarli via. Un segugio grigio strappò con un morso un pezzo della sua gonna, strattonandola di lato. Il panico ebbe la meglio su tutto il resto. Se fosse caduta di nuovo, l’avrebbero sbranata.

Una donna urlante vestita di lana marrone vibrò il suo pesante canestro contro il cane che stava strattonando la gonna di Toveine, costringendolo a scansarlo. Il secchio di una donna rotonda colpì un cagnaccio striato nelle costole e quello corse via uggiolando. Toveine rimase a bocca aperta dalla sorpresa e, per la sua disattenzione, dovette ritrarre la gamba sinistra da un altro cane al costo di un pezzo di calza e un po’ di pelle. Tutt’attorno a lei c’erano donne che percuotevano gli animali con qualunque cosa avessero in mano.

«Vai pure, Aes Sedai» le disse una scarna donna dai capelli ingrigiti, sferzando un cane a macchie con uno scudiscio. «Non ti importuneranno più. A me piacerebbe un bel gatto, ma i gatti ora non tollerano mio marito. Vai.»

Toveine non attese di ringraziare le sue salvatrici. Corse, riflettendo furiosamente. Le donne sapevano. Se sapeva una, lo sapevano tutte. Ma non avrebbero portato alcun messaggio, non le avrebbero fornito alcun aiuto per fuggire, non quando loro stesse erano disposte a rimanere. Non se capivano cosa stavano aiutando. Era quello il motivo. Poco lontano dalla casa di Logain, una delle tante lungo una stretta via laterale, rallentò e velocemente lasciò ricadere le sue gonne. Otto o nove uomini in giubbe nere stavano aspettando fuori, di tutte le età, ma non c’era ancora traccia di Logain. Poteva ancora percepirlo, pieno di proposito ma concentrato. Forse stava leggendo. Camminò per il resto del tragitto a passo solenne. Calma e in tutto e per tutto una Aes Sedai, qualunque fossero le circostanze. Era quasi riuscita a dimenticare la sua frenetica fuga dai cani. La casa la sorprendeva ogni volta che la vedeva. Le altre su quella strada erano fino a due volte più grandi. Una normale casa di legno a due piani, anche se la porta, le imposte e le finestre rosse sembravano strane. Semplici tende nascondevano l’interno, ma, anche se fossero state aperte, il vetro delle finestre era tanto scadente che dubitava che avrebbe potuto vedere dentro chiaramente. Una casa adatta per un bottegaio fallito, non certo la residenza di uno degli uomini più famosi al mondo.

Si domandò di sfuggita cosa stesse trattenendo Gabrelle. L’altra Sorella vincolata a Logain aveva le sue stesse istruzioni e, finora, era sempre arrivata lì per prima. Gabrelle era entusiasta e studiava gli Asha’man come se intendesse scrivere un libro sull’argomento. Forse era così; le Marroni avrebbero scritto di qualunque cosa. Scacciò dalla mente il pensiero dell’altra Sorella. Anche se, nel caso in cui Gabrelle fosse arrivata in ritardo, avrebbe voluto scoprire come c’era riuscita. Per ora, aveva altro da studiare. Gli uomini fuori dalla porta rossa la osservarono, ma non dissero nulla, nemmeno fra loro. Tuttavia non c’era animosità. Stavano solo aspettando. Nessuno indossava un mantello, anche se il loro respiro si condensava in pallide piume di fronte alle loro facce. Erano tutti Dedicati, con la spilla d’argento a forma di spada sui colletti.

Era stato così ogni mattina in cui si era presentata in questo modo, anche se non erano sempre gli stessi uomini. Conosceva alcuni, i loro nomi almeno, e talvolta qualche altra informazione che aveva racimolato. Evin Vinchova, il bel ragazzo che era lì quando Logain l’aveva catturata, era appoggiato contro un angolo della casa e giocherellava con un pezzo di corda. Donalo Sandomere, se quello era il suo vero nome, col suo grinzoso volto da contadino e la barba accuratamente spuntata, si sforzava di assumere la posa languida che riteneva tipica dei nobili. Androl Genhald di Tarabon, un tizio robusto con delle pesanti sopracciglia corrucciate in atteggiamento pensieroso teneva le mani dietro la schiena; indossava un anello d’oro con sigillo, ma a lei sembrava un novellino che si fosse tagliato i baffi e avesse abbandonato il velo. Mezar Kurin, un Domanese con le tempie grigie, tastava il granato al suo orecchio sinistro; poteva essere un nobile minore. Stava accumulando un bell’elenco di nomi e volti nella propria testa. Presto o tardi sarebbero stati braccati, e ogni brandello di informazione che poteva aiutare a identificarli sarebbe stato utile.

La porta rossa si aprì e gli uomini si raddrizzarono, ma non fu Logain a uscire.

Taverne sbatté le palpebre dalla sorpresa, poi incontrò i caliginosi occhi verdi di Gabrelle con uno sguardo piatto, non facendo alcuno sforzo per nascondere il suo disgusto. Dal maledetto legame con Logain le era chiaro quello in cui era stato impegnato la notte prima — lei aveva temuto di non riuscire più ad addormentarsi! — ma neanche nelle sue più oscure fantasie aveva sospettato di Gabrelle! Alcuni degli uomini sembravano sbalorditi quanto lei. Alcuni cercarono di nascondere dei sorrisetti. Kurin sogghignò apertamente, lisciandosi i sottili baffetti con un pollice. Quella fosca donna non aveva nemmeno la decenza di arrossire. Sollevò ancor di più il mento, poi si aggiustò con aria spavalda il vestito blu scuro sui fianchi, come per lasciar intendere che lo aveva appena indossato. Drappeggiandosi il mantello attorno alle spalle, legò i nastri, mentre si muoveva verso Toveine con la stessa serenità come se fosse di nuovo nella Torre.

Toveine l’afferrò per il braccio, tirandola a qualche metro dagli uomini.

«Possiamo essere prigioniere, Gabrelle,» le sussurrò con durezza «ma non c’è motivo di arrendersi. Specialmente all’ignobile lussuria di Ablar!» L’altra donna non sembrava affatto imbarazzata! Le sovvenne un pensiero. Ma certo. «Te l’ha...? Te l’ha ordinato

Con qualcosa di simile a un ghigno, Gabrelle si liberò dalla sua stretta.

«Toveine, mi ci sono voluti due giorni per decidere di ‘arrendermi’ alla sua lussuria, per dirla con le tue parole. Mi ritengo fortunata che me ne siano serviti solo quattro per convincerlo a lasciarmelo fare. Voi Rosse potete non esserne a conoscenza, ma gli uomini amano parlare e chiacchierare. Tutto ciò che basta fare è ascoltare, o almeno far finta, e un uomo ti racconterà tutta la sua vita.» Un cipiglio pensieroso le increspò la fronte e la piega delle labbra svanì. «Mi chiedo se sia così per le donne comuni.»

«Se sia così, come?» domandò Toveine. Gabrelle lo stava forse spiando?

O stava solo cercando di ottenere altro materiale per il suo libro? Ma questo era inconcepibile, anche per una Marrone! «Di cosa stai parlando?»

Il volto di Gabrelle manteneva un’espressione meditabonda. «Mi sentivo... impotente. Oh, lui era gentile, ma prima non avevo mai pensato quanto sono forti le braccia di un uomo o all’eventualità che io non fossi in grado di incanalare nemmeno un po’. Lui... aveva il controllo, suppongo, anche se non è proprio così. Solo... più forte, e io lo sapevo. Era stranamente... stimolante.»

Toveine rabbrividì. Gabrelle doveva essere impazzita! Stava per dirglielo quando Logain in persona apparve, chiudendo la porta dietro di sé. Era alto, più alto di ogni altro uomo lì, capelli scuri che sfioravano le ampie spalle e incorniciavano il volto arrogante. Sul suo alto colletto portava la spada argentea e quel ridicolo serpente con le zampe. Scoccò un sorriso a Gabrelle mentre gli altri si radunavano attorno a lui. E quella sfacciata gli sorrise a sua volta. Toveine rabbrividì di nuovo. Stimolante. Quella donna era pazza!

Come le mattine precedenti, gli uomini cominciarono a fare rapporto. La maggior parte delle volte, Toveine non riusciva a comprenderne il significato, ma ascoltava.

«Ho trovato altri due che sembrano interessati al nuovo tipo di Guarigione che quella Nynaeve ha usato su di te, Logain,» disse Genhald, corrucciato «ma uno riesce malapena ad adoperare la Guarigione che già conosciamo, mentre l’altro vuole sapere di più di quello che sono stato in grado di dirgli.»

«Puoi dirgli tutto quello che so» rispose Logain. «La signora al’Meara non mi ha detto molto di ciò che stava facendo, e io ho potuto apprendere solo dei piccoli frammenti dalle parole delle altre Sorelle. Continua semplicemente a piantare il seme, nella speranza che cresca qualcosa. È tutto ciò che puoi fare.» Diversi altri uomini annuirono insieme a Genhald. Toveine prese nota di quel rapporto. Nynaeve al’Meara. Aveva udito spesso quel nome dopo essere tornata alla Torre. Un’altra Ammessa fuggitiva, un’altra che Elaida desiderava riprendere più di quanto si poteva reputare normale. E proveniva anche dallo stesso villaggio di al’Thor. E in qualche modo era collegata a Logain. Questo poteva condurre a qualcosa, finalmente. Ma un nuovo tipo di Guarigione? Utilizzato da un’Ammessa?

Era improbabile, quasi impossibile, ma aveva visto l’impossibile accadere prima, perciò lo serbò nella sua memoria. Notò che anche Gabrelle ascoltava con attenzione. Ma la stava anche osservando con la coda dell’occhio.

«C’è un problema con alcuni degli uomini dei Fiumi Gemelli, Logain» disse Vinchova. Un rossore di collera si fece strada sul suo volto liscio.

«Uomini, dico io, ma questi due sono ragazzi, quattordici anni al massimo!

Non vogliono dirlo.» Lui stesso poteva avere un anno o due in più, con le sue guance imberbi. «Portarli qui è stato uno sbaglio.»

Logain scosse la testa; era difficile dire se fosse per rabbia o per rammarico. «Ho sentito che la Torre Bianca prende ragazze addirittura di dodici anni. Bada agli uomini dei Fiumi Gemelli come puoi. Non viziarli, altrimenti gli altri se la prenderanno con loro, ma cerca di fare in modo che non facciano nulla di stupido. Il lord Drago potrebbe non apprezzare se ne uccidiamo troppi delle sue parti.»

«Non sembra che gli importi poi molto, a quanto posso vedere» borbottò un tizio azzimato. Aveva un forte accento murandiano, anche se i suoi baffi fieramente arricciati la dicevano lunga sulla sua provenienza. Stava rigirando un moneta d’argento fra le dita e sembrava tanto concentrato su quello quanto su Logain. «A quanto ho udito è stato lo stesso lord Drago a dire al M’Hael di prendere dai Fiumi Gemelli qualunque essere di sesso maschile che potesse incanalare, perfino i galli. Con tutti quelli che ha riportato, sono sorpreso che non abbia preso anche i pulcini e gli agnelli.» Dei risolini si levarono alla sua battuta, ma il tono pacato di Logain vi diede un taglio come una lama.

«Qualunque cosa il lord Drago abbia ordinato, confido che i miei ordini siano chiari.» Ogni testa annuì stavolta e alcuni uomini mormorarono: «Sì, Logain» e «Come dici tu, Logain.»

Toveine fece sparire in fretta il ghigno dalle sue labbra. Zotici ignoranti. La Torre accettava ragazze sotto i quindici anni solo se avevano già cominciato a incanalare. Il resto era interessante, però. Ancora i Fiumi Gemelli. Tutti dicevano che al’Thor avesse voltato le spalle alla sua patria, ma lei non ne era tanto certa. Perché Gabrelle la stava osservando?

«La scorsa notte» disse Sandomere dopo un momento «ho appreso che Mishraile sta ricevendo lezioni private dal M’Hael.» Si carezzò la barba a punta soddisfatto, come se avesse mostrato una gemma di inestimabile valore. Forse era così, ma Toveine non sapeva di che genere. Logain annuì lentamente. Gli altri si scambiarono occhiate silenziose con volti che parevano scolpiti. Roso dalla frustrazione, osservò. Accadeva fin troppo spesso:questioni che per qualche motivo — forse per paura — non commentavano, e lei non capiva. Le sembrava sempre che vi fossero delle gemme nascoste lì, oltre la sua portata. Un largo Cairhienese, che arrivava a malapena al petto di Logain, aprì la bocca, ma lei non scoprì mai se voleva parlare di Mishraile, chiunque fosse.

«Logain!» Welyn Kajima procedeva lungo la strada correndo all’impazzata, i campanelli appesi alle sue trecce nere che tintinnavano. Un altro Dedicato, un uomo di mezz’età che sorrideva decisamente troppo, anch’egli era presente quando Logain l’aveva catturata. Kajima aveva vincolato Jenare. Era quasi senza fiato quando si fece strada attraverso gli altri uomini, e non stava sorridendo.

«Logain,» annaspò «il M’Hael è tornato da Cairhien e ha affisso una lista di nuovi disertori a palazzo. Non crederai ai nomi!» Divulgò la lista tutta d’un fiato fra esclamazioni da parte degli altri che impedirono a Toveine di ascoltare nulla più di qualche frammento.

«Dei Dedicati hanno disertato prima,» borbottò il cairhienese quando Kajima ebbe terminato «ma mai un vero Asha’man. E ora sette tutti insieme!»

«Se non mi credi...» cominciò Kajima, raddrizzandosi stizzito. Era stato un funzionario ad Arafel.

«Ti crediamo» disse Genhald in tono rassicurante. «Ma Gedwyn e Torval sono gli uomini del M’Hael. Anche Rochaid e Kisman. Perché dovrebbero disertare? Lui ha dato loro tutto ciò che un re potrebbe volere.»

Kajima scosse la testa irritato, facendo tintinnare i suoi campanelli. «Sai che la lista non dà mai ragioni. Solo nomi.»

«Meglio così» brontolò Kurin. «Almeno, lo sarebbe se non dovessimo dar loro la caccia, ora.»

«Sono gli altri che non riesco a capire» si inserì Sandomere. «Ero ai pozzi di Dumai. Ho visto il lord Drago scegliere, dopo. Dashiva aveva la testa fra le nuvole, come sempre. Ma Flinn, Hopwil, Narishma? Non avete mai visto uomini più contenti. Erano come agnelli lasciati liberi nella capanno dell’orzo.»

Un tizio robusto coi capelli brizzolati sbraitò: «Be’, io non ero ai pozzi, ma sono andato a sud contro i Seanchan.» Il suo accento era andorano.

«Forse agli agnelli il cortile del macellaio non è piaciuto quanto il capanno dell’orzo.»

Logain aveva ascoltato senza partecipare, le braccia conserte sul petto. Il suo volto era indecifrabile: una maschera. «Ti preoccupa il cortile del macellaio, Canler?» disse a quel punto. L’andorano fece una smorfia, poi scrollò le spalle. «Suppongo che siamo tutti diretti lì, prima o poi, Logain. Non credo che abbiamo molta scelta, ma non per questo devo riderci sopra.»

«Sempre che tu sia lì il giorno giusto» disse Logain con calma. Si rivolse all’uomo di nome Canler, ma diversi altri annuirono.

Guardando oltre gli uomini, Logain contemplò Toveine e Gabrelle. Toveine cercò di non far sembrare che stava origliando e ricordando con attenzione i nomi. «Andate dentro: qui fa freddo» disse loro. «Prendete del tè per riscaldarvi. Io tornerò il prima possibile. Non toccate le mie carte.»

Radunando gli altri uomini con un gesto, li condusse nella direzione da cui era venuto Kajima.

Toveine digrignò i denti per la frustrazione. Almeno non avrebbe dovuto seguirlo nell’area di allenamento, oltre il cosiddetto Albero dei Traditori, dove penzolavano dai rami nudi teste come frutti infetti, per osservare uomini studiare come distruggere tramite il Potere, ma aveva sperato in un’altra giornata per sé, a gironzolare libera e vedere cosa poteva apprendere. Aveva udito uomini parlare del ‘palazzo’ di Taim, prima, e oggi sperava di trovarlo e forse di dare una sbirciata all’uomo il cui nome era famigerato come quello di Logain. Invece, seguì con aria sottomessa l’altra donna attraverso la porta rossa. Non valeva la pena ribellarsi. All’interno si guardò intorno per l’atrio mentre Gabrelle appendeva il suo mantello a un piolo. Malgrado l’esterno, si era aspettata qualcosa di più sfarzoso da Logain. Un debole fuoco bruciava in un rozzo caminetto di pietra. Un tavolo lungo e stretto e sedie dall’alto schienale si trovavano su uno spoglio assito. Una scrivania, poco più elaborata del resto del mobilio, catturò la sua attenzione. Pile di cassette per le lettere munite di coperchio vi erano disseminate sopra, così come raccoglitori di cuoio colmi di lunghi fogli di carta. Le dita le prudevano, ma sapeva che, se anche si fosse solo seduta alla scrivania, non sarebbe stata in grado di poggiare un dito su niente più che una penna o una boccetta di inchiostro.

Con un sospiro, seguì Gabrelle nella cucina, dove una stufa di ferro emanava troppo calore e i piatti sporchi della colazione erano posati su un basso mobiletto sotto la finestra. Gabrelle riempì un bollitore e lo mise sulla stufa, poi prese una teiera smaltata di verde e un contenitore di legno da un altro armadietto. Toveine dispose il suo mantello sopra una sedia e si sedette al tavolo quadrato. Non voleva del tè se non con la colazione che aveva saltato, ma sapeva che l’avrebbe bevuto.

Quella sciocca Marrone continuava a cianciare mentre portava a termine le sue faccende domestiche come un’allegra campagnola. «Ho già appreso un bel po’. Logain è l’unico vero Asha’man che vive in questo villaggio. Gli altri vivono tutti nel ‘palazzo’ di Taim,. Hanno servitori, ma Logain ha assunto la moglie di una recluta per cucinare e pulire per lui. Sarà qui presto, e quella donna pensa che sia lui a far sorgere il sole, perciò sarà meglio che per allora abbiamo finito di discutere degli argomenti importanti. Logain ha trovato la tua scrivania portatile.»

Toveine si sentì come se una mano gelida le avesse afferrato la gola. Cercò di nasconderlo, ma Gabrelle la stava guardando dritto negli occhi.

«L’ha bruciata, Toveine. Dopo aver letto quello che conteneva. Sembrava pensare di averci fatto un favore.»

La mano allentò la presa e Toveine poté respirare di nuovo. «L’ordine di Elaida era fra le mie carte.» Si schiarì la gola per liberarsi della raucedine. L’ordine di Elaida di domare ogni uomo che avessero trovato qui e impiccarlo seduta stante, senza il processo a Tar Valon richiesto dalla legge della Torre. «Elaida ha imposto severe condizioni, e questi uomini avrebbero reagito in malo modo, se l’avessero saputo.» Malgrado il calore della stufa, fu percorsa da un tremito. Quell’unica carta avrebbe potuto far sì che venissero tutte quietate e impiccate. «E perché ci farebbe dei favori?»

«Non so perché, Toveine. Non è un farabutto, non più della maggior parte degli uomini. Potrebbe trattarsi solo di questo.» Gabrelle appoggiò sul tavolo un piatto di panini croccanti e un altro con del formaggio bianco. «O potrebbe darsi che il legame sia come quello col Custode in altri sensi oltre a quelli che conosciamo. Forse non voleva solo sentire su di sé il dolore delle nostre esecuzioni.» Lo stomaco di Toveine brontolò, ma lei prese un panino come se non volesse far altro che piluccarlo.

«Sospetto che ‘severe’ sia un eufemismo» proseguì Gabrelle, mettendo delle foglie di tè nella teiera con un cucchiaio. «Ti ho vista trasalire. Di certo, si sono presi una bella briga per portarci qui. Cinquantuno Sorelle in mezzo a loro e, anche col legame, devono temere che possiamo trovare qualche modo di aggirare i loro ordini, qualche scappatoia che non hanno considerato. La risposta ovvia è che, se fossimo morte, questo avrebbe destato la furia della Torre. Con noi vive e prigioniere, perfino Elaida si muoverà con cautela.» Rise, sobriamente divertita. «La tua faccia, Toveine. Pensavi che avessi passato tutto il tempo a passare le dita fra i capelli di Logain?»

Toveine chiuse la bocca e rimise a posto il panino intatto. Era freddo, comunque, e pareva duro. Era sempre un errore reputare che le Marroni fossero distaccate, assorbite dai propri libri e studi fino a escludere ogni altra cosa. «Cos’altro hai visto?»

Ancora con in mano il cucchiaio, Gabrelle si sedette dall’altra parte del tavolo e si sporse in avanti con fare deciso. «Il loro muro potrà essere solido una volta finito, ma questo posto è pieno di divisioni. C’è la fazione di Mazrim Taim, e quella di Logain, anche se non sono certa che ciascuna consideri l’altra come tale. Forse anche altre fazioni, e di certo uomini che non sanno che le fazioni esistono. Cinquantuno Sorelle dovrebbero essere in grado di sfruttare la situazione in qualche modo, perfino col vincolo. La seconda domanda è, come la sfruttiamo?»

«La seconda domanda?» chiese Toveine, ma l’altra donna si limitò ad attendere. «Se riusciamo a far esplodere quelle divisioni,» disse infine «sparpagliamo dieci o cinquanta o cento bande per il mondo, ognuna più pericolosa di qualunque esercito si sia mai visto. Per catturarli tutti ci vorrebbe una vita e questo potrebbe fare a pezzi il mondo come una nuova Frattura, e tutto ciò con Tarmon Gai’don che si avvicina. Certo, sempre che questo al’Thor sia davvero il Drago Rinato.» Gabrelle aprì la bocca, ma Toveine scacciò via con un gesto qualunque cosa stesse per dire. Che lo era, molto probabilmente. Non importava poi molto, qui e adesso. «Ma se non ci riusciamo... Anche se soffocassimo la ribellione e riportassimo di nuovo le Sorelle nella Torre, richiamassimo quelle a riposo, non so se tutte noi insieme potremmo distruggere questo posto. Sospetto che metà della Torre morirebbe nel tentativo, in qualunque caso. Qual era la prima domanda?»

Gabrelle si appoggiò all’indietro nella sedia, il suo volto all’improvviso stanco. «Sì, non è una decisione semplice. E portano altri uomini ogni giorno che passa. Già quindici o venti da quando siamo qui, credo.»

«Non scherzare con me, Gabrelle! Qual è la prima domanda?» Lo sguardo della Marrone si intensificò e la fissò per un lungo istante.

«Presto il trauma passerà» disse infine. «Cosa accadrà allora? L’autorità che Elaida ti accordato è finita, la spedizione è finita. La prima domanda è: siamo cinquantuno Sorelle unite, o torniamo a essere Marroni e Rosse, Gialle e Verdi e Grigie? E povera Ayako, che di sicuro sta rimpiangendo che le Bianche abbiano insistito per includere una loro Sorella. Lemai e Desandre sono quelle di rango più alto fra noi.» Gabrelle agitò il cucchiaio come ammonimento. «L’unica possibilità che abbiamo di restare unite è se tu e io ci sottomettiamo pubblicamente all’autorità di Desandre. Dobbiamo! Questo sarà un inizio, per lo meno. Spero. Se possiamo riunire anche solo poche altre, per cominciare, sarà un inizio.»

Toveine trasse un profondo respiro e fece finta di fissare il nulla, in atteggiamento pensieroso. Sottomettersi a una Sorella di rango più alto non era difficile, di per sé. Le Ajah avevano sempre conservato segreti, e talvolta complottavano un poco l’una contro l’altra, ma l’aperto dissenso ora nella Torre la atterriva. Inoltre, aveva imparato come essere umile davanti a comare Doweel. Si domandò come era possibile che a quella donna piacesse la povertà e volesse lavorare in una fattoria per una sorvegliante perfino più severa di lei.

«Posso costringermi a farlo» disse infine. «Dobbiamo avere un piano d’azione da presentare a Desandre e Lemai, se vogliamo convincerle.» Lei ne aveva già preparato uno, in parte, anche se non per mostrarlo a qualcuno. «Oh, sta bollendo l’acqua, Gabrelle.»

Sorridendo all’improvviso, la sciocca donna si alzò e si affrettò verso la stufa. Le Marroni erano più adatte a leggere i libri che non le persone, a pensarci bene. Prima che Logain, Taim, e gli altri fossero distrutti, avrebbero aiutato Toveine Gazai a destituire Elaida.

La grande città di Cairhien era un enorme agglomerato all’interno di massicce mura che si accalcava sul fiume Alguenya. Il cielo era limpido e sereno, ma soffiava un vento freddo e il sole splendeva sui tetti ricoperti di neve, scintillando sui ghiaccioli che non davano segno di sciogliersi. L’Alguenya non era gelato, ma piccole lastre di ghiaccio frastagliate scendevano roteando nelle correnti, picchiando di tanto in tanto contro le carene delle navi che aspettavano il proprio turno ai moli. Il commercio era rallentato per l’inverno e le guerre, e per il Drago Rinato, ma non si fermava mai del tutto, non finché le nazioni non fossero morte. Malgrado il freddo, carri, calessi e persone fluivano lungo le strade che tagliavano le colline terrazzate della metropoli. La Città, veniva chiamata qui. Di fronte al Palazzo del Sole, squadrato e turrito, una folla era ammassata attorno alla lunga rampa d’accesso e guardava verso l’alto, con mercanti avvolti in raffinati abiti di lana e nobili vestiti di velluto pigiati spalla a spalla con braccianti dalle facce sudice e profughi ancora più sporchi. A nessuno importava chi aveva accanto, e perfino i tagliaborse dimenticavano di fare il loro mestiere. Uomini e donne si allontanavano, scuotendo spesso le teste, ma altri li rimpiazzavano, talvolta tenendo un bimbo sulle spalle perché avesse una visuale migliore dell’ala in rovina del palazzo, dove gli operai stavano ripulendo le macerie del terzo piano. Per il resto di Cairhien, i martelli degli artigiani e lo scricchiolio delle assi riempivano l’aria, insieme alle grida dei negozianti, le lamentele degli acquirenti, i mormorii dei mercanti. La folla di fronte al Palazzo del Sole era in silenzio. A un miglio dal palazzo, Rand stava a una finestra dell’edificio dal nome pomposo di Accademia di Cairhien, scrutando attraverso i vetri incrostati di ghiaccio il sottostante cortile delle stalle pavimentato di pietra. C’erano state scuole chiamate Accademie al tempo di Artur Hawkwing e anche prima, centri del sapere colmi di studiosi da ogni angolo del mondo conosciuto. Quel nome ricercato non faceva differenza: avrebbero potuto chiamarlo il Granaio, se questo fosse servito allo scopo. Preoccupazioni più importanti riempivano i suoi pensieri. Aveva commesso un errore a tornare a Cairhien così presto? Ma era stato costretto a fuggire troppo in fretta, perciò negli ambienti giusti avrebbero saputo che in realtà era scappato. Troppo in fretta per preparare tutto. C’erano domande che doveva porre e compiti che non poteva rimandare. E Min voleva altri libri di mastro Fel. La poteva udire mugugnare fra sé mentre frugava fra gli scaffali dove erano stati conservati dopo la morte di Fel. Col dono di libri e manoscritti che ancora non possedeva, la biblioteca dell’Accademia stava rapidamente superando le stanze che potevano esservi dedicate nell’ex palazzo di lord Barthanes. Alanna risiedeva nei recessi della sua mente, sembrava di malumore; di certo lei sapeva che si trovava nella Città. Da così vicino, avrebbe potuto camminare dritta nella sua direzione, ma se lei ci avesse provato lui lo avrebbe saputo. Per fortuna, Lews Therin per il momento era silenzioso. Di recente, quell’uomo sembrava più folle che mai. Ripulì uno dei pannelli della finestra sfregandolo con la manica della giubba. Di robusta lana grigio scuro, adatta per un uomo con pochi soldi e poche arie, era un indumento che nessuno si sarebbe aspettato di vedere addosso al Drago Rinato. La testa di drago con la criniera dorata sul dorso della sua mano risplendeva di un bagliore metallico; non mostrava alcun pericolo qui. Il suo stivale toccò il fagotto di cuoio poggiato sotto la finestra mentre si sporgeva in avanti per guardare fuori. Nel cortile delle stalle, la neve era stata spazzata via e un grosso carro era circondato da secchi come funghi in una radura. Mezza dozzina di uomini con pesanti giubbe, sciarpe e cappelli sembrava impegnata con lo strano carico, congegni meccanici ammassati attorno a un grosso cilindro metallico che occupava più di metà della base del carro. Cosa ancora più strana, mancavano le stanghe del carro. Uno degli uomini stava spostando della legna da ardere già tagliata da un’ampia carriola a una scatola di metallo assicurata sotto un’estremità del grosso cilindro. Lo sportello aperto della scatola ardeva di un bagliore rosso fuoco all’interno, e da un comignolo alto e stretto si levava del fumo. Un altro tizio, barbuto, calvo e senza cappello, saltellava attorno al carro, gesticolando e sbraitando ordini che non sembravano tuttavia avere effetto sugli altri, che continuavano a muoversi lentamente. Il loro fiato si condensava in pallidi pennacchi bianchi. All’interno faceva quasi caldo; l’Accademia aveva grosse fornaci nelle cantine e un esteso sistema di ventilazione. Le ferite al fianco, quelle parzialmente curate e che non sarebbero mai guarite, erano roventi. Quello che non riusciva a decifrare erano le imprecazioni di Min — era sicuro che fossero imprecazioni — ma il suo tono era sufficiente a dire che non se ne sarebbero andati, a meno che non l’avessero trascinata via. Comunque c’erano uno o due oggetti di cui le voleva chiedere. «Cosa dice la gente riguardo al palazzo?»

«Quello che puoi aspettarti» replicò lord Dobraine dietro di lui con pacata pazienza, allo stesso modo in cui aveva risposto a tutte le altre domande. Anche quando ammetteva di non sapere qualcosa, il suo tono non mutava.

«Alcuni dei Reietti ti hanno attaccato, oppure sono state le Aes Sedai. Quelli che pensano che tu abbia giurato fedeltà all’Amyrlin Seat propendono per i Reietti. Comunque sia, c’è un accanito dibattito: si chiedono se ti abbiano ucciso, rapito o se tu sia riuscito a fuggire. Molti credono che tu sia vivo, dovunque tu sia, o così dicono. Alcuni, un bel po’, temo, pensano...» La sua voce si smorzò fino a morire.

«...che io sia impazzito» finì Rand per lui con lo stesso tono pacato. Non era una questione di cui preoccuparsi, o per cui arrabbiarsi. «Che sia stato io a distruggere parte del palazzo?» Non voleva parlare dei morti. Meno di altre volte, di altri posti, ma abbastanza, e alcuni dei loro nomi apparivano ogni volta che chiudeva gli occhi. Uno degli uomini di sotto scese dal carro, ma il tizio calvo lo afferrò per il braccio e lo trascinò di nuovo sopra, perché gli mostrasse cosa aveva fatto. Un uomo dall’altro lato balzò sul selciato in modo incauto, slittando, e l’uomo senza cappello abbandonò il primo per correre attorno al carro e far risalire quell’altro insieme a lui. Cosa stavano facendo, per la Luce? Rand lanciò un’occhiata girandosi appena.

«Non hanno del tutto torto.»

Dobraine Taborwin, un uomo basso con la parte anteriore della testa rasata e cerimoniosamente incipriata e il resto dei capelli quasi tutti grigi, gli restituì lo sguardo con scuri occhi impassibili. Non un bell’uomo, ma affidabile. Strisce bianche e blu scendevano dal collo fin quasi ai piedi sul davanti della sua giubba di velluto scuro. Il suo anello era un rubino intagliato con un sigillo, sul colletto ne portava un altro non molto più grosso, tuttavia vistoso per un Cairhienese. Era il Sommo Signore della sua casata, che aveva alle spalle più battaglie di tanti altri, e non c’erano molte cose che lo spaventavano. Lo aveva dimostrato ai pozzi di Dumai. D’altra parte, la donna tarchiata e ingrigita che attendeva con pazienza il proprio turno alle sue spalle appariva altrettanto impavida. In contrasto con la nobile eleganza di Dobraine, le pratiche vesti di lana marrone di Idrien Tarsin erano semplici come quelle di un bottegaio, tuttavia la sua autorità e la sua dignità provenivano da altro. Idrien era la direttrice dell’Accademia, titolo che aveva attribuito a sé stessa dal momento che molti degli studiosi e dei meccanici si chiamavano maestro di questo o maestra di quello. Dirigeva la scuola con mano ferma e credeva in cose pragmatiche, nuovi metodi di lastricare strade o preparare tinture, miglioramenti a fonderie e fabbriche. Credeva anche nel Drago Rinato. Che questo fosse pragmatico o meno, era concreto, e per lei andava bene così.

Lui si voltò verso la finestra e ripulì di nuovo quella porzione di vetro. Forse era per riscaldare l’acqua — anche se in alcuni di quei secchi sembrava ci fosse ancora dell’acqua; a Shienar usavano grossi bollitori per riscaldarla per i bagni — ma perché su un carro? «Qualcuno si è allontanato all’improvviso da quando sono andato via? O sono venuti ospiti?»

Non si aspettava che qualcuno l’avesse fatto, nessuno che per lui fosse importante. Fra i piccioni dei mercanti e gli occhi e le orecchie della Torre Bianca — e Mazrim Taim,: non doveva dimenticarsi di lui; Lews Therin ringhiò senza parole a quel nome — con tutti quei piccioni, spie e lingue che chiacchieravano, fra pochi giorni il mondo intero sarebbe stato al corrente che lui era scomparso da Cairhien. Tutto il mondo che contava, in questo momento. Cairhien non era più il terreno dove si sarebbe combattuta la battaglia. La risposta di Dobraine lo colse di sorpresa.

«Nessuno eccetto... Ailil Riatin e alcuni alti ufficiali del Popolo del Mare sono scomparsi da... dall’attacco.» Una semplice pausa, ma una pausa. Forse lui stesso non era sicuro di cosa fosse successo. Tuttavia avrebbe mantenuto la sua parola. Aveva dimostrato anche quello ai pozzi di Dumai. «I corpi non sono stati trovati, ma potrebbero essere state uccise. La Maestra delle Onde del Popolo del Mare si rifiuta di prendere in considerazione la possibilità, però. Sta sollevando una bufera con richieste di far venir fuori le sue donne. In verità, Ailil potrebbe essere fuggita in campagna. O essere andata a ricongiungersi a suo fratello, nonostante i suoi impegni nei tuoi confronti. I tuoi tre Asha’man sono ancora nel Palazzo del Sole: Flinn, Narishma e Hopwil. Rendono la gente nervosa. Adesso più di prima.» La direttrice emise un suono con la gola e le sue scarpe scricchiolarono sull’assito. Di certo rendevano nervosa lei. Rand aveva congedato gli Asha’man. A meno che non fossero più vicini del palazzo, nessuno era abbastanza forte da aver percepito che aveva aperto un passaggio qui. Quei tre non avevano fatto parte dell’attacco contro di lui, ma un saggio pianificatore potrebbe aver messo in conto la possibilità di fallimento. Aver progettato di tenere qualcuno vicino a lui se fosse sopravvissuto. Non sopravviverai, sussurrò Lews Therin. Nessuno di noi sopravviverà.

Torna a dormire, pensò Rand irritato. Sapeva che non sarebbe sopravvissuto, ma lo desiderava. Una risata beffarda rispose dentro di lui, ma il suono si smorzò e svanì. L’uomo calvo stava facendo scendere gli altri, ora, e si stava sfregando le mani con aria compiaciuta. Cosa ancora più sorprendente, sembrava che il tizio stesse tenendo un discorso!

«Ailil e Shalon sono vive e non sono fuggite» disse Rand ad alta voce. Le aveva lasciate legate e imbavagliate, ficcate sotto un letto, dove sarebbero state trovate dai servitori entro poche ore, anche se lo schermo che aveva intessuto su quella Cercavento del Popolo del Mare si sarebbe dissipato prima di allora. Le due donne potevano essersi già liberate a quel punto. «Provate con Cadsuane. Le avrà lei al palazzo di lady Arilyn.»

«Cadsuane Sedai entra ed esce dal Palazzo del Sole come se fosse il suo,» disse Dobraine saggiamente «ma come avrebbe potuto portarle fuori non viste? E perché? Ailil è sorella di Toram, tuttavia la sua rivendicazione del Trono del Sole è polvere ora, se mai è stata qualcos’altro. Non è importante nemmeno come oppositore, ora. Per quanto concerne trattenere una Atha’an Miere di alto rango... a quale scopo?»

Rand assunse un tono leggero, noncurante. «Perché tiene lady Caraline e il Sommo Signore Darlin come ‘ospiti’, Dobraine? Quali sono i motivi che spingono sempre una Aes Sedai ad agire? Le troverete dove ho detto. Se vi lascia entrare per cercarle.» Quella dello scopo non era una domanda sciocca. Era solo che non aveva una risposta. Di certo, Caraline Damodred e Ailil Riatin rappresentavano le ultime due casate a detenere il Trono del Sole. E Darlin Sisnera guidava i nobili di Tear che volevano cacciarlo dalla loro preziosa Pietra, via da Tear.

Rand si accigliò. Era sicuro che Cadsuane fosse concentrata su di lui malgrado fingesse altrimenti, ma se non fosse stata una finzione? Sarebbe stato un sollievo, in tal caso. Certo che lo era. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era una Aes Sedai che pensava di potersi intromettere nei suoi affari. Proprio l’ultima. Forse Cadsuane stava rivolgendo le sue ingerenze altrove. Min aveva visto Sisnera con addosso una strana corona; Rand aveva riflettuto molto sulle sue visioni. Non voleva pensare alle altre cose che aveva visto, che riguardavano lui e la Sorella Verde. Poteva essere semplicemente che Cadsuane pensasse di poter decidere chi avrebbe governato sia Tear sia Cairhien?

Semplicemente? Quasi si mise a ridere. Ma era così che si comportavano le Aes Sedai. E Shalon, la Cercavento? Averla in balìa poteva dare a Cadsuane influenza su Harine, la Maestra delle Onde, ma lui sospettava che fosse stata solo portata via con Ailil, per cercare di nascondere chi aveva preso la nobildonna. Era bene che Cadsuane venisse disillusa. Era stato già deciso chi avrebbe governato Tear e Cairhien. Sarebbe stato lui a farglielo notare, più tardi. La cosa era molto in basso nella sua lista di priorità.

«Prima che io vada, Dobraine, devo darti...» Le parole gli si gelarono sulla lingua.

Nel cortile, l’uomo senza cappello aveva tirato una leva sul vagone, e un’estremità di una lunga trave orizzontale si sollevò all’improvviso, poi si riabbassò, infilando una trave più corta giù per un foro sul fondo del carro. E, vibrando tanto da sembrare che stesse per cadere a pezzi, con il fumo che usciva fuori dal comignolo, il carro sobbalzò in avanti, la trave che saliva e scendeva, sulle prime lentamente, poi più veloce: si muoveva, senza cavalli!

Non si rese conto di aver parlato ad alta voce finché la direttrice non gli rispose.

«Oh, quello! È il carro a vapore di Mervin Poel, come lo chiama lui, mio lord Drago.» La sua sonora voce sorprendentemente giovanile era carica di disapprovazione. «Afferma di poter trainare cento carri con quel marchingegno. Sempre che riesca ad andare più in là di cinquanta passi senza che dei pezzi si rompano o si inceppino. È arrivato così lontano solo una volta, a quanto ne so.»

In effetti il... carro a vapore? Si fermò con un tremito a non più di venti passi dalla sua posizione originaria. Tremò davvero; sembrava essere scosso sempre più forte ogni istante che passava. Molti degli uomini vi si affollarono di nuovo intorno, uno di loro torceva in maniera frenetica qualcosa con un panno avvolto attorno alla mano. All’improvviso da un tubo schizzò del vapore in aria e il tremolio rallentò fino a fermarsi. Rand scosse il capo. Si ricordò di aver visto questo Mervin, con un aggeggio che vibrava sopra un tavolo e non faceva nulla. E questa meraviglia derivava da quello? Pensava che servisse per fare musica. Quello che saltellava attorno e agitava i pugni verso gli altri doveva essere Mervin. Che altre strane cose, quali prodigi stava costruendo la gente qui all’Accademia?

Quando lo chiese, mentre osservava ancora gli uomini nel cortile lavorare sul carro, Idrien tirò rumorosamente su col naso. C’era solo una minima punta di rispetto per il Drago Rinato nella sua voce mentre cominciava, e lasciò presto spazio al disgusto. «Già non è il caso dar spazio a filosofi, storici, aritmetici e gente del genere, ma tu hai detto di ammettere chiunque volesse creare qualcosa di nuovo e di voler che rimanessero se mostravano dei progressi. Suppongo che tu sperassi in nuove armi, ma ora ho dozzine di sognatori e buoni a nulla fra i piedi, ognuno con uno o più vecchi libri o manoscritti, tutti che risalgono al Patto delle Dieci Nazioni, bada bene, se non alla stessa Epoca Leggendaria, o così dicono, e tutti stanno cercando di venire a capo di disegni e progetti e descrizioni di cose che non hanno mai visto e che forse nessuno ha mai visto. Li ho visti con i miei occhi, manoscritti che parlano di gente con gli occhi nella pancia, e animali alti dieci piedi con zanne lunghe più di un uomo, e città in cui...»

«Ma cosa stanno costruendo, direttrice Tarsin?» domandò Rand. Gli uomini che lavoravano su quel congegno laggiù si muovevano con aria determinata, non come se vedessero un fallimento. E si era mosso. Lei tirò su col naso più forte, stavolta. «Sciocchezze, mio lord Drago, ecco cosa costruiscono. Kin Tovere ha costruito quella sua grossa lente. Attraverso di lei puoi vedere la luna tanto bene quanto la tua stessa mano, e anche quei pianeti che lui indica come mondi altri, ma qual è l’utilità di tutto ciò? Ne vuole costruire una più grande, ora. Maryl Harke fa enormi aquiloni che chiama alianti, e quando verrà la primavera, si getterà di nuovo giù dalle colline. Ti fa balzare il cuore in gola quando la vedi volar giù per il pendio su uno di quei cosi; non si romperà soltanto il braccio la prossima volta che si accartoccerà dentro uno di questi marchingegni, te lo garantisco. Jander Parentakis crede di potere muovere le barche fluviali con le ruote ad acqua di un mulino, o qualcosa del genere, ma quando mette abbastanza uomini sull’imbarcazione per girare le manovelle, non c’è spazio per il carico e ogni vascello a vela può superarla. Ryn Anhara intrappola il fulmine in grossi barattoli — dubito che perfino lui sappia il perché — e Niko Tokama è altrettanto sciocca con quel suo...»

Rand si voltò tanto rapidamente che lei fece un passo indietro e perfino Dobraine spostò il peso da un piede all’altro, con una mossa da spadaccino. No, non erano affatto certi di lui. «Intrappola il fulmine?» chiese con calma. L’intuizione si diffuse sul suo volto schietto, e lei agitò le mani di fronte a sé. «No, no! Non come... non così!» Non come te, aveva quasi detto. «È un aggeggio fatto di fili e ruote e grossi barattoli di argilla e la Luce sa cosa. Lui lo chiama fulmine, e io ho visto un ratto balzare su uno dei barattoli una volta, sulle barre di metallo che escono da sopra. Sembrava proprio colpito dal fulmine.» Un tono speranzoso si fece strada nella sua voce.

«Posso farlo smettere, se vuoi.»

Lui cercò di raffigurarsi qualcuno che cavalcava un aquilone, ma l’immagine era ridicola. Catturare il fulmine in barattoli andava oltre la sua immaginazione. E tuttavia... «Lasciali andare avanti come prima, direttrice. Chi lo sa? Forse una di queste invenzioni si rivelerà importante. Se qualcuna funziona come dicono, da’ una ricompensa all’inventore.»

Il volto scurito dal sole di Dobraine parve dubbioso, anche se riuscì quasi a nasconderlo. Idrien chinò il capo in un accigliato assenso e fece perfino una riverenza, ma era chiaro che pensava che lui le stesse chiedendo di lasciar volare i maiali, se potevano.

Rand non era sicuro di essere in disaccordo. Tuttavia, forse a uno dei maiali sarebbero cresciute le ali. Il carro si era mosso. Voleva fortemente lasciarsi alle spalle qualcosa che aiutasse il mondo a sopravvivere alla nuova Frattura che le Profezie affermavano che lui avrebbe causato. Il problema era che non aveva idea di cosa potesse trattarsi, tranne le scuole stesse. Chi sapeva cosa poteva fare un prodigio? Luce, lui voleva costruire qualcosa che durasse.

Pensavo di poter costruire, mormorò Lews Therin nella sua testa. Mi sbagliavo. Non siamo costruttori, non tu, non io, non l’altro. Siamo distruttori. Distruttori.

Rand fu percorso da un tremito e si passò le mani fra i capelli. L’altro?

Alle volte, quella voce suonava più sensata quand’era più folle. Lo stavano osservando, Dobraine nascondendo al meglio la sua incertezza, Idrien che non ci provava neanche. Raddrizzandosi come se non ci fosse nulla che non andava, estrasse due pacchettini dall’interno della sua giubba. Entrambi recavano un drago su una lunga protuberanza esterna di cera rossa. La fibbia della cintura che in questo momento non indossava era uno stupefacente sigillo.

«Quello sopra ti nomina mio sovrintendente a Cairhien» disse, porgendo i pacchetti a Dobraine. Un terzo era ancora nascosto contro il suo petto, per Gregorin den Lushenos, per nominarlo sovrintendente a Man. «Perciò non ci saranno rischi che nessuno metta in discussione la tua autorità mentre io sono via.» Dobraine poteva occuparsi di quel genere di rischi coi suoi armigeri, ma era meglio accertarsi che nessuno potesse fingere di ignorare la situazione o dubitarne. Forse non ci sarebbero stati problemi da affrontare se tutti avessero creduto che il Drago Rinato si sarebbe abbattuto sui trasgressori. «Ci sono ordini su ciò che voglio che sia fatto ma, a parte quelli, usa il tuo giudizio. Quando lady Elayne rivendicherà il Trono del Sole, forniscile il tuo pieno supporto.» Elayne. Oh, Luce... Elayne e Aviendha. Almeno erano al sicuro. La voce di Min pareva più allegra, ora: doveva aver trovato i libri di mastro Fel. Lui avrebbe lasciato che lo seguisse finché non fosse morta perché non era abbastanza forte da fermarla. Ilyena, gemette Lews Therin. Perdonami, Ilyena! La voce di Rand risuonò fredda come il cuore dell’inverno. «Saprai quando consegnare l’altro. Se consegnarlo. Forzalo, se serve, e decidi secondo di che dice. Se decidi di no, o se lui rifiuta, sceglierò qualcun altro. Non te.»

Forse questo era stato brusco, ma l’espressione di Dobraine si era a malapena modificata. Le sue sopracciglia si sollevarono un poco quando lesse il nome sul secondo pacchetto; tutto qua. Fece un inchino mellifluo. I Cairhienesi di solito erano melliflui. «Sarà come vuoi tu. Perdonami, ma da come parli sembra che tu intenda star via a lungo.»

Rand scrollò le spalle. Si fidava del Sommo Signore quanto si fidava di chiunque. Quasi. «Chi può dirlo? Sono tempi incerti. Accertati che la direttrice Tarsin abbia tutto il denaro che le serve e che gli uomini comincino la scuola a Caemlyn. Anche la scuola a Tear, finché la situazione lì non cambia.»

«Come vuoi tu» ripeté Dobraine, infilandosi i pacchetti nella giacca. Il suo volto non tradiva alcuna emozione, ora. Dobraine era un giocatore esperto nel Gioco delle Casate. Da parte sua, la direttrice riusciva ad apparire soddisfatta e contrariata allo stesso tempo, e si tenne occupata a lisciarsi il vestito anche se non era necessario, come fanno le donne in imbarazzo per non dire ciò che pensano. Per quanto si lamentasse di sognatori e filosofi, era gelosa del benessere dell’Accademia. Non avrebbe versato lacrime se quelle altre scuole fossero scomparse e i loro studiosi fossero stati costretti a venire all’Accademia. Perfino i filosofi. Cosa avrebbe pensato di un ordine in particolare nel pacchetto di Dobraine?

«Ho trovato tutto quello che mi serve» disse Min, uscendo dagli scaffali barcollando un po’ per il peso dei tre fagotti di tela rigonfi che stava portando. La sua semplice giubba e le sue brache marroni erano molto simili a ciò che indossava la prima volta che l’aveva vista a Baerlon. Per qualche ragione, si era lamentata di quegli indumenti finché qualcuno che la conosceva non pensò che lui le avesse chiesto di mettersi un abito lungo. Ora però sorrideva, di contentezza e con una punta di malizia. «Spero che quei cavalli da soma siano dove li abbiamo lasciati, o il mio lord Drago dovrà adattarsi a portare un basto.»

Idrien rimase a bocca aperta, scandalizzata di sentirla rivolgersi a lui a quel modo, ma Dobraine si limitò a sorridere un poco. Prima aveva visto Min con Rand.

Rand si liberò di loro il più in fretta possibile allora, dato che avevano visto e sentito quanto lui voleva, e li mandò via con un’ultima raccomandazione che lui non era mai stato lì. Dobraine annuì come se non si aspettasse nulla di meno. Idrien parve pensierosa mentre se ne andava. Se si fosse lasciata sfuggire qualcosa dove un servitore o uno studioso poteva sentirla, si sarebbe sparso per la Città nel giro di due giorni. In ogni caso non c’era molto tempo. Forse nessuno che avesse potuto capirlo gli era stato abbastanza vicino da percepire che aveva aperto un passaggio qui, ma chiunque avesse cercato dei segni, a quest’ora sarebbe stato certo che c’era un ta’veren in città. Non era nei suoi piani essere trovato... non ancora. Quando la porta si chiuse dietro di loro, esaminò Min per un momento, poi prese uno dei fagotti e se lo gettò su una spalla.

«Solo uno?» disse lei. Poggiando gli altri sul pavimento, si piantò i pugni sulle anche e gli lanciò un’occhiataccia. «Alle volte penso che tu sia davvero un pastore. Queste borse peseranno almeno un quintale ciascuna.»

Ma sembrava più divertita che risentita.

«Avresti dovuto prendere libri più piccoli» le disse, infilandosi dei guanti per cavalcare e nascondere i draghi. «O più leggeri.» Si voltò verso la finestra per prendere il fagotto di cuoio e fu colpito da un’ondata di vertigini. Gli venne il latte alle ginocchia e inciampò. Un volto scintillante che non riusciva a distinguere gli balenò in testa. Con uno sforzo, si riebbe e si costrinse a raddrizzare le gambe. La sensazione di vertigini svanì. Lews Therin ansimava roco nell’ombra. Quel volto era forse il suo?

«Se credi di farmeli portare per tutto il tragitto, ripensaci» borbottò Min.

«Ho visto stallieri fingere meglio. Potevi provare a cadere.»

«Non stavolta.» Era pronto per ciò che accadeva quando incanalava; poteva controllarlo fino a un certo punto. Di solito. Spesso. Le vertigini senza saidin erano qualcosa di nuovo. Forse si era voltato troppo di fretta. E forse i maiali volavano. Si aggiustò la cinghia del fagotto di cuoio sopra la spalla libera. Gli uomini nel cortile delle stalle erano ancora occupati. A costruire. «Min...»

Le sue sopracciglia si abbassarono immediatamente. Lei si fermò un istante per infilarsi i suoi guanti rossi e cominciò a tamburellare un piede. Un segnale pericoloso da parte di una donna, specialmente una che portava dei coltelli. «Ne abbiamo già discusso, Rand dannato Drago al’Thor! Non mi lascerai indietro!»

«Non mi è mai passato per la testa» mentì lui. Era troppo debole; non riusciva a dire le parole, a farla rimanere. Troppo debole, pensò con amarezza, e lei potrebbe morire per questo, che la Luce mi folgori per sempre!

Lo farà, promise piano Lews Therin.

«Pensavo solo che sapessi cosa abbiamo fatto e quello che stiamo per fare» proseguì Rand. «Suppongo di non essere stato molto disponibile.»

Concentrandosi, afferrò saidin. La stanza sembrò turbinare e lui cavalcò la valanga di fuoco e ghiaccio e lerciume con la nausea che gli ribolliva nella pancia. Fu in grado di rimanere eretto senza ondeggiare, però. A malapena. E appena in grado di tessere i flussi di un passaggio che si aprì su una radura innevata dove due cavalli sellati erano legati al ramo basso di una quercia.

Fu lieto di vedere gli animali ancora lì. La radura era piuttosto distante dalla strada più vicina, ma c’erano comunque vagabondi che avevano voltato le spalle a famiglia, fattoria, commercio e mestiere, perché il Drago Rinato aveva spezzato ogni legame. Così dicevano le Profezie. D’altro canto, un bel po’ di quegli uomini e donne, coi piedi doloranti e a volte perfino semicongelati, erano stanchi di cercare senza sapere cosa. Anche queste cavalcature qualunque sarebbero certo scomparse non appena qualcuno le avesse trovate incustodite. Aveva abbastanza oro da comprarne altre, ma non pensava che Min avrebbe gradito la passeggiata di un’ora fino al villaggio dove avevano lasciato i cavalli da soma. Affrettandosi attraverso la radura, fingendo che fosse il passaggio dal pavimento al terreno ricoperto di neve che gli arrivava fino al ginocchio a farlo incespicare, aspettò finché lei non ebbe raccolto le sue borse di libri e l’ebbe seguito arrancando prima di rilasciare il Potere. Erano a cinquecento miglia da Cairhien e più vicini a Tar Valon che a qualunque altro posto. Alanna scomparve dalla sua testa quando il passaggio si chiuse.

«Disponibile?» disse Min in tono diffidente. Di tutte le sue ragioni, sperava lui, o di tutto tranne la verità. Le vertigini e la nausea lentamente si attenuarono. «Sei stato aperto come una conchiglia, Rand, ma io non sono cieca. Prima abbiamo Viaggiato fino a Rhuidean, dove hai fatto così tante domande su questo posto chiamato Shara che chiunque pensava avessi intenzione di andare lì.» Corrucciandosi un poco, lei scosse il capo mentre assicurava uno dei fagotti alla sella del castrone bruno. Si lamentò per lo sforzo, ma appoggiò l’altra borsa di libri sulla neve. «Non pensavo che il Deserto Aiel fosse così. Quella città è più grande di Tar Valon, anche se è semidistrutta. E tutte quelle fontane, e il lago. Non riuscivo neanche a vedere la sponda opposta. Non pensavo affatto che ci fosse acqua in quel deserto. Ed era freddo come qui; pensavo che il deserto fosse caldo!»

«In estate, durante il giorno cuoci, ma di notte geli comunque.» Si sentiva abbastanza ristabilito da cominciare a fissare i propri fagotti alla sella del suo grigio. Quasi. Lo fece comunque. «Se sai già tutto, cos’altro stavo facendo oltre a porre domande?»

«Lo stesso che hai fatto a Tear la scorsa notte. Assicurarti che ogni gatto e merlo sapesse che eri lì. A Tear, hai chiesto di Chachin. È ovvio. Stai cercando di confondere chiunque cerchi di scoprire dove ti trovi e dove andrai in seguito.» Con la seconda borsa di libri che faceva da contrappeso alla prima dietro la sella, lei slegò le redini e salì in groppa. «Allora, sono cieca?»

«Hai gli occhi di un’aquila.» Sperava che i suoi inseguitori vedessero la situazione con uguale chiarezza. O che lo facesse chiunque li comandava. Non gli sarebbe servito a nulla che fuggissero la Luce dove sapeva. «Mi occorre lasciare altre false piste, ritengo.»

«Perché perdere tempo? So che hai un piano, so che riguarda qualcosa in quel fagotto di cuoio — un sa’angreal -e so che è importante. Non avere l’aria così sorpresa. Non perdi di vista quella borsa neanche per un attimo. Perché non procedere col tuo piano, qualunque esso sia, e poi lasciare le tue false piste? E quella vera, naturalmente. Li attaccherai dove meno se l’aspettano, hai detto. Non puoi farlo, a meno che non ti seguano dove vuoi.»

«Vorrei che tu non avessi mai cominciato a leggere i libri di Herid Fel» borbottò stizzito, issandosi in sella al grigio. La testa gli girava un po’. «Risolvi anche troppi enigmi. Riuscirò a tenerti mai qualcosa segreto, ora?»

«Non ci sei mai riuscito, zuccone» rise lei, e poi, contraddicendosi: «Cosa stai architettando? A parte uccidere Dashiva e gli altri, intendo. Ho diritto di saperlo, se viaggio con te.» Come se non fosse stata lei a insistere per viaggiare insieme a lui.

«Ho intenzione di purificare la metà maschile della fonte» disse in tono piatto. Un annuncio importante. Un piano pretenzioso, più che pretenzioso. Grandioso, avrebbero detto in molti. Dalla reazione di Min, era come se avesse detto che intendeva fare una passeggiata pomeridiana. Lei lo guardò con semplicità, le mani incrociate sul pomello della sella, finché lui non proseguì.

«Non so quanto ci vorrà e, una volta iniziato, credo che chiunque sia in grado di incanalare entro mille miglia da me saprà che sta accadendo qualcosa. Dubito che sarò in grado di fermarmi e basta se Dashiva e gli altri, o i Reietti, appaiono all’improvviso per vedere di cosa si tratta. Per i Reietti non posso fare nulla, ma, con un po’ di fortuna, posso sbarazzarmi degli altri.» Forse essere ta’veren gli avrebbe dato il vantaggio che gli occorreva tanto disperatamente.

«A seconda della fortuna, o Corlan Dashiva o uno qualunque dei Reietti ti avrà per colazione» disse lei dirigendo il suo cavallo fuori dalla radura.

«Forse posso pensare a un modo migliore. Andiamo. C’è un bel fuoco caldo alla locanda. Spero che ci lascerai il tempo per un pasto caldo prima di partire.»

Rand la fissò con aria incredula. Chi avrebbe mai pensato che cinque Asha’man rinnegati, per non parlare dei Reietti, fossero una minore seccatura di uno stomaco vuoto? Spronando il grigio in avanti in mezzo alla neve, la raggiunse e cavalcarono in silenzio. Le teneva nascosti ancora alcuni segreti, come la malattia che aveva cominciato a colpirlo quando incanalava. Era quello il vero motivo per cui prima di tutto doveva occuparsi di Dashiva e degli altri. Gli avrebbe dato il tempo di superare la malattia. Se era mai possibile. Altrimenti, non era sicuro che i due ter’angreal che aveva dietro la sua sella sarebbero stati di alcuna utilità.

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