Le volute disegnate dalla danza degli insetti sul soffitto della caverna erano molto gradite al Cervello. Ammirava quei giochi di colori e quei movimenti mentre ne leggeva il messaggio: «Rapporto pervenuto da ascoltatori appostati nella savana; rispondere».
Il Cervello lanciò segnali affinché la danza proseguisse.
«Tre umani si preparano a fuggire su un piccolo veicolo», danzarono gli insetti. «Il veicolo non volerà. Cercheranno scampo navigando sul fiume. Che cosa dobbiamo fare?»
Il Cervello indugiò per valutare i dati ricevuti. Gli umani accerchiati erano stati dodici giorni sotto diretto controllo. Avevano fornito molte informazioni sulle loro reazioni provocate dallo stress. Quelle informazioni ampliavano i dati ottenuti dallo studio più accurato sugli indigeni. Il sistema per immobilizzare e uccidere gli umani diventava ogni giorno più semplice. Il problema non era tanto come ucciderli ma come comunicare con loro in assenza di timore e di stress da ambo le parti.
Alcuni di loro, come il vecchio dall’aria imponente, avanzavano proposte e suggerimenti e sembravano ragionevoli… ma ci si poteva fidare? Quello era il punto chiave.
Il Cervello sentì un impellente bisogno di dati effettivi sugli umani in modo da controllarli senza che questi si accorgessero di essere osservati. Infatti la scoperta degli appostamenti di ascolto sparsi nella zona Verde aveva sollevato una frenetica attività da parte degli uomini. Avevano usato nuovi tipi di vibrazioni soniche e nuovi veleni, intensificato i controlli alle barriere e rinforzato gli attacchi nelle zone Rosse.
Ma c’era un’altra fonte di preoccupazione: l’ignoto destino di quattro unità penetrate nelle barriere prima della catastrofe di Bahia.
Solo una era ritornata; il suo rapporto era stato: «Siamo diventati dodici. Sei si sono staccati dal gruppo per accerchiare la zona nella quale abbiamo catturato i due capi umani. Di loro non si hanno notizie. Un’unità è stata distrutta. Quattro si sono decomposte per riprodurre altri di noi».
L’eventuale scoperta di quelle quattro unità si rivelerebbe disastrosa in questo momento, rifletté il Cervello.
Quando sarebbero apparsi i simulacri umani? Dipendeva dalle condizioni atmosferiche e dalla temperatura del luogo, dalla disponibilità di cibo, dai prodotti chimici, dall’umidità. La sola unità che aveva fatto ritorno non era a conoscenza della sorte delle altre quattro.
Dobbiamo trovarle! pensò il Cervello.
I problemi che potevano sorgere da un’azione fuori del suo controllo lo sgomentavano. I simulacri erano un errore. Molte unità simili fra loro avrebbero attirato l’attenzione, il che si sarebbe rivelato disastroso.
Il fatto che i simulacri fossero inoffensivi, programmati in modo da esercitare una violenza limitata non aveva significato nell’attuale circostanza. Che volessero soltanto il permesso di parlare e ragionare con i capi umani… ora questo piano serviva a creare solo del pathos.
Il Cervello ripensò con amarezza alle parole dell’umano di nome Chen-Lhu: «Sconfitta… suolo sterile». Questo Chen-Lhu aveva suggerito un sistema per risolvere il problema che avevano in comune, ma quali erano le sue vere intenzioni? Ci si poteva fidare?
Il Cervello interruppe quei pensieri e diresse una domanda al suo sciame: «Quali umani cercheranno di mettersi in salvo?» Sapeva che era necessario porre particolare attenzione a ogni dettaglio.
L’orientamento dell’alveare tendeva a ignorare i dati individuali. Questa inclinazione era stata l’origine degli errori commessi con i simulacri umani.
Sapeva che all’apparenza il suo problema sembrava semplice. Ma un’analisi profonda faceva sorgere le complicazioni delle pressioni emotive. Emozioni! Emozioni! La ragione aveva così tante barriere da superare!
I messaggeri avevano verificato i dati ricevuti dagli appostamenti di ascolto, e ora ne riportavano i nomi: «Rhin Kelly, la regina nascosta, e gli umani di nome Chen-Lhu e Joao Martinho».
Martinho, pensò il Cervello, l’umano giunto con l’altra metà dell’aerocarro. Ciò dimostrava la complicata affinità del suo alveare con quello degli umani. Poteva esistere un valore in quel rapporto.
Gli insetti, allevati con un coefficiente ripetitivo atto a garantire contatti, rinnovarono la loro precedente domanda.
«Che tipo di contrattacco è richiesto?»
«Messaggio a tutte le unità», fece il Cervello. «Ai tre del veicolo sarà permesso di mettersi in salvo nel fiume. Esercitate una certa resistenza in modo che la nostra opposizione alla fuga sia evidente. Devono essere seguiti da gruppi di azione in grado di sbarazzarsi di loro qualora si riveli necessario. Non appena i tre avranno raggiunto il fiume, sopprimete quelli che rimangono.»
Le unità dei messaggeri si raggrupparono sopra il Cervello per imprimere il messaggio con motivi di danza. Decollarono in gruppi compatti, lanciandosi attraverso l’imboccatura della caverna.
Per pochi minuti il Cervello rimase ad ammirare i colori, quindi allentò gli impulsi sensoriali e si accinse a valutare il problema della prevalente incompatibilità delle proteine.
Dobbiamo produrre immediati e logici vantaggi che gli umani non possano fare a meno di riconoscere, pensò il Cervello. Se siamo in grado di dimostrare la drammaticità di tali vantaggi, riusciremo ancora a far capir loro che l’interdipendenza si sviluppa in senso circolare, è una matassa imbrogliata, una questione di vita o di morte.
Hanno bisogno di noi e noi di loro… ma l’obbligo di fornire le prove è esclusivamente nostro. E se dovessimo fallire, allora questo sarebbe veramente suolo sterile.
«Presto sarà buio, capo», disse Vierho. «Allora te ne andrai.» Aprì la calotta della capsula e si sporse all’interno.
Joao si trovava a un passo dietro di lui, ancora debole e tormentato da fitte lancinanti alla gamba sinistra causate dal trattamento energetico cui si era sottoposto.
«Ho sistemato viveri e altri rifornimenti d’emergenza qui sotto il sedile, capo. Ho riempito anche il cassone del retro. Hai a disposizione due fucili a gas con venti caricatori supplementari e una carabina. Mi dispiace, ma per la carabina sono rimaste poche munizioni. Sotto l’altro sedile c’è una dozzina di bombe schiumogene e là nell’angolo ho fissato una serie di bombole a spruzzo. Sono cariche al massimo.» Vierho si drizzò e lanciò un’occhiata alle tende, quindi aggiunse a voce bassa: «Capo, non mi fido del dottor Chen-Lhu. L’ho sentito parlare, quando credeva di morire. Ho l’impressione che…»
«È un rischio che dobbiamo correre», lo rassicurò Joao. «Senti, vorrei che tu o uno degli altri prendeste il mio posto.»
«Non ne voglio più sentir parlare, capo.» Vierho abbassò nuovamente il tono della voce. «Capo, cammina vicino a me, come se stessimo per salutarci.»
Joao esitò un attimo, quindi gli si accostò. Sentì qualcosa di metallico e di pesante scivolargli nella tasca dell’uniforme e sussurrò: «Che cos’è?»
«Apparteneva alla mia bisnonna. È una rivoltella, una Magnum 475. Ha cinque pallottole nel caricatore e qui ne ho un’altra dozzina. Non è quello che si dice un’arma ultramoderna, ma contro gli uomini fa ancora il suo dovere.»
Joao commosso deglutì, mentre gli occhi gli si inumidivano di lacrime. Tutti gli Irmandades sapevano che il Padre si portava sempre dietro quel vecchio schioppo e che per nessuna ragione al mondo se ne sarebbe mai privato. Il fatto che lo facesse ora significava che era convinto di morire lì.
«Che Dio ti protegga, capo.»
Joao si volse e guardò verso il fiume che scorreva a cinquecento metri dalla savana. Riusciva a mala pena a intravedere la spiaggia che si estendeva oltre la sponda opposta e la fitta vegetazione illuminata dai raggi del sole pomeridiano. Laggiù la giungla si elevava in ondate di colori, i suoi marcati contorni spiccavano nella luce uniforme. Varietà di colori che, da un verde scuro lungo la fascia inferiore, sfumavano in un verde salvia in quella superiore, intramezzato da chiazze gialle, rosse e ocra. Al di sopra di quelle foglie mosse da una leggera brezza, torreggiava un albero candello pieno di nidi di pipistrelli che facevano tremare i rametti più sottili. A sinistra, un groviglio di liane oscurava una parete di alberi mata-polo.
«La capsula ha solo quindici minuti di autonomia?» chiese Joao.
«Forse qualcosa di più, capo.»
Se contiamo solo sulla corrente del fiume non ce la faremo mai, pensò Joao.
«Capo, a volte spira un forte vento lungo il fiume», fece Vierho.
Maledizione, non si aspetterà che noi andiamo in acqua con quell’aggeggio, pensò Joao. Fissò Vierho e notò sul suo viso tracce di profonda stanchezza.
«Quel vento potrebbe causarvi seri inconvenienti, quindi ho utilizzato un gancio della capsula per costruire un aggeggio che stia sotto il pelo dell’acqua e funga da draga. Si chiama ancora marina e manterrà il muso della capsula contro vento.»
«Ottima idea, Padre.»
E si domandava: Perché recitiamo questa farsa? Siamo tutti destinati a morire qui… qui o sotto le acque del fiume.
Un fiume che si estendeva per sette od ottocento chilometri, con rapide, baratri, cascate, e la stagione delle piogge era imminente. Presto si sarebbe trasformato in un inferno torrenziale. E se anche si fossero salvati, c’erano sempre i nuovi tipi di insetti, le creature che spruzzavano acido e veleni sofisticati.
«È meglio che tu stesso gli dia un’altra occhiata, capo», così dicendo Vierho indicò la capsula.
Sì, ha ragione, servirà a distrarmi, a non farmi pensare, considerò Joao. C’era già stato una volta, ma un’altra occhiata non sarebbe stata inutile. Dopo tutto le loro vite dipendevano da quell’aggeggio… almeno per il momento.
Le nostre vite!
Forse c’era una via di scampo, almeno un barlume di speranza. In fondo quella era la capsula di un aerocarro della giungla, poteva esser chiusa ermeticamente ed era studiata in modo da affrontare qualsiasi assalto.
Non devo lasciarmi trasportare da inutili speranze, pensò.
Tuttavia, si avviò verso la capsula… tutto era possibile.
La vernice bianca della carrozzeria era stata ripulita dalle macchie, dalle strisce e dalle incrostazioni d’acido. I pattini galleggianti, che normalmente si estendevano oltre il muso arrotondato della capsula, erano stati piegati a mano e saldati. Formavano un basso gradino che portava alle semiali e all’interno della cabina. L’intera capsula era lunga circa cinque metri e mezzo, compresi i due metri del motore a razzo. Il blocco motore, che era inserito nella sezione sganciabile dell’aerocarro, era staccato ai due lati. La capsula, anch’essa divisa in sezioni trasversali, era di forma ovale, costituita da due superfici a mezza luna che si aprivano nella paratia posteriore della cabina. La mezza luna di sinistra era un intrico di morsetti serrafili che una volta collegavano la capsula all’aerocarro. La parte destra era chiusa ermeticamente per mezzo di un portello che ora conduceva alla cabina e a uno dei pattini galleggianti.
Joao controllò il portello, si accertò che i morsetti fossero ben collegati e lanciò un’occhiata al pattino galleggiante di destra. Notò che uno squarcio laterale era stato rappezzato con tessuto e butile.
Avvertendo un forte odore di benzina, si chinò e controllò il fondo del serbatoio. Vierho aveva pompato fuori la benzina, tappato il foro all’esterno con una sostanza chimica e all’interno con un prodotto a spray, quindi aveva travasato la benzina nel serbatoio.
«Dovrebbe reggere se non subisce urti», osservò Vierho.
Joao annuì, si arrampicò sull’ala sinistra e guardò giù nella cabina. L’abitacolo, di circa due metri quadrati e alto due metri e mezzo, comprendeva due sedili di comando e in coda dei cassoni imbottiti. I finestrini anteriori guardavano sul muso affusolato della capsula. Quelli laterali finivano all’altezza delle ali sulla parte frontale e si allargavano in coda. Un pannello trasparente di materiale plastico magnetico scorreva sopra il compartimento posteriore.
Joao si calò sul sedile di comando di sinistra e prese a controllare i comandi a mano. Notò che erano piuttosto lenti. Nel cruscotto erano stati installati un nuovo indicatore di carburante e un altro bottone di avviamento, entrambi contrassegnati da rozze etichette scritte a mano.
«Ho dovuto utilizzare i pezzi che avevo a disposizione, capo. Non c’era molto, ma se non fosse stato per l’incoscienza di quelli dell’OIE…»
«Hmm?» fece Joao in tono assente mentre proseguiva l’ispezione.
«Quando hanno abbandonato l’autocarro, hanno preso le tende. Io personalmente avrei preso un maggior numero di armi. Comunque dalle tende ho potuto ricavare le funi e le toppe per le riparazioni.»
Joao ultimò la verifica dell’indicatore di carburante. «Nel sistema di alimentazione non ci sono le valvole automatiche», disse.
«Non si potevano riparare, capo… in ogni caso non hai molta benzina a disposizione.»
«A sufficienza per mandarci tutti all’inferno…. se non si riesce a controllare.»
«È per questo che ho messo lì quel grosso pulsante, capo. Te l’ho detto. Va acceso e spento con rapidi scatti, non ci sono problemi.»
«A meno che, per sbaglio, dovessi aspirare troppa benzina.»
«Guarda là sotto, capo: quel pezzetto di legno fa da interruttore. L’ho collaudato con dei contenitori infilati sotto il dispositivo di iniezione. Non avrai un’imbarcazione molto veloce… ma piuttosto che niente.»
«Quindici minuti», rifletté Joao.
«È solo un’ipotesi, capo.»
«Lo so, forse basta per centocinquanta chilometri se tutto funziona come crédiamo; altrimenti centocinquanta metri… e salteremo per aria.»
«Centocinquanta chilometri», aggiunse Vierho, «non ti bastano nemmeno per essere a metà strada dalla civiltà.»
«Non ci sono dubbi.»
«Allora, è tutto pronto?» tuonò Chen-Lhu la cui voce aveva un tono di falsa cordialità.
Joao guardò in basso e vide che l’uomo, appoggiato all’ala di sinistra, era curvo e aveva un aspetto sofferente. Ebbe il sospetto che quella non fosse altro che una sofferenza simulata.
È stato il primo a riprendersi, pensò, anche se ci ha messo molto a rimettersi in forze. Ma… era in fin di vita. Forse lavoro troppo di immaginazione.
«È pronto o no?» insistette Chen-Lhu.
«Spero di sì», rispose Joao.
«Corriamo dei rischi?»
«Sarà come fare una passeggiatina domenicale», disse Joao in tono ironico.
«Dobbiamo salire a bordo subito?»
Joao volse lo sguardo verso le ombre che si allungavano dietro le tende, una varietà di sfumature arancione riflesse dai raggi del sole. Si accorse di respirare faticosamente, senza dubbio la tensione nervosa gli stava giocando brutti scherzi. Provò a tirare un respiro profondo e fu pervaso da una improvvisa calma; certo non era del tutto rilassato, ma libero da qualsiasi sensazione di timore.
Fu Vierho a rispondere: «Fra una ventina di minuti circa, dottore.» Posò una mano sulla spalla di Joao. «Capo, che le mie preghiere ti accompagnino.»
«Sei sicuro di non voler prendere il mio posto?»
«Non è più il caso di discuterne, capo.»
Rhin Kelly uscì dalla sua tenda con una borsetta in mano, si diresse verso di loro e andò a mettersi di fianco a Chen-Lhu.
«Fra venti minuti, mia cara», le annunziò lui.
«Non credo di avere diritto a un posto là dentro», disse Rhin. «Forse è più giusto che un altro…»
«Ormai è deciso così», tagliò corto Chen-Lhu quasi con rabbia. È incosciente, pensò, che cosa le salta in mente? «Nessuno ti permetterà di rimanere qui.» Inoltre, mia cara Rhin, posso aver bisogno di te per influenzare quel brasiliano. Joao Martinho dovrà essere manipolato con estrema attenzione, e a volte una donna ci riesce meglio di un uomo.
«Rimango del mio parere.»
Chen-Lhu si volse verso Joao. «Forse può convincerla lei, Johnny. Sono certo che non vorrà lasciarla qui.»
Qui o là, non fa molta differenza, pensò Joao, ma disse: «Come ha già detto, la decisione è ormai presa. Ora fareste meglio a salire a bordo e ad allacciarvi le cinture di sicurezza.»
«Dove dobbiamo sistemarci?» chiese Chen-Lhu.
«Lei è più pesante, quindi si metta dietro», consigliò Joao. «Sarà improbabile che io riesca a decollare prima di urtare contro la superficie del fiume, ma, se così fosse, preferirei che il muso della capsula fosse rivolto verso l’alto.»
«Anch’io devo prendere posto dietro?» chiese Rhin e si rese conto di aver inconsciamento aderito alla loro decisione. Perché no, pensò fra sé, non immaginando di dividere il pessimismo di Joao.
«Capo!»
Joao si avvicinò a Vierho che aveva appena finito di controllare i galleggianti.
Rhin e Chen-Lhu intanto si erano diretti verso la fiancata di destra e stavano salendo a bordo.
«Come ti sembra?»
«Ti consiglio di tenere il galleggiante di destra più sollevato rispetto all’altro», fece Vierho. «Avresti maggiori probabilità di farcela.»
«Va bene. Manderemo soccorsi non appena possibile», disse Joao ma, pronunciando quelle parole, si rese conto della loro vacuità.
«Certo, capo.» Vierho indietreggiò e preparò un lanciabombe.
Gli altri uscirono dalle tende carichi di armi e cominciarono a sistemarle nel veicolo.
Niente addii, pensò Joao. Sì, è la cosa migliore. Deve sembrare una partenza come le altre, una normale routine.
«Rhin, che cosa c’è dentro quella borsa?» chiese Chen-Lhu.
«Oggetti personali… e…», si interruppe, in preda alla commozione, «alcuni di loro mi hanno dato delle lettere da consegnare».
«Ah», fece Chen-Lhu, «un pizzico di sentimentalismo che si adatta alla situazione».
«Che cosa c’è che non va?» chiese Rhin con stizza.
«Niente, proprio niente.»
Vierho si diresse nuovamente verso l’estremità dell’ala. «Allora d’accordo, capo: appena ci dai il segnale di partenza, formiamo una barriera schiumogena lungo tutto il percorso. Dovrebbe tenerli lontani quel lasso di tempo che ti occorre per raggiungere il fiume. Inoltre servirà a rendere il prato più scivoloso.»
Joao annuì e prese a ripassare mentalmente la routine di volo. Nemmeno uno degli interruttori era al suo posto. Il bottone d’avviamento a sinistra anziché a destra, la manetta del gas sporgeva dal cruscotto anziché dal pavimento fra i due sedili. Regolò le alette di compensazione e gli alettoni.
Sulla savana era calato il silenzio che anticipava la notte. Il prato che si estendeva davanti a loro era simile a un mare verde. Il fiume, in quel punto, era largo solo una cinquantina di metri: una superficie molto limitata, su cui ammarare se la capsula si fosse staccata da terra troppo velocemente. Joao sapeva che a quella latitudine e altitudine l’oscurità non era completa. Avrebbe dovuto scegliere il momento adatto: un minimo di luce per il lancio attraverso la savana e… sufficiente oscurità per proteggerli fino al momento dell’impatto sulle acque del fiume.
In balia di quei maledetti insetti per un raggio di quindici metri, pensò Joao. Dovrò farcela solo su una piccola striscia in mezzo al fiume, se attaccheranno da riva. E Dio solo sa in quanti altri modi possono attaccarci… creature volanti, acquatiche.
«Tenetevi pronti con i fucili a gas non appena siamo in salvo sul fiume», disse. «Nel vederci fuggire usciranno tutti insieme all’attacco.»
«D’accordo», fece Chen-Lhu. «I fucili sono in questo cassone, vero?»
«Esatto.»
Joao abbassò la calotta e la chiuse ermeticamente.
«In questo tipo di capsula, i portelli si chiudono a scatto automatico, per mezzo di morsetti. Si vedono anche là dietro, di fianco ai finestrini posteriori.»
«Sistema molto ingegnoso», osservò Chen-Lhu.
«È un’idea di Vierho. È stata adottata in tutte le altre capsule.» Così dicendo volse lo sguardo verso Vierho e lo salutò con un gesto della mano. Questi si allontanò e ritornò al lanciabombe.
Joao accese le luci di atterraggio della capsula.
A quel segnale, tutti i suoi uomini fecero scattare le bombe schiumogene che andarono a ricadere lungo tutto il percorso che avrebbe compiuto la capsula.
Joao premette il bottone d’avviamento; la spia di sicurezza si accese. Contò tre secondi, la luce si affievolì e si spense. Bene, pensò, e spinse a fondo la manetta del gas.
Un boato assordante si alzò dai motori a razzo e, ancor prima che Joao riuscisse ad azionare i freni, la capsula fu catapultata fuori della fossa perimetrale in direzione del fiume. Con un senso di violenta emozione, si rese conto di essere sospeso per aria. Tuttavia aveva l’impressione di non riuscire a controllare la capsula; tendeva a oscillare in coda… i galleggianti facevano troppa resistenza. Non erano studiati per rimanere fuori durante il volo.
Ma non era il momento di pensarci. Joao virò e puntò in direzione di una striscia d’acqua ai margini della quale la savana si fondeva con la giungla. In quel punto il fiume era più profondo, più largo e scorreva verso le colline che si stagliavano sullo sfondo. Quello era il punto più adatto. I galleggianti toccarono il pelo dell’acqua con un rimbalzo morbido… Su, giù… spruzzando acqua da entrambi i lati… più piano, sempre più piano.
Il muso si abbassò.
Fu solo allora che Joao si ricordò di non poggiare troppo sul galleggiante di destra.
La capsula stava ancora avanzando, ma avvicinandosi sempre più alla costa.
Joao trattenne il respiro nella speranza che la riparazione reggesse; si aspettava che da un momento all’altro la fiancata destra andasse a sbattere contro la superficie dell’acqua.
La capsula rimase in equilibrio.
«Ce l’abbiamo fatta?» chiese Rhin. «Siamo fuori pericolo?»
«Credo di sì», rispose Joao.
Chen-Lhu gli passò i fucili a gas e disse: «Li abbiamo colti di sorpresa. Ah, ah! Guardate là dietro!»
Joao si girò quel tanto che la cintura di sicurezza gli permetteva, e guardò oltre la savana. Nel punto in cui si trovavano le tende fluttuava una nuvola grigia da cui uscivano strane protuberanze che si alzavano e si abbassavano.
Fu pervaso da un brivido agghiacciante, quando si rese conto che quella nuvola era formata da miliardi di insetti che si riversavano sull’accampamento.
Un improvviso risucchio colse di sorpresa la capsula facendola virare fuori del campo visivo della scena. Joao assecondò il movimento per sottrarsi a quella vista che non poteva più sopportare. Per un attimo la superficie dell’acqua davanti a lui brillò di un bagliore arancione, poi il buio della notte assorbì la scena. Il cielo assunse toni argentei riflessi da una sottile fetta di luna.
Vierho, pensò Joao. Thome… Ramon…
Gli occhi gli si riempirono di lacrime.
«Oh, mio Dio!» esclamò Rhin.
«Dio, già!» le fece eco Chen-Lhu con rabbia. «Un altro modo per definire i meccanismi del fato!»
Rhin nascose il volto fra le mani. Aveva la sensazione di prender parte alle prove di un dramma cosmico, un dramma senza copione o recitazione, senza parole o musica, e di cui non conosceva la sua parte.
Dio è brasiliano, pensò Joao, ricordando un vecchio detto del suo paese: Di notte, Dio perdona i peccati commessi dai brasiliani durante il giorno.
E Vierho diceva sempre: «Confida nella Vergine Maria e vai».
Non avrei potuto aiutarli, pensò, il rischio era troppo grande.