CAPITOLO DECIMO

Sognò di essere trasportato, di piangere, di urlare; fu un sogno di violenti proteste, di sfide, di ripulse.

Joao fu svegliato da una luce giallo arancione, men­tre una figura d’uomo, che non poteva essere suo padre, era china su di lui e gli tendeva una mano, dicendo: «Allora guarda la mia mano, se non mi credi!»

Non può essere mio padre, pensò Joao. Io sono morto… anche lui è morto. L’hanno plagiato… mi­mesi, nient’altro.

Joao si trovava in uno stato di shock che gli of­fuscava la mente.

Come mi trovo qui? Si domandava. Scavò nei ricordi e vide se stesso uccidere Rhin col revolver di Vierho, quindi puntare l’arma su di sé.

Qualcosa si muoveva alle spalle della figura che non poteva essere suo padre. Joao spostò lo sguar­do in quella direzione e vide un volto gigantesco largo quasi due metri. In quella insolita luce, il volto appariva triste, occhi brillanti, abbaglianti… enormi occhi con le pupille dentro le pupille. Il volto si girò e Joao notò che aveva uno spessore di non più di due centimetri. Di nuovo la maschera si volse. Gli strani occhi si concentrarono sui piedi di Joao.

Joao si sforzò di guardare in basso, quindi sollevò il capo di scatto e si lasciò cadere all’indietro in preda a un violento tremore. Al posto dei piedi aveva un bozzolo verde bavoso. Sollevò il braccio sinistro, ricordandosi che era rotto; ora lo artico­lava senza provare dolore e vide che la sua pelle aveva le stesse tonalità di verde di quel bozzolo repellente.

«Osserva la mia mano!» esclamò il vecchio ac­canto a lui. «Te lo ordino!»

«Non è ancora completamente sveglio.»

Era una voce tonante, risonante, che scuoteva l’aria attorno a loro e Joao ebbe l’impressione che giungesse da sotto il volto gigantesco.

Che strano incubo è questo? si chiese Joao. So­no all’inferno?

Con una brusca mossa allungò il braccio per af­ferrare la mano protesa.

Era calda… umana.

Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Scosse il capo per scacciarlo e ricordò… di avere fatto la stessa cosa un’altra volta… in qualche posto. Ma la sua mente si rifiutava di ricordare, c’erano pro­blemi più incalzanti. Quella mano era vera… le sue lacrime erano vere.

«Com’è possibile?» sussurrò.

«Joao, figlio mio», disse la voce di suo padre.

Joao scrutò il volto paterno. Era lui, non v’era alcun dubbio, nei minimi particolari. «Ma… il tuo cuore», fece Joao.

«La mia pompa», fece il vecchio. «Guarda.» Ri­trasse la mano per indicare la schiena. L’abito era stato tagliato e i bordi sembravano trattenuti da una sostanza gommosa. Al centro, uno strato gial­lognolo e oleoso pulsava ritmicamente.

Joao vide le linee delle squame, sottili come ca­pelli, e inorridì.

Così è una copia, un altro dei loro artifici.

Il vecchio gli fu nuovamente di fronte e Joao non poté evitare lo sguardo limpido dei suoi occhi. Que­gli occhi non erano sfaccettati.

«La vecchia pompa non funzionava più e me ne hanno data una nuova», spiegò suo padre. «Serve per pompare il sangue nelle vene. Mi darà la possi­bilità di vivere più a lungo. Che cosa credi che di­ranno i nostri luminari della scienza medica?»

«Sei proprio tu», disse Joao con voce roca.

«In carne e ossa, a eccezione della pompa», ri­spose il vecchio. «Ma tu, che pazzo sei stato! Come ti è saltato in mente di sparare a quella povera don­na e a te stesso!»

«Rhin», mormorò Joao.

«Farvi saltare il cuore e parte dei polmoni, e per di più cadere proprio in mezzo a quel veleno corrosivo spruzzato tutt’intorno. Non solo vi han­no dovuto procurare due cuori nuovi, ma anche un intero apparato circolatorio!»

Joao sollevò le mani e rimase a fissare la pelle color verde. Si sentiva stordito; gli sembrava di vivere un sogno dal quale era incapace di svegliarsi.

«Sono a conoscenza di tecniche scientifiche che nemmeno immaginiamo», disse suo padre. «Non mi sono mai sentito così eccitato da quando ero bam­bino. Non vedo l’ora di tornare indietro e… Joao! Che cosa c’è?»

Joao si alzò di scatto e fissò il vecchio. «Non sia­mo più esseri umani, padre! Non siamo umani se… Non siamo umani!»

«Oh, calmati!» gli ordinò suo padre.

«Se è così… siamo nelle loro mani!» protestò Joao, spostando lo sguardo sul volto gigantesco. «Ci terranno in loro potere!» Si lasciò cadere all’indietro ansimando. «Saremo i loro schiavi», mor­morò.

«Che sciocchezze», tuonò la voce.

«È sempre stato melodrammatico», fece Martinho padre. «Pensa alla sua reazione di fronte agli ultimi avvenimenti sul fiume. Naturalmente, è stata anche colpa tua. Se solo mi avessi dato ascolto, se so­lo avessi avuto fiducia in me.»

«Ora che abbiamo in mano un ostaggio», tuonò il Cervello, «possiamo accordarti la nostra fiducia».

«Fin da quando mi avete ridato la vita, avevate in mano un ostaggio», disse il vecchio.

«Allora non capivo che valore attribuivate al sin­golo individuo», disse il Cervello. «Dopo tutto, noi saremmo pronti a sacrificare qualsiasi unità per salvare l’alveare.»

«Non certo una regina», obiettò il vecchio. «Non sacrifichereste una regina. E tu? Saresti pronto a sacrificare te stesso?»

«Impensabile», mormorò il Cervello.

Lentamente Joao piegò per scrutare sotto la ma­schera da dove proveniva la voce. Vide una massa biancastra di circa quattro metri quadrati con una protuberanza pulsante simile a una vescica gialla­stra. Miriadi di insetti privi d’ali strisciavano sulla sua superficie, all’interno delle sue cavità e sul pa­vimento di pietra della caverna. La maschera fac­ciale si elevava da quella massa vischiosa, sorretta da una dozzina di paletti arrotondati. La superfi­cie squamosa tradiva la loro natura.

Lentamente Joao prese coscienza della realtà. «Rhin?» mormorò.

«La tua donna è salva», tuonò il Cervello. «Tra­sformata come te, ma salva.»

Joao continuava a fissare la massa biancastra che giaceva sul pavimento della caverna. Notò che la voce proveniva dalla vescica.

«Noto che il nostro modo di ribattere alle tue perplessità, attira la tua attenzione», disse il Cer­vello. «Questo è il nostro cervello. È vulnerabile e forte al tempo stesso… proprio come il tuo.»

Joao dovette soffocare un brivido di repulsione.

«Dimmi», fece il Cervello. «Che cos’è secondo te uno schiavo?»

«Io sono uno schiavo, ora», mormorò Joao. «Il tuo schiavo. Ti devo obbedienza, altrimenti potre­sti uccidermi.»

«Ma non hai tentato tu stesso di ucciderti?» chie­se il Cervello.

Joao meditò a lungo su quelle parole.

«Lo schiavo è colui che deve produrre ricchezza per qualcun altro. Esiste una sola vera ricchezza in tutto l’universo e Io te ne ho data una parte. E l’ho donata anche a tuo padre e alla tua donna. Ai tuoi amici. Questa ricchezza è la vita. Siamo forse schiavi perché ti abbiamo prolungato l’esistenza?»

Joao spostò lo sguardo dal Cervello alla maschera, posandolo su quegli occhi brillanti e gli parve di cap­tare in essi una certa espressione di compiacimento.

«Abbiamo salvato e allungato la vita di tutti colo­ro che ti stavano vicino e ti erano cari», tuonò la voce. «Ciò fa di noi i vostri schiavi, non ti pare?»

«Che cosa volete in cambio?» chiese Joao.

«Ah, ah!» esclamò la voce. «È un baratto. Ciò che voi definite affari e di cui non capivo il mecca­nismo. Presto tuo padre partirà per andare a parla­re con gli uomini del suo governo. Sarà il nostro mes­saggero. Noi gli abbiamo dato la vita e questa è la sua ricompensa. Sarà a sua volta nostro schiavo, non è così? Siamo legati l’un l’altro da un vincolo di schiavitù che non può essere spezzato… anche se tenti con tutte le tue forze.»

«È tutto molto semplice, una volta capito il si­gnificato dell’interdipendenza», disse il padre di Joao.

«Capito che cosa?»

«Alcune delle nostre specie una volta vivevano in una dimora verde», tuonò lo voce. «Conosci le di­more verdi, naturalmente.» Il volto gigantesco guar­dò fuori della caverna dove l’alba stava colorando il mondo coi suoi primi tratti grigi. «Anche quel­lo è una dimora verde.» Ancora una volta gli oc­chi brillanti si posarono su Joao. «Per garantire la vita, deve esserci un giusto equilibrio tra l’ambiente naturale e gli organismi viventi che lo popolano: un po’ di questo prodotto chimico, un po’ di quello, un’altra sostanza disponibile quando è necessaria. Quello che oggi è veleno, può rivelarsi l’alimento più pregiato domani.»

«Che cosa ha a che fare tutto questo con la schia­vitù?» chiese Joao in tono petulante.

«La vita si è sviluppata sulla Terra attraverso mi­lioni di anni», tuonò il Cervello. «Talvolta si è evolu­ta dall’escremento velenoso di un altro organismo… e allora quel veleno è diventato necessario. Senza una sostanza prodotta dalle enteridi l’erba della sa­vana laggiù morirebbe… a poco a poco.»

Joao fissava il soffitto roccioso, mentre pensieri diversi gli si accavallavano nella mente. «Il suolo sterile della Cina!» esclamò.

«Precisamente», disse il Cervello. «Senza le so­stanze prodotte dagli… insetti e altri organismi vi­venti, la vostra specie si estinguerebbe. Talvolta è sufficiente anche la minima traccia di una sostan­za, come a esempio la cuprite prodotta dagli aracnidi. A volte tale sostanza deve passare attraverso nu­merose elaborazioni, subire ogni volta una modifi­ca, prima di essere utilizzata dall’ultimo anello del­la catena. Se si spezza la catena biologica è la fine per tutti. Più organismi viventi sono contenuti nel­l’ambiente naturale, più possibilità di vita esistono. La dimora verde più prospera deve racchiudere di­verse forme di vita… il benessere di tutti è diretta­mente proporzionale al numero degli organismi vi­venti.»

«Chen-Lhu», disse Joao, «potrebbe essere d’aiu­to. Potrebbe andare con mio padre e raccontare… Hai salvato Chen-Lhu?»

«Il cinese», disse il Cervello. «Possiamo dire che viva, sebbene lo abbiate trattato con eccessiva crudeltà. Le strutture vitali del suo cervello sono salve, grazie al nostro pronto intervento.»

Joao guardò la massa rigonfia e porosa che giace­va sul pavimento della caverna, poi distolse lo sguar­do.

«Abbiamo le prove da fornire alle autorità», disse il padre di Joao. «Non ci sono dubbi. Nessuno avrà più dubbi. Dobbiamo smettere di uccidere e muta­re gli insetti.»

«Lascia che se la sbrighino loro», fece Joao.

«Diciamo che dovete smettere di suicidarvi», tuo­nò la voce. «I connazionali del vostro amico Chen-Lhu stannno già… ‘riinfestando’, come direste voi. Forse sono ancora in tempo, forse no. In Cina, era­no abili ed esperti… ma ora penso che abbiano bi­sogno del nostro aiuto.»

«Voi sarete i nostri maestri», disse Joao e pen­sò: Rhin… Rhin, dove sei?

«Vogliamo soltanto acquisire un nuovo equili­brio», disse il Cervello. «Sarà interessante da sco­prire. Comunque, avremo tutto il tempo di discuter­ne più tardi. Sei completamente libero di muoverti… e sei in grado di farlo. Soltanto, non avvicinarti trop­po a me: i miei insetti infermieri non lo permettereb­bero. Per ora, puoi andare a raggiungere la tua com­pagna là fuori. C’è un sole splendente stamattina. La­scia che penetri nella tua pelle e nella clorofilla del tuo sangue e produca il suo effetto. E quando torne­rai qui dentro, mi dirai se il sole è tuo schiavo.»


FINE

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