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Graham aprì gli occhi in un piccolo letto bianco. L’aria era impregnata dall’odore di disinfettante, e la testa gli rintronava dolorosamente come sotto i colpi di un martello.

Faticò un poco a raccogliere le idee: l’ospedale, il disastro ferroviario, un viaggio in treno, una statuetta verde, il cimitero di Isling, e la voce nella notte… Cercò di rizzarsi a sedere, ma lo sforzo gli procurò una fitta dolorosissima che lo fece ricadere sul guanciale. Alzando un braccio poté rendersi conto di avere la testa completamente fasciata. Per un momento che gli sembrò eterno, Graham rimase immobile aspettando che il mal di testa diventasse sopportabile.

Lì, in quell’atmosfera d’ospedale, la sua avventura pareva lontana e inverosimile. Ma doveva essere stata invece terribilmente reale, a giudicare dalle fasciature! Senza dubbio era merito della sua buona stella se l’aveva scampata. In quanto alla statuetta, quando gli avrebbero ridato la valigia…

Ricordò improvvisamente di aver visto per l’ultima volta la valigia mentre cadeva fuori dallo sportello. E la fantastica figurina era là dentro! Se fosse andata perduta… ma no, impossibile, il bagaglio doveva essere stato trovato sul luogo dell’incidente dalle squadre di soccorso e consegnato alle autorità competenti. Faticosamente Graham si girò su un fianco guardandosi attorno: con uno sforzo notevole, e guadagnandosi un afflusso sanguigno che gli accrebbe il dolore, riuscì a dare un’occhiata anche sotto il letto, ma della valigia nessuna traccia. Forse era stata depositata nel guardaroba dell’ospedale. Certo era anche possibile che fosse rimasta schiacciata nel disastro, ma la statuetta di Isling era di un materiale tanto duro che niente avrebbe potutospezzarla.Inogni caso era inutile che si affannasse prima di averne un vero motivo.

Si mise allora a pensare all’incubo che aveva preceduto di un attimo la tragedia, ma i particolari sfuggivano alla sua comprensione. Ricordava vagamente un bizzarro miscuglio di allucinazioni e di realtà, il tutto colorato di verde, tinta che l’aveva accompagnato per l’intera giornata. Risentì fortissimo il dolore alla testa: evidentemente il fatto di pensare nuoceva al suo stato, ma non gli riusciva di fare altrimenti.

Calcolò di essere sveglio da circa un quarto d’ora. Puntando i gomiti e muovendosi con infinite precauzioni, riuscì a tirarsi più in su e poté raggiungere il campanello che si trovava sopra la testiera del letto. Suonò. Dopo qualche minuto entrò una giovane infermiera, bionda, florida, sorridente, e graziosa.

«Avete suonato?»

«No, cosa vi salta in testa?Icampanelli suonano sempre da soli» disse Graham bruscamente. Non poteva sopportare le domande stupide soprattutto se era una donna a farle.

La ragazza accentuò il suo sorriso.

«Se volessi rispondervi nel medesimo tono, direi che sir Warren ha trapiantato in voi un po’ del suo cervello» disse.

«Sir Warren?»

«Sì, signore, il medico chirurgo. Vi ha operato ieri, per una frattura alla base cranica e commozione cerebrale. Un’operazione senza importanza, s’intende!»

Graham incassò.

«D’accordo. Me la sono meritata, questa risposta.»

Sir Warren era un famoso specialista, noto per le sue operazioni sul cervello, ed era amico di Graham.Aveva anche offerto alcuni pezzi interessanti al Museo.

«Vorrei sapere dove sono, e da quando sono qui» riprese lo scienziato.

«Ospedale Middletown, camera sette uno tre» disse l’infermiera. «Siete nostro ospite da ieri mattina. Vi hanno portato qui subito dopo l’incidente, e dieci minuti dopo il vostro arrivo eravate in sala operatoria.»

«Avete tra le mie cose personali una valigia scura, non molto grande?»

«Non lo so, ma posso informarmi.»

«Volete farlo subito, per favore? La cosa è per me di importanza capitale, Spero di non disturbarvi troppo.»

L’infermiera fece una maestosa conversione a sinistra e uscì dalla camera.

Tornò qualche minuto più tardi, per dire: «Non c’è nessuna valigia depositata a vostro nome, purtroppo. Voi eravate un caso dei più urgenti, e quando siete arrivato non avevate che i vostri vestiti.»

«È proprio quello che temevo» disse Graham, contrariato. «E quanto tempo dovrei stare qui?»

«Almeno una settimana.»

Era un nuovo colpo inferto alle sue speranze: una settimana! Come avrebbe potuto ritrovare la sua preziosa valigia dopo sette giorni? Decise di lasciare l’ospedale, con o senza permesso, assai prima di quel termine.

L’infermiera gli porse un bicchiere nel quale aveva versato alcune gocce da una boccetta.

«Bevete questo» gli disse.

Graham obbedì, e il terribile mal di testa scomparve immediatamente. L’infermiera non era ancora uscita che già lo scienziato si era assopito. Si svegliò verso sera, e vide sir Warren accanto al letto. Il più succintamente possibile, Graham spiegò al chirurgo le ragioni che gli imponevano di lasciare l’ospedale prima del termine fissato, ed ebbe la gradita sorpresa di sentirsi rispondere che avrebbe potuto andarsene nel giro di due o tre giorni. La ferita era stata superficiale e l’operazione aveva interessato solo una piccola parte del cranio. Naturalmente bisognava che evitasse anche il più piccolo colpo alla testa per non compromettere la saldatura dell’osso e la cicatrizzazione della pelle.

«È stato un intervento rapido. Quello che può causare maggiori noie è invece la commozione cerebrale» spiegò sir Warren. «Gli effetti del trauma possono farsi sentire magari tra parecchi mesi, o anni, sotto forma di improvvisi stordimenti, e forti emicranie con gli stessi sintomi dei tumori. Noi abbiamo fatto del nostro meglio. Ora, se voi chiedete di andarvene, devo avvertirvi che potete farlo ma a vostro rischio e pericolo. Perciò fate attenzione: niente strapazzi.»

Igiorni seguenti passarono con una lentezza esasperante e Graham ingannò il tempo facendo progetti e cercando di ricordare ogni particolare che potesse essergli di aiuto per capire il fenomeno al quale aveva assistito. Niente da fare! Era un autentico vicolo cieco! Bisognava che ritrovasse la statuetta, a tutti i costi. Ormai era diventata una ossessione, una mania. Quella immagine era senza dubbio la chiave del mistero. In quanto alla presenza soprannaturale, ciclopica, che si era scatenata nello scompartimento del treno, fino a che punto era legata a quell’oggetto?

Per la prima volta nella sua vita Graham rimpianse di non avere un amico fidato con il quale discutere i suoi problemi, perché non osava parlarne agli estranei. Gli avrebbero probabilmente riso in faccia. Già gli sembrava di sentirli: quel povero vecchio Graham! Brutta storia davvero. Sembrava un tipo così a posto, e invece guarda un po’ cosa succede quando uno lavora troppo. Va bene fino a un certo momento, e poi, tutto a un tratto, patatrac!

Durante le ore di ozio forzato, lo scienziato cercò anche di ricostruire le sillabe gutturali che aveva sentito prima del disastro: N’ga n’ga rhthl’g clretl ust s g’lgggar septhulchu… Che significato potevano avere? Anche questo era un rebus da risolvere. L’unica cosa certa in tutta quella storia pazzesca era che, dal momento in cui si era cacciato in quel labirinto, aveva tutte le intenzioni di esplorarne i meandri, qualunque fossero le conseguenze che potessero derivargliene.


La tecnica moderna è in grado di permettere cose che i nostri padri non sognavano neppure. Così, tre giorni dopo il delicato intervento, Graham fu in grado di lasciare l’ospedale nascondendo sotto il cappello un’abile fasciatura non più ingombrante del necessario. Per prima cosa acquistò a un’edicola tutti i giornali che avevano parlato e ancora parlavano dell’incidente ferroviario. Lesse attentamente gli articoli che lo interessavano e diede un’occhiata agli annunci relativi agli oggetti smarriti.

Un paragrafo di uno dei primi articoli lo stupì enormemente. Diceva: Le cause della catastrofe, il cui bilancio è di diciannove morti e cinquantasette feriti, sono tuttora sconosciute. Le testimonianze raccolte permettono d’affermare che la strada ferrata era sgombra, ed escludono ogni possibilità di sabotaggio. Il macchinista, deceduto poco dopo la sciagura, non è stato in grado di fornire alcuna spiegazione. Ha potuto soltanto dichiarare che il treno era in perfetto orario e che la velocità del convoglio non superava in quel punto i cinquanta chilometri orari. Aveva appena imboccato un lungo rettilineo, quando un colpo terribile ha spezzato il convoglio in due. La locomotrice con i primi vagoni è deragliata, falciando la scarpata per duecento metri prima che le vetture le si serrassero attorno bloccandola. Quattro dei nove vagoni che formavano il treno sono rimasti appiattiti come se sulle vetture fosse piombata una montagna. Dai rottami contorti sono stati estratti undici corpi. Dei dodici passeggeri che si trovavano negli scompartimenti, uno solo si è salvato. Si tratta del conservatore del Museo Ludbury, che è stato ricoverato in gravi condizioni all’ospedale Middletown dove gli hanno riscontrato una frattura cranica…

Sui giornali dei giorni seguenti nessun particolare modificava le prime notizie, e i pezzi riguardanti la disgrazia erano ridotti a poche righe. Notizie più recenti godevano l’onore della prima pagina che si occupava particolarmente di un naufragio avvenuto nell’Atlantico. Ma Graham ne aveva abbastanza di incidenti e non si soffermò a leggerne il resoconto. In nessun giornale, si accennava alla valigia scomparsa.

Finita la lettura, lo scienziato chiamò un taxi e si fece portare a casa. Appena arrivato, si affrettò a telefonare a tutti i quotidiani perché ogni giorno, per sette giorni, pubblicassero il seguente annuncio: Lauta ricompensa a chi riporterà una valigia di cuoio scuro, recante nell’angolo superiore le iniziali C.E.G., o il suo contenuto. La valigia è andata smarrita nel disastro ferroviario di Nottington.

In seguito telefonò a un autonoleggio perché gli fosse tenuta a disposizione una buona macchina veloce. Un quarto d’ora più tardi entrò in possesso di una elegante cabriolet, e si mise al volante, sistemando un pacco sul sedile accanto.

Guidò piano, destreggiandosi in mezzo al traffico intenso, ma appena fuori dell’abitato, premette sull’acceleratore e in un’ora giunse sul posto del disastro. Fermata la macchina su un lato della provinciale, si avviò a piedi attraverso un prato per raggiungere la strada ferrata. Le rotaie erano già state riparate, i resti del convoglio portati via. Questo fatto limitava assai le sue speranze di ritrovare il bagaglio. Tuttavia Graham cominciò a cercare minuziosamente lungo entrambi i lati del binario, nelle siepi e sui campi laterali. Percorse così mezzo chilometro, e non una buca, non un ciuffo d’erba sfuggì alle ricerche. Trovò una quantità enorme di cose, bottigliette, pacchetti di sigarette, bottoni, bicchieri di carta, strisce di chewing-gum, e altri oggetti ancora, ma non trovò quello che cercava.

Fece ritorno alla macchina e riprese il viaggio, questa volta in direzione di Isling.

Fermandosi appena il tempo necessario per una rapida colazione, giunse al paese alle prime ore del pomeriggio. Senza perdere un minuto, imboccò la Vadia e arrivò al Cimitero del Diavolo. Preso con sé il pacco, chiuse la macchina ed entrò, dirigendosi verso il punto dei suoi precedenti scavi. Una breve occhiata gli rivelò che dopo di lui nessuno aveva messo piede nella necropoli. Senza perdere tempo si mise a rimuovere la terra interrompendosi di tanto in tanto per non affaticarsi troppo. La testa non gli pulsava dolorosamente anche perché il lavoro non richiedeva uno sforzo eccessivo dato che il terreno era già smosso. Scavò a lungo, e il cuore gli dava un balzo ogni volta che la pala urtava una pietra. Alla fine arrivò alla grande lastra verde, e si fermò per riprendere fiato. Era deluso e gli ci volle un po’ per rassegnarsi al fallimento. Dunque la statuetta non era lì!

Comunque non era andato lì soltanto per quello. Con infinita precauzione, pronto a balzare via al minimo accenno di pericolo, ripulì la superficie della lapide finché l’iscrizione non fu completamente visibile. Allora prese dal pacco una bottiglia contenente una polvere bianca con la quale ricoprì tutto il ripiano verde. Dopo un attimo soffiò. La polvere era penetrata nelle incisioni e in tal modo l’iscrizione risaltava nettamente bianca sul fondo verdastro.

Graham prese la macchina fotografica e il flash e scattò numerose fotografie. Per quel giorno il suo lavoro era finito. Riguadagnò l’orlo della fossa aspettandosi di vedere da un momento all’altro il vuoto sotto di sé, ma non accadde nulla. Quando raggiunse il terreno solido, emise un sospiro di sollievo. Un giorno o l’altro si sarebbe dedicato all’esplorazione della voragine che si spalancava sotto la lapide, ma per il momento doveva occuparsi d’altro.

Rientrò in città che era già notte. Consegnò il rotolo di pellicola a un assistente del Museo che aveva a casa sua una camera oscura perfettamente attrezzata e che gli promise di consegnargli le fotografie, sviluppate e ingrandite, per il mattino seguente alle nove.

Per quanto affaticato, Graham doveva fare ancora qualcosa. Dopo aver cenato nel ristorante abituale, lo scienziato rientrò in casa e restò al tavolo di lavoro sino a notte tarda, notando minuziosamente tutti i dati di cui era a conoscenza. Poi prese le vecchie note, il diario delle sue esplorazioni precedenti, le prove concrete che era riuscito ad accumulare in tutti quegli anni, e riunì il tutto.

Il mattino seguente prese visione delle fotografie. Erano riuscite perfettamente e mettevano in evidenza ogni particolare. Poiché i suoi annunci sui giornali per il ritrovamento della valigia non avevano dato alcun risultato, Graham pensava che l’unico sistema per procedere verso la soluzione del mistero fosse decifrare le iscrizioni della lapide. E questa era un’impresa tutt’altro che facile. Anche ammesso di riuscirvi, ci sarebbero voluti mesi, e forse anni, a meno di avere un colpo di fortuna che gli facesse scoprire la chiave del linguaggio misterioso. Da che parte cominciare?


Fu la pronuncia delle parole misteriose a metterlo sulla strada giusta. Gli sembrava che esistesse un rapporto tra le sillabe incise e i suoni gutturali uditi nello scompartimento la notte del disastro. Fece subito una telefonata.

«Pronto, professor Alton? Parla Graham. Professore, potreste fissarmi un appuntamento per questa mattina?… Sì, è molto importante, e interesserà anche voi, moltissimo. Si tratta di un’iscrizione che non ha niente in comune con tutte quelle conosciute. La sua origine mi sfugge del tutto e secondo me non ha alcun rapporto con le altre lingue vive, o morte che siano… Alle undici? Perfetto. Sarò puntualissimo.»

Riattaccò il ricevitore, assai soddisfatto. Alton si sarebbe scomodato anche in piena notte quando si trattava di decifrare un testo. La sua passione per la semantica e le sue cognizioni in merito erano enormi. Celebre filologo, il professor Alton aveva rivoluzionato il campo della linguistica generale con i suoi trattati sulle lingue polinesiane, e aveva fama di essere il migliore esperto di civiltà Maya. Graham lo conosceva bene perché Alton si rivolgeva sempre al Museo per prendere visione di tutti i nuovi acquisti riguardanti iscrizioni. Al momento il professore lavorava a uno studio comparato dei dialetti africani parlati ma non scritti.

All’ora fissata, Graham si trovò nell’ufficio di Alton, all’Università. Gli sottopose subito le fotografie scattate a Isling e un foglio sul quale aveva riportato il più fedelmente possibile i suoni uditi in treno. Alton esaminò lungamente le foto con aria perplessa.

«Dove si trova l’originale?» chiese infine.

«A Isling, vicino a Stonehenge.»

«A Isling» ripeté Alton. Sembrava molto sorpreso.

«Sì. Ho fatto io stesso queste fotografie. E su quel foglio è segnata quella che secondo me è la pronuncia approssimativa di alcune parole.»

Alton si interessò alle annotazioni dell’archeologo e le sue labbra formularono silenziosamente le frasi incomprensibili. Aveva la fronte aggrottata quasi si trovasse davanti a un problema troppo difficile oppure troppo preoccupante.

«Uhm… Posteriore al sanscrito» mormorò poi. «Una modificazione di un canto Ulonga. Sembra anzi sanscrito e Ulonga insieme… E si trovava qui, in Inghilterra!» Rialzò la testa e fissò Graham. «Potete lasciarmi queste foto? Credo di potervi aiutare. Non vi prometto una traduzione completa, ma farò il possibile. Bisogna che consulti alcune registrazioni che ho effettuato in Africa qualche anno fa.»

Detto questo, sembrò dimenticare del tutto la presenza di Graham, e si immerse di nuovo nello studio delle fotografie. L’archeologo uscì dall’Università con la sensazione di aver fatto finalmente un passo avanti.

Se Alton avesse fallito, e non si fosse ritrovata la statuetta, tutto sarebbe tornato allo stato iniziale, a meno che la pietra verde non conducesse a una nuova pista. Ma le cognizioni del professor Alton erano così vaste che Graham sperava fermamente in un successo per lo meno parziale.

Prima di rientrare telefonò ai vari giornali per avere notizie della sua inserzione, ma senza esito. Si dedicò allora alle sue annotazioni, alle quali aggiunse gli articoli dei quotidiani sul disastro ferroviario. Per fare questo prese una forbice e cominciò a ritagliare i fogli che gli interessavano. Il primo giornale dava una descrizione completa dell’avvenimento corredandola con fotografie. Il secondo riportava soltanto un riassunto del fatto con l’aggiunta di qualche trascurabile particolare e le ipotesi sulla causa dell’incidente. Sfogliando il terzo, Graham fu attirato da un vistoso titolo che occupava tutta la prima pagina, e si mise a leggere l’articolo. A un tratto una frase lo fece sussultare: … Una nube verdastra avvolgeva la nave quando il mercantileRawlinsne incrociò la rotta a mezzanotte circa…

Graham scorse rapidamente l’elenco dei passeggeri, ma riconobbe solo due nomi: Farrell Dan… Marsh Joane…

Ricominciò a leggere dall’inizio con la massima attenzione.

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