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La sensazione di trovarsi solo, di sentirsi solo sull’Isola di Pasqua, fu una sorpresa per Graham. Le altre volte vi aveva sempre incontrato qualche indigeno o qualche rappresentante del governo cileno.

L’aereo, che l’archeologo aveva noleggiato perché lo portasse sull’isola, gli aveva lasciato viveri e materiale vario sufficiente per un mese, anche se doveva ritornare la settimana seguente, secondo gli ordini di Graham.

Il silenzio dell’isola aveva qualcosa di innaturale. Il frangersi incessante delle onde e le grida dei gabbiani formavano una specie di sottofondo al quale avrebbero dovuto sovrapporsi voci umane. Invece, quando quei suoni che erano parte integrante dell’isola erano stati assimilati in modo da non essere più avvertiti, tutto quello che Graham sentiva era il sibilo del vento che passava a raffiche sulla sua testa.

L’archeologo era arrivato sull’isola a pomeriggio inoltrato, troppo tardi per cominciare le esplorazioni. Si cucinò quindi una leggera cena su un fornello da campo e contemplò lo spettacolo del tramonto. Qualche stella brillava pallida nel cielo e gli umidi vapori della terra rendevano scarsa la visibilità. Guardandosi in giro, Graham non riuscì a vedere tracce di fuochi da bivacco né udì alcuna voce. Il fatto era molto strano. Gli indigeni di solito si mostravano curiosi nei confronti di ogni forestiero poiché accadeva raramente che qualche visitatore scendesse sull’isola. Graham sentì molto la mancanza di quella discreta curiosità, e quando finalmente si addormentò, fu disturbato da sogni continui.

Alle prime luci dell’alba cominciò una sistematica esplorazione dell’isola, della quale conosceva perfettamente la topografia grazie alle sue precedenti visite. Ecco il Rano Raraku. Non si poteva sbagliare: era il vulcano dominatore dell’isola. Graham lo prese come punto di riferimento, poi si mise in cammino.

Prima di mezzogiorno la sua impressione fu confermata: nell’isola non c’era un solo essere umano oltre a lui. Anche questo era un mistero. Possibile che gli indigeni fossero morti tutti dopo la sua ultima venuta, o che gli agenti del governo li avessero portati in Cile? Forse era scoppiata una epidemia e i superstiti erano fuggiti, o si trattava di una pacifica emigrazione in massa… o qualcosa li aveva spaventati. L’archeologo ricordò che nel gennaio precedente, un mercantile, uscito di rotta per una tempesta, aveva segnalato la sparizione dell’Isola di Pasqua. In seguito però si era accertato trattarsi di un erroneo calcolo di navigazione.

Comunque fosse, quel posto non era mai sembrato a Graham tanto desolato, e l’assenza degli abitanti non contribuiva certo a diminuire questa impressione. Tra tutte le isole, quella era sicuramente il pezzo di terra più ingrato. Vulcanica, a grandi massi di basalto, con un suolo poroso e arido. Rocce frastagliate ne cingevano le rive difese da un’irta scogliera. Da Akahanga a Toa-Toa, enormi statue svettanti nel cielo, o stese a terra simili a giganti addormentati, coprivano il suolo. All’interno, sui fianchi del Rano Raraku, cantiere di immani scultori, altri colossi rifiniti o appena abbozzati volgevano al mare i loro occhi di pietra.

Con l’incessante flusso e riflusso delle onde, giorno e notte, di tutti i giorni e tutte le notti da innumerevoli anni, l’oceano eterno scandiva sulle rocce un requiem solenne, canto perpetuo dedicato alle fantastiche statue scolpite da mani dimenticate.

Immani giganti di pietra. Immutabile ghigno su facce imperiose che soltanto i venti e le tempeste potevano a stento limare senza riuscire a cancellare. Chi aveva eretto le piattaforme funebri che si elevavano in blocchi titanici sopra la scogliera? Quale razza scomparsa aveva lasciato al mondo una simile eredità? Migliaia di statue sorvegliavano instancabilmente l’oceano in attesa… Attesa di che?

Dopo che il navigatore olandese Roggeveen aveva per primo messo piede sull’isola all’inizio del XVIII secolo, quella terra era stata avvolta da un’atmosfera di mistero. Tutti coloro che avevano visitato quell’impero della desolazione, perso negli agitati mari del Sud, si erano sentiti attrarre dall’enigmatico fascino che emanava dall’irreale atmosfera. Fascino ed enigma che Graham giudicava più sconvolgente ancora di quelli esercitati dalla Sfinge.

Numerose generazioni di uomini dovevano essere occorse per scolpire il basalto, erigere le statue, costruire le piattaforme. Come avevano potuto vivere su quell’isola diseredata? Era fuori di dubbioche il soggiorno in quel posto era possibile solo a pochi uomini per volta. E allora? Bisognava attribuire le gigantesche costruzioni ad altra opera che non fosse quella dell’uomo? Perché poi le statue, non appena finite, erano state misteriosamente abbandonate, e alcuni monoliti poi erano stati lasciati allo stato di abbozzo?

Nel corso degli anni, numerose spedizioni scientifiche si erano recate sull’isola per studiare il fenomeno, ma nessuna ne aveva riportato altro che congetture sull’identità degli scultori, l’epoca in cui erano vissuti, e lo scopo delle loro opere.

Ma questa volta Graham avvertì qualcosa di ancor più terribile e oscuro del solito nell’aspetto dell’isola. Durante le sue visite precedenti, la presenza dei pochi indigeni che vi soggiornavano aveva in un certo senso addolcito e reso sopportabile l’impressione angosciosa destata dalla visita degli inquietanti colossi. Bastava vederseli attorno per sentirsi rincuorare.

Ma adesso, nessuno. Non il più piccolo suono di voci umane, non lo scalpiccio amico dei piedi scalzi… E la loro scomparsa non serviva che a infittire il mistero.


Le raffiche di vento soffiarono impetuose tutto il giorno. Il mare biancheggiava di spuma e le lunghe onde si frangevano sugli scogli con un sordo muggito. L’aria era satura di vibrazioni e Graham non si nascondeva di essere preoccupato: conosceva bene quel posto, pure aveva la sensazione di trovarsi di fronte a un mondo ostile e sconosciuto. L’archeologo trascorse il pomeriggio esplorando il lato sud, da Akahanga fino al Rano Raraku, lungo la spiaggia. Si fermò a lungo a contemplare i mostri imperturbabili che, fieramente ritti contro il cielo o stesi a terra, conservavano nelle facce di pietra un’espressione da superbi conquistatori. Il sottile rilievo delle labbra, il naso forte, gli occhi tristi, gli zigomi molto alti davano a quelle facce l’impronta di una razza sovrumana.

Poi il sole si abbassò verso il mare e le ombre s’allungarono al suolo nel tramonto vicino. Nelle cavità delle rocce, negli avvallamenti del terreno, scese l’oscurità, e i lineamenti degli uomini di pietra parvero accentuarsi nel gioco di luce e d’ombra mentre il vento soffiava più forte e l’oceano intonava il suo canto profondo in un brontolio di tuono. Graham stava girando attorno a un grande tumulo presso Toa-Toa, quando vide un solco recente che partiva dalla riva. Pur frastornato dal soprannaturale che lo circondava, lo scienziato riusciva a mantenersi aderente alla realtà, e osservò che il solco si interrompeva bruscamente in modo inspiegabile. Si sarebbe detta l’impronta di un enorme cavo che avesse inciso il duro terreno come una lama d’acciaio. La strana fessura continuava nell’interno sotto forma di passi giganteschi che a un certo punto avevano polverizzato alcuni blocchi di basalto di una piattaforma per dirigersi verso il Rano Raraku che spiccava nella penombra del crepuscolo con la sua mole funesta.

Qualcosa era dunque sorta dal mare, e un’altra cosa era andata incontro e l’aveva trasportata al cantiere degli dèi, sul vulcano. Graham volse lo sguardo al cratere del monte desolato, poi ritornò al suo campo.

Il vento ululava in modo strano, le ombre invadevano rapidamente l’isola, e nell’immaginazione dell’uomo ogni tumulo, ogni statua diventava la fantastica apparizione di un sogno. Gli sembrava che da una distanza infinita giungesse l’eco di voci cosmiche, fremiti, sussurri. Né pianto, né riso, soltanto suprema indifferenza. La forza del vento aumentava di minuto in minuto. Un pezzo di roccia si staccò e cadde. Il mare flagellava la scogliera con violenza selvaggia, staccandone frammenti che precipitavano nei flutti. Graham si voltò verso il Rano Raraku, ma ne distolse subito lo sguardo. Gli era sembrato di veder splendere sopra il cratere una luce disumana, fantomatica, che irradiava intorno colando come lava, e il colore non assomigliava a nessun altro. Era uno splendore indescrivibile, e Graham non aveva il coraggio di voltarsi ancora a guardare. Qualcosa in lui si rifiutava di accettare quello spettacolo. Orribile, ambigua e fluida, esaltante e viva, quella luce denunciava la terrificante presenza di un essere inimmaginabile, di una intelligenza visibile e priva di corpo, concentrata al massimo ma pronta a espandersi all’infinito. E pulsava, come una vena, come un cuore, al sommo del cratere. Questa era l’impressione che aveva ricevuto Graham, ma non ne era certo, perché l’aveva contemplata stupito e spaventato per un breve attimo, volgendosi subito con orrore a proseguire per la sua strada.

E il vento continuava a urlare, mentre il mare sconvolto si accaniva contro le sponde irte di rocce nere, contro la base dei contrafforti dove gli uomini di pietra, impassibili, stavano di sentinella.

Graham si preparò una rapida cena, e mangiò in fretta senza gustarla.Isuoi gesti erano meccanici e la sua mente occupata e preoccupata unicamente dal fenomeno al quale aveva assistito. Alla luce di una lampada, l’archeologo studiò ancora una volta le sue note, poi, nell’oscurità, fece una cosa strana: mosse silenziosamente le labbra, come chi ripeta tra sé un discorso, ben attento a non emettere il più piccolo suono. Era molto tardi quando si coricò, e più tardi ancora quando riuscì a prender sonno perché con il passare del tempo sentiva aumentare su di sé la pressione delle forze che aleggiavano intorno all’Isola di Pasqua divenendo sempre più violente. Graham avvertiva in distanza la presenza di quel bagliore fluttuante sul Rano Raraku, insistente, proteso verso gli abissi.

Infine l’archeologo cadde in un sonno nervoso, interrotto da frequenti risvegli colmi del fragore del vento e delle ingiurie del mare. Una volta gli sembrò anche di sentire l’eco di voci lontane, senza gioia, inumane, e lo smorzarsi di un grido, ma era soltanto la sua stessa voce uscita da un incubo. Le stelle brillavano debolmente sopra di lui come candele al loro ultimo guizzo. Immensa era la solitudine del mare, del cielo e della terra, quale non sì sarebbe creduta possibile. Sembrava che il mondo intero fosse stato inghiottito, e che lui si ritrovasse, ultimo e unico essere vivente, su una terra devastata.

Poi Graham si riaddormentò, e fece un sogno.

Solcava come una cometa gli immensi spazi al di là del Sistema Solare, più veloce di una meteora, più veloce della stessa luce. Piombava in avanti con una tale rapidità che le stelle e le galassie gli sfilavano accanto come fossero mosche, per spegnersi poi, dopo il suo passaggio, mentre lui copriva distanze astronomiche. E una strana distorsione si produceva nello spazio che si incurvava in maniera astratta, e i milioni e milioni di anni luce che aveva percorso svanirono.

Poi le galassie e le nebulose furono dietro di lui. Tutto l’Universo era scomparso. Graham non aveva esistenza e proveniva da regioni fuori d’ogni concetto oltre la speculazione, al di sopra di tutte le teorie. E dopo il caos informe, il suo io che viveva quel sogno si posò su una materia organica e si sentì osservato attraverso le lenti di un colossale microscopio. L’archeologo non era che una semplice molecola in un cosmo a sei dimensioni. Era diventato un microbo.

Con l’illogicità fantastica dei sogni, la visione era durata solo un attimo. Tutto era successo in un infinitesimale momento, ma adesso, con la paradossale lentezza dell’eternità combinata con la velocità del pensiero, i Titani si accorsero della sua presenza. Graham vide allora le figure fluttuanti protendersi da altri cieli, impercettibili ai sensi umani, perpetuamente vibranti nei cicli della pulsazione, turbinanti attraverso l’immensità delle loro superesistenze. Essi avevano avvertito la presenza dell’intruso nel loro regno, e Graham sapeva di essere stato notato. Sentì irradiare da loro una grande forza.Ipensieri, la volontà, la vita e il loro compito gli erano assolutamente incomprensibili, ed ebbe l’impressione di essere diminuito, respinto, microrganismo ricacciato al suo posto, considerato alla stregua di una cellula di galassia, di una molecola di stella appartenenti a un universo inferiore.

Si svegliò di colpo con la pelle arida e bruciante, e rimase qualche tempo con gli occhi aperti ad ascoltare il respiro possente del vento e la voce fantastica del mare.

Un’alba grigia salutò il definitivo risveglio dello scienziato, e la visione fantomatica dell’isola prese il posto del terrore notturno e dei suoi incubi. Era sfinito e nervoso, quasi avesse passato una notte insonne. La sua mente era ancora piena delle visioni misteriose e profetiche che avevano ossessionato il suo subcosciente.Imassi rocciosi e i giganti di pietra conservavano, nella nebbia del mattino, il loro impressionante potere e la loro minaccia di realtà inumana. Il vento era ancora più impetuoso, e le raffiche, cariche delle minutissime gocce della spuma marina, impregnavano l’aria di umidità salmastra. Più alte sulle onde s’alzavano le creste impalpabili, e l’oceano ribolliva furioso.

Quando si alzò in piedi, l’archeologo ebbe un capogiro: il terreno ondeggiava. Il vento staffilava il viso dell’uomo, ma nell’aria vi era un altro elemento, strano, indecifrabile, quasi una vibrazione contenuta. Una striscia di cumuli attraversava il cielo all’orizzonte, e in alto, grosse nubi frastagliate, nere come la fuliggine, correvano veloci verso nord spinte dal vento. Graham sapeva che l’apparente placidità dei cumuli e dei cirri era ingannatrice nel Pacifico, e che in realtà le soffici nuvole erano sempre foriere di tempeste violente o di repentini mutamenti di tempo.

Accompagnato dal vento e dal frastuono del mare, Graham si mise in cammino fiancheggiando il cimitero dei giganti.Imonoliti e le statue ciclopiche lo opprimevano con la loro presenza, e gli impedivano di pensare. Da due giorni non vedeva essere umano e non ascoltava altre voci che quelle della natura, e la sua unica compagnia era stata la profusione di mostri di pietra. L’archeologo si fermò nel punto in cui il terreno era solcato dalla gigantesca orma chiedendosi da che parte avrebbe dovuto dirigersi. Decise infine di procedere verso il Rano Raraku seguendo le impronte segnate nel basalto, a larghi intervalli, quasi fossero passi di un essere colossale. Continuò a camminare riprovando il terrore della notte passata, quasi che la realtà fosse solo il seguito dell’incubo, sentendo tutto il peso della solitudine accresciuta dalla coscienza che le orme erano veramente state impresse da una creatura ciclopica. Pensò alla statuetta verde di Isling chiedendosi se non fosse stata lei a produrre il solco profondo sulla riva nel giungere all’isola, e se non avesse nel frattempo subito una straordinaria metamorfosi. Era un’idea pazzesca la sua, certo, ma non più di quello che aveva visto e vissuto nel corso degli ultimi mesi.

La salita al vulcano era ripida, e il vento portava dalla spiaggia minuti granelli di terra che gli pungevano il viso. Nel cielo i cumuli erano scomparsi fondendosi con il grigio uniforme. E lontano, a ovest, si erano ammassate nubi minacciose. Graham proseguì scalando le rocce e i tumuli, aiutandosi con le mani quando la salita si faceva troppo ripida, attraversando rare zone coperte di timida erba. Incontrava poche statue adesso, ma le impronte nel basalto continuavano. Conclusa finalmente l’ascesa al Rano Raraku, Graham si guardò attorno attraversando il cantiere degli scultori. Statue ultimate o incompiute coprivano il versante esterno del cratere nel più stupefacente spettacolo che sia dato di vedere sulla Terra. La maggior parte di quelle statue giacevano al suolo, ma non per questo avevano perso il loro impressionante aspetto. Qualche testa sembrava sorgere dal terreno. Gli occhi immobili fissavano sul mare uno sguardo senza espressione. Una volta ancora Graham fu colpito dalla maestosa imponenza degli uomini di pietra. A quale razza imperiosa avevano appartenuto? Notò un particolare grottesco: tutte le teste erano completamente piatte sulla nuca, e questo particolare dava loro una strana angolosità che suggeriva l’idea di un diverso sistema geometrico. Ma qualunque fosse l’atteggiamento di quelle statue, esse avevano un’aria di superiorità senza senso. Quel posto era qualcosa di più di un cantiere da scultori. Era il cimitero degli dèi! Il mare faceva arrivare fin lì il suo tuono. Graham avanzò ancora. Le impronte continuavano oltre le statue e sparivano nel cratere. Certamente Graham aveva fatto mille supposizioni su quello che avrebbe trovato in quel posto, ma la possibile realtà superò tutte le ipotesi.

Ai suoi piedi si stendeva il cratere del Rano Raraku. Era pressappoco quale se lo ricordava dalle sue precedenti esplorazioni, ma con una differenza: l’immagine perduta, la statuetta verde era là, al centro del cratere, posata su un piedestallo della stessa sostanza che la componeva, e le tracce dei passi giganteschi si fermavano davanti all’altare di quel dio mostruoso.

Ma non fu soltanto la vista della statuetta che immobilizzò Graham. Malignamente l’idolo tremolava sulla sua base nel compimento dell’intero ciclo delle sue trasformazioni, massa d’energia pura dai contorni indefiniti, metallo, liquido, incubo… Pigmeo e Titano pronto a scatenarsi nello spazio, cerchio, angolo, solido, di una geometria sconosciuta, splendido di un colore che gli uomini non avevano mai visto. Una fiamma continua sembrava possederlo e circondarlo, non bruciante e non fredda, ma insopportabile nella sua intensità immutabile. Anche il blocco che sosteneva l’idolo sembrava percorso dalle stesse vibrazioni. Poi dalla statuetta scaturì una colonna luminosa che si innalzò nel cielo perdendosi nello spazio. Affascinato dal fenomeno, Graham alzò lo sguardo a fissare quella forza che esulava da tutte le cognizioni scientifiche terrestri. La colonna di luce trapassò le nubi. L’archeologo chiuse per un attimo gli occhi doloranti. Istintivamente capiva che l’idolo verde avocava a sé, per mezzo di quell’incredibile pilastro fosforescente, una sbalorditiva energia che gli giungeva dagli abissi del tempo. Tornò a guardare. La colonna ingigantiva e intensificava la sua luminosità tingendola di un colore irreale, e il suo ingrandirsi continuava, lentamente ma inesorabilmente.

Graham vacillò, cercò di ritrovare l’equilibrio… Il mare sconvolto si gonfiava furiosamente, il vento ululava più forte, l’isola intera aveva sussultato. Già altre due volte Graham aveva avvertito quei tremiti. Che l’Isola di Pasqua stesse per essere inghiottita dalle acque del Pacifico?

La colonna scintillante e la statuetta non si erano mosse, ma lo scienziato si accorse che si espandevano. Contro ogni logica, Graham cominciò ad avanzare verso il flusso brillante, scese entro il cratere inciampando nell’antica lava solidificata.Idetriti accumulatisi durante lo scorrere lento dei secoli avevano livellato il fondo della bocca vulcanica, ma alcune rocce aguzze, vere lingue di lava, rendevano difficile proseguire. Ma Graham continuò la sua marcia. La colonna di fuoco circondava completamente lo zoccolo verde, sul quale posava la statuetta, allargandosi intorno per una decina di metri.

Quando fu giunto alla distanza di un braccio, Graham si fermò. Il pilastro venuto dal nulla sembrava fondersi con il terreno duro e nero interrompendosi intorno alla piccola statua. Gli occhi di Graham bruciavano per l’effetto di quella vista torturante, di quel colore dalle proprietà curiose, diverse da quelle dei raggi radioattivi quanto questi lo sono dal fuoco comune. Vide l’idolo fluttuare secondo il ciclo delle sue trasformazioni, ne fu ipnotizzato e attratto a seguirlo pur non comprendendo il fine nascosto dietro quelle immense forze in azione.

Vincendo il terrore, Graham alzò un braccio, lentamente, forzandosi a posare la mano sulla colonna, timidamente indeciso come chi vuole assicurarsi che sia asciutto un quadro appena dipinto. Era pronto a tutto, anche a subire la totale distruzione a causa dell’energia misteriosa. Dopo tutto, che cosa gli importava più della vita? Ma la sua mano non riportò ustioni e non avvertì radiazioni di sorta, si fermò, semplicemente come se avesse toccato un corpo solido. L’aria era impenetrabile quasi fosse una parete di cristallo. In capo a dieci minuti di tentativi, madido, e istupidito dall’irragionevole fenomeno, Graham rinunciò. L’emanazione di raggi luminosi era ancora aumentata. L’idolo vibrava in modo da dare il capogiro, e il mare sembrava impazzito.

Graham tornò sconvolto al suo campo: frugando nel suo sacco personale ne trasse la rivoltella, e con l’arma in tasca riprese la strada del Rano Raraku. Certo non sperava che i proiettili dell’arma distruggessero la fiamma enigmatica, ma voleva determinare l’effetto dell’urto della materia in movimento sull’energia in azione.

Il pazzo scatenarsi degli elementi, il cielo nero e pesante, l’aspetto selvaggio del luogo agivano sullo spirito in modo deprimente.

Durante l’assenza dello scienziato, la luminescenza fosforescente aveva subito altri mutamenti, e le vibrazioni dell’immagine verde erano cresciute in forza e in energia vitale. Graham caricò la rivoltella con grande cura. Si trovava a una distanza dalla quale era impossibile mancare un bersaglio tanto enorme, tuttavia lui prese la mira con grande attenzione, come quando, in occasioni ben diverse, aveva partecipato a gare di tiro. Lo sparo risuonò secco, e l’eco del colpo fu portata lontano dal vento.

Nessun mutamento nelle pulsazioni dell’idolo, nessuna scintilla, né la minima alterazione di colore a indicare che la pallottola era giunta a segno. L’archeologo si avvicinò alla colonna di luce. Il proiettile era a terra, schiacciato, e lui si chinò a raccoglierlo. Quello, almeno, aveva obbedito alle leggi della fisica e si era riscaldato in seguito all’attrito dell’aria e all’urto contro la colonna. Ma a quali leggi fisiche, o di altra scienza, sottostava quell’emanazione degli abissi? Dinamite o altri esplosivi non avrebbero ottenuto risultato migliore della rivoltella. E, probabilmente, neppure le energie liberate dalla disintegrazione dell’atomo per fissione nucleare sarebbero riuscite ad apportare il minimo danno alla presenza apocalittica. Niente di tutti i ritrovati scientifici, nessuna energia si poteva applicare allo straordinario dinamismo. E lì c’era soltanto un essere umano per opporsi alla magica colonna.

A un tratto Graham si rese conto che l’aria era percossa da tremiti che andavano moltiplicandosi. Si sarebbe detta l’eco di vulcani in eruzione agli estremi confini del mondo…

Come a un segnale, la colonna di energia radiante cominciò allora ad avanzare, lentamente, inesorabilmente. Centimetro per centimetro, metro per metro, obbligando Graham a retrocedere. Il cielo si era completamente oscurato come per la minaccia di un ciclone e aveva fatto piombare l’isola nel buio, ma la infinita colonna di luce palpitava guadagnando sempre più terreno, ricoprendo lo spazio vuoto e desolato attorno a sé. E al centro, l’idolo verdastro brillava furiosamente.

Il cerchio si ingrandiva con un movimento terribile, procedendo a sbalzi simili ai battiti di un enorme cuore. Si tendeva in avanti, si ritraeva per poi tornare a dilatarsi ancora. Un pulviscolo luminoso avvolgeva adesso la statuetta al centro della colonna, sempre più grande, che emanava una energia implacabile. La sua vista era per Graham più spaventosa di quella di uno spettro, di un morto risuscitato, e niente nella scienza dell’archeologo poteva essergli utile. L’uomo si sentiva ridotto a un granello di sabbia davanti a quella emanazione di natura sovrumana.

E la colonna si estendeva spietatamente, lo respingeva verso i bordi del cratere, poi più in là, lungo i pendii del Rano Raraku, costringendolo a ritirarsi attraverso il cantiere degli uomini di pietra. Una dopo l’altra le statue imperiose, le immagini dei dominatori venivano assorbite dal cerchio. A poco a poco, il fuoco divorante e freddo inseguiva l’uomo che fuggiva, lo stringeva sempre più da presso con il suo movimento pulsante. Retrocedendo verso il mare, Graham si voltava di tanto in tanto a guardare il fascio luminoso che lo sollecitava a proseguire con la sua avanzata metodica e aggressiva. Lo scienziato non comprendeva perché la fantastica colonna non avesse ingoiato il proiettile che lui aveva sparato, mentre invece si impadroniva delle statue. Solo una intelligenza selettiva, capace di operare una cernita, poteva agire in quel modo. Doveva immaginare dunque che fosse dotata di tale facoltà, la colonna fantomatica dall’inesistente colore?

A mano a mano che venivano a trovarsi nell’interno del pilastro, gli uomini di pietra subivano una metamorfosi sinistra e significativa. Sembravano acquistare forza come se trovassero finalmente di cosa nutrirsi, e il colore che li avvolgeva pareva essere per loro il colore della vita che li portava a compimento.Ivolti impassibili si animavano come sotto il soffio della creazione, poi essi si muovevano misteriosamente verso il centro della colonna e la loro forma cambiava con l’intensificarsi della fiamma.

Il mondo non esisteva più per Graham. Soltanto l’insoluto mistero del tempo e dello spazio, quell’enigma di forza, di materia e di volontà dominanti esistevano. Lo sforzo al quale aveva sottoposto la sua vista faceva sentire i suoi effetti, la testa gli doleva terribilmente, e il suo spirito si rifugiava nel passato. Pensava al pozzo di Isling, al quale era riuscito a sfuggire, e si diceva che anche questa volta il fenomeno doveva arrendersi, come la pietra verde si era arresa di fronte all’applicazione delle sue proprie leggi.

Indietro, sempre più indietro. Graham discese le rampe del Rano Raraku, raggiunse le rocce e la scogliera, fu vicino alle onde altissime. Ormai la colossale colonna aveva coperto con la sua fosforescenza tutta l’Isola di Pasqua e aveva respinto il piccolo uomo fino alla spiaggia.

N’ga n’ga rhthl’g clretl ust s g’lgggar…

Il suono selvaggio si sovrapponeva all’urlo del vento e al tuonare dell’oceano…

Septhulchu nyrcg s thargoth k’tuhl s brogg…Il canto cosmico veniva da lontananze infinite e aumentava di intensità. Graham pensò al Guardiano del Sigillo, alla figurina posta al centro della torre smisurata. Questa divenne a un tratto un turbine dalle dimensioni multiple, una catena legata a un altro tempo e a un altro spazio.ITitani stavano per tornare. Sarebbero entrati dalla porta che un giorno avevano aperto e poi richiuso.

Adesso l’avrebbero riaperta…

Meargoth s bh’rw’lutl ubcwthughu dägoth…Era la profezia che si avverava, era l’ordine del Guardiano del Sigillo. La terra era legata ad altri mondi, all’interno e all’esterno, e dai loro laboratori nell’ultracosmo, i Titani riannodavano questi legami. In un modo incomprensibile per tutti fuorché per loro, essi percorrevano trilioni di anni luce, contraendo la loro grandezza nel piccolo atomo che era l’universo di Graham.

La colonna era una mescolanza di colore, scintille di cupo splendore si irradiavano su tutta la sua lunghezza, bruciando nel turbine amorfo e strano di un mondo sconosciuto.

L’ora era giunta, e Graham ricordava il vecchio Sekhita e il brano che il prete gli aveva letto dal libro preistorico. Quando le stelle si troveranno nella posizione profetizzata, allora i Titani si sveglieranno e ritorneranno. La terra si spalancherà, e da cripte più profonde di quanto sono alle le nubi, il Guardiano del Sigillo lancerà ai Titani il suo richiamo. Il Guardiano del Sigillo diverrà anch’esso grande come un Titano e andrà a porsi sul Crltul Thr. Le acque ribolliranno, la terra si aprirà, e le stelle sorgeranno in un cielo di fiamma. Dal loro Universo, al di là degli astri, scenderanno i Titani. Essi reclameranno per sé tutto ciò che vive, loro che ci hanno fatti di polvere e di fuoco che consuma. Questo si compirà quando i Titani si sveglieranno, quando le stelle saranno al posto giusto, a meno che non giunga colui che affronterà il Guardiano del Sigillo e lo sconfiggerà. Allora il Guardiano tornerà di pietra e i Titani aspetteranno nella loro grande sfera fino a che le stelle non saranno tornate una volta ancora nella posizione voluta dalla profezia. E il Guardiano del Sigillo resterà sull’asse da Crltul Thr a Mrcg.


Graham aspettava e ascoltava, pronto a lanciare la sua sfida nel solo modo che gli sembrava possibile.

Le parole che gli erano giunte attraverso l’aria, adesso non si udivano più, ma ancora vibrava la loro ultima eco quando Graham pronunciò altre parole.

Parole strane, bizzarre, indirizzate al Guardiano in risposta alle frasi sibilline giunte dallo spazio. Erano le sillabe incise sulla seconda metà della pietra verde. L’archeologo si era detto che, se la prima metà dell’iscrizione aveva il potere di scatenare gli strumenti di leggi oscure, la seconda parte poteva essere la chiave per fermare queste forze, per sospendere l’attuazione del loro piano. Presumibilmente gli stessi Titani avevano fornito la chiave al Guardiano del Sigillo per il caso che fosse necessario sospendere il loro ritorno.

Nel corso della notte precedente, Graham aveva imparato a memoria le frasi gutturali, ripetendole silenziosamente, per abituare le labbra ai movimenti adatti a emettere quei suoni impronunciabili e aiutandosi con la ricostruzione fonetica che gli era stata data dal professor Alton. Ignorava se esse avessero un senso inteso secondo i concetti umani. E non sapeva nemmeno l’effetto che avrebbero prodotto…

Dopo aver pronunciato le ultime sillabe, Graham vide la colonna luminosa contorcersi in una serie di straordinarie convulsioni. Un attimo più tardi il fuoco freddo lo avvolse trascinandolo in un nuovo mondo. E sentì che una eccezionale tensione andava scomponendosi. Graham camminava nel tempo, si ritirava dallo spazio. Si avvicinava ai Titani, ma questi scomparvero.

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