Il Mythal che venne steso sopra la città di Cormanthor non fu uno dei più potenti, ma gli elfi lo giudicano tuttora il più importante. Fu creato con amore, senza discordie, e i suoi artefici gli conferirono numerosi e strani poteri. Gli elfi li ricordano ancora nelle loro canzoni, e giurano che i loro nomi vivranno per sempre, nonostante la caduta di Myth Drannor: il Coronal Eltargrim Irithyl; la Messaggera Auhaudameira Dree, «Alais» per i menestrelli; l’armathor umano Elminster, Eletto di Mystra; Lady Oluevaera Estelda, la leggendaria Srinshee; il mago umano noto solo col nome di Mentore; il mezzo elfo Arguth di Ambral Isle; il Supremo Mago di Corte Earynspieir Ongluth; i Signori Aulauthar Orbryn e Ondabrar Maendellyn; e le Signore Ahrendue Echorn, Dathlue Mistwinter, conosciuta dai bardi come «Lady d’Acciaio», e la Nobile Signora Alea Dahast. Questi non sono tutti, poiché molti, quel giorno, si unirono alla Canzone, e per grazia di Corellon, di Sehanine e di Mystra, alcuni loro desideri e abilità trovarono vie misteriose nel Mythal. Altri invece non parteciparono, poiché il tradimento non morì mai a Cormanthor, o Myth Drannor, o con qualsiasi altro nome la si voglia chiamare.
Gli armathor, che avevano raggiunto dalle loro postazioni il palazzo del Coronal, si affrettarono a entrare nella Camera della Corte, guidati dalle sei maghe. Truci in volto, sguainarono le spade e formarono un cerchio, spalla contro spalla, rivolti verso l’esterno, sul pavimento davanti al trono.
Nel cerchio entrarono Eltargrim, la Messaggera di Corte, Elminster, Nacacia, Mythanthar e la Srinshee. I guerrieri richiusero l’anello.
Quasi subito sollevarono le spade, quando un mago si avvicinò esitante e guardò il Coronal. «Onorato Signore», domandò prudentemente, evitando di posare gli occhi sulla sua tunica bianca macchiata di sangue, «avete bisogno di me?»
Il Coronal guardò la Srinshee, che gentilmente esclamò, «Sì, Beldroth. Ma non ora. Noi dentro al cerchio dovremo morire un po’, affinché il Mythal viva. Non è per voi».
Il signore elfo indietreggiò, con un po’ di vergogna e molto sollievo. «Raggiungeteci quando la rete sarà stesa e brillerà su di noi», aggiunse la maga minuta, ed egli s’impietrì ascoltando ogni sua parola.
«Se c’è da morire», osservò una donna elfa vecchia e rugosa, uscendo dalla folla con passo zoppicante, appoggiandosi al bastone, «allora sarò lieta di farlo rendendo un servizio alla mia terra».
«Sii benvenuta, Ahrendue», mormorò la Srinshee con calore. Ma le guardie non si scostarono per lasciarla passare finché la messaggera non ordinò loro brevemente: «Fate spazio a Lady Ahrendue Echorn».
Le loro spade si sollevarono nuovamente, e un mormorio pervase la folla, quando un elfo in piedi accanto a una colonna distante avanzò e asserì: «Il tempo degli inganni è finito, credo». Un istante più tardi la sua esile figura si allungò e divenne più larga intorno alle spalle. Molti nella sala rimasero a bocca aperta. Un altro umano… e questo nascosto fra di loro!
Il suo volto era avvolto da un’oscurità magica; le guardie, allarmate, videro solo due occhi penetranti che le fissavano dall’ombra, ma la Srinshee affermò risoluta: «Mentore, sii il benvenuto nel nostro cerchio».
«Spostatevi, prodi guerrieri», mormorò Alais, e questa volta essi obbedirono rapidamente.
Tra la folla si udì un nuovo tumulto; una fila di persone si fece strada fra l’assembramento di cormanthoniani. Il Supremo Mago di Corte guidava la processione, e dietro di lui camminavano Lord Aulauthar Orbryn, Lord Ondabrar Maendellyn e un signore mezzo elfo le cui spalle ammantate erano circondate da un anello turbinante di gemme luminose, che la Srinshee identificò come «il mago Arguth di Ambral Isle». La Nobile Signora dell’Arte, Alea Dahast, esile, sorridente e dallo sguardo penetrante, chiudeva la fila.
Lo spazio nel cerchio iniziava a scarseggiare, e mentre abbracciava gli ultimi arrivati, il Coronal domandò a Oluevaera: «A Mythanthar servirà qualcun altro, che ne pensi?»
«Aspettiamo ancora una persona», gli rispose la maga, sollevandosi da terra per sbirciare oltre le spalle delle guardie. Scherzosamente Mythanthar iniziò a picchiettarle le dita dei piedi, finché la Srinshee non si mise a scalciare.
«Ah», esclamò improvvisamente la maga, indicando un volto tra la folla di cittadini. «Eccola. Forza, Dathlue!»
All’apparenza sorpresa, la slanciata donna guerriero avanzò con l’armatura indosso, slacciando la spada sottile che oscillava al suo fianco. Consegnatala alle guardie, entrò nel cerchio, baciò il Coronal sulla bocca, batté la Srinshee sul braccio e rimase in attesa.
A uno a uno si guardarono tutti negli occhi. Oluevaera Estelda si volse verso Mythanthar e il vecchio annuì.
«Ampliate il cerchio», ordinò brevemente la piccola maga. «Necessitiamo di molto spazio. Sylmae, hai raccolto tutti gli archi?»
«No», rispose la maga, senza voltarsi. «Io ho le frecce. Holone ha gli archi».
«E io ho alcune bacchette magiche malvagie», s’intromise Yathlanae, dalla sua posizione lungo il cerchio. «Quattro giarrettiere per portare tutta quella roba!»
La Srinshee sospirò teatralmente, ed esclamò rivolta a Mythanthar: «Non dire nulla: qualsiasi cosa tu stia pensando, non dirla».
L’anziano mago assunse un’aria di esagerata innocenza e allargò le mani.
La maga scosse il capo e iniziò a prendere per il braccio gli occupanti del cerchio e a condurli dove voleva che stessero, fino a formare un ulteriore anello intorno a Mythanthar, le facce rivolte verso l’interno.
Elminster fu sorpreso quando sentì le sue gambe tremare; guardò rapidamente Nacacia, colse il suo sorriso rassicurante e lo ricambiò. Poi diede un lungo sguardo alla sala, dal trono fluttuante alla spaccatura sul soffitto, fino ai blocchi sbrecciati della colonna caduta e, dietro di essa, la statua di un eroe elfo accovacciato che minacciava la Corte con la spada protesa. La fissò per un lungo momento, ma era semplicemente ciò che vedeva: una statua, ricoperta da un sottile strato di polvere.
Il principe fece un respiro profondo e tentò di rilassarsi. Mystra, assistici, pensò. Contribuire alla grande magia e sorvegliarne l’attuazione, spero siano lo scopo per cui, tanto tempo fa, mi mandasti a Cormanthor.
La Srinshee sospirò nuovamente, poi guardò ognuno di loro e sussurrò: «Iniziamo».
In quell’atmosfera d’eccitazione, nessuno nella vasta sala notò qualcosa di piccolo, di nero e di impolverato trascinarsi fra i cortigiani, sollevandosi e riabbassandosi come una sorta di millepiedi mentre avanzava lentamente sul pavimento della sala macchiato di sangue, diretto nel cerchio.
Al suo interno, Mythanthar allargò di nuovo le mani, chiuse gli occhi, e dalle sue dita scaturirono raggi di luce, che, lenti e silenziosi, collegarono tutti i presenti. Poi borbottò qualcosa, e tutti gli spettatori mormorarono allarmati e stupiti quando il suo corpo esplose in una nuvola opaca di sangue e di ossa.
Elminster spalancò la bocca, e fece per muoversi dalla sua postazione, ma la Srinshee intercettò il suo sguardo con occhi severi. Dalle lacrime che le rotolavano lungo le guance il giovane dedusse che anche la maga era all’oscuro del fatto che l’incantesimo di Mythanthar richiedesse la sua morte.
La nuvola purpurea salì come fumo da un falò e divenne bianca, poi abbagliante. I filamenti che ancora la legavano agli altri avvamparono di fuoco proprio.
Fiamme candide come lingue di neve si innalzarono verso il soffitto spaccato della Camera della Corte, mentre i corpi degli individui dentro il cerchio vennero improvvisamente avvolti da un fuoco bianco.
I cormanthoniani accalcati nella sala emisero all’unisono un mormorio di sorpresa.
«Che cosa accade? Stanno morendo?», urlò Lady Duilya Evendusk, torcendosi le mani. Il marito appoggiò le mani sulle spalle per rassicurarla, mentre Beldroth si protendeva verso la donna e le sussurrava: «Mythanthar è morto, o almeno, il suo corpo. Egli diverrà il nostro Mythal, quando tutto sarà terminato».
«Che cosa?», elfi si accalcarono da ogni direzione per ascoltare.
Beldroth sollevò il capo e alzò la voce per informare tutti: «Gli altri dovrebbero rimanere in vita, malgrado l’incantesimo stia assorbendo parte delle loro energie vitali. Presto inizieranno a intrecciare poteri speciali e cominceremo a sentire un sorta di ronzio, o di canto».
L’elfo sollevò nuovamente lo sguardo alla rete arcuata di fuoco bianco, e senti le lacrime scorrergli sul volto. Una mano piccola si insinuò nella sua, e gli diede una stretta rassicurante. Abbassò gli occhi e vide una bambina sconosciuta, dal viso solenne, sorridente. Beldroth le restituì la stretta in segno di ringraziamento, e continuò a tenerle la mano.
In una piccola radura, accanto a una fontana che si gettava ininterrottamente in una piscina di pesci danzanti, Ithrythra Mornmist si drizzò improvvisamente e guardò il marito.
La sua sfera magica e i fogli che teneva sulle ginocchia finirono per terra quando l’elfo si alzò. Anzi, quando levitò da terra, con gli occhi fissi su un punto distante!
«Che cosa c’è, Nelaeryn?» gridò Ithrythra, correndo verso di lui. «Non ti senti bene?»
«Oh, sì», ansimò Lord Mornmist, lo sguardo sempre fisso nel nulla. «Oh, dei, sì. È magnifico! È stupendo!»
«Che cosa?», urlò la moglie. «Che cosa sta succedendo?»
«Il Mythal», rispose Nelaeryn Mornmist, la voce quasi rotta dal pianto. «Oh, come abbiamo potuto essere tanto ciechi? Avremmo dovuto farlo secoli fa!»
E poi l’elfo iniziò a cantare una melodia infinita, priva di parole.
Ithrythra lo fissò per qualche minuto, la faccia pallida e preoccupata. Il marito si sollevò un po’ più in alto, i piedi nudi oltre il mento della donna, che, improvvisamente spaventata gli afferrò le caviglie, e vi rimase aggrappata.
Il canto la pervase, e con esso tutte le sensazioni che il marito stava provando. E fu così che Ithrythra Mornmist fu il primo elfo non-mago in Cormanthor a sentire il mythal. Quando un servo li trovò qualche minuto più tardi, Lady Mornmist era abbarbicata attorno ai piedi del marito, tremante e in estasi.
Alaglossa Tornglara si irrigidì e si mise a sedere sul bordo della Danza del Satiro, grondando acqua da ogni curva del corpo. «Sta accadendo qualcosa. Riesci a sentirlo?» domandò alla serva inginocchiata accanto a lei con profumi e spazzole.
La ragazza non rispose. Formicolante fin nella punta delle dita, Lady Tornglara si voltò bruscamente per ottenere una risposta, e rimase di sasso.
La serva fluttuava nell’aria, ancora inginocchiata con una bottiglia di profumo in mano, lo sguardo fisso. Minuscole scintille ammiccavano intorno ai suoi occhi, le entravano e le uscivano dalla bocca aperta. La giovane iniziò a gemere, come eccitata, dopodiché il suono emesso dalla sua gola si trasformò in una canzone muta e infinita.
Alaglossa iniziò a gridare e, quando la serva – Nlaea era il suo nome, sì, decisamente – cominciò a salire più in alto, si alzò sulle punte dei piedi e l’afferrò per un braccio.
Il servo che udì lo strillo e fece di corsa il lungo percorso tra i giardini, raggiunse ansimante la piscina, e rimase a guardarle: la serva fluttuante e la padrona, gli occhi spalancati e fissi nel vuoto. Erano entrambe nude, e stavano mormorando una canzone. Le osservò nei più intimi dettagli, deglutì, poi corse via. Sarebbe finito nei guai se fossero rinsavite e l’avessero colto a guardarle.
L’elfo scosse il capo più di una volta e tornò al suo lavoro d’annaffiatura.
Galan Goadulphyn imprecò e si tastò in cerca dei pugnali. Era proprio scalognato: a due passi dalla città, con tutte le gemme nane che riuscivano a contenere i suoi stivali, in che cosa si doveva imbattere? In una pattuglia elfa! Diede un’occhiata agli alberi alle sue spalle, già sapendo che non si sarebbe potuto nascondere, anche se fosse stato sufficientemente rapido da seminarli. Con uno sforzo abbandonò la sua andatura stanca e strascicata e assunse un’aria da gran signore.
«Ehilà, guardie! Ci sono novità?»
«Alto là, umano», esclamò serio l’armathor più vicino. «La città verrà aperta domani a mezzogiorno, se tutto va bene. Fino ad allora, non potrai spingerti oltre».
Incredulo, Galan inarcò un sopracciglio, e poi si levò la sciarpa sudicia dalla testa. E con essa si staccarono, piuttosto dolorosamente, anche i falsi basettoni lungo le guance.
«Vedete queste?», esclamò, spostando avanti e indietro una delle orecchie con un dito sudicio. «Non sono umano».
«Per la verità, dall’aspetto non sembrate nemmeno un elfo», rispose l’armathor con occhi severi. «Abbiamo visto altre volte doppelganger».
«Basta con gli scherzi da vecchie comari», ribatté Galan, ondeggiando i fianchi. Il capitano gli lanciò un’occhiataccia, mentre il resto della pattuglia scoppiò a ridere. «Intendete dire che finalmente hanno fatto funzionare quel mythal? Dopo tutti questi anni?»
Le guardie si scambiarono alcuni sguardi. «Dev’essere un cittadino», affermò una di loro. «Dopotutto nessun altro ne è al corrente».
«Bene, potete passare», esclamò riluttante il capopattuglia. «Vi suggerisco di trovare un luogo per lavarvi», aggiunse.
Galan si drizzò. «Perché? Se avete intenzione di lasciar entrare gli umani, che importanza ha? Hmmmph. Tra un po’ mi direte che i nani governano la città!»
«Proprio così», ribatté l’armathor, tra i denti. «E ora fuori dai piedi!»
Galan gli fece un allegro cenno di saluto. «Grazie, “mio prode‘» esclamò con disinvoltura, poi sfilò un rubino grande come un acino d’uva dallo stivale destro, e lo porse alla guardia sbalordita. «Questo è per il disturbo».
Mentre procedeva verso la città, Galan fischiettò allegramente. Quel gesto – per tutti gli dei, che espressione avevano i loro volti! – era valso un rubino. Be’, mezzo rubino. Diamine, era forse troppo tardi per tornare a riprenderselo?
Uldreiyn Starym risalì la sottile linea di fuoco creata dal suo meticoloso incantesimo, toccò la rete di fuoco bianco, e si lasciò trasportare da essa. Una grande ondata di potere lo investì.
Mentre saettava lungo i suoi fili, il mago sottrasse qua e là fiamme e filamenti e si creò un mantello col quale mimetizzarsi.
Era uno dei maghi più potenti di tutta Cormanthor, e se il vacillante Mythanthar poteva tessere tutto ciò, allora l’anziano Lord Starym poteva dominare il suo operato, avvolgersi in esso, e nascondere la sua identità mentre percorreva quei filamenti bianchi, scintillanti attraverso la città e giù, giù verso il buco aperto nel tetto di Corte.
Il suo corpo era ancora adagiato sulla sedia nella stanza custodita dai draghi, nella torre più alta di Casa Starym, quella che si ergeva un po’ in disparte. Abbandonarlo lo rendeva vulnerabile: d’altro canto, era certo che quei «tessitori» in estasi non lo avrebbero notato finché non avesse fatto qualcosa di eclatante che, naturalmente, era il suo obiettivo.
Anche un bambino era in grado di cavalcare un incantesimo vorticante, una volta mostratogli come fare, ma egli desiderava compiere molto, molto di più. In un mondo in cui quelli come Ildilyntra Starym morivano e i poppanti stupidi come Maeraddyth dovevano esser tenuti in vita, ci si doveva fare giustizia da sé.
Ora si stava calando rapidamente attraverso il soffitto. I maghi erano tutti raggruppati, ed egli doveva colpire quello giusto senza indugi, senza farsi notare da quella piccola megera della Srinshee o da uno degli altri sconosciuti.
Cavalcare le fiamme – una sensazione esilarante, dovette ammettere – giù, giù verso… sì! Addio, Aulauthar!
La sua morte ci rattrista enormemente, pensò Uldreiyn crudele, mentre scagliava tutta la forza della sua volontà contro la mente timida e perfezionista della vittima designata. Questa si sbriciolò in un istante, sommergendolo di ricordi caotici, mentre la volontà del mago sguazzava e spingeva spietatamente in tutte le direzioni.
I cortigiani videro uno dei pilastri viventi di fuoco bianco oscillare per un istante, ma non percepirono altri segni del feroce attacco che ridusse in cenere cervello e budella di Lord Aulauthar Orbryn e trasformò il suo corpo in un guscio senza mente.
Ora era finalmente parte dell’intreccio, parte del flusso impetuoso di nuovi poteri. Orbryn stava elaborando la parte del Mythal che identificava le creature per razza. I draghi dovevano esser tenuti fuori, non è vero? I doppelganger, naturalmente, e anche gli orchi.
Bene, perché non ampliare l’eccellente lavoro di Aulauthar e rendere il Mythal mortale per tutti gli elfi non purosangue? Mortale a partire, per esempio, da domani a mezzogiorno. Avrebbe ucciso volentieri Elminster, ma svegliare ora quel potere avrebbe distrutto altri due tessitori del Mythal – il Mentore e la mezzo sangue – il che avrebbe significato essere scoperto immediatamente. E dopo aver eliminato Uldreiyn Starym, i restanti avrebbero semplicemente dato vita a un altro Mythal per rimpiazzare quello da lui distrutto.
Oh, no, meglio attendere un po’: aveva piani ben più grandi di quello.
Ciò supera tutto tranne l’amore di una dea, pensò Elminster, mentre s’innalzava lungo i sentieri di fuoco bianco, sentendo il potere crescere in lui. Istante dopo istante aumentava la magnificenza del Mythal e la sua estensione. Una cinquantina di menti erano al lavoro per levigarlo, modellarlo e renderlo più grande e più intricato; un collegamento qui, un rinforzo là e…
Elminster s’irrigidì nel punto in cui fluttuava nella rete, poi turbinò attraverso un raccordo intricato e indietreggiò. Aveva percepito un dolore breve e pungente, e una vampata di calore intollerabile, seguito da un soffio di confusione. Una morte? Qualcosa era andato storto, qualcosa ora nascosto. Un tradimento. Se di ciò si trattava, il Mythal sarebbe morto ancor prima di nascere.
Per tutti gli dei, erano stati di nuovo attaccati? Mentre discendeva, la sua mente sfiorò quella di Beldroth, ora parte della rete in espansione, mormorante, mentre il suo corpo fluttuava appena sopra il pavimento; sospesa con lui, una bambina dagli occhi spalancati. La gente tutt’intorno mormorò e si allontanò da lui cautamente, ma era più la meraviglia che l’ostilità. No, le guardie erano all’erta, ma nella Camera della Corte regnava la pace.
E allora dove? Si abbassò prudentemente, fin dove la rete era ancorata, e si diresse verso gli altri. Il Supremo Mago di Corte stava bene, come pure Alea Dahast, e… no! Laggiù! Una consapevolezza che non apparteneva a Lord Aulauthar Orbryn fece capolino dal fuoco bianco e lo guardò solo per un istante; uno sguardo tutt’altro che gentile.
Il lavoro operato dal falso Orbryn sul Mythal mirava a distruggere tutti gli individui non elfi! Forse era quello lo scopo della sua missione! Fermare quel tradimento! Assistimi, Mystra, pensò Elminster, poiché agirò in tuo nome.
E cavalcando un pennacchio di fuoco candido, El si lanciò in ciò che era stato Lord Aulauthar Orbryn e colpì chiunque si trovasse nel suo corpo.
L’ondata di fuoco si propagò fra le rovine di ciò era stata la mente di Orbryn, ed El si ritrasse per un istante. Il dardo mentale che altrimenti l’avrebbe trafitto sfrecciò fuori e lo mancò. Il corpo attorno a loro tremolò sotto il bruciante impatto.
Con un ringhio silenzioso, Elminster rispose all’attacco.
Il suo dardo venne respinto da una mente forte e profonda quanto la sua. Un elfo anziano, sconosciuto. Uno Starym? El si affrettò a farsi da parte lungo le linee di fuoco, cosicché l’attacco successivo e il suo contrattacco squarciarono l’opera del falso Orbryn, rovinandola al di là di ogni rimedio. Il Mythal non avrebbe più ucciso i non elfi, qualsiasi cosa fosse ora accaduta.
Ciò lasciò però indifeso Elminster Aumar, e il colpo successivo, scagliato dalla mente potente che aveva di fronte, lo trafisse e lo tenne inchiodato senza via di scampo.
Percepì un dolore lancinante, e i suoi ricordi cominciarono a fluire, come smarriti, sommergendolo uno dopo l’altro in un’ondata rapida e disorientante. Elminster tentò di gridare e di sottrarsi al dolore, ma riuscì solo a girarsi, ancora trafitto da quella sonda affilata che penetrava sempre più a fondo dentro di lui.
Vide il suo assalitore per la prima volta. Uldreiyn Starym, anziano signore e arcimago della casata, sogghignava trionfante mentre svelava la sua identità alla mente torturata che stava distruggendo.
Mystra! urlò Elminster, contorcendosi dal dolore. Mystra, aiutami! Per Cormanthor, vieni a me!
Quel verme umano stava morendo mentre si dimenava e invocava la sua dea. Era giunta l’ora; gli altri avrebbero presto percepito che qualcosa non andava. Uldreiyn Starym colpì il principe ancora una volta, e poi si ritirò per il tempo sufficiente a pronunciare la magia che avrebbe richiamato il suo corpo, per nascondere la debolezza della sua mente disincarnata e fornirgli il mezzo per combattere seriamente, se avesse dovuto abbandonare la rete incalzato da numerosi avversari. Ecco fatto. Esultante, si accinse a riprendere l’attacco contro l’umano tremante.
Vi fu un gran tumulto nella corte quando il corpo robusto di Lord Uldreiyn Starym apparve improvvisamente all’interno del cerchio, accanto a Elminster. I suoi stivali erano piantati sul pavimento, a pochi centimetri da qualcosa di piccolo, di scuro, e di impolverato, che stava strisciando lentamente verso il mago umano. La cosa si arrestò, esitò brevemente, e si volse verso lo stivale del vecchio, ma poi sembrò giungere a una decisione, e riprese il suo faticoso cammino verso l’ultimo principe di Athalantar.
Holone non era una Maga di Corte per nulla. Qualcosa stava accadendo dietro di lei, qualcosa di sbagliato. Si voltò di scatto. Dei! Uno Starym!
Tuttavia l’elfo era immobile, i suoi occhi assenti come quelli degli altri, e dalla bocca e dalle mani sollevate fluiva fuoco bianco: anch’egli era parte del Mythal. Non ci si doveva mai fidare di uno Starym, ma… era un nemico?
Holone si morse le labbra. Era ancora in preda all’indecisione, quando un arazzo e la finestra dietro di esso si schiantarono sul pavimento con un gran tonfo. Dalle macerie e dalla polvere sollevatasi si alzò una figura esile, le mani tese che sputavano fuoco: fuoco vero!
Holone, e molti altri testimoni, spalancarono la bocca sorpresi. Symrustar Auglamyr… viva! Dov’era stata in tutti quegli anni? La maga deglutì e sollevò le mani per creare una barriera, sapendo che non c’era tempo.
La ragazza aveva già lanciato le fiamme verso l’ignaro Starym. Quando il fuoco colpì Lord Uldreiyn, e lo fece girare, nella Camera della Corte si udirono nuovamente grida e imprecazioni. Il mago vacillò, s’inginocchiò, e i suoi occhi avvamparono di furia selvaggia. Guardò il nemico.
Lady Symrustar Auglamyr era a pochi passi di distanza e si dirigeva contro di lui a tutta velocità; le sue labbra mostravano i denti bianchi in un ringhio rabbioso, gli occhi due bracieri ardenti. Stava urlando qualcosa.
«Per Mystra! Un regalo per te, stregone, da parte di Mystra!»
L’anziano Starym le rispose con un ghigno, mentre attivava l’energia del suo mantello.
Elfi con spade sguainate si stavano avvicinando al cerchio, ma le guardie e le maghe di corte intimarono loro di stare indietro, per amore di Cormanthor!
Tutti inorridirono, quando la ragazza volante si schiantò contro qualcosa d’invisibile che le frantumò le braccia come fossero rami secchi, le piegò la testa all’indietro e le spezzò gambe e spina dorsale quasi con indifferenza. La giovane vorticò nell’aria, in un groviglio di capelli sciolti, e fu scaraventata nella direzione da cui era venuta.
Molti dei presenti grugnirono quando videro quel corpo mutilato e tremante dirigersi obliquamente verso la statua dell’eroe elfo, poi voltarsi verso di loro, come guidato da una mente fredda e calcolatrice, alcuni attimi prima di finire infilzato sulla spada dell’eroe.
Symrustar Auglamyr reclinò la testa ed emise un verso rauco quando la spada sbucò sotto il suo petto, scura e bagnata del suo sangue. Fulmini crepitarono e guizzarono attorno a lei quando i suoi poteri iniziarono ad abbandonarla.
Uldreiyn Starym si portò le mani ai fianchi e rise. «Così periscono tutti coloro che osano attaccare uno Starym!», esclamò rivolto alla corte, e sollevò le mani. «Chi sarà il prossimo? Tu, Holone?»
La Maga di Corte impallidì e arretrò, ma non abbandonò la sua postazione nel cerchio. Fece un respiro profondo, scrollò il capo, e affermò con voce un po’ tremante: «Sì, se sarà necessario, traditore».
El aveva chiamato e Mystra gli aveva mandato Symrustar, che stava morendo per lui! Straziato dal dolore fisico, El non aveva tempo di rammaricarsi. Mystra! urlò, come fa un guerriero in battaglia. Mandami qualcosa per aiutarla! Gli Starym hanno la meglio! Mystra!
Qualcosa di dorato scintillò nella sua mente torturata: un filo, un nastro semovente. I suoi occhi non poterono fare a meno di seguirlo, e l’immagine di sé che lo lanciava lo oscurò brevemente. Il nastro si contorse, fino a formare una sagoma così, così! Doveva attaccare il nemico con quella!
I miei ringraziamenti, Mystra, mormorò El di tutto cuore, e si aggrappò saldamente alla sagoma mentre colpiva Uldreiyn Starym con un altro dardo.
L’arcimago s’irrigidì, si voltò lentamente, minaccioso, e sferrò un contrattacco, accompagnato da un messaggio beffardo.
Non sei ancora pazzo, umano? Lo sarai. Oh, se lo sarai.
Oh? Prendi questo, elfo arrogante! ribatté El nella mente di Uldreiyn, e gli lanciò quello che la dea gli aveva fornito.
I presenti sentirono Beldroth dapprima urlare, poi lo videro sfilare la mano da quella della bambina, e portarsele entrambe alla testa, artigliarsi le orecchie e gemere dal dolore.
Lord Nelaeryn Mornmist si contorse in preda agli spasmi e scalciò. La moglie venne scaraventata indietro, e nella caduta atterrò anche due servi che, preoccupati, stavano osservando la coppia. Un altro si precipitò ad aiutare il padrone, che stava strillando come un forsennato. Gocce di sangue gli fuoriuscivano dalla bocca, dagli occhi e da sotto le unghie. Si agitò a mezz’aria come un pesce fuor d’acqua, poi cadde pesantemente al suolo, schiacciando il servo sotto di lui.
Ithrythra Mornmist si rimise in piedi. «Nelaer!», gridò piangendo. «Oh, Nelaer, dimmi qualcosa!» Con mani tremanti lo girò e rimase a guardare il suo volto contratto.
«Chiamate un mago!», sbottò rivolta ai servi fermi e impalati. «Andate tutti! Portatemi venti maghi! E sbrigatevi.»
Si sollevò un grande spruzzo quando le due donne caddero in acqua, una sopra l’altra. Alaglossa Tornglara si risvegliò scioccata quando le acque della Danza del Satiro si richiusero sopra la sua testa. Scalciò per tornare a galla, e si ritrovò fra le braccia un corpo rigido: Nlaea! Dei, che cos’era accaduto?
«Aiuto!»
Il giardiniere sollevò la testa dai suoi fiori. Quella era la voce della padrona!
«Aiuto!»
Si mise a correre e, per la fretta, rovesciò l’annaffiatoio che aveva appena appoggiato a terra. Per Corellon, era un bel pezzo fino alla maledetta piscina! Raggiunse il sentiero, ma dopo pochi passi si fermò sbalordito.
Lady Alaglossa Tornglara, completamente nuda, avanzava a fatica verso di lui, lasciando dietro di sé una striscia di sangue uscente dalle ferite ai piedi, provocatele dalle pietre del sentiero. Lo sguardo disperato, e la serva Nlaea tra le sue braccia. «Aiutami!» ruggì. «Dobbiamo portarla in casa! Muoviti, che Corellon ti maledica!»
Il giardiniere deglutì e raccolse la ragazza dalle braccia della padrona. Corellon, rifletté ironicamente mentre si voltava per mettersi a correre, sarebbe stato molto impegnato quel giorno.
Uldreiyn Starym aprì la bocca sorpreso, in un’espressione da secoli assente dal suo viso.
Un fuoco bianco avvampò nel suo corpo, nella sua mente, non lasciando altro che un involucro vuoto. Una nuova potenza percorse tutto il Mythal, e attraversò le menti di tutti i maghi di Cormanthor, mentre le fiamme fameliche si nutrivano della vita,. dello spirito e del potere dell’arcimago Starym.
I cortigiani ebbero un momento di incertezza, non sapendo dove e come colpire, poi videro il corpo alto e robusto del mago emettere fiamme gialle, come fosse un albero colpito da un fulmine.
Bruciò come una torcia davanti ai loro volti perplessi, mentre la rete di fuoco bianco sopra di loro continuò il suo sereno mormorio. Poi un silenzio profondo piombò nella Camera della Corte. Centinaia di elfi trattennero il fiato, finché il corpo annerito di Uldreiyn non si accasciò e divenne cenere turbinante.
Il contraccolpo scagliò Elminster lontano, facendolo vorticare come una foglia nel vento, mentre il simbolo dorato lo avviluppava come una mano protettrice. Quando smise di turbinare, il simbolo svanì, ed El si ritrovò nell’oscurità.
Fluttuava nel vuoto, di nuovo un essere senza corpo.
Mystra? La prima invocazione fu poco più che un sussurro. Recentemente, a quanto pareva, si era rivolto spesso alla dea e non era stato capace di far nulla senza il suo aiuto o la sua guida.
Lo pensi davvero? La voce di Mystra nella sua mente era calda, gentile, e travolgente. Si sentì amato, completamente al sicuro, e si abbandonò al suo abbraccio, in una gioia infinita, senza tempo. Passarono ore, o forse solo minuti, prima che la dea parlasse ancora.
Hai fatto un buon lavoro, mio Eletto. Un inizio coraggioso, ma solo un inizio: per qualche tempo dovrai abitare a Myth Drannor, per educare e proteggere. Nel frattempo imparerai il più possibile sulla magia da coloro che vorranno unirsi a questa nuova e brillante confraternita. Mi compiaccio con te, Elminster. Ora torna in te.
Improvvisamente si ritrovò altrove, fluttuante in mezzo di numerosi filamenti di fuoco bianco, con le pietre frantumate di una colonna caduta sotto i piedi e, di fronte, il viso insanguinato e segnato dal dolore di Symrustar Auglamyr.
Dagli elfi assiepati nella sala si levò un mormorio eccitato, ma El lo udì appena. Mystra gli aveva lasciato energia magica intorno alle mani, troppa perché riuscisse a serbarla a lungo, e il principe credette di sapere perché.
Il suo corpo straziato penzolante dalla spada era stato tenuto in vita solo dalle magie che ancora fluivano debolmente intorno a lei. Con delicatezza infinita Elminster sollevò l’elfa morente e la sfilò dalla lama insanguinata.
La ragazza ebbe un fremito, aprì la bocca e gli occhi, e poi si accasciò contro di lui. El posò una mano sull’orribile squarcio tra le sue costole e iniziò a trasmetterle energia guaritrice.
Symrustar prese fiato e rabbrividì, osando sperare e respirare, dopo ciò che le era sembrato un’eternità.
Il giovane la voltò a mezz’aria fino a prenderla fra le sue braccia, e lentamente discesero sul pavimento. Quando le sue ginocchia toccarono terra, El percepì la stima di molti elfi, ma si chinò e baciò la bocca insanguinata di Symrustar come fossero stati amanti da sempre. Labbra contro labbra, le infuse forza vitale, lasciando che tutto il potere ricevuto da Mystra fluisse nel suo corpo straziato. Poi le trasmise la sua vitalità, finché, vinto dalla debolezza, dovette alzarsi e finalmente respirare.
Fu allora che la donna parlò per la prima volta, in un sussurro stridulo. «Sei tu, non è vero, Elminster? Ho dovuto aspettare tanto per questo bacio».
El ridacchiò e la tenne a sé mentre la luce tornava nei suoi occhi.
Dapprima le apparve il soffitto squarciato della corte, poi lui. Lentamente, con una smorfia di dolore, Symrustar abbozzò un sorriso. «Ti sono grata, mi stai rendendo più semplice il trapasso, ma sto morendo, non puoi farci nulla. Quella notte, nella foresta, Mystra mi salvò dalla morte che Elandorr aveva progettato per me, perché compissi una missione. L’ho portata a termine, e ora posso morire».
Il giovane mago scosse lentamente la testa, consapevole delle facce vigili e delle mani sollevate di Sylmae e di Holone, pronte a colpire se mai Symrustar avesse tentato un ultimo tradimento.
«Mystra non tratta così gli individui», le sussurrò delicatamente.
La ragazza si contrasse per una fitta di dolore, e un rivolo di sangue scintillante le fuoriuscì da un angolo della bocca. «È ciò che pensi tu, Eletto. Io sono un’elfa, e per di più ho abusato della magia. Ho tentato di renderti mio schiavo: ti avrei rubato tutti gli incantesimi e ti avrei ucciso. Perché dovrebbe interessarle il mio destino?»
«Per la stessa ragione per cui interessa a me», ribatté El gentilmente.
Quegli occhi arrossati dal dolore tremolarono. «Per amore? Piacere? Non lo so, uomo. Non posso soffermarmi a riflettere, la vita scivola via…»
«Una vita», le rispose il giovane immediatamente, quando comprese finalmente il progetto di Mystra. «Ma non tutto ciò che è Symrustar».
Le aprì ciò che rimaneva del corpetto sbrindellato e inzuppato di sangue, e tracciò sulla sua carne straziata il primo simbolo d’oro che Mystra gli aveva impresso nella mente: quello che avrebbe scintillato per sempre.
L’elfa ricominciò a respirare liberamente, e si mise seduta, gli occhi luminosi. «Finalmente, finalmente capisco. Oh, umano, ti ho trattato ingiustamente fin dall’inizio. Ho…»
Un fuoco color blu-bianco iniziò ad avvolgerle il corpo, al che non sprecò altro tempo in parole e lo baciò teneramente.
Le sue labbra erano ancora appoggiate a quelle di El quando la ragazza scomparve, lasciando dietro di sé granelli di luce che danzarono per qualche istante per poi svanire nel nulla.
El sollevò lo sguardo e vide quattro dei tessitori, le loro membra ancora avvolte da fuoco bianco e collegate al Mythal sopra di loro, osservarlo con affetto e preoccupazione.
«Mystra l’ha reclamata. Ora servirà la Signora dei Misteri», esclamò rivolto alla Srinshee, alla Lady d’Acciaio, ad Alais e al Coronal.
D’un tratto qualcosa gli si arrampicò su per il braccio, e il giovane lo afferrò e lo sollevò, perplesso. Un brandello vivo di tessuto impolverato, macchiato di sangue: la maschera che Llombaerth Starym aveva indossato per tanto tempo. Tra le dita sentì un formicolio caldo, e in qualche modo gradevole.
Mentre la fissava, vi fu un bagliore improvviso di luce arcobaleno, e tutti i presenti alzarono lo sguardo e mormorarono sbalorditi: il Mythal era nato!
Elminster si sentì commuovere e si sollevò da terra per unirsi in ciò che già echeggiava nelle strade. Elfi, mezzi elfi e umani in tutta Cormanthor stavano cantando insieme. La medesima canzone spontanea della nascita del Mythal: radioso, magnifico e ultraterreno. Tutti si abbracciarono meravigliati, e la terra fu inondata di lacrime.
«Sì», sussurrò Lord Mornmist, lo sguardo fisso su un punto lontano. I servi spostarono lo sguardo dal suo viso assente a quello della moglie. China sopra Nelaeryn, il volto rigato da lacrime copiose.
«Perché?», gemette freneticamente. «Perché i maghi non arrivano?»
I servi si scambiarono occhiate ansiose, non osando però rispondere. Poi Nelaeryn Mornmist si sollevò dal suo abbraccio gentile come prelevato da una mano invisibile. Ithrythra urlò, ma un istante più tardi le sue grida divennero singhiozzi di gioia, quando il marito aprì gli occhi ed esclamò: «Sì! Finalmente! La gloria è giunta a Cormanthor!»
La sua voce squillò come una tromba mentre si sollevava nell’aria sopra di loro, e fiamme blu fuoriuscivano dai suoi occhi.
«Oh, Ithrythra» chiamò, «vieni a dividere con me questa meraviglia. Venite tutti!» L’elfo tese una mano, e si udirono mormorii di sorpresa quando i servi si sentirono sollevare con delicatezza infinita, e si unirono al padrone, la cui risata risuonava ora come un corno trionfale.
Nlaea si mosse nelle braccia del giardiniere, ed emise un suono flebile, ma soddisfatto. L’elfo abbassò lo sguardo, scivolò sul sentiero, e per poco non la lasciò cadere.
«Fai attenzione!», sbottò Alaglossa al suo fianco, sostenendo entrambi con le braccia robuste.
Nlaea si agitò nuovamente, e d’un tratto si librò nell’aria. Il servo inciampò, sbilanciato dal cambiamento improvviso, e cadde in un cespuglio di galamathra.
«Nlaea?», urlò Lady Tornglara in preda al panico. «Nlaea!»
La ragazza si voltò e le sorrise. «Non vi preoccupate, Signora», esclamò dolcemente, e fiamme blu sembrarono fuoriuscirle dagli occhi mentre parlava. «Cormanthor è finalmente incoronata».
Mentre la serva fluttuava sopra di lei, Alaglossa cadde in ginocchio sul sentiero e iniziò a pregare in un fiume di lacrime gioiose.
Galan Goadulphyn si guardò intorno, incredulo. Corpi elfi fluttuavano da ogni parte, e dappertutto si udivano risa e pianti di gioia. Qua e là s’innalzavano grida d’esultanza. Cormanthor era impazzita d’un tratto?
L’elfo si affrettò verso una casa riccamente addobbata, la cui porta era aperta. Bene, se erano tutti occupati con le celebrazioni, forse non avrebbero notato l’assenza di qualche oggetto.
Si era quasi intrufolato all’interno quando una mano risoluta gli torse l’orecchio sinistro. Galan si divincolò e si voltò di scatto, estraendo repentino un pugnale. «Chi?», ringhiò ma subito dopo s’interruppe, la bocca ancora aperta.
La donna conosciuta come la più bella e fatale di tutta Cormanthor gli sorrise come in un sogno, fluttuante sulla soglia, le membra avvolte da fuoco blu. «Diamine, Galan», esclamò allegramente Symrustar, «mi fa molto piacere. Finalmente ti sei lasciato alle spalle i furti, e sei tornato a Myth Drannor per ripagare le tue vittime di tutto ciò che hai rubato!»
Il ladro contorse il volto, confuso e incredulo. «Che cosa? Ripagare? “Myth Drannor”?»
Quelle furono le ultime parole che pronunciò prima che labbra sfavillanti si unissero alle sue, e gemme d’ogni colore iniziassero a fuoriuscire, volando, dai suoi stivali, come vespe arrabbiate che lasciano un nido, e fluttuassero nell’aria limpida di Myth Drannor.
Quella notte il sorgere della luna sopra Myth Drannor fu un momento di gioia. Corni e arpe vennero suonati all’infinito in una piacevole cacofonia, come se tutte le feste di un anno fossero state riunite in un’unica celebrazione frenetica. Grazie alla meraviglia invisibile e silenziosa che sovrastava la città come una volta protettrice, chi prima non era in grado di volare, ora poteva farlo senza bisogno d’incantesimi. L’aria era piena di elfi abbracciati e sorridenti; il vino scorreva liberamente e abbondavano le promesse di matrimonio. La luna era piena e brillante, e i suoi raggi illuminavano il pavimento della Camera della Corte attraverso il tetto devastato.
Una donna elfa scivolò solitaria nella stanza vuota, le sue pantofole ingioiellate a qualche centimetro dal pavimento insanguinato. Gli orli della sua tunica corta scintillavano di gemme, e diamanti luminosi formavano draghi gemelli sul suo petto. Solo alcuni fili bianchi e grigi sulle sue tempie tradivano la sua età mentre si muoveva sinuosa nel silenzio, giungendo finalmente là dove un mucchietto di ceneri era immerso nella tenue luce lunare.
Lo fissò a lungo in silenzio, diversa da una statua solo per il petto palpitante. Brevi note di una canzone penetrarono dai fori nel tetto quando elfi gioiosi sorvolarono la corte, e la donna serrò i pugni tanto forte da far uscire sangue nei punti in cui le lunghe unghie si conficcarono nei palmi.
Lady Sharaera Starym sollevò la magnifica testa alla luna, fece un respiro profondo, poi riabbassò lo sguardo su ciò che rimaneva del suo Uldreiyn, e sibilò ferocemente: «Il Mythal deve crollare, ed Elminster dev’essere annientato!»
A udirla però rimanevano solo i fantasmi.
Quando il Mythal fu creato, alcuni elfi di Cormanthor pensarono che aprire il regno ad altre razze fosse un errore. Sono certo che alcuni ancora lo pensano.
A quel tempo sorsero piccole dispute e agitazioni, come accade all’arrivo di qualsiasi novità che non sia un bambino, ma nulla di cui menestrelli o saggi si debbano preoccupare eccessivamente. Fu questione di poche spade, di una manciata d’incantesimi e di qualche parola affrettata, il tutto seguito da grandi feste. In breve, si trattò di ciò che gli eroi umani sono soliti chiamare «avventura».