V

Vestir tre volte il lutto aveva ucciso

tutto ciò che le restava, anche il sorriso.

E la falsa sorella imprigionò in guardina

dell’isole vaganti la regina.


Per un anno e tre mesi feci quel che aveva stabilito Betsy, anche se non so come potei resistere tanto a lungo. Poi una mattina decisi di andare nel suo ufficio. — Mi spiace, ma deve attendere — mi disse il maggiordomo. — In questo momento miss Zoll è molto occupata.

— Aspetterò — sospirai. E per più di un’ora passeggiai avanti e indietro sulla sua terrazza coperta. Era un bel posto, luminoso, sopraelevato rispetto al grande giardino di prua. May non aveva giardino. Tutto lo spazio di cui poteva godere erano quattro camere, ben arredate, dove le era concesso di guardare la TV, ascoltare dischi, leggere libri, mangiare ciò che voleva e ottenere quello di cui aveva bisogno, ma a parte me e le cameriere non aveva nessuno con cui parlare. Poteva ricevere solo tre persone. Io ero la prima, Betsy la seconda (ma aveva la buona grazia di non farsi mai vedere) e il terzo, che sarebbe stato il più benvenuto di ogni altro ma non metteva mai piede lì dentro, era Jimmy Rex. Betsy stessa aveva disegnato il progetto di quella prigione. Aveva finestre larghe e luminose, che però guardavano soltanto sul mare. La porta era una sola, sorvegliata in permanenza da una guardia armata, e all’esterno un pulsante consentiva di far scattare saracinesche d’acciaio per chiudere ermeticamente porta e finestre. Ma non era mai stato usato: da lì May non poteva andare comunque in nessun posto.

Così attesi sulla veranda armandomi di tutta la pazienza possibile, finché lei non si decise a uscire. Era in vestaglia, insonnolita e sbadigliante: venne fuori tenendo una mano attorno al torace peloso del pilota di aliscafo che in quel periodo era il suo amante favorito. — E allora, vecchio? Cos’è che vuoi, adesso? May è forse infelice nel suo appartamentino gratuito? Già… magari le piacerebbe farsi un paio di settimane a Miami, con i suoi amici spacciatori di droga e venditori d’armi, eh?

Non volli darle la soddisfazione di vedermi irritato. — Ho deciso di venderti le mie azioni — dissi.

Lei mi scrutò accigliata per qualche istante. Poi diede una pacca al pilota e con il pollice gli indicò la porta. Quando l’uomo fu uscito, disse: — Dov’è il trucco, Jay? — La sua voce era del tutto indifferente; avrebbe potuto uscire da un computer parlante, privo di emozioni, una macchina che si limitava a reagire chiedendo ulteriori dati. Mi diede un brivido.

— Non mi piace quello che fai — dissi. — Ma se non posso fermarti non voglio neppure sentirmi tuo complice.

Lei si sfregò pensosamente le labbra, screpolate e incrostate di rossetto secco, quindi batté le mani. Subito la cameriera personale comparve sulla soglia, seguita da una guardia che controllò la situazione con un’occhiata. Betsy schioccò le dita, e quel gesto fu interpretato come la richiesta di una tazza di caffè, che la cameriera portò di corsa.

— Sì, credo che tu non stia mentendo — disse, — ma mi piace vedere chiaro nei miei affari. Come intendi utilizzare il denaro?

— Voglio andarmene.

— E lasciare la tua preziosa May?

Cercai di tener ferma la voce. — Voglio solo restare lontano per un po’, Betsy. Più tardi tornerò e riprenderò a fare il secondino, ma non ne posso più di stare a bordo. Ed è tempo che faccia dei progetti per il mio futuro. — Mi parve poco convinta, così continuai: — Tu sei un tiranno qui, Betsy. Ti sei compiaciuta di lasciare May viva, ma un giorno o l’altro sarai troppo ubriaca, o piena di droga fino agli occhi, o irritata con qualcuno dei gaglioffi che ti porti a letto, e sfogherai la tua rabbia su di lei. E visto che non posso far niente per aiutare May voglio far qualcosa per aiutare me stesso.

Lei sorseggiò il caffè, studiandomi da sopra il bordo della tazza, poi scosse le spalle. — Puoi vendere soltanto su mia offerta, Jay. E la mia offerta è di dieci milioni di dollari.

Quando ne avevo rifiutati cinquanta! — Venticinque — contrattai. Lei scosse il capo e disse:

— Nove.

E nove furono.

May poté subito leggermi in faccia che avevo qualcosa da dirle, ma dopo che fui entrato nel suo appartamento preferì seguire l’etichetta e domandarmi come stavo, quindi volle sapere cosa faceva Jimmy Rex. Anch’io fui lieto di poterla prendere un po’ alla larga. Poi, con un bicchiere di vino in mano, annunciai: — Ho idea di andare in Nuova Zelanda per un certo tempo.

— Ah?

— Non molto, May. Forse qualche settimana; poi tornerò, lo prometto.

— Naturalmente so che tornerai, Jay caro. Ma hai ragione, certo. Devi respirare un po’ d’aria libera anche tu. E in Nuova Zelanda ci sono dei bei posti… ricordo che c’è anche una bella pista da sci. — I suoi occhi vagarono sull’orizzonte vuoto fuori dalla finestra, e cercò di assumere un tono leggero. — Mi piacerebbe andarci: là non potrei danneggiare Betsy in alcun modo. — Sapeva quanto me che ogni parola pronunciata lì dentro veniva ascoltata, e suppongo che in quel momento stesse parlando più a Betsy che a me, pur conscia che non sarebbe servito a niente. — Potrei prometterle di non tentare nulla — disse. — E io non ho mai mancato alla mia parola.

Me ne andai prima che si voltasse per non farle vedere che ero sul punto di piangere. Sapevo bene che May era sincera e sapevo altrettanto bene che Betsy, la madre di tutte le menzogne, non le avrebbe mai creduto.

Oh, May, mia dolce, maledetto fu il giorno

che a liberarti mi vide di ritorno.

Maledetto fu il giorno in cui volli salvare

l’infelice regina dell’isole del mare.

La Nuova Zelanda non era stata una scelta casuale: dovevo andare lì per tre ragioni. La prima, perché era poco popolata e lontana dal resto del misero mondo di terraferma. La seconda, perché grazie alle sue sorgenti geotermiche non aveva rapporti clientelari con la Flotta, e lì nessuno mirava a ingraziarsi particolarmente Betsy. La terza, perché avevo bisogno di un amico sicuro.

Gli occhi di Betsy non si fermavano alla balaustra della sua isola. Così il primo giorno ad Auckland visitai sei diverse banche per discutere su come investire i miei nove milioni di dollari. Il secondo feci un giro aereo dei pascoli, con il pretesto di acquistare un buon allevamento di pecore, e quella sera mi permisi di bere qualche bicchiere di troppo al bar dell’albergo dove alloggiavo. A tutti quelli che ebbero voglia di ascoltarmi raccontai quale strega vendicativa fosse Betsy Zoll, e come avessi ormai perso ogni speranza di vedere libera la mia dolce May. Ignoravo quale dei clienti, allevatori e uomini d’affari, avrebbe passato parola a Betsy, ma non avevo dubbi che le sue bustarelle fossero giunte fin lì.

Il terzo giorno andai a visitare gli impianti di una piccola isola galleggiante, e fu là, nella sala delle turbine a bassa pressione, che incontrai Sam Abramowitz, a cui avevo fatto pervenire un biglietto. — Già, nessuno può sentirci qui dentro — annuì, fra il sibilo e il rombare delle macchine. — Cosa posso fare per te? — E poi, quando glielo ebbi detto: — Tu devi esser diventato pazzo!

Fui d’accordo che vivevamo in un mondo sempre più pazzo. — Comunque — continuai, — quello che mi serve è un esploratore subacqueo con un pilota abile, e un idrovolante veloce: gente che non si spaventi sotto il fuoco. Per un milione di dollari.

Lui fece qualche smorfia. Prima di rispondere fece qualche passo ed esplorò con gli occhi la sala piena di macchinari, benché fosse certo che nessuna spia poteva averci seguiti lì. — Non posso procurarteli nel giro di una nottata, lo sai.

— Non ne ho bisogno domani, Sam. Voglio che trascorra un po’ di tempo per far allentare un po’ la sorveglianza di Betsy. Almeno un mese: sei mesi sarebbe ancor meglio. Tu mandami un messaggio quando avrai tutto pronto… qualcosa su un buon investimento in un impianto per tosare le pecore, magari. E il pilota dovrà indossare qualcosa che io possa riconoscere per sapere che si tratta di lui.

Lui scosse lentamente il capo, senza rifiutare ma borbottando che piloti disposti a rischiare la pelle e il resto non se ne trovavano molti. — Un milione di dollari, hai detto? Potrebbe costare di più.

— Pagherò qualunque cifra. — Il mio tono deciso lo fece sospirare: era un assenso. Gli presi una mano fra le mie. — Sei un bravo amico, Sam. Non è solo per me, lo sai. È per la ragazza più cara che tu abbia mai visto.

Lui distolse lo sguardo e non rispose. Per un attimo ebbe un’aria di disapprovazione che non compresi e non mi piacque, ma l’importante era che avesse accettato. Prima di lasciarci gli firmai un’autorizzazione a prelevare fondi dai miei depositi bancari, senza limiti. Se alla fine di quei nove milioni non ci fosse rimasto niente, io avrei potuto andare a fare il mendicante. Ma sarei stato libero e così anche May.

Questo era il destino che io sognavo per May, perché il piano era piuttosto buono e Sam Abramowitz era un amico migliore di quel che meritassi. Fu prudente e astuto. Quando infine mi fece avere il segnale convenuto e l’esploratore subacqueo attraccò alla nostra isola galleggiante, vidi che era uno di quei batiscafi argentini di ultimo modello. Il pilota raccontò a Betsy d’aver scoperto un profondo strato d’acqua fredda e si offrì di rivelargliene l’ubicazione dietro pagamento. Quando vidi che portava una cravatta verde lo identificai come il mio uomo. Non ebbi modo di parlargli poiché restò con Betsy a contrattare i particolari dell’accordo, comunque scesi all’attracco e studiai il battello con attenzione. Un esploratore subacqueo è poco più aerodinamico di un uovo, ma la linea e la velocità non hanno importanza. Ciò che conta è la sua capacità di resistere alle alte pressioni e di manovrare bene mentre studia le correnti di profondità. Quello aveva un aspetto solidissimo. Una volta dentro di esso e in immersione avremmo avuta la nostra possibilità. Saremmo fuggiti tenendoci al riparo dietro strati d’acqua di diversa temperatura e densità per evitare gli ecoscandagli, fino a uscire dalla portata delle armi di Betsy. L’autonomia era sufficiente a raggiungere l’Australia, o le Hawaii, o il Giappone, o un arcipelago qualsiasi del sud Pacifico. Io avrei puntato su Manila. Di tutte le destinazioni quella poteva essere la più pericolosa per noi, dal momento che le Filippine erano molto frequentate dalla gente del mare, ma proprio perciò era l’ultimo posto in cui Betsy ci avrebbe fatti cercare, e questo ci avrebbe dato il tempo di confondere le tracce e sparire.

Tutto ciò di cui avremmo avuto bisogno a quel punto era un idrovolante veloce che doveva comparire sulla scena anche come diversivo.

Appena fu buio scesi dunque all’appartamento di May. Era lì che ammazzava il tempo come al solito, un po’ leggendo e un po’ dedicandosi a lavori di cucito. — È una notte calda — dissi, accostandomi alla finestra sotto cui si stendeva l’oscurità del mare, venti metri più in basso. Torcendo il collo riuscivo a scorgere il piccolo sommergibile ormeggiato accanto a una delle scalette con la prua già voltata verso una delle uscite della rete di protezione. Sulla banchina, giusto dove mi aspettavo di vederlo, c’era l’uomo con la cravatta verde. Aveva appena fatto il pieno di carburante e lo stava pagando a uno degli addetti. Ciò che aspettava adesso era l’idrovolante, il cui compito era di attirare l’attenzione di tutti sulla pista d’atterraggio.

Quello era il diversivo: e ormai non mancava molto.

— Mi piacerebbe fare una nuotata con te — dissi. May mi fissò intensamente, stupita. — Guarda — continuai, prendendola per mano e conducendola alla finestra, — basterebbe tuffarci da qui. E in una notte come questa potremmo anche nuotare fino alle Hawaii, e rivedere le palme e le grandi spiagge bianche. — Erano parole assurde, e anche il mio sogghigno dovette sembrarle assurdo mentre mi portavo la sua mano alle labbra per baciarla. Ma quando le lasciai le dita fra esse avevo infilato un bigliettino che diceva: Appena te lo dico dovremo tuffarci entrambi in mare. C’è un battello che aspetta per portarci via.

— Credo che berrò qualcosa, caro Jay — disse May in tono casuale e mi accennò di seguirla al bar. Poco dopo si scusò e andò nel bagno, e quando poi ne uscì riprese a chiacchierare svagatamele, sul succo di mela un po’ acido che le avevano servito a pranzo e sullo strano sogno che aveva fatto quella notte.

Mezz’ora dopo stavamo ancora parlando del più e del meno, allorché dal ponte di coperta giunse il suono allarmato della sirena che chiedeva l’intervento delle forze di sicurezza sulla pista d’atterraggio. Presi subito May per un gomito e la condussi alla finestra.

E in quel momento la porta dell’appartamento si apri mentre entrava il piccolo Jimmy Rex.

Aveva da poco compiuto gli otto anni, e negli ultimi due era cresciuto sotto la perniciosa influenza di Betsy. Rovinargli il carattere, già guasto, non le era stato difficile perché nelle sue vene scorreva il sangue maligno degli Appermoy. E in quei due anni il ragazzo era venuto a far visita a sua madre soltanto due volte. Naturalmente era stata Betsy a mandarlo. Nei suoi occhi c’era tutt’altro che amore filiale quando chiese, sardonico: — Stai forse pensando di fare una sciocchezza, mammina? — Aveva un bel volto liscio, una voce chiara e un cuore che avevo ormai rinunciato a decifrare. M’interposi fra di loro.

— Perché fai una domanda di questo genre? — lo rimproverai.

Alzò gli occhi su di me. — Betsy dice che è molto strano — rispose, — che tu sia diventato un fannullone, che abbia venduto le tue azioni e che abbia smesso di chiedermi di venire un po’ qui. E di sopra c’è un aereo che dice di essere della flotta societica, di avere dei guasti alla strumentazione e di voler fare un atterraggio di fortuna.

Non mi ero atteso che Betsy mettesse insieme quei fatti con tanta acutezza. Ma la guardia in piedi fuori dalla porta non ci guardava; stava ascoltando l’interfono e sui suo volto duro c’era ostilità per l’aereo russo di cui sentiva notizie, i russi erano concorrenti che ci rubavano soldi, e molti sarebbero stati lieti di spedirgli un missile nella fusoliera invece che lasciarlo atterrare. Aprii la bocca per rispondere a Jimmy Rex, ma May mi prese per un braccio.

— Non potremmo portarlo con noi, Jason? — supplicò.

— No, non possiamo — gridai. — E non c’è tempo per discutere! — Se Betsy era abbastanza sospettosa da mandare lì il ragazzo avevamo pochi minuti, forse pochi secondi, perché il diversivo dell’aereo non l’avrebbe ingannata a lungo.

Non c’era alcuna confusione nella mente di May. Capiva quel che stavo dicendo; sapeva che quella era la semplice verità. Ma era anche una madre, una donna che non riusciva a rassegnarsi d’aver già perduto il suo unico figlio. Lo fissò per un lungo istante, poi con un gemito si volse e corse alla finestra.

Non potei impedire ciò che accadde subito dopo. — No! — strillò il piccolo Jimmy Rex, e fece l’unica cosa che poteva fare per fermarla: corse fuori dalla porta e premette il pulsante per sigillare tutte le uscite dell’appartamento di May.

Non poté trattenerla all’interno: non del tutto.

Le saracinesche metalliche si abbassarono… e quella della finestra si abbatté con forza terribile e spaventosa sul collo di May. Della mia May.

E fu lì che io rimasi, da solo, silenzioso, con ciò che restava di May. Dieci minuti più tardi sentii le saracinesche che si rialzavano, la porta venne aperta e Betsy si precipitò dentro con Jimmy Rex alle calcagna. Betsy appariva furiosa, trionfante, offesa… ma quando mi vide chino accanto alla finestra, con il corpo senza testa di May stretto fra le braccia, lordo di sangue, sembrò più che altro sollevata.

In quanto a Jimmy Rex, devo essere onesto: davanti al corpo decapitato della madre pianse. Gemette e tirò sul con il naso, e credo che riuscì a esibire un dolore sincero… per otto o dieci minuti, almeno.

Perfino Betsy fu un po’ scossa a quello spettacolo, ma non a lungo quanto lui, perché il ragazzo aveva ancora le lacrime agli occhi allorché lei mi fissò con una sorta di orrida ammirazione. — Tu, vecchio pazzoide — disse, quasi deliziata, — lo sentivo che avresti fatto qualcosa e che sarebbe stata la tua stupidità a risolvere tutti i miei problemi. Penso proprio di doverti ringraziare.

— Se dici un’altra parola — sussurrai — ci saranno due donne morte in questa stanza. — E quando mi alzai le avrei spezzato il collo con le mie mani se il fucile della guardia non mi avesse spinto indietro.

Entrò altra gente, un medico diede un’occhiata al corpo di May e lo coprì con un lenzuolo; Jimmy Rex se ne andò scortato da una cameriera, e io non potevo far altro che guardare quel sangue, per terra, addosso a me, sulla finestra. Mi volsi e vidi che Betsy mi teneva gli occhi addosso, stavolta con un’espressione che sul suo volto mi apparve indecifrabile. Se non l’avessi conosciuta bene avrei detto che c’era della pietà in quello sguardo.

Poi sospirò e scosse il capo. — Vecchio — disse, sgarbata, — vattene dalla mia isola e porta con te le tue folli illusioni. — Fece un cenno ai suoi uomini. Venti minuti più tardi la grande mole galleggiante spariva alle mie spalle mentre il battello su cui avrei dovuto fuggire libero con May portava via me solo, verso… neppure sapevo cosa.

Così a morte per due diverse mani era andata.

L’ascia fu dal suo amico più cara sollevata,

e il falso figlio abbatté la lama

che ogni sua quieta speranza rese vana.

E il buio spense infine gli occhi innocenti

della dolce triste regina dell’isole vaganti.

Per oltre un anno dopo quei fatti, ogni notte mi svegliai tremando dall’incubo in cui continuavo a vedere la saracinesca che piombava sul tenero collo di May. Era tremendo riviverlo in sogno ma da sveglio era ancora peggio. Quali erano le illusioni che avevano indotto anche il nero cuore di Betsy a impietosirsi per me?

Non ho mai trovato la vera risposta a questa domanda. E forse, dentro di me, non voglio neppure trovarla.

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