III

Per amore del figlio e reclamare il suo avere

a vent’anni e quattro volle ancora sposare.

E si batté e vinse per poter conservare

onesta la sua gente con i doni del mare.

Benedetto fu il riposo da lotte e da tormenti,

in quei brevi anni lieti sulle isole vaganti.


Benché l’avessi persa di nuovo fu un periodo felice. May era la serenità in persona. Jefferson Ormondo ebbe il buon senso di godersi quella tranquillità… be’, che altro poteva fare? Perfino il piccolo Jimmy Rex era diventato più trattabile, lontano da Betsy e dai suoi tentativi di far emergere il lato peggiore del suo carattere.

Dopo un po’ di tempo facemmo perfino una sorta di armistizio con la stessa Betsy: non che lo trovassimo piacevole e divertente. Comunque lei venne a farci visita mentre eravamo in sosta di lavoro nelle solite zone di mare più produttive, e poi non ci fu altro da fare che restituirle la visita sulla sua nuova grande ammiraglia. Ma se detestavo l’idea di rivedere Betsy, quel viaggio mi giunse gradito per altri versi. Il suo Comandante Operativo era un uomo come si deve — avevamo navigato insieme sotto il commodoro — e inoltre volevo dare un’occhiata ai loro impianti.

Quel che occorre ai radiatori per lo scambio di calore è un’acqua di superficie molto calda, possibilmente il primo metro d’acqua, che è quello a temperatura maggiore. Ma quando si pompano dentro cento tonnellate di liquido al secondo la tubature assorbono qualunque cosa vi sia attorno. Così, quando il comandante Havrila mi condusse sul ponte, sorridendo fieramente, sapevo già cosa voleva mostrarmi. Lo avevo visto dall’aria. L’isola galleggiante era circondata da una rete-filtro, disposta a trenta metri dallo scafo in ogni direzione. Nel notarne la presenza avevo capito che si erano ancorati su un bassofondo a forma di tazza, dai bordi rialzati. — State assorbendo acqua direttamente dalle aperture dello scafo, eh? — opinai, — e avete intrappolato l’acqua di superficie in un’infossatura. La rete vi serve per tenere fuori i pesci?

Lui sogghignò tristemente. — Sapevo che quando l’avessi vista non ci sarebbe stato bisogno di dirti una parola, Jason — annuì. — Pompiamo da una riserva profonda una decina di metri, ma l’acqua che vi affluisce dall’esterno è unicamente lo strato di superficie.

— Uno stratagemma intelligente — mi complimentai. — Ma questa rete non vi dimezza le possibilità di manovra?

— Diciamo pure che le annulla — confessò lietamente. — Ma non abbiamo bisogno di muoverci finché riusciamo a mandar giù le tubature per l’assorbimento dell’acqua fredda oltre il bordo di questo bassofondo. Il guaio è che in profondità non abbiamo la bassa temperatura che vorrei. — Poi chiese: — Dimmi, Jason, voi cosa usate contro le incrostazioni organiche?

— Lo stesso vostro sistema, suppongo. Ogni dieci giorni invertiamo il flusso, assorbendo sabbia come detergente. Questo ci costa un bel po’ d’energia, tuttavia. — Il mare è pieno di piccole forme di vita che cercano qualcosa a cui abbarbicarsi… e sfortunatamente qualsiasi superficie va loro bene. L’interno delle tubature è dunque un posto buono quanto un altro. Il problema non esiste con quelle che assorbono acqua fredda, poiché nell’alto fondale non c’è vita organica di quel genere. Ma con le tubature di superficie è un’altra faccenda.

— Stiamo usando il cento per cento dello strato superiore — esclamò. — È tutto intrappolato in quest’infossatura e tiriamo dentro molta sabbia per ripulire le incrostazioni.

— Ottimo lavoro, certo. Ma cosa farete quando i vostri filtri saranno intasati? — dissi. Lui rise e mi portò al bar per offrirmi un drink, quasi per premiarmi d’aver individuato la falla nel loro stratagemma.

Nei tre giorni che restammo lì mi lasciai offrire da bere molte volte. Non avevo nessuna disposizione d’animo negativa verso gli ufficiali e gli equipaggi di Betsy, però non potevo dire lo stesso dei suoi amici. E non mi andava giù che a May piacessero alcuni di loro. Tutte le ospiti di sesso femminile proclamavano d’essere attrici o fotomodelle, raccontando fandonie con assoluta disinvoltura. Anche gli uomini spacciavano balle, alcuni per il semplice fatto di autodefinirsi uomini. Basti dire che fra i più sopportabili c’era Simon Kelleway di Las Vegas, un tipo strisciante, al momento ospite di Betsy a causa di una condanna per omicidio rilasciatagli in contumacia da un tribunale del Nevada. E c’era Dougie d’Agasto di Miami Beach, alto e bello, il più potente proprietario di bordelli della costa atlantica. Era quasi tutta gente di Chicago, Los Angeles e New Orleans, e si comportavano come se fossero ricchi esponenti del jet-set a un party elegante, ma dal primo all’ultimo avevano ottimi motivi per stare lontani dalle grinfie della legge.

Quello che mi restava maggiormente sul gozzo era proprio d’Agasto, il più attraente e il più vanesio di tutti. E mi restava sul gozzo perché May sembrava non disprezzare affatto la sua compagnia. La prima sera, a cena, seduti l’uno accanto all’altro avevano parlato molto. Ci voleva poco a capire che andava a letto con Betsy. Probabilmente tutti i suoi ospiti avevano conosciuto il suo letto, perché dopo la morte di Ben era diventata molto più avvicinabile e disponibile alle avventurette, o addirittura aggressiva verso chi solleticava i suoi appetiti. Con mia enorme sorpresa fece un tentativo perfino con me, quando alle due del mattino bussò alla mia porta per annunciarmi che non aveva voglia di dormire. Quando la informai educatamente che invece io quella voglia l’avevo, lei scosse le spalle e sogghignò: — Be’, probabilmente da un vecchio pitocco come te non ci cavarei niente comunque. Aspetti la tua May da tanto tempo che ormai devi esserti fossilizzato. — Se ne andò senza dire altro, e io desiderai più che mai di non aver accettato il suo invito.

Così trascorsi tutto il mio tempo evitando con cura Betsy e i suoi amici. Presi ogni pasto con il comandante Havrila, alla mensa ufficiali, e parlammo di bottega apertamente e con molta franchezza, scambiandoci informazioni anche abbastanza riservate sui fatti accaduti. La più parte di quel che dicemmo, tuttavia, non era segreto. Sapevo che Betsy stava diversificando la sua produzione, perché ciò che vendeva sulla terraferma diventava di pubblico dominio sin da quando firmava un contratto. Non ero invece al corrente del suo progetto di manifatturare prodotti finiti, sia in acciaio sia nell’elettronica. — Le navi che arrivano qui sono comunque in zavorra — disse Jim Mordecai, il direttore alle Vendite. — Perciò potrebbero portarci la materia prima… e noi abbiamo l’elettricità. Inoltre produciamo molto ossigeno extra, che stiamo già buttando via per non far crollare il prezzo con un’eccessiva immissione sul mercato. E c’è da considerare l’inquinamento.

— Inquinamento? Qui nell’oceano? — chiesi.

— È proprio qui che possiamo fare a meno di preoccuparcene, Jason, in mare. Sulla terraferma dovremmo montare costosi impianti di depurazione. Anche se… — ebbe un sogghigno, — non so se la gente alle Hawaii sarebbe d’accordo con me. — Tacque, volgendosi a interrogare il comandante con un’occhiata. — Comunque abbiamo una specie di problema d’inquinamento — disse, e Havrila dovette segnalargli il suo assenso perché continuò: — Stiamo pompando su tanta acqua dal fondale che il residuo di anidride carbonica non si dissipa abbastanza in fretta. Superiamo già le cinquecento parti per milione.

— Davvero? Io non avevo notato niente.

— Naturalmente! — esclamò il comandante Havrila. — Da quanto possiamo dire non c’è alcun rischio per la salute. Anzi, miss Betsy dice che le piace: fa crescere meglio le piante del suo giardino! E ora che ne dici di un brandy, Jason?

Dissi che mi andava. Me ne sarei lasciato offrire anche un altro, ma avevano del lavoro da fare e non volevo trattenerli. Così mi offrii volontario per portare Jimmy Rex a fare una passeggiata e ne approfittai per dare un’occhiata al grande giardino. C’erano siepi di buganvillee, orchidee, rose, e le aiuole erano fiorite e lussureggianti.

Alle persone sensibili piace cogliere fiori, e a Jimmy Rex piaceva. Solo che la sua sensibilità era diversa: li coglieva a manciate, scaraventandoseli dietro le spalle mentre avanzava lungo le aiuole. Visto che ce n’erano fin troppi lo lasciai fare, limitandomi a seguirlo e pensando ai fatti miei, finché d’un tratto udii delle voci e alzando gli occhi vidi che stava cercando d’infilarsi fra i cespugli. — Torna indietro, James Reginald! — gridai. Con mio stupore ubbidì subito, mogio mogio. Sentii dei sussurri oltre le frasche, poi qualcuno si allontanò mentre qualcun altro aggirava invece i cespugli per vedere chi fossi.

Era Dougie d’Agasto. Indossava pantaloncini corti e scarpe da tennis, slacciate, e la camicia di seta l’aveva in mano. Se la gettò su una spalla nuda e abbronzata. — Oh, sei tu, Jason — sorrise. O almeno, la smorfia poco amichevole che mi diresse intendeva sembrare anche un sorriso. — Già, quando ho visto Jimmy Rex mi son detto che tu non dovevi essere lontano. È un bene che non siate capitati qui dieci minuti prima!

A me non interessava affatto sapere con chi andava a rotolarsi fra i cespugli. Poggiai una mano su una spalla di Jimmy Rex — di fronte agli estranei aveva imparato a mostrarsi docile — e dissi: — Stavamo giusto per rientrare.

Lui annuì distrattamente, sbadigliò, si grattò il torace e spazzolò la camicia, ma i suoi occhi restarono fissi su di noi. — Ho notato che non perdi mai d’occhio il Piccolino, eh? — disse.

— Certo non posso lasciarlo avvicinare alla balaustra — borbottai. D’Agasto mi osservò come se avessi parlato in una lingua straniera.

— Per l’amor del cielo, è solo di un incidente che hai paura? Io sto parlando di un rapimento, un sequestro. — Il suo sorriso si allargò, facendosi ancor meno amichevole. — Hai un’idea di quel che vale il piccolo?

Se avessi conosciuto Dougie d’Agasto su un campo da tennis non avrei mai sospettato che non fosse solo un giovanotto brillante, sportivo e vivace, perché sapeva esibire allegria e buonumore. Ma bastava sentirlo aprir bocca per capire chi fosse, e la sua testa era sempre al lavoro su qualcosa di poco divertente.

Socchiuse le palpebre. — Cos’è che avete in totale, Jason? — ruminò, facendo il calcolo. — Diciotto isole galleggianti: questa è la Flotta di May, no? Alcune devono ancora ammortizzare le spese di costruzione, probabilmente, ma chiunque potrebbe pagarvele dieci milioni di dollari l’una. E questi sono soltanto spiccioli, perché quando la vecchia Appermoy tirerà le cuoia il bambino sarà il suo unico erede. Amico, tu hai fra le mani un miliardo di dollari! Che ne dici di mettermelo sull’aereo, quando me ne vado, e di non dire niente finché non sarò a San Francisco? Potremmo fare metà e metà in quest’affare!

Mi stava fissando negli occhi, così sbatté le palpebre, volse le spalle e se ne andò senza aspettare la risposta. Jimmy Rex lo guardava fra spaventato e affascinato. — Stava scherzando, vero, zio Jay? — chiese.

— Che domanda stupida! Si capisce che era uno scherzo! — Ma non lo era.

Quando tornammo sulla nostra isola galleggiante mi sentii meglio, e per prima cosa feci quattro chiacchiere con il capo del nostro apparato di sorveglianza. Da quel momento in poi ci fu sempre un uomo armato con Jimmy Rex, sia che fosse con me sia in compagnia dei suoi genitori.

Non cessai di preoccuparmi, anche se dopo un po’ la mia tensione si allentò. Per May e Jefferson Ormondo quello fu il miglior periodo della loro vita. Passeggiando sul ponte si tenevano sempre per mano. Devo ammettere che lui sapeva essere un buon marito, per quanto mancasse di ogni attrattiva, e avrebbe potuto essere anche un buon padre se Jimmy Rex fosse stato capace di comportarsi come un figlio.

Il denaro continuava ad affluire. Più carburanti producevamo, più la gente della terraferma se li divorava e ne chiedeva ancora. Non riuscivamo a produrre azoto abbastanza in fretta da esaudire le richieste di fertilizzanti, perciò il loro prezzo continuava a salire. Da tempo le nostre isole non erano più le sole a galleggiare sui mari, e ogni tanto ne incrociavamo una giapponese, o australiana. Ne costruimmo altre, ancora più grosse, e c’era sempre lavoro per tutte.

Quando Jimmy Rex ebbe compiuto tre anni ci trasferimmo sulla più moderna e grande che si fosse mai vista: tre milioni e ottocentomila tonnellate di stazza. Avremmo potuto mandare avanti una nazione con la sola energia elettrica che producevamo. Jefferson Ormondo la vide quand’era ancora in cantiere e volle lavorarci sopra per progettare le ultime rifiniture e la residenza principale. May lo incoraggiò a sbizzarrirsi pianificando in grande. E grande lo era… ma io non nascosi che m’ero sentito più felice sulla vecchia O.T. — Tu sei un sentimentale, Jason — mi rispose May. — E mi sei ancora più caro per questo. Ma la O.T. è soltanto un vecchio barcone… e piccolo, inoltre non ha neppure un maneggio decente per i cavalli!

Stava cercando di farmi ridere, sapeva bene che non ero mai montato a cavallo. — E allora vuoi venderla come ferrovecchio?

— No! — protestò appassionatamente. Poi, più calma: — Non voglio. Ma cosa possiamo farne, Jason? Il Golfo del Messico?

Ci avevo già pensato, ma era un’idea che non poteva funzionare. C’erano buoni posti nel Golfo per una piccola isola galleggiante, ma non mi sembrava che un vecchio scafo potesse cavarsela bene in una zona così soggetta al cattivo tempo. — Forse il Triangolo del Brasile — dissi. Fra la costa del Sud America e quella dell’Africa c’erano tratti di mare più che adatti. Ma come trasferirla laggiù? Naturalmente la vecchia O.T. non poteva passare da Panama, e sia attraverso gli Stretti di Magellano sia Capo Horn il mare burrascoso l’avrebbe forse fatta naufragare. — Penserò io a una qualche soluzione — dissi. E dopo un po’ ci arrivai: la vendetti a una società della vecchia Appermoy, la ex suocera di May, e loro la ormeggiarono in pianta stabile nello stretto a sud di Lahaina trasformandola in una stazione OTEC per la sorveglianza delle balene. Non trovai divertente trattare con la vecchia strega, ma lei ci fece un buon prezzo e mandò perfino a May un bel regalo di nozze… con un anno di ritardo, certo. Gentile come sempre May ne fu commossa al punto che si offrì di mandare Jimmy Rex a visitare la nonna, di tanto in tanto.

Ma io sentivo la mancanza di quel tozzo barcone. La nuova isola galleggiante non era soltanto più grossa, era anche meglio concepita. Montammo un nuovo sistema d’assorbimento per l’acqua fredda, con un singolo tubo lungo cinque chilometri e del diametro di sei metri. La larghezza della tubatura si adeguava meglio ai nostri scopi perché impediva che l’acqua si riscaldasse molto nel risalire. Naturalmente un po’ si riscaldava sempre. Nel tragitto verso l’alto i gas disciolti in essa ne espandevano la massa, il che contribuiva a raffreddarla, tuttavia dovemmo istallare valvole di sicurezza lungo la tubatura per impedire che col calare della pressione questi gas la facessero scoppiare. Inoltre quel dannato tubo era così lungo che si torceva come uno spaghetto bagnato, e per mantenerlo continuamente in posizione dovemmo far costruire un altro dei sommergibili da alta profondità che usavamo per cercare le correnti fredde. E dato che tiravamo in superficie un’enorme quantità di plancton ci trovammo ad essere seguiti da flottiglie di pescherecci coreani e peruviani. Io non invidiavo il pesce che indirettamente fornivamo loro, però ero stato più felice quando avevo potuto vedere l’orizzonte sgombro intorno a me.

May rideva nel sentirmi lamentare così. — Quello che non ti piace in realtà sono i cambiamenti — mi disse un giorno, fra ironica e intenerita. Eravamo su uno dei ponti di coperta inferiori, e Jimmy Rex fingeva di sparare ai delfini che venivano a giocare intorno allo scafo. Assorbivamo con potenza acqua caida di superficie, e avevo fatto istallare una rete anti-pesci sul tipo di quella usata dall’ammiraglia di Betsy; ma il fatto che questa emergesse sull’acqua di un paio di metri era un invito a nozze per i delfini, che la saltavano agevolmente.

— Penso che le cose dovrebbero andare meglio, e non solo cambiare — risposi.

Lei sospirò, tirando indietro Jimmy Rex dalla balaustra. — E così non vanno meglio?

— Alcune non proprio.

— Dimmene una!

Le indicai le acque dell’oceano al di là della rete protettiva. — Intorno alla vecchia O.T. non vedevamo mai galleggiare seppie morte.

— Jason, sii serio! Questo non è colpa della nostra isola. Ci sono pesci morti ovunque in questa zona del Pacifico… — Con la coda dell’occhio vide che il bambino s’era arrampicato sulla balaustra per sparare meglio con il suo fucile immaginario. — James Reginald Appermoy! — esclamò, seccata, e lo riagguantò giusto mentre era sul punto di precipitare in mare.

Be’, un tuffo di una dozzina di metri non gli avrebbe fatto alcun male, ma anche lui dovette riflettere che sarebbe stato poco divertente. Se ne restò buono per almeno un minuto, e mi permise anche di tenergli un braccio attorno. Ma io mi stavo sempre preoccupando per quelle seppie. Un pesce morto in mare è una rarità, visto che di solito non fa in tempo a rendere l’anima che qualcosa lo ha già divorato. — Ho sentito dire che intorno alle Hawaii c’è una moria molto peggiore — osservai, e May disse:

— Oh, a proposito delle Hawaii, Jimmy Rex dovrà andare a far visita a sua nonna, la settimana prossima.

Io non dissi nulla ma il mio sguardo fu eloquente. — Andrà tutto bene — mi rassicurò lei.

— Andrà tutto bene se Pan e Jeremy staranno con lui — cercai di contrattare. Erano i due uomini della sicurezza che Jimmy Rex detestava di meno.

— Be’, se pensi che la sensibilità della nonna non ne sarà ferita… — Vide la mia espressione e tacque. — Va bene, andranno anche loro — promise. — Ma dopotutto gli Appermoy fanno parte della famiglia. E anche Betsy. Anzi, quando Jimmy Rex tornerà dalle Hawaii pensavo d’invitare qui alcuni dei suoi amici.

— Betsy è della famiglia — ammisi, — ma la spazzatura che si tiene intorno non c’entra niente.

— Però sono divertenti, Jason. E con tutto lo spazio che abbiamo ora sarebbe un peccato non invitare un po’ di gente.

— Questa — dissi, — è un’altra delle cose per cui preferivo la vecchia O.T.

Ma non avevo argomenti validi da opporre ai suoi discorsi sulla famiglia. E se dovevamo intrattenere gli amici di Betsy, lei avrebbe dovuto ospitare noi e i nostri; così May e Jeff e il bambino, insieme a me e alle quattro May, partimmo in volo per far visita alla regina Betsy. Le nostre ammiraglie non erano mai troppo distanti, di solito, almeno da un punto di vista geografico. Con gli esploratori delle due flotte sempre in cerca dei migliori delta-Ts (così chiamavamo le zone di mare con forti differenze termiche fra superficie e fondale) e gli idrologi che fornivano previsioni identiche sulla loro stabilità, e i navigatori ormai esperti nel tenere le isole galleggianti sulle zone più adatte dei delta, be’… c’erano poche soluzioni ottimali al nostro problema comune, specialmente quando ciascuna delle due flotte copiava la tecnologia dell’altra. Non c’era dunque da stupirsi se adottavamo le stesse soluzioni. E se avevamo gli stessi problemi, come mi resi conto allorché mi trovai accanto ad Havrila, sull’ammiraglia di Betsy. Gli indicai il mare. — Vedo che anche voi navigate in mezzo alle seppie morte.

— Anche la nostra flotta da pesce se ne lamenta — annuì gravemente lui, poi rise. — Ti dirò, avremmo potuto far di meglio che metterci nell’industria del pesce.

— Anche noi ci avevamo fatto un pensiero, per un po’ — dissi, — ma abbiamo preferito non occuparci dei prodotti deperibili. C’è fin troppo lavoro in altri campi.

Ed era vero. Stavamo spaziando in dozzine di attività. Estraevamo metalli pesanti dall’acqua sullo zoccolo continentale americano del Pacifico. Setacciavamo pallottole di manganese dal fondale oceanico. Il solo prodotto alimentare di cui ci occupavamo era l’acqua potabile non inquinata, sempre più rara sulla terraferma; avevamo costruito due enormi rimorchiatori sperimentali, a vela: macchine infernali che potevano essere usate per trainare icebergs dall’Antartide su fino al Golfo Persico.

Tutte le nostre iniziative prosperavano — benché nessuna come lo sfruttamento della differenza termica profondità-superficie, che era la base su cui poggiavamo — perfino gli icebergs. Questi erano la passione di Jefferson. Era un uomo legato alla terra, e qualunque cosa servisse a migliorare le condizioni di vita sui territori poco favoriti dalla sorte lo affascinava. Una settimana sì e una settimana no era fuori a supervisionare quei progetti. Ma non mi piaceva che lasciasse sola May. E la cosa mi piacque ancor meno quando in corrispondenza delle assenze di Jeff cominciarono ad arrivare parecchi degli spensierati amici di Betsy. Quello che capitava da noi più spesso era Dougie d’Agasto.

Quando i guai sono pronti per venire inevitabilmente vengono; durante una delle sue visite Dougie si trattenne un giorno di troppo. Jeff tornò a casa, e fin da prima che il jet toccasse la pista dovette notare dove si trovavano i suoi familiari, perché non andò a cercarli nella villa sul ponte anteriore. Consegnò la valigetta a un cameriere e venne direttamente in piscina. May, bella e provocante nel suo costume da bagno, stava sorvegliando che Jimmy Rex non rotolasse giù dal materassino galleggiante. Dougie d’Agastole s’era accostato e le mormorava qualcosa in un orecchio; il suo braccio sinistro era intorno alla vita di lei e con le dita giocherellava intorno all’elastico dei suoi slip. Jeff non era certo uno sportivo. Smilzo e basso, calvo, la sua unica attività fisica erano le passeggiate igieniche. Ma quando fece girare d’Agasto lo colpì con un gancio da manuale. Dougie volò indietro nella piscina, scomparve sott’acqua e quando riemerse gemeva e si palpeggiava il suo bel naso, ancora intatto ma sanguinante. Un’ora più tardi l’individuo era già lontano dall’isola galleggiante. Non so poi quali discorsi vi furono, in privato, fra May e Jefferson.

Ciò che so è quel che dissi io a May, appena mi capitò di trovarla da sola: — Sei una sciocca a rischiare di perdere Jeff per quel piccolo lenone di Miami.

Non erano affari miei? Be’, se non altro lei non disse questo. Ma mi fissò con serietà. — Non sto rischiando Jeff, zio Jason. Dougie è un rubacuori di professione, certo. Però è talmente un bel ragazzo.

— È un parassita.

— Fa quasi parte della famiglia.

— Ha un qualche genere di parentela con la tua ex suocera, sicuro, e fa parte della cerchia di Betsy. Ma quelli sono criminali, spacciatori di droga, gente violenta. E assassini.

Lei rise divertita e mi diede un buffetto su una guancia. — Dougie non ucciderebbe mai nessuno, Jason. Salvo forse qualche donna, amandola a morte. Ma hai ragione, non dovrei lasciargli pensare che lo incoraggio e non voglio affatto farlo.

Per sei mesi ebbi il piacere di non vedere più Dougie d’Agasto, ma sapevo che pochi giorni dopo quella scenata aveva scritto sia a May sia a Jefferson due untuose e striscianti lettere di scusa. Jeff mi fece capire d’averlo perdonato, ignorando il mio parere e i miei consigli. Poi Betsy venne da noi per un party, e portò d’Agasto con sé.

In quel periodo eravamo in competizione, e la visita era di piacere soltanto in parte poiché avremmo dovuto anche parlare d’affari. L’oceano è grande, ma esistono poche e sottili strisce di esso, sopra certe correnti sottomarine, dove la differenza di temperatura tra fondo e superficie può far girare al massimo le nostre turbine. Ambedue le flotte s’erano avvicinate molto all’equatore, inoltre: non tanto per il calore solare quanto perché dovevamo evitare il maltempo. Le isole galleggianti erano diventate un po’ troppo grosse e goffe per poter affrontare o evitare in fretta un uragano. E sull’equatore un uragano è un fenomeno quasi inesistente, perché l’effetto Coriolis comincia a farsi sentire sui venti soltanto più a nord o più a sud. Quell’inverno le zone in cui non si prevedevano forti tempeste erano ancor meno del solito.

Così l’orizzonte che ci vedevamo attorno non era mai vuoto. C’erano sempre diverse isole galleggianti in vista, a volte nostre, a volte di Betsy, o russe, o norvegesi o giapponesi. Prima del party vi furono dunque discussioni abbastanza incisive fra i comandanti di Betsy e i nostri, e onestamente devo dire che non mi preoccupai di sapere come avessero risolto la questione della spartizione territoriale. Comunque, i nostri ospiti gradirono molto il trattenimento. Era il primo dell’anno: i rinfreschi non mancavano, la gente era sparsa qua e là sull’isola in festicciole diverse e i membri dell’equipaggio erano i benvenuti nella nostra residenza. Vidi Betsy e May cantare Auld Lang Syne insieme al personale di cucina, e Dougie d’Agasto palpeggiare il sedere a un’operaia della sala turbine; se anche una volta, finita la festa, ci saremmo tagliati la gola l’un l’altro sui mercati di due continenti in quel momento tenevamo i coltelli nel fodero. La mattina seguente, con metà dell’equipaggio ancora sotto i postumi della sbornia, Jefferson Ormondo uscì a ispezionare le tubature per l’idrogeno che ci collegavano a una nave frigorifero appena giunta per fare il pieno.

C’era una falla. Ogni perdita di gas può essere pericolosissima, ma quella non avrebbe dovuto provocare un disastro per due ragioni. La prima è che l’idrogeno si disperde velocemente nell’atmosfera, e comunque abbastanza velocemente da produrre un sibilo che può essere ben avvertito. Infatti sia Jefferson sia gli altri corsero subito alla ringhiera: c’era un tuffo di una ventina di metri da fare per togliersi di mezzo, e al di sotto il mare era calmissimo. La seconda ragione era che non c’era da preoccuparsi perché una scintilla avrebbe dovuto incendiare il gas. Nelle vicinanze delle tubature per il trasbordo dell’idrogeno non era tollerato nulla che potesse produrre accidentalmente una scintilla.

Se l’esplosione fosse avvenuta a pochi metri da Jeff probabilmente non sarebbe stata mortale. Ma quando accadde lui era dentro l’esplosione: si trovava all’interno di una massa mista di aria e di idrogeno, e quel miscuglio gli era penetrato nei polmoni. Il gas scoppiò sia intorno a lui sia dentro di lui. Visse poco più di un’ora. Per tutto il tempo della sua agonia cercò di gridare e di gemere, ma non aveva più polmoni che gli consentissero di farlo.

Il solo danno all’isola galleggiante fu un po’ di vernice scorticata intorno alle flange che avevano ceduto. Tuttavia questo a May bastò: disse che non intendeva più abitare a bordo. Dopo il funerale dichiarò che Jimmy Rex aveva bisogno di una buona scuola, così si sarebbe trasferita con lui in Florida. Io potevo soltanto fare alcune ipotesi su cosa volesse May in realtà: o meglio, non volevo farne nessuna. Ma potei smettere di farmi domande alcuni mesi più tardi, quando lei mi chiamò per visifono e disse: — Ho una meravigliosa novità, zio Jay.

Il suo volto dolce e malinconico, inquadrato nello schermo, aveva un’espressione che mi fermò un attimo il cuore. Chiesi: — Chi è il fortunato?

Lei mi fissò: — Ti prego, non dire nulla su di lui quando ti dirò il suo nome. Me lo prometti?

Avevo la bocca arida e il cuore che andava a sbalzi, ma mi costrinsi a sorridere. — È Dougie d’Agasto, vero? E hai già deciso?

— Sì, ho deciso, Jay caro. È un uomo molto più gentile e simpatico di quel che credi.

— Lo spero.

— Oh, Jay, ti prego! Cerca di vedere le cose dal mio punto di vista. Ho sposato il mio primo marito perché Ben insisteva, e il secondo perché avevo bisogno del suo aiuto. Questa volta è perché lo voglio io, Jay. Sii buono, dimmi che è una cosa giusta!

— May — mormorai all’amore della mia vita, — qualunque cosa tu faccia va sempre bene per me. — Due volte vedova alla sua età… come potevo biasimarla?

No, era più giusto biasimare me stesso. E la previsione di Ben il Bastardo si realizzava. Aveva detto che lei avrebbe sposato un uomo ricco, istruito e bello. Non aveva mai detto che questi tre sarebbero stati un uomo solo.

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