PRIMO SPETTACOLO

Ciò che vogliamo è una storia

che incomincia con un terremoto

e procede gradualmente

sino al punto culminante.

Sam Goldwin

UNO

Poco dopo l'arrivo di Cirocco alla casalbero, una carovana di sette individui — tre titanidi e quattro umani — raggiunse la sommità dell'ultima collina che dava accesso alla valle ove il fiume Briareo faceva gomito. Guardando giù videro la grande roccia, l'immenso albero, e la casalbero di Chris annidatavi dentro.

Nel tempo impiegato dal gruppo a percorrere i duecento chilometri intercorrenti fra Bellinzona e il Briareo, Cirocco aveva corso per quasi metà della circonferenza interna di Gea.

Avrebbero potuto viaggiare più in fretta. Ma uno di loro si era rifiutato di cavalcare a dorso di titanide, e quindi l'intero gruppo aveva dovuto rallentare per non lasciarlo indietro. Parecchi degli altri sei avevano osservato quanto poco il settimo componente avesse mostrato di apprezzare tale attenzione.

Dopo una breve sosta, durante la quale i titanidi intonarono lodi al grandioso panorama e composero alcune canzoni per celebrare l'arrivo, il gruppo prese a discendere lungo l'incerto sentiero che conduceva al fiume.


Conal era di nuovo innamorato.

Non che fosse infedele a Cirocco. L'amava ancora, e l'avrebbe sempre amata. Ma questo era un altro genere di amore.

E neppure si dava il caso ch'egli potesse venire ricambiato, poiché colei lo detestava nella maniera più assoluta. Ma insomma, l'amore è amore, e sperare non costa nulla. E poi, lei odiava tutti. Conal non riusciva a credere che qualcuno potesse odiare per sempre tutti gli altri. Magari, quando lei fosse giunta a superare quella fase, l'avrebbe notato che bravo ragazzo era Conal Ray.

Non erano esattamente queste le considerazioni che Conal stava rimuginando mentre il gruppo intraprendeva l'ultima tappa del suo viaggio al fiume Briareo, sebbene analoghi pensieri gli navigassero per la mente. Disteso sull'ampio dorso di Rocky il titanide, egli ondeggiava al momento in una piacevole condizione sospesa tra il sonno e la veglia. Gran parte del viaggio l'aveva trascorsa dormendo. Lavorando per Capitan Cirocco, che era capace di rimanere sveglia per un intero ettoriv e non sembrava mai stanca, Conal aveva appreso quanto fosse importante concedersi tutto il sonno possibile. La sua era una filosofia da soldato di fanteria: riposo a iosa in un letto asciutto, ventre bello pieno, e la vita gli sorrideva.

Si svegliò solo quando le donne s'abbandonarono con voci stridule a una di quelle loro ferocissime discussioni. Le prime volte aveva temuto che venissero alle mani, nel qual caso una di loro sarebbe morta di sicuro. Ma si erano sempre fermate in tempo. Alla fine aveva concluso che non sarebbero mai giunte alle estreme conseguenze, e s'era quindi potuto godere i loro scontri a suon di urla per quel gran spettacolo che erano. Davvero incredibile, la quantità d'imprecazioni che conoscevano quelle donne! Ciò ampliò il suo vocabolario, e accrebbe il suo amore.

Conal si girò dall'altra parte, addormentandosi profondamente. Benché il sentiero fosse ripido e sassoso, l'incedere dei titanidi era morbido e uniforme come il movimento di una ruota di gomma su un pavimento di linoleum. Qualcuno aveva detto che quelle creature rappresentavano il più comodo mezzo di trasporto mai scoperto.


I titanidi non erano proprio entusiasti di venir considerati un mezzo di trasporto, ma neppure se ne offendevano. E portavano sulla loro schiena solamente chi desideravano portare. Pochissimi umani potevano dire d'aver cavalcato un titanide.

Mellotron (Trio Lidio Doppiodiesis) Rock'n'Roll non aveva nulla in contrario a portare Conal. Dal giorno in cui aveva operato Cirocco Jones, quasi cinque miriariv prima, lui e Conal erano divenuti amici per la pelle. Succedeva, a volte, fra un titanide e un umano. Rocky conosceva il caso di Chris e Valiha, che si erano amati per vent'anni, e quello di Cirocco Jones e Cornamusa, che talvolta erano amanti oltre a essere nonna e nipote… sebbene non si trattasse di un normale grado di parentela, poiché nessun albero genealogico titanide è mai semplice. E aveva sentito parlare del grande amore che Gaby Plauget aveva nutrito per Salterio (Trio Lidio Diesis) Fanfara.

Rocky non aveva mai fatto fisicamente l'amore con Conal, non si aspettava di farlo, e sapeva che Conal sarebbe rimasto scandalizzato se avesse scoperto che Rocky la considerava un'esperienza desiderabile. E poi non aveva nulla a che vedere con ciò che gli umani sono abituati a considerare amore. Chris Major l'aveva imparato con Valiha, e quella consapevolezza l'aveva ferito. Ma neppure coincideva con l'amore che un titanide poteva provare per un suo simile. Era qualcosa d'altro. Era qualcosa che qualunque titanide percepiva chiaramente. All'improvviso, e senza un valido motivo, ognuno di loro comprendeva che questo o quell'umano apparteneva al tale o talaltro titanide, sebbene avessero tutti la delicatezza di non esporre la situazione in questi termini. Rocky sapeva che Conal era il suo umano, nel bene e nel male.

E si domandava se anche Conal pensasse a lui come al suo titanide.


Dietro Conal e Rocky venivano Robin e Valiha.

Robin era emotivamente esausta. E niente affatto ansiosa di rivedere Chris dopo tutti quegli anni.

Lui era rimasto su Gea, lei invece se n'era andata… ma non era tornata a casa. Non ce l'aveva più, una casa. Nella Congrega aveva fatto carriera fino ai massimi livelli, e per qualche tempo era stata Madonna Nera, capo del Consiglio. Aveva ottenuto tutti gli onori che la sua società potesse concedere, a un'età inferiore a quella di chiunque altra prima di lei.

Era stata, e continuava a essere, disperatamente infelice. Quei venti, difficili anni, avevano lasciato il segno. Si domandava cos'avessero significato per Chris.

— Valiha, non sai se…

La titanide ruotò il capo verso di lei, e Robin desiderò che non l'avesse fatto. I titanidi erano spaventosamente dinoccolati.

— Sì? Che cosa?

Robin aveva dimenticato la sua domanda. Scrollò la testa, e Valiha tornò a dedicare la propria attenzione al sentiero. Era rimasta esattamente come Robin se la ricordava. Quanti anni aveva avuto, allora? Cinque? Dunque adesso doveva essere sui venticinque. A partire dai tre anni, allorché raggiungevano la maturità, e sin verso i cinquanta, quando incominciavano a mostrare i segni dell'età, i titanidi non mutavano granché di aspetto.

Aveva dimenticato tante di quelle cose… L'atemporalità di Gea, per esempio. Avevano viaggiato a lungo, ma quanto, non avrebbe saputo dire. Si erano accampati due volte, ed era stata così stanca che aveva dormito un sonno profondo come non le capitava da anni. Il viaggio era durato abbastanza da permettere al suo naso di guarire e alla ferita sulla spalla di migliorare.

Vent'anni. Un periodo interminabile, sostanziato di quel soffio d'eternità che solo il tempo immoto di Gea sapeva instillare.

Vent'anni. Com'erano stati, per Chris?


Valiha (Assolo Eolio) Madrigale era preoccupata per Robin.

Le pareva fosse trascorso così poco tempo, da quando la giovane strega era salita a bordo dell'astronave per far ritorno alla Congrega. Quell'ultimo giorno Valiha, Robin, Chris e Serpentone s'erano ritrovati per una scampagnata. La Maga non era con loro, ma avvertivano ugualmente la sua presenza, così come quelle altre invisibili presenze: Salterio, Oboe, e Gaby.

Poi Robin li aveva lasciati.

Ora aveva trentanove anni terrestri, e ne dimostrava dieci di più. S'era portata appresso quell'insopportabile, straordinaria, folle figlia in perenne ebollizione, una seconda Robin elevata a potenza. E poi c'era quel coso… l'embrione.

Valiha non ignorava le caratteristiche distintive dei cuccioli umani, avendone veduti a migliaia. Ma le era sempre rimasta la sensazione che ci fosse in loro qualcosa di sbagliato.

Scansò la coperta scoprendolo, e gli diede un'occhiata. Tanto piccolo da non parer neppure in grado di riempirle il palmo della mano, il bimbo le ricambiò lo sguardo coi suoi occhioni celesti, rivolgendole un gran sorriso. Aveva solo un paio di dentini. Protese a lei una minuscola mano.

— Ma-ma! — disse, e gorgogliò beato.

Prestazione che praticamente esauriva le sue attuali facoltà dialettiche. Stava imparando a camminare e a parlare. Entro pochi anni avrebbe padroneggiato altre capacità. Era quella una fase che i titanidi non dovevano attraversare. Essi saltavano completamente l'infanzia e gran parte del periodo che gli umani avrebbero considerato fanciullezza. Camminavano già a poche ore dalla nascita, e parlavano poco dopo.

Fra le tante destrezze che i cuccioli umani dovevano far proprie, ce n'era una che questo bimbetta non aveva ancor neppure cominciato a intravedere. I titanidi non l'acquisivano mai; loro, d'altro canto, non avevano bisogno d'esser portati in braccio a destra e a manca, e quindi in pratica la cosa non costituiva un problema. Valiha si girò, porgendo il piccolo a sua madre.

— Questo ha un'altra volta il pannolino zuppo.

Lui, Valiha. Ti prego. Lui ha un'altra volta il pannolino zuppo. — Robin prese il fagottino.

— Ti chiedo scusa. Il fatto è che il suo sesso sembra ancora così privo d'importanza.

Robin rise in tono amaro.

— Magari avessi ragione tu. E invece è praticamente l'unica cosa che conti per lui, in questo mondo pidocchioso.

Valiha non aveva voglia di affrontare l'argomento. Guardò avanti, e ripensò a Chris. Sarebbe stato bello rivederlo. Era passato quasi un miriariv, dall'ultima volta.

Serpentone (Trio Mixolidio Doppio Bemolle) Madrigale aveva incontrato Chris in diverse occasioni, nel corso dell'ultimo miriariv. In effetti passava gran parte del suo tempo insieme a Chris.

Egli si considerava straordinariamente fortunato. Sebbene Chris non avesse partecipato al trio che aveva generato Serpentone, gli aveva però fatto da padre nei suoi primi quattro anni di vita. Serpentone possedeva un padre titanide — antepadre e retropadre riuniti nel medesimo individuo — e due madri: Valiha, la sua retromadre, e un'antemadre ora morta. Ma nessuno dei suoi genitori aveva minimamente rappresentato per lui ciò che invece era stato Chris. Egli sapeva che il rapporto fra genitori e figli era diverso, per gli umani. E gli bastava guardare il gioioso idiota fra le braccia di Robin per comprendere il motivo di tale imprescindibile diversità. Ma benché la fanciullezza titanide durasse poco, purtuttavia era una condizione oggettivamente individuabile, e differiva in modo tangibile dalla maturità.

Man mano che i titanidi crescevano, tendevano a divenire seri… anzi, solenni, secondo Serpentone. Troppo solenni. Perdendo molta della loro propensione al gioco.

Ciò capitava anche agli umani, ma non in modo esagerato. Nessun padre titanide gli avrebbe insegnato a giocare a baseball.

Ai titanidi piaceva correre, ma a parte questo ignoravano qualunque genere di sport. Non era stato facile impiantare le federazioni sportive che Chris e Serpentone avevano organizzato per tutta una serie di giochi che andavano dal baseball e dal football (Chris l'aveva inizialmente chiamato polo, ma poi aveva eliminato le mazze, lasciando semplicemente che i ragazzi calciassero la palla) al tennis, all'hockey e al cricket, ma c'erano riusciti. Avevano scoperto che se un giovane titanide cresceva abituato agli sport di squadra, avrebbe continuato a giocar bene anche da adulto. Serpentone era il miglior lanciatore delle Folgori della Chiave di Mi, i campioni di cricket della Federazione di Iperione.

Serpentone aveva un mucchio di motivi per voler parlare a Chris. Uno di essi consisteva in una favolosa idea che gli era venuta di recente a proposito della Coppa del Mondo. Nonostante la guerra, l'ultimo Campionato Mondiale si era tenuto sulla Terra quattro anni prima. Onde evitar di offrire un unico allettante bersaglio, gli incontri erano stati sparpagliati un po' dappertutto intorno al globo. Ciò nonostante, tre partite avevano subito prematura conclusione allorché stadio, giocatori e spettatori erano rimasti inceneriti. La Coppa, alla fine, era stata rivendicata dalla Siberia Orientale.

Quest'anno, però, anno di Coppa del Mondo, sulla Terra non sarebbe proprio stato possibile disputare alcuna gara. Non era rimasto neanche un campo di gioco. Per indisponibilità della sede principale, la Coppa del Mondo si sarebbe tenuta su Gea. E Serpentone aveva intenzione di organizzarla.

Si emozionò talmente, a quel pensiero, che affrettò il passo, salvo rammentarsi subito dopo, per la centesima volta, di quella balorda che veniva in coda al gruppo. Rallentò, e volse il capo a guardarla arrancare faticosamente, mentre avrebbe potuto benissimo stargli in groppa.

Le aveva pur offerto di salire, no?

Serpentone sbuffò. Se i piedi le facevano male, doveva prendersela solo con se stessa.

Nova aveva altri problemi, a parte i piedi doloranti. Al pari di sua madre, non si era mai dimostrata un esplosivo a miccia lunga. E ormai era prontissima a deflagrare.

Appena un anno prima, il volto dell'esistenza e le tortuosità del mondo non avevano avuto segreti, per lei. La Congrega fluttuava in LaGrange Due, solida, incrollabile, reale. Poi il Consiglio aveva deliberato di partire. Troppe colonie O'Neil erano state distrutte. Nessuno poteva dire quale sarebbe stata la prossima mossa di quei pazzi furiosi che infestavano la Terra. Avevano quindi fatto i necessari preparativi, e i possenti motori erano stati avviati. Le streghe della Congrega intendevano dirigersi alla volta di Alpha Centauri.

All'inizio dell'anno, Robin era stata Madonna Nera. Adesso, Robin non era più nulla. Aveva a stento evitato la pena di morte. La maniera in cui se n'era andata non le concedeva possibilità di ritorno. E quella caduta repentina e irrimediabile aveva travolto anche sua figlia. Nova era un'apolide. La sua intera cultura navigava ormai, irraggiungibilmente perduta, verso remote stelle.

E poi, ovviamente, c'era lui.

Che razza di sistema per compendiare quel coso, pensava. Un essere talmente orribile da richiedere tutta una nuova serie di pronomi. Egli. Lui. Suo. Quei termini le ferivano l'udito al pari d'una risata volgare.

E poi, come se non bastasse, adesso c'era pure quel posto spaventoso.

Appena giunte, lei e Robin avevano dovuto lottare per sopravvivere. E avevano ammazzato quasi un centinaio di persone. L'enormità di quel massacro l'aveva sopraffatta. Fino a quel momento, non aveva mai ucciso nessuno. Sapeva come fare, ma si era accorta che la teoria e la pratica erano due cose totalmente differenti. Era stata male per giorni interi. Continuava a vedersi dinnanzi i mucchi di cadaveri sanguinolenti, con quei ragazzini come lupi in branco a strappare i vestiti di dosso ai corpi esanimi…

E poi, Robin si aspettava che Nova trattasse quei mostruosi animali come se fossero persone. Si aspettava che facesse amicizia con loro, la Grande Madre ce ne scampi.

E poi tutti quanti si aspettavano che lei desse confidenza a quell'abominevole Conal, quel contorto, puzzolente, peloso, rozzo, stupido ammasso di muscoli, che aveva perso l'occasione d'indovinarne una in vita sua quando non s'era fatto abortire al momento giusto. Senza contare che fra poco avrebbero persino incontrato un altro maschio. A quanto pare non ce n'erano stati abbastanza, a Bellinzona, visto che sua madre aveva pensato bene di farsi una scarpinata attraverso la giungla per andare a trovare questo qui.

Tutto, su Gea, era spaventoso. La temperatura era eccessiva. Le spremeva ogni giorno secchiate di sudore. Arrampicarsi decentemente era impossibile. Scopriva di essere sempre troppo leggera, e non faceva altro che incespicare mentre i riflessi acquisiti continuavano a tradirla.

Quella maledetta penombra che la seguiva ovunque.

Quell'aria che puzzava di marcio, di fumo, di cose selvatiche.

Era un posto troppo grande. La Congrega, messa sul bordo di Gea, gli avrebbe rotolato attorno come una biglia dentro una ruota d'autotreno.

E non cambiava mai. Nessuno chiudeva mai le finestre per fare notte, o le apriva per riavere una luce del giorno che fosse degna di questo nome. Qui dentro il tempo aveva un significato diverso. E a lei mancavano tanto quelle piccole mezzore deliziose, e l'avvicendarsi rassicurante dei giorni e delle settimane. Senza di loro, si sentiva profondamente a disagio.

Avrebbe voluto addormentarsi, e poi risvegliarsi per scoprire ch'era stato tutto un sogno. Sarebbe andata in Consiglio, e lei e Robin ne avrebbero riso insieme. Ti ricordi, madre, di quel posto dove capitasti quand'eri ragazza? Be', ho sognato che eravamo lì tutt'e due, e che tu avevi un figlio. Un bambino, ci crederesti?

Niente sogno. Niente risveglio.

Si mise a sedere in mezzo al viottolo. Il titanide giallo chiamato Serpentone, che era assolutamente identico a sua madre ma che loro pretendevano di farle credere fosse un maschio, si fermò e le disse qualcosa. Lei fece finta di nulla. Quello aspettò un momento, poi proseguì. A Nova andava benissimo così. Adesso vedeva dov'era la casalbero. Quando si fosse sentita pronta, sarebbe scesa giù anche lei. O forse sarebbe semplicemente rimasta lì seduta a morire.


L'ultimo membro del gruppo era anche il più contento della compagnia.

Nel corso della sua breve vita, per tre volte era andato vicino a morire, ma lui non lo sapeva. Il suo primo potenziale assassino era stata la sua stessa madre. Robin ci aveva riflettuto bene e a lungo, dopo aver visto che cosa il suo grembo sofferente aveva prodigiosamente scodellato in quell'inquieto mondo.

Più di recente, era stato quasi ucciso da un commerciante di bambini. Conservava, dell'episodio, un ricordo assai vago. Era finito tutto così in fretta. Rammentava però l'uomo che aveva chinato la fronte a sorridergli. Quell'uomo gli piaceva.

C'era un sacco di gente nuova. Anche questo gli piaceva. E gli andava altresì a genio il nuovo posto. Camminare qui era più facile. Non gli capitava così spesso di cadere. Un po' di quella gente nuova era molto grossa, e aveva un sacco di gambe. E portava pure indosso tanti colori entusiasmanti, così vividi e luminosi che lui rideva di gioia ogni volta che li vedeva. Aveva imparato una parola nuova: Ni-De.

Era un Ni-De giallochiaro che lo scarrozzava adesso. La cavalcata risultava di suo gusto. Due sole cose guastavano quell'altrimenti perfetto meriggio. Si sentiva il sederino bagnato, e incominciava a chiedersi quanto mancasse all'ora di pranzo.

Era proprio sul punto di affrontare tali argomenti, allorché il Ni-De lo porse alla mamma. La mamma lo depose sulla groppa del Ni-De, e lui stette a rimirare la lunga, vaporosa, rosea chioma ondeggiargli sopra mentre mamma gli cambiava il pannolino. Il Ni-De roteava la testa di qua e di là, cosa che a lui pareva molto divertente. E ora la mamma rideva! L'aveva fatto così di rado, ultimamente. Adam era al settimo cielo.

Robin si aprì la camicetta, lo tirò su, e lui trovò il capezzolo.

Il mondo, adesso, era davvero perfetto.


Il gruppo raggiunse l'estremità esterna del ponte sospeso e cominciò a traversarlo in fila indiana. Adam si era addormentato. Robin era pronta per il sonno. Nova sarebbe stata più che pronta, ma era rimasta molto indietro rispetto agli altri.

Sfilarono sotto un ingresso ad arco che portava dipinto il nome della casalbero di Chris: Tuxedo Junction. Robin si domandò cosa volesse dire.

Pandemonio era di nuovo in movimento.

Gea, attraversando la foresta dell'Iperione settentrionale, meditava su recenti avvenimenti. Non era contenta, e quando Gea era scontenta, quelli che le stavano accanto se ne accorgevano immancabilmente. Un elefante non riuscì a scansarsi in tempo. Senza neppure cambiare andatura, Gea gli sferrò un calcio. L'elefante volò in aria, atterrando smezzato cento metri più in là.

Gea stava scegliendo il programma per la prossima sosta. Dopo lungo elucubrare optò per I Sette Samurai di Kurosawa. Poi si ricordò di quegli altri due, che attendevano a Tuxedo Junction. Chris e Cirocco. Be', ma non c'era quel film del 1994 che aveva un nove, nel titolo?… Il suo archivista sarebbe riuscito senza dubbio a scovarlo.

Alla fine ci ripensò, e scoppiò a ridere di gusto. Il secondo spettacolo sarebbe stato l'8 di Fellini.

DUE

Chris fece abilmente scivolare le uova fritte dalla padella di rame in un piatto di terracotta. La padella aveva quasi un metro di diametro. Tutti i suoi attrezzi da cucina erano sovradimensionati. La maggior parte degli ospiti, lì, erano titanidi, e a loro piaceva mangiare tanto quanto cucinare.

Come cuoco Chris era piuttosto sul mediocre, ma sembrava che a Cirocco non importasse. Mentre lui sparecchiava il primo piatto e le imbandiva la seconda porzione di uova, gli rivolse con la forchetta un gesto di ringraziamento. Appollaiata su un imponente sgabello dinanzi allo svettante tavolo di cucina, coi piedi agganciati alle traverse, i gomiti ben divaricati e la testa bassa, sbafava a quattro palmenti. I capelli umidi se li era annodati dietro perché non le dessero fastidio.

Chris accostò un altro sgabello dalla parte opposta del tavolo e ci s'installò. Mentre Cirocco aggrediva il suo quattordicesimo uovo, egli incominciò a mangiare i due che aveva previsto per sé, osservando intanto la commensale che gli stava di fronte.

Era pallida. E magra. Le si contavano le costole. Le sue rotondità pettorali risultavano poco più che un ricordo.

— Com'è andato il viaggio? — le domandò.

Lei annuì, poi s'impadronì della sua tazza di caffè per mandar giù l'ultima infornata d'uova. Trattandosi di una tazza titanide. le ci vollero entrambe le mani.

— Tutto bene — rispose, e si nettò la bocca strusciandosela lungo il braccio. Subito assunse un'aria stupita, lanciò a Chris un'occhiata d'imbarazzo, e prese il tovagliolo. Prima se lo passò sul braccio, poi sulle labbra.

— Scusami — disse, con un risolino nervoso.

— Il tuo comportamento a tavola non mi riguarda — commentò Chris. — Questa è anche casa tua.

— Già, ma non è un buon motivo per grufolare come un maiale. Fatto sta che m'è parso così buono… Cibo vero, capisci.

Chris capiva perfettamente. Per un bel pezzo Cirocco s'era dovuta accontentare di masticare solamente erbe selvatiche. Ma l'aggettivo che lei aveva usato per definire il cibo lo fece sorridere. La "pancetta" era carne ottenuta da un sorrisone con geni di porco lasciatigli in eredità dai suoi antenati, in virtù di quello sconcertante sistema d'ibridazione geano che avrebbe mandato al manicomio Luther Burbank. Le "uova" provenivano da un arbusto comune in Dione. Se non fossero state colte, si sarebbero infine schiuse dando alla luce un rettile miriàpode, che a sua volta se ne sarebbe andato in giro a disseminare coi suoi escrementi i semi della pianta. Ma il frutto, di per sé, aveva un gusto che assomigliava molto a quello delle uova autentiche.

Il caffè, strano a dirsi, era vero caffè, un ibrido adattato alle precarie condizioni d'illuminazione imperanti su Gea. In seguito al crollo del commercio Terra-Gea, la coltivazione del caffè sugli altipiani era divenuta conveniente come quella della cocaina, tradizionale genere d'esportazione geano. E il mercato rigurgitava di coca, mentre il caffè risultava difficile da trovare.

— Kong è morto — annunciò Cirocco continuando a masticare.

— Davvero? Chi è stato?

— C'è bisogno di chiederlo?

Bastò a Chris una brevissima riflessione per giungere inevitabilmente all'unico possibile candidato.

— Perché non mi racconti cos'è successo?

— Vedi prima di schiaffare in padella un altro poco di quella pancetta, eh? — lo ricattò sogghignando. Con un sospiro, lui si alzò.

Mentre la pancetta incominciava a sfrigolare, gli raccontò quel che aveva visto in Febe. Intanto che parlava diede fondo alla seconda porzione. Si alzò a sciacquarsi il piatto, poi tornò accanto a Chris, e rimanendo in piedi tagliò delle fette gagliarde da una gigantesca pagnotta, quindi le dispose sopra un vassoio per metterle a tostare.

— Immagino che dovrà pur morire, no, quando gli faranno a pezzi il cervello? — Cirocco si accovacciò, infilando il vassoio nello scomparto inferiore della stufa, sotto il focolare, dove il calore radiante l'avrebbe riscaldato lentamente.

— Penso di sì. — Chris fece una smorfia.

Cirocco si rialzò e si sciolse i capelli, scrollando la testa per dispiegarli e ravviandoseli con le dita. Chris seguì l'operazione, notando che adesso quella chioma era quasi completamente bianca. Le scendeva giù fin oltre i fianchi. Chissà, si domandò, se li avrebbe mai più tagliati, quei capelli. Prima dell'operazione al cervello, da cui eran già trascorsi cinque anni, raramente se li era fatti arrivare sotto le spalle. Poi la sua testa aveva dovuto essere rasata, e da allora lei sembrava avere sviluppato un vera predilezione per i capelli lunghi.

— Qualcos'altro che dovrei sapere? — le chiese.

— Ho riparlato con Gaby.

Chris non replicò subito, continuando semplicemente a rigirare le fette di pancetta. Cirocco si diede a rovistare dentro un armadietto.

— Che ti ha detto?

Cirocco scovò una striglia titanide e incominciò a pettinarcisi i capelli. Per un po' non disse nulla, poi sospirò.

— L'ho vista due volte. Una volta più o meno tre ettoriv prima di andare alla montagna di Kong. E un'altra volta in Teti, poco dopo. La prima volta mi ha detto che Robin stava tornando su Gea. Il motivo non me l'ha spiegato. Solo che Robin aveva portato i suoi figli con sé.

Chris non fece commenti. Qualche tempo prima non se ne sarebbe certo rimasto zitto, ma da allora aveva incominciato a nutrire alcune perplessità. Sulla definizione di "razionale", per esempio, e riguardo al significato del termine "magia", e circa la linea di demarcazione fra la vita e la morte. Si era sempre considerato un positivista, lui. Un uomo civile. Uno che non credeva alla stregoneria. Sebbene fosse vissuto vent'anni in un posto dove c'era un "Dio" col quale aveva parlato, e benché avesse amato un "Demone" che una volta era stata una "Maga", egli non attribuiva a nessuno di questi termini il valore scaturente dal loro significato letterale. Gea era una divinità mediocre. Cirocco era una persona eccezionale, ma non deteneva poteri magici, né in bene né in male.

Di fronte alle cose di cui era stato testimone, o delle quali aveva sentito parlare, perché mai avrebbe dovuto preoccuparsi per una banale resurrezione?

Però quella vicenda, in effetti, gli aveva già dato un sacco di grattacapi. Gaby era spirata fra le sue braccia. Non avrebbe mai dimenticato le sue orribili ustioni. La prima volta che Cirocco gli aveva detto di aver visto Gaby, lui era andato su tutte le furie. Poi si era calmato e l'aveva trattata con gentilezza, temendo che la sua vecchia amica stesse diventando senile. Troppo facile, però, attribuire tutto agli offuscamenti della senescenza. Anche se la razionalità faceva cilecca, il pragmatismo continuava a essere affidabile, e Chris si considerava un pragmatico. Se funziona, esiste. E le conversazioni di Cirocco con Gaby avevano sempre funzionato molto bene nel predire il futuro.

— Quando arriverà? — le chiese.

— Qui su Gea? È già arrivata. Anzi, ormai dovrebbe anch'essere vicina a Junction.

— Sta venendo qui?

— Ce le sta portando Conal. Con loro ci saranno anche alcuni titanidi. Di che ti preoccupi? Non ce li vuoi?

— Non è mica per questo! Sarà bellissimo rivederla. Chi avrebbe mai potuto sperare in un suo ritorno? — Diede un'occhiata in giro per la cucina. — Solo che mi chiedevo se sono abbastanza attrezzato per ricevere tutti questi ospiti… Forse sarebbe meglio se facessi un salto a procurarmi…

Cirocco rise, circondandolo con le sue braccia. Egli chinò lo sguardo a fissarla in viso, riconoscendovi quell'inconfondibile scintilla di ribalderia.

— Oh, Chris, adesso non metterti a far la parte della brava massaia! — lo punzecchiò, baciandolo. — I titanidi se la cavano meglio di te, e poi loro ci si divertono sul serio…

— D'accordo. Allora che si fa? — L'abbracciò, fece scivolare le sue mani lungo la schiena di lei giù giù fino alle natiche, e la sollevò senza sforzo.

— Innanzitutto togliamo la pancetta e il pane dalla stufa prima che si brucino. Ho deciso che non sono poi così affamata come credevo.

— No?

— Be', non in quel senso lì. Sai, ho corso a perdifiato per tutta 'sta ruota fetente senza nulla da guardare a parte i Fabbri Ferrai. — Insinuò una mano fra i loro corpi, obiettivo il basso ventre di lui, e lì giunta, strinse. — Tutt'a un tratto, strano a dirsi, la tua brutta faccia tosta mi sembra persino attraente.

— Quello lì non è mica la mia faccia tosta, vecchia strega.

— Staremo a vedere — disse, e strinse ancora.


Al compimento del tredicesimo decennio di vita, la noia rappresentava uno dei più gravi timori di Cirocco. Le erano state risparmiate le devastazioni della vecchiaia, l'ottundersi dei sensi e l'offuscarsi delle facoltà mentali. Ci si poteva tuttavia aspettare che un giorno o l'altro il fatto di coricarsi con un amante e di celebrare con lui gli antichissimi rituali del coito le sarebbe venuto a noia. Quel giorno Cirocco sarebbe stata pronta a morire.

Ma, finora, tutto bene.

Se ne stavano insieme in mansarda, una specie di attico che sorgeva sull'edificio principale di Tuxedo Junction. Su ciascuna delle sei pareti si aprivano finestre. Una scala a pioli scendeva al terzo piano, mentre un'altra si arrampicava alla torre campanaria ospitante il carillon di Chris. Lungo una delle pareti, attraverso fori praticati nel pavimento e nel soffitto, sfilavano due dozzine di funi.

Yuhuuu! - gridò Cirocco allungando un braccio verso le corde. Ne scelse una e le diede uno strattone. Sopra di loro, la più grande fra le squille di ottone rispose con uno scampanìo gioioso.

— Bello, eh? — disse Chris abbandonandosi su di lei.

— Tre volte bello — replicò Cirocco, e trasse dalla campana altri due squilli. Poi si avviluppò braccia e gambe attorno a Chris, stringendolo più forte che poté.

Vivere su Gea presentava aspetti positivi e aspetti negativi. Ad alcune cose, come l'immutabilità della luce ambientale, Cirocco non prestava quasi più attenzione. L'avvicendarsi del giorno e della notte era ormai solo un vago ricordo. Uno dei lati positivi cui lei di solito non faceva caso, era la bassa gravità. E l'amplesso restava l'unica occasione nel corso della quale tornava ad accorgersene. Neppure un uomo grande e grosso come Chris pesava poi tanto, in quelle circostanze. Lungi dal divenire un fardello soffocante, il suo corpo rimaneva in ogni istante una calda e confortante presenza. Potevano rimanersene a giacere così per ore intere, se lo desideravano, lui completamente rilassato, e lei senza correre il rischio di farsi spremere come un pomodoro. A Cirocco piaceva molto. Quando un uomo era dentro di lei, detestava essere costretta a distaccarsene.

Sollevandosi leggermente, Chris stette lì a guardarla. Luccicava di sudore, e anche questo le piaceva molto.

— Non ha detto nulla del… — Chris non sapeva come concludere la frase, ma la cosa non aveva importanza. Cirocco aveva capito lo stesso.

— Nulla. Nemmeno una parola. Ma io so che accadrà, e presto.

— Come fai a saperlo?

Lei si strinse nelle spalle. — Non lo so. Chiamala intuizione di una sessantenne…

— È passato un bel pezzo da quand'eri una sessantenne.

— Come sarebbe a dire? Ci sono arrivata già due volte, tutto qui. Sono una sessantenne doppia, più dieci.

— Sì, e credo proprio che ciò ti renda il doppio desiderabile di qualunque altra, più dieci.

— Ora sì che dici bene. Anzi…

L'udirono contemporaneamente. Non lontano, voci titanidi s'innalzavano in un canto. Chris la baciò, alzatosi andò alla finestra, guardò giù in direzione del ponte. Cirocco si girò su un fianco, indugiando a rimirarlo. Era assai soddisfatta di ciò che le mostravano i suoi occhi, ma si chiedeva cosa ne avrebbe pensato Robin.

Dalla vita in giù, Chris risultava l'umano più peloso che lei avesse mai veduto. Pareva quasi che indossasse pantaloni di pelle d'orso. Era un pelo color castano, come i suoi capelli, e in nessun punto scendeva sotto i venticinque centimetri di lunghezza. Era morbido e sottile, senza dubbio la più bella pelliccia in cui fosse possibile avvolgere le proprie gambe.

Chris stava mutandosi in un titanide. La trasformazione durava ormai da cinque miriariv. Sul torace e sulle braccia non presentava ombra di peli. La barba aveva smesso di crescergli da un bel pezzo, e adesso il suo mento era liscio come quello di un ragazzo. In condizioni di luce favorevoli, il suo viso poteva passare per quello di un dodicenne. C'erano pure altre cose, qua e là, che avrebbero senza dubbio lasciato Robin sbigottita… come la coda, per esempio. La parte carnosa della novella appendice misurava solo una quindicina di centimetri, ma Robin era in grado di contraria e farne sventolare il crine fluente come un vivace cavallino. Egli andava assolutamente orgoglioso della sua coda, e non ne dominava le reazioni più di quanto avrebbe potuto fare un cane. Mentre lui osservava il gruppo attraversare il ponte, quella gli scodinzolava avanti e indietro tutta eccitata. Sorridendo, Chris si volse a Cirocco.

— Sono loro — annunciò, e le lunghe orecchie gli si rizzarono impettite svettando oltre la sommità del capo. La mente di Cirocco volò indietro di centoventicinque anni, riportandola a un film già vecchio a quei tempi: un cartone animato con dei ragazzi che si trasformavano in asinelli, e un bambino di legno, e sua madre che gli tendeva la mano nel buio… ma non riuscì a ricordarne il titolo.

— Gli vado incontro — disse Chris avviandosi giù per la scala. Indugiò. — Tu non vieni?

— Fra un minuto. — Lo guardò andar via, poi si mise a sedere sull'enorme sacco imbottito di paglia che avevano usato come letto. Si scansò dal viso la folta massa di capelli bianchi, si stiracchiò, e guardò dalla finestra opposta a quella che aveva usato Chris.

Là fuori c'era Gaby. Seduta sul ramo di un albero all'altezza della torre campanaria, distante non più di quindici metri.

— È stato bello? — chiese Gaby.

— Sì. — Pur rendendosi conto che Gaby poteva esser lì da chissà quanto, Cirocco non provò imbarazzo né risentimento.

— Devi stargli molto dietro, a Chris. È in grave pericolo.

— Che posso fare?

— Ci sono risposte che non conosco. — Un'ombra di tristezza scese a oscurarle il volto, ma fece presto a liberarsene. — Due cose — disse. — Primo, egli è padre di entrambi. Potrebbe anche saperlo, perché Robin ne è già abbastanza certa.

— Chris?

— Sì. Te ne accorgerai. Con Nova, per lo meno. Ma anche col ragazzo.

— Il ragazzo? Che ragazzo?

— Secondo — continuò Gaby. Sogghignò. — Non strozzare la ragazza. Ti farà diventar matta, ma cerca di sopportarla. Ne vale la pena.

— Gaby, io… — Poi Cirocco restò senza fiato, mentre Gaby si ribaltava giù dal ramo tuffandosi verso il laghetto sottostante. Ne colse un'ultima fugace visione, braccia protese verso il basso, punte dei piedi dritte a piombo dietro di sé, poi l'apparizione fu inghiottita dal fogliame.

Rimase tanto, ad ascoltare, ma non udì il tonfo del corpo in acqua.

TRE

I titanidi prepararono un banchetto. Giudicando dall'allegria dei loro canti, Robin li dedusse inconsapevoli delle umane tensioni che si agitavano tutt'attorno. Ma sbagliava. Ciò che stava accadendo, i titanidi lo sapevano anche meglio di lei, però si rendevano conto di non poterci fare un bel nulla. Adottavano quindi un sistema che aveva funzionato abbastanza bene per quasi un secolo. Lasciavano che gli umani si facessero i fatti loro.

Robin aveva dimenticato quanto potesse essere delizioso il cibo titanide. Poco dopo il ritorno alla Congrega, appena prima della nascita di Nova, era aumentata di venti chili oltre il suo peso forma. Una dieta feroce aveva eliminato il sovrappiù, scongiurandone il ritorno per dodici anni.

Poi, a un certo punto, aveva perso interesse nel cibo. Per cinque anni non aveva avuto problemi a conservarsi magra. Anzi, durante quel periodo aveva addirittura dovuto costringersi a mangiare. Nulla le sembrava buono. Ma ora, aggredendo i piatti stracolmi che le offrivano i titanidi, si domandava se fra un po' non avrebbe dovuto ricominciare a riguardarsi.

Gravava, sui commensali, una strana atmosfera permeata di tristezza e precarietà. Chris, Cirocco e Conal sorridevano molto ma parlavano poco. Nova, ovviamente, s'era andata a rintanare col suo piatto nell'angolo più appartato della sala. Mangiava con fare circospetto, come un animale selvatico, e non spiccicava gli occhi di dosso a Cirocco.

— Nova — la chiamò Robin — vieni a sederti a tavola con noi.

— Preferisco rimanere qui, Madre.

— Nova.

Con fiero cipiglio, e strascicando i piedi, la ragazza si decise ad accostarsi. Robin aveva la sensazione che sua figlia non avrebbe continuato a chinare il capo ancora per molto, pur se la virtù dell'obbedienza era solida, nelle giovani della Congrega, ambiente in cui la famiglia differiva notevolmente dal tradizionale modello umano. Nova doveva a Robin assoluta acquiescenza sino al compimento del ventesimo anno, e un atteggiamento di grande rispetto anche dopo quella data. Ma ormai era diciottenne. Ancora un anno, due anni… limiti di tempo che avevano poco senso, su Gea.

Lievi sintomi positivi venivano comunque ad alleviare le sue inquietudini. Sin dall'arrivo a Tuxedo Junction non c'erano ancora stati litigi, fra loro due, e Robin ne traeva grande consolazione. Quegli alterchi le straziavano il cuore. Quando ci si azzuffa, è molto importante essere sicuri di avere ragione, e ormai a Robin non capitava quasi più di scoprire in sé tale certezza.

In effetti, da quando si trovavano in quel luogo, Nova s'era lasciata sfuggire sì e no una dozzina di parole. Si limitava a sedere in silenzio, fissandosi le mani o gettando lunghe occhiate a Cirocco. Robin seguì lo sguardo rivolto da sua figlia alla Maga… anzi, sì corresse, al Capitano… che stava cantando a Serpentone chissà quali incomprensibili frasi in lingua titanide, poi tornò a osservare Nova.

Grande Madre, abbi pietà di noi.

— Hai mangiato a sufficienza, Robin?

Colta alla sprovvista, le occorse qualche istante per riaversi dalla sorpresa. Poi cercò di sorridere a Cirocco. Immerse un cucchiaio nella ciotola di cibo che i titanidi avevano preparato appositamente per il bambino, e lo insinuò nella boccuccia di Adam.

— Io? Sì sì, ho finito e sto proprio bene, però a lui gli ci vuole un po' di più.

— Potrei parlarti? In privato?

Non c'era nulla che Robin desiderasse maggiormente, ma d'un tratto si sentì spaventata. Ripulì la bocca di Adam da qualche debordante brìccica di pappa e fece un gesto vago.

— Certamente, appena…

Ma Cirocco aveva già fatto il giro della tavola e preso in braccio il bambino. Lo porse a Chris, che ne parve compiaciuto.

— Andiamo. Lui con Chris è in buone mani, vero, vecchio mio?

— Senza dubbio, Capitano.

Cirocco afferrò Robin per il gomito, spingendola gentilmente ma con fermezza. La piccola strega si arrese. Seguì Cirocco attraverso la cucina, poi fuori, lungo un ramo orizzontale, per uno dei sentieri provvisti di parapetti, e quindi in leggera salita fino a un edificio isolato, seminascosto nell'intrico verde. Era di legno, a forma pentagonale. Il vano dell'uscio si apriva così basso che per entrare Cirocco dovette chinarsi. A Robin invece, nel varcare la soglia, avanzarono sopra il capo almeno due o tre centimetri.

— Che posto bizzarro…

— Anche Chris è un tipo molto originale. — Cirocco accese una lampada a olio e la pose sul tavolo nel centro della stanza.

— Raccontami di lui. Valiha me l'aveva detto che era cambiato, però non avrei mai… — La voce le venne meno. Aveva finalmente dato un'occhiata all'interno del padiglione.

Tutte le pareti erano di rame. Sbalzate a martello sulle superfici metalliche risaltavano numerosissime figure, alcune delle quali piuttosto familiari a Robin, altre interamente estranee, mentre una parte di esse pareva farle riaffiorare alla memoria cose ch'erano rimaste per lungo tempo sepolte nei recessi della sua mente.

— Cos'è, questo? — sussurrò.

Cirocco accennò alla più grande delle raffigurazioni. Robin si avvicinò e riconobbe l'immagine stilizzata di una donna, goffa e approssimativa come un geroglifico. Era nuda, incinta, e aveva tre occhi. Un serpente le si avviluppava attorno da una caviglia alla spalla opposta, ove rizzava la testa a guardarla dritta in volto. La donna ricambiava imperturbabile lo sguardo del serpente.

— Quella… dovrei essere io? — La mano le corse involontariamente a sfiorare la fronte, sulla quale portava tatuato il suo terzo Occhio. Se l'era guadagnato più di vent'anni prima, e senza di esso non avrebbe mai potuto far ritorno su Gea.

Robin portava addosso anche il tatuaggio di un serpente che partendo da una gamba le si attorceva al corpo sino a giungerle sul petto.

— Cos'è, questo? — ripeté.

Nella stanza c'erano due sedie di legno a schienale diritto. Cirocco ne trasse una verso il centro del locale e vi sedette.

— Forse sarebbe meglio che tu lo chiedessi a Chris. Secondo me dovrebb'essere una specie di… monumento commemorativo. Lui ti voleva bene. Era convinto che non ti avrebbe rivisto mai più. Non potendo fare altro, ha creato quest'opera.

— Ma' è… è straordinaria!

— Come ti ho già detto, anche Chris è una persona eccezionale.

— Che gli sta succedendo?

— Fisicamente, vuoi dire? Sta ottenendo ciò che Gea gli promise tanti anni fa.

— È una cosa ripugnante.

Cirocco rise. Robin arrossì, poi comprese che Cirocco non stava ridendo di lei, ma a causa di qualche suo pensiero privato.

— No, non è affatto una cosa ripugnante — replicò. — È solo sorprendente. Tu te la sei trovata davanti d'un tratto e tutta insieme. Io l'ho veduta verificarsi giorno per giorno, e ai miei occhi appare del tutto naturale, e giusta. E quanto alla sorpresa… be', ti dirò che tu l'hai sconvolto più di quanto lui non abbia sconvolto te.

Robin non fu capace di reggere quello sguardo, e chinò la testa. Sapeva bene qual era il suo aspetto attuale.

— Si chiama età — disse in tono amaro. La cosa peggiore era che lei pareva molto più anziana di Cirocco.

— No. Sei invecchiata, certo, ma non è questa la cosa sconvolgente. A modo tuo, sei cambiata altrettanto radicalmente di Chris. Qualche terribile paura s'è incisa a fuoco sulla tua anima.

— Non sono d'accordo. Fallimento e disonore, sì, ma non paura.

— Paura — proseguì Cirocco inesorabile. — La Grande Madre ti ha abbandonato. Il centro della tua esistenza è svanito. Non ardi più, vacilli, i tuoi piedi sono incapaci di trovare appoggio sul grembo della terra. Non hai luogo ove posarti, non hai più Ombelico.

— Chi ti ha detto queste cose? — urlò Robin.

— So quello che vedo.

— Sì, ma le parole, le… le parole segrete… — Alcune di esse appartenevano ai riti della Congrega, a cerimonie ed esorcismi che Robin era certa di non aver mai neppure menzionato alla Maga. Altre nascevano dagli angoli più tenebrosi della sua stessa coscienza.

— Ho avuto qualche suggerimento. E adesso, voglio conoscere il motivo della tua presenza qui. Perché sei tornata? Cosa speri di ottenere?

Robin si asciugò le lacrime e avvicinò l'altra sedia a Cirocco. Si mise a sedere, e finalmente fu di nuovo capace di guardare in faccia l'interlocutrice.

Poi narrò la sua storia.


Non diversamente da tanti altri, Robin era venuta su Gea in cerca di una cura al suo male.

Gea era una divinità che non regalava mai nulla. A Robin aveva detto che avrebbe dovuto provare il proprio valore e compiere qualcosa di eroico, prima di poter sperare in una guarigione. Inizialmente Robin non era stata affatto disposta ad accettare la sfida. Non portava una malattia con la quale fosse impossibile convivere, e sino a quel momento l'aveva affrontata con estrema determinazione. Una volta, allorché la mano aveva preso a tremarle manifestando i sintomi iniziali dell'attacco epilettico, non aveva esitato ad amputarsi il mignolo.

Tuttavia, in seguito all'opera di persuasione compiuta su di lei da Gaby Plauget, Robin aveva finito per partecipare a un viaggio lungo il perimetro interno della ruota, accompagnata da Gaby, Cirocco, i titanidi Salterio, Oboe, Cornamusa e Valiha, e Chris Major, anche lui impegnato a guadagnarsi una cura.

Gaby e Cirocco, a parte il far da guide ai due pellegrini, perseguivano un scopo recondito: trovare almeno un alleato fra gli undici cervelli regionali di Gea. Gaby s'era impegnata nella ricerca con decisione assai maggiore rispetto a Cirocco; la Maga, infatti, alcolizzata all'ultimo stadio, aveva dovuto letteralmente essere trascinata in quell'impresa. Alcuni cervelli regionali erano fedeli a Gea. Altri la osteggiavano. Tali schieramenti risalivano al tempo della ribellione di Oceano, avvenuta quando gli umani vivevano ancora nelle caverne.

L'intento di Gaby consisteva nientemeno che nel rovesciamento e nella sostituzione della stessa Gea. Lei era quindi partita per arruolare un nuovo Dio. Quella missione le era costata la vita, senza contare altre gravi conseguenze. A Cirocco era costata la sua condizione di Maga. Rimaneva da vedere se fosse costata ai titanidi la loro sopravvivenza come razza.

I soli che pareva avessero tratto beneficio da quell'impresa malriuscita erano Robin, Chris e i Fabbri Ferrai. Robin e Chris erano guariti. Ai Fabbri Ferrai, per ignoti motivi, era stato concesso di espandersi oltre i confini della loro minuscola isola situata al centro del Mare di Febe, al punto che adesso contendevano ai titanidi il dominio della grande ruota.

Conclusa l'avventura, Robin aveva fatto ritorno a casa, con l'intenzione di soggiornarvi felicemente per il resto dei suoi giorni.

— Per un poco fu magnifico — disse, sorridendo al ricordo. — Chris aveva ragione. C'era davvero un sacco di labra nel farsi ricrescere un dito. Te lo raccomando come sistema per lasciare a bocca aperta gli amici.

Robin sapeva che Gaby e Cirocco avevano liquidato il labra come versione femminile del maschilismo. Sbagliando, certo, ma non era questo l'importante. La circostanza che fosse stata Gea a rigenerare il mignolo amputato di Robin aveva continuato ad angustiarla, finendo per togliere soddisfazione a lei e valore al suo trionfo.

Era una qualità senza senso proprio come il terzo Occhio, cui si attribuiva il potere di conferire infallibilità. All'atto pratico, le detentrici dell'Occhio risultavano persone arroganti ma sostanzialmente innocue, bacchettone e pedanti al pari di chiunque si dichiari portatore di verità assolute.

— Quando lasciai la Congrega ero già un personaggio quasi mitico — proseguì Robin. — Ma al mio ritorno… non saprei con quale termine definire la mia nuova posizione. La Congrega non aveva mai conosciuto un individuo come me.

— Un superdivo — suggerì Cirocco.

— Che vuol dire?

— È una parola arcaica. Usata per definire qualcuno la cui reputazione oltrepassa ogni ragionevole limite. E che, dopo un poco, incomincia a credere lui stesso a tale reputazione.

Robin meditò il concetto.

— Sì, più o meno una cosa del genere. La rapidità della mia ascesa dipendeva solo da una scelta personale. Avrei potuto procedere ancora più in fretta… ma non ero sicura che fosse la cosa giusta da fare.

— Sentivi una voce — intervenne Cirocco.

— Sì. Era la mia voce. Credo che se avessi voluto sarei riuscita addirittura a farmi proclamare Grande Madre. Ma sapevo di non avere le qualità necessarie. Anzi, mi rendevo perfettamente conto di essere una persona piuttosto mediocre.

— Non essere troppo severa con te stessa. A quello che ricordo, eri una tipa maledettamente in gamba.

— Certo, maledettamente veloce, maledettamente forte, maledettamente aggressiva, una vera bestiaccia intrattabile. Ma nell'unico posto che contava per me, qui dentro — e così dicendo si batté una mano sul petto, — io lo sapevo che cos'ero. Decisi di abbandonare la vita pubblica. Esistono dei luoghi, nella Congrega, dov'è possibile ritirarsi nel silenzio e nella solitudine… un po' come le suore. Non è questo che fanno le suore?

— Così ho sentito dire.

— Un anno l'avrei trascorso in meditazione. Poi avrei messo al mondo una figlia e mi sarei dedicata ad allevarla. Ma non feci in tempo a seguire il mio programma. Quasi subito mi accorsi di essere incinta.

Rimase un attimo in silenzio, perduta dietro il ricordo, mordendosi il labbro inferiore. Infine tornò a rivolgersi a Cirocco.

— E questo, vedi, accadde un anno… anzi, più di un anno dopo il mio ritorno da Gea. Sulla Terra nessuno ci avrebbe fatto caso. Ma nella Congrega, dato il procedimento d'inseminazione artificiale che…

— Sì, mi ricordo, capisco a cosa fai riferimento.

— Già, e si dà il caso che le addette ai centri natali sappiano perfettamente chi si è rivolto a loro per il trattamento. Di conseguenza, quando incominciai a mostrare i segni della gravidanza… — Sospirò, scosse la testa. — La cosa peggiore è che, se fosse capitato a qualcun'altra, quella avrebbe corso il rischio d'essere mandata al rogo. Saranno almeno una cinquantina d'anni che nella Congrega nessuna subisce la pena del fuoco per delitto di cristianesimo. Nel mio caso specifico, parevano presentarsi due possibilità. O avevo avuto un rapporto carnale con un demone cristiano, oppure… oppure si era in presenza del Gynorum Sanctum, l'unione di una donna mortale con la Santa Madre, perfetta e innocente.

Cirocco l'osservò con grande attenzione, mentre Robin chinava la testa a nascondere il volto fra le mani.

— E quelle l'han bevuta sul serio? — domandò.

— Oh. diciamo sì e no. Nella Congrega c'è una fazione conservatrice che prende la dottrina tradizionale assolutamente alla lettera. A ogni modo, il mio destino era segnato. E poi io stessa contribuii ad accreditare la tesi mistica. Per qualche tempo credo d'essere stata convinta davvero che la Grande Madre mi avesse visitato. Ma ogni volta che guardavo Nova in viso, qualcosa mi diceva che doveva essersi trattato di qualcun altro…

Stancamente, Cirocco scosse la testa. Quanti problemi avrebbero potuto essere evitati, se lei non fosse stata così occupata mentre Robin si preparava alla partenza…

Lascia perdere, si disse. Per un poco avesti da fare, d'accordo, ma poi te ne rimanesti semplicemente ubriaca per quasi un chiloriv.

— Sospettasti mai la vera origine della bambina?

— Per diverso tempo, no. Come ti ho detto, era molto più facile prendere le cose come venivano. Finché a un certo punto non decisi di affrontare il problema razionalmente.

— Avrei dovuto metterti in guardia contro la possibilità che Gea ti giocasse qualche scherzetto di addio. La prima volta che mettemmo piede qui, fece la stessa cosa a me, Gaby e Agosto. Ci ritrovammo tutt'e tre incinte, e dovemmo abortire. — Poi, dopo qualche istante di silenzio, fissando Robin negli occhi, proseguì: — E non hai… non hai mai pensato a chi potrebb'essere il padre?

Robin scoppiò a ridere.

— Valle a dare un'occhiata. Non è evidente?

— Nova ha la tua bocca.

— Sicuro. E gli occhi di Chris.


Chris stava cercando un proiettore nel seminterrato.

Dal punto di vista semantico è forse erroneo parlare di seminterrato in relazione a una casalbero, struttura nella quale tutti i livelli giacciono al di sopra del suolo, ma Chris aveva risolto la contraddizione. Incassata nel pavimento dell'edificio principale, c'era una botola che dava accesso a una cavità praticata nel tronco del grande albero. Tale vano costituiva l'estrema destinazione di tutti quegli oggetti per i quali Chris non era mai riuscito a trovare un impiego. E ce n'era davvero un mucchio.

Fermo a metà scala, con una lampada protesa a rischiarare l'ambiente mentre Chris scaraventava oggetti da un mucchio all'altro, Conal guatava quella congerie con aria sgomenta.

— Oltre a essere un architetto forsennato — osservò — ti sei pure beccato una brutta forma di cianfrusaglite acuta.

— Credo che sia un caso disperato — convenne Chris. — Comunque, si potrebbe dire la stessa cosa dello Smithsonian.

— E che sarebbe?

— Be', se proprio vuoi saperlo, attualmente non è più nulla. Incenerito ormai da un sacco d'anni. A suo tempo era un museo. E su Gea non ce n'è mica, di musei.

Si raddrizzò, ripulendosi dal viso un impasto di polvere e sudore. — È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo.

— I titanidi ce l'hanno, un museo.

— Hai ragione. Ma la cosa più antica che c'è dentro non è molto più vecchia di Cirocco. I titanidi esistono da poco tempo. E poi non abbiamo nessun museo umano, su Gea. Ammesso che sulla Terra ne sia avanzato qualcuno, non durerà ancora per molto. E allora perché non ricominciare quassù?

Conal gettò un'altra occhiata dubbiosa agli ammassi di ciarpame.

— Di' la verità, Chris. Il fatto è che non sei capace di buttare via nulla.

— Ebbene sì, lo confesso. — Infilò il braccio quant'era lungo dentro una catasta di paccottiglie e ne ripescò un venerando Kodak Brownie. — Però non si sa mai quando una cosa ti potrà servire.

— Già, ma dove te la procuri tutta questa roba?

Chris spinse Conal su per la scala, lo seguì nella stanza di sopra e si richiuse dietro la botola. Poi precedette Conal per un labirinto di stanze e passaggi, sinché non giunsero nella zona che Chris aveva attrezzato a laboratorio. Comprendeva un cospicuo numero di locali, in cui Chris era in grado di effettuare lavorazioni di ogni tipo, da soffiare il vetro a riparare computer.

Appoggiò il proiettore su un banco da lavoro e incominciò a smontarlo.

— Mi limito a raccogliere la roba qua e là — rispose finalmente a Conal. — O per lo meno all'inizio è andata così. Attualmente, tutti i titanidi che passano di qui mi portano qualcosa in regalo. Sono dei trafficanti nati. Impossibile prevedere quello che troveranno. Ormai dalla Terra non arriva più molto materiale, quassù, ma ai vecchi tempi poteva capitare praticamente di tutto. I coloni si portavano dietro gran parte dei loro averi. Poi è scoppiata la guerra.

Tolse la fiancata dell'apparecchio e sbirciò dentro, soffiando via matasse di polvere. Infilò un dito in mezzo ai meccanismi, fece girare un ingranaggio. Estrasse dal proiettore un bulbo di vetro oblungo, e con un buffetto lo mandò a rotolare verso Conal, che lo bloccò. — Provala un po', ti dispiace? Dubito che sia ancora buona. Vedrai che mi toccherà prepararne una nuova.

Conal si diresse al banco di alimentazione. Innestò la lampada su un supporto, prese due cavetti isolati coi terminali scoperti, ne appoggiò uno all'involucro di ottone e l'altro alla smussata estremità metallica. Poi fece scattare un interruttore. Il filamento divenne incandescente, emanando una luce vivissima.

Chris si avvicinò col proiettore e lo sistemò accanto alla lampada.

— Dunque funziona, eh? Così rispanniamo un po' di tempo. — Prese la piccola ampolla di vetro e la riavvitò al suo posto, poi collegò fra loro diversi dispositivi che stavano sul banco, e infine poggiò due conduttori sui contatti esterni del motore. Quello ronzò, e si sentì un debole odore di ozono, ma null'altro accadde. Borbottando, Chris provò a riconfigurare il gruppo di alimentazione. Ancora niente. Alzò la testa, e vide Cirocco e Robin fare il loro ingresso nella stanza. Un poco distanziata, ciondolando di malavoglia, veniva Nova.

— Cirocco — disse Chris — bisogna che vada a scovare un altro motore per quest'aggeggio e che trovi il modo di collegarlo al meccanismo di trascinamento della pellicola, a meno che… — Accennò a lei, e poi al proiettore. — Pensi di farcela ad aggiustarlo?

Cirocco gli rivolse uno sguardo strano, poi fece spallucce e si accostò al banco da lavoro. Scrutò il proiettore, impose le mani su di esso, e aggrottò le sopracciglia. Si udì un crepitìo di scintille; Robin boccheggiò, ma Cirocco si limitò ad ammiccare. Qualcosa sferragliò brevemente, poi tacque. Cirocco si chinò ancor più accosto, incurante degli azzurrognoli archi elettrici che le scoccavano fra le dita aperte a ventaglio. Per un attimo Conal percepì un'indefinita evanescenza guizzare a offuscarle lo sguardo, poi lei si raddrizzò, e si cacciò in bocca la punta del pollice.

— M'ha bruciato, 'sto bastardo — brontolò succhiandosi il dito.

Chris sollevò un sopracciglio, quindi premette il pulsante di accensione del proiettore. L'apparecchio s'avviò incespicando, dopo di che prese a funzionare liscio e regolare come un aggeggio così vecchio non s'era mai sognato.

Nessuno fiatò. Conal andò a prendere le sedie, mentre Chris provvedeva a caricare nel proiettore la pellicola portata da Cirocco. Mancava la bobina ricevitrice, ma Chris pensò che non avesse importanza, essendo assai poco probabile che a qualcuno venisse voglia di riassistere allo spettacolo.

Cirocco e Robin fissarono un lenzuolo alla parete di fondo.

— I titanidi non li invitiamo? — chiese Robin.

— Vedere i film li scombussola — rispose Cirocco.

— Non conosciamo il motivo preciso — aggiunse Chris, rispondendo alla domanda che indugiava negli occhi di Robin. — Pare che il loro cervello non sia attrezzato per quel genere di visione. Gli fa venir la nausea, come se avessero il mal di mare.

Accese il proiettore.

Dopo qualche istante si udirono conati di vomito provenire dall'ingresso. Volgendosi, Conal vide Nova uscire dalla stanza per sottrarsi alle immagini che riempivano lo schermo. Pensò per un attimo di andare ad aiutarla, ma capì immediatamente che si trattava di un'idea assurda. Tornò a guardare il film.

Con un morso, Gea decapitò un secondo uomo. Questo portava una tunica arancione. Il primo, invece, aveva indossato il tradizionale abito nero e collare bianco da prete.

Gea si stava riscaldando in preparazione all'incontro con Kong. In alcune scene s'intravedeva la gigantesca scimmia gironzolare sullo sfondo. Al bolex che le aveva girate era parso più interessante documentare il divoramento dei sant'uomini, ineccepibilmente conferendo stabilità di ripresa e accuratezza d'angolazione a ogni inquadratura.

Ebbe inizio il combattimento. Gea e Kong si abbrancarono. Kong si trovò proiettato in alto a caprioleggiare sulla testa di Gea, ricadendo supino al suolo. Rimase lì con aria stordita, mentre l'avversaria gli si gettava addosso di peso inchiodandolo a terra. Con un'esplosione di forza bruta la grande bestia scaraventò Gea via da sé. rilanciandosi quindi all'attacco. Stacco e cambio di scena. Kong giaceva di nuovo riverso, con Gea che incombeva un attimo su di lui prima di avventarglisi addosso.

Ma stavolta sembrava che non si limitasse a bloccarlo al suolo. Conal non riuscì a rendersi subito conto di cosa stesse accadendo. Con la bocca inaridita, affascinato e imbarazzato, continuò a fissare lo schermo. Alla fine dovette distogliere lo sguardo. Si mise a osservare Chris. Cirocco, Robin… qualunque cosa che non fosse lo schermo.

— Avrei giurato che fosse asessuato — commentò Cirocco a un certo punto.

— Era nascosto bene — replicò Chris. — Ha dovuto tirarglielo fuori.

— Grande Madre proteggici… — Robin mormorò.

Conal tornò a guardare la proiezione. Aveva sempre creduto impossibile, per una femmina, costringere un maschio a un rapporto carnale. E forse lei non ci sarebbe riuscita, se Kong non fosse stato gravemente ferito.

Mentre Gea lo inforcava a cosce divaricate, da uno spacco nel torace gli sgorgava sangue a fiotti, e quella vi attingeva a piene mani per lavarcisi la faccia.

— Basta, spegnilo! — implorò Conal. Cirocco, il volto impassibile come pietra, gli scagliò uno sguardo raggelante, scotendo la testa. O se ne andava, o guardava. Conal si obbligò a guardare.

Gea barcollava come fosse ubriaca. Andò a urtare contro la parete rocciosa della caverna, e cadde su un fianco. Lo schermo si abbuiò per un istante, poi tornò a illuminarsi. Gea, sempre nuda, giaceva ancora di fianco. Il sangue di Kong le si stava seccando sul viso e sulle mani. Si arrovesciò sulla schiena, incominciò a gemere. Il suo ventre era tutto un palpito violento e incessante.

— Sta partorendo — disse Chris.

— Già — ringhiò Cirocco. — Ma partorendo cosa?

La coda della pellicola sfilò rapida oltre l'otturatore e cadde serpeggiando sul pavimento. Lo schermo bianco continuò a sfarfallare, illuminando il pallore di tre volti, finché la mano di Chris non sopraggiunse misericordiosa a spegnere il proiettore.


Era un cammello, ed era morto.

Quel cammello era nato vivo, e Gea aveva pensato bene di includerlo nel suo séguito, dalla montagna di Kong all'attuale sede di Pandemonio, in attesa di decidere cosa farne.

Non aveva fatto conto di ritrovarsi con un cammello. In quel periodo, Gea lasciava molto spazio al dominio della casualità. Il caos la riempiva di gioia. Era un casino parecchio più divertente che mandare avanti quel fottuto d'un mondo!

Gea generava cose per il semplice motivo che tale atto le pareva assai appropriato agli attributi e alle funzioni di una divinità. E i risultati sorprendevano lei non meno di chiunque altro. La sua mente s'era frammentata in numerose entità autonome, qualcuna un po' più pazza delle consorelle, ma tutte quante assolutamente folli.

Promemoria: proiettare I tre volti di Eva, un giorno di questi.

La parte di lei che teneva sotto controllo il proprio equivalente di un utero, non rivelava agli altri frammenti di personalità cosa stesse combinando quella specifica estensione. Gea era soddisfatta di tale soluzione. Dopo tre milioni di anni, qualche sorpresa ci voleva proprio. Una volta al chiloriv il suo corpo le proponeva qualcosa di nuovo. Nel corso dell'ultimo anno esso aveva dato alla luce una nidiata di dragoncini, una tigre di quattro metri, e una creatura ch'era una via di mezzo tra una piovra e un Modello-T. La maggior parte dei neonati non campavano a lungo, mancando di taluni organi essenziali tipo un cuore o un naso. Gli altri erano ibridi. Il subconscio di Gea non poteva certo star dietro alle sottigliezze.

Ma il cammello era riuscito davvero bene. Si trattava, per l'esattezza, di un dromedario completamente sviluppato, sano come un pesce, e adesso era morto perché Gea aveva finalmente deciso a cosa adibirlo. Si apprestava a farlo passare per la cruna di un ago.

Diciamo pure che era un ago di generose dimensioni. Accoppiato a esso svettava un grande imbuto, e lì accanto faceva bella mostra di sé un congegno tritacarne servito a ridurre il cammello in poltiglia.

Mentre un centinaio di cineprese entravano in azione, Gea salì sull'impalcatura che sovrastava l'imbuto, versandovi dentro il primo recipiente di purè di cammello.

Tre riv dopo, stanca e affamata, Gea ordinò una pausa. Circa metà cammello era ormai passato attraverso la cruna, e il resto dell'operazione si prospettava solo come una noiosa replica. E poi, le riprese già effettuate potevano venire montate con qualche inquadratura finale dell'imbuto, da realizzare una volta che si fosse svuotato.

Andò a prender posto per assistere ai due film del giorno, che erano Lawrence d'Arabia e… niente, non se lo ricordava. Agitata e impaziente prese a dimenarsi nella sua poltrona.

Insomma, quand'è che Cirocco si sarebbe decisa a fare sul serio?

Gea era in attesa del Grande Evento.

QUATTRO

— Robin, svegliati.

Robin fu all'istante sul chi vive. Vide incombere su di sé la sagoma indistinta di Cirocco.

— Tutto a posto. Non aver paura.

— Non ho paura. — Si stropicciò gli occhi. — Che ore…

Cirocco sorrise, guardando Robin riprendere coscienza del luogo dove si trovava.

— Hai dormito per circa sette ore. Sono sufficienti?

— Certo. — Cirocco continuava a sussurrare, e quindi Robin fece altrettanto. — Ma… sufficienti per che cosa?

— Voglio che tu venga con me — disse Cirocco.


Mentre sua madre si vestiva, Nova rimase a occhi chiusi e non si mosse. Dopo che Robin ebbe lasciato la stanza richiudendosi dietro il battente, Nova si alzò e sgattaiolò fino all'uscio. Aprendolo di una frazione di centimetro poté scorgere Cirocco e Robin che parlottavano sottovoce nel corridoio. Poi le due donne uscirono dal suo campo visivo, e le udì scendere le scale che conducevano al primo piano.

Sbirciando dalla balaustra del secondo piano le vide attraversare la sala, poi sentì la porta d'ingresso aprirsi e chiudersi. Si affrettò a tornare nella camera che divideva con sua madre e Adam.

Diede un'occhiata alla culla, e fu sorpresa nel constatare che il bambino non c'era più. Sapeva che non era stata sua madre a prendere quel piccolo mostro, e ne dedusse che doveva avercelo Cirocco.

Affacciandosi alla finestra poteva vedere l'estremità esterna del ponte sospeso. Si sporse… ma subito con un guizzo si ritrasse indietro. Le due donne stavano traversando il ponte. Il bambino era in braccio a Cirocco.

In pochi attimi si vestì, discese le scale, e già si apprestava a girare la maniglia, quando un pensiero la pervase.

Non ce l'avrebbe mai fatta.

Nova non era tipo da sopravvalutare le proprie capacità. A casa sua, sul suo terreno, qualche possibilità di pedinare Cirocco senza farsi scoprire l'avrebbe anche avuta. Ma Cirocco era troppo abile. Pareva capace di sentire sulla pelle il peso degli sguardi, di cogliere al volo i pensieri più fugaci…

Era assolutamente inconcepibile che Nova potesse, attraverso una foresta a lei ignota, seguire impunemente una donna di quel genere.

Eppure, Grande Madre, moriva dalla voglia di andare con loro.


All'inizio Robin non aveva capito che stavano percorrendo un sentiero. Non si trattava di un tracciato ben definito, ma c'era. Dovevano chinarsi per evitare rami bassi e arrampicarsi sopra i tronchi di alberi abbattuti. Ma era pur sempre un sentiero. Robin cercò di fare appello alle sue scarse conoscenze circa le abitudini delle bestie selvatiche, chiedendosi se quella non fosse una pista da selvaggina, poi si rese conto che quel poco che sapeva si riferiva alla Terra, non a Gea. Chi poteva dire per qual motivo un animale geano si comportava in un certo modo?

— Robin, ti fidi di me?

— Fidarmi di te? Certo, credo di sì. Perché?

— Crederlo non basta. Pensaci bene.

Robin ci pensò, continuando ad arrancare dietro la donna che nel suo intimo non aveva mai cessato di chiamare Maga. Si sentiva goffa, debole, e tanto vecchia. Cirocco, davanti a lei, le appariva snella, flessuosa, sembrava scaturire dalla terra stessa su cui volavano i suoi agili piedi.

Fidarsi di lei? A Robin venivano in mente un sacco di pro e di contro. Quando Robin l'aveva conosciuta, la Maga era un'alcolizzata. Guarivano mai gli alcolizzati, ma sul serio, dal loro vizio? Non era possibile, quando le cose si mettevano male, che lei riannegasse nella bottiglia?

Robin le diede un'altra occhiata. No, non era possibile. Non aveva idea di come facesse a esserne tanto sicura, ma lo era. In quella donna si era verificato un cambiamento fondamentale.

— Mi fido della tua parola. Sono convinta che se tu prometti di fare una cosa, posso star certa che manterrai.

— Sicuro, se non muoio prima.

— Ho fiducia nella tua volontà di compiere ciò che ritieni giusto.

— Giusto per chi? Per te, per me, o per tutti quanti? Spesso bisogna distinguere.

Robin era d'accordo con quella osservazione, e volle rifletterci meglio.

— Per tutti quanti. Penso che me lo diresti, se tu dovessi accingerti a una scelta che giudichi la migliore, ma che potrebbe danneggiarmi.

— Si, te lo direi.

Per un poco procedettero in silenzio, poi Cirocco si girò a mezzo e fece segno a Robin di venirle accanto. Adesso il sentiero era largo a sufficienza per accogliere due persone. Prese Robin per mano, e camminarono fianco a fianco.

— Ti fidi se debbo serbare un segreto?

— Certo.

— Non mi sono espressa bene. Ci sono cose che devo tener segrete a te. Non posso dirti il perché. In parte per via della vecchia regola aurea dei cosiddetti "servizi segreti". Quello che non sai, non lo puoi rivelare.

— Parli seriamente, vero?

— Non sto giocando, ragazza mia. Quassù c'è una guerra in corso proprio come ce n'è una sulla Terra. Per certi versi, è anche altrettanto brutta.

— D'accordo, continuerò ad avere fiducia in te anche se mi devi nascondere qualcosa. Almeno finché non ne saprò di più.

— Così va abbastanza bene. — Si fermò, fronteggiò Robin fissandola in volto. — Adesso rilassati e guardami negli occhi. Voglio che ti rilassi completamente. Tutti i tuoi muscoli si abbandonano, e tu incominci ad aver sonno, tanto sonno…

Robin era già stata ipnotizzata, in precedenza, mai però con tanta facilità. Cirocco parlò poco e non si servì di alcun oggetto. Si limitò a immergere il suo sguardo in quello di Robin, e le sue pupille divennero grandi come il Mare di Febe. Sussurrò sommessamente, sfiorò le gote di Robin col palmo delle mani, e Robin si rilassò.

— Ecco, i tuoi occhi si chiudono — disse Cirocco, e Robin reclinò le palpebre. — Dormirai, ma il tuo sonno sarà lieve. Potrai avvertire le cose al tatto, e percepire gli odori, e udrai perfettamente bene, ma non vedrai nulla. Mi comprendi?

— Sì.

Robin si sentì sollevare. Sensazione deliziosa. Udì il vento frusciare fra gli alberi. Le giunse un profumo come di fragole troppo mature. Avvertì il proprio corpo sobbalzare mentre Cirocco trotterellava lungo il sentiero. Poi l'impressione che tutto le roteasse attorno. Continuò per un tempo indefinito, sinché ogni senso d'orientamento l'abbandonò.

Non le importava. Sentiva soprattutto le forti braccia di Cirocco farlesi cuna sotto schiena e gambe, avvertiva i solidi muscoli ventrali di lei premerle contro il fianco, percepiva la tenue, inconfondibile, dolce fragranza ch'ella era solita associare alla Maga. La sua mente indugiò in piacevoli fantasticherie. Da molto tempo non faceva l'amore.

Si sentiva bene. Bene come non mai sin da quando… sin dai lontani giorni che con sette compagni aveva disceso il corso dell'Ofione verso un destino ignoto. Evidentemente poteva anch'essere assai piacevole venir trascinati via dall'impeto di forze incontenibili… soprattutto se dispiegavano la tenace tenerezza delle braccia di una Maga.

— Nova non dormiva, quando sono venuta a chiamarti — disse Cirocco.

— Ah no?

— No. Ci ha seguito fino in fondo alle scale. E prima ci aveva spiato dalla finestra. Pensavo che ci avrebbe pedinato, ma non l'ha fatto.

— Non è una sciocca.

— Me ne sono accorta. Però ha una personalità… difficile.

Robin rise. — Se ti fosse capitato di venir degradata da Figlia della Vergine a profuga senzatetto, forse anche tu avresti un carattere difficile.

— Perché è partita insieme a te? Si direbbe che ti detesti.

— In effetti una parte di lei mi odia, credo. Il mio fallimento è stato così immenso, la mia rovina così totale… e come se non bastasse ho trascinato anche lei, in fondo al precipizio. — Robin tacque, chiedendosi come mai le riuscisse di fare certe rivelazioni senza provarne sofferenza, poi rammentò di essere ipnotizzata. Ed era felice di trovarsi in quella situazione. Aveva un tremendo bisogno di confidarsi.

— È partita per obbedienza? Non sembrerebbe nel suo stile.

— Tu non conosci la Congrega. Nova ha agito per dovere… e per paura. Non credo che le mie dilette sorelle ce la faranno. Sono convinta che finiranno per morire congelate, là nello spazio esterno. Ma quando giunse il momento di prendere una decisione, ormai non avevo più voce in causa. Quanto a Nova, non pensava neppure che l'avrebbero fatto sul serio, ma d'altronde non è che avesse molta scelta. Le cose erano divenute assai difficili, per noi. Dopo che Adam fu scoperto, per tre mesi fu come se avessimo cessato d'esistere. Il mio terzo Occhio mi salvò la vita, ma niente di più.

— Ma perché Nova doveva andarsene per forza? Eri tu che avevi avuto il bambino.

— Non è questo il punto. Vedi, ormai lei era considerata uno scherzo di natura. Nova scoprì l'esistenza di Adam a sei mesi dalla nascita. Cercò di ucciderlo, ma riuscii a fermarla in tempo. Poi ci adoperammo entrambe a tenerlo nascosto, ma sapevamo che non poteva durare. E alla fine si riseppe tutto. Mi ci volle fino all'ultima briciola del mio vecchio prestigio per far accettare l'affermazione che si trattava di una bambina. Nessuna osò controllare, ma tutte sapevano.

— Cosa vuol dire che Nova era considerata uno scherzo di natura?

— L'unica bambina della Congrega ad avere un fratello. Colpevole d'essere in stretti rapporti con me, la grande peccatrice. — Sospirò. — Che brava gente, eh?

— La gente è più o meno la stessa dappertutto.

Per un poco Cirocco non disse nulla. A Robin venne uno strano pensiero. Dov'era Adam? Quand'erano partite lo teneva Cirocco. Ma ora stava portando lei, e aveva entrambe le mani occupate.

Il fatto non la turbò. Dopotutto si fidava, di Cirocco.

— Era anche alta in modo sospetto. Finché rimanemmo sulla cresta dell'onda la cosa non ebbe importanza, ma in séguito s'incominciarono a mormorare illazioni su cui preferisco sorvolare. E poi c'era l'amore.

— Amore?

— Nova mi ama. Non che negli ultimi tempi si affanni a dimostrarlo, però mi ama.

— Me n'ero accorta.

— E ama anche te. In modo completamente diverso.

— Pure di questo m'ero accorta.


Finalmente Cirocco la depose a terra. I sensi di Robin erano deliziosamente ricettivi. Avvertiva, sotto i piedi nudi, la morbidezza del suolo umido. (Cos'era accaduto alle sue scarpe? Non importava.) Percepiva nell'aria un vapore aromatico. Sentì un rivolo di sudore colarle giù per la schiena. Rimase lì ferma ad attendere nell'oscurità. Scaturì dal nulla, dinanzi a lei, la voce di Cirocco.

— Adesso puoi sederti, Robin, e aprire gli occhi.

Robin eseguì. Scoprì di fronte a sé Cirocco inginocchiata. I suoi occhi erano laghi profondi e ammaliatori. Diede un'occhiata a sinistra e vide Chris, in ginocchio anche lui, con in braccio Adam ravvolto nella sua coperta rosa. Egli le sorrise, poi Cirocco le posò sul mento la punta di un dito, inducendo il suo viso a volgersi in avanti.

— Non guardare lui, guarda me.

— Va bene.

— Voglio che tu vada un poco più in profondità. Puoi rimanere a occhi aperti, se vuoi, ma non prestare alcuna attenzione a ciò che vedi. La sola cosa importante è il suono della mia voce.

— Va bene.

— A che profondità ti trovi ora?

Robin ci rifletté.

— Quasi un metro.

— Vai giù di altri trenta centimetri.

Robin obbedì. I suoi occhi erano aperti, però l'oggetto della sua visione consisteva unicamente in turbinanti nubi di vapore. Non aveva più Cirocco davanti a sé, ma non avrebbe saputo dire cosa realmente ci fosse laggiù. Avvertì una leggera pressione in cima al capo. Era la mano di Cirocco.

— Robin, perché hai lasciato vivere Adam?

Mentre udiva come da grande distanza giungere il suono della propria voce, Robin colse una rapidissima visione di loro tre visti dall'alto: un uomo grande e grosso, a metà ricoperto di pelo; una donna vigorosa; una minuta, inerme, miserevole…

Quel pensiero venne troncato immediatamente.

— Ho fatto un sogno.

— Che cosa hai sognato?

— Adam. Sorridente. Roseo. Minuscole dita delicate. La fragranza del proprio latte, il pannolino bagnato di lui. Gaby. Annerita, ustionata. Pelle carbonizzata che cade a pezzi. Un occhio rovinato. Un sentore dolciastro.

— Hai sognato Gaby?

— Stava seduta accanto a me. Mi aiutava a partorirlo. L'ha tirato su, tutto insanguinato e orribile. Poi mi ha dato un bacio, e io ho gridato.

— Nel sogno?

— Sì. — Robin aggrottò le sopracciglia. — No. Stava meglio. Non era più bruciata.

— Nel sogno?

— No. Sì… ma non ricordo d'essermi svegliata. Mi ricordo… che stavo per addormentarmi, ma dopo aver sognato. Adam prendeva il latte.

— Cos'ha detto Gaby?

— Mi ha detto che dovevo avere il coraggio di tenerlo. Mi ha detto che il mondo era prossimo alla distruzione. La Terra, la Congrega… forse anche Gea. Mi ha detto che lui era importante. Che dovevo portarlo qui. Che Chris era suo padre. Io le ho detto che due immacolate concezioni erano troppe, e lei mi ha risposto che era stata Gea, che Gea aveva usato la magia per… per conservare una parte di Chris dentro di me. Piccolissime capsule del tempo, le ha chiamate. Poi se n'è andata via.

— È svanita?

Robin parve sorpresa. — No, è uscita dalla porta.

Cirocco rimase un po' in silenzio, e Robin non se ne diede pensiero. Attendeva altre domande. Sentì invece la pressione della mano di Cirocco sulla sua testa prima cessare, e poi riprendere. Stavolta però non si trattava del palmo, bensì delle dita chiuse a pugno. Era un tocco lieve, ma a Robin sembrava che Cirocco potesse quasi scandagliare, attraverso la volta cranica, il tracciato che formavano i corrugamenti e le circonvoluzioni del suo cervello.

Udì una voce sottile.

— Lasciami andare, vecchia troia.

Robin non aveva mai sentito nessuno apostrofare Cirocco a quel modo. La voce andò un poco avanti senza mutare stile. Poi Robin sentì il pugno contrarsi, e la vocina emettere un grido stridulo.

— Ti denuncerò a quei finocchi della protezione animali, sacco di merda. Ti fotterò dentro quelle tue orecchiacce pelose, ti attaccherò la sifilide, t'impesterò di schifi che ancora non gli hanno nemmeno dato un nome, ti…

Nuova stretta, seguita da un urlo ancora più acuto.

— Ti ordino di parlare — disse Cirocco. Robin rimase in silenzio. Sapeva, in qualche modo, che quell'ordine non era diretto a lei.

— Gea piscerà cherosene e cacherà napalm quando saprà…

— Parla!

— Conosco i miei diritti, voglio un maledetto AVVOCAAATO! Voglio…

Parla!

— Aaaaaaah! Aaah! Sì, sì, sì, parlerò, parlerò!

— La mano di Gea è su questo bambino? Ti ordino di rispondere.

— Non posso, non posso, non posso sapere… sapere… credo forse…

— Parla!

— No, no, no! Gea l'ha toccata tanto tempo fa, Gea sa che lei è qui, Gea ha programmato la famiglia del bambino, ma non ha toccato loro. La mano di Gea non è su questo bambino.

E, d'improvviso, neppure la mano di Cirocco fu più su di lei. Si ritrovò lì seduta, ammiccante, con la sensazione che la sua testa fosse stata liberata da un peso terribile.

— Adesso puoi alzarti, Robin. Adagio, con calma. Va tutto bene.

Robin si alzò. Si sentiva rianimata. Trasse un respiro profondo, batté le palpebre più volte, si volse. Cirocco stava riponendo in uno zaino un recipiente di vetro. Impugnava un oggetto familiare: una vecchia Colt .45 automatica. Gliela porse. Robin se la rigirò in mano. La sicura era tolta. La rimise, poi rialzò la testa.

— È la mia pistola.

— Te l'ho presa io prima che Cirocco ti svegliasse — spiegò Chris.

— Che roba era? — chiese Robin accennando allo zaino.

— Il mio demone. — Gli occhi di Cirocco s'appuntarono penetranti in quelli di Robin. — Sei capace di serbare un segreto?

Robin indugiò a restituirle lo sguardo, e infine annuì.

— Se questo è ciò che vuoi.

Cirocco approvò con un cenno del capo, e si rilassò leggermente.

— Posso dirti soltanto che era una cosa che andava fatta. In passato usavo un altro sistema. Ma non era così affidabile, oltre a essere molto più complicato. — Per un attimo l'ombra di una terribile sofferenza scese a velare i suoi occhi. Distolse lo sguardo, poi tornò a Robin. — Domandalo a Conal, una volta o l'altra. Magari aspetta che sia un po' brillo.

— Pensavi che fossi una spia di Gea?

— Dovevo partire dal presupposto che tu potessi esserlo. Saresti stata in grado di garantirmi il contrario?

Robin fu sul punto di prorompere in un indignato ma certo che sarei stata… però non ne fece nulla. Le tornarono in mente certe minuscole cronocapsule, certe immacolate concezioni… Gea l'ha toccata tanto tempo fa. Gea ha programmato la famiglia del bambino.

— Può fare tutto quello che vuole, vero?

— Le piacerebbe che tu la pensassi così. Comunque è vero, quasi tutto. E ancora non hai idea di quanta malvagità c'è in lei.

— Mi avresti uccisa?

— Sì.

Robin pensò che avrebbe dovuto sentirsi in collera, ma così non era. Provava, anzi, un singolare empito di sollievo. Se Gea le avesse nascosto in corpo qualche sua insidia ripugnante, avrebbe preferito esser morta.

— Ma allora anche Nova… — esclamò all'improvviso.

— Vedo che finalmente incominci pure tu a diventare sospettosa al punto giusto — commentò Cirocco. — Ma ce n'hai messo di tempo per raggiungermi! Nova l'ho esaminata diverse ore fa. E, col caratterino che si ritrova, ho pensato fosse prudente rimuovere da lei il ricordo dell'esperienza. Le ho ordinato di dimenticare, e così sarà.

— E Adam?

— Innocente come un bambino — le disse sorridendo Chris. Lei ricambiò il sorriso, rammentando d'un tratto con quanta tenerezza l'avesse amato, tanti anni prima. Era persino disposta a perdonargli tutto quel pelo, almeno per il momento. Poi, per la prima volta, si guardò attorno, e aggrottò la fronte.

— Che razza di posto è, questo qui? — domandò.

— La fontana della giovinezza — rispose Cirocco.


C'erano state un tempo dodici fontane, su Gea. Quella di Oceano era andata distrutta durante la Ribellione. Quella di Tea giaceva a grande profondità sotto i ghiacci, e quelle di Teti e Mnemosine erano sepolte nella sabbia. Quanto alle altre otto, sette di esse si erano bruscamente inaridite un certo giorno di vent'anni prima, un giorno che aveva anche assistito alla morte della prima incarnazione di Gea e a una pioggia di cattedrali dall'alto dei Cieli.

Ma Gea non aveva alcun potere su Dione, perché il cervello centrale di Dione era morto. Non poteva influenzare quel territorio né in bene né in male. Poteva inviarvi le sue truppe e rendere Bellinzona un vero e proprio inferno, ma le strutture funzionali sotterranee più profonde sfuggivano al suo controllo.

Ciò nonostante, Dione se la cavava sorprendentemente bene. Cirocco pensava che potessero averci messo lo zampino i folletti. Fatto sta che le piante continuavano a crescere, le acque a scorrere, l'aria a circolare.

E la fontana a produrre la sua manna.

Era la fontana il motivo principale che aveva indotto Chris a edificare Tuxedo Junction proprio in quel luogo. Egli ne aveva bisogno non meno di Cirocco, e sembrava una buona idea mantenersi nelle vicinanze per poterla tenere d'occhio.

— Come posso essere certa che non mi farà male? — chiese Robin.

— Nessuno ti obbliga — replicò Cirocco.

— Lo so, me l'hai detto, però… come fai, tu, a essere sicura? Forse è un tranello. Forse la mano di Gea è su di te.

— In tal caso sei spacciata — osservò Cirocco. — Prima hai dichiarato di aver fiducia in me. Quindi o ti fidi, o non ti fidi.

— Mi fido. Sul piano istintivo.

— E infatti è l'unico approccio corretto. In questo caso la logica non serve a nulla. Non esiste un sistema razionale per dimostrare che Gea non mi tiene sotto controllo.

— Mi rendo conto. Scusami. È che sono nervosa.

— Calmati. E spogliati.

Cirocco si girò dall'altra parte, intuendo che il fatto di doversi spogliare innervosiva Robin non meno di ogni altro aspetto di quella situazione. Pensò se non fosse il caso di mandar via Chris, facendolo tornare più tardi per il suo trattamento. Ma poi, voltandosi proprio mentre Robin stava finendo di togliersi i pantaloni, comprese che la presenza di Chris non c'entrava nulla. Si augurò che nulla le trasparisse sul volto, ma sentì in fondo alla gola un fiotto di calore, un senso soffocante di subitanea compassione.

Robin aveva davvero un aspetto pietoso, immobile lì nella sua nudità. Sarebbe apparsa miseranda comunque, ma per chi l'aveva conosciuta all'epoca del suo massimo splendore, era una visione da spezzare il cuore.

Tutti i tatuaggi risultavano terribilmente sbiaditi. Cirocco aveva già potuto osservare l'Occhio e il Pentacolo che le ornavano la testa, e parte del serpente che aveva sul braccio. Tanto vivacemente policromi avevano spiccato sulla Robin diciannovenne, quanto adesso s'appiattivano opachi, con solo qualche traccia di rosso smorto o verde spento su uno sfondo essenzialmente grigio ardesia. Il quarto tatuaggio, il serpente attorcigliato alla gamba, versava nelle medesime condizioni degli altri. Ma sul quinto pareva che qualcuno avesse infierito con furia selvaggia.

Per l'arte universale non si trattava certo di una gran perdita, pensò Cirocco, ma era pur sempre uno scempio. Robin aveva saputo, fin da bambina, che ogni figlio da lei generato avrebbe recato in sé lo stesso morbo per guarire dal quale ella si sarebbe un giorno recata su Gea. In un impeto di giovanile millanterìa, s'era dunque fatta tatuare sul ventre un disegno orripilante. Esso mostrava una spettrale, mostruosa creatura che le apriva uno squarcio nelle carni, cercando con artigli e zanne di aprirsi una strada dalle sue viscere al mondo esterno.

— Nova era un accidente di bambinona — disse Robin con aria afflitta, strofinandosi la cicatrice che aveva reso il tatuaggio ancora più ripugnante. — Mi dovettero fare un taglio cesareo. — Ristette immobile, a spalle curve, cercando di dare l'impressione che solo per caso le sue mani si trovassero a congiungersi strettamente sull'addome. Il suo incarnato era pallido, i capelli senza vita, il volto solcato di rughe, e neppure i denti parevano in buone condizioni. Per troppo tempo Robin si era lasciata andare. L'età era una cosa. Qui si trattava di ben altro.

— Non ti preoccupare — disse Cirocco. — Adesso potrai dire basta a tutto questo.

Entrò senza indugio nell'acqua, e le tese una mano.


Era molto più calda di quanto Robin avesse previsto. Avvertiva il calore in modo bizzarro, consapevole di esso ma senza sentirsene scottata.

S'immersero un poco alla volta. Prima fino alle caviglie, poi alle ginocchia, poi una sosta prima di continuare sino ai fianchi. Chris l'accompagnava da una parte, Cirocco dall'altra. Entrambi la tenevano per mano.

L'acqua — se di acqua si trattava — emanava un profumo delicato, e aveva il colore e la consistenza del miele. No, si corresse, l'analogia non andava bene. Quella roba era tutt'altro che sciropposa. Forse simile a un nettare, piuttosto.

Proseguendo, il fluido le giunse alla vita, e Robin boccheggiò. Le stava gradualmente penetrando dentro. Lo poteva sentire mentre simile a un olio sottile le riempiva i visceri e la vagina. Avrebbe dovuto suscitare in lei un moto di repulsione, ma secondo ogni evidenza stava invece accadendo il contrario. Era meraviglioso. Era la sensazione più bella che avesse mai provato. Un brivido intenso la percorse, sentì le ginocchia venirle meno. Cirocco la sostenne. Ed ecco il fluido ricoprirle il petto.

Si lasciò andare fra le braccia di Cirocco, così come la Maga le aveva detto di fare. Chiuse gli occhi, sentì una mano serrarle le narici, poi si trovò completamente immersa.

Sensazione deliziosa. Chi avrebbe mai voluto sottrarvisi? Cresceva in lei il bisogno di respirare, ma quando esso si fece impellente sentì le labbra di Cirocco premere contro le sue, e inalò il fiato della Maga. Poi lo lasciò esalare lentamente.

Continuò così per molto tempo. Non cercò di calcolarlo, ma sapeva che era molto. E venne il momento che Cirocco cessò di rifornirla d'aria. Robin avvertì nuovamente crescere in sé il bisogno di respirare. Cirocco le aveva spiegato come comportarsi, ma aveva lo stesso un po' di paura. Poteva davvero fidarsi della Maga fino a quel punto?

E perché no? Sentì le dita di Cirocco allargarsi liberandole il naso. Il nettare rovente prese a fluirle dentro. Aprì la bocca. L'aria se ne fuggì gorgogliando, e il liquido l'invase.

Pochi spasmi la scossero mentre i suoi polmoni si riempivano e lei espelleva convulsamente le ultime tracce d'aria. Lottò per liberarsi, ma una stretta inflessibile l'inchiodava. Poi fu di nuovo in pace.

Cirocco la tenne immersa per mezzo riv, quindi la riportò a riva deponendola accanto ad Adam, che dormiva ancora. Chris procurò un asciugamano, e Cirocco si diede a passarglielo sul corpo. Rivoli dorati colavano fuori dalla bocca di Robin. Cirocco le appioppò qualche bella pacca sulla schiena e lei riprese a respirare, dopo avere rigettato le ultime boccate di fluido che le ingombravano la gola. La sua pelle s'era fatta bruna, e scottava quasi da non poterla toccare.

— Vai prima tu — disse Chris prendendo l'asciugamano. — Rimango io con lei.

Cirocco annuì, e s'immerse nella fonte. Un attimo dopo già fluttuava appena sotto la superficie. Ne sortì dopo mezzo riv, e le sue lunghe chiome inzuppate, che le scendevano a profusione sulle spalle, erano adesso di un nero lucente.

Chris rimase dentro più a lungo. Quando uscì era cresciuto in altezza di quasi tre centimetri, e il suo volto aveva subito lievi cambiamenti.

Cirocco reindusse in Robin una leggera trance, e Chris la sollevò, con Adam che giaceva quieto fra le braccia di lei. Volgendosi per un ultimo sguardo a Cirocco, Chris si mise in cammino per riportare Robin a Tuxedo Junction, e lì giunto farle la sua proposta.

CINQUE

Luther incedeva minacciosamente lungo i pontili di Bellinzona, deserti come le strade polverose di quella cittadina del Far West dov'è ambientato Mezzogiorno di Fuoco, con Gary Cooper. Può anche darsi che la sua mente avesse colto il nesso, dato che lui quel film l'aveva visto di recente a Pandemonio.

Luther non assomigliava a Gary Cooper. Aveva piuttosto l'aspetto del mostro di Frankenstein dopo tre giorni di baldoria alcolica e un disastroso incidente d'auto. Gran parte del lato sinistro della sua faccia se n'era andato, mettendo a nudo Un pezzo di mascella e un rovinìo di denti frantumati, una sezione di mastoide, e una cavità oculare vacante. Brandelli di verdognolo tessuto cerebrale facevano capolino da una frastagliata fenditura del cranio, dando l'idea che il contenuto del medesimo, fuoriuscito dalla crepa, fosse stato ricacciato dentro alla rinfusa. L'occhio superstite era una fossa tenebrosa in un mare scarlatto, fiammeggiante di legittimo furore. Il suo collo era cinto di suture; non cicatrici, ma veri e propri tratti di filo spesso che gli trapassavano la pelle. A tirarli via, la testa gli si sarebbe staccata dal corpo.

La sua intera figura, tranne le mani, era paludata d'una lercia tonaca nera. Le mani recavano piaghe trasudanti sangue e pus. Una delle gambe era più corta dell'altra. Non si trattava di una deformità, ma di un banale problema tecnico: in passato quella gamba era appartenuta a una monaca. Tale circostanza non rallentava il suo passo.

Non c'era bisogno di nascondersi, e Luther non tentava di farlo. E poi, bene che andasse, lui e la sua banda assai difficilmente avrebbero potuto passare inosservati. Già Luther non rappresentava una gioia per il naso, ma l'aroma dei suoi Apostoli poteva tramortire un porco a cinquanta passi. Persino gli umani, col loro atrofizzato senso dell'olfatto, erano solitamente in grado d'individuare Luther ben prima ch'egli facesse la sua comparsa. Avrebbe talvolta potuto sortire effetto un'avanzata sottovento, ma negli ultimi tempi gli abitanti di Bellinzona parevano avere sviluppato una sorta di sesto senso, nei confronti dei Preti.

I suoi dodici Apostoli si trascinavano innanzi rimanendogli alle costole. Paragonato a loro, Luther poteva dirsi un fiore di beltà.

Quelli non erano altro che zombi, ma Luther era stato un tempo il Pastore Arthur Lundquist della Chiesa Luterana Unificata d'America, sezione di Urbana, Illinois. Urbana era andata distrutta parecchi anni prima, e così pure il Pastore Lundquist, grossomodo. Pezzetti e porzioni del lui attuale avevano in precedenza fatto parte integrante d'altri individui: Gea assemblava i suoi Preti con quel che si ritrovava a portata di mano. Ma di tanto in tanto un fortuito pensiero di casa gli traversava il cervello ottenebrato, un ricordo di una moglie e due figli. Quel pensiero lo tormentava, rendendolo ancor più zelante nella sua opera di evangelizzazione. A traversargli il cervello provvedevano inoltre le correnti d'aria, in virtù del colpo d'arma da fuoco che gli aveva regalato il suo inconfondibile sorriso e un eloquio così particolare. Quello pure era un motivo di sofferenza.

Avanzava egli dunque risolutamente lungo il confine della fascia mortale che preludeva al quartiere delle Libere Femmine. I suoi occhi scandagliavano le fortificazioni antistanti. Non individuò anima viva, ma sapeva che esse erano lì acquattate a sorvegliare ogni sua mossa. A un certo punto si fermò, in atto provocatorio e sprezzante, con le mani sui fianchi.

— Nemiche di Dio! — gridò, o almeno tentò di farlo. Mancandogli la guancia sinistra, trovava difficoltà ad articolare i suoni che richiedono il concorso delle labbra. Nemiche, ad esempio, detto da lui suonava come "neuìche".

— Io sciono Luther! Sciono qvi in uissione di Dio!

Sibilò una freccia in traiettoria radente andandolo a colpire in pieno petto. Penetrò completamente, lasciando fuori soltanto le alette piumate. Luther non si prese neppure il disturbo di fare una pausa, né si tolse le mani dai fianchi.

Una Libera Femmina corse fuori dirigendosi verso il ponte, con in mano una torcia accesa. La scagliò sull'olio che era stato strategicamente versato sin dalle prime voci sulla presenza della banda di Luther a Bellinzona. Fra Luther e il Quartiere si dispiegò repentina una parete fiammeggiante, che incominciò ad attaccare il ponte. La donna si riprecipitò al riparo.

— Un vanvìno fu fortato in qvesto luogo uolti… farecchi riv orsciono. Dio ha visogno di qvesto vanvìno. Dio sciarà venevolo a colei che sci dirà dove sci trova qvesto vanvìno. Venite avanti, venite avanti a riscevere la grascia di Dio!

Nessuno si precipitò a ricevere alcuna grazia. Luther se l'era aspettato, ma il fatto lo imbestialì ugualmente. Incominciò a urlare. Gridò oscenità verso il ponte in fiamme, corse attorno in vorticosi cerchi e pestò ripetutamente con la gamba più lunga sul tavolato della banchina. Ben presto dall'occhio prese a colargli sangue, e un misto di bava e muco nerastro spurgò dal fianco sventrato della sua faccia. Il davanti della tonaca gli si scurì all'altezza delle anche. Il potere era in lui, il potere andava crescendo. Si gettò in ginocchio, tese le braccia al cielo, e incominciò a cantare.


Una vianca fo-or-tescia è il nostro Scignore!

Scudo e sfada vittorioscia.

Egl'infrange lo scettro del crudel'offresciore

E sci conduce a salvascion glorioscia!


Verso dopo verso, lo stonato Prete berciò il suo inno in un tono di basso spezzato e sibilante, mugolando quando non rammentava le parole. Non erano le parole che contavano, comunque, ma il Potere, ed egli lo sentiva su di sé come rare volte gli era avvenuto dopo la resurrezione. Inginocchiato lì a braccia levate, ricordò i giorni in cui aveva pronunziato i suoi sermoni dal pulpito. Era stato un predicatore travolgente, a quei tempi, ma nulla in confronto alla sua forza attuale. Dio sarebbe stato orgoglioso di lui. Alle sue spalle, persino gli zombi verminosi apparivano scossi. Si lamentavano come se cercassero anch'essi di cantare, le lingue pendule fuori delle bocche orribili che si agitavano flosce al ritmo dei corpi ondeggianti.

Ed ecco infine una Libera Femmina ergersi isolata fuori del suo riparo e gettar via l'arma. Il suo sorriso era un rictus scomposto, i suoi occhi lucidi e vacui come quelli di una demente.

Le Libere Femmine urlavano. Lo stavano facendo sin da quando Luther aveva dato inizio al suo abominevole inno, e adesso raddoppiarono i loro sforzi. Non gridavano di paura — sebbene fossero terrorizzate sin nel più profondo dell'animo — ma per un fine tattico, nel tentativo di soverchiare il Potere. Era uno stupefacente gorgheggio a più voci, alla maniera delle donne arabe nel trionfo e nel lutto. Molte di loro, per proteggersi, s'erano tappate le orecchie con il cotone o la cera, come i marinai di Ulisse. Luther ne gongolava, sapendo trattarsi di un errore. Con le orecchie otturate erano ancora più vulnerabili, poiché non potevano udire il grido comune, il canto di solidarietà che costituiva l'unica vera difesa contro Luther e quelli della sua specie.

La donna avanzò. Una freccia la seguì, ma la mano che l'aveva lasciata andare aveva tremato troppo perché il dardo arrivasse a segno. Fallì il bersaglio, e così pure un secondo strale. Il terzo le affondò nella schiena. La donna ebbe un fremito violento, ma continuò a camminare.

Le sue compagne non stavano cercando di ucciderla perché la disprezzassero o la ritenessero una traditrice. Sapevano troppo bene quanto il Potere di Luther potesse ottenebrare le loro menti. Volevano ucciderla perché la morte era una misericordiosa alternativa.


L'antico avversario ualvagio

Ha giurato di recarsci il suo contagio.

Di terrore e astuzia e forza amato

Scende in canfo a convàttere il creato.

Sciulla Terra non ha egvali!


S'immerse tra le fiamme.

Fu raggiunta da altre due frecce. Cadde a terra carponi, i capelli le s'incenerirono come paglia secca. Continuò a trascinarsi, mentre la sua pelle si carbonizzava. Con uno sforzo terribile si rimise in piedi, sorda, cieca, e un'asse di legno fiammeggiante si spezzò sotto il suo peso. Cadde in avanti, e ruzzolò dal ponte precipitando in acqua.

Luther interruppe il canto e si rialzò. Osservò ghignando una mezza dozzina di Libere Femmine precipitarsi fuori dai loro nascondigli e correre verso il ponte, schermandosi il volto dal calore dell'incendio e dalla spaventosa presenza di lui. Parecchie di loro gli fecero le corna, il che lo divertì ancor di più. Credevano davvero che puntargli contro il mignolo e l'indice bastasse a proteggerle?

Afferrarono con una fune il corpo della compagna e lo tirarono sul pontile. Era ancora viva, ma ormai si trattava di un fatto secondario. Se fosse stata morta, essi avrebbero cercato d'impadronirsene con determinazione anche maggiore. Ora invece lei poteva morire e avere la possibilità di rimanere morta.

— Dio vi funirà — gridò Luther, poi si volse a fronteggiare le sue truppe. — Andrea! Giovanni! Taddeo! Fil… Giuda! — Cinque zombi si fecero avanti, compreso Filippo, che nella sua confusa consapevolezza non era comunque stato capace di decidere per certo se il capo avesse convocato pure lui. Luther lo congedò con un gesto impaziente. Chiamava sempre i soliti quattro, quando doveva affidare qualche compito, e il motivo era assai semplice. Gli altri otto portavano nomi contenenti qualche b, qualche m o qualche p. I nomi di due terzi dei suoi discepoli rappresentavano, per Luther, impronunziabili scioglilingua.

— Avansciate contro gl'infedeli! — ordinò loro. — Svaragliate i feccatori! In un fuoco ardente che farà vendetta di coloro che non conoscono Dio e di qvelli che non ovvediscono al Vangelo! Frima Lettera ai Tescialonicesi! Uno! Otto nove! Andate, uiei discefoli!

Luther li guardò avanzare tra le fiamme. Sarebbero rimasti distrutti, certo, ma non prima di aver fatto qualche danno. Erano già irti di frecce, ma non se ne curavano minimamente, così come ignoravano il fatto che stavano bruciando. Siccome erano già morti, ciò non aveva alcuna importanza.

L'ex Pastore Lundquist distolse gli occhi dalla scena. Egli non poteva più provare dolore, né qualcosa che si apparentasse al dubbio, tuttavia s'insinuava in lui talvolta una sensazione che lo faceva brancolare nel buio come solo un uomo reso cieco e sordo e al quale siano stati amputati tutti e quattro gli arti potrebbe brancolare. Innanzitutto lo irritava veder Giuda avviarsi alla distruzione. Questo era forse il ventesimo "Giuda" che perdeva. Qualcosa lo induceva a sceglier sempre, per la parte di Giuda, la recluta più grossa, più forte e meno putrefatta. Ne ignorava il motivo.

E poi un'altra questione. Per quanto si lambiccasse, non riusciva a evocare nemmeno il più vago ricordo di cosa fosse un Tessalonicese.


Fu l'abitudine a condurre Luther fuori città sul sentiero che portava nelle vicinanze del vecchio cimitero. Ma non si aspettava di trovar nulla.

E invece ebbe fortuna.

Trovò ben sei pire funerarie in attesa di essere incendiate, e si accorse che in un punto il terreno era stato smosso di recente. L'arrivo di Luther doveva avere spaventato e messo in fuga i becchini prima che potessero dar fuoco ai cadaveri. E non poteva anche darsi che qualcuno fosse stato addirittura sepolto?

Le due realtà su cui a Bellinzona quasi tutti si trovavano d'accordo, erano la mòrte e la follia. I pazzi venivano lasciati cuocere nel loro brodo finché non diventavano violenti. E i morti venivano immediatamente cremati. Di fronte alla morte s'imponeva la necessità di una tregua, ed era in tale circostanza che faceva la sua apparizione l'unico esempio di spirito sociale che Bellinzona avesse mai conosciuto. Tutti collaboravano al trasporto dei cadaveri al cimitero, ove essi venivano distrutti secondo un rituale derivato dalle analoghe cerimonie indù.

Un tempo le cose erano andate diversamente. In una città nella quale il novanta per cento della popolazione non aveva parenti, i corpi dei defunti venivano semplicemente ignorati. E potevano rimanere a decomporsi per giorni e giorni, prima che qualcuno si nauseasse al punto di affibbiargli un calcio per buttarli ad affondare nelle acque del lago.

Ma poi i corpi incominciarono a rialzarsi, e ad arrampicarsi su per le fiancate delle barche, e ad appostarsi negli angoli bui. A quel punto intervennero i Vigilanti e le Libere Femmine organizzando un servizio di sepoltura.

Anche l'inumazione non si dimostrò molto efficace. I morti si scavavano un varco nel terreno e riemergevano dalle tombe. Unica soluzione sicura rimaneva dunque la cremazione.

— Ferò c'è da ascendere il fuoco — ridacchiò Luther. — Fortàteui i corfi — disse ai rimanenti Apostoli.

Bartolomeo e Simon Pietro rasparono nel terriccio e ne trassero fuori i resti di una salma fatta a pezzi. Qualcuno aveva pensato bene di adottare una variante al sistema, però Luther la sapeva più lunga di loro. Neanche questo travalicava le facoltà di un Dio onnipotente.

I cadaveri erano abbastanza freschi, con una sola eccezione databile a un paio di giorni. Uno era avvolto in un sudario bianco: evidentemente un ricco, dato il costo della stoffa a Bellinzona. Gli altri erano nudi. Luther squarciò il tessuto sopra il viso del ricco, e decise all'istante che quello sarebbe stato Giuda Iscariota.

Indusse in se stesso uno stato di minore esaltazione. E il canto che innalzò non era niente in confronto all'altisonante inno sacro ch'egli aveva intonato a beneficio delle Libere Femmine; la resurrezione era una semplice operazione di routine, come distribuire le ostie benedette. Quando fu nell'adatta condizione s'inginocchiò, e baciò ciascun paio di labbra gelide. Dovette attendere mentre Pietro rimetteva un po' insieme i pezzi dell'ultimo cadavere.

In pochi minuti cominciarono ad aprire gli occhi. Gli Apostoli li aiutarono a rimettersi in piedi, mentre Luther li esaminava con l'occhio clinico di un sergente maggiore. Quella femmina nera poteva essere Taddeo, decise. E il cinese avrebbe incarnato un buon Giovanni. Egli assegnava i nomi senza tener conto del sesso. Tanto, in capo a qualche settimana, non avrebbe più fatto alcuna differenza.

I sette nuovi zombi erano deboli e vacillanti. Gli ci sarebbero voluti dieci o venti riv, prima di ritrovarsi in piena forma. A quello smembrato sarebbe occorso anche di più. Luther l'avrebbe condotto nella foresta e lasciato in compagnia degli altri due che non gli servivano, tanto alla fine si sarebbero spontaneamente incamminati verso Pandemonio. Luther viaggiava sempre ed esclusivamente con i suoi Dodici.


Inginocchiato sulla riva del fiume, Luther pregava.

Bene, male… non c'era mica poi tanta differenza. Luther era capace di provare odio, collera e un'estasi religiosa assai simile all'odio e alla collera messi insieme. La circostanza in cui più si avvicinava a sentirsi bene, nel senso che sarebbe stato familiare ad Arthur Lundquist, si verificava quando egli comunicava col suo Dio. Quando pregava.

Non lo faceva spesso. Dio era una Donna molto indaffarata, e non gradiva che la si infastidisse per delle inezie. Il semplice fatto di non ricevere la Sua risposta era già abbastanza umiliante. Beccarsi un Suo rimprovero poteva voler dire farsi spiaccicare a terra come un insetto. Ma oggi Lei ascoltava, e rispondeva.

Ora Luther sapeva dov'era il bambino. Si rialzò, riunì la truppa, impartì gli ordini di marcia.

Sperava solo che quella figlia di puttana di Kali non arrivasse a Tuxedo Junction prima di lui.

SEI

Cirocco si sentì stanca, dopo l'immersione nella fonte. Ricordava tempi migliori. Quand'era più giovane, quel bagno la ricolmava di una dose d'energia talmente intensa da esser quasi dolorosa. Per due o tre giorni non sentiva neppure il bisogno di mangiare. Chris diceva che per lui era ancora così. Aveva solo quarantanove anni. Anche Robin, probabilmente, avrebbe provato la medesima sensazione. Ma, ormai da una cinquantina d'anni, Cirocco necessitava di alcune ore di riposo, dopo ogni ringiovanimento.

Quella fase l'avrebbe affrontata lontano dalla fonte. Era il principio della sorgente nel deserto. Esistevano nemici che avrebbero potuto penetrare in Dione e sorprenderla lì alla fontana, sapendo che lei doveva recarvisi ogni tre chiloriv.

Si spostò quindi presso un lago appartato che si stendeva a circa cinque miglia da Tuxedo Junction. C'era una spiaggia di sabbia nera, fine come polvere, intiepidita dalle emanazioni di calore del sottosuolo geano.

Vi si distese, poggiò la testa sullo zaino, e si assopì.


Nova li vide quando arrivarono al ponte. Per un attimo non riconobbe chi camminava accanto al grande uomo peloso, ma in realtà potevano esserci pochi dubbi. Robin indossava solo un paio di pantaloncini, e i tatuaggi che rendevano inconfondibile il suo corpo erano ben visibili. I serpenti quasi parevano vivi. Robin avvampava di quegl'intensi colori che Nova aveva conosciuto solo attraverso qualche foto di sua madre da giovane. Colori che adesso, piuttosto, risaltavano ancora più brillanti. Chiazze dorate mandavano barbagli, e rossi e violetti e verdi e gialli sfolgoravano come pietre preziose. Robin sembrava proprio una bruna statuina decorata.

Bruna?

Nova guardò meglio. Sì, come dubitarne, Robin era riuscita a prendersi una completa abbronzatura. Bisognava riconoscere che si trattava davvero di un bel gioco di prestigio, sotto il chiarore lattiginoso che da quelle parti sostituiva la luce solare. Senza contare che ci aveva impiegato soltanto due ore e non s'era nemmeno scottata.

Rimase ancora un poco a sorvegliare l'estremità esterna del ponte, ma Cirocco non si fece vedere. Alla fine, sospirando, scese al piano di sotto per andar loro incontro.

Fu sconvolgente osservare il cambiamento da vicino. Robin appariva ringiovanita di cinque anni. Nova aveva già incominciato a rendersi conto che Cirocco era davvero una strega assai potente, ma quest'ultimo fatto sconfinava quasi nell'incredibile. L'aspetto lieto e giovanile di sua madre non le dava alcun piacere, e ciò in qualche modo la irritava. Robin però non aveva diritto a tutta quella gioia, in un momento in cui sua figlia era tanto infelice!


All'ora di pranzo Cirocco non era ancora tornata.

Robin e Chris se ne andarono insieme da qualche parte. Nova li guardò uscire, poi corse su in camera sua. Ridiscese quasi subito, ed entrò in cucina. C'era solo Serpentone, intento a mescolare in una grande ciotola quello che a lume di naso doveva essere un impasto per biscotti. Le lanciò una rapida occhiata, e continuò il suo lavoro.

Nova girovagò davanti all'immensa rastrelliera portaspezie che stava attaccata alla parete. Vi si allineavano centinaia di bottiglie di vetro soffiato, contenenti foglie e polveri e cristalli, nonché certi strani prodotti cui Nova pensò ch'era meglio non cercare di attribuire un nome. Molte varietà erano evidentemente di origine geana. Ma il problema, per Nova, consisteva nel fatto che anche le altrettanto numerose spezie terrestri erano comunque etichettate in scrittura titanide, accuratamente incisa sul vetro.

Sollevando i turaccioli e annusando alcuni probabili candidati riuscì a identificare la radice di aristolòchia; poi, dopo altri tentativi andati a vuoto, qualcosa che all'odore pareva estratto polverizzato di cubèbe. Anche il colore era quello giusto, e così pure il sapore. Dopo di che, rimase bloccata.

— Forse potrei essere d'aiuto?

Per la sorpresa fece un salto, cosa non da poco in quella bassa gravità. S'era impegnata così strenuamente a ignorare l'esistenza del titanide, che ne aveva dimenticato la presenza.

— Ne dubito — rispose. Per un qualche motivo l'imbarazzava sentirsi rivolgere la parola da quegli esotici animali. Pretendevano di atteggiarsi a esseri umani, ma ci riuscivano piuttosto male.

— Proviamo — suggerì Serpentone.

— Be'… mi domandavo se… se non avresti un po' di cardamomo.

— Grande o piccolo?

— Come?

— Noi ne usiamo due varietà. Quella grande…

— Sì, sì, lo so. Mi serve quella piccola.

— Vuoi la corteccia essiccata o il seme triturato?

— Il seme, il seme! — Ciò che le dava più fastidio era il fatto d'essersi lasciata coinvolgere in quella conversazione. Comunque Serpentone le porse un vasetto, e Nova ne fece cadere, picchiettando, un pizzico di spezia su una striscia di carta, che richiuse ripiegandola. Poi lui l'aiutò a trovare il cinnamomo. Era evidente che si stava chiedendo cosa mai quella ragazza avesse intenzione di cucinare, e che, di qualunque cosa si trattasse, lui non approvava.

— Qualcos'altro?

— Hmmm… ce l'avresti un po' di benzoino?

Serpentone increspò compostamente le labbra.

— Quello dovresti andare a cercarlo nell'armadietto dei medicinali. — Non poteva sussistere alcun dubbio circa il fatto che la sua opinione sulla ricetta di lei fosse ulteriormente peggiorata. — Ha un'etichetta che riporta la dicitura "benzoino" nella vostra lingua. — Esitò, parve sul punto di rivolgerle una domanda, ma Cirocco lo aveva avvertito di andarci coi piedi di piombo, trattando con quell'umana. — Se può interessarti — continuò — nella soluzione non è presente alcun residuo di cianuro di potassio, ma potrebbero esservi tracce di alcool.

Nova stava per dirgli che le serviva il balsamo in forma di gommoresina, e non in soluzione acquosa, ma decise di lasciar perdere. Corse di sopra in infermeria, locale che aveva già individuato, e nel quale aveva già fatto incursione per procurarsi altri ingredienti.

Tornata nella sua stanza chiuse la porta, tirò le tende, accese una candela e si spogliò completamente. Sedette quindi sul pavimento a gambe incrociate, e versò piccole quantità dei suoi ultimi acquisti nel piattino di metallo che aveva adibito a crogiolo, aggiunse un po' d'acqua e rimestò con un dito. Servendosi d'uno spillo si fece uscire qualche goccia di sangue dal pollice e la versò nell'intruglio aromatico, che intanto, stimolato dal calore della candela, incominciava a dar segno d'una certa effervescenza. Quando il bollore fu ben avviato, Nova si strappò tre peli dal pube, li sbruciacchiò alla fiammella e li aggiunse alla pozione.

Un dito di vodka sgraffignato dalla credenza del soggiorno indusse ben presto la mistura a sfrigolare con una bella fiamma azzurrognola. Nova continuò nell'operazione di cottura fino a ottenere pochi grammi di polvere grigiastra. L'annusò, e fece una smorfia. Be', tanto non ne avrebbe usata molta. Le dava qualche preoccupazione la non perfetta corrispondenza del benzoino, come pure il fatto che la ricetta prevedesse l'uso di liquore di funghi invece che vodka. Ma trattandosi di magia bianca, e non di vera e propria stregoneria, avrebbe dovuto funzionare ugualmente.

Prese a strapparsi altri peli, continuando finché non incominciò a farle male sul serio, poi li attorcigliò e li annodò insieme, ricavandone un minuscolo pennellino dorato. Reindossò pantaloni e camicetta e andò a sbirciare fuori della porta. Quando fu certa di passare inosservata, attraversò di corsa il corridoio fino alla camera di Cirocco.

Una volta dentro, usò il pennellino per applicare minime tracce di polvere alle colonne del letto e sotto il cuscino. Poi s'infilò sotto il letto, tracciò una figura a cinque lati e vi lasciò nel mezzo un pelo pubico. Infine arretrò verso la soglia, aspergendo a ogni metro un'infinitesima quantità di polvere. Riattraversò il corridoio, continuando a intingere il pennellino nella bacinella e tracciando col miscuglio una sorta di sentiero fino alla propria stanza.

Quand'ebbe richiuso la sua porta, dovette appoggiarvisi per qualche istante. Il cuore le martellava, aveva le gote in fiamme. Si spogliò in fretta e si buttò sul letto. Usò il pennellino per tracciarsi un segno fra le mammelle, quindi se lo passò con gesto deciso in mezzo alle gambe mormorando un'invocazione. Ciò fatto appoggiò la bacinella sul pavimento dalla parte del muro, dove Robin non l'avrebbe veduta. Infine si rimboccò le coltri fino al collo e trasse un profondo, tremante sospiro.

Acquietati, cuore mio. La tua diletta giungerà.

Ma eccola d'un tratto saltare giù dal letto e precipitarsi all'immenso, stupendo tavolo da toeletta con lo specchio girevole. Diede fondo ai suoi cosmetici, incurante del fatto che alcuni di essi avrebbero potuto risultare insostituibili. Si truccò il viso con cura infinita, si mise il suo miglior profumo, e ritornò a letto.

E se il profumo avesse coperto l'aroma della pozione? E se a Cirocco non fosse piaciuto il rossetto? Lei in effetti non se lo metteva. A dire il vero non usava nessun tipo di cosmetico, ed era la donna più bella che Nova avesse mai veduto.

Singhiozzando, riattraversò di corsa il corridoio e andò a rifugiarsi in bagno. Sgombrò il campo d'ogni artifizio, poi si sentì male e vomitò il pranzo dentro il gabinetto. Ripulì accuratamente, si lavò i denti, e si affrettò a tornare a letto.

Doveva per forza essere amore. Cos'altro poteva far soffrire tanto?

Versò fiumi di lacrime, si lamentò, ridusse a brandelli le lenzuola. Ma Cirocco non venne.

Alla fine, a forza di piangere, si addormentò.

SETTE

In sogno, Cirocco aprì gli occhi.

Giaceva distesa supina sulla finissima sabbia nera. La sua testa riposava appoggiata allo zaino. La sabbia era perfettamente asciutta, così come il suo corpo. Spalancò le braccia e piantò le dita nella sabbia, rivolse in alto la punta dei piedi e sentì la sabbia scivolare sotto i calcagni, mosse le spalle e i fianchi in un lenta, sensuale traslazione circolare che incrementò di qualche centimetro l'incastonamento della nicchia sabbiosa modellata sui contorni del suo corpo. Esalò un profondissimo respiro, e si rilassò completamente.

Era consapevole di ogni muscolo, di ogni osso. La sua pelle vibrava d'una tensione indicibile, ciascuna terminazione nervosa attendeva di provare nuovamente quella strana sensazione.

Che venne, dopo un intervallo d'incommensurabile temponirico. Una piccola mano le accarezzava la gamba sinistra, dall'estremità del piede sino al ginocchio, e poi giù in senso opposto. Ne avvertiva distintamente il tocco. Quattro dita, un pollice, il polso. Non era una pressione accentuata, non era un massaggio, ma neppure il solletichìo d'una piuma. Lei osservava senza timore, come accade in certi sogni. Seguendo il movimento della mano invisibile, poteva vedere sulla trama della propria epidermide i lievi mutamenti provocati da quel passaggio.

Le s'inturgidirono i capezzoli. Chiuse gli occhi (sotto le palpebre non gravava una completa oscurità) e premette la testa all'indietro contro lo zaino, sollevando le spalle dalla sabbia e inarcando la schiena. La mano si spinse più su fino alla coscia, mentre un'altra si appoggiava a coppa sopra una mammella, passava dita leggere attorno alla convessità, titillava col pollice il capezzolo increspato. Cirocco sospirò, riadagiandosi sulla sabbia cedevole.

Senza uscire dal sogno, riaprì gli occhi.

Il paesaggio attorno s'era fatto più scuro. In quella terra di luce immutabile, sembrava che un crepuscolo stesse dilagando sopra il lago immoto. Cirocco gemette. Le sue gambe s'erano fatte pesanti, congestionate; le spalancò, offrendosi al cielo che si andava incupendo. I suoi fianchi parvero scaturire dal suolo stesso; li protese con forza verso l'alto, nel più antico dei gesti, quindi tornò a rilassarsi.

Una alla volta, le orme di due piccoli piedi apparvero a incavare la sabbia in mezzo alle sue gambe. Quindi si manifestò l'impronta delle ginocchia. La sabbia fremette in un brulichìo d'infiniti granellini, prima assumendo la forma di due gambe, poi facendo spazio al profilo dei fianchi mentre il fantasma, inginocchiatosi, mutava posizione. Entrambe le mani poggiavano sulle sue cosce, adesso, movendosi delicatamente avanti e indietro.

Cirocco richiuse gli occhi, e la sua visione migliorò immediatamente. Spettrali immagini del lago, della spiaggia opposta e del cielo pulsarono sotto le sue palpebre serrate. Si sollevò sui gomiti e lasciò ricadere la testa all'indietro. Attraverso la sottile barriera delle palpebre scorgeva alberi svettanti a convergere verso un punto del cielo. Il cielo era color del sangue. Piegò le gambe, sollevando le ginocchia divaricate. Ansimò, mentre quelle mani esploravano il suo corpo. Continuando a tenere gli occhi chiusi, alzò la testa.

Se guardava dritto innanzi a sé non vedeva altro che il palpitare delle sue stesse pulsazioni cardiache, le amorfe lampeggianti immagini fugaci delle proprie retine. Ma traslando l'asse ottico di lato, bene attenta a mantenere gli occhi chiusi, riusciva a percepire una figura inginocchiata fra le sue gambe spalancate. Pareva una raffigurazione cubista, osservabile contemporaneamente da ogni lato, un'entità stratificata il cui sviluppo in profondità sfuggiva all'onirovisione periferica, una presenza d'iridescenti vapori raggrumati da un viluppo di raggi di luna. Cirocco sapeva cos'era, e non lo temeva.

Nel sogno aprì gli occhi su una tenebra quasi assoluta.

L'ombra era lì inginocchiata. Sentì le sue mani scenderle lungo le cosce e dispiegarlesi sul ventre, vide chinarsi il diafano volto appassionato, sentì la carezza delle sue chiome fluenti, percepì il vellichìo del suo respiro caldo, e il bacio delicato, il bacio sempre più incalzante, il dischiudersi bramoso di bocca e vulva, la penetrazione della lingua, le mani contornanti i fianchi per scendere ad afferrarle forte le natiche sollevando il suo grembo dal cedevole giaciglio di sabbia.

Rimase per un istante come pietrificata. La testa abbandonata all'indietro, la bocca spalancata ma incapace di emettere anche un solo suono. Quando infine riuscì con un singulto a espirare, il respiro ritrovato divenne un gemito che andò a plasmarsi in una parola sussurrata.

— …Gaby…

Un'oscurità impenetrabile l'avvolgeva. Cirocco protese le braccia, immerse le mani tra i folti capelli di Gaby, scese a carezzarle il collo, le spalle, serrò tra le gambe quel corpo minuto, e Gaby risalì a baciarle il ventre, le mammelle, il collo. Cirocco sentì scorrere su di sé l'inobliata pienezza di quei seni grevi, la flessuosità delle dilette membra meravigliosamente gravarle addosso. Le sue mani esplorarono avide l'impossibile solidità del corpo di Gaby. Udì il respiro di Gaby alitarle vicino a un orecchio, s'inebriò del composito effluvio che inconfondibilmente apparteneva a Gaby. E pianse.

In sogno, Cirocco richiuse gli occhi.

Vide lacrime negli occhi di Gaby, e un sorriso sulle sue labbra. Si baciarono. La nera, nera chioma di Gaby circonfuse i loro volti.

Aprì gli occhi. Stava tornando la luce. Gaby continuava a giacere su di lei. Si scambiarono teneri ciangottii inarticolati, mentre un fievole lucore crepuscolare scendeva lento a rischiarare il mondo. Cirocco rivide il volto amato. Lo baciò. Gaby rise piano. Poi puntò le mani sulla sabbia e si mise in ginocchio, sistemandosi a cavalcioni di Cirocco. Le porse una mano e si alzò in piedi, tirandosela dietro. La sabbia aderiva come carta moschicida. Dovette far forza, per riuscire ad alzarsi. Quando infine furono in piedi, Gaby fece volgere Cirocco e le additò il suolo. Cirocco vide il proprio corpo disteso sulla sabbia, immobile.

— Sono morta? — chiese. Non sembrava una domanda importante.

— No, miadorata. Non sono l'angelo della morte. Camminiamo un poco insieme. — Gaby le passò un braccio attorno alla vita, e andarono fianco a fianco lungo la spiaggia.

Nel sogno si parlarono. Ma non con ampie frasi. Bastò qualche parola, di tanto in tanto. Antiche pene, antiche gioie tornarono alla luce dispiegandosi sotto il cielo giallo di Giapeto, ed esse ne piansero insieme, ne risero insieme, riponendole poi con cura al loro posto. Rammentarono cose avvenute un secolo prima, ma non un solo accenno agli ultimi vent'anni. Quei due decenni neppure esistevano, per le due vecchie amiche.

Venne infine per Gaby il momento di andare. Cirocco si avvide che i piedi di Gaby non calcavano più la sabbia, e cercò di trattenerla, ma la piccola figura di lei continuò a innalzarsi pian piano verso il cielo mentre, come accade nei sogni, i movimenti di Cirocco si facevano troppo deboli e lenti per riuscire a evitare quel distacco. Furono momenti di grande tristezza. Quando Gaby se ne fu andata, Cirocco rimase lì sola a piangere un poco, nella luce ormai piena.

È tempo di svegliarsi, pensò.

Poiché nulla accadeva, volse lo sguardo lungo la spiaggia. Due serie di orme portavano sino al punto in cui lei si trovava, stanca e demoralizzata.

Chiuse gli occhi e si schiaffeggiò le guance. Quando li riaprì, la situazione le apparve immutata. Ritornò dunque sui suoi passi costeggiando l'acqua.

Nel camminare si osservò i piedi nudi, che scavavano nuove impronte accanto alle tracce orientate in direzione opposta. L'Uccello-che-non-c'è, pensò, e non le riuscì di ricordare da dove venisse fuori quell'espressione. Stai invecchiando, Cirocco.

Il suo corpo attendeva a breve distanza dall'acqua, in un punto in cui la sabbia era abbastanza asciutta e fine da poterci riempire delle clessidre. Giaceva con la testa appoggiata sullo zaino, le mani conserte in grembo, le gambe allungate al suolo e incrociate all'altezza delle caviglie. Gli s'inginocchiò accanto. Il corpo respirava con ritmo lento e regolare.

Ne distolse lo sguardo per portarlo… su se stessa. Sul corpo nel quale viveva. Ne riconosceva ogni particolare. Si palpò, si stropicciò le mani, ne sollevò una cercando di vedervi attraverso ma senza riuscirci. Si pizzicò una coscia e osservò l'arrossamento della pelle.

Dopo un poco tese una mano verso il corpo disteso e ne toccò un avambraccio. Nessun dubbio che si trattasse di una presenza distinta, estranea alla percezione che Cirocco aveva di sé. Una dicotomia, dunque, assolutamente normale, ma complicata da un'imprevista e inquietante alterazione. E se quel corpo si fosse tirato su a sedere e avesse incominciato a chiacchierare?…

Era decisamente ora di svegliarsi, concluse Cirocco.

O di andare a dormire.

Fece appello all'esperienza di un intero secolo di vita, interrogando la saggezza delle sue viscere e la consapevolezza della sua mente, e finì per imbattersi in una nozione, inesprimibile a parole, che le solleticò l'anticamera del cervello. Inutile tentare di rifletterci a fondo. Non sempre, su Gea, una razionale costruzione di pensiero costituiva il miglior modo di affrontare i casi della vita. Strane cose accadevano, e non tutto poteva venire spiegato.

Lasciò dunque che il suo istinto prendesse il sopravvento. Senza fermarsi a ragionare, chiuse gli occhi e si sbilanciò in avanti, girando su se stessa mentre cadeva. Avvertì per un istante il contatto con la pelle dell'altro corpo, una curiosa ma tutt'altro che spiacevole impressione di pienezza in qualche modo paragonabile a certe sensazioni della gravidanza, poi si trovò a rotolare sulla sabbia. Riaprì gli occhi, si mise seduta. Era sola.

Le orme impresse al suolo apparivano immutate. Due serie di tracce che si allontanavano, una che tornava.

Si spostò carponi fino alla sabbia più compatta e umida che preludeva all'acqua. Scelse una delle impronte piccole — bene arcuata, cinque dita chiaramente individuabili come singole cavità — e percorse leggermente con la punta delle dita l'interno degli avvallamenti. Passò all'impronta successiva, abbassandosi poi fin quasi a toccarla col naso. Percepì abbastanza distintamente l'aroma di Gaby. Le orme grandi, quelle che lei stessa aveva impresso, non le restituirono invece, come di consueto, alcuna impressione olfattiva. Cirocco, sebbene dotata di un senso dell'odorato disumanamente acuto, non riusciva peraltro a distinguere la propria pista dal suo stesso onnipresente effluvio.

Avrebbe voluto indugiare a riflettere, ma d'improvviso fiutò qualcos'altro, ancora molto distante eppure inconfondibile. Raccattò di slancio lo zaino e spiccò la corsa, alla massima velocità, in direzione di Tuxedo Junction.

OTTO

Robin ciarlò ininterrottamente per quasi un riv.

Chris se l'era aspettato, e non ci fece caso. La piccola strega, sull'onda del ringiovanimento, sprizzava energia da tutti i pori. Era in parte una questione di natura chimica, la spinta di misteriose sostanze che impetuosamente le si agitavano nel sangue, penetrando in ogni cellula per operarvi le loro trasformazioni. E in parte una questione psicologica, del tutto comprensibile. Robin appariva ringiovanita di cinque anni, e si sentiva bene come non mai negli ultimi dieci. Il risultato era una via di mezzo fra l'aver fatto uso di anfetamine e l'esser preda di una psicosi maniaco-depressiva. I picchi positivi, quasi insostenibili nella loro intensità, proiettavano ad altezze himalaiane; quelli negativi, misericordiosamente brevi, inghiottivano lacerando. Chris se lo ricordava bene.

Per lui, ormai, non era più un'esperienza così esaltante. Dopo ogni visita alla fontana continuava a sentirsi bene come in passato, ma si trattava di una condizione del tutto passeggera, che andava a mutarsi in sofferenza nell'arco di pochi riv. La sentiva nascere lungo la colonna vertebrale e sulle tempie, ma non se ne dava pensiero. Erano semplici dolori legati al suo processo di trasformazione.

Incapace di restarsene seduta, percorrendo avanti e indietro la stanza pentagonale che Chris aveva costruito e internamente tappezzato di pannelli in rame recanti rievocazioni di lei, Robin sciorinò con instancabile vivacità gran parte della storia della propria vita. Chris rimase semplicemente seduto al tavolo che occupava il centro dell'ambiente, annuendo al momento opportuno, fornendo risposte non impegnative quando gli pareva che la buona creanza lo richiedesse, e continuando a rimirare la solitaria candela che gli stava dinnanzi.

Infine Robin ritrovò la calma. Si appollaiò sull'alto sgabello dall'altra parte rispetto a Chris e appoggiò i gomiti sul tavolo, fissando la candela con occhi più luminosi della fiamma. Pian piano il suo respiro si acquietò, ed ella spostò lo sguardo dalla candela al volto di lui.

Era come se lo notasse per la prima volta. Dopo diversi tentativi andati a vuoto, le riuscì finalmente di spiccicar parola.

— Mi dispiace — disse.

— Non è il caso. Ti assicuro ch'è una gioia assistere a tanta esuberanza. E siccome hai la tendenza a essere piuttosto riservata, in questo modo mi sono risparmiato un sacco di domande.

— Grande Madre, quanto ho chiacchierato! Proprio non riuscivo a fermarmi, sai, dovevo assolutamente raccontarti…

— Lo so, lo so.

— Chris, ma questo è un fatto… miracoloso! — Si guardò il braccio, contemplando il tatuaggio sfavillante di colori. Si sfregò la pelle per la centesima volta, incredula, mentre sul volto le balenava un ultimo barlume del timore che quel prodigio potesse venir via.

Chris allungò una mano ad afferrare la pingue candela e la rigirò tra le dita inclinandola sulla base, osservando con aria imbronciata la cera sgocciolare lungo i fianchi.

— Sì, è meraviglioso — assentì. — È uno dei pochi luoghi sui quali Gea non ha potere. Vedendolo, ti rendi conto che questo dev'essere stato davvero un posto favoloso per viverci, tanto tempo fa.

Robin alzò la testa con decisione e lo fissò. Chris non fu capace di reggere quello sguardo.

— Allora — disse Robin. — Mi hai chiesto di venir qui per discutere di qualcosa. Hai parlato di una proposta. Vuoi dirmi di che si tratta?

Accigliato, lui seguitò a far finta d'interessarsi alla candela. Sapeva che Robin apprezzava la franchezza e si sarebbe spazientita, se avesse avvertito che lui continuava a menare il can per l'aia. Ma non riusciva a trovare il modo d'incominciare.

— Che progetti hai, Robin?

— In che senso?

— Dove hai pensato di stabilirti? Cosa pensi di fare?

Robin prese un'aria stupita, poi diede attorno un'altra rapida occhiata al bizzarro ambiente che lui aveva creato.

— Temo proprio di non averci ancora riflettuto. Quell'uomo, Conal, ha detto che non avresti avuto nulla in contrario se fossimo rimasti qui per un poco, e allora…

— Puoi esserne certa, Robin. Questo luogo appartiene a tutti i miei amici. Sarei felice se tu volessi farne la tua casa. Per sempre.

Lei lo guardò con gratitudine, ma anche con un pizzico di diffidenza.

— Ti ringrazio, Chris. Sarà bello trascorrere qui un po' di tempo, in attesa di prendere qualche decisione.

Lui sospirò, fissandola dritto negli occhi di là dal tavolo. — Adesso ti farò una richiesta precisa. Spero che vorrai considerarla attentamente, prima di rispondermi. E spero che sarai sincera.

— Benissimo. Ti ascolto.

— Voglio Adam.

Il viso di lei si raggelò. Per un tempo interminabile Robin rimase inerte come una statua di sale.

— Cosa provi in questo momento? — le chiese Chris.

— Rabbia — rispose lei con voce inespressiva.

— No, subito prima. Un attimo prima d'indossare la tua corazza.

— Gioia — disse, e si alzò.

Sì avvicinò al bassorilievo in rame che la raffigurava sulla parete di fondo, percorrendolo lentamente con la mano. Poi si volse a fronteggiare Chris.

— Pensi che sia una cattiva madre?

— Siamo rimasti separati per vent'anni. Non lo so. Ma vedo Nova, e mi rendo conto che nei suoi confronti tu sei una buona madre.

— E per Adam? Credi che anche per lui io sia una buona madre?

— Credo che ti sforzi di esserlo, e ho l'impressione che ciò provochi in te un conflitto.

Lei tornò al tavolo, trasse a sé lo sgabello e ci si arrampicò. Giunse le mani appoggiandosele davanti, e guardò Chris.

— Sei una persona intelligente, Chris, ma non è detto che tu sia un genio. Ti ho già raccontato che per poco non lo uccisi, appena nato. Forse stenterai a capire una cosa del genere, ma… se davvero lo avessi soppresso, non mi sarei sentita un'assassina. Perché sarebbe stata quella, la cosa giusta da fare. Lasciarlo in vita mi ha rovinato politicamente, socialmente… quasi in tutti i modi possibili. Però vorrei che tu ti convincessi che nessuno di quei fatti ha avuto alcun peso nella mia decisione.

— Non ho difficoltà a crederlo. Le opinioni altrui non sono mai state molto importanti, per te.

Lei gli fece un gran sorriso, e per un attimo parve tornata ai suoi diciannove anni.

— Ti ringrazio. Ma vedi, per un po' le opinioni degli altri furono molto importanti. Penso che non mi avresti riconosciuta. Quando però lui lasciò il mio corpo uscendo alla luce, mi feci un bell'esame di coscienza. E da allora non ho più smesso.

— Lo ami?

— No. Provo per lui un grande affetto. E sarei pronta a morire per difenderlo. I miei sentimenti nei suoi confronti… no, dire che sono ambivalenti non rende affatto l'idea. Forse lo amo davvero. — Sospirò. — Però Adam non fa nascere in me nessun conflitto. Ho fatto pace con lui e con il nostro comune destino, e sarò una buona madre.

— Non ne ho mai dubitato.

Lei lo fissò aggrottando la fronte, e fece un ampio gesto con la mano.

— Allora non capisco.

— Robin, io non ho mai avuto intenzione di salvarlo da te, e mai ho neppure immaginato che potesse averne bisogno. — Per un istante il suo volto s'incupì. — Comunque debbo ammettere che Nova mi dà qualche pensiero.

— Anche lei è giunta vicina a ucciderlo.

— La cosa non mi sorprende. È molto simile a com'eri tu quando avevi la sua età.

— Io ero peggiore. La differenza tra me e lei consiste nel fatto che io sarei riuscita sul serio a ucciderlo, e lei invece no. E il motivo per cui non ci sarebbe riuscita, è che in effetti non ne aveva l'intenzione. Infatti scelse un momento in cui non potevo fare a meno di sorprenderla, e simulò quel gesto disperato più che altro allo scopo di verificare se avrei davvero cercato di fermarla.

— Credi che adesso Adam non debba temere nulla da lei?

— Nel modo più assoluto. Ha dato la sua parola. Ricordi quale importanza aveva per me un giuramento? Bene, e allora tieni presente che in confronto a Nova io avrei potuto essere tranquillamente considerata una vanerella senza spina dorsale. — Prese la candela dal centro del tavolo e la spostò da una parte. — E adesso potresti dirmi qual è il vero motivo per cui mi hai chiesto Adam?

— Perché sono suo padre. — Trasse un respiro profondo. — Bisognerà che tu mi spieghi diverse cose. Innanzitutto com'è congegnata una famiglia nella Congrega. Non so come funzioni la faccenda, visto che siete tutte donne. Che fate, vi sposate fra di voi? E i bambini hanno uno o due genitori?

Robin si prese qualche istante per rifletterci, e infine fece una smorfia.

— Ne parlai un poco a Gaby, tanto tempo fa, e lei mi spiegò qualcosa delle usanze eterosessuali. Ricordo che arrivai alla conclusione che non si tratta poi di due stili di vita tanto differenti. Circa il trenta o il quaranta per cento di noi formano un legame di coppia e lo portano avanti. Anche le altre, quasi tutte, cercano d'impostare un rapporto duraturo, ma l'unione va in pezzi entro pochi anni. Più o meno un dieci per cento tengono rigorosamente scissa la vita sessuale da quella familiare, hanno amori occasionali o periodici e sono contente così.

— Genitori separati — osservò Chris. — Nel posto dove sono cresciuto io, la quota dei divorzi si aggirava sul settantacinque per cento. Ma ora sto parlando della mia educazione, della mia percezione di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. E io sento che un padre ha delle responsabilità, nei confronti dei propri figli.

— Come la mettiamo con Nova? Anche lei è figlia tua.

— Temevo appunto che tu me lo chiedessi. Non è più una bambina, d'accordo, ma rimane ancora parte di me, e cercherò di agire anche nel suo interesse.

Robin scoppiò a ridere.

— Però non dovresti dirlo così a denti stretti, perché in questo modo m'induci un poco a dubitare delle tue intenzioni…

— Non sarà una passeggiata, te lo concedo.

— Dai, non ti preoccupare. Nova è un sacco di cose, ma facile da amare, questo proprio no. Comunque, lasciando un momento da parte la questione, ed evitando di addentrarci in quella tua idea di fare ciò ch'è giusto per Nova, di qualunque cosa possa trattarsi… insomma, ancora non m'hai detto veramente perché vuoi Adam. Soltanto perché sei suo padre?

Chris allargò le mani sul tavolo e rimase lì a fissarle… grandi, irruvidite dal lavoro, e in quel frangente del tutto inutili.

— Non so se riuscirò a spiegarmi. — Si accorse d'essere assai prossimo alle lacrime. — Mi sento disorientato… pieno di dubbi… — Accennò con una mano alle proprie orecchie, mezzo nascoste tra la profusione di capelli. Erano lunghe e appuntite. — Sto cambiando. L'ho chiesto io, e lo volevo davvero… almeno credo. Ormai è un po' tardi per tornare indietro. Io e Valiha… oh, accidenti, non è un discorso da affrontare adesso, come faccio a parlartene ora…

Si nascose il viso fra le mani, e pianse. Pareva non esserci modo di farle capire.

Abbandonato al pianto, perse la nozione del tempo. Quando rialzò la testa constatò che lei era ancora al suo posto e lo fissava incuriosita. Gli rivolse un sorriso lieve, inteso probabilmente a rassicurarlo. Chris si asciugò gli occhi.

— Ho l'impressione che qualcuno m'abbia giocato un brutto tiro. Eppure ho aiutato Serpentone a venire al mondo, per me è come un figlio, e lo amo teneramente. Amo tutti i titanidi. E un giorno sarò uno di loro.

— Quando?

— Non lo so. Rientra fra le mie incertezze. È un processo misterioso. Interminabile. E inoltre sta cominciando a diventare doloroso. Immagino che farei ancora in tempo a fermarmi, e rimarrei bloccato per sempre in questa condizione intermedia fra l'umano e il titanide. Vedi, Robin… i titanidi non sono umani. Sono migliori e peggiori, simili eppure diversi, ma comunque non sono umani. Il novantanove per cento di me vuol'essere titanide, e così… così non potrò più soffrire come ho sofferto per tanto tempo. E poi capirò Valiha, e forse riuscirò anche a spiegarle il perché di certi miei comportamenti. Però rimane sempre quel fastidioso uno per cento, spaventato a morte dalla prospettiva di smarrire definitivamente la propria umanità.

— Allora sei tu, quello ch'è lacerato da un intimo conflitto…

— Una definizione calzante, tutto sommato.

— Quindi Adam incarnerebbe il tuo ultimo legame con la natura umana.

— Sì. E io sono comunque suo padre, a prescindere da quanto tortuoso possa essere stato il procedimento che ha creato questa parentela.

Robin si alzò, accostandosi nuovamente alla parete. Chris prese la candela e la raggiunse. Tenne alta la piccola fiamma, mentre Robin sfiorava i bassorilievi in rame.

— Mi piace — disse.

— Grazie.

— All'inizio non credevo, ma dev'essere una cosa che convince piano piano. — Seguì delicatamente i contorni della propria immagine, movendo un dito lungo la convessità del ventre gravido. Si rivolse a Chris.

— Perché mi hai raffigurato incinta?

— Non lo so. Non è stata una scelta cosciente.

— E poi hai tralasciato… — Si poggiò le mani sull'addome, nel punto in cui sino a poco prima aveva recato un orrendo tatuaggio, un mostruoso, provocatorio, disperato graffito che una fanciullina orgogliosa aveva voluto scarabocchiare sul proprio corpo. La prodigiosa fonte l'aveva portato via. Ed era come se non fosse mai esistito.

— D'accordo, prendilo — gli disse.

Per un istante Chris non riuscì a credere di averla intesa bene.

— Ti ringrazio.

— Dalla tua faccia non si direbbe che ti aspettassi di convincermi…

— E infatti non me l'aspettavo. Cosa ti ha fatto cambiare idea?

Un pensiero divertito guizzò a deporle un ricciolo d'irrisione in canto di labbra.

— Quante cose hai scordato, di me… Questa decisione l'avevo già presa circa mezzo secondo dopo avere udito la tua richiesta. Ma poi ti ho lasciato esporre le tue motivazioni, perché volevo essere certa di non essermi semplicemente lasciata attrarre dalla soluzione più facile.

Chris era così esultante che la sollevò facilmente come fosse una bambina, e si mise a baciarla, mentre lei rideva facendo finta di respingerlo.

Stavano ancora ridendo tutti e due quando l'urlo li colpì. La vibrazione penetrò nel cervello di Chris, superandone d'un balzo l'area conscia per immergersi direttamente a innescare una reazione così basilare da identificarsi con un riflesso istintivo, ed egli giunse in piena corsa a varcare d'impeto la soglia molto prima d'aver compreso chi avesse lanciato quel grido.

NOVE

Rocky e Valiha si trovavano a due chilometri da Tuxedo Junction, in uno dei pochi tratti di terreno aperto e pianeggiante disponibili in quella zona, impegnati a tirare un aratro alla maniera degli animali da traino che essi, nel modo più assoluto, non erano. Il paragone non li avrebbe infastiditi. Un agricoltore titanide usa precedere il vomere invece di seguirlo, tutto qui.

I titanidi sono infallibilmente onesti e leali, e possiedono un incrollabile senso dell'equità. Pagano sempre i loro debiti. Non si sognerebbero mai di accettare vitto o alloggio senza dare qualcosa in cambio. E sanno benissimo come conciliare il pagamento di un debito col rispetto di un legittimo interesse personale.

A Rocky e Valiha piaceva visitare Tuxedo Junction, stare in compagnia di Chris nel suo fantastico nido d'aquila, e mangiar bene. C'erano alcuni prodotti del suolo che non riuscivano ad attecchire nella giungla geana, e crescevano rigogliosamente solo alla luce, in pianura, e lontano da antagonisti vegetali. Ecco quindi la necessità dell'aratura. Chris non avrebbe potuto occuparsene da sé, ma disponendo di ampio terreno dissodato era in grado di ottenere più abbondanti raccolti e d'imbandire una tavola più ricca. E i conti tornavano a puntino per tutti.

Avevano lavorato circa un ettaro. Rocky si godeva il profumo esalante dal terreno appena rimosso. Era bello mettere in gioco le proprie energie, sentire gli zoccoli che penetravano nel suolo, udire il cigolìo dei finimenti, vedere il ricco terriccio marrone fumare del calore endogeno di Gea. Era bello strofinare il proprio fianco contro quello di Valiha. Il giallo era sempre stato il suo colore preferito, e gialli erano appunto i Madrigali.

La conosceva da poco. In effetti aveva sentito parlare di lei sin da quando era nato, poiché Valiha aveva compiuto quella terribile spedizione insieme al Capitano, famosa in leggende e canzoni. E conosceva suo figlio Serpentone già da molti miriariv. Ma aveva incominciato a stringere amicizia con Valiha solo da circa sette chiloriv.

Nel corso dell'ultimo chiloriv se n'era innamorato. Ciò lo aveva sorpreso. Anche i titanidi, al pari della specie intelligente cui maggiormente si apparentano, possono avere le loro stravaganze, e Rocky nutriva, nei confronti degli Assoli Eolii, un preconcetto che lo induceva a non amarli. Sapeva bene che si trattava di un sentimento irrazionale, in quanto l'egoismo di voler generare una propria copia geneticamente identica, senza l'intervento di alcun altro titanide, era un atteggiamento che riguardava unicamente la genitrice dell'Assolo. Sua figlia, così come qualunque altro bambino, sarebbe nata scevra di colpe… purtuttavia, trattandosi di una copia, poteva anche essere logico supporre che avrebbe condiviso l'egoismo della madre.

Valiha era un Assolo Eolio.

Giunsero al termine di un solco. Si sentivano entrambi gradevolmente sudati, e un poco stanchi. Valiha mise mano alle fibbie dei suoi finimenti, e Rocky fece altrettanto. Si liberarono dall'aratro, e Valiha trotterellò qualche passo avanti, poi si volse a coda eretta e tornò a fermarsi accanto a Rocky, orientata dalla parte opposta rispetto a lui. Si chinò, allungandogli una mano sotto il ventre a comprimere il rigonfiamento carneo che inguainava il suo pene posteriore.

— Sono arrapata — cantò. — Ti andrebbe una chiavatina?

— Mi pare una buona idea — intonò Rocky di rimando, e le trottò attorno sino a piazzarlesi posteriormente.

Ciò che essi veramente espressero nel loro canto fu assai più di quanto riferito, ma non v'è linguaggio umano in cui si possa agevolmente trasporre il melodioso idioma titanide. La frase di quattro note pronunziata da Valiha suonò peraltro improntata a un tono di rozza immediatezza del quale termini come "chiavatina" e "arrapata" possono rendere un'idea. Anche il modo in cui lei si mosse, tuttavia, faceva parte della sua proposta, e nella sua frase era incluso il concetto che sarebbe stato Rocky a montare lei, e non viceversa. La replica di Rocky, d'altra parte, fu ben più di un semplice assenso. Si potrebbe dire che il breve dialogo e le movenze a esso collegate facevano parte di un cerimoniale rigidamente strutturato.

Valiha divaricò le zampe di dietro e abbassò leggermente il posteriore. Rocky alzò le zampe anteriori posandogliele delicatamente sul dorso, le si mise a cavalcioni, la penetrò. Poi l'abbracciò all'altezza del torace, e lei tese le braccia all'indietro afferrandogli saldamente le zampe anteriori. Valiha arrovesciò la testa verso di lui e si baciarono, copulando quindi gioiosamente appassionatamente vigorosamente per due buoni minuti sino a raggiungere gli attesi orgasmi posteriori: i quali, per motivi profondamente legati alla neurofisiologia titanide, avvengono sempre contemporaneamente. Rocky rimase in posizione ancora per qualche attimo, con le mammelle che premevano forte contro la possente schiena di Valiha, poi arretrando ridiscese.

Lei gli domandò se poteva rendergli il servizio, ma egli declinò l'offerta; non però in quanto non desiderasse venir montato, cosa che invece gradiva assai, bensì a causa di serie e intime motivazioni che gli occupavano i pensieri.

S'impennò dunque dinnanzi a lei levando alte le zampe anteriori e andò a fermarlesi di fronte, alla distanza di pochi centimetri. Valiha gli sorrise, gli pose un braccio su una spalla e volse leggermente la testa per baciarlo, poi si accorse della sua erezione frontale. Parve sbigottita, tuttavia non si sottrasse.

— Ma signore, io vi conosco appena — cantò in tono cerimonioso.

— Poco tempo è trascorso — riconobbe lui. — Ma un amore impetuoso come il mio talvolta cresce in fretta, alla maniera di coloro-i-quali-incedono-su-due-gambe. S'ella si degnasse di consentire, ardirei proporre un'unione, alla mia signora.

— Cantatemelo, adunque.

— Un trio. Con me come retromadre. Non ricordo se mi avvenne di accennarvi, però mai mi toccò in sorte tale ruolo.

— Siete giovane ancora.

— Non lo nego.

— Mixolidio?

— Lidio. Con Serpentone in qualità di retropadre.

Lei chinò lo sguardo pensierosa.

— Diesis? — cantò.

— Sì.

Ciò che Rocky aveva suggerito era un Trio Lidio Diesis, uno dei più comuni fra i Ventinove Modi. Lui e Valiha avrebbero avuto un rapporto frontale per produrre un uovo semifecondato: Rocky avrebbe fatto da antepadre, Valiha da antemadre. L'uovo sarebbe poi stato attivato da Cirocco Jones, impiantato nel grembo di Rocky e definitivamente fecondato da Serpentone: con Rocky come retromadre, e Serpentone come retropadre.

La osservò ponderare i risvolti della combinazione. La genetica era materia d'istintiva percezione, per i titanidi, come di oscura comprensione per gli umani. Rocky sapeva già che Valiha non avrebbe rilevato pecche, nella sua proposta, sebbene il fatto ch'ella fosse retromadre di Serpentone avrebbe potuto farla apparire un'unione incestuosa, agli occhi di un umano. Ma per i titanidi l'incesto rappresentava un problema genetico solo in alcuni casi limitati, mentre dal punto di vista morale non era un problema affatto.

— È un buon accoppiamento — cantò infine Valiha. — Meriterà attenta considerazione.

— Come la mia signora desidera.

— Purtuttavia, signore… — incominciò Valiha, ma poi ripiegò su uno stile meno cerimonioso. — Accidenti, Rocky, sto incominciando sul serio ad amarti, e tu sei un eccellente compagno, però i tempi in cui viviamo mi danno inquietudine…

— Ti comprendo, Valiha. Il mondo gira dalla parte sbagliata.

— E io non saprei dire se sia opportuno far nascere i nostri figli in un mondo come questo.

— Ma ai tempi della tua retromadre, non eravamo forse in guerra contro gli angeli?

Valiha annuì, e si asciugò una lacrima. Poi si sforzò di sorridere.

— Hai ragione. E Serpentone ne sarà entusiasta. Gliene hai già parlato?

— Nessun'altra creatura mortale condivide il nostro segreto.

— E allora ti prego, tienilo serrato nel tuo cuore sinché il mondo non abbia ruotato mille volte ancora. Poi otterrai da me la risposta che domandi.

Nello scambiarsi l'ennesimo bacio, udirono Serpentone sbucare dalla giungla al gran galoppo. I suoi zoccoli suscitavano fontane di terra mentr'egli attraversava come una saetta il campo arato.

— E dire che vi credevo intenti all'aratura! — cantò. — Mi sentivo così in colpa, tranquillo in casa a cucinare, col solo fardello di quella selvaggia creatura umana, mentre voi due faticavate come umili braccianti. E allora son corso da voi, ma ecco che vi trovo…

Si fermò di colpo, conficcandosi al suolo con tutti e quattro gli zoccoli, e per due lunghi secondi rimase perfettamente immobile. Poi s'impennò sulle zampe posteriori, ruotò completamente su se stesso e riscappò via come il vento sulle proprie orme.

— Zombi! — gridò in inglese, ma a quel punto Rocky e Valiha avevano ormai fiutato anche loro l'inconfondibile sentore, ed erano già in piena corsa.


— Salvi un moccioso, e che cosa te ne viene? — si stava domandando Conal. Diede un'occhiata ad Adam. Un filino di saliva gli colava giù per il mento. — Ti tocca diventare un baby-sitter, ecco che cosa!

Sbadigliò, sprofondandosi più comodo nel divano. Si trovavano in una stanza d'angolo al primo piano dell'edificio principale di Tuxedo Junction, una camera con un sacco di finestre e una bella vista sulla cascata. Nova era da qualche parte al piano di sopra, impegnata in qualcosa che per un poco aveva riempito l'aria di uno strano odore. Qualunque cosa fosse, l'aveva fatta vomitare. In precedenza se n'era andata in giro per tutta la casa, sgusciando qua e là furtiva come una spia. Da più di un'ora, comunque, non s'era risentita.

— Troppo furba, lei, per starsene col suo fratellino — disse ad Adam. Il bimbo lo fissò con aria solenne, poi gli tirò un uovo titanide.

Conal non se la prendeva neanche un po'. Anzi, godeva un mondo a farsi maltrattare da quel marmocchietto.

Tipino in gamba, non c'è che dire. Innanzitutto non era un bercione. E poi sveglio come un aquilotto, e forte come un torello. Fra un anno o giù di lì, non appena si fosse retto bene sulle gambe, magari avrebbe potuto fargli incominciare i pesi. L'ossatura ce l'aveva.

…Senza contare che Conal, in fin dei conti, era proprio fiero che Robin si fidasse di lui al punto da lasciargli il bimbo.

L'aveva sistemato nel mezzo del pavimento, con qualche trastullo ch'era riuscito a racimolare, e Adam sembrava felicissimo di starsene lì seduto a scaraventare in giro i suoi balocchi, per poi avventurarsi gattoni al loro recupero. Prediligeva fra tutti lo scaffalino pieno di vecchie uova titanidi. Sferiche, delle dimensioni di una palla da golf, in policromo assortimento. Erano troppo grandi perché riuscisse a cacciarsele in bocca, sebbene lui ci si mettesse d'impegno, e non si rompevano. In pratica, l'unico difetto che avevano consisteva nella loro tendenza a rotolare sotto i mobili, e Conal aveva ovviato erigendo una barriera di cuscini torno torno al bimbo, per un'ampiezza di quattro metri. Non erano poi troppe quelle che Adam riusciva a scagliare così lontano. Ignudo, zampettava qua e là dentro il suo recinto, cadendo un poco ma senza esagerare, e riscattando su come una molla tutte le volte che gli capitava. Conal vide Adam immobilizzarsi e incominciare a far pipì sul pavimento. Il grande si mise a ridere, al che il piccino si volse goffamente e incominciò a ridere pure lui.

— Ma! — strillò Adam. — Ni-De! Ma!

— Pii-pii — gli fece Conal alzandosi. — Bisogna che impari, signorino. Ripeti, "devo-fare-pii-pii". — Adam rise più forte, esprimendo il suo pieno consenso con grandi cenni della testolina.

Conal andò in bagno a prendere un asciugamano e lo usò a mo' di straccio sul pavimento. Era una scocciatura, ma d'altra parte bisognava aver pazienza. E poi sempre meglio così che i pannolini.

Si rimise a sedere, e i suoi pensieri, non per la prima volta, si rivolsero a Nova. Molto probabilmente era al piano di sopra che dormiva. Un accidente di problema, quella Nova. Davvero un accidente di problema. Come fare? Da che parte incominciare?

Non riusciva a farsi venire in mente nessuna tattica degna di questo nome. All'inizio aveva creduto che lei odiasse allo stesso modo tutti gli esseri viventi. Ultimamente, però, era giunto a nutrire la quasi certezza di occupare, nel cuore di lei, un posto speciale, giusto un gradino al di sotto dei serpenti a sonagli, dei pederasti e delle spirochete. Decisamente sfavorito, come punto di partenza, ma la risolutezza era sempre stata il suo forte.

Non così l'immaginazione, purtroppo. Né l'astuzia. Cirocco gli aveva detto che lui disponeva di un'ammirevole schiettezza, ma che ci voleva un poco per farci l'abitudine.

Quindi, allorché i suoi pensieri si volsero a Nova, non riuscirono a far altro che incanalarsi nel consueto, inattuabile schema. Egli stesso si rendeva conto ch'era un progetto ridicolo, e che sarebbe dovuto per forza intervenire un qualche cambiamento sostanziale, prima che lei incominciasse a considerarlo qualcosa di diverso da un mostro ripugnante… eppure ricadde nella solita, ricorrente fantasticheria. Incominciava con lui che si alzava dal divano e saliva al piano di sopra. Poi bussava alla sua porta. "Avanti!", avrebbe detto Nova. Lui sarebbe entrato, il volto atteggiato a un sorriso seducente. "Volevo solo vedere se avevi bisogno di qualcosa, Nova", avrebbe dichiarato. Poi — non aveva ancora ben definito i particolari di questa fase — si sarebbe trovato seduto sul letto accanto a lei, si sarebbe chinato a baciarla, le labbra di Nova si sarebbero dischiuse…

Nova urlò.

Un urlo spaventoso, raccapricciante, scaturitole dal profondo della gola. Conal s'era inoltrato con tanta partecipazione nei meandri del suo vagheggiamento seduttorio, che per un attimo di confusa perplessità annaspò nel tentativo di formulare le proprie scuse, poi si rese conto che quell'appello straziante veniva dal mondo reale, e sentì il sangue ghiacciarglisi nelle vene.

I suoi piedi toccarono il primo, il nono, l'ultimo scalino, ed egli sfrecciò lungo il corridoio verso la camera di lei.

DIECI

Nova si risvegliò lentamente, senza rendersi ben conto di cosa l'avesse disturbata. Rimase distesa, aspettando che il rumore si ripetesse, e chiedendosi come mai le era balenato in testa che fuori della sua porta ci fosse Cirocco, in attesa di entrare.

Eccolo di nuovo. Un suono raschiante. Ma in quel posto la gente non raspava alle porte, ci picchiava invece sopra con le nocche. E poi non veniva dalla porta, bensì dalla finestra.

Si alzò sbadigliando, si diresse con calma alla finestra e si affacciò, guardando in basso.

Ciò che vide le sarebbe rimasto per tutta la vita indelebilmente impresso nella memoria.

C'era una cosa che si stava arrampicando su per la parete esterna dell'edificio. Ne vide le braccia, che erano fatte d'ossa e di serpenti, e la parte superiore della testa, ricoperta di frammentario tessuto incartapecorito e lunghi rimasugli di capelli. Ma il vero orrore nasceva dalle mani. Scorse chiaramente le nude ossa delle dita, brandelli di carne putrefatta, e fauci spalancate. Ciascun dito terminava con un piccolo rettile cieco provvisto di un'ampia bocca munita di denti acuminati, e quando una mano s'aggrappava alla parete verticale, le serpi azzannavano il legno producendo uno sgranocchio perfettamente udibile. Un appiglio dopo l'altro, la cosa veniva su rapidamente. Nova stava annaspando in cerca della pistola, rendendosi conto in ritardo di non avere indosso alcun indumento, quando la cosa girò la testa verso l'alto. La sua faccia era un teschio. Le cavità oculari un brulichìo di vermi.

Nova non si spaventava tanto facilmente. Neppure quella maschera orripilante bastò a farla urlare. Ma poi si volse per andare a prendere l'arma e si trovò faccia a faccia con la seconda cosa, penzolante dal muro accanto alla finestra, a cinquanta centimetri da lei. Nella zona sovraoculare il cranio era ridotto a qualche frastagliato frammento osseo e una ribollente massa di vermi. Si protese ad afferrarla, e lei gridò.

L'aveva presa per un polso. Nova si tirò indietro, senza smettere di urlare, mentre i minuscoli serpenti le affondavano i denti nella carne. Poi con uno strattone riuscì a liberarsi.

Non ebbe coscienza d'aver traversato la camera. Il tempo pareva trascorrere lentissimo, oppure procedere a balzi inframmezzandosi di brevi lacune. Si ritrovò con la pistola in pugno. La mano le tremava, armeggiando con la sicura. Riuscì finalmente a ruotarla. La seconda cosa stava traversando la stanza puntando diritta verso di lei, e Nova tirò il grilletto ma non udì nulla, perché il sangue le aveva fatto scivolare l'arma di mano, e intanto la cosa continuava ad avvicinarsi. Rotolandosi sul letto andò a rincantucciarsi nello spazio fra quello e il muro, e in quel momento udì che la porta della stanza veniva fatta a pezzi. La pistola doveva essere lì sotto da qualche parte. Dominò l'insopportabile impulso di alzare la testa per dare un'occhiata e continuò a cercare, sentì qualcosa che colpiva qualcos'altro con rumore molliccio, poi un urto violentissimo sul pavimento che parve ripercuotersi nell'intero edificio. Trovò la pistola, la impugnò saldamente con la mano incolume, protese di slancio le braccia sopra il letto puntando l'arma davanti a sé.

Conal evitò la morte per un decimo di secondo. L'impulso nervoso era già diretto al dito che Nova premeva contro il grilletto, quand'ella si rese conto che abbrancato all'immonda creatura c'era lui, e riuscì con uno scatto a deviare le mani verso l'alto appena in tempo per mandare il primo proiettile gettopropulso a conficcarsi nella parete, a trenta centimetri dal soffitto.

Non c'era modo di tirare un colpo sicuro alla cosa contro cui stava combattendo Conal, ma il secondo mostro appariva adesso inquadrato nel vano della finestra, pronto a entrare, e Nova non esitò a sparargli due pallottole esplosive, una in testa e l'altra nel petto, prendendosi quindi un attimo di pausa per constatare che effetto gli avevano fatto.

La testa era esplosa, polverizzata, disintegrata. Il torace avrebbe voluto anche lui volare in briciole, ma gli argentei serpenti che s'intrecciavano fittamente al corpo della cosa erano riusciti in qualche modo a tenerlo insieme.

E continuava ad avanzare.

Sei vai avanti così un altro poco, pensò lei, finisce che mi spavento sul serio.

Quella finita sul pavimento si era liberata di Conal, e Nova ne approfittò per cacciarle in corpo tre pallottole, anche stavolta con scarsi risultati. La creatura venne proiettata contro la parete dalla violenza delle esplosioni, e il braccio sinistro le si staccò dalla spalla. Ma si rimise in piedi, e protendendo la mano superstite avanzò verso Conal.

Il braccio caduto fece altrettanto, tirandosi rapido in avanti a forza di dita.

Nova inghiottì il gusto acido del vomito, e sparò gli ultimi tre proiettili alla cosa che ancora si stagliava contro la finestra. Quella senza testa. L'essere rinculò barcollando, urtò il davanzale, cadde all'indietro capitombolando fuori. Nova udì un rumore raspante allontanarsi giù per la parete, e infine lo scroscio che fece il corpo colpendo l'acqua.

A questo punto il secondo zombi si volse a fronteggiarla.

Conal pareva stordito. Si stava rialzando in piedi, ma continuava a scrollare la testa. E il mostro arrancò verso di lei s'una gamba frantumata, seminando frammenti ossei e brani di putredine gelatinosa, mentre dal suo interno sciamavano precipitosamente insetti simili a scarafaggi e altri animaletti zannuti dall'aria voracissima.

Nova gli scagliò addosso la pistola scarica, rammaricandosi che non si trattasse della massiccia Colt di sua madre, bensì di quel nuovo modello moderno e assai più leggero. L'arma praticò uno strincio sulla guancia del mostro, e ne sgorgò copiosa una colata di vermi.

Nova sollevò il letto e glielo ribaltò contro, ma lo zombi lo scaraventò da una parte.

In preda al panico, la ragazza prese a indietreggiare, incapace ormai di dominare in sé l'istinto della fuga.

Gli tirò un lume a olio, un vaso, il comodino, ma il mostro continuò ad avanzare. Conal gli si stava avvicinando alle spalle, ma troppo lentamente, e lo zombi ormai incombeva inesorabilmente su di lei, e Nova era rannicchiata in un angolo, e tra un attimo l'avrebbe agguantata. La mano di lei brancolò in cerca di un'arma qualsiasi. Nulla. Poi trovò un oggetto, e scagliò anche quello.

L'essere mostruoso prese ad accasciarsi nel momento stesso in cui Chris varcava la soglia.

Nova vide Chris mollargli un calcio potente mentre quello rovinava a terra, lo vide scagliargli contro… e poi fermarsi. Chris aggrottò la fronte, e lei si chiese quale fosse la causa della sua perplessità, poi si rese conto che egli non riusciva a comprendere per qual motivo l'infernale creatura non gli si fosse rivoltata contro. Chris le affibbiò un altro calcio vigoroso. Ma lo zombi stava letteralmente incominciando a cadere a pezzi. Gli argentei rettili che sino allora l'avevano tenuto insieme, e dai quali pareva essere stato animato, giacevano flosci e senza vita.

Chris le s'inginocchiò davanti. Lei non riusciva a vederlo bene. Lui le diede un'occhiata al braccio, soddisfatto di riscontrare che le sue ferite non erano tali da metterla in pericolo di vita, quindi pose due grandi mani sulle sue spalle, e la fissò in volto.

— Cominci a sentirti un po' meglio?

Riuscì ad annuire, e Chris subito dopo si staccò da lei. Lo udì domandare qualcosa a Conal, qualcosa che riguardava Adam. poi lo sentì andar via.

Pareva che nella stanza non vi foss'altro che la morta creatura. Nova non riusciva a distoglierne lo sguardo. Giaceva a un solo metro da lei. Senza intervento della volontà cosciente, i suoi piedi incominciarono a sospingerla lontano dalla cosa. La sua schiena scivolò lungo la parete, e i piedi continuarono a spingere finché lei non andò a sbattere contro qualcosa di morbido. Non andava per niente bene, una cosa morbida non era affatto quello che lei aveva in mente, rigide pareti e pavimenti duri erano molto meglio… Cacciò un urlo stridulo. Un esitante, timoroso, debole squittìo del quale si pentì immediatamente, ma ormai le era sfuggito. Sapeva già di avere urtato Conal. Il ruvido tessuto della sua giacca le strusciò sulla spalla, e questo andava bene. Qualunque cosa che emanasse calore andava bene. La creatura mostruosa, quando l'aveva afferrata, le aveva trasmesso un'orribile sensazione di gelo, e anche adesso lei continuava a sentire terribilmente freddo.

Rimase lì seduta, rabbrividendo, mentre Conal le metteva la sua giacca sulle spalle. Sentì gridare dalle altre stanze, le giunsero rumori di lotta, e pensò che sarebbe dovuta andare ad aiutarli. Però se ne restò a sedere in silenzio, intanto che Conal si strappava la camicia e la usava per bendarle la mano e l'avambraccio coperti di sangue. Udì nel frattempo uno scalpitìo di zoccoli titanidi, e quelle che avrebbero potuto essere grida di guerra.

Poi Conal si alzò, e lei si ritrovò con la mano incolume aggrappata al suo braccio. Conal si fermò, attese che anche lei si fosse rimessa in piedi, e la condusse fuori della stanza. Per tutto il tempo, Nova non cessò mai di fissare la cosa immobile sul pavimento.


Era assurdo che lo zombi fosse morto.

Morto? Diavolo, lo credo bene, pensò Chris. Naturale che fosse morto, era stato morto fin dall'inizio, ma in passato questa circostanza non li aveva mai ostacolati, anzi.

Gli sarebbe piaciuto prendere a calci quella cosa immonda fino a spiaccicarne i resti sulle pareti, ma non ne aveva il tempo. E neanche aveva tempo di stare a immaginare che cosa l'avesse uccisa. A dire il vero, non avrebbe neppure avuto tempo di dare un'occhiata a Nova, ma lo fece ugualmente.

Conal aveva un'aria stordita. Gli usciva sangue da una ferita al cuoio capelluto, e un'enfiagione grossa come un uovo gli tumefaceva un lato della testa.

— Dov'è Adam? Conal, mi senti?

— …sotto… — mormorò. — Piano di sotto… Corri, Chris… zombi…

Fuori della stanza, nel corridoio, c'era un altro zombi morto, o comunque immobile sul pavimento. La direzione di provenienza pareva esser quella della camera di Cirocco. Chris corse giù per le scale, girò uno spigolo, entrò di volata nella sala della musica… e finì dritto fra le braccia di un altro zombi.

Stavolta dovette combattere. Questo qui non era ridotto nelle condizioni di quello che era penetrato in camera di Nova: a occhio e croce, doveva esser morto da non più di una o due settimane. Chris sollevò lo zombi e lo scaraventò via da sé, sperando di guadagnar tempo. L'unico modo efficace di affrontare quelle cose consisteva nel far uso di armi da taglio. Tornava utile altresì poter sfoggiare il ritmo costante di un boscaiolo nel pieno delle sue funzioni, nonché possedere lo stomaco forte di Conan il Barbaro. Prenderli a pugni o farci la lotta rappresentava invece un buon sistema per farsi ammazzare. Nel corpo a corpo erano capaci di andare avanti praticamente all'infinito, e anche a smembrarli continuavano a combattere. Ma arrivando a mozzare in sufficiente quantità i rettili necròfili che conferivano agli zombi un'oscena parvenza di vita, alla fine si riusciva a neutralizzarli.

Erano creature incredibilmente forti. E se riuscivano ad afferrare la vittima, i necròfili ne straziavano il corpo a morsi.

Mentre lo zombi andava a sbattere contro il muro, Chris era già in cerca di un'ascia o di un coltello. Ma non sembravano essercene, nei paraggi. Chris afferrò una sedia, con l'intenzione di usarla per rintuzzare gli assalti dello zombi mentre lui si faceva strada fino alla cucina, ma poi si accorse di una cosa. La creatura non si rialzava.

Lo zombi — femmina, da vivo, come dimostrato dalle rigonfie mammelle putrescenti che gli pendevano sul petto — era rovinosamente crollato a terra, distruggendo un vecchio trombone d'argento di ottima fattura.

Neppure in questa occasione Chris indugiò a meravigliarsi o a domandarsi il motivo di tanta fortuna. Non aveva avuto la minima intenzione di venire alle mani con quello zombi, se lo era semplicemente trovato di mezzo. Abbandonò in fretta la sala della musica, andò in cucina e acchiappò la sua mannaia più grossa, poi riattraversò di corsa tutta la casa giusto in tempo per vedere Robin in equilibrio sopra un davanzale, ginocchia piegate e braccia tese avanti.

Le gridò un avvertimento, ma lei si era già tuffata.


Robin riuscì quasi a precedere Chris sulla soglia della Stanza di Rame, poi rischiò di scontrarsi violentemente con lui, dal che sarebbe uscita malconcia, in quanto a quel punto Chris aveva già accumulato abbastanza slancio da non aver neanche più bisogno di una porta; avrebbe potuto semplicemente sfondare la parete. Frenò il proprio impeto quanto bastava a lasciarlo passare, poi sortì anche lei, e, correndo al limite delle sue forze, rimirò sbalordita lo spettacolo di Chris Mayor lanciato a tutta velocità. Non riuscì a seguirlo per molto. Pareva che volasse.

Grande Madre, quell'albero era davvero immenso!

Le sembrò d'impiegarci un'eternità, ma giunse finalmente a spalancare con violenza la porta sul retro e percorse a precipizio una stanza dopo l'altra chiamando Chris, Nova, Conal… tutti quanti. Non indugiò un solo istante. A un certo punto, con la coda dell'occhio, colse una fuggevole visione di un qualcosa di orrendo che traversava con andatura dondolante una stanza vuota, ma non esitò. Nulla avrebbe potuto arrestare la sua corsa finché non avesse trovato Nova… e la causa di quell'urlo. Conosceva bene sua figlia, sapeva che non era stato un topo a strapparle un grido come quello.

Eppure qualcosa riuscì a fermarla. Gettò uno sguardo dentro una stanza con un mucchio di cuscini e di giocattoli sparsi per il pavimento, udì il pianto di Adam, e intravide una creatura in forma umana — c'era un nonsoché di tremendamente sbagliato, in essa, ma non le riuscì di definir che cosa, in quella breve occhiata — che si gettava dalla finestra stringendo il bimbo tra le mani.

Frenare rapidamente il proprio abbrivio in un ambiente a un quarto di g è questione che richiede una certa pratica. Robin non ne aveva ancora a sufficienza, e dovette urtare violentemente contro una parete, riproiettarsi all'indietro con uno scatto di braccia e roteare all'interno della stanza afferrandosi con una mano allo stipite della porta. Poi corse alla finestra, si affacciò, e vide la creatura allontanarsi nuotando con un solo braccio. L'altro le serviva per sostenere Adam fuori dell'acqua.

Robin si liberò degli stivali con un calcio, salì sul davanzale, e saltò giù.

In seguito avrebbe negato d'essersi dimenticata che non sapeva nuotare. Le era già capitato una volta di trovarsi completamente immersa in un fiume, e in quell'occasione s'era attivato in lei un qualche meccanismo che l'aveva messa in grado di raggiungere la riva. Confidava che sarebbe accaduto di nuovo, ma non andò così.

Colpì l'acqua con un tonfo sbalorditivo, poi lottò strenuamente per aprirsi un varco verso la luce.

Riemerse con il capo alla superficie, trasse un respiro profondo, e cercò di nuotare. Ma più ci s'impegnava, e peggio andava. La testa continuava a tornarle sotto, e il meglio che le riusciva di fare era cercar di tenere il naso fuori dell'acqua… un'aspirazione che peraltro andava ampiamente frustrando col mulinare scomposto delle sue inesperte bracciate. La corrente la stava trasportando nella medesima direzione in cui si trovava l'oggetto dei suoi sforzi natatori, ma ciò non serviva a nulla, in quanto il rapitore, lui sì, oltre a sfruttare il flusso delle acque, nuotava anche, e le poche brevi occhiate che poté gettargli glielo mostrarono ogni volta più lontano. I flutti in rapido movimento incominciavano adesso a formare vorticosi mulinelli, e qua e là si scorgevano rocce affioranti, ma l'acqua continuava a essere profonda, e gelida, e ben presto lei comprese che in quel fiume sarebbe annegata. La sua testa riemergeva sempre meno spesso, e per periodi sempre più brevi, e il più delle volte, boccheggiando in cerca d'aria, otteneva solo d'inghiottire grandi sorsate d'acqua.

Poi un braccio la afferrò intorno al collo, e qualcuno sollevò il suo corpo costringendolo sul dorso. Si divincolò per qualche istante, ma il braccio strinse più forte sin quasi a soffocarla. Tossì risputando un po' d'acqua, e si lasciò andare. Fendendo energicamente i flutti, Chris prese a trascinarla in direzione della riva.

Portò Robin sino a una roccia che spuntava nel mezzo del fiume, dove lei poté aggrapparsi rimanendo col busto fuori dell'acqua e senza esser troppo sospinta dalla corrente.

— Tienti forte! — le disse.

— Prendilo, Chris! — gli gridò lei con voce rauca.

Un attimo dopo se n'era già andato.

Robin si tirò un poco più su e gettò uno sguardo oltre la cima della roccia. Il rapitore aveva su Chris un vantaggio di forse una trentina di metri, e la distanza fra loro stava diminuendo. Più avanti, però, il corso del fiume si faceva estremamente turbolento.

L'avvolse una sorta di gelido torpore. Si sentiva esausta, aveva sfiorato la morte, e tutto quel che adesso poteva fare era starsene aggrappata a quella roccia a guardare gli eventi svolgersi dinanzi ai suoi occhi. Non pareva che la riguardassero granché. Era in grado di chiedersi se il rapitore ce l'avrebbe fatta a superare le rapide conservando vivo Adam, ma incapace di associare a se stessa la sopravvivenza o la morte del bambino. Un urlo continuava a gorgogliarle in gola, ma non trovava alcun bersaglio su cui sfogarsi.

Udì i titanidi attraversare il ponte suscitando un rumore come di valanga. Si volse, e vide Serpentone additare Chris, vide Rocky scavalcare d'un balzo il parapetto e fluttuare qualche istante in aria, zampe anteriori protese in basso, prima di colpire l'acqua con un rimescolìo spettacolare che scagliò fontane di spruzzi a quindici metri d'altezza. La sua testa riemerse subito e lui si diede a nuotare vigorosamente, mentre Serpentone e Valiha attraversavano l'ingresso principale di Tuxedo Junction senza neanche prendersi il disturbo di aprire la porta.

Un fracasso di arbusti spezzati annunziò l'irrefrenabile avanzata di qualcosa attraverso la boscaglia, e Robin si girò in tempo per vedere Cirocco precipitarsi lungo la sponda del fiume. Passò oltre la roccia di Robin, superò Chris, raggiunse un punto adatto al decollo e spiccò il balzo. Il suo corpo seguì una traiettoria quasi rettilinea, giungendo ad almeno dodici metri dalla riva prima di toccare l'acqua.

E non affondò. Cirocco aveva inarcato la schiena, teneva le braccia puntate rigidamente all'indietro in foggia di ali a freccia come fosse un jet, il mento proteso in alto al momento dell'impatto, e rimbalzò due volte a mo' di pietra piatta, poi planò per un altro prezioso metro e mezzo prima che l'acqua la catturasse. Era giunta a neanche dieci metri dall'obiettivo, e avanzava con bracciate impetuose.

Robin si ritrovò accovacciata, dondolante in precario equilibrio sulle ginocchia, coi pugni serrati e i denti stretti, a fare il tifo per Cirocco. Udì vagamente il rumore prodotto dal tuffo di Valiha e Serpentone da qualche parte dietro di lei, ma con gli occhi non abbandonò un istante la donna che nei suoi pensieri sarebbe per sempre rimasta la Maga. Appariva probabile che Cirocco avrebbe ridotto quel bastardo a pezzettini, non appena l'avesse acchiappato, e non c'era spettacolo al mondo che Robin desiderasse di più.

Alle sue spalle si levarono alte grida. Una grande ombra trascorse su di lei a velocità mozzafiato, poi non vide altro che la magra sagoma di un angelo in prospettiva posteriore, ali di sei metri a tutta apertura, con le punte che sfioravano l'acqua.

L'angelo ripiegò le ali di poche frazioni di millimetro, parve indugiare nel suo slancio precipitoso… Quindi ghermì Adam con l'elegante disinvoltura di un'aquila che agguanta una trota. Riguadagnò rapidamente quota, trasformando la velocità di traslazione in moto ascensionale. A circa sessanta metri di altezza riprese a battere le sue grandi ali, e in breve tempo svanì a oriente.

UNDICI

Sulla strada per Tuxedo Junction, Luther ebbe una Visione. Seppe che le cose non sarebbero andate lisce, per lui, e pensò che Gea intendesse utilizzare quella consapevolezza per spronarlo. E infatti, allorché raggiunse la cima dell'alta collina sovrastante il lago, l'albero e la casalbero, era appena in tempo per assistere al finale.

La Visione era ancora con lui. Essa non si affidava al suo unico globo oculare superstite; alberi, pareti e distanze non le erano d'alcun impedimento. Luther poté quindi vedere le truppe di Kali invadere la casa, e il bimbo rimaner solo a giocare nella stanza. Osservò il selvaggio semititanide correre su e giù per le scale, vide Cirocco Jones irrompere di corsa sulla scena, conobbe il momento in cui i due umani e i tre titanidi s'immersero nel fiume.

Quando il Demone si tuffò in acqua, per un istante osò sperare. Sebbene odiasse Jones profondamente, sapeva bene che nessun membro della banda di Kali poteva starle alla pari… né, quanto a questo, alcuno dei suoi stessi discepoli. Nulla avrebbe recato più gioia a Luther del vedere il Demone fare a pezzi la putrida progenie di Kali. Allora il bambino avrebbe potuto essere suo…

Non poté far altro che rimanere a guardare, incredulo, mentre l'angelo piombava a capofitto sulla preda.

Angeli! - strillò. — Angeli? Uìo Dio, uìo Dio, ferché ui hai avvandonato?

I suoi discepoli gli si agitavano nervosamente accanto, impazienti di proseguire. Non disponendo di menti proprie, essi rimanevano in qualche modo in sintonia con le emozioni di lui. Percepivano la sua furiosa frustrazione, il suo odio verso il Demone e Kali… e l'immediato, asperrimo timore per il peccato mortale che aveva appena profferito.

Luther portava alla cintura una particolare Croce di bronzo, coi bordi tutti affilati come rasoi. La tirò fuori e incominciò a squarciarsi le gambe, sentendo il sacro simbolo penetrare in profondità, esaltandosi nella mortificazione della carne.

Udì sopra di sé un suono gloglottante.

Alzò la testa, e vide Kali scendere dalla sua postazione appollaiata fra i rami di un albero. Un binocolo le sbatteva acciottolando contro il petto inverosimile. Il suo schiavetto personale, un ragazzino nudo di circa otto anni, le trotterellava dietro agile come una scimmia, col suo collare d'oro attaccato al metro e venti di catena pure d'oro che lo vincolava a Kali.

Kali era tutta oro e corruzione. La catena dello schiavetto era foggiata in metallo a quattordici carati, ma le decine di anelli che le contornavano le dita delle mani e dei piedi erano in oro puro, tenero, sottile. A sostegno delle sue gigantesche mammelle color ocra, ella indossava un originale reggipetto di ottone munito di contrafforti come una cattedrale gotica. Le sue gambe e le sue quattro braccia apparivan recinte d'un centinaio di nastri e anelli riccamente decorati, tutti quanti troppo angusti in proporzione all'arto cui strettamente s'avvolgevano, ragion per cui le carni debordavano rigonfie loro attorno. In vita s'inguainava di un busto d'oro del diametro di venticinque centimetri, dopo di che il suo corpo traboccava in steatopigia abbondanza. L'espressione "sagoma a clessidra" avrebbe anche potuto essere stata coniata per lei sola.

Sfoggiava unghie di bronzo lunghe quindici centimetri.

Il suo volto… be'. non era del tutto esatto parlare del volto di Kali, dal momento che lei disponeva di tre teste. Però quella di destra e quella di sinistra erano semplicemente imbullettate in loco. Ciascuna di esse portava un cappio da strangolatore stretto al collo. Quando una delle teste diveniva completamente putrefatta, Kali provvedeva a sostituirla attingendo alle vaste riserve di Gea. Al momento in cui ella scese giù dall'albero dirigendosi verso Luther — con una grottesca andatura vistosamente ancheggiante che le dava l'estro di una puttana in una camera mortuaria — uno dei due capi posticci risultava ormai fin troppo maturo, mentre l'altro era un acquisto recente. Quello vecchio era appartenuto a una femmina bianca. Ora come ora appariva decisamente marcio, color porpora, rossi globi oculari prominenti e nera lingua sporgente, e penzolava all'indietro trattenuto da un brandello di carne. L'altra testa, che aveva coronato il corpo di un uomo negro, non era mutata granché di colore per via dello strangolamento, e attualmente ciondolava come ubriaca tutta in avanti, oscillando ossequiosa all'incedere di Kali.

La testa di centro era stata — nel medesimo senso in cui Luther era stato un tempo il Reverendo Arthur Lundquist — una sacerdotessa che nella sua precedente esistenza aveva portato il nome di Maya Chandraphrabha. Di Maya, solamente quella testa rimaneva. Il suo era stato, in vita, un corpo immaturo, sgraziato e sterile. Colei che adesso portava l'appellativo di Kali non accusava mai fuggevoli rimpianti, non pativa mai neppure i passeggeri tormenti che talvolta assalivano colui che ora si chiamava Luther. Ella esultava della propria virulenta fecondità. Il suo grembo era prolifico come una medusa; ogni chiloriv ella partoriva una nuova urlante mostruosità a maggior gloria di Gea.

Indossava una cintura confezionata con teschi umani.

Il volto di Kali era morto, I suoi occhi potevano muoversi, ma ella non era capace di ammiccare, né di sorridere, né di aggrottar le sopracciglia, e neanche di chiudere la bocca. La sua mascella ricadeva inerte, e la lingua le ciondolava fuori della bocca. Il gloglottìo udito da Luther era la risata di Kali.

Kali era l'incarnazione dell'atrocità.

Chiocciolò a Luther, e le dita di due delle sue mani tracciarono in aria complicati ghirigori.

— Ellaèè dove cavolo sei stato, Luther — esordì lo schiavetto con voce piatta.

Il ragazzo, erede di un immenso patrimonio, era nato circa un anno prima dello scoppio della Guerra. Quando lui e la sua famiglia erano riemersi dal loro rifugio tra le montagne del Messico, una delle missioni benedette di Gea lo aveva preso a bordo. Sua madre era sorda, e ciò l'aveva costretto ad acquisire un talento che ora tornava utile a Kali.

Egli era stato, in passato, un intelligente, sano, vivace ragazzino di sei anni. Adesso il suo corpo era più o meno quello che avrebbe potuto disegnare con intenzionale esagerazione un vignettista politico, apponendoci come didascalia "La Fame nel Mondo". I suoi occhi non abbandonavano un solo istante le mani di Kali. Ed egli era almeno ottant'anni più vecchio di quanto non fosse stato due anni prima.

— Gea aveva dato a noi il diritto di frendere il vanvìno! — tonò Luther.

Kali chiocciolò ancor più forte, e le sue dita svolazzarono.

— Ellaèè Gea no te dato nessuno diritto de prendelo menoché non arrivavi primo — cicalò il ragazzo. — Ellaèè tu era in troppo fottuto ritardo. Ellaèè te è un prodesan… — Kali schiaffeggiò violentemente la faccia piena di lividi del ragazzo.

— …ellaèè te è un prade…

Altro schiaffo.

— …protesan…

Ancora un altro.

— …pro…tes…ta…nte… ellaèè te è un protestante rottinculo to… to… topodefogna testademerda pederasta cristiano. Ellaèè tu è troppo sozzo per vive. Ellaèè perché 'n te ne va ciucciare 'l pisello ar Papa.

Frostituta di Vavilonia! Ueretrìsce di Gouorra!

— Ellaèè ben detto. Ellaèè lei te se fa a te e tutta tu' cricca de buchideculo. Ellaèè menoché t'hai faciuto voto de cista…

Kali lo colpì di nuovo.

— …cesti… cantti… catti… casti-sti-sti-sti-sti… casto… casti…tà.

Il ragazzo trasse un sospirone di gioia e di sollievo, quando gli riuscì di pronunziarla bene e Kali smise di percuoterlo.

— Castità, castità, castità — mormorò. La prossima volta non avrebbe sbagliato, questo è certo.

— Fafismo! — sibilò Luther, e intendeva papismo. Arthur Lundquist, il cui fievole spirito ancora debolmente ispirava le azioni della cosa ch'egli era divenuto, non avrebbe saputo distinguere il papismo dalle indulgenze plenarie, essendo un luterano tririformato e spiritualmente simpatizzante di gran parte delle sette cattoliche. Ma Gea si divertiva a far sì che tutti i suoi Preti fossero fondamentalisti, e lei aveva ottima memoria, e di conseguenza Luther era ancora più inferocito.

— Fafismo! — ripeté, e i suoi Apostoli si agitarono e stronfiarono minacciosamente in sintonia con lui. — Fafismo! Con che diritto hai freso il vanvìno?

— Ellaèè Gea disse a lei de fallo. Ellaèè ella facilito un casino de parecchio meglio lavoro che te e tuoi fottuti finocchi.

— Ua gli angeli… Io… — Luther s'interruppe, infuriato ma incapace di proseguire senza correre il rischio d'incappare in qualche solennissimo moccolo.

Perché a quella lì Gea aveva dato gli angeli? Luther non aveva angeli Lui non aveva mai avuto neppure un angelo, e nessuno gli aveva neanche mai accennato che potesse averne.

— Non funscionerà — ripiegò. — Il tuo angelo non sci arriva a Fandeuonio.

Il ragazzo osservò attento le fulminee traiettorie intessute dalle mani di Kali.

— Ellaèè girerà perfetto. Ellaèè ell'ha cuccato un bùggero de merdosi angeli. Ellaèè ell'ha beccato bastanza de ricambio per carrozzare il piccolo strunzetto fino Pandemonio. Ellaèè tepia cerebbe prenne 'n bel morzo sugoso de drento la su' bella umidosa…

Luther strillò, e colpì lo schiavetto. Il ragazzo incassò senza batter ciglio, così come nel corso degli ultimi due anni aveva incassato qualunque altra percossa, senza mai distogliere lo sguardo dalle mani di Kali, senza mai negarsi al suo ripugnante turpiloquio.

Aveva imparato a proprie spese che non si dava fonte di tormenti e umiliazioni che potesse mai competere con ciò che gl'infliggeva Kali.

Ma si sbagliava. Luther mulinò la sua croce, e il ragazzo morì all'istante. Poi si rivolse contro Kali, e gli Apostoli ne seguirono l'esempio, aggredendola in massa. Lei non oppose resistenza. Giacque supina chiocciolando soddisfatta, e la sua risata accrebbe ancor più la collera di Luther…

Finché non si accorse che tutti i suoi Apostoli erano morti.

DODICI

Si riunirono nella stanza dalla quale Adam era stato portato via.

Conal li guardò entrare, uno dopo l'altro. La testa gli faceva ancora spaventosamente male, ma era poca cosa rispetto alla sensazione di paura che aleggiava su di lui.

I tre titanidi erano bagnati fradici, ma non se ne curavano. Cirocco pure era zuppa, e sembrava che neppure se ne accorgesse. Chris invece si era procurato un asciugamano e se lo stava strofinando addosso.

Aveva un'aria esausta e distaccata. Conal non immaginava il tormento che straziava l'animo di Chris, ma poteva coglierne in lui qualche sintomo esteriore.

Anche Robin era da strizzare, e tremava come una foglia. Quand'ebbe finito, Chris le porse l'asciugamano.

Nova…

Aveva ancora indosso la giacca di Conal. Se la teneva ferma sulle spalle con una mano, ed era percorsa da brividi violenti quasi come quelli che scuotevano sua madre. E sebbene indossasse la giacca e la mantenesse ferma al suo posto, in realtà non faceva alcun tentativo di coprire il proprio corpo. A ogni modo le arrivava solo fino in vita, quindi non sarebbe servita a molto. Lei sporgeva il braccio ferito affinché Rocky ci potesse lavorare, e non le importava nulla che in quel modo le rimanesse scoperto un seno.

Nova pareva priva di pudore fisico. Conal c'era già abituato con Cirocco, e notava spesso tale atteggiamento in individui residenti da lungo tempo a Bellinzona. Ma era inconsueto in gente arrivata da poco.

Se la ricordava rincantucciata contro di lui, lassù, nella sua camera da letto. Erano istanti che non avrebbe dimenticato tanto facilmente. E, per il momento, pareva incapace di levarle gli occhi di dosso.

— Ti farò molto male — avvertì Rocky.

— I dottori non dicono cose del genere — obiettò Nova. — Anzi, promettono sempre di non farti sentire quasi nulla.

— Ma io non sono un dottore. Sono un guaritore, e ti avverto che sentirai parecchio male.

Rocky versò la soluzione antisettica sulle ferite di Nova e si diede a ripulirle. Il volto della ragazza si raggelò, poi prese un'espressione tremenda, ma Nova non fiatò.

Conal pensò che quella lì doveva proprio essere matta. Era capitato a lui pure di trovarsi nella necessità di farsi medicare ferite di zombi. Bisognava che Rocky si spingesse a esplorare la lesione in profondità, per esser certo di estrarre sin la più piccola particella infetta. Beccarsi anche solo una zaffata di zombi significava doversene stare a letto per una settimana. Ma con lacerazioni come quelle di Nova…

Fu costretto a guardare altrove. Non aveva mai avuto uno stomaco forte.

Immobile come una roccia, Cirocco aveva atteso che la compagnia fosse riunita al completo. Ora che tutti erano presenti, non perse tempo.

— Chi c'era nella stanza con Adam, quando è stato rapito?

A Conal si ghiacciò il cuore in petto.

Vide che Chris scrutava attorno, fronte aggrottata, cercando di raccogliere le idee.

— Io e Robin eravamo alla stanza della Strega. Quando sono arrivato qui…

— Ho fatto una semplice domanda — lo interruppe Cirocco. — Voglio solo sapere chi c'era qui dentro. Ci serve un punto di partenza.

— Non c'era nessuno — disse Conal, deglutendo a fatica.

Cirocco si volse a fronteggiarlo.

— E tu come fai a saperlo?

— Perché quando ho sentito l'urlo sono corso di sopra…

Cirocco continuò a fissarlo. Non era in vena di gingillarsi, quindi la sua occhiata non dovette durare molto più di un paio di secondi, e quei secondi non impiegarono molto più d'una ventina d'anni, per trascorrere…

— Ti avevo detto di proteggerlo, a tutti i costi — osservò con voce piatta. Per un incommensurabile istante le bocche dei due altiforni gemelli gli si spalancarono dinnanzi. Poi Cirocco distolse lo sguardo, e Conal riuscì di nuovo a respirare.

Intervenne Chris in tono deciso.

— Non è giusto prendersela con lui, Cirocco. Che altro avrebbe dovuto fare, Conal, quando ha sentito l'urlo di Nova? Far finta di nulla? Come poteva sapere che…

Cirocco fissò Chris dritto negli occhi, ed egli non ebbe nient'altro da dire.

— Non farmi perdere tempo, Chris, di giustizia ne parleremo un'altra volta.

È vero, pensò Conal. Nessuno ti ha mai detto che sarebbe stato giusto. Hai osato avvicinarti al più vecchio, al più maligno, al più paranoico essere umano del sistema solare… e adesso stai cercando di tirar fuori un uomo, da quel ch'è rimasto.

— Cirocco, e allora Nova? — domandò Robin. — Chris non avrebbe potuto…

— Stai zitta, Robin.

— Capitano… — incominciò Rocky.

— Stai zitto, Rocky.

Diversi presenti, Nova compresa, cercarono di parlare tutti in una volta.

— Ho detto silenzio.

Non sarebbe esatto affermare che Cirocco alzò la voce: si limitò a usare un tono che non ammetteva discussioni. E non attese che tutti facessero silenzio. Quando un istante dopo l'intero uditorio tacque, lei s'era già reimmersa nel flusso del suo ragionamento.

— So quanto veloce possa volare un angelo. Non sono riuscita a vederlo abbastanza bene da poter definire il clan di appartenenza. Esistono venticinque diverse specie di angeli, e non ce n'è due che vadano d'accordo fra di loro, quindi non è da escludersi che possiamo ottenere aiuto da altri stormi. La loro autonomia di volo è limitata. Supponendo che quello fosse diretto a Pandemonio…

— Ma perché non lo lasciamo semplicemente andare per i fatti suoi? — borbottò Nova.

Cirocco percorse due rapidi passi e schiaffeggiò Nova in pieno volto, con tale durezza che la giovane fu scaraventata a terra. Si tirò a sedere sul pavimento, la bocca sanguinante, e Cirocco le puntò un dito contro.

— Ragazza, non sono disposta a sopportarti oltre. Questo è il primo e ultimo avvertimento che ti do. O ti decidi a crescere maledettamente in fretta e a unirti alla razza umana, o è molto probabile che mi capiterà di ammazzarti, e mi dispiacerebbe se accadesse, perché Robin è mia amica. Adesso discuteremo come salvare la vita di un essere umano che guarda caso è tuo fratello, e tu parlerai solo se interrogata.

Neanche stavolta Cirocco aveva alzato la voce. Non che ce ne fosse bisogno. Nova sedeva a terra piegata su un fianco, sbigottita, incapace ormai persino di provare umiliazione. Nella caduta, la giacca di Conal le era scivolata via dalle spalle. Fino a qualche minuto prima, tale circostanza avrebbe senza dubbio destato l'interesse di Conal, ma adesso non la degnò nemmeno di un'occhiata mentre Rocky l'aiutava a rialzarsi. Cirocco aveva bisogno di lui, e Nova s'era ormai rivelata semplicemente un'altra femmina qualunque, e sciocca, per giunta.

— Dietro questo c'è la mano di Gea. Gaby mi aveva avvertito che il bambino era importante. Ma non so perché Gea lo vuole. Forse solamente per indurmi a ingaggiare battaglia con lei, cosa che sta tentando da anni. Ma Gea non l'ha preso, ancora. Lei è in Iperione, dunque lontanissimo di qui. Ora c'è una cosa che devo sapere. Chris, era già morto lo zombi quando sei entrato in camera di Nova?

— Proprio così.

— E quello nel corridoio?

— Quando sono arrivato non c'era ancora, e quando sono uscito era steso lì sul pavimento.

— È stato qualcuno di voi a ucciderlo? — Cirocco girò attorno lo sguardo sui presenti, e tutti fecero segno di no.

— E quello in sala musica? Racconta.

— Mi preparavo a combatterlo, ma lui è semplicemente stramazzato a terra.

— Però quello che ha preso Adam se n'è andato. — Si rivolse a Nova. — Tu cosa gli hai fatto al primo?

— Gli ho sparato — mormorò Nova. — Gli ho sparato… tre volte.

— In quel modo non potevi ammazzarlo. E dopo cos'hai fatto?

— Gli ho tirato addosso la pistola.

Cirocco aspettò.

— Gli ho tirato il letto. E poi altre cose.

Quali cose?

Nova si strinse debolmente nelle spalle. Appariva ancora sconvolta.

— Il vaso, la lampada, il cro… — Un pallore assoluto le invase la faccia.

Che cosa? - la incalzò Cirocco.

— U-u-una cosa c-cheavé-cheavévo f-fatto.

— Non ti toccherò, Nova, ma tu devi dirmi cos'è che avevi fatto.

La risposta di Nova giunse in sussurro quasi inaudibile.

— …un filtro d'amore…

— Aveva preso qualche ingrediente in cucina — le venne in aiuto Serpentone.

Cirocco si volse di spalle e rimase diversi secondi in silenzio. Nessuno azzardò un gesto. Infine tornò a girarsi verso di loro.

— Chris — disse, puntandogli l'indice. — Radio. Tre. Portale qui, poi raggiungimi alla grotta.

Chris filò fuori senza fiatare.

— Valiha. Prendi una radio e corri a Bellinzona più in fretta che puoi. Dirama un appello generale a tutti i titanidi ancora fedeli alla loro Maga. Voglio zombi vivi, tutti quelli che riuscite a trovare. Non rischiare la vita per procurarteli, e rimani in contatto radio con me.

— Sì, Capitano.

— Rocky, tu rimani qui. Ti darò altre istruzioni quando avremo scoperto come intendono portare Adam a Pandemonio.

— Sì, Capitano.

— Serpentone. Appena hai la radio dirigiti a ovest, senza sprecare energie. Non puoi andare più veloce di un angelo, ma cercheremo di guidarti dall'alto. Vai armato.

— Sì, Capitano.

— Conal, tu vieni con me. Robin, Nova, voi potete venire con me o rimanere qui, come preferite.

Mentre stava uscendo dalla stanza, le capitò di dare un calcio a una delle uova titanidi con le quali aveva giocato Adam, sparse qua e là sul pavimento. S'immobilizzò, poi raggiunse a lenti passi la parete contro cui l'uovo s'era andato a fermare, e si chinò a raccoglierlo.

Cirocco tenne l'uovo controluce osservandolo attentamente, e per la prima volta a memoria d'uomo la Maga apparve sbigottita. L'uovo era trasparente.

Lo lasciò cadere, e per un istante rimase lì ferma, con le spalle curve.

— Rocky — disse. — Raccogli tutte queste uova. Assicurati di averle ritrovate tutte. Fai a pezzi i mobili, strappa i cuscini, ma non lasciarne in giro neanche una. Chris ti comunicherà il numero esatto per radio dopo che saremo partiti. Quando sarai certo di averle ritrovate tutte, distruggile.


Le fu necessario uno sforzo tremendo, ma riuscì a distogliere la mente dalla questione delle uova titanidi per concentrarsi sul problema più impellente.

Sia Robin che Nova avevano deciso di unirsi a lei. Non cercò di dissuaderle, né chiese loro i motivi di quella scelta. La seguirono attraverso la giungla e poi su per la collina, fino alla caverna.

Era sorprendente vedere con quanta rapidità avesse recuperato l'abitudine al comando. Basandosi su quella che non le era parso di poter definire una propensione naturale, e in un'epoca in cui esistevano ancora pochi modelli femminili cui rifarsi, tantissimi anni prima aveva lavorato accanitamente, per apprendere come si faceva a comandare. Aveva parlato con un numero sterminato di vecchi capitani di marina, alcuni dei quali avevano comandato navi addirittura al tempo della Prima Guerra Nucleare. Poi erano venuti i capitani spaziali, e tradizioni del tutto nuove, nuovi modi di affrontare le cose… Il passato, però, non era interamente morto. La gente continuava più o meno a rimanere uguale a se stessa. Magari un po' più disposta a lasciarsi comandare da una donna di quanto non fosse stata nel 1944, ma i problemi ìnsiti nella necessità di assicurarsi l'automatica obbedienza e meritarsi il rispetto che avrebbero dato linfa a un forte, unito e leale equipaggio, erano in gran parte gli stessi di sempre.

C'erano migliaia di cose che si potevano imparare, infiniti sistemi che si potevano adottare per raggiungere quell'incerta posizione dalla quale diveniva possibile convincere uomini e donne a obbedire ai propri ordini. La NASA aveva patrocinato corsi di addestramento al comando, e Cirocco li aveva frequentati tutti. S'era anche indotta a leggere autobiografie di grandi condottieri e uomini di stato.

Sapeva, dentro di sé, di non possedere attitudine al comando. La sua era tutta e solo una facciata, ma a tenerla in piedi ventiquattr'ore al giorno, nessuno se ne sarebbe accorto.

La sua prima missione di comando le era sfuggita di mano. Dopo il naufragio su Gea, non era più stata capace di ricomporre i superstiti in un gruppo organizzato. Ognuno se n'era andato per la sua strada, a parte Gaby e Bill, e per molti anni, dopo quell'esperienza, una profonda sensazione di fallimento aveva continuato a gravarle sull'animo.

La NASA si era allarmata, quando solo due dei sette membri dell'equipaggio del Ringmaster s'erano fatti convincere a tornare sulla Tefra, ed era andata su tutte le furie allorché aveva saputo che tra i cinque disertori c'era anche il Capitano. Ma la NASA era un organismo civile, e capitan Cirocco, dopo avere adempiuto quello che riteneva fosse il proprio dovere, raccontando tutto quanto conosceva sull'accaduto e sulle cause del medesimo, si era sentita pienamente autorizzata a rassegnare le dimissioni dall'incarico in un luogo di sua scelta.

La NASA, per quanto desiderasse farlo, non foss'altro che in absentia, non poteva sottoporla a corte marziale. Aveva pertanto adottato gli equivalenti provvedimenti civili, mettendo su una dozzina di commissioni d'inchiesta.

Cirocco aveva avuto quasi un secolo per pensarci. Durante tutto quel tempo aveva dedicato lunghe riflessioni alle problematiche legate all'arte del comando. Era giunta alla conclusione che esistono differenti generi di capi. Alcuni sono buoni, altri cattivi. E probabile che esistano capi del tutto esenti dai dubbi che avevano assillato lei, individui assolutamente sicuri di sé e di ogni loro scelta. Ci sono capi egocentrici, monomaniaci, megalomani, gente come Attila, Alessandro, Carlomagno, Mussolini, Patton, Suslov, uomini ossessionati, uomini incapaci di dominare le proprie pulsioni, spesso psicotici o paranoici.

Persone del genere possono anch'essere buoni condottieri d'uomini, ma Cirocco era dell'opinione che, tutto sommato, il mondo diviene un posto decisamente peggiore, quando gente come quella si mette in testa di conformarlo alle proprie idee.

Da decenni, ormai, Cirocco era stata sollevata da quel genere di responsabilità. E si sentiva assai più soddisfatta, quando nessuno dipendeva da lei e lei non doveva dipendere da nessuno. Nel corso degli ultimi vent'anni, la sua unica responsabilità era consistita nel mantenersi viva, quasi a ogni costo. Adesso, forse, le cose stavano cambiando.

Era bello, però, in caso di necessità, scoprire quanto rapidamente le riusciva di cambiare marcia.

Chris li raggiunse proprio mentre arrivavano alla grotta.

Era alta, larga, profonda: un luogo perfetto per conservarvi parte dell'arsenale di Cirocco. Essa pareva indifesa e aperta a tutti, ma in realtà disponeva di guardiani così ben nascosti che un intruso avrebbe potuto camminarvi sopra senza neppure accorgersene. Cirocco aveva portato quelle creature da Rea, ove un tempo esse avevano custodito un antico idolo, e aveva trovato il modo di riprogrammare i loro semplici cervelli per adeguarli alle proprie necessità. Esse non facevano alcun caso ai titanidi, ma qualunque umano non accompagnato da Chris o Cirocco sarebbe morto ancor prima di mettere piede nella caverna.

Dentro attendevano gli aerei. Ce n'erano sei, ma tre di loro erano stati via via parzialmente smontati per fornire parti di ricambio agli altri tre. Vent'anni prima, quando Cirocco li aveva acquistati e se li era fatti trasportare su Gea, quelli erano apparecchi all'avanguardia. La tecnica non aveva fatto grandi progressi, in tredici anni, ristagnando poi del tutto dall'inizio della guerra. Erano velivoli magnifici, straordinari, che con i goffi dinosauri su cui Cirocco s'era addestrata in gioventù avevano lo stesso rapporto esistente fra un jet supersonico e il trabiccolo dei fratelli Wright… pur se la differenza non sarebbe apparsa così evidente, a un osservatore inesperto.

Cirocco incominciò la sua ispezione.

— Chris, quand'è stata l'ultima volta che li hai provati?

— Circa mezzo chiloriv fa, Capitano, come previsto dal tuo calendario. Non ho avuto problemi con il Due e il Quattro, ma tra breve l'Otto avrà bisogno di una riguardatina.

— Non importa. Non ci servirà. Robin, Nova, siete capaci di pilotare?

— Pilotare un aereo? — chiese Robin. — Temo proprio di no, Capitano.

— Non c'è bisogno di esagerare, con questo "Capitano".

— Io… quand'eravamo… ho gui-guidato… un…

— Parla chiaro, ragazza. Non ti picchierò più, te lo prometto.

— Sì, ho fatto un po' di volo a vela — spiegò Nova a mezza voce. — Avevamo degli alianti, e scendevamo lungo l'asse, e…

— Ne ho sentito parlare — tagliò corto Cirocco. Ci rifletté qualche istante, continuando a passare in rivista il Libellula Due, che era il più piccolo degli aerei utilizzabili e l'unico a essere già piazzato sulla catapulta. — Sempre meglio che niente. Conal, tu guiderai questo, e Nova verrà con te. Falle prendere dimestichezza con le manovre fondamentali, se ti avanza un po' di tempo. Sali subito a bordo, metti in moto e inizia i controlli. Chris, prepara cinque unità di sopravvivenza. Equipaggiamento base, razioni supplementari, armi leggere, fucili, vestiario. Qualunque altra cosa utile che ti venga in mente e non pesi troppo.

— Tute antiproiettile?

Cirocco esitò, fece per dire qualcosa, poi diede ascolto alla voce del suo istinto.

— Sì. Nova può indossarne una delle mie. Trova per Robin la misura più piccola che puoi, e…

— Ho capito — disse Chris. La osservava con attenzione, a palpebre socchiuse. — Che facciamo coi cannoncini? Vuoi che li carichi?

Cirocco ridiede un'occhiata d'insieme al Due, che portava pezzi di grosso calibro incastonati nelle ali trasparenti.

— Sì. Preferisco di sì. Robin, dagli una mano.

Andò a prendere due cassette di munizioni per i cannoncini alari e predispose al tiro le due armi, ascoltando intanto Conal che eseguiva prove di ricetrasmissione con i titanidi. Mentre Chris e Robin caricavano l'equipaggiamento nello spazio dietro i sedili, richiuse con un colpo secco le calotte di protezione.

— State lontani! — avvertì Conal, e sparò una salva di prova da entrambe le armi. I colpi rimbombarono pesantemente nelle viscere della caverna.

Cirocco trascinò attraverso il pavimento, della grotta la manichetta del carburante e la collegò saldamente alla fusoliera, poi rimase a guardare mentre il grosso serbatoio retrattile si riempiva al massimo della capacità.

— Monta su — disse a Nova.

— In che punto posso arrampicarmi?

— Dove ti pare. Questo aggeggio è infinitamente più robusto di quel che sembra. — Capiva la preoccupazione di Nova. La prima volta che aveva visto le Libellule, Cirocco aveva pensato che doveva essere stato commesso un terribile errore. Quelle trappole parevano mucchi di attaccapanni coperti di cellofan. Nova s'inerpicò dentro, e Cirocco le richiuse il portello alle spalle. Vide che Conal le mostrava come allacciarsi la cintura.

— Attenzione! — gridò Conal di nuovo, appena udibile dall'interno della cabina.

Il propulsore si mise in moto. Risultava chiaramente visibile attraverso la fusoliera trasparente: un metro circa di lunghezza, con un diametro d'una ventina di centimetri. A una prima occhiata poteva sembrare semplice ed essenziale come un becco Bunsen, ma si trattava di un'impressione sostanzialmente ingannevole, sebbene in parte rispondente al vero. In esso non v'era quasi presenza di metallo. Era fatto di ceramica, avvolgimenti di carbonio e materie plastiche. La sua turbina girava a velocità che sarebbero state impossibili da ottenere senza l'uso di cuscinetti prodotti in ambienti a gravità zero, e raggiungeva temperature che avrebbero vaporizzato qualunque materiale in uso ai tempi in cui Cirocco era giovane.

L'aereo sputacchiò una sola nuvoletta di fumo, mentre il motore si arroventava passando rapidamente dal rosso all'arancio al giallo. Conal attivò la catapulta, e l'aereo venne lanciato in aria. Dopo duecento metri incominciò a curvare, puntando direttamente verso l'alto.

— Datemi una mano con questo — disse Cirocco. Robin e Chris afferrarono l'estremità dell'altra ala e la coda del Libellula Quattro, e tutti insieme lo sollevarono facilmente andando a posizionarlo sulla catapulta. Chris si dedicò a fare il pieno di carburante, mentre Robin caricava l'equipaggiamento e Cirocco, seduta al posto di pilotaggio, compiva i controlli preliminari. Il Quattro era disarmato. Cirocco dedicò a questo fatto un istante d'inquieta riflessione, poi allontanò il pensiero dalla mente. Non riusciva a immaginare a cosa potesse servire l'armamento del Due, ma partiva dal presupposto che visto che c'era, sarebbe stato sciocco non mettersi in condizione di poterlo eventualmente usare.

— Conal, mi ricevi?

— Forte e chiaro, Capitano.

— Dove ti trovi?

— In direzione est da Tuxedo Junction, Capitano.

— Chiamami Cirocco, e mantieniti a cinquemila sull'attuale posizione fino a nuovo ordine.

— Roger, Cirocco.

— Valiha, Rocky, Serpentone, mi ricevete?

Risposero tutti affermativamente, e Cirocco disse a Nova di trasmettere a Rocky la ricetta e gl'ingredienti del suo filtro d'amore. Non appena i rifornimenti di carburante e provviste furono completi, Chris salì a bordo sistemandosi sui due sedili posteriori, e Robin si accomodò accanto a Cirocco, che mise in moto.

Quando il propulsore fu a regime, Cirocco si volse a Robin.

— Appoggia bene la testa indietro — le disse. — Quest'affare scalpita come un puledro.

E balzarono nel vento.

TREDICI

A guidare l'aereo, Conal aveva imparato da Cirocco poco dopo il suo arrivo su Gea. Gli riusciva magnificamente, e ci si divertiva un mondo.

Non che pilotare una Libellula fosse difficile. Una volta stabilita la rotta, le Libellule erano capaci di decollare, autogovernarsi e atterrare da sole. Non necessitavano di piste, e potevano tirare avanti senza più contatti col suolo se non in caso di sporadiche soste per far rifornimento. Chiunque avesse pilotato un piccolo Piper si sarebbe trovato a suo agio su una Libellula nel volgere di pochi minuti, anche se la mancanza di strumentazione avrebbe inizialmente potuto causargli qualche inquieta perplessità. Da un certo punto di vista, una Libellula disponeva di un solo strumento: il monitor del computer. Una piccola tastiera, posta alla destra del pilota, consentiva di richiamare a schermo qualunque informazione desiderata; e l'elaboratore di bordo, rilevando i dati di volo cinquantamila volte al secondo, avrebbe comunque avvertito il pilota di qualsivoglia anomalia, suggerendo opportune manovre d'intervento. Il velivolo disponeva di radar d'aria e di terra, nonché di ogni desiderabile dispositivo radio. Cirocco aveva sostituito le bussole con localizzatori inerziali.

I pedali di governo e la cloche, tuttavia, erano dello stesso tipo di quelli usati sulla Terra per oltre un secolo e mezzo. Conal sfruttò l'attesa mostrando a Nova l'uso di tali dispositivi. La ragazza osservò con la massima attenzione, e quando lui le passò i comandi non commise errori.

Allorché il Quattro si fu levato in volo per raggiungerli, Conal allineò in quota il suo Due col fratello maggiore, ponendoglisi sulla destra in posizione leggermente arretrata.

— Ecco il nostro piano — disse Cirocco. — La portata del radar è di circa trenta chilometri in ogni direzione. Un angelo può fare sui settanta chilometri l'ora, e può mantenercisi per forse un paio d'ore. Quello è partito da poco meno di un'ora. Dobbiamo supporre che sia diretto a Pandemonio, attualmente situato nell'Iperione meridionale. Saliremo a venti, cioè due zero, chilometri, e manterremo l'attuale rotta per cinquanta chilometri. Voleremo a una velocità oraria di uno due zero chilometri per altri trenta minuti, sperando così di arrivare con una qualche approssimazione nella zona dove si troverà lui. Poi ridurremo la velocità a sessanta, e cercheremo di localizzarlo col radar. Se non dovesse funzionare, proseguiremo ad alta velocità finché non saremo sicuri di averlo superato, e imposteremo una direttrice di ricerca in diagonale rispetto alla sua rotta presunta, finché non lo troveremo o finché qualcuno di noi non si farà venire un'idea migliore. Commenti?

Conal si diede a rifletterci in quel suo modo laborioso ma metodico. Cirocco non lo interruppe. Si rendeva conto che a parte Chris, col quale aveva già discusso il piano, Conal su Gea ne sapeva più di chiunque altro.

— E se quello va più in alto? — obiettò infine Conal. — La direttrice di ricerca non dovrebbe essere anche verticale, oltre che orizzontale?

— Sono partita dal presupposto che stia volando abbastanza basso.

Conal si reimmerse nelle sue riflessioni, nient'affatto sicuro che l'ipotesi di Cirocco dovesse essere presa per buona. Agli angeli poteva anche non piacere volare rasente alla volta ricurva, però, in caso di necessità, erano perfettamente in grado di farlo. Tuttavia, dal momento che nessun angelo avrebbe potuto, da solo, portare Adam da Dione a Iperione, Cirocco evidentemente confidava che i rapitori mettessero in opera una sorta di manovra a staffetta, e riteneva che il bordo esterno di Gea dovesse rappresentare il più probabile nascondiglio di quelli che avrebbero dato il cambio al primo.

Ma Gea era un posto strano, per volare. Si poteva salire per centocinquanta chilometri buoni, prima di arrivare alla volta. E volando attraverso un raggio, si arrivava anche più in alto. Se l'angelo avesse raggiunto una quota di sessanta chilometri, avrebbero potuto procedere proprio sotto di lui senza mai riuscire a individuarlo.

— Iperione è circa a un quarto di circonferenza — osservò Conal. — Quello potrebbe semplicemente risalire lungo un raggio, traversare il mozzo e riscendere.

— Hai perfettamente ragione, Conal — replicò Cirocco. — Ma per il momento supporremo che abbia preso la via del bordo. Se non troviamo nulla entro due o tre riv, rivedremo il piano.

— Il capo sei tu.

— Già, però tu non smettere per questo di darmi suggerimenti. E poi ho un asso nella manica che penso di tirar fuori fra pochi minuti.

Da come Nova aggrottava le sopracciglia, Conal dedusse che non aveva idea di cosa stesse dicendo il Capitano. Lui riuscì a formulare un'ipotesi piuttosto interessante, ma tenne la bocca chiusa.

— Avviso meteo — disse il computer. — State entrando in una zona ad alta turbolenza in cui… — Conal premette un tasto, e il computer tacque.

— Cosa voleva dire? — chiese Nova. Conal le diede un'occhiata. Sembrava che la ragazza incominciasse a star meglio. Non poteva essere altrimenti, pensò, visto che pareva disposta a fare conversazione. Conal provò una sensazione di sollievo. Non gli sorrideva molto l'idea di affrontare un lungo viaggio, in quello spazio ristretto, insieme a una persona che lo odiava.

— L'elaboratore ha in memoria un modello di Gea — spiegò, visualizzando sul monitor uno spaccato laterale del mondo a forma di ruota. — Tutte le Libellule condividono il modello, e basandosi sulle passate esperienze tengono una mappa aggiornata delle zone ad alta probabilità di perturbazioni. Comunque è più un fastidio che altro.

— Avrei pensato che fosse utile.

— Non troppo. Guarda. — Ingrandì l'area del bordo della ruota che conteneva Dione, evidenziando parte del raggio che v'incombeva sopra. Due puntolini blu, contrassegnati 2 e 4, lampeggiavano vicino al bordo inferiore dell'immagine. — Questi siamo noi — le disse, indicando il 2. — Ci stiamo muovendo in direzione di Giapeto, e quindi approssimando alla zona crepuscolare, dove ci sono correnti di aria più calda provenienti da terra. Su Gea, quando l'aria si innalza, va a scontrarsi con masse di altra aria che si muovono più lentamente perché sono più vicine al mozzo, formando con esse una superficie di discontinuità che s'incurva generando una specie di ondulazione simile a un'onda ciclonica. S'incontrano parecchie rapide correnti d'aria discendenti, nella zona di transizione.

La osservò, per vedere se aveva capito. A lui, con le sue nozioni sulla meteorologia terrestre, c'era voluto un poco per afferrare esattamente la questione. Sulla Terra, un fenomeno analogo è l'innesco di vortici provocato da correnti dirette da nord a sud, dovute al fatto che, per via del moto di rotazione terrestre, l'aria presente all'equatore si muove più in fretta di quella situata a nord e a sud di essa. Quando le conseguenze sono particolarmente violente, si parla di uragani.

— Certo — disse lei. — È l'effetto di Coriolis. Su alla Congrega dobbiamo tenerne ben conto, quando voliamo con gli alianti.

— Qui comunque la situazione non è così complicata. Gea è molto più grande della Congrega. E volando con l'aereo non devo preoccuparmene affatto. Però il computer ci fa caso ugualmente, e lo comunica. — Indicò di nuovo lo schermo. — Devi pensare che la situazione meteo è piuttosto regolare, su Gea. Il tempo cattivo proviene dai raggi. Gea risucchia un mucchio d'aria su per un raggio, attraverso il mozzo la trasferisce in un altro raggio, e alla fine la fa ricadere sopra una regione notturna. Tutto secondo un programma preciso. Ecco quindi cosa voleva dirmi il computer: mi sto avvicinando al confine fra il giorno e la notte, il che significa che sto uscendo da sotto un raggio, il che significa che posso aspettarmi qualche sbalzo di pressione. E ovviamente — concluse, indicandole l'immensa bocca del raggio di Dione che giganteggiava su di loro — posso vederlo benissimo anche da me.

Nova non fece commenti, ma si guardò attorno osservando il raggio, la volta ricurva che dinanzi a loro s'inarcava sopra Giapeto, e confrontandoli con l'immagine sullo schermo. Conal sapeva che abituarsi alla complessa geometria di Gea richiedeva un po' di tempo. Esaminare il territorio s'una mappa, o starsene sull'orlo a guardare l'abisso sentendosi una formica, non era esattamente la stessa cosa.

— Capisco quel che intendevi riguardo a come trovare l'angelo — disse infine. — Cosa gl'impedisce di volare tanto in alto che non s'arrivi mai a trovarlo? Tra l'altro dovrebbe anche fare meno strada.

— Su Gea, tutte le distanze per via d'aria sono più brevi delle distanze via terra. Se tu volessi andare da Dione a Rea, che sono diametralmente opposti, il tragitto più breve sarebbe quello da raggio a raggio attraverso il mozzo. Inoltre, man mano che ci si avvicina al mozzo si diventa sempre più leggeri, e una volta che lo si è raggiunto, il resto del viaggio è tutto in discesa.

— Perché Cirocco pensa che l'angelo non passerà per i raggi?

— Per un paio di motivi. Dentro i vari raggi vivono differenti stormi di angeli. Non si possono soffrire, e ogni stormo è geloso del proprio territorio. A qualunque stormo appartenga il rapitore, se utilizzasse due raggi dovrebbe attraversare un territorio ostile. Correrebbe il rischio di farsi uccidere, e avrebbe parecchie difficoltà a procurarsi il cibo. Invece lungo il bordo troverebbe vegetali commestibili quasi dappertutto, e chi deve dargli il cambio potrebbe nascondersi più facilmente, non dovendo fare i conti con i diritti d'insediamento di altri stormi.

— Ma come fate a essere sicuri che stia andando in Iperione?

Conal si strinse nelle spalle. — Questo dovresti domandarlo al Capitano. Lei ha un modo tutto particolare di venire a sapere le cose, e non è che si confidi sempre con me. D'altra parte, quell'angelo che ha preso Adam è stato un accidente di sorpresa, per lei, di questo puoi stare certa!


Si trovavano all'estremità occidentale di Giapeto allorché Cirocco diede ordine di ridurre la velocità. L'aereo di Conal era lontano verso nord, invisibile all'occhio ma ben presente sotto forma di un forte segnale di ritorno sulla mappa sciorinata dal computer.

Quando il monitor passò alla visualizzazione tridimensionale, Robin trovò difficile non farsi vincere dallo scoraggiamento.

In quel modo il bordo di Gea appariva come un tubo dalla leggera curvatura, mentre il volume di spazio delimitante le possibili ubicazioni dell'angelo formava una semisfera con al centro Tuxedo Junction. La sagoma di perlustrazione degli aerei risultava un cilindroide schiacciato di cento chilometri di ampiezza per cinquanta di altezza. Paragonato alla cubatura in cui l'angelo avrebbe potuto trovarsi, appariva decisamente insufficiente. Rimaneva esclusa una gran quantità di spazio sia al di sopra che dietro di loro.

— Non è poi così brutto come sembra — disse Cirocco. — Per il momento ce ne restiamo un poco in giro qui attorno, sperando che si faccia vivo. Ma se non lo intercettiamo entro un'ora, aumenterò la velocità e incominceremo a incrociare con metodo, in modo da coprire praticamente tutto lo spazio di ricerca.

— E se fosse tornato indietro verso Meti?

— È improbabile. Comunque, se non avremo risultati entro quattro o cinque ore, manderò Conal in quella direzione.

— E il raggio? — chiese Chris.

— Sarebbe un tale incubo logistico che l'ho escluso a priori.

Robin guardò in basso, lontano, verso le ampie distese di foreste che stavano sorvolando.

— Ma… non potrebbe semplicemente nascondersi laggiù, in mezzo alla boscaglia?

— Robin, se è così siamo fregati.

Magari fosse stata zitta.

— …Però non lo farà — proseguì Cirocco.

Robin pensò di chiederle come faceva a esserne tanto sicura, ma si accorse di non averne il coraggio. Lei voleva che la Maga fosse sicura. Era consolante avere accanto qualcuno che sembrava sapere quel che stava facendo…

— Chris, allungami lo zaino. Ora viene la parte peggiore.

Lo zaino in parola recava l'inconfondibile impronta dell'artigianato titanide, e aveva l'aria d'essere un vecchio amico. Robin stette a guardare mentre Cirocco se l'appoggiava fra i piedi sul pavimento trasparente, lo apriva, e ne estraeva un barattolino di vetro provvisto di coperchio metallico. Raggomitolato sul fondo c'era qualcosa di viscido e bianchiccio. Che sollevò la testa e ammiccò.

— In nome dei nove miliardi di perversioni della cristianità… cosa mai è quello? — chiese Robin.

Cirocco la fissò con aria contrita.

— È ciò di cui non t'ho voluto parlare alla fontana. Ma ormai le cose sono andate un po' troppo avanti perché sia il caso di mantener segreti. È un pezzo della mente di Gea. È qualcosa che Rocky mi ha tolto da dentro la testa più o meno cinque anni fa. In parole povere, è il mio Demone personale.

Robin osservò. La cosa si stava srotolando.

Assomigliava a un serpente con due gambe. Quando si eresse rimase in equilibrio su di esse utilizzando la coda come terzo punto di appoggio. Le gambe, in realtà, parevano piuttosto due braccia, con tanto di mani provviste di minuscoli artigli. Il collo era sui due centimetri e mezzo, la coda intorno ai sette, con la punta ottusa. Aveva due occhi tondi da lucertola, e una bocca sorprendentemente espressiva.

Robin si sporse in avanti per vedere meglio. Aveva l'impressione che la cosa stesse gridando. Riusciva quasi a distinguere le parole. Possibile che parlasse inglese?

— Ce l'ha un nome, 'sto affare?

Cirocco si schiarì la gola, e Robin le lanciò un'occhiata interrogativa.

— In effetti — rispose Cirocco con una contrazione delle labbra — se guardi da vicino, vedrai che è maschio…

Robin guardò. Grande Madre salvaci, era maschio davvero.

— Lui afferma di non avercelo, un nome — proseguì Cirocco. — Io, quando voglio chiamarlo in un modo che non sia "ehi tu, vescica bavosa" o roba del genere, lo chiamo Spione. — Cirocco si strofinò vigorosamente con un dito il labbro superiore, si schiarì di nuovo la gola, e insomma palesò, attraverso tutta una serie di sintomi, un nervosismo che Robin avrebbe ritenuto estraneo alla sua natura. Non si finisce mai d'imparare, pensò Robin.

— Vedi… — continuò Cirocco — …dalla posizione in cui era quando Rocky l'ha trovato… be', si potrebbe dire che in un certo senso… stava fottendo con la mia mente da una novantina d'anni.

Gea non avrebbe avuto alcun motivo plausibile di farlo maschio, visto che era destinato a trascorrere i suoi giorni dentro la testa di Cirocco. Quindi il suo sesso era da interpretarsi come uno dei contorti scherzi della dea, e avrebbe costituito una particolare e cocente umiliazione per Cirocco se l'intruso fosse stato scoperto.

Cirocco aprì il vasetto svitandone il coperchio e lo appoggiò sul ripiano sovrastante il monitor, che lei chiamava cruscotto. Con un saltello Spione andò ad appollaiarsi sul bordo del recipiente, si guardò attorno vagamente, e sbadigliò. Utilizzò una delle sue zampette artigliate per grattarsi come un cane, poi la rimise giù e rimase lì aggrappato simile a un minuscolo avvoltoio, con la testa quasi nascosta fra le spalle.

— Mi farei volentieri un goccetto — dichiarò. Robin riconobbe la voce.

— Oh, sto parlando a te, muso di troia — insisté.

Cirocco allungò una mano e gli diede un buffetto deciso col dito. Il demone andò a sbattere violentemente contro il parabrezza e ricadde sul cruscotto sbraitando. Cirocco tese di nuovo la mano e gli schiacciò la testa sotto il pollice. Robin sentì che qualcosa cedeva con uno scricchiolìo rovinoso. Grande Madre, pensò. L'ha ammazzato.

— Dolente — disse Cirocco. — Ma è il solo modo di fargli intendere ragione.

— Non vorrai mica scusarti con me?! — protestò Robin con voce stridula. — Per me puoi scorticarlo vivo e darlo in pasto ai vermi! Mi sorprende semmai che tu l'abbia tenuto cinque anni per ammazzarlo proprio adesso.

— Macché, sta benissimo. Non so nemmeno se sia possibile ucciderlo. — Alzò il pollice, e Spione con una giravolta si rimise in piedi. Aveva la testa deformata e gli gocciolava sangue da un occhio. Mentre Robin lo guardava, la sua testa riassunse la forma precedente, come fosse fatta di qualche straordinaria materia plastica.

— A chi mi devo rivolgere per avere un goccio in questo buco puzzolente? — Con un balzo ritornò ad appollaiarsi sul bordo del barattolo.

Cirocco frugò nello zaino e ne tirò fuori una borraccia di metallo foderata in cuoio. Tolse il tappo, prese un contagocce, lo infilò nel collo della fiasca e risucchiò una piccola quantità di un liquido trasparente. Spione saltellava impaziente da un piede all'altro, con la testa arrovesciata all'indietro e le fauci spalancate. Tenendogli il contagocce sopra la bocca, Cirocco ci fece cascar dentro una bella gocciolona. Spione l'inghiottì voracemente, e subito riaprì la bocca.

— Per ora basta — disse Cirocco. — Se fai il bravo, te ne darò ancora.

— Che roba è? — chiese Robin. Spione roteò gli occhi nella sua direzione.

— Alcool etilico. A Spione piace liscio. — Sospirò. — È un alcolizzato, Robin. Praticamente non si nutre d'altro, a parte un pochino di sangue una volta al giorno.

Spione accennò a Robin con uno scatto della testa.

— Chi sarebbe 'sta troietta? Cirocco gli appioppò un'altra ditata

in pieno muso, e Spione diede un bercio, poi lesto chiuse il becco. — Forse… — cominciò Robin, ma ci ripensò.

— Continua — disse Cirocco.

— Be', forse era lui che ti causava il tuo… problema.

— Non c'è bisogno di usare perifrasi, Robin. Forse era lui che mi rendeva un'ubriacona, vero? — Sospirò, e scosse la testa. — Per parecchio tempo mi sono sforzata di crederci anch'io. Ma sapevo benissimo che si trattava solo di un tentativo di trovare altrove la giustificazione a una debolezza che era solo mia. Sono stata io, semmai, la causa del suo problema. Se n'è rimasto accovacciato così a lungo sopra un cervello alcolizzato, che il vizio l'ha preso anche lui. — Raddrizzò le spalle e poi si chinò un poco in avanti, fissando il demone.

— Spione — disse — adesso faremo un gioco.

— I giochi mi fanno schifo.

— Questo ti piacerà. Gea ha fatto una cosa orribile.

Spione ridacchiò. — Io lo sapevo che stava per succedere qualcosa di bello…

— Però non hai pensato di avvertirmi, vero? Be', forse la prossima volta ci penserai. Il fatto è, fetido sifiloma pestilenziale, che qualcuno ha rapito un bambino. Dietro c'è la mano di Gea com'è vero che le mosche vanno alla merda, e tu mi dirai dov'è il bambino.

— Perché non mi lecchi il culo?

Robin trasalì quando Chris comparve all'improvviso tra di loro e acchiappò nel suo grande pugno la ripugnante creaturina. Rimaneva visibile soltanto la testa, coi due occhi che roteavano furiosamente.

— Dallo a me, Capitano — propose Chris a voce bassa. — È un'ora che ci rifletto, e può darsi che mi siano venuti in mente un paio di trucchetti ai quali tu non hai ancora pensato.

— Fermo un attimo, fermo un attimo! — strillò Spione. — Lo sai che lavoro meglio se non mi fai male, lo sai, lo sai!

— Aspetta, Chris — disse Cirocco. Gli occhietti minuscoli facevano la spola fra Chris e Cirocco. Spione inghiottì convulsamente, quindi parlò in tono untuoso.

— Che me ne fotte cos'ha introgolato Gea? Per un paio di goccetti potrei anche farcela a darvi una mano.

— Quattro gocce sono la mia offerta.

— Ora sii buona — piagnucolò. — E ragionevole. Non puoi negare che funziono meglio quando ce n'ho un poco in corpo.

Cirocco parve rifletterci.

— D'accordo. Ma prima lascia che ti spieghi il gioco. Mettilo giù, Chris. — Spione tornò libero e Cirocco accese un fiammifero, avvicinandolo a una trentina di centimetri dal demone.

— Adesso ti darò subito due gocce. Tu poi mi dovrai dire dov'è il bambino. Voleremo fino a lì, e quando saremo arrivati, se avrai avuto ragione ti darò ancora tre gocce. Se invece avrai sbagliato, ti legherò uno di questi fiammiferi sulla schiena e l'accenderò. Ci mettono una ventina di secondi a bruciare. Dopo farai un altro tentativo. Se sbaglierai ancora, ti prenderai un altro fiammifero. Ne ho portati… — diede un'occhiata dentro lo zaino — …mah, saranno un cinquanta più o meno. Quindi è un gioco che può andare avanti per tanto, tanto tempo. Oppure finire molto presto.

— Presto, presto, prestoprestopresto! — uggiolò Spione saltellando freneticamente.

— Benissimo. Apri la bocca.

Cirocco gli diede le due gocce pattuite, e quello parve calmarsi. E, curiosamente, prendere anche un poco di colore. Al bianco-giallastro piuttosto malaticcio che aveva avuto sin dall'inizio, si andò sostituendo un colorito decisamente rubicondo.

Saltò giù dal bordo del barattolo e si mise a camminare avanti e indietro sul cruscotto. Robin, affascinata, ne seguiva ogni mossa.

Il demone continuò a passeggiare per qualche minuto. Man mano che l'alcool gli faceva effetto, incominciò a barcollare. Però era anche evidente che il suo sguardo si andava gradualmente rivolgendo, con sempre maggior insistenza, verso una ben definita zona del cielo. Balzò goffamente verso il parabrezza e vi premette contro la sua faccia ripugnante, come per vedere meglio. Alla fine ruttò, e indicò con una zampa.

— È per di lassù — disse, e stramazzò.

QUATTORDICI

— Conal, gira venti gradi a sinistra e sali a quaranta chilometri. Aumenta la velocità a due zero zero chilometri orari.

— Venti gradi a sinistra, quaranta, duecento. Roger, Capitano.

Eseguì immediatamente la virata, aumentò la spinta, e controllò attentamente che l'aereo facesse il resto secondo quanto previsto.

Come un orologio, pensò con soddisfazione. Fuori, le ali stavano rientrando dalla posizione a tre quarti di apertura, accentuando nel contempo leggermente l'inclinazione a freccia.

— Perché pensi che abbia deciso così? — chiese Nova.

— Non lo so — rispose Conal. In realtà una certa idea ce l'aveva, ma sarebbe stata troppo complicata da spiegare, e poi gli era stato ordinato di non parlare mai a nessuno di Spione, senza specifica autorizzazione di Cirocco.

— Non riesco proprio a capirla — ammise Nova.

— Ti assicuro che non sei la prima.

— Conal, avete indossato le tute antiproiettile?

— No, Cirocco. Dobbiamo?

— Penso di sì. Noi le abbiamo messe. Non c'è nessun motivo particolare, tranne il solito.

— A che serve portarle se poi non le usiamo, vero, Capitano?

— Esatto.

— Le mettiamo subito. — Si rivolse a Nova. — Ce la fai a pigliarle? Sono quei fagotti azzurri.

Nova armeggiò con uno degli indumenti ripiegati finché non riuscì ad aprirlo. Era una tuta bluchiaro, leggera, lievemente rigida, senza maniche né gambali. I filamenti di carbonio intessuti attraverso il robusto tessuto sintetico avrebbero arrestato qualunque proiettile di piccolo calibro, garantendo una certa protezione anche contro armi più pesanti e schegge di bomba.

— E se uno viene colpito alla testa? — chiese Nova.

— In caso di necessità indosseremo anche gli elmetti, i gambali e le maniche. Ti serve aiuto?

— Posso farcela da me. — Si alzò dal sedile, e si tirò giù i pantaloni fino alle caviglie. L'aereo diede uno scarto improvviso verso destra, e Nova rivolse all'esterno uno sguardo preoccupato. — Che succede? C'è qualcosa che non va?

— No no, niente — rispose Conal tossicchiando nervosamente. — Ehm, pensavo che l'avresti messa sopra i pantaloni.

— Ha importanza? — replicò lei, e si sfilò la maglietta. Stavolta l'aereo sbandò soltanto un poco.

— No, nessuna importanza — rispose Conal, e allungò una mano verso l'alto a srotolar giù dalla sua piccola nicchia la tendina divisoria.

La sentì, dall'altra parte, esalare un lungo sospiro di sopportazione, poi Nova diede uno strattone all'estremità inferiore della tendina e la fece riarrotolare. Gettandole uno sguardo vide che la ragazza si teneva gl'indumenti davanti al corpo. Gli occhi le fiammeggiavano di esasperazione.

— Posso parlarti un minuto? Va bene così? Sono decente?

Conal inghiottì. — È che… Nova, così non basta.

Lei si passò una mano fra i capelli, poi se li tirò con un gesto in cui si mescolavano fastidio e delusione.

— D'accordo, mia madre me l'aveva detto, ma proprio non mi ci raccapezzo, e allora forse me lo potrai spiegare tu. Non è che ti fa senso guardarmi, vero?

— No, per niente.

— È questo che non riesco a capire. Così mi fai sentire brutta.

— Mi dispiace, — Gesù, da dove incominciare, come fare a spiegarglielo? Non era nemmeno sicuro di riuscire a spiegarselo per sé, figuriamoci a lei. — Maledizione, il fatto è che sono scombussolato perché ti desidero e non ti posso avere. Vederti mi manda su di giri, va bene?

— Va bene, va bene! Grande Madre, non capisco perché ti preoccupi tanto di andare su di giri, ma cercherò di collaborare. Coprirò i punti che Robin mi aveva detto di coprire. Però credevo di averlo già fatto. E allora dimmelo tu, signor uomo maschio, cos'è che devo coprire?

— Per quel che me ne frega puoi anche buttarli tutti quanti fuori del fottuto finestrino, i tuoi vestiti — disse Conal a denti stretti. — Sono cavoli tuoi, non miei.

— Oh, no, non vorrei scombussolarti. Non vorrei farti perdere il tuo precario autocontrollo. Che la Madre me ne scampi. - Risbatté giù la tendina, ma pochi secondi dopo la rialzò di quel tanto che le bastava per sbirciarci sotto.

— Un'altra cosa. Non ho avuto tempo di far pipì, prima del decollo. Mi tocca aspettare finché non atterriamo?

Conal aprì uno scomparto sul cruscotto e le porse una vaschetta di forma curiosa, poi estrasse dal suo alloggiamento il tubo a depressione.

— Devi agganciare il tubo a quest'affare, poi… lo appoggi a…

Ci arrivo anche da me, sai! E immagino che pure per questo bisognerà isolarsi.

— Se non ti dispiace.

La sua risposta fu più un ringhio che una parola, poi riabbassò un'altra volta la tendina. Conal tirò avanti a pilotare, tutto agitato, cercando d'ignorare i rumori che provenivano dall'altra parte.

Sette anni prima, per una cosa del genere sarebbe potuto tranquillamente diventar matto. Per non parlare di quello che avrebbe potuto combinare, col caratteraccio che si ritrovava a quei tempi!… Da allora aveva imparato un mucchio di cose. Il carattere era rimasto sempre quello, ma veniva tenuto strettamente e permanentemente sotto controllo.

Per calmarsi adottò le procedure che aveva duramente imparato a sue spese, e quand'ebbe finito si sentì uno sciocco, come sempre accadeva, per essersi fatto così trasportare dall'ira. La ragazza agiva secondo la propria logica, e dal suo punto di vista lui si stava comportando proprio come un deficiente.

Diavolo, pensò, anche dal mio punto di vista. E rimpianse di essersi lasciato andare a quello scontro verbale. La ragazza aveva ragione. La sua nudità non voleva certo essere una provocazione nei confronti di Conal.

Magari fosse riuscito a dire le cose con la stessa chiarezza con cui gli veniva di pensarle! Ma sapeva, per amara esperienza, che quasi mai le parole prendono la forma giusta.

Quando Nova sollevò la tendina, Conal vide che s'era reinfilata i pantaloni sopra la tuta antiproiettile. La maglietta l'aveva ripiegata e cacciata fra la schiena e il sedile. Sedeva a spalle ben diritte, e guardava rigidamente avanti.

Conal stette molto attento a non ridere, benché ne avesse voglia. Si sentiva decisamente meglio. Adesso era lei che faceva la figura della stupida. Non sapeva come liberarsi della rabbia che la rodeva, e ciò dava a Conal una sensazione di superiorità. Una deliziosa sensazione. Nova era ancora così giovane.

Ostentatamente, Conal abbassò la tendina e s'infilò svelto la sua tuta, reindossando i vestiti sopra a essa.

— Da' un'occhiata al radar, mentre metto un po' a posto qua dietro — le disse riaprendo la tendina. Lei annuì, e Conal si girò a sistemare la rete di protezione sopra il carico che si ammucchiava sul retro dei sedili. Quando tornò a rivolgersi avanti, il cielo era sempre assolutamente deserto. Continuarono a volare, in silenzio.

Durante l'ora successiva, il radar di Cirocco captò due segnali. La prima volta ci fu una grande eccitazione, sebbene lei avesse avvertito di non farsi illusioni. E infatti dovettero subito constatare che si trattava di un aerostato solitario. Cirocco virò di bordo. Gli aerostati odiavano tutto quel che aveva a che fare col fuoco, e dopo l'apparizione degli aviogetti, per diversi anni avevano tenuto un atteggiamento assai freddo nei confronti di Cirocco.

Ingiustamente, però, in quanto lei s'era procurata quegli aerei proprio allo scopo di distruggere le bombe volanti che avevano reso insicuri i cieli di Gea per quelle creature più leggere dell'aria. Ma vai a discutere con un aerostato…

Il secondo segnale risultò prodotto da un angelo isolato. Per un istante il morale risalì, ma poi si vide chiaramente che le sue ali non erano del colore giusto. Cirocco spense il motore e gli planò accanto per qualche minuto. Era del Sovrastormo di Dione. Parve sinceramente sbalordito nel sentire di un angelo al servizio di Pandemonio, e giurò che il suo stormo, reparto e ala rimanevano fedeli alla Maga.

Allora Cirocco legò un fiammifero addosso a Spione, il che diede un impulso straordinario alla sua volontà di collaborazione. Dopo un'altra goccia di alcool etilico riuscì di nuovo a parlare, e disse che l'angelo si trovava ora sotto di loro, leggermente arretrato. Cirocco comunicò per radio a Conal la nuova rotta.


— Posso farti una domanda? — chiese Nova.

— Dimmi pure.

Aveva impiegato un bel po' a raccogliere le idee, e adesso che c'era riuscita si rendeva conto che andare avanti era una questione per niente facile.

Era giunta alla conclusione che in qualche modo le toccava per forza dare un senso a quel mondo di pazzi, perché tanto sarebbe rimasta confinata lì per il resto della vita, insieme a titanidi e maschi umani. Sentiva ancora sulla guancia l'impatto della mano di Cirocco. Amava Cirocco, e Cirocco l'aveva picchiata, e bene o male quei due fatti andavano conciliati, bisognava fare in modo che Cirocco non avesse più motivo di colpirla. Perché ciò fosse possibile, le era indispensabile comprendere alcune cose.

— Secondo te, cosa intendeva Cirocco Jones quando mi ha detto che devo unirmi alla razza umana? — Fatta la domanda, si rilassò un poco, anche se si rendeva conto che la risposta di Conal non sarebbe servita a granché. Era stata un'idea sciocca chiederlo prima a lui. Avrebbe dovuto aspettare di trovarsi sola con sua madre: lei, forse, poteva darle una spiegazione.

Ma Conal la lasciò di stucco.

— Me lo sono chiesto anch'io — rispose. — Secondo me non aveva il tempo di chiarire con precisione il suo pensiero, e allora ha semplicemente detto qualcosa che potesse attrarre la tua attenzione.

— Quindi nemmeno tu hai capito cosa voleva intendere?

— No, non ho detto questo. Io lo so benissimo a cosa si riferiva. — Aggrottò le sopracciglia, rivolgendole un sorrisetto di traverso. — Solo che non so mica se sono capace di spiegartelo.

— Perché non ci provi?

Rimase a fissarla, a lungo. Quello sguardo la mise a disagio.

— E perché dovrei? — replicò infine.

Lei sospirò, e si volse dall'altra parte. — Non lo so — disse.

Conal si strinse nelle spalle. — Me lo sono chiesto sul serio. Per quale motivo dovrei cercare di darti delle spiegazioni, quando ogni volta che ti rivolgo un sorriso amichevole tu mi guardi come se fossi una specie di pidocchio? Non credi che abbia anch'io dei sentimenti?

Quello era proprio il genere d'interrogativo su cui Nova non aveva alcuna voglia di riflettere. Ma il rifiuto di rifletterci le aveva anche procurato un sonoro ceffone.

— Tu però non ci pensavi mica ai miei sentimenti, poco fa.

— Riconosco d'essere incorso in un malaugurato errore — disse Conal. — Ma vuoi sapere cos'ho intenzione di fare adesso? — Le rivolse un nuovo sguardo intenso, accompagnandolo a un bel sorriso. — Di dirti che mi dispiace, di chiederti scusa, e di prometterti che d'ora in poi mi comporterò meglio. Che te ne pare come punto di partenza?

Nova cercò di reggere quello sguardo, ma alla fine dovette abbassare gli occhi.

— Mi fa sentire a disagio — ammise. — Ma non so perché.

— Io invece sì. Vuoi proprio che te lo dica?

— Sì.

Per favore.

Nova aveva un'aria veramente furibonda. Ma trasse un profondo, paziente sospiro, incrociò le braccia, e lo fissò.

— Per favore.

— Gesù, certo che deve bruciarti.

— Per niente. È solo una parola.

— Macché, ti brucia eccome, e poi non è vero ch'è soltanto una parola. Ti fa torcere le budella per lo stesso motivo per cui ti han dato fastidio le mie scuse. Con questa son già due volte che t'è toccato considerarmi un essere umano.

Nova stette a pensarci diversi minuti, e Conal attese in silenzio.

— Secondo te, insomma, è questo che intendeva Cirocco? Che devo diventare eterosessuale e devo fare l'amore con gli uomini?

— Niente di così drastico, e nemmeno di così semplice… — Si passò una mano sul viso, scosse lentamente la testa. — Senti, non mi riesce di spiegartelo bene. Accidenti, come vorrei che fosse qui Cirocco! Perché non aspetti di parlarne con lei?

— No — insisté Nova mostrando un crescente interesse. — Vorrei sentirlo da te.

— Mi venga un colpo se capisco perché — borbottò Conal. Poi trasse un respiro profondo.

— Allora ascolta. Nella tua vita, è pieno di trincee. Di qua ci siamo noi, e di là ci sono loro. E noi sembrerebbe un gruppetto piuttosto striminzito, no? D'accordo, posso capire, la penso anch'io allo stesso modo. Non è che mi piacciano tutti gli esseri umani. E so che neppure Cirocco è la seguace più sfegatata che la razza umana abbia mai avuto. Comunque non è solo una questione di umanità, perché i titanidi, per esempio, non sono umani, però fanno parte di ciò a cui lei vuole che ti unisca anche tu. Finora mi segui?

— Non lo so. Va' avanti, comunque.

— Merda. Devi crescere! - sbottò. — Ecco cos'ha detto Cirocco. Devi smetterla di trinciare giudizi sulla gente giudicandola dall'aspetto. — Tacque, scuotendo la testa con aria sconsolata. — Nova, potrei andare avanti a blaterare mezzora, come nei programmi dell'accesso, spiegandoti tutti i motivi sublimi per cui devi per forza voler bene ai quebecchini e ai mormoni e ai marocchini e ai finocchi e ai mongoloidi e ai musineri e ai poveri animaletti pellicciosi e ai serpenti a sonagli. Quand'ero ragazzo, anch'io non potevo soffrire qualcuno di quelli. Adesso però riservo il mio odio agli schiavisti e ai commercianti di bambini… e roba del genere. Chiunque incontro aspetto di vedere che tipo è, perché viviamo in un mondo pericoloso e spietato, e abbiamo il diritto di guardare con sospetto le facce nuove. Ma se dimostrano di non essere delle canaglie, diamine, allora bisogna trattare loro come vorremmo essere trattati noi, la vecchia regola d'oro, no? Se uno dei mici amici ha un amico, vorrà dire che quello è anche amico mio, almeno fino a prova contraria. Non m'importa se è nero o marrone o giallo o bianco, se è maschio o femmina, se è giovane o vecchio, se ha due gambe o quattro o magari sedici. E anch'io non sono male, sai, come amico. Leale che piuttosto mi smezzo, e i miei piatti me li lavo da me.

— Anch'io sono leale! — esclamò Nova.

— Certo. Verso tutti quelli che stanno insieme a te dalla stessa parte della trincea. Che sono femmine e hanno solo due gambe. Valiha non può essere tua amica perché sembra un animale, e io non posso essere tuo amico perché ci ho l'uccello. — Indicò fuori del parabrezza, verso il cielo vuoto. — Quel poveretto del tuo fratellino non può essere tuo amico nemmeno lui, perché tu non lo consideri un essere umano. Nova, mi basta vedere come sei nei tuoi aspetti migliori, per capire che sarebbe stupendo avere dalla mia parte una persona come te. Ma quel fossato non lo posso attraversare io.

Sospirò, appoggiandosi allo schienale. Nova aveva seguito affascinata, il suo ragionamento, ma senza afferrarne granché, come ad esempio la parte sui quebecchini e i musineri.

Non aveva la minima idea di chi potessero essere costoro. E poi perché aveva tirato fuori la questione del colore della pelle? Cosa diavolo c'entrava quel discorso con tutto il resto?

— Secondo te, insomma, come dovrei comportarmi? Dovremmo avere dei rapporti sessuali, tu e io?

Conal alzò le mani in gesto sconsolato.

— Così mi offendi. Mi offendi davvero. Non crederai che t'abbia raccontato tutte quelle storie solo per riuscire a toglierti le mutande?

— Mi… mi dispiace. Però non capisco cos'è che ho detto di male.

Conal aveva un'aria stanca.

— Sì, me ne sono accorto. Vabbè. Sei capace di farti dire una cosa sincera senza arrabbiarti? Mi piacerebbe da matti avere rapporti sessuali con te. Se mi sono offeso, è perché nel posto dove sono cresciuto io, i ragazzi s'inventavano qualunque cosa pur di convincere le ragazze ad andare a letto con loro, mentre qui sto sfoggiando una così disgustosa nobiltà d'animo che mi vien quasi da vomitare, e quindi mi addolora il fatto che tu pensi ch'era solo un trucco. Comunque parlavi sul serio, vero?

— Sì. Lo farò, se dev'essere fatto.

— Mai parole più gentili mi furono rivolte…

— T'ho offeso di nuovo? Mi spiace.

Conal sogghignò.

— Vedo che le scuse incominciano a venirti meglio, e la cosa mi consola. Dimostra che almeno ci stai provando. Ascolta, Nova, dovresti parlarne con tua madre. Lei sa tutto, sull'argomento. Comunque, se vuoi la mia opinione, dovresti fare quel che ho fatto io quando Cirocco ha incominciato a raddrizzarmi le idee. Ero davvero un lurido fetente di razzista, quando sono arrivato qui. Non che adesso sia perfetto, però sono migliorato. Insomma, quando pensavo "francioso" o "quebecchino", gli sostituivo "canadese". Quando pensavo "nero", ci mettevo "bianco". E allora, quando senti dire "uomo", mettici "donna". Quando guardi una persona e pensi "titanide", cambialo in "sorella". Quando pensi ad Adam, fa' finta che sia la tua sorellina. Cerca un po' d'immaginare che sensazioni proveresti.

Lei ci rifletté, e rimase sorpresa nel sentirsi invadere dall'ira. Passò alla svelta — dopotutto non era che un artifizio mentale — però aveva un suo fascino il pensare a come sarebbe stato il mondo se invece che di fantasie si fosse trattato di realtà.

— Potrei farti una domanda per verificare una mia sensazione? — chiese Conal. Lei annuì. — Tu mi trovi… fisicamente ripugnante, vero?

Accadde un'altra cosa straordinaria. Nova si sentì arrossire.

— Non ti vorrei offendere…

— Preferirei una risposta sincera.

Lei annuì, a disagio. — Sei troppo peloso. Hai il mento così ispido che ci si deve bucare, a farsi baciare da te. Le tue braccia e le tue gambe non… non hanno la forma giusta. Ma… le donne della Terra sono attratte, da certe cose?

Lui sogghignò di nuovo.

— Sembrerebbe di sì.

— E tu, mi trovi… attraente?

— Più che attraente. Sei stupenda. Sei una delle donne più belle che abbia mai visto.

Nova, ricolma di meraviglia, scosse la testa.

— Certo che il mondo è buffo — commentò.

— Cosa c'è di strano? Le lesbiche hanno un altro concetto della bellezza?

— Non lo so. Fatto sta che con la mia altezza, nella Congrega ero considerata una specie di scherzo di natura. Nessuna mi trovava bella. — Lo guardò con attenzione. — È proprio vero che gli uomini non provano avversione per le donne di alta statura?

— Non ad Artillery Lake — ridacchiò Conal. — Giuriddìo per me sei la numero due, dopo Cirocco.

— Via, ora non essere assurdo — replicò lei in tono sostenuto. Stava per aggiungere qualcos'altro, ma in quel momento suonò l'allarme radar, e Cirocco ordinò un mutamento di rotta.

QUINDICI

Rimasero tutti quanti piuttosto scossi, nello scoprire che la creatura che aveva rapito Adam non era un angelo. O per lo meno, se quello era un angelo allora anche uno zombi era un essere umano.

Mentre lo esaminava col binocolo, Cirocco non smetteva d'imprecare sottovoce. Chris non riusciva a staccare gli occhi da quella cosa. Ma quando Cirocco gli porse il binocolo, per guardare dovette farsi forza.

Constatò che i suoi più neri timori non s'erano realizzati. Osservando attentamente Adam, non riuscì a scorgere traccia del morso dei necròfili. Avvinto da quelle braccia ripugnanti, con la testolina abbandonata e i capelli neri ondeggianti nel vento, Adam stava schiacciando un pisolino.

Chris dovette abbassare lo strumento e controllare il tremito che gli scoteva le mani. Guardò di nuovo, ed ebbe definitiva conferma di quanto il suo cuore già sapeva: il bambino era vivo. Due volte vide la sua boccuccia aprirsi e chiudersi, come se stesse masticando, e il piccolo torace alzarsi e abbassarsi.

Infine fu capace di rivolgere la propria attenzione all'angelo-zombi.

Doveva essere molto vecchio. Non serbava più traccia di pelle. Mostrava solo la struttura scheletrica, le penne, e l'intreccio di necrofidi che tenevano insieme il tutto.

Robin si faceva insistente, e dovette cederle il binocolo.

Cirocco espirò profondamente.

— Chiaro. È questa la ragione per cui non l'abbiamo trovato prima. Vola più veloce di un angelo vivo. Ormai siamo quasi su Crono.

Chris aveva voglia di gridare. Aveva voglia di urlare mille sciocche domande, di correre in cerchio, di abbaiare alla luna… Si rimangiò tutto quanto. Calma, conservare la calma. Individuare le uscite di sicurezza. Muoversi in modo ordinato. Cercare di non perdere il controllo. Mettere la testa fra le ginocchia in caso di svenimento… e pensare. Pensare!

— Proposte? — chiese Cirocco. Alla sua domanda fece eco un silenzio di tomba, sia sull'aereo che per radio.

— Va bene — disse Cirocco. — Priorità. Numero uno, non far nulla che possa metterlo in pericolo. Conal, arretriamo appena un poco, così non correremo il rischio di creare perturbazioni in aria. Che ne dici di duecento metri?

— Per me va bene, Cirocco — rispose la voce di Conal.

— Proposte? — chiese di nuovo.

— E se… lo… se lo lascia… cadere?… — riuscì a dire Chris.

— Questa non è una proposta, è una situazione. — Cirocco aggrottò le sopracciglia, e rimase a pensarci un po'. — D'accordo, mi abbasserò di circa un chilometro lasciandogli un leggero vantaggio. Conal, tu rimani dove sei. Se vedi cadere il bambino, voglio saperlo dopo un decimo di secondo. Mi getterò e lo raccoglierò.

"I paracadute!" pensò Chris. Doveva proprio essere fuori fase, altrimenti non se ne sarebbe certo dimenticato. Si girò a cercarli rovistando in mezzo all'armamentario dietro i sedili. Solo che non poteva occuparsene Cirocco, sarebbe stata una follia, doveva toccare a…

— No, scusa, Cirocco — obiettò Conal.

Per un attimo lei parve sbalordita.

— Che accidenti significa "No, scusa, Cirocco"?

— Che in quel modo non va bene — rispose Conal. — Prima cosa, il Capitano non abbandona la nave. Forse t'era sfuggito. Ma anche se tu potessi, devi sempre pilotare.

— Ma può pilotare Chris!

— No, Cirocco, scusa ancora. Chris mi ha detto di essere diventato troppo grosso.

Dio ti benedica, pensò Chris.

— Ha ragione lui, Cirocco — si affrettò poi a confermare, mentre già era intento ad agganciare il paracadute — un cilindro di tessuto grande più o meno quanto un ombrello strettamente arrotolato — agli appositi anelli presenti sulla sua tuta.

— Non dire assurdità — commentò Cirocco. — Devi solo spostare indietro 'sto maledetto sedile e…

Chris la guardò dritto in faccia.

— Non mi ricordo più come si fa a pilotare — disse. Lei rimase un poco lì a fissarlo, e Chris riuscì serenamente a ricambiare quello sguardo. Alla fine, con un gran sospiro, Cirocco annuì.

— D'accordo. Allora…

— No, tocca a me — disse Robin.

— Accidenti a voi! Ma chi diavolo…

— Io ho qualche esperienza di caduta libera — la interruppe Robin alzando leggermente la voce. — Chris invece no. Io avrei più probabilità di riuscire a prenderlo.

— La responsabilità è mia — sostenne Chris, rivolgendo a Robin uno sguardo eloquente.

— E io sono più allenata — replicò Robin.

Cirocco lì fulminò a turno con un'occhiataccia.

— C'è qualcun altro che ha intenzione di metter becco, eh? — domandò.

— Andrò io — si udì la voce di Nova. — Ho fatto venti volte più paracadutismo di Robin. Due anni fa sono anche stata campionessa della Congrega.

— Chi l'avrebbe mai detto… — mormorò Cirocco, poi proseguì con voce normale.

— D'accordo, basta così. Con tutti i nostri grandi propositi ancora non abbiamo combinato nulla. Conal, tu rimani esattamente dove sei.

— Agli ordini, Capitano.

— Robin, Chris, se dovesse capitare, buttatevi entrambi.

Indossarono i paracadute, e studiarono la procedura per aprire l'aereo e lanciarsi. Robin provò due o tre volte la serratura e socchiuse il portello per assicurarsi di riuscire a farlo rapidamente.

— Bene — disse Cirocco. — Qualche altra idea?

— Pensavo alla questione del cambio, Cirocco — disse Conal.

— Cioè?

— Ecco, il secondo della squadra lo vedremo arrivare un po' prima che sia nei paraggi. Che ne diresti di abbatterlo?

Nessuno parlò, mentre ciascuno cercava di calcolare tutte le implicazioni di una simile scelta. Chris incominciò a pensare che potesse essere una buona idea.

— No — disse infine Cirocco. — Non ancora, comunque. Innanzitutto non credo che possano farcela con un cambio solo. Direi quattro o cinque, piuttosto. Quindi dovremmo osservare bene il primo e vedere come funziona, e stare pronti a riacchiappare il bambino. Però se il secondo angelo dovesse saltar fuori dopo che quello là ha superato la metà strada, allora ci si ripenserà.

— Non sono d'accordo — disse Robin. — Se gli facciamo fuori il cambio, quel coso là fuori finirà per stancarsi, e dovrà atterrare, e allora potremo catturarlo facilmente.

Cirocco annuì.

— Parrebbe logico, nevvero? Ma puoi scommettere che Gea ci ha già pensato anche lei, e ha preso le sue precauzioni. Ce ne accorgeremo al primo cambio.

Chris si dichiarò d'accordo, anche se l'attesa sarebbe stata una tortura.

— Faccio così, tanto per discutere — intervenne Conal. — Ma non potremmo tentare di prendergli il bambino? Io potrei manovrare in modo da andargli parecchio vicino, e poi… be', non è che abbia ben presenti tutti i particolari…

— Non mi pare una buona idea, Conal — obiettò Cirocco. — Dobbiamo attenerci anzitutto alla priorità numero uno, cioè non mettere in pericolo il piccolo.

— Va bene, ma allora ascolta — ribatté Conal. — Perché mai il bambino dovrebb'essere più al sicuro fra le grinfie di quella cosa piuttosto che a cascar giù con Chris e Robin pronti ad acchiapparlo? E come fai a dire che sarà al sicuro se quei bastardi lo portano a Gea?

Chris deglutì a fatica. Quei pensieri li aveva tenuti accuratamente ai margini della coscienza, ma avevano fatto di tutto per venire alla luce, e adesso se li sentiva dilagare con zampe adunche per tutto il cervello, e gli facevano venir voglia di urlare.

Cirocco aveva un'aria molto stanca.

— Credo che con Gea sarà assolutamente al sicuro — disse in tono grave. — Fisicamente, per lo meno. Sono sicura che lo vuole vivo. — Si accigliò. — Abbastanza sicura. Abbiate un poco di pazienza, ora cercherò di chiarire questo punto.

Colpì forte col pugno la sagoma scompostamente distesa dello Spione addormentato. Quello balzò in piedi strillando.

— Basta fiammiferi, basta fiammiferi! — Tacque, attonito. — La mia testa! — Stramazzò prono sul cruscotto, coprendosi la testa con le zampe. Cirocco gliele scansò una alla volta.

— Calma, Spione — gli disse. — Rispondimi a qualche domanda, e non ti farò più male. E poi ti darò pure tre belle gocce.

Sul capo sottile spuntò un occhietto.

— No male a piccolo Spione? — piagnucolò.

— No male.

— Goccettino subitino?

Cirocco tirò fuori la fiaschetta e fece cadere una goccia nella bocca del Demone.

— Pronto a rispondere, ora?

— Sputa l'osso, passerina.

— Abbiamo trovato il bambino che cercavamo.

— Ffavo-losso. Ma 'nciavéte cavato 'n tubo, eh?

— No. Sta andando da Gea, vero? Spione annuì.

Gea ama 'l merdosino. Gea ggni farà davvero 'n sacco de bene. Priggioniero de lussso. Gnente troppo bbono pe' ccaro piccol'Adam. Pretifottuti 'ngir'a battere la boscàgliola per settimane quand'ebbino notizia che 'l bashtardin'era ppe' sstrada.

— Non capisco come… - prese a dire Robin, ma Cirocco la fece tacere con un gesto, accostandosi poi a sussurrarle qualcosa che Chris riuscì appena a percepire.

— Quando abbassa la guardia così c'è da imparare un sacco di cose…

Pareva essersi riaddormentato. Cirocco gli agitò vicino il contagocce, e la sua testa si sollevò a seguirlo avanti e indietro.

— Ancora, Spione.

Il piccolo Demone incominciò a frignare.

— Ancóra, ancóra, ancóra, tutte vorte sempr'ancóra… ma che vogliono da me? Pecché nommi lasciano 'n pace? Te stanno sempr'adosso, mai 'nttimo de tregua… ma te dicache so' 'nnocente! M'hanno calugnato! Gnelo chiesto mica io de…

— L'Oscar dove preferisci che te lo mandi, Spione?

— Se ne occupa 'l mi' agente — rispose lui, calmandosi all'istante.

— Allora, quei Preti fottuti hanno battuto la boscaglia… — lo sollecitò Cirocco.

— …per settimane! E chi lo trova doventa 'r novo Mago, dice Gea. 'r Mago, 'r Mago, 'r fantàsteco, fantàsteco Mago!

— E il bambino?

— Lui Re! Re dla Rota! Gea gn'accudisce lei propio 'l più meglio a 'sto picciolo finomeno, tl'assicuro io! Solo 'r meglio, pe' llui!

— Non lo vuole morto?

— Ma no, ggesuggiuseppe! Ugni torce 'n capello, sa', a 'sto bel testolino, dice lei, sennò t'agurerai de pote' crepa', ma 'nte riuscirà, pecché lei te tiene viva armeno 'n anno, e te macell'a ppezzettini! Gna costruito 'n palazzo tutto pe' llui, tutto fatto d'oro e piete peziose e platinopuro, e baliallattóse tutte peingìro, e lacché pe' ppettinagne i rìcceli e lavagni 'r pisellino e 'ncipriagne i piedini.

— E perché sta facendo tutto questo? — chiese Robin.

Spione singultò, volgendole un occhio appannato. La squadrò in lungo e in largo storcendo la bocca.

— Dolcebimba, tesoruccia, tepiacerebbe vede' 'ndo' cihò i mi' tatuaggi?…

Cirocco gli appioppò un buffetto sul grifo. Spione ruttò.

— Ma che razza di serpente… Vedo la coda, ma la testa gnente!

Altro buffetto di Cirocco. Spione ammiccò, scosse la testa, e incominciò a cantare.

— Ehi, piccolo serpente, ma tu sei matto o che? "Con quelle chiappe al vento e la tua testa proprio drente."

Stavolta fu Robin a bordarlo senza mezzi termini sul grugno.

— Ora basta! — s'infuriò Spione, caracollando rabbiosamente su e giù per il cruscotto. — Hoddovuto beccamme 'sta merda da te, vecchia ciabatta, ma da lei no! Gnent'altro, nemmanco 'na parola, quecc'ho dett'ho detto! Cihò le labbra cucite!

Cirocco lo acchiappò e gli cacciò un fiammifero in gola a capocchia in su, lasciando un pezzettino di stelo e la testa sporgere dalle fauci del demone. A Spione quasi schizzaron fuori gli occhi dalle orbite, quando Cirocco lo mise a capo in giù sfregando il fiammifero sul cruscotto. Lo tenne poi ben dritto, con le braccia costrette lungo i fianchi, a guardare il fiammifero acceso che incominciava a consumarsi.

— Secondo me questi fiammiferi ti arrostirebbero praticamente fino in fondo alla coda — gli annunciò in tono disinvolto. — Che ne pensi, avremo il privilegio di assistere a questo spettacolo? Credi che brilleresti come una lanterna? Come dici? Devi parlare un po' più forte, non ti sento. — Attese, mentre Spione si dibatteva invano. — Mi spiace, Spione, ma non capisco una parola di quel che dici. Cosa? Ah, bene, ora sì. — S'inumidì la punta di due dita e strinse la testa del fiammifero, che si spense sfrigolando. Poi glielo sfilò di gola, e Spione si accasciò ansimante.

— Il guaio, con te — le disse — è che non sai stare allo scherzo. Miodìo, sei proprio perfida, Cirocco.

— Lo prenderò come un complimento alle mie doti professionali. Allora, la mia amica ti aveva fatto una domanda. D'ora in avanti vorrai rivolgerti a lei chiamandola "Signora Robin" e in atteggiamento di adeguato rispetto, tenendoti per te i tuoi sudici pensieri.

— Va bene, va bene. — Alzò di malavoglia un occhietto verso Robin. — Le spiacerebbe ripetere la domanda, signora Robin?

— Avevo chiesto semplicemente, perché Gea sta facendo tutto questo? Perché s'è presa tutto questo disturbo per rapire Adam?

— Nessun disturbo, signora Robin. Vede, comunque vada a finire, Gea ne uscirà vincente. Se si prende il ragazzo, e Cirocco non arriva, diamine, va benissimo così. Ma Gea ha previsto che se prende il ragazzo, be' in tal caso Cirocco sicuramente arriverà. — Girò la testa a sbirciare Cirocco. — E anche Cirocco lo sa molto bene perché deve andare…

La nominata lo agguantò, ricacciandolo senza tante cerimonie dentro il suo barattolo. Chris lo udì sbraitare un torrente di proteste — in gran parte concernenti certe inadempiute promesse alcooliche — mentre avvitava stretto il coperchio. Per qualche minuto nessuno aprì bocca. L'espressione scavata sul volto di Cirocco scoraggiava inutili chiacchiere. Alla fine lei si rilassò un poco, e guardò Robin, poi Chris.

— Penso che vorrete sapere a cosa si riferiva. Forse non ce ne sarebbe bisogno, ma ve lo dirò lo stesso. Cercherò di recuperare Adam a tutti i costi, con tutti i mezzi a mia disposizione. Se riusciranno a consegnarlo a Gea, non le darò tregua finché non gliel'avrò tolto.

— A dire il vero non comprendo esattamente la situazione — ammise Robin — però non ho mai dubitato che fossero queste le tue intenzioni.

— Io invece ho capito — dichiarò Chris — e so che comunque non avrebbe fatto alcuna differenza.

— Grazie. A tutti e due. Robin, a parte l'amicizia, ho un altro motivo che mi spinge a fare del mio meglio per evitare che Adam finisca nelle mani di Gea, e, nel caso che ciò accada, per riuscire a riportarglielo via. — Digitò alcuni numeri sulla tastiera. — Rocky, quante uova hai ritrovato in quella stanza?

— Quindici, Capitano — giunse la risposta per radio. Cirocco si rivolse a Chris.

— Ti pare che siano tutte?

— No. Sono sicuro che in quella stanza c'era un contenitore da sedici, ed era pieno.

— Conal — continuò Cirocco, — che mi sai dire del raccoglitore di uova titanidi con cui hai fatto giocare Adam?

— Era il solito scaffalino di uova-ricordo, Capitano. Due file, otto in alto e otto in basso, ed era pieno. — Cirocco ripercorse la tastiera.

— Rocky, a quanto pare…

— Ho trovato il contenitore, Capitano — la prevenne Rocky. — Ne conteneva sedici. Ho cercato con la massima cura, secondo i tuoi ordini.

— Rocky, ascoltami bene, se per caso…

— Capitano, consentimi d'interromperti prima che tu dica qualcosa che potrebbe offendermi. Ho le quindici uova qui davanti a me. Per distruggerle non ho aspettato di averle ritrovate tutte. Le ho spaccate a metà, per l'esattezza, quindi al tuo ritorno potrai contare i pezzi… vedi, avevo già previsto l'incresciosa situazione che sembra essersi effettivamente verificata. Può ancora darsi che riesca a ritrovare l'uovo mancante, oppure può darsi che l'avesse in mano Adam quando è stato rapito. Ma se quell'uovo non si ritrova, sarebbe piuttosto facile accusarmi nel caso che di qui a poco dovessi affrontare una gravidanza, non credi?

— Mi spiace, Rocky — disse Cirocco. — È solo che ho visto a quali estremi può giungere un titanide disperato se…

— Non me la sono avuta a male, Capitano.

— Gesù… — Nella voce di Conal vibrava un reverenziale timore. — Non me n'ero proprio accorto, Cirocco.

— Ma si può sapere di che state parlando? — intervenne Robin.

— Di Adam — rispose Cirocco. — Tutt'a un tratto non è più semplicemente una creatura alla quale vogliamo bene…

— È in grado di rendere fertili le uova titanidi — spiegò Chris. — Quelle che s'è messo in bocca sono diventate trasparenti… sono state attivate.

— È vero — soggiunse Cirocco. — Adam può compiere ciò che per quasi un secolo soltanto io sono stata capace di fare. Quindi dobbiamo recuperarlo. Non possiamo lasciare che se ne impadronisca Gea, perché in tal caso i titanidi diverrebbero suoi schiavi. E se riusciamo a liberarlo, a mantenerlo libero… — Alzò gli occhi a guardar fuori della cabina, nel vuoto, e parve sorpresa.

— …allora io posso morire.


— Calmati, calmati — insisteva Conal. — Non è quello che intendeva dire.

— E che accidenti altro dovrebbe significare? — replicò Nova.

— Non ha mica dichiarato che ha intenzione di uccidersi, ti pare? — Lasciò a Nova il tempo di rifletterci. In realtà le parole di Cirocco, lì per lì, avevano sconvolto anche lui, ma era giunto quasi subito a leggere fra le righe.

— Ma allora cos'è che voleva dire? Avanti, spiegamelo tu.

— Prima devi capire che cosa le ha combinato Gea — premise Conal. — Accadde molti anni fa, al tempo in cui Cirocco e gii altri membri dell'equipaggio originario erano giunti da poco quassù. Gea le offrì l'incarico di Maga, e lei accettò. Un certo aspetto di questo lavoro, che Gea non menzionò, scaturiva dal fatto che la razza dei titanidi aveva subito un cambiamento. Gea aveva tolto ai titanidi l'odio per gli angeli ch'era stato connaturato in loro, ponendo fine alla guerra che li aveva opposti per tanto tempo. Però, nell'occasione, apportò anche un altro cambiamento, in seguito al quale… ma lo sai come si riproducono i titanidi?

— Solo vagamente.

— Allora ascolta. Innanzitutto hanno un rapporto frontale. La femmina produce un uovo semifecondato. Ne hai viste alcune nella camera di Adam. Poi l'uovo dev'essere impiantato in una retrovagina e fecondato di nuovo da un retropene.

Nova contrasse le labbra, ma annuì.

— C'è però un'altra fase che non ti ho detto, ed è quella che riguarda Cirocco. L'uovo non potrà mai venire completamente fecondato a meno che non sia stato prima attivato dalla saliva di Cirocco. È così che Gea l'ha incastrata. Ai vecchi tempi si svolgevano grandi festival, durante i quali Cirocco sceglieva chi avrebbe potuto avere un figlio. Controllo della popolazione. Cirocco si stancò a tal punto di fare il dio dei titanidi, che finì per diventare un'alcolizzata. Però non ha mai potuto sottrarsi a questa incombenza, e non può farlo neppure ora che gli agenti di Gea le sono continuamente alle calcagna.

Conal vide pietà negli occhi di Nova, e ne fu commosso.

— Dev'essere assai difficile, per lei — disse Nova.

— Estremamente. Non potresti neppure immaginare quanto. Gea non ha mai manifestato in nessun modo l'intenzione di liberare Cirocco da questa trappola. Ne consegue che se lei dovesse morire, la razza dei titanidi finirebbe per estinguersi. Quindi la sopravvivenza di Cirocco deve venire prima di qualunque altra cosa. E ciò l'ha costretta, a volte, a comportamenti che andavano contro le sue convinzioni profonde. Con me, per esempio, lei dovette… — Tacque appena in tempo, inghiottendo amaro. C'erano cose che Nova non aveva il diritto di conoscere.

— So di due occasioni, negli ultimi sette anni, in cui Cirocco ha dovuto lasciare che un suo amico titanide si cacciasse in una brutta situazione, da cui lei si rendeva perfettamente conto che non sarebbe uscito vivo, appunto perché non poteva rischiare in prima persona. In una di quelle occasioni… be', lei si è sentita come se avesse commesso un tradimento. Un giorno o l'altro, vedi, potrebb'essere costrette a tradire me, per non morire. Io lo so, e lo accetto. Non è un modo facile di condurre l'esistenza. Uno finisce per rimanere l'ultimo sopravvissuto, ma non può certo vantarsene, perché ha ben presente il prezzo che altri han dovuto pagare. In una situazione del genere non rimane molto spazio per l'onore. Cirocco se ne ride, dell'onore, eppure so che per lei è una cosa importante… non secondo la definizione che ne danno molti, ma nel modo in cui lei lo mette in pratica.

Adesso Nova lo fissava in maniera completamente diversa, e quello sguardo lo metteva a disagio. Nulla di ciò che le aveva detto costituiva una facile acquisizione, per lui. Giungere a siffatte conclusioni gli era costato molto tempo, e molta sofferenza.

— Quello che sto cercando di spiegarti — soggiunse Conal cautamente — è che Cirocco vorrebbe che questa costrizione finisse. Vorrebbe poter tornare a preoccuparsi soltanto di se stessa. Continuerebbe a essere una sopravvissuta, certo, riuscire a ucciderla rimarrebbe sempre un'impresa tremendamente difficile, però la sua morte, quando arrivasse, non sarebbe altro che… la sua morte. Come succede a tutti quanti.

— Sì — disse Nova continuando a guardarlo in quel modo strano. — Adesso ho capito.

SEDICI

Robin seguì col binocolo l'effettuazione del primo cambio. Tenne una mano sulla maniglia del portello, pronta a saltare.

Avevano avuto il secondo angelo sugli schermi per mezzora, mentre s'innalzava lento dall'oscurità di Crono. Negli ultimi minuti erano riusciti a scorgerlo direttamente, poi l'essere era stato inghiottito dalla tenebra ancor più fitta che li sovrastava. Pur al massimo ingrandimento Robin poteva a malapena discernere le due sagome, ma ascoltò Conal descrivere cosa stava accadendo.

— Il secondo angelo è indietro di circa cinquanta metri. Ecco, adesso si sta accostando, è sempre più vicino… Il primo si sta voltando, gli tende il bambino… bene, il secondo l'ha preso. Lo tiene allo stesso modo del primo. Adam si è svegliato. Sta… be'… sta piangendo.

Robin deglutì a fatica. Udì Chris muoversi dietro di lei, ma non si girò a guardare.

— Ora il primo sta riscendendo. Però… Gesù!

— Che succede? — chiese subito Cirocco in tono aspro. — Parla, Conal!

— Ecco, lui… il primo angelo s'è tutto sfasciato. Insomma, voglio dire che quel maledetto si è praticamente disintegrato. In questo momento stiamo proprio volando in mezzo alle sue penne. Le ossa e i necròfidi stanno precipitando… Ecco, ora non li vedo più. Se siete in posizione per acchiappare Adam, dovreste passarci attraverso fra un minuto.

Rimasero in attesa. Con l'aiuto del binocolo, Robin osservò avvicinarsi e ingrandire il diffuso nugolo di frammenti che sino a poco prima si combinavano a formare l'angelo. Ben presto poté fare a meno dello strumento, e continuò a guardare a occhio nudo. Ci fu un picchiettio come di grandine. Un inerte necròfide si drappeggiò per un istante attorno all'ala sinistra, poi fu spazzato via.

— Allora è questo il trucco — commentò Cirocco. — Gli angeli non sono affatto destinati ad atterrare. Se abbattiamo il prossimo cambio, quello che tiene Adam adesso continuerà semplicemente a volare finché non morirà.

— Ma veramente, innanzitutto non sono neanche vivi… — intervenne Chris.

— Non dire scemenze, Chris. Uno zombi è vivo quanto te e me. È un organismo di gruppo, un'intelligenza collettiva che invade un cadavere e ci vive dentro. I necròfidi mangiano poco a poco la carne del cadavere, e qualunque altro tessuto organico riescano a trovare. Non c'è niente di sovrannaturale, in tutto questo.

— Non credi che il primo potrebbe aver semplicemente… deciso di morire? Voglio dire, i necròfidi hanno ceduto tutti quanti allo stesso tempo. Ti sembra un fatto verosimile?

Robin stette a guardare Cirocco che ci rifletteva.

— Non hai capito come sono fatti gli zombi. Tanto per cominciare non possiedono l'istinto di sopravvivenza, né come individui né come organismi collettivi. Sono insensibili al dolore. Non credo che dispongano di autocoscienza, però possono obbedire agli ordini. Chiunque li stia guidando, probabilmente ha impartito a questi qui una direttiva di fondo — cioè consegnare il bambino incolume — e alcune tattiche specifiche, e loro si limitano a eseguire.

— Il tutto mi dà l'idea di una manovra accuratamente studiata — disse Robin.

Cirocco annuì.

— Penso che tu abbia ragione. Chiunque abbia messo in piedi la faccenda… Luther, Brigham, Marybaker, Moon… chiunque sia stato, ha calcolato fino a che distanza potesse giungere un angelo-zombi volando alla massima velocità. Probabilmente quello là avrebbe potuto proseguire per un altro paio di chilometri, ma non ce l'avrebbe mai fatta ad arrivare a terra. Quindi, conclusa la sua missione, è morto. Il che significa che se avessimo distrutto chi doveva dargli il cambio, Adam sarebbe precipitato verso Crono, e voi due avreste dovuto fare del vostro meglio per cercare di salvarlo.

Chris si schiarì la gola, e Cirocco gli lanciò un'occhiata,

— Credo che questo sia un momento buono come un altro, per intervenire.

— Sono d'accordo — approvò Conal.

— Cirocco — proseguì Chris — quante probabilità credi che abbiamo? Se Adam cade, riusciremo a prenderlo?

Cirocco scrollò la testa.

— Chris, cosa vuoi che ti dica? Sono ore che ci penso. Ci sono in gioco troppi fattori. A dire il vero, credo che le probabilità siano abbastanza buone. Siete in due, e potrete fare un paio di tentativi. Se non vi lasciate vincere dal panico, se riuscite a controllare la caduta… in tal caso dovreste farcela. Robin ha detto di avere una certa esperienza, quindi può darsi che le sue probabilità di successo siano più alte. Tutto sommato, direi che siete oltre il novantacinque per cento.

— Le mie sarebbero anche migliori — intervenne Nova. — Dovrei occuparmene io.

— Non puoi stare in due posti contemporaneamente — replicò Cirocco. — Rimanete dove siete, e non insistere. — Quindi si rivolse a Chris. — Te lo ripeto esplicitamente. Avete ottime probabilità di riuscire a prenderlo. Se si trattasse di scommettere su una mano di poker, vi direi di non esitare. Però rimane sempre un cinque per cento di probabilità contrarie.

— Lo so, lo so. — Chris si prese il viso tra le grandi mani, e rimase a lungo in silenzio. Quando rialzò la testa, aveva gli occhi rossi. — Tu cosa faresti, Capitano?

Cirocco si appoggiò allo schienale, reclinò le palpebre.

— Chris… non posso decidere io. Non ti so dire se voglio riportarlo a casa incolume perché è un essere umano in pericolo, oppure perché in lui c'è la mia salvezza. Mi sento come uno di quei professionisti ai quali si ricorre quando viene rapito un bambino. Io sono in grado di prospettarti qualcosa circa quello che potrebbe accadere, ma la scelta finale spetta ai genitori. — Volse lo sguardo a turno da Chris a Robin. — Sarò con voi qualunque sia la vostra decisione.

— Ma tu, cos'è che vorresti fare?

— Io? Io vorrei liberarlo adesso, subito, e lo desidero con una tale intensità che mi fa star male. Però le conoscete, le mie altre motivazioni.

— Per quel che vale la mia opinione — intervenne Conal — sono d'accordo con Cirocco. Non voglio che Adam finisca nelle mani di Gea.

— Io invece mi dichiaro contraria — si oppose Nova. — Mi spiace, Madre. C'è troppo rischio, ci sarebbe anche se fossi io a buttarmi. Sarei sicura al novantanove per cento di riuscire a prenderlo, ma l'uno per cento di rischio è ancora troppo.

— Che puoi dirmi di Gea? — chiese Chris.

— Gea? — si accigliò Cirocco. — Non ci crederai, ma qui sento di andare più sul sicuro. Quel che ha rivelato Spione è verità sacrosanta. Lei non gli farebbe alcun male. Una volta che si trovasse nelle sue mani, Adam non correrebbe rischi, dal punto di vista fisico, e verrebbe trattato con ogni cura.

— Già, ma quel che mi preoccupa è il danno psicologico — obiettò Chris.

— Vorrei non doverlo ammettere, Chris, ma tutto quel che possiamo fare è scegliere a quale trauma dovrà essere sottoposto. Precipitare, oppure finire tra le amorevoli braccia di una nonnina alta quindici metri.

— E pensi che ciò non sarebbe un danno, per lui? Gea lo renderebbe suo schiavo.

— Queste sono le sue intenzioni, naturalmente. Ma non devi sottovalutarla. Lo alleverebbe insegnandogli ad amarla, e per ciò stesso è evidente che Adam verrebbe trattato bene.

Tacquero tutti, per un poco, e alla fine Chris sospirò.

— Probabilmente non mi capiterà mai più di dover prendere una decisione tanto difficile… Comunque credo che dovremmo muoverci ora, e cercare di riprenderlo.

— Sono d'accordo — assentì Robin sommessamente, e si volse a stringere la mano di Chris.

— Va bene — concluse Cirocco. — Ora siamo circa a metà di Crono. Tra un riv avremo la luce che ci serve per agire. Qualunque altra idea sarà la benvenuta.


Entrambi gli aerei rimasero silenziosi a lungo, mentre scivolavano attraverso l'argentea notte di Crono. Mille cose potevano andare storte, e nessuno di loro lo ignorava.

A un certo punto, nel corso di quel riv interminabile, Rocky chiamò da Tuxedo Junction, e per Cirocco fu un vero sollievo avere qualcosa di nuovo di cui occuparsi.

— Capitano — annunzio Rocky — ho ritrovato il sedicesimo uovo. Era rotolato fuori della stanza finendo nel corridoio. L'ho distrutto.

— Bravissimo, Rocky.

— C'è un'altra novità che ho aspettato a comunicarti, non volendo distrarti dal problema principale.

— Credo che adesso sia il momento buono. Vai avanti.

— Molto bene. Valiha, direttasi a Bellinzona, ha scoperto dodici zombi morti sulla cima di una collina a circa un chilometro e mezzo da qui. Non c'erano segni di combattimento.

— La collina è sottovento rispetto a Tuxedo Junction?

— Esatto. Ritengo che a ucciderli sia stato il filtro d'amore di Nova.

— Ipotesi ragionevole.

— Valiha è convinta che sulla cima della collina fossero stati presenti anche due Preti. Secondo lei si trattava di Luther e Kali. Ma la traccia olfattiva era troppo vecchia per averne certezza. Inoltre ha trovato il cadavere di un bambino umano, maschio, età fra i cinque e i quindici anni. Sono andato a recuperare il corpo, e non saprei formulare una stima più accurata, ma tu forse potresti.

— Non s'è trasformato in zombi?

— No. Può darsi che non accada.

— Forse no, ma non possiamo correre il rischio. Provvedi alla cremazione, per favore. Nient'altro?

— Poco fa ho parlato con Valiha. Mi ha pregato di chiederti, nel caso tu avessi chiamato, se avendo tempo puoi metterti in contatto con lei.

— Roger, lo farò. — Cirocco cambiò canale. — Serpentone, mi ricevi?

— Ti ricevo, Capitano.

— Dove sei, amico mio?

— Quasi a metà di Giapeto, Cirocco. — Colsero tutti, nella sua voce, i sintomi dello sfinimento che lo pervadeva.

— Hai tenuto una media incredibilmente buona, Serpentone, ma temo che sia stata una corsa inutile. Ormai abbiamo quasi attraversato Crono, e siamo certi che lo stanno portando verso Iperione. Non credo proprio che per te sia opportuno andare avanti.

— Tuttavia preferirei continuare, a meno che tu non abbia da affidarmi un incarico migliore. Fra poco, però, dovrò fermarmi per riposare e mandar giù qualcosa.

— Cerca di non esaurirti troppo. Comunque vadano le cose, non credo che potresti far molto.

— Allora proseguirò fin quando non tornerete indietro.

— D'accordo. — Cirocco impostò un'altra frequenza. — Valiha, sei in ascolto?

— Mi trovo alla periferia di Bellinzona, Cirocco — giunse la voce di Valiha.

— Cosa volevi sapere?

— Mi avevi incaricato di catturare zombi vivi. A tale scopo ho arruolato Cornamusa, Mbira, Cembalo, Sistro e Lira. Mi dicono che Luther era qui sino a poco tempo fa, ma pare che non siano presenti altre bande di zombi, in questa zona. Potremmo andare in cerca di qualche sbandato, ma i nostri nasi ci dicono che qui in giro non ve ne sono. Gli abitanti di questa deliziosa città son divenuti ormai così guardinghi, che ben pochi zombi rispuntano fuori dai loro cimiteri. Quel che volevo sapere. Capitano, è se questi zombi abbian per forza da essere già defunti…

Cirocco ci pensò un poco.

— Valiha, sei un essere crudele e dotato di gran senso pratico.

— Capitano, secondo me da queste parti esistono due categorie di persone. Quelle che son già state giustiziate in virtù dei loro crimini, e quelle che, per una mera svista, continuano ancora ad andarsene in giro. Desideri che legga a costoro l'elenco dei loro diritti e che organizzi dei regolari processi?

— Segui il retto sentiero che il cuor ti suggerisce… — si mise a cantare Cirocco.

Valiha spense la radio e se la cacciò nella borsa. Cantò alcune note ai suoi cinque compagni, e insieme partirono al trotto per l'ampia banchina che costeggiava il Canal Grande. Quando giunsero all'incrocio col canale noto come Palude dello Sconforto, si fermarono, guardandosi attorno. Era lì che in gran parte aveva luogo il florido commercio di schiavi di Bellinzona.

Ben presto una carovana fece la sua dondolante apparizione lungo il Viale Edward Teller.

Si vedevano venti schiavi legati con catene di ferro: sedici femmine e quattro maschi, tra cui molti bambini. Erano sorvegliati da dieci uomini nerboruti, rivestiti di rozze armature, e alla testa del convoglio, s'una portantina sorretta da due gemelli identici, procedeva il caposchiavista. La portantina appariva come un lusso clamoroso, nella bassa gravità di Gea, ma essa nulla aveva a che fare con l'utilità, e tutto con l'ostentazione. Il contingente di guardiani, d'altro canto, sarebbe potuto risultare insufficiente anche se la carovana fosse stata assalita da banditi umani. Ma il capo-schiavista faceva affidamento sull'invisibile presenza della mafia cui egli doveva obbedienza.

I titanidi si schierarono lungo il bordo della banchina. I guardiani li occhieggiarono nervosamente, e così pure il caposchiavista.

— Sono in vendita? — gli domandò Valiha.

L'uomo accolse la richiesta con evidente sorpresa. Non s'era mai sentito dire che i titanidi acquistassero schiavi. Ma una giudiziosa prassi commerciale imponeva di tenersene accuratamente alla larga e non recar mai loro oltraggio… o quanto meno di trattarli da pericolosi animali quali erano.

L'uomo discese quindi dalla portantina e accennò un rapido inchino. Si espresse in un inglese non eccelso, ma sufficiente.

— Tutti in vendita, certo. Desiderate acquisto?

— Per l'appunto — rispose Valiha. Gli passò un braccio intorno al collo, e strinse. Tanto, tanto tempo prima, pensò Valiha, una creatura umana era stata madre di costui. Ed egli era stato il suo caro bambinetto. Provò un istante di rammarico nell'udire le vertebre che si spezzavano con un colpo secco. Chissà che cos'era accaduto, a quel fanciullo?

Fu la sola orazione funebre che ottenne da lei.

Quando Valiha rialzò gli occhi, i dieci guardiani erano morti. S'era tutto svolto talmente in fretta che molta gente, sul viale affollato, incominciava appena a rendersi conto dell'accaduto. Un attimo prima c'era stata una carovana di schiavi, e adesso c'erano solo schiavi e titanidi che disponevano dei corpi ordinatamente in fila. Alcuni dei presenti fuggirono via. Altri, notando che i titanidi non manifestavano più intenti aggressivi, rimasero a osservare cautamente, poi se ne andarono per i fatti loro. Nessuno gridò. Nessuno pianse.

I titanidi spogliarono i cadaveri e ammucchiarono sulla strada armi e indumenti, quindi affrancarono gli schiavi dalle loro catene. Ci volle un po' a convincerli che erano davvero liberi. Valiha e il suo gruppo tennero lontani gli sciacalli quanto bastava a consentire agli ex schiavi di raccattare la parte migliore del bottino. Cembalo si offrì di scortare le donne intenzionate a rifugiarsi nel Quartiere delle Libere Femmine.

— Gran parte di costoro saran di nuovo schiavi avanti dieci riv — cantò Cornamusa.

— Ben lo so — cantò di rimando Valiha. — Comunque non venni qui per ripulire il mondo intero. Questa piccola parte appena, e per un attimo soltanto. — Frugò nella sua borsa estraendone la radio.

— Rocky, mi ricevi? — disse in lingua inglese. Il canto titanide subiva soventi alterazioni, se affidato a quei rozzi congegni umani.

— Ti ascolto, Valiha.

— Quattro titanidi son diretti alla tua volta. Costruiranno recinti per queste creature. Ce ne siamo procurate undici. Il Capitano ti ha impartito istruzioni circa la loro sistemazione?

— Sì. Fin quando non avrem certezza se l'elisir di Nova rimanga efficace all'interno della casa, esse andran tenute a qualche distanza. Ho scelto un luogo adeguato.

— Saremo con te fra breve.

Non ebbero problemi a sortire dalla città.

Valiha fece una sosta al cimitero e raccolse una certa quantità di terriccio in una sacca di cuoio. Probabilmente non sarebbe stato necessario — la maggior parte delle salme non cremate finivano per divenire zombi — però era certo che il suolo di Bellinzona fosse saturo di spore di necròfidi.

Impiegarono davvero poco tempo per giungere a Tuxedo Junction. Una volta là sistemarono i cadaveri a terra, schiena contro schiena e petto contro petto, cospargendoli di terriccio. Quando gli zombi incominciarono ad agitarsi debolmente furono confinati nelle loro gabbie nuove di zecca.

Valiha si sentì soddisfatta, allorché il lavoro fu portato a termine. Osservò le mostruose creature strascicarsi insensatamente avanti e indietro, urtare contro le pareti, senza meta.

Sarebbe stato molto interessante vedere che cosa riusciva a ucciderle.

DICIASSETTE

— Non mi piace — disse Conal per la terza volta.

— Ma io l'aeroplano non lo so guidare — obiettò Nova. Agganciò il cavo di sicurezza all'imbracatura del paracadute, e lo guardò.

— Non mi piace lo stesso — brontolò Conal. — Non so se ti rendi conto del pericolo che correrà Adam.

— Probabilmente me lo merito — commentò Nova, tenendo saldamente sotto controllo la sua collera. — Ma ho accettato le tue regole. Vado là fuori a salvare la mia sorellina.

Lui la fissò a lungo, poi annuì.

— Attenta a dove metti i piedi — l'avvertì ancora una volta. — E per l'amordiddìo, cerca di non farti colpire.

— Starò attenta, ma non per l'amor di Dio. — Nova aprì il portello, lo fissò in modo che non si richiudesse, e uscì sull'ala. Furtivamente, rimanendo girata in modo che lui non se ne accorgesse, slacciò il cavo e lo agganciò a un'asola della camicetta. Se lo zombi avesse lasciato cadere il suo fra… la sua sorellina, Nova era decisa a buttarsi per riprenderl…la.

Grande Madre, ascolta tua figlia e concedile fortuna.

Guardò in basso, e notò con soddisfazione di provare solo un senso di cautela, e non di paura. Non era preoccupata di cadere, ma di cadere al momento sbagliato.

Si tenne salda mentre Conal portava pian piano l'aereo più vicino alla preda. Accostò lentamente finché Nova non giunse quasi a toccarla. La ragazza impugnò il coltello con ferma decisione.

Lo zombi volse il teschio verso di lei, inclinò un'ala, e si tuffò puntando dritto verso terra.

Nova sentì Conal che urlava nella radio. Si avvicinò al portello, infilò la testa dentro e si mise a gridare anche lei.

— Inseguilo, accidenti a te! Stagli dietro! Portami abbastanza vicino che possa strappargli le penne a quel cristodiddìo!

Conal fece quello che gli veniva chiesto, ma non con la rapidità che avrebbe desiderato Nova. Anche così, lei fu costretta ad aggrapparsi con entrambe le mani. Inerzia, si disse. Ci si sente leggeri, però la massa del proprio corpo è sempre quella.

Conal discese in picchiata riducendo la spinta al minimo, ma l'aereo guadagnò ugualmente velocità. Giunsero di nuovo vicinissimi alle spalle dello zombi…

…che deviò con un guizzo sprezzante delle consunte penne caudali. Conal gli sfrecciò accanto, cabrò, piegò a sinistra…

…e Nova si ritrovò aggrappata soltanto con le unghie, poiché i piedi le erano scivolati sulla superficie dell'ala trasparente.

Con abile manovra, Conal impartì alle ali un leggero ondeggiamento che lasciò momentaneamente Nova senza peso, ed ella avanzò carponi sino a ritrovarsi coi piedi ben piantati, sentì il peso ritornare, e alzò la testa appena in tempo per vedere che stavano andando addosso all'angelo.

Stavolta, quando Conal ebbe concluso le sue frenetiche evoluzioni, Nova spenzolava aggrappata con una mano sola. Conal portò l'aereo in assetto orizzontale e ridusse di nuovo la spinta, e Nova poté riarrampicarsi sull'ala ansimando affannosamente.

— Così non va bene — disse Conal. — Per un pelo non l'ho investito.

— Me ne sono accorta — disse lei, rientrando nella carlinga.

Conal aveva in mano l'estremità libera del cavo di sicurezza, e sul viso un'aria tempestosa. Era sul punto di dire qualcosa, quando attraverso la radio giunse la voce di Cirocco.

— Sta ancora perdendo quota, Conal. Perché non ti rimetti in rotta e ti unisci a noi?

Conal compì una virata, individuò l'aereo di Cirocco alle spalle dell'angelo, che adesso scendeva più lentamente, e picchiò per raggiungerli.


Lo zombi continuò a discendere per molto tempo. Quando finalmente si stabilizzò, si trovava a un'altitudine di circa un chilometro.

— Be' — disse Cirocco in tono dubbioso — comunque bisognava provare. Se non avessimo fatto questo tentativo, non avremmo più smesso di rimproverarcelo.

— Allora è tutto finito? — domandò Robin.

— Potrebbe anche darsi — rispose Cirocco. — Cari miei, ora come ora le nostre probabilità di riuscire a prendere Adam sono ridotte di un fattore dieci.

— Anche più — disse Nova.

— Certo, anche più. E quel ch'è peggio, se lo zombi lascia cadere Adam, siamo responsabili noi di averlo fatto scendere tanto in basso.

— Però dovevamo tentare — insisté Chris.

Cirocco annuì con aria meditabonda.

— Gente, in pratica abbiamo ricevuto un avvertimento. Gea non intende far del male al piccolo. Ma è disposta a lasciare che siamo noi a ucciderlo, se facciamo troppo i furbi. Quindi ritiriamoci, diciamo all'incirca un chilometro, e speriamo che quel figlio di puttana si decida a riprendere quota.

Così fecero, e poco dopo lo zombi risalì a due chilometri e vi si stabilizzò. Poi, ascendendo dalle sabbie giallovivide di Mnemosine, apparve un nuovo angelo, e prese Adam. Videro il secondo disintegrarsi allo stesso modo del primo, e il terzo proseguire il volo senza indugi.


— Cirocco, incomincio a essere a corto di carburante — annunciò Conal.

Lei osservò le cifre fornite dal computer riempire lo schermo. Quindi si riappoggiò allo schienale ed elaborò il suo piano, esaminandolo minuziosamente per ben tre volte, fino a essere certa di avere individuato la corretta linea di azione.

— Ti rifornisco immediatamente — lo rassicurò. — Ne terrò per me quanto basta a raggiungere la base della barriera settentrionale. Lascerò là il Quattro, e tornerò indietro con qualcosa di più grande e di meno inerme.

— Ricevuto.

Conal scese quindi alla quota a cui volava Cirocco, si portò inferiormente al suo aereo, attivò il pilota automatico, s'inerpicò fuori della cabina per acchiappare il tubo di travaso che penzolava dal ventre del fratello maggiore. Lo innestò, e guardò il carburante riempirgli il serbatoio.

— Rimanigli dietro e sotto, come siamo d'accordo — gli rammentò Cirocco.

— Stai tranquilla, Capitano — giunse la risposta di lui. Cirocco fece oscillare le ali in segno di saluto, e virò a nord.

Quel che accadde di seguito non fu più sorprendente della trasformazione di una zanzara in uno sparviero.

Gli aeroplani sono oggetti basati su tutta una serie di compromessi. Il progettista deve scegliere la caratteristica che ritiene più importante e lavorarci attorno, ben sapendo che gli altri parametri verranno a soffrirne. Un aereo a bassa velocità e per grandi altitudini, necessita di un sacco di superficie alare per sostentarsi in atmosfera rarefatta. Un aereo molto veloce, d'altra parte, non ha bisogno di grandi ali, ma dev'essere in grado di resistere alle alte temperature sviluppate dall'attrito atmosferico. In entrambi i casi, sorgono problemi di robustezza strutturale. Gli aerei estremamente veloci, inoltre, hanno in genere breve autonomia a causa della spropositata quantità di carburante che sono soliti bruciare.

La serie delle Libellule era il miglior risultato mai ottenuto dagli ingegneri umani nel tentativo di giungere a un aereo che potesse far bene tutto quanto. Essa era stata studiata per operare in condizioni terrestri. L'ambiente di Gea era diverso, ma gran parte delle differenze giocavano a favore delle Libellule.

I propulsori erano piccoli, leggeri, con una efficienza di combustione poco inferiore al cento per cento.

Le strutture erano assai robuste, leggere, resistenti al calore, e a geometria variabile.

Sulla Terra una Libellula entrava in stallo alla velocità di dieci chilometri orari; sul bordo di Gea, con una pressione barometrica di due atmosfere, una Libellula era in grado di mantenersi in aria procedendo a passo d'uomo. Sulla Terra una Libellula poteva raggiungere un'altitudine di oltre venti chilometri; su Gea tale potenzialità rimaneva inutilizzata, poiché anche nel mozzo la pressione non scendeva sotto un'atmosfera. Le Libellule vantavano straordinarie capacità acrobatiche, ed erano capaci di evoluzioni che sviluppavano più g di quanti ne potesse tollerare un pilota umano senza perdere i sensi. Le Libellule erano ultraleggere, facili da pilotare, provviste di grande capienza, bisognose di poca manutenzione, parche nei consumi, di lunga autonomia, grandi arrampicatrici…

…e supersoniche.

A Cirocco era già capitato di superare alcune volte la barriera del suono, su Gea, ma anche questa era una prestazione di non grande utilità. Sul bordo la velocità del suono oscillava dai milletrecento ai millequattrocento chilometri orari, a seconda della temperatura atmosferica. Il più lungo tragitto possibile richiedeva, a tale velocità, circa un'ora e un quarto.

Quando Cirocco spinse il propulsore al massimo, si trovava sulla parte meridionale di Mnemosine, a circa duecento chilometri dalla meta. Il motore ruggì, le ali si ripiegarono all'indietro rientrando parzialmente, la fusoliera si restrinse nella parte mediana, e tempo tre minuti l'aereo sfrecciava a mille chilometri l'ora. Ancora pochi minuti, e Cirocco dovette iniziare la decelerazione.

La sua destinazione era una caverna a circa un chilometro e mezzo di altezza sul fianco scosceso dei vertiginosi altipiani settentrionali.

Quando aveva dichiarato guerra alle bombe volanti, Cirocco s'era procurato abbastanza armamento da rifornire un turbolento paese tropicale di medie dimensioni. Non si era trattato di un acquisto a buon mercato, e le spese di trasporto su Gea avevano triplicato il prezzo, ma Cirocco se ne infischiava.

Possedeva sulla Terra un'immensa quantità di denaro, derivante soprattutto dal fatto che lei era vissuta così straordinariamente a lungo, e in fondo non era altro che carta… anzi, neppure; con la carta, per lo meno, ci si poteva accendere il fuoco. Trovare finalmente un impiego per quel ciarpame le aveva dato una certa soddisfazione.

Non c'era voluto molto a sbarazzarsi di tutte le bombe volanti. Per farlo le sarebbero bastate le Libellule, e invece aveva acquistato un sacco d'altra roba. In gran parte riposava ancora lì, in attesa di venire utilizzata.

Lasciò ogni incombenza all'elaboratore di bordo fino agli ultimi cento metri, poi subentrò lei ai comandi e si posò dolcemente all'interno della grotta, variando l'assetto del reattore per compiere un atterraggio in verticale. Scesero in fretta, e Cirocco ordinò a Chris e Robin di scaricare tutto l'equipaggiamento personale. Poi si dedicò alla scelta di un altro aereo.

Era una caverna piuttosto grande. Ospitava trenta velivoli.

Cirocco optò per un Mantide 50. Stessa generazione delle Libellule, ma non concepito eminentemente come mezzo di trasporto. Derivava il proprio nome dal fatto che poteva accogliere cinquanta persone e un poco di armamento. Oppure venticinque persone, e un sacco di armamento. O anche dieci persone, con una potenza di fuoco sufficiente ad abbattere un'intera squadriglia di aerei vecchio stile e radere al suolo una città di modeste dimensioni.

Contando Chris per due, l'aereo sarebbe decollato con quattro persone a bordo. Cirocco dimensionò il carico utile in proporzione.

Trascorsero tutti e tre la mezzora successiva ad agganciare missili sotto le ali, a caricare cannoni, a stivare bombe. I laser erano già perfettamente capaci di badare a se stessi.


La cosa che se ne stava aggrappata alla ripida superficie a picco del cavo centrale di Mnemosine non era una bomba volante, allo stesso modo in cui un alligatore non è un'iguana.

Era strutturata sul modello di un Boeing 707. Possedeva ali a freccia cui s'innestavano quattro statoreattori.

Gea, che l'aveva sognata tre miriariv prima, vedendo quindi il suo sogno, come assai sovente accadeva, venire alla luce, aveva battezzato quell'essere, nonché i suoi fratelli e sorelle, Luftmörder. Il nome era visibile, in bel corsivo inglese, sulla smilza fusoliera, allegramente gorgogliante col suo pieno carico di cherosene. Tale scritta era vergata in bianco, e tutto il resto appariva d'un color rosso sangue rappreso.

Non erano molte le creature della sua specie. Gea ne ospitava solamente dieci. E tutte stavano parimenti appese ai cavi, simili a giganteschi cirripedi.

L'essere aveva condotto sin'allora un'esistenza di torpido tedio, ma egli era paziente. Non aveva ancora avuto occasione di provare le sue ali, ma il giorno sarebbe venuto. Egli lo attendeva con ansia.

Il Luftmörder non poteva dirsi una creatura particolarmente intelligente, ma sarebbe stato un errore definirlo stupido. Era votato a perseguire un unico scopo, e a tempo debito l'avrebbe saputo fare con tenace scaltrezza. Se n'era rimasto tranquillamente appeso per tre miriariv, nutrendosi del cherosene stillante dal cavo.

Avrebbe potuto restarsene lì appiccicato per altrettanto tempo, e ancor di più, ma non riteneva che sarebbe stato necessario. Percepiva la crescente agitazione di Gea. Presto sarebbero giunti ordini.

Abbarbicandosi a turno al suo corpo, in perenne disputa in mezzo alle file di freddi capezzoli che s'allineavano sulla parte inferiore delle ali, s'avvicendavano innumerevoli creature dette crotali e cavedani. Erano alquanto stupide; una necessaria seccatura. I cavedani erano più grandi, i crotali più veloci, almeno in teoria.

Non essendo riutilizzabili, ciascuna di loro avrebbe avuto una sola possibilità di raggiungere il bersaglio. Erano creature organiche modellate attorno ad uno scheletro di combustibile solido, e provviste di un cervello sovrapposto a un nucleo d'esplosivo. Vedevano nella banda dell'infrarosso, e amavano gli oggetti luminosi proprio come le falene sono attratte dal chiarore della fiamma.

Il Luftmörder non era una bomba volante, sebbene con tali dispositivi potesse dirsi imparentato. I nove aeromorfi che aderivano al cavo nelle sue vicinanze, invece, erano piuttosto simili a bombe volanti, allo stesso modo in cui un levriero o un dobermann possono dirsi somiglianti ad un chihuahua.

Il Luftmörder era l'indiscusso caposquadriglia. Egli osservò attentamente, col suo apparato visivo all'infrarosso, mentre a gran distanza sotto di lui i due aerei si trastullavano in vane evoluzioni. Li vide procedere assieme per un po', vide il più grande innescare una combustione molto più rapida e deviare verso nord. Le bombe volanti volevano partire, ma egli consigliò pazienza. Quando l'aereo più grande fu giunto ben lontano, quando esso fu atterrato entro quella sorgente di cherosene di cui i suoi istinti geani gl'indicavano indubitabilmente la presenza, solo allora distaccò, uno alla volta, cinque dei suoi subalterni, e li osservò cadere verso le sabbie rilucenti.

DICIOTTO

— Un giorno o l'altro dovresti dargli un'occhiata da vicino — disse Conal, quando si accorse che Nova guardava fuori in direzione del cavo centromeridionale di Mnemosine. — Non credo proprio che tu abbia mai visto nulla del genere.

— Sembra così piccolo, da qui — commentò Nova. — Un semplice pezzo di filo.

— Quel filo ha uno spessore di quasi cinque chilometri. È formata di centinaia di trèfoli. Ci sono animali e piante che vivono su di essi e non scendono mai a terra.

— Mia madre mi ha detto che una volta Cirocco Jones s'è arrampicata fino in cima a uno di quegli affari. — Allungando il collo arrivò a scorgere il punto in cui il cavo si congiungeva alla volta arcuata di Mnemosine. — Non capisco davvero come abbia fatto.

— Era insieme a Gaby. E non su per uno di questi qui, che salgono a perpendicolo. Cirocco ne scalò uno inclinato, tipo quelli laggiù davanti a noi. Li vedi come s'incurvano verso l'alto ed entrano nel raggio di Oceano? L'interno del raggio non è assolutamente visibile, di qui. Cirocco mi ha detto che sono i cavi a tenere insieme Gea.

— Perché questa regione è così desolata, senza traccia di vita?

— Per via del verme della sabbia. È così grosso che potrebbe usare il monte Everest come stuzzicadenti.

— Credi… — Si dovette interrompere per fare uno sbadiglio enorme. — …Credi che lo vedremo?

— Di', perché non ti fai un sonnellino?

— Ma non ho mica sonno.

— No, dico sul serio. Faresti bene a dormire. Se dovesse succedere qualcosa d'importante ti chiamerò, altrimenti fra un paio di riv potrai darmi il cambio.

— Quant'è lungo un riv?

— Più o meno quanto un'ora.

— Va bene. Dormirò. Grazie. — Si girò leggermente sul sedile.

— Come va la mano? Vuoi che ti riavvolga la fasciatura?

— No no, è a posto… l'ho rifatta io mentre stavo aggrappata all'ala. — Gli rivolse un assonnato, amichevole sorriso, poi sembrò ripensarci e tornò seria. Conal trattenne anche lui un sorriso. Nova stava davvero migliorando, se doveva ricordarsi di fare la scontrosa. Magari fra qualche giorno se ne sarebbe dimenticata del tutto… Forse la felicità non era poi così lontana.

Lei chiuse gli occhi, e dieci secondi dopo era già immersa nel sonno. Conal la invidiò. A lui di solito occorreva almeno un minuto.

Sentendosi un po' in colpa, la osservò mentre dormiva. Il suo viso era disteso, e la ragazza sembrava ancor più giovane dei suoi diciott'anni.

Aveva ancora lineamenti fanciulleschi, con guance paffute e il labbro inferiore sporgente. Conal ritrovava i tratti di sua madre in quel nasino all'insù e nella mandibola ampia. Ora, a occhi chiusi, quell'inquietante somiglianza con Chris era difficile da notare.

Distolse risolutamente lo sguardo quando si accorse che scendeva a vagare sulle curve generose del petto, sulle rotondità dei fianchi, sulle lunghe gambe. Davvero un volto di bimba su un corpo di donna.

— Attenzione — disse il computer. — Rilevata presenza di aeromobili ostili…

Conal lo fece tacere e lanciò un'occhiata a Nova. Le sue palpebre palpitarono, poi, con un ansito non troppo femmineo, lei si raggomitolò ancor più profondamente fra le accoglienti braccia del sedile imbottito.

Anche stavolta soltanto una seccatura. Quel maledetto computer non dimenticava mai nulla. Innumerevoli informazioni circa la guerra aerea di Cirocco contro le bombe volanti erano state a suo tempo inserite nei suoi banchi di memoria, ed egli cercava adesso di avvertire Conal dell'esistenza di una base nemica che era deserta ormai da diciotto anni. Le bombe avevano l'abitudine di radunarsi presso i cavi centrali. Potevano rimanervi appese per anni, a punta in giù, aspettando l'occasione propizia per attaccare. Erano obbligate a stazionare in quella posizione, in quanto non potevano accendere il motore senza aver prima accumulato una certa quantità di energia cinetica. Si era trattato di una primitiva forma di autoreattori, nulla da spartire con il raffinatissimo propulsore che ronzava sommessamente in coda alla Libellula.

Conal era contento che fossero tutte morte.

Eppure, non sarebbe stato buffo se…

Portò lo sguardo sul cavo centrale, e vide un minuscolo puntolino cadere verso il deserto. Batté le palpebre, si stropicciò gli occhi, la macchiolina era scomparsa. Continuò un poco a osservare il cavo, poi scosse la testa. Era facile dimenticare quanto fosse gigantesco. Cosa si aspettava di vedere, bombe volanti aggrappate sul fianco?

D'altronde, che diavolo poteva essere stato quel puntolino?

Si diede a trafficare con il radar, ma non ottenne alcun rilevamento. Gettò un'occhiata all'angelo che trasportava Adam. Tutto regolare.

Obbedendo a un impulso improvviso, diede potenza al motore e salì velocemente a sei chilometri.

E il radar si svegliò.

— Allarme — disse il computer. — Quattro… mi correggo, cinque aeromobili non identificati in avvicinamento. Mi correggo, tre aeromo… mi correggo, quattro…

Conal escluse l'audio, che serviva solo a distrarlo. Il monitor poteva dirgli molto di più.

Ma non fu così. Vide sullo schermo due chiare eco che si muovevano rapide in direzione del suo aereo. Poi divennero tre, quindi d'un tratto ne spuntò fuori un'altra. CONTROMISURE RADAR IN AZIONE, comunicò l'elaboratore servendosi del monitor.

Un simile accorgimento portava a concludere che si trattasse di Libellule, o di Cirocco che tornava con la Mantide. Conal ipotizzò che lei stesse guidando tre aerei servendosi del pilota automatico, ma per farne che cosa, e perché non lo aveva avvertito prima?

Le bombe volanti, d'altronde, non erano certo in grado d'ingannare il radar.

— Altolà, Conal — mormorò. L'unica cosa certa era che lui una bomba volante non l'aveva mai vista. E tanto meno combattuta. E illudersi che su Gea le cose rimanessero sempre uguali, era il modo più rapido per farsi ammazzare.

— Svegliati — disse a Nova scuotendole una spalla. Lei fu sul chi vive in men che non si dica.

— Cirocco, ho sul mio schermo alcuni segnali non identificati. Almeno quattro, probabilmente cinque. Non reagiscono alla procedura di attivazione risposta. Mi si stanno avvicinando a circa… cinquecento chilometri orari, e adottano contromisure radar. Sono salito a sei chilometri, nell'evenienza che… che intraprendano atti ostili. Credo… — Esitò, e col dorso della mano si deterse il sudore che gl'imperlava la fronte. — Accidenti, Cirocco, cosa devo fare?

Rimasero entrambi in ascolto, ma attraverso la radio rispose soltanto il fruscio della statica. Nova stava scrutando minuziosamente l'arco di cielo sovrastante, ma Conal dubitava che sarebbe riuscita a vedere qualcosa. Poi, brava ragazza, si volse in fretta e cominciò a tirar fuori dai bagagli il resto delle tute antiproiettile.

— Cirocco, mi ricevi? — Ancora silenzio. Probabilmente era fuori dell'aereo, occupata a raccogliere e controllare l'armamento. Forse però lo sentiva, e in quel momento stava correndo a rispondere.

— Cirocco, innanzitutto li attirerò lontano da Adam, poi cercherò di abbatterli. Lascio aperto il canale. — Nova gli porgeva il casco e i gambali. S'infilò il casco, ma con un gesto rifiutò gli altri componenti. — Lascia perdere, non c'è tempo. Stringi le cinture e tienti forte. — Nel momento preciso in cui lei ebbe terminato di allacciarsi saldamente la cintura sul grembo, Conal tirò a sé la cloche e diede potenza. Il piccolo aereo balzò avanti e virò verso l'alto con la fulmineità di un missile.

Nova continuava a perlustrare lo spazio innanzi a loro, volgendo lo sguardo da una parte all'altra della direzione di volo.

— Quelli apparsi sul radar erano più in basso di noi — disse Conal. — Andavano rasente al terreno. Quindi adesso dovremmo averceli dietro, e non credo…

— Eccolo là! — esclamò Nova, indicando avanti a sinistra.

Puntava direttamente addosso a loro, piombando come un falco, a ogni istante più grande.

Conal virò a destra, tirò la cloche, e schizzarono via di traiettoria. La bomba volante, sibilando e rombando, li mancò di pochi metri. Conal colse la fuggevole visione di una bocca da squalo ingurgitante aria, di pinne che s'inarcavano alte e digradavano poi inclinandosi all'indietro. Furono sballottati dal getto d'aria calda che fuoriusciva dall'ugello della bomba, quindi Conal invertì la rotta e inclinò un'ala per migliorare la visuale.

— Perché non gli hai tirato? — chiese Nova.

— Perché… perché m'ero scordato che siamo armati — confessò Conal. — Le vedi ora, laggiù?

— Sì. La prima sta tornando indietro, e le altre quattro…

— Le ho vedute. — Le altre quattro stavano salendo in formazione serrata. Alla mente di Conal si riaffacciò il ricordo di una fredda giornata d'inverno. Lui era un bambino di dieci anni, e stava assistendo a un'esibizione degli Snowbirds, la pattuglia acrobatica canadese. Avevano volato ala contro ala, compiendo evoluzioni di squadra quasi fossero un solo aereo. E a un certo punto s'erano lanciati uniti verso l'alto, proprio come adesso stavano facendo le bombe, e al culmine della traiettoria…

…le bombe volanti si disseminarono a corolla virando in quattro differenti direzioni, e tracciando nel cielo neri pennacchi di gas combusti.

Ora Conal le aveva tutte inquadrate sul radar. Le immagini erano chiare. Il computer, inizialmente tratto in inganno, stava imparando a interpretare correttamente i segnali di ritorno. Conal pensò che era davvero una gran bella cosa poter disporre di un radar, dal momento che quelle maledette riuscivano a sfrecciar fuori del campo visivo con sbalorditiva rapidità.

Tuttavia si sentiva piuttosto disorientato. Lui e Nova osservarono le tracce radar serpeggiare in tortuose evoluzioni, apparentemente non riconducibili a uno schema sensato. Si rendeva conto che avrebbe dovuto preparare una qualche manovra, cosa che le bombe stavano probabilmente facendo, ma ignorava tutto della guerra aerea.

Si asciugò sui pantaloni le mani madide di sudore, e incominciò a raccogliere le idee.

Cosa sapeva delle bombe volanti?

— Erano grosse, goffe, relativamente lente, e non equipaggiate per affrontare combattimenti aria-aria. — La memoria gli riportava quasi le precise parole di Cirocco. Non è che gli avesse parlato poi molto, di quelle creature. — La loro tattica fondamentale era lo speronamento. Dovevo starci molto attenta, poiché per loro vivere o morire sembra che non facesse nessuna differenza. Una volta mi lasciai cogliere alla sprovvista, e fui maledettamente fortunata a uscirne tutta intera.

Sì, d'accordo, tutto molto interessante, e senza dubbio quella che li aveva quasi urtati era grossa, forse tre volte più lunga della piccola Libellula. Ma… goffa? Lenta?… Ridiede un'occhiata alle tortuose traiettorie che le bombe stavano ricamando là fuori. Pensò che il suo aereo era più veloce, e certo più manovrabile, ma non gli sembrava che quei mostri fossero poi tanto impacciati…

— Ne abbiamo una dietro, in avvicinamento — avvertì Nova.

— La vedo. — Vagliò rapidamente alcune possibilità, cercando di valutarne l'efficacia. Ma l'unica tattica precisa che gli veniva in mente era quella di certi duelli aerei che aveva visto al cinema. Nei film, per piombarti addosso di sorpresa il nemico volava controsole… ma su Gea una manovra del genere non avrebbe funzionato granché. E poi ti si metteva in coda, e ti abbatteva facilmente. Ma siccome le bombe volanti non disponevano di armamento, anche da quel punto di vista non c'era nulla da temere.

Conal incominciò a sentirsi meglio. Rallentò leggermente, lasciò che la bomba si avvicinasse, poi s'impegnò in una rapida serie di virate e picchiate, senza mai perdere di vista le altre quattro. L'inseguitrice ripeté le sue manovre, ma con minor velocità e precisione. Conal provava una crescente sensazione di sicurezza. Benissimo, veniamo al dunque…

Passò dal pensiero all'azione, tirando a sé con decisione la cloche e inerpicandosi in un'ascesa mozzafiato, con cinque g che lo schiacciavano contro il sedile. Si immise senza rallentare in una traiettoria circolare che lo portò a discendere e poi di nuovo a risalire, e la bomba lo imitò tallonandolo distanziata lungo un ampio cerchio, ma Conal eseguì una repentina virata da otto g verso destra, si reimmerse in picchiata, compì un'ulteriore deviazione strappabudella… ed eccola finalmente quasi sotto di lui, la bestiaccia, sicché Conal ridusse la spinta e le ali della Libellula si dispiegarono vibranti a mordere l'aria, tentando di stabilizzare il velivolo, ma Conal ne mantenne saldamente il muso puntato in basso.

La bomba riempì il mirino, ed egli si trovò a urlare mentre i cannoncini alari sincopavano la loro canzoncina. Continuò a gridare intanto che seguiva i frenetici serpeggiamenti della preda. Poi da essa scaturì un getto di fiamma colore arancio, e Conal fu costretto a cabrare e ad aumentare la spinta per evitare di andarlesi a infilare dentro l'ugello di scarico. Sfrecciò attraverso una cortina di fumo nero, e guardando in basso vide la bomba volante, mùtila di un'ala, precipitare a spirale verso il suolo distante dieci chilometri.

— Proprio come nei film! — esultò. Nova saltava su e giù nel suo sedile facendo un verso bizzarro, dissimile da qualunque cosa egli avesse mai udito, ma si capiva perfettamente ch'era una manifestazione di giubilo ancor prima di scorgere la fiamma viva che le ardeva negli occhi. Era una luce selvaggia, che rivaleggiava col balenìo dei suoi denti, e suscitò in Conal un senso d'appassionata gratitudine.

— Conal! Conal! Mi ricevi?

— Eccomi qui, Cirocco.

— Decolliamo fra due minuti. Com'è la situazione lì da voi?

— Ho appena fatto fuori una bomba volante, Capitano. — Non riusciva a dissimulare la fierezza che gli vibrava nella voce. — Ne rimangono quattro. — Diede un'occhiata a Nova, e anche lei scelse proprio quel momento per volgere il suo sguardo su Conal. Fu questione di un secondo, ma l'ampio sorriso malizioso che le illuminava il volto diceva senz'ombra di dubbio sei in gamba, e perdìo, pensò Conal, lo siamo davvero, chi può dire il contrario? Non erano mai stati così vicini. Poi lei tornò a scrutare il cielo.

— Non ci fermeremo ad ammirare il panorama — promise Cirocco.

— Credo che ce la caveremo bene, Capitano.

— Ce ne sono tre che ci stanno aggirando — disse Nova.

— Le vedo. — Le aveva sullo schermo del radar, e nel campo visivo. Si domandò cosa stessero architettando, e dove fosse andata a cacciarsi la quarta.

— Voglio provare a sentire se Spione ne sa qualcosa — disse Cirocco. Conal non perse tempo in commenti. Puntò di nuovo verso l'alto, percorse un'ampia curva e fu quasi sul punto di sparare una raffica alla bomba volante in coda alla formazione che lo braccava, ma poi, non avendo piena certezza dell'esito, lasciò perdere, pensando ch'era meglio risparmiare munizioni.

Seguitò quindi a trascinarle in un vorticoso inseguimento attraverso il cielo finché non furono scaglionate in un arco molto ampio, poi le cacciatrici decisero di abbandonare momentaneamente la sua traccia per tornare a raggrupparsi, mentre Conal prendeva quota continuando a chiedersi, con una punta d'inquietudine, che fine avesse fatto l'ultima bomba. Era totalmente scomparsa anche dallo schermo radar. A un tratto gli venne un'idea.

— Una di queste carogne potrebb'essersi diretta alla tua volta, Capitano — comunicò per radio. — Forse proverà a tenderti un'imboscata durante il decollo.

— Ci starò attenta, grazie.

Gli erano di nuovo alle spalle. Conal elaborò una serie di manovre e calcolò di poterne abbattere una, stavolta, forse anche due, prima dell'arrivo di Cirocco. Conducevano l'inseguimento procedendo in fila, secondo una traiettoria serpeggiante. Conal iniziò una lenta cabrata, e si accorse che l'ultima bomba del gruppo virava rapidamente verso l'alto. La cosa non gli piacque. L'istante appresso la Libellula scartò verso sinistra, e Conal perse quasi il controllo della cloche. Guardando fuori del suo finestrino vide sull'ala, appena all'esterno del cannoncino, un foro frastagliato. Mentre osservava apparvero altri due fori, e sopra la sua testa qualcosa gemette contro il tenacissimo materiale del tettuccio. Levò lo sguardo al profondo incàvo, quindi tirò bruscamente a sé la barra di comando.

— Ci stanno sparando! — gridò Nova.

Trascorsero venti secondi durante i quali Conal agì senza rendersi affatto conto di cosa stesse facendo. Il suolo era dappertutto, un attimo l'avevano di fianco, poi di sopra, poi roteante tutt'intorno… Ma doveva avere funzionato. Per una frazione di secondo uno degli aggressori andò a collimare nel mirino e Conal fece fuoco, mancandolo. Quando si volse a controllare li scorse tutti e tre ben lontani, ma in fase di riallineamento per ripartire all'attacco.

Forse avrebbe dovuto limitarsi a distanziarli. Non era possibile che alla massima velocità fossero in grado di tenergli dietro. Dopotutto la prudenza è la parte migliore del coraggio, e data la situazione…

Ma quello che adesso lo preoccupava di più era l'ala danneggiata. Le Libellule erano incredibilmente robuste, ma avevano i loro limiti.

Si strinse nelle spalle, e diede tutta potenza.

— Attento davanti!

La percezione ottica di quella ragazza aveva dell'incredibile. Lui non se ne sarebbe accorto finché non fosse stato troppo tardi… e in effetti la scorse solo quando riempiva ormai quasi tutto il suo campo visivo: un'orrida bocca spalancata dalla quale sottili spruzzi fiammeggianti prorompevano a bersagliare la Libellula. Istantaneamente Conal premette a fondo la cloche, e il piccolo aereo guizzò sotto la quarta bomba volante con un margine di quasi un metro. Nell'udire una violenta esplosione, egli arrischiò un'occhiata indietro. Quella micidiale tattica si era dimostrata perdente. La bomba li aveva mancati, andando a scontrarsi frontalmente con l'ultima della formazione inseguitrice. La massa di rottami contorti precipitante verso Mnemosine non aveva più neanche uha vaga somiglianza con le creature volanti che l'avevano provocata.

— Conal — scaturì dalla radio in tono ansioso la voce di Cirocco. — Spione dice che potrebbero essere armate. Ma non so quanto sia attendibile questa informazione.

— Grazie! — gridò lui di rimando, gettandosi in picchiata mentre sentiva le pallottole sferzare lo scafo tutt'intorno. Si diresse verso terra, compiendo incessanti deviazioni e giravolte. A un certo punto qualcosa sfondò la fusoliera e penetrò all'interno, dove parve rimbalzare qua e là. La cabina si riempì d'un fumo acre, e Nova prese a urlare e a pestare i piedi.

— È vivo! È vivo! — strillava, ma Conal non aveva tempo di badare a lei. Continuò nelle sue manovre evasive, riuscendo nuovamente a scompaginare la formazione delle inseguitrici. Quando credette di potersi distrarre un attimo, guardò alla propria destra. Nova, col viso stravolto, era tutta impegnata a calpestare qualcosa di nero che si dimenava e saltellava emettendo fumo. Era provvisto di bocca, e si slanciava ad azzannarle le gambe. Mentre Conal guardava, lei gettò addosso alla cosa uno dei gambali inutilizzati, e tempestò con rinnovato vigore.

Si udì uno scoppio come di petardo, e la gamba di Nova fu proiettata verso l'alto con tale impeto che il ginocchio andò a batterle contro il mento. Il suono sibilante che Conal aveva udito sin dal momento in cui erano stati colpiti mutò frequenza, ed egli vide il gambale risucchiato fuori attraverso un foro di dieci centimetri che traversava il pavimento.

Non ebbe tempo di preoccuparsene. Ormai era vicinissimo al suolo. Cabrò rapidamente e sfrecciò sul deserto a settecento chilometri l'ora, cinquanta metri sopra le dune. L'ala sinistra urlava la sua agonia.

E ancora gli mancò un attimo di tregua per riflettere, poiché già le bombe lo tallonavano da presso e continuavano a sparare.

— Be', al diavolo! — esclamò. — Adesso m'avete fatto incazzare sul serio! — Era davvero furibondo, e non gliene importava un accidente. Quindi, senza neppure pensare a quel che faceva, si rilanciò verso l'alto, mettendocela tutta per sfuggire alla morsa delle cacciatrici, continuando a salire finché non ritenne d'essersi fatto abbastanza largo, quindi ridusse la spinta e premette la cloche a fondo corsa.

Per un attimo furono privi di peso, poi l'accelerazione li riafferrò con impeto crescente, schiacciandoli contro le cinture. Puntarono verso il suolo, che riprese ad avvicinarsi vertiginosamente. Cinque g, sei, sette. Dieci g, e i loro volti s'iniettarono di sangue mentre il terreno, con angosciosa lentezza, ruotava attorno alla Libellula.

All'esterno l'ala gemeva, e all'interno Conal si domandava se, anche solo per un pelo, la manovra sarebbe riuscita. La gran volta inversa in cui s'era impegnato, più stretta di così non era proprio concepibile. Poteva solo sperare che le bombe gli andassero dietro, e sperare che uno spicchio di cielo incominciasse alla svelta a scivolare sul muso dell'aereo.

E lo vide, quel cielo, mostrarsi prima attraverso il pavimento, poi rapidamente espandersi. Pensò vagamente di avere udito il rombo di due impatti, laggiù dietro, e riuscì a sorridere, ma i suoi pensieri arrancavano torpidi. Se la faccenda aveva girato per il verso giusto, le due bombe volanti dovevano essersi andate a cacciare dritte dritte fra le sabbiose braccia di Mnemosine.

Si ritrovò in volo orizzontale, a testa in giù. La sabbia correva talmente vicina che a tendere una mano l'avrebbe toccata.

Manovrando con estrema cautela fece sollevare la Libellula, finché non ebbe spazio per capovolgersi e tornare all'assetto normale. Diede uno sguardo a Nova, il cui volto gli apparve ammantato d'un livido pallore. Si sarebbe sentito anche lui allo stesso modo, se ne avesse avuto il tempo, ma c'era quell'ala, là fuori, che gli lanciava avvertimenti sin troppo espliciti. Salì quindi lentamente a un chilometro di quota, costretto ben tre volte a ridurre potenza per smorzare le violente vibrazioni che prendevano a scuotere l'ala sinistra. Il piccolo aereo dava l'impressione di un'auto che procedesse a scossoni lungo una strada dissestata. Gettò un'altra occhiata all'ala, constatò che ormai non era più tenuta insieme che da un unico sottile montante, e spense il motore. Fluitarono in silenzio attraverso l'aria.

— Fuori! — gridò, e guardò Nova spalancare il portello dalla sua parte. Aveva dimenticato di premere il dispositivo di sgancio della cintura, quindi glielo azionò lui, le diede uno spintone, la vide tirarsi su e proiettarsi all'esterno, quindi saltò dal lato opposto, e cadde.

Contò fino a dieci — al sette incominciò a battere i denti, essendosi reso conto d'un tratto che quella era la prima volta che si paracadutava — e tirò la funicella. Il paracadute proruppe gonfiandosi, gli appioppò un vigoroso strattone, e Conal lasciò andare un respiro profondo. Si guardò attorno, scorse le due appaiate colonne di fiamme nel punto in cui le inseguitrici erano precipitate, poi individuò la corolla aranciovivo del paracadute di Nova.

Cinque su cinque, si disse.


Gea divenne paonazza, quando lo venne a sapere.

— Ha messo in pericolo il mio bambino! — ruggì, e prese a calpestare furiosamente il già sconvolto terreno su cui s'era attestato Pandemonio. Tutti i presenti ebbero il loro daffare a togliersi di mezzo alla svelta, e parecchi ci riuscirono.

— Ma con chi si crede di avere a che fare? — tuonò. — Nessun rischio, avevo detto, nessun rischio bisogna correre con quel bambino! Non ero stata chiara?

Si levarono grida di assenso. I bolexi si accalcarono più dappresso, pronti alla ripresa, arrampicandosi gli uni sugli altri come scarafaggi dentro un barattolo.

Gea levò una mano in aria e si fece silenzio, a parte il ronzio delle cineprese. Serrò la mano in un pugno grande quanto una station wagon, e un fulmine scrosciò fragorosamente giù dal cielo dispiegandosi a circonfonderla d'un nembo purpureo. Col viso contorto in una smorfia di furore, Gea trasse il braccio all'indietro simile a un lanciatore di giavellotto, e scagliò, in direzione di Mnemosine, quella che avrebbe potuto dirsi una saetta d'odio.

Lassù in alto, lungo il cavo centrale, i serbatoi del Luftmörder esplosero. Crotali e cavedani s'incendiarono, balzando qua e là nei sussulti dell'agonia finché il loro carburante non deflagrò disintegrandoli. Anche quattro bombe volanti presero fuoco. Fu una faccenda rumorosa e luminosa, d'effetto assai simile al tradizionale fuoco d'artificio giapponese noto come Mazzo di Crisantemi.

Al termine, su Gea erano rimaste soltanto nove squadre d'assalto Luftmörder.


Robin, Chris e Cirocco assistettero allo spettacolo rimanendone cautamente alla larga, ma nulla scese giù dal cavo per dar loro la caccia. Cirocco reclinò le ali all'indietro quasi rasente la fusoliera, e puntò a pieno regime verso il luogo dal quale si levava tutto quel fumo nero. Non smise un attimo di chiamare Conal, senza mai ottenere risposta.

Giunti nei pressi delle due colonne di fumo, rallentarono, incominciando a girare in cerchio. Li accomunava il terrore di scoprire che uno di quei roghi contrassegnasse le tombe di Conal e Nova.

Ma un tremolante guizzo tagliò l'aria finendo per prorompere in un fiore di luce, e tre minuti dopo, manovrando dolcemente, Cirocco prendeva terra. Non aveva ancora spento i motori che già Chris e Robin erano fuori, di corsa incontro alle due figure arrancanti fianco a fianco.

Conal era riuscito chissà come a slogarsi una caviglia. Cirocco non l'avrebbe creduto possibile, su quella sabbia soffice… ma poi si ricordò che non aveva mai trovato il tempo d'impartirgli, com'era sempre stata sua intenzione, un minimo di addestramento al lancio.

Conal procedeva aggrappandosi con un braccio alle spalle di Nova, mentre lei lo teneva stretto per la vita, e tutt'e due insieme mostravano di sapersi muovere, in quel quarto di g, più o meno con la stessa rapidità con cui avrebbe camminato una persona sola. Nova lo sopravanzava in statura di una decina di centimetri, e Conal portava stampato in faccia un sorriso sciocco; Cirocco si domandò quanto dovesse fargli male veramente, quella caviglia…

— Cirocco, hai due minuti? — disse Conal.

— Dipende. Cosa c'è? — Pensò al bambino, e rifletté che avrebbero fatto meglio a restarne abbastanza distanti, se c'era il rischio di essere attaccati nuovamente dalle bombe volanti. L'idea delle bombe la indusse ad alzare verso il cielo uno sguardo inquieto. Erano davvero un bel bersaglio, così esposti là in mezzo.

— Dentro la fusoliera della Libellula dovrebb'esserci qualcosa a cui vale la pena di dare un'occhiata. È proprio qui vicino.

— Vado a prenderlo io — si offrì Nova, e lo lasciò andare. Conal cacciò un bercio, perse l'equilibrio e cadde a sedere sulla sabbia. Rimasero a guardare Nova che correva verso il relitto della Libellula.

— Ci hanno sparato davvero — disse Conal. — Spione aveva ragione.

Descrisse loro l'attacco, raccontando in che modo aveva abbattuto una bomba, ne aveva fatte precipitare due e aveva avuto fortuna con le altre due. Cirocco gli disse a sua volta dell'esplosione avvenuta lungo il cavo, che Conal e Nova avevano scorto da grande distanza.

— Non ho la più pallida idea di che cosa possa averla provocata — ammise Cirocco. — Comunque è avvenuta nel punto in cui una volta c'era la base delle bombe volanti. E non si è trattato solamente di carburante liquido. Ha coinvolto un mucchio di esplosivi, e forse anche una certa quantità di propellente solido.

Nova fece ritorno ansimando, e mostrò loro i resti della cosa che aveva tentato di morderla.

Ricordava in parte un sigaro detonante dopo l'esplosione. Erano circa dieci centimetri di tubo vuoto e flessibile. Aveva un'estremità bruciacchiata, mentre l'altra appariva divaricata e a brandelli. Nova indicò quest'ultima.

— Qui c'era la testa — spiegò. — Doveva essere piuttosto dura, perché sbattendo sul pavimento produceva un suono metallico. Saltava qua e là come…

— Come un pesce sul fondo di una barca — concluse Conal.

— Gli occhi non ce li aveva, ma la bocca sì, e cercava in tutti i modi di addentarmi. Io l'ho calpestato, e la testa è scoppiata.

Cirocco glielo prese. Lo maneggiò guardinga, e annusò l'estremità bruciata.

— È una specie di proiettile a razzo — sentenziò infine. — Probabilmente sarebbe dovuto esplodere all'impatto. Certo che la testa doveva proprio avercela molto dura, per riuscire a sfondare lo scafo della Libellula! E poi, potendosi dimenare a quel modo, è in grado almeno un poco di autodirigersi anche dopo che è stato lanciato. — Fece una smorfia, e guardò Nova. — Hai detto che t'è scoppiato sotto un piede?

— Prima gli avevo buttato addosso un pezzo della tuta.

— Veramente non avrebbe dovuto avere abbastanza carica per farti saltare il piede a quel modo… — Sospirò, e lo gettò via. — Eppure ha scavato un buco nel pavimento. Cari miei, una bomba volante ne può portare un esercito, di questi piccoli mostri… E vi assicuro che la cosa non mi piace per niente.

Non rimaneva altro da fare che salire tutti sulla Mantide. Si fece descrivere da Conal l'interferenza radar verificatasi, e l'aspetto delle bombe volanti abbattute. Gran parte delle modifiche apportate rispetto alle vecchie bombe le parvero rientrare in un insieme di contromisure di disturbo e accecamento mirate a ottenere un disorientamento degli apparati di radiolocalizzazione a impulsi.

Decollarono, riprendendo la rotta verso est. In breve individuarono l'angelo, e lo seguirono mantenendosi a una distanza di due chilometri. Cirocco continuò a scrutare il cielo senza perdere di vista il radar.

DICIANNOVE

Durante il loro lungo volo sopra Oceano, Gea rimase seduta immota come una roccia sul suo scranno gigantesco, lo sguardo fisso al gelido occidente, rimuginando. Tutti gli abitanti di Pandemonio camminavano in punta di piedi. Non l'avevano mai veduta in quello stato d'animo. C'era da divertirsi un mondo, con Gea, anche se aveva tendenza a calpestare le cose. Ci si sbellicava dalle risate, a osservare come riceveva tutti quei predicatori con grandi cerimonie, ed esaltava quei poveri gonzi finché non avevano la testa tanto piena da scoppiare, convinti com'erano che Gea avesse organizzato tutto quanto per loro, e gli raccontava di averli invitati a Pandemonio, proprio loro, in persona, e nessun altro, perché nessun altro possedeva davvero il modo giusto di veder le cose, e nessun altro veramente comprendeva la vera fede quanto il babbeo di turno, e gli chiedeva se per favore volevano essere così gentili da consentirle di abbeverarsi all'incontaminata sorgente della Verità Assoluta tramite elargizione delle loro brillanti intuizioni di carattere teologico… Poi, quando quegli scimuniti s'erano ben bene infervorati, li fissava come un giocatore di professione che osservi un paio d'assi far capolino dalla manica di qualche povero sempliciotto, tonava bestemmia! e gli staccava la testa con un morso.

Quindi sputava la testa nel Resurrezionale, e, tempo una dozzina di riv, qualche piagnucolante mostruosità sbucava fuori dalla parte opposta, e Gea gli diceva Tu sei Rasputin, oppure Tu sei Luther, gli salmodiava solennemente il vangelo cui era giocoforza prestar fede, e lo mandava per il mondo.

Duravano discretamente, i Preti, non come gli zombi, che conducevano una semivita di circa un chiloriv. Anche i Preti, tuttavia, arrivavano a un punto in cui erano talmente marci da non poter far altro che stare lì distesi a contorcersi, la qual cosa risultava divertente solo per breve tempo, ragion per cui Gea, di quei Luther e di quei Rasputin, ne aveva consumati già un bel po'.

Il suo senso dell'umorismo era apprezzato da tutti.

Ma, approssimandosi ora l'arrivo del Re, Gea appariva, all'intera compagnia, solo come un maledettamente pauroso effetto speciale alto quindici metri.

La colpa era tutta di Oceano, naturalmente. Oceano era il Nemico. Forse addirittura in combutta con Cirocco Jones. Non era assolutamente possibile che Gea si sentisse a suo agio, mentre il Monarca veniva trasportato in volo sulle regioni iperboree di Oceano.

A dire il vero, erano ben pochi i frequentatori di Pandemonio che trovassero di loro gradimento una così pronunziata contiguità con Oceano, innanzitutto. Oceano era una cosa che avrebbe fatto bene a starsene opportunamente lontana lungo la circonferenza della Grandèa, e non gelidamente incombere come una sconfinata distesa di giganteschi frangenti di ghiaccio. Parecchi dei più fedeli leccapiedi si aggiravano qua e là tutti ingobbiti. Chi si fosse accaparrato l'esclusiva sulla pelle d'oca avrebbe di certo guadagnato un patrimonio.

Continuando nel suo volo, il Sovrano lasciò la zona crepuscolare e si trovò sopra la Chiave di Sol, la più sudoccidentale fra le otto regioni di Iperione, a soli trecento chilometri dalla Chiave di Re Minore, ove s'era accampato Pandemonio. E forse Gea combinò qualcosa coi pannelli solari affacciati là fuori sul vuoto, deviandone costantemente l'emissione luminosa giù verso le pingui contrade del frondoso Iperione, o magari fu solo il sollievo sconfinato che le sbocciò nel petto… e quando un tocco di dea da quindici metri con velleità da attricetta tira un sospiro di sollievo, vacca la miseria stai sicuro che ti sbirilla fino in fondo alle budella… fatto sta che il chiarore del giorno, di quel giorno interminabile e immutabile, si fece d'un tratto più luminoso.

E all'improvviso volarono ordini a destra e a manca, e tutti si ammassarono in un gran rimescolìo facendo a gara per vedere chi arrivava primo a leccarle il culo.

— VINO! — ordinò Gea a gran voce. — Voglio che il vino scorra a fiumi! — E venti torpidi vinificatori furon tirati fuori e messi a testa in giù e spremuti finché lo Chablis non zampillò dentro migliaia di boccali.

— CIBO! — tonò. — Spalancate la munifica cornucopia e lasciate che irrefrenabile ne straripi il fiume della mia abbondanza! — E tonnellate di burro vennero liquefatte, e il granturco chiccoduro venne spalato a vagoni tra le fauci rotanti di trenta tostamais grandi come betoniere — tali effettivamente erano stati, in origine — e fiamme s'attizzarono sott'essi sin quando bollenti fiocchi gialli non spetardarono in tutte le direzioni disseminandosi al suolo e ivi venendo divorati da legioni di produttori, momentaneamente obliteratasi la loro ben nota predilezione per la pellicola appena sfornata in favore d'una ghiottonesca smania di popcorn. Diecimila frankfurter si trovaron presto a sfrigolare su innumeri griglie, mentre cioccolata al latte sgorgava dai grommosi capezzoli dei camionisti.

— FILM! — ruggì Gea. — Voglio un festival degno di un Re, la più portentosa celebrazione in celluloide di tutti i tempi! Proiezioni contemporanee su tre schermi, sospese tessere e biglietti omaggio, si aumentino i prezzi al botteghino!

Dopodiché si diede stentorea a proclamare titoli. Il Re dei Re. La Più Grande Storia Mai Raccontata. Jesus Christ Superstar. Ggesù! Ggesù! II. Ggesù! III e IV. Il Nazareno. Il Vangelo Secondo Matteo. La tunica. Quo Vadis? Ben-Hur. Ben-Hur II. Betlemme! La Storia del Calvario. Corse qualche borbottìo fra i Preti con ascendenze musulmane o ebraiche o mormone, ma furon mormorazioni d'esemplare sobrietà, presto dimenticate nella generale esultanza.

Perché chi mai avrebbe potuto lamentarsi? Stava arrivando il Re. C'erano cibo, bevande, film, e Gea era contenta. Cos'altro avrebbe potuto chiedere Pandemonio?

Eppure non era finita lì.

Un dieci minuti prima della prevista epifania, proprio mentre la festa incominciava a entrare nel vivo, Gea balzò in piedi, mosse quattro increduli passi, quindi protese un braccio a fender l'aria ed esibì un sorriso in cinerama.

St'arrivando lei! - strillò Gea con voce tale da mandare in frantumi gli occhiobiettivi di dieci bolexi e un arriflex e squassare con brividi d'accapponante raccapriccio le spine dorsali di chiunque, nel raggio di dieci chilometri, fosse sufficientemente vertebrato da accusare quell'orripilante stilettata.

— St'arrivando, st'arrivando, st'arrivando! — Gea s'era data adesso a spiccar balzi che si ripercuotevano all'ingiro con effetti da settimo, ottavo grado della scala Richter. Il ristorante crollò rovinosamente, uno degli alberiflettori capitombolò al suolo. — È Cirocco Jones. Dopo vent'anni ce l'ho fatta a indurla ad attaccar battaglia!

Aguzzarono quindi tutti quanti gli occhi, e di lì a poco un piccolo, goffo, ridicolo aeroplanino trasparente apparve sibilando e iniziò a tracciar cerchi un chilometro sopra le loro teste.

— Vien giù! — la sfidò Gea beffarda. — Vien giù e combatti, finocchia bellimbusta! Vien giù a mangiarti il fegato, fetente traditrice, assassina… donna di poca fede! Vien giù da me.

L'aereo seguitò semplicemente a torneare.

Gea trasse un profondo respiro e urlò a squarciagola.

— Gli insegnerò ad amarmi, Cirocco!

Ancora nessuna reazione. Gli astanti incominciavano a domandarsi se Gea non avesse per caso commesso un errore. Gea aveva parlato loro per anni, di Cirocco Jones. Non era possibile che costei fosse dopotutto così insignificante.

Gea prese ad aggirarsi per Pandemonio acchiappando e scagliando in aria qualunque cosa le capitasse sottomano. Una roccia, un elefante, un tostamais, Brigham e cinque dei suoi Ladruncoli. L'aereo schivò il tutto agevolmente.

Poi fece oscillare le sue ali, ne inclinò una, e si tuffò. Tornò a stabilizzarsi a un centinaio di metri di quota, e adesso da quel bizzarro aggeggio veniva giù un bel ruggito a piena gola. Difficile credere che potesse combinare alcunché, eppure, a quel gregge di gente che per anni s'era ciucciata almeno quattro film di guerra alla settimana, la scena suggerì un nonsoché di paurosamente familiare. C'era in essa un po' dell'atmosfera tipica di quegli affondi degli F-86 ne I ponti di Toko-Ri, o forse richiamava più l'immagine di un caccianipponico Zero in periclitoso avvicinamento a quel chiattolone dell'Arizona in Tora! Tora! Tora! Evocabili, peraltro, un centinaio a piacimento d'altre pellicole d'aerobelligeranza in cui gli aerei s'approssimano rapidi e impetuosi e incominciano a sparare, solo che in quei film l'azione la si segue essenzialmente dall'aria, dove tutta la baracca prorompe sgargiante in faccia allo spettatore in formidabile fioritura policroma, e non da terra, dove in pochi brevissimi secondi succedono cose da non credere.

L'intera teoria di templi saltò in aria pressoché simultaneamente. Sull'onda di un lampo supersonico gli astuti missilini s'intrufolarono dentro direttamente dall'ingresso principale e buuum!, nient'altro che un uragano di frammenti e una fungoide colonna fiammeggiante. L'aereo si diede pure a smitragliare, ma invece di limitarsi a far ca-ciàu ca-ciàu ca-ciàu in ordinatamente reiterato zampillìo di piccole fontane di terra, quei maledetti nòccioli serpeggiavano e roteavano mettendosi in caccia della preda, e una volta raggiunto il bersaglio esplodevano con la violenza di bombe a mano.

Poi Cirocco invertì la rotta in piena velocità come fosse un giro di boa, strapazzando aereo e passeggeri con una dozzina di g, e sfrecciando talmente bassa che se laggiù ci fosse stato un campo, non solo sarebbe riuscita a impolverarsi l'ala, ma avrebbe potuto usarne la punta a mo' di aratro. Eccola dunque di ritorno, più veloce che mai, mitragliando, lanciando altri missili, ma pigliando la rincorsa da più lontano, dimodoché avessero tutti quanti il tempo di vedere lo sturm und drang che piombava loro addosso. Poi cabrò quasi in verticale, prendendo rapidamente quota, e sganciò tre bombe panciute, una, due, tre, che continuarono a salire mentre lei scartava allontanandosene, schizzarono in su fino a divenire quasi invisibili, si librarono un istante, e incominciarono a precipitare. Non era possibile che lei avesse avuto modo di orientarne la traiettoria. Un evento sovrannaturale, commentarono i presenti, un virtuosismo semplicemente inattuabile, eppure le bombe andarono a centrare dritte dritte le tettoie dei teatri di posa numero uno, due e tre, in quest'ordine preciso. Uno, due, tre, e non furono che un ricordo.

Umani e umanoidi erano rimasti comprensibilmente terrorizzati da tutto questo fuoco d'artificio, ma i fotofauni giubilavano al settimo cielo. Che riprese! Scoppiarono tafferugli presso i supporti per cineprese degli elicotteri, i quali presero il volo con cinque o sei panaflexi che aggrappati al carrello si contorcevano in cerca delle migliori inquadrature. Molti di loro realizzarono magnifiche riprese di missili dal punto di vista del bersaglio, scene mai girate in precedenza. Fu davvero un peccato che neanche un metro di quella pellicola si salvasse per conoscere l'onore della proiezione.

A quel punto Pandemonio era talmente soffocato dal fumo che risultava difficile prevedere da dove lei sarebbe sbucata fuori la volta successiva. La sconquassata compagnia prestò orecchio al rombo furioso dei motori della Mantìde, lo udì farsi più possente e vicino. E Jones gli fu di nuovo addosso. Un getto di fuoco liquido sgorgò dal ventre dell'aereo.

Lo videro attorcersi in aria… e, miracolosamente, cadere a un centinaio di metri dal luogo del massacro, in un semicerchio con al centro Pandemonio. I sopravvissuti avrebbero in seguito convenuto circa l'impossibilità di un errore. Troppo diabolicamente precisa s'era dimostrata Jones in ogni fase dell'attacco. Aveva dunque solo voluto far vedere che ce l'aveva, quella roba infernale, per dare agli astanti motivo di riflessione in vista di un eventuale prossimo incontro. E parecchi di loro avrebbero in effetti trascorso molto tempo, da allora in poi, pensando al napalm.

Nel bel mezzo di quel putiferio, salda come un bastione di granito, troneggiava Gea. Aggettarono torve le sue sopracciglia mentre ella guardava la mortifera zanzara distruggere ogni cosa all'intorno. Al quarto passaggio incominciò a ridere. E fu, chissà come, più orrendo ancora del deflagrare delle bombe e del crepitare degli incendi.

Jones eseguì un quinto passaggio, e per un attimo, mentre gli Archivi saltavano in aria, Gea cessò di ridere. Ventimila contenitori metallici di pellicola si ridussero a rottami fumanti. Diecimila copie rarissime, in gran parte insostituibili. Con una sola bomba Jones aveva fatto piazza pulita di due secoli di storia del cinema.

— Niente paura! — gridò Gea. — Ho i duplicati di quasi tutti. — I superstiti, rannicchiati sotto le macerie e con le orecchie tese alla virata della Mantide che si apprestava a un altro passaggio, si resero conto solo vagamente che Gea li stava rassicurando. Pensava, la dea, che l'acuto strale di quella perdita trafiggesse, al pari del suo, anche l'animo di costoro, mentre invece ciascuno di loro avrebbe dato volentieri ogni centimetro di pellicola mai girato in cambio della possibilità di uscire da quell'incubo. E di nuovo Gea rise.

L'aereo si stava riavvicinando. Alcuni dei presenti avvertirono che quello sarebbe stato l'ultimo passaggio, e qualcuno giunse persino à essere così curioso da sollevare la testa per assistervi.

Jones rientrò in scena puntandole direttamente addosso. Lanciò missili a coppie, e ciascuna sfrecciò verso Gea… deviando di fianco all'ultimo istante, mancandola per pochi centimetri. Numerosi altri missili le passarono accanto sibilando, per andare a esplodere cento metri alle sue spalle. Incominciò a rassomigliare al numero di un circense lanciatore di coltelli, con tutti quei proiettili che le sfioravano le caviglie, le braccia, le orecchie, le ginocchia. L'aereo continuava ad avvicinarsi, e Gea continuava a ridere.

Un sentiero di fori di pallottola apparve a solcarle il torace. Gea rise ancora più forte. Pareva che Jones avesse dieci armi di grosso calibro, a bordo di quell'aereo, e che tutte fossero in azione, mentre la Mantide veniva inesorabilmente avanti. Gea vacillava, insanguinata, crivellata dalla testa ai piedi.

È tutti potevano constatare ch'era incolume.

L'aereo s'impennò, guadagnò quota, continuò a salire. Giunto sui tremila metri, quando non fu più che un puntolino, riprese a librarsi in cerchio.

— Eppure io non gli farò del male, Cirocco! — gridò Gea. Poi si diede un'occhiata, aggrottò la fronte, e volgendosi vide un capoelettricista aggrappato allo schienale del suo saranno butterato dai proiettili.

— Bisognerà mettere al lavoro la seconda unità — gli disse. — E convocare la mia squadra truccatori. C'è un sacco di lavoro da fare.

L'apostrofato non mosse paglia, e Gea si accigliò, poi inclinò lo schienale, e vide che di capoelettricista ce n'era rimasta solamente una metà.

S'inoltrò dunque a lunghi passi tra le fiamme, sbraitando ordini.


— Sai com'è — disse alla fine Cirocco in tono alquanto sottomesso. — Inizialmente non era parsa mica una cattiva idea…

Non c'era stato nulla dell'esultanza sfrenata che Conal e Nova avevano provato durante il loro corpo a corpo con le bombe volanti. Cirocco aveva più o meno domandato a tutti quanti se poteva procedere, e loro s'erano tutti più o meno dichiarati d'accordo. Ci si era quindi dedicata con tanta gelida veemenza e accuratezza da lasciar tutti, lei compresa, un poco scossi. Solo nel corso dell'ultimo assalto, quand'era giunta ad aprire il fuoco sull'abominio che si faceva chiamare Gea, aveva davvero sentito l'odio ribollirle nelle vene. La tentazione di scaricargli addosso tutte le armi di cui disponeva, sperando contr'ogni speranza che il dispiegamento di una tale potenza di fuoco servisse a polverizzare quella cosa immonda, era stata quasi insostenibile. E adesso si chiedeva se gli altri avessero compreso perché, nel gran finale, lei aveva optato invece per una dimostrazione di forza e ferite leggère.

Gea non si poteva ucciderla a quel modo. Avrebbe anche potuto sedersi s'una bomba atomica, venire totalmente disintegrata, e risorgere dalle sue ceneri. Ma Gea non possedeva l'immortalità. Era invece ormai inoltrata sul viale del tramonto, decrepita, e ogni giorno più folle. Non sarebbe più durata molto a lungo… solo un altro centinaio di millenni.

E ucciderla era compito di Cirocco Jones.

Guardavano tutti giù alle rovine in fiamme ch'erano state Pandemonio. Una sola struttura rimaneva in piedi. Non v'era dubbio che fosse il "palazzo" di cui aveva parlato Spione, fatto d'oro e di platino. Adam sarebbe stato sistemato lì dentro, probabilmente in una culla di oro massiccio, e avrebbe giocato alle biglie con diamanti grossi come uova.

— Perché non l'hai semplicemente distrutta? — chiese Conal con voce pacata.

— Ancora non comprendi il suo piano — rispose Cirocco. — Se avessi abbattuto il palazzo, o ucciso Gea, l'angelo si sarebbe limitato a continuare il suo volo, troppo in basso per consentirci di prendere Adam. Avrebbe volato fino a cadere a pezzi, e Adam sarebbe morto.

— Non ci arrivo — ammise Conal. — Lei ti aveva detto vieni giù e combatti. Be', non gliel'hai data la battaglia che voleva? Che si aspettava, che atterravi e ti prendevi a sberle con lei?

— Conal, vecchio mio… non lo so. Vai a capire, potrebbe anch'essere esattamente ciò che vuole lei. Sai, ho la sensazione che…

— Sì? — la sollecitò Conal.

— Che lei voglia che io le vada incontro con una spada in mano.

— Non ci credo — obiettò Conal. — Cioè… diocristo, a dirlo così sembra veramente assurdo, ma forse è perché non mi riesce di trovare le parole adatte. "Correttezza" non è il termine giusto, ma in lei c'è… qualcosa. Non sempre, e non in modo equilibrato, ma da quello che me ne hai raccontato penserei che dovrebbe voler pareggiare i conti un po' meglio di così. Non credo proprio che non ti lascerebbe nessuna possibilità.

Cirocco sospirò.

— Nemmeno io. E Gaby dice… — ma si zittì alla svelta, vedendo che Robin la fissava in modo strano. — Comunque Gea non mi dirà mai ciò che vuole che faccia, a parte che devo andare da lei e combattere. Si presume che il resto lo sappia da me.

Di nuovo silenzio, fra loro, e ciascuno rivolse lo sguardo verso il luogo del massacro. Erano morti esseri umani, laggiù, e animali innocenti. Gli umani erano al servizio del male, se non malvagi in se stessi, e Cirocco non si rammaricava di averli sterminati. D'altronde non ne provava neppure alcun piacere, e non si sentiva affatto fiera di quella sua impresa.

— Ho paura che mi sto per sentire male — disse Nova.

— Mi spiace, bambina — dichiarò Cirocco. — Il gabinetto è proprio giù in fondo.

— Non essere dispiaciuta — esclamò Nova, prossima alle lacrime. — Io volevo che tu li ammazzassi, dal primo all'ultimo! E ho goduto, quando li ammazzavi. È solo che… che sono di stomaco debole, ecco tutto. — Singhiozzò, e rivolse a Cirocco uno sguardo supplichevole.

— E non chiamarmi bambina — mormorò, e scappò via in direzione della coda.

Seguì un breve, imbarazzato silenzio, che venne interrotto da Chris.

— Se vuoi la mia opinione — disse — in un certo senso preferirei che non l'avessi fatto. — Si alzò, e andò dietro a Nova.

— Be', e io invece sono contenta che tu l'abbia fatto — intervenne Robin vivamente. — Vorrei solo che a Gea di quei colpi tu gliene avessi riservati un po' di più. Grande Madre, che cosa ripugnante!

Cirocco la udì appena. C'era qualcosa che la infastidiva, qualcosa di stonato. Era difficile che Chris criticasse le sue azioni. Ne aveva pieno diritto, ovviamente, però di solito non lo faceva.

Poi, ripensandoci meglio, si rese conto che lui non aveva realmente espresso una critica…

— Chris — principiò, voltandosi sul sedile. — Si può sapere cos'hai…

— È assai probabile che questo crei dei problemi — disse Chris. Li salutò agitando una mano e alzò le spalle con aria di scusa. — Ma bisognerà pure che qualcuno gli stia un po' dietro, a quel bambino — concluse, e spalancò il portello.

No! - gridò Cirocco, spiccando un balzo per afferrarlo. Troppo tardi. S'era lanciato, e il portello si richiuse con un tonfo. Poté solo rimanersene a guardare, pietrificata dall'orrore, mentre il suo paracadute si apriva ed egli planava silenziosamente verso Pandemonio.

Chris e Adam presero terra a distanza di un minuto uno dall'altro.


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