Il localizzatore fu il primo a giungere nella valle.
Come la maggior parte degli esseri geneticamente adattati che vivevano su Gea, il localizzatore non aveva sesso. Non aveva bocca né organi digerenti. Quel che aveva erano un paio d'occhi panoramici e un'eccellente percezione spaziale.
Il localizzatore rumoreggiò sopra la valle librandosi su lunghi e sottili rotori, esitò, si volse attorno lentamente. Vide un fiume impetuoso scorrere in fondo a rupi di venti metri. Sopra i contrafforti di roccia si stendeva un altopiano di adeguate dimensioni, inanellato da alberi più che sufficienti per le necessità della Squadra in arrivo. Lo pervase un caldo senso d'appagamento, come un gattino che abbia trovato una ciotola di latte. Quello era il luogo.
Volò sugli alberi, irrorandoli con un ferormone di richiamo. Ciò fatto, eseguì diversi passaggi sopra il pianoro, seminando spore. Si posò sul bordo dell'altopiano, già incominciando a sentirsi stanco. I suoi rotori avvizzirono e si atrofizzarono. Camminando su lunghe, agili gambe, contornò il perimetro del luogo, fermandosi ogni cento passi a piantare nel terreno un seme per mezzo d'una lunga appendice acuminata promanantegli dall'addome.
Con le ultime sue forze s'inoltrò fra gli alberi, e morì.
In capo a venti riv l'altopiano era coperto di cespugli alti un metro. Sparpagliati attorno al luogo sorgevano alberiflettori, alti già venti metri e in crescita al ritmo di due metri ogni riv.
Quarantacinque riv dopo la morte del localizzatore, arrivò un'avanguardia composta di falegnami, camionisti e vinificatori. I falegnami erano animali glabri, grandi come orsi grigi, del tutto uguali fra loro a parte la dentatura, variamente specializzata. Alcuni avevano incisivi da castoro, capaci di rosicchiare un albero fino ad abbatterlo con poche dozzine di morsi. Altri avevano un solo dente protruso, lungo due metri e frastagliato in punta, che poteva ricavare assi e travi segando il legname grezzo. C'erano falegnami con denti trapezoidali, in grado d'intagliare le estremità delle assi in foggia di tenoni pronti per l'incastro. Altri avevano denti a punta di trapano, e torcendo energicamente la testa riuscivano ad alesare le corrispondenti mortase.
Su Gea, un gruppo di quaranta falegnami era detto "corporazione".
Tutti i falegnami possedevano mani di forma sostanzialmente umana, a parte il fatto che ciascun dito terminava con un'unghia sagomata in modo tale da prestarsi a una diversa funzione. Le palme presentavano a loro volta una varietà di conformazioni pari solo alla diversità delle impronte digitali umane. Ve n'erano di dure e cornee, di profondamente incise o zigrinate, di morbide come tessuto da lucidatura per gioiellieri. Con queste mani i falegnami potevano spianare e levigare il legno sino a conferirgli una straordinaria lucentezza. La distanza fra l'estremità del pollice e quella del mignolo era, in ciascun falegname, esattamente la stessa: cinquanta centimetri.
In pochi riv le piattaforme, i teatri di posa, gli archivi e numerose cappelle avevano cominciato a prendere forma.
I vinificatori erano creature a senso unico. Tutto quello che facevano consisteva nel muoversi per il luogo e divorare gran quantità di piccoli grappoli bianchi. Le piante che producevano quei frutti non erano viti, ma i frutti, ai fini pratici, erano davvero grappoli d'uva. I vinificatori ne facevano una gran scorpacciata, cadendo quindi in un torpore dal quale non sarebbero più riemersi. Ma, dopo trenta riv, li si sarebbe potuti spillare per trarne un eccellente Chablis bianco.
I camionisti erano qualcosa di ancora diverso. In un luogo dove una corporazione di falegnami risultava assolutamente normale, i camionisti spiccavano per la loro bizzarria.
Assomigliavano un poco agli ippopotami, ma erano cinque volte più grandi degli elefanti. Erano balene di terraferma, che se ne andavano in giro su sei gambe di spessore appena sufficiente a sorreggerle nella bassa gravità di Gea. Tre di loro giunsero nella valle, e incominciarono a mangiare le piante che erano nate dalle spore seminate dal localizzatore.
C'erano vari generi di piante. E ogni tipo andava a finire in uno stomaco diverso. I camionisti possedevano undici distinti gruppi di organi digerenti.
Quando il terreno fu ripulito, i camionisti si misero da una parte e caddero privi di sensi, immersi in una sonnolenza simile a quella dei vinificatori. Le loro gambe si atrofizzarono, tanto che gli animali finirono per ridursi a poco più che vesciche rigonfie, solcate da file e file di capezzoli in una sbalorditiva varietà di forme e colori. Ma i camionisti conservarono le loro bocche per un altro po'. Avrebbero dovuto mangiare la squadra dei falegnami una volta che l'opera di costruzione fosse terminata.
Gea lavorava sempre in modo assai ordinato.
Le cose presero a movimentarsi sul serio quando incominciò, un poco alla volta, a giungere la squadra di produzione.
C'erano torme di piccoli, vivacissimi bolexi, che si puntavano stupidamente in tutte le direzioni e ronzavano senza scopo, troppo sciocchi per capire che avevano bisogno di essere riforniti di pellicola. Poi trovarono i camionisti e si misero a bisticciare per un capezzolo, come maialini attorno a una scrofa neghittosa. Lanciavano grida eccitate che parevano dire quii! quii! quii!
Subito dietro di loro c'erano gli arriflexi, accompagnati dai produttori, e infine gli altezzosi panaflexi, ciascuno assistito da un direttore di produzione. Accompagnatori e assistenti rimasero in disparte con le mani in mano mentre i loro simbionti fotofaunici si rimpinzavano di nitrato d'argento, nitrocellulosa e altri composti chimici, attingendo ciascuno al contenuto della vescica adatta. Tutti i produttori avevano più o meno lo stesso aspetto, variando solo quanto a dimensioni. I dirigenti erano i più grossi, e gli unici provvisti di voce. Di tanto in tanto, per motivi del tutto indipendenti da finalità comunicazionali, uno di loro grugniva unch, unch.
Mentre bolexi, arriflexi e panaflexi ingurgitavano, altri componenti la Squadra s'infiltrarono in zona operativa scansando i falegnami, impegnati negli ultimi ritocchi alla loro opera a colpi di multiformi unghie. C'era un branco di giraffe da venti metri, sussiegosamente incedenti attraverso quel caos simili a maestose cicogne. Gruppi di attrezzisti e inservienti intervennero rapidi a guidare i nuovi arrivati ai posti di lavoro. I pittori succhiarono mordenti e coloranti dal ventre dei camionisti, poi li spalmarono sul legno nudo con le loro lunghe code traforate. Giunsero gli elefanti, sospingendo rimbombanti carrozzoni pieni zeppi di costumi, materiali di scena, tappeti, oggetti da trucco, camerini portatili. Erano veri elefanti terrestri, discendenti da capi d'importazione. Nella gravità di Gea, gli elefanti non si muovevano pesantemente, ma saltellavano invece agili e vivaci come cerbiatti.
Pandemonio stava prendendo forma.
Umanoidi, androidi, omuncoli, e alcuni autentici esseri umani furono i penultimi a entrare in scena, segno inequivocabile che di lì a poco avrebbe fatto la sua comparsa la Regista in persona.
Alcuni di quegl'ibridi umanobasati e umanoderivati erano interpreti, altri semplici comparse. Alcuni erano dinoccolati nonmorti di fronte ai quali persino i piccoli congegni senza cervello parevano ritrarsi. Pochissimi erano i protagonisti. Luther fece il suo maestoso ingresso con gli occhi folli che mandavano fiamme, e condusse i suoi Apostoli direttamente alla loro disadorna cappella. Brigham e i suoi Ragazzi giunsero a cavallo e si misero a cercare il tempio che ancora non era stato loro approntato. Ci furono recriminazioni e crisi isteriche. Erano presenti anche Marybaker ed Elron. Correva voce che nei paraggi ci fosse Billy Sunday, e forse anche Kali. Sarebbe stata una gran bella festa.
Non appena un bolex, un arriflex o un panaflex finiva di mangiare, il relativo produttore gli si connetteva, e i due proseguivano come un'unica entità. Al pari dei produttori, anche i fotofauni si assomigliavano a tal punto che uno qualsiasi di loro avrebbe potuto far da modello agli altri, a parte le dimensioni. Caratteristiche salienti di un panaflex erano la grandezza del suo unico, vitreo occhio, e l'ampiezza del suo ano orizzontale, che misurava esattamente settanta millimetri.
Un panaflex provava un solo impulso: realizzare la sua ripresa. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di girare una scena… compiere un volo in elicottero, spenzolarsi da una gru, buttarsi giù per una cascata dentro una botte. Nulla sfuggiva agli avidi sguardi del suo occhio imperturbabilmente spalancato, e quando era pronto, cominciava a filmare. Da qualche parte, nelle sue viscere, nitrocellulosa e canfora e altre sgradevoli sostanze si combinavano, per effetto di alte pressioni, a formare una ininterrotta striscia di celluloide. Tale striscia veniva ricoperta di sostanze chimiche fotosensibili trasformandosi in una pellicola negativa a colori. La pellicola trascorreva infine dietro l'occhio del panaflex, rimanendo esposta in singoli fotogrammi grazie a un meccanismo osseomuscolare di griffa e otturatore che Edison non avrebbe faticato a riconoscere.
Il produttore se ne stava a cavalcioni del panaflex mirandone il posteriore, pronto allo scaturire della pellicola, ch'egli divorava. Ciò richiedeva naturalmente uno stretto contatto onde scongiurare velature da luce ambiente. Né comunque si scomponeva, il produttore, sempre affamato di pellicola. Mangiandola, egli otteneva peraltro di svilupparla e fissarla. Allorché successivamente i produttori defecavano, il prodotto ne sortiva già pronto a metraggio per andare in proiezione, ed era appunto per questo che Gea li definiva produttori.
Erano trascorsi sessanta riv, da quando il localizzatore in avanscoperta aveva per primo individuato il luogo, ritenendolo adeguato. I fiaschi e le siringhe tornavano dalle loro scorrerie nei boschi carichi di selvaggina. Erano creature simili a scimmie: due delle poche specie di animali da preda che Gea avesse mai prodotto. Gea non era un ambiente adatto ai predatori. Una siringa se la sarebbe passata piuttosto male in una giungla africana. Ma su Gea la maggior parte della fauna non era in grado di volare per il semplice fatto che non c'erano predatori. I sorrisoni, che rappresentavano la principale sorgente di carne, non avevano bisogno di essere inseguiti, in quanto non scappavano, e neppure uccisi. La carne poteva essere raccolta dal loro corpo in lunghe strisce, senza danneggiarli. Molte bistecche di sorrisone sfrigolavano nel ristorante mentre si andava preparando la prima grande festa, e venivano imbandite sui lunghi tavoli a cavalletto adorni di candide tovaglie immacolate e grandi caraffe di cristallo ricolme di Chablis. Mentre tutti si ponevano in attesa dell'arrivo di Gea, si diffuse sul luogo un silenzio assoluto, rotto solamente dagli agitati quii, quii, quiii dei bolexi che si accalcavano pigliandosi a spintoni nel tentativo di assicurarsi i posti migliori.
Il suolo incominciò a tremare. Lei giungeva attraverso la foresta. Un ansito reverenziale scaturì dal gruppo dei Preti nel momento in cui la sua testa comparve sopra le cime degli alberi.
Gea era alta quindici metri. O, come preferiva che si dicesse, "cinquanta piedi dalla testa in giù, con gli occhi blu".
E in effetti erano blu, quantunque non li si potesse vedere nascosti com'erano dietro il più gran paio di occhiali da sole mai costruito. Aveva capelli biondoplatino. Indossava abbastanza tela di cànapa pesante color tintazzurra da equipaggiarne un galeone spagnolo. Il tessuto era stato tagliato e cucito, da una squadra di fabbricatende, in foggia d'abito lungo fino alle ginocchia. Ai piedi portava mocassini delle dimensioni di ampie canoe. Sul volto e nel personale manifestava una prodigiosa rassomiglianza con Marilyn Monroe.
Ella sostò quando raggiunse la radura, e volse dall'alto uno sguardo su tutti i suoi sudditi e le loro realizzazioni. Infine annuì: bene così. Le luci degli alberiflettori si volsero a fronteggiarla rischiarando le sue grandi labbra dischiuse in un sorriso rivelatore di nivei denti regolari grandi come piastrelle da bagno. Tutt'intorno a lei, bolexi e arriflexi ronzavano ammirati.
Le avevano costruito uno scranno, che scricchiolò mentr'ella vi si accomodava. Tutti i suoi movimenti parevano disvolgersi lentamente. Per un batter di ciglia ci voleva quasi un secondo. I panaflexi avevano imparato il trucco delle riprese rallentate, cosicché lei sembrasse, in proiezione, muoversi a velocità normale, mentre i suoi devoti avrebbero scorrazzato rapidi come topi.
Alle sue spalle s'inerpicò su per scale a pioli una squadra d'estetisti armati di rastrelli per acconciarle i capelli, damigiane di smalto per unghie, catini di mascara. Lei li ignorò; era loro compito prevederne i movimenti, ma non sempre ci riuscivano. Ella fissò il grande schermo che era stato innalzato di fronte al suo sedile.
Pandemonio, Festival Cinematografico Itinerante, stava per avere inizio. Gli alberiflettori si affievolirono gradualmente sino a spegnersi. La valle si abbuiò. Gea si schiarì la gola, rumore simile a quello d'un propulsore diesel, ma quando parlò la sua voce suonò impostata s'una gamma femminile. Molto profonda, ma femminile.
— Motore! — disse.