Nato a Ottawa (Canada) nel 1960, giornalista fino al 1989, Robert Sawyer risiede oggi a Tornhill, nell’Ontario, con la moglie Caroline.
Sawyer ha iniziato a scrivere fantascienza nel 1979 ma ha pubblicato il suo primo romanzo solo nel 1990. Apocalisse su Argo (Golden Fleece) ha ottenuto subito un grande successo e ha vinto il premio Aurora come miglior romanzo canadese dell’anno.
Già in questa prima opera si possono intravedere molte delle caratteristiche di Robert Sawyer, e quelle doti narrative che lo hanno imposto al pubblico piú esigente; non si può dire tuttavia che la critica sia stata sempre benevola nei suoi confronti, e ne vedremo in seguito i motivi. Autore di stampo classico, che si ispira molto ai canoni della fantascienza tradizionale, Sawyer riesce quasi sempre a intessere trame interessanti con personaggi originali e profondi.
Apocalisse su Argo è la storia di una missione spaziale diretta alla volta di un pianeta lontano, nella speranza di fondare una colonia umana, guidata da un computer superintelligente (Jason) che ricorda molto HAL di 2001, Odissea nello spazio di Arthur Clarke.
Il romanzo riprende inoltre la classica tematica, cara agli autori dell’epoca d’oro della sf (come Heinlein, van Vogt e Asimov, per esempio) del volo interstellare e delle arche viaggianti: colonie umane raccolte su enormi astronavi destinate a vivere per lunghi anni, se non addirittura secoli, nel buio interstellare, con la speranza di giungere infine a una destinazione abitabile. E non è neppure un caso che il titolo originale dell’opera riecheggi il mito di Giasone e del Vello d’Oro, mitica sfida e ricerca del leggendario eroe greco.
Le affinità fra il supercomputer Jason e HAL sono decisamente volute: come afferma lo stesso Sawyer in una recente intervista, Arthur Clarke è il suo autore preferito (assieme a Frederik Pohl) e quindi l’influenza dell’autore inglese è piuttosto evidente.
Il libro, che si apre con l’assassinio dell’astronoma Diana Chandler da parte di Jason, è un mystery ben congegnato che ha nel supercomputer (che è anche il narratore in prima persona) la sua nota piú originale e interessante. Come HAL di Clarke e i robot di Asimov, anche Jason ha i suoi imperativi categorici e deve spesso scegliere tra direttive assolute e contrastanti tra loro. A differenza di HAL, la sanità mentale di Jason non sembra essere inficiata dalle scelte difficili e a volte drammatiche che deve affrontare per raggiungere gli obiettivi che gli sono stati assegnati. Con HAL ha però in comune un grande problema: il desiderio di diventare sempre piú simile all’uomo, piú vicino alla sua essenza, o almeno di riuscire a comprenderne le capacità e le modalità di percezione e sentimento. Jason rimane in effetti una delle migliori creazioni narrative del suo genere, degna di essere paragonata e ricordata assieme al computer di Clarke e personaggi come Andrew Martin di Isaac Asimov, Mycroft di Robert Heinlein, Harlie di David Gerrold e Helen O’Loy di Lester del Rey.
Il romanzo Far-Seer, del 1992, rappresenta un deciso cambio di rotta rispetto a Golden Fleece. Siamo di fronte a un’opera che si pone forse troppi obiettivi contemporaneamente. Da una parte abbiamo il ritratto di una razza sauriana alle prese con una rivoluzione scientifica e sociale; dall’altra il romanzo è la storia in prima persona (e questo è forse il punto dolente) del sauriano Asfan, giovane astronomo di corte della razza dei Quintaglio (una specie di dinosauri, appunto) che grazie al telescopio innesca una vera e propria rivoluzione copernicana.
Il materiale astronomico su cui si basa il libro è chiaramente ispirato all’esperienza del tardo medioevo europeo e del rinascimento, con il giovane Asfan nella parte di Copernico, Keplero e Galileo.
La nota piú interessante del libro rimane il ritratto fatto da Sawyer di questa razza di dinosauri intelligenti, la cui psicologia è basata sulla caccia di gruppo e sul bisogno di spazio personale, e le cui buone maniere sono costituite dal riconoscere la supremazia dei piú forti e dal non mostrare mai i denti.
Il romanzo ebbe comunque un certo successo, tanto da spingere Sawyer a scriverne due seguiti, Fossil Hunter, del 1993, e Foreigner, del 1994, che raccontano le ulteriori avventure di Asfan e dei suoi Quintaglio alle prese con nuove scoperte scientifiche.
End of an Era, del 1994, abbandona infine i Quintaglio ma rimane nell’ambito dei dinosauri: il romanzo narra la storia di due paleontologi che utilizzano una macchina del tempo per tornare nel passato e scoprire la vera causa dell’estinzione dei grandi sauri. Qui Sawyer mostra di nuovo le sue doti migliori: è soprattutto la descrizione delle tormentate vicende dei protagonisti umani che avvince il lettore (il trauma del recente divorzio del narratore e della relazione della sua ex-moglie con il rivale si intreccia, in capitoli alternati, al diario delle sue gesta in una linea temporale parallela) e bisogna riconoscere (anche i suoi detrattori piú feroci sono concordi in questo) che Sawyer è un vero maestro dell’incastro narrativo. Certo, a volte gli sfugge qualche particolare o qualche filo rimane in sospeso, senza una vera spiegazione, o a volte ci sono coincidenze troppo forzate per risultare veramente credibili, ma in fondo si tratta di un piccolo difetto. E poi, da quando la credibilità è diventata un elemento chiave di un’opera di fantascienza?
Nel 1995 esce The Terminal Experiment, e con questo libro Sawyer entra veramente nell’Olimpo dei grandi scrittori della fantascienza moderna.
The Terminal Experiment, che vince il premio Nebula come miglior romanzo dell’anno, è un giallo ambientato nel vicino futuro. Peter Hobson è uno studente di medicina che si impegna nella ricerca dell’esatto confine tra la vita e la morte attraverso lo sviluppo di un elettrocardiogramma supersensibile che possa aiutare a determinare il vero momento della morte fisica e cerebrale di una persona. Durante queste ricerche Hobson e il suo amico Srakar Muhammed sviluppano una tecnica per creare una copia neuronica perfetta del cervello umano, e riescono così a duplicare tre volte la mente di Hobson all’interno dei computer del laboratorio dove Muhammed lavora. Lo scopo è quello di simulare la vita dopo la morte e la reazione della mente/anima umana all’esistenza priva del corpo. La prima simulazione di Hobson viene creata senza memoria dell’esperienza fisica (abbiamo così la simulazione della vita dopo la morte); la seconda non conosce l’invecchiamento e la morte (cosi da sentirsi immortale); la terza è immutata, a mo’ di ‘controllo’ della situazione.
In realtà, mentre avvengono queste vicende scientifiche, la vita personale di Hobson va in pezzi: la moglie inizia una relazione con un collega di Peter e un’indagine investigativa della polizia si concentra su Hobson come possibile omicida.
The Terminal Experiment è un perfetto esempio di ottima fantascienza moderna e mostra tutte le qualità di questo autore: avvincente trama ‘gialla’, personaggi umani problematici e ben caratterizzati, situazioni che suscitano grandi dilemmi morali e sociali.
Questo discorso vale in effetti anche per quasi tutte le opere di Sawyer, a eccezione del mediocre Starplex, del 1996, ed è il primo romanzo sulla (fanta)scienza che caratterizzerà in seguito tutti i successivi.
Starplex è un’avventura spaziale vecchio stile popolata di personaggi umani e alieni decisamente poco credibili. Ciò di per sé potrebbe non essere un difetto così grande da rendere il romanzo un completo fallimento: in effetti, mentre il protagonista umano, Keith Lansingam, rimane una figura schematica e poco delineata, gli alieni Ib, i Waldahudin e i Darmats con tutte le loro balorde e curiose caratteristiche, danno al romanzo un tono un po’ démodé e bizzarro che non guasta del tutto, e riporta alla mente i vecchi classici della space opera di Pohl è Williamson.
Mutazione pericolosa (Frameshift), del 1997, segna il ritorno di Sawyer agli ambienti che gli sono piú congeniali: quelli ‘universitari’ del vicino futuro, dove si aggirano simpatici studenti o professori di discipline scientifiche alle prese con scoperte portentose che possono mutare il destino della nostra razza.
Qui Sawyer cerca di mescolare assieme (e in buona parte ci riesce) una serie incredibile di sottotrame che vanno a comporre un eccellente mystery. Pierre Tardival è uno studioso canadese che si occupa dei geni dell’uomo, e in particolare di quel tipo di gene che viene definito junk (scarto). Pierre ha inoltre una terribile malattia ereditaria del sistema nervoso: il morbo di Huntington, che porta di norma conseguenze catastrofiche (l’impossibilità di controllare gli arti) e poi alla morte. Accanto a lui troviamo Molly, la sua fedele compagna, una psicologa che ha un dono particolare, la capacità di leggere le menti di chi le sta vicino, e che riesce così a salvarlo da un tentativo di assassinio. Aggiungiamo a tutto uno scienziato premio Nobel che sta per scoprire il segreto del DNA umano e che forse nasconde un passato da torturatore nazista e una società di assicurazioni interessata ai clienti con difetti genetici, e otterremo uno dei piú insoliti e complicati thriller fantascientifici degli ultimi anni. Sawyer non riesce a mettere al posto giusto tutti i fili di questa intricatissima vicenda, ma non si può certo negare che Mutazione pericolosa sia un romanzo estremamente avvincente e, nell’insieme, anche molto toccante dal punto di vista umano.
Illegal Alien, uscito nel dicembre del 1997, è un altro cambio di registro e un’ulteriore prova di grande capacità, anche se rimangono immutate certe caratteristiche basilari, come l’ambientazione nel vicino futuro e personaggi molto ben congegnati.
Il romanzo rientra nella categoria, sempre molto apprezzata, dei gialli con processo legale, i cosiddetti legal thriller, stavolta però l’imputato di fronte alla corte e a rischio di condanna a morte per omicidio è un alieno, Hask, della razza dei Tosok. Gli alieni, con quattro occhi a palla e una massa di sottili filamenti sulla testa, sembrano in effetti pacifici. La loro astronave compare in orbita intorno alla Terra per chiedere l’aiuto degli umani e riparare una serie di danni causati dall’ingresso nell’atmosfera. Nel corso del contatto tra umani e alieni tutto sembra procedere per il meglio, finché un membro del gruppo umano non viene trovato morto all’interno della nave dei Tosok.
Giungiamo così al recente I transumani (Factoring Humanity), forse la sua opera piú compiuta assieme a questo Avanti nel tempo.
Con I transumani (1998) Sawyer ritorna alle ambientazioni a lui piú care, i college universitari canadesi dove si aggirano coppie di professori alle prese con gravose problematiche personali e con eclatanti scoperte scientifiche.
Stavolta è il turno della psicologa Heather Davis, che sta cercando di risolvere, apparentemente senza troppo successo, il dilemma di un messaggio cifrato ricevuto da alcuni astronomi e proveniente dalla vicina stella di Alpha Centauri. Suo marito, Kyle Graves, si occupa invece di intelligenza artificiale e lavora su un computer quantico che basa la sua potenza sul fatto di assemblare calcoli e formulazioni elaborate in universi contemporanei ma alternati. Naturalmente sia Heather che Kyle sono alle prese con una situazione personale altamente traumatica, come è nello stile dell’autore. La loro vita personale, già stravolta dal suicidio della figlia maggiore, diventa ancora piú tormentata quando la figlia piú piccola accusa Kyle di molestie sessuali ai suoi danni e nei confronti della sorella scomparsa.
Il romanzo, estremamente ambizioso da un punto di vista intellettuale e narrativo, si propone di combinare tematiche decisamente interessanti come i messaggi dallo spazio, l’intelligenza artificiale, gli spazi multidimensionali e la natura della coscienza umana. Ancora una volta bisogna riconoscere la bravura di Sawyer, che riesce magnificamente a fondere assieme tutti questi elementi in un’opera che si legge davvero tutta d’un fiato e che meritatamente era stata candidata al premio Hugo e paragonata alle migliori opere di fantascienza hard o di ‘idee’ di autori come Poul Anderson, Greg Bear, Nancy Kress o Bruce Sterling. È innegabile inoltre la capacità di Sawyer di descrivere con grande tensione ed efficacia le scene cruciali, come il confronto tra Kyle e sua figlia Becky, e soprattutto l’ingresso di Heather all’interno del manufatto costruito con le indicazioni dei Centauriani, una specie di oggetto polidimensionale dentro il quale le normali leggi della fisica e dell’anatomia non funzionano piú. Sawyer sa certo come colpire le corde dell’animo umano, e non difetta né di ambizione né di coraggio narrativo.
Tutto ciò è evidente anche in questo Avanti nel tempo, sua opera piú recente e forse piú apprezzata (assieme a I transumani), per il perfetto mix di avventura ed estrapolazione scientifica e sociale.
Stavolta Sawyer affronta uno dei temi piú classici di tutta la fantascienza, ispirandosi al tema di Herbert George Wells e de La macchina del tempo.
Chi di noi non ha mai pensato almeno una volta al proprio futuro? Se i nostri sogni, le aspettative, i desideri troveranno riscontro nella vita che ci aspetta? O se invece non riusciremo in nulla e dovremo vivere condannati a un triste destino? Il futuro dipende completamente da noi o è già scritto, come il passato? E una volta conosciuto, lo accetteremmo passivamente o decideremmo di sfidarlo in ogni caso? A queste domande risponde Sawyer nel suo Avanti nel tempo, che è davvero un romanzo avvincente, che affronta con sicurezza e profondità molte questioni di interesse scientifico e filosofico riguardo a temi come la responsabilità individuale e collettiva, la causalità degli eventi, la natura umana, riuscendo a innovare la migliore tradizione della grande fantascienza classica di Isaac Asimov e Robert Heinlein. Un’ulteriore conferma della statura di un autore giustamente considerato tra i migliori.
Sandro Pergameno