Bob Shaw Autocombustione umana

PROLOGO

«Quando poi riuscirai a prendere fuoco» disse Maeve Starzynski «non venire a lamentarti da me.»

«Molto divertente» commentò suo padre spazzando via dal cardigan diversi minuzzoli di tabacco ardente. Stava fumando la sua più vecchia pipa di radica, che aveva il cannello avvolto in nastro isolante verde, quando era stato colpito da un accesso di tosse.

«Non avevo intenzione di essere divertente. Fumare è un’abitudine disgustosa. I dottori sono tutti d’accordo nel dire che è dannoso alla salute.»

«Parlano di sigarette. La pipa è diversa» Art Starzynski sorrise in quel modo particolare di quando era arrabbiato, e abbassò le palpebre per isolarsi dalle opposizioni al suo punto di vista. «La pipa fa bene. Gli uomini che la fumano sono più longevi degli altri.»

«Sì, perché avvelenano chi gli sta vicino.»

Gli occhi di suo padre erano quasi chiusi. La faccia del Buddha. «Caffè» disse con voce accattivante. «Buono e bollente, buono e appena fatto e che non sia caffè istantaneo.»

«Oh, vorrei che morissi bruciato!» sbottò Maeve dominando l’esasperazione mentre si avviava verso la cucina sul retro della casa.

Suo padre aveva solo sessant’anni, ma aveva preso le abitudini e le esigenze di un uomo anziano, dando l’impressione di approfittare della malattia che lo aveva colpito un mese prima.

Maeve cercò di fare il minimo rumore possibile mentre preparava il caffè e disponeva due tazze — sbatacchiare le stoviglie era un modo troppo ovvio per rivelare il proprio risentimento — e mentre l’acqua cominciava a bollire andò alla finestra e aspirò una profonda boccata d’aria per rilassarsi. Il dottor Pitman le aveva dichiarato che l’esito delle radiografie era stato inaspettatamente buono. A quanto sembrava i dolori addominali che accusava suo padre erano dovuti solo a una colica. Fra un paio di giorni i medici sarebbero stati più precisi in merito, gli avrebbero ordinato la terapia del caso e lei avrebbe potuto riprendere il suo lavoro e la sua vita normale.

Smettila di pensare a questo si ammonì. Sii positiva!

Mentre aspettava che il caffè terminasse di filtrare, cominciò a sentire un odore dolciastro di bruciato che stava pervadendo la cucina e pensò che suo padre stesse provando, com’era sua abitudine, qualche nuova marca di tabacco esotico. Versò il caffè e dispose le due tazze su un vassoio per portarlo in soggiorno. L’odore si accentuò mentre attraversava l’ingresso e Maeve notò alcune volute azzurrine nell’aria, primo indizio che stava succedendo qualcosa di insolito.

«Papà?» Aprì la porta del soggiorno e trattenne il fiato, scioccata nel vedere che era pieno di fumo azzurrino. Lasciando cadere il vassoio, corse nella stanza aspettandosi di vedere che una poltrona aveva preso fuoco. Aveva sentito dire che i mobili moderni possono incendiarsi con facilità e sapeva come fosse d’importanza vitale evitare che si respirasse troppo a lungo il fumo.

Ma non si vedevano fiamme e nemmeno suo padre era visibile.

Era difficile distinguere qualcosa in mezzo a quelle strane volute di fumo azzurro, ma Maeve ebbe l’impressione che vicino al televisore ci fosse una chiazza scura. Si avvicinò, respirando a fatica quell’aria fumosa e pervasa da un odore dolce e disgustoso, e si portò le mani alla bocca quando vide che quello che aveva scambiato per una chiazza scura era in realtà un buco che metteva a nudo il tavolato del pavimento sotto la copertura di vinile. La superficie del tavolato era annerita e ricurva, ma non c’erano fiamme. Nella cavità, sostenuta dalle travi del soffitto della cantina sottostante, c’era un mucchio di fine cenere grigia.

Papà?

Maeve si guardò intorno incerta, spaventata, e aggiunse con voce appena percettibile: «Papà, cos’hai?…»

In quella le scivolò il piede su un oggetto. Lo guardò — ancora inconsapevole, non ancora in preda al panico — e quando vide cos’era cominciò a urlare.

L’oggetto, facilmente riconoscibile dall’anello a sigillo, era la mano sinistra di suo padre.

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