8

Durante il viaggio verso la casa di Morlacher, Al Werry tirò fuori il berretto a punta dell’uniforme (doveva essere un berretto di scorta che teneva in macchina per i casi d’emergenza) e se lo sistemò in testa con grande cura, piegandosi di lato per guardarsi nello specchietto retrovisore.

Ad Hasson, che lo osservava in silenzio, parve che il berretto lustro gli desse più sicurezza della pistola alla cintura.

Quando emersero dal tunnel d’alberi e si fermarono davanti alla porta a pannelli della casa, non si vedevano altre macchine, ma i raggi di luce che uscivano dalle alte finestre indicavano che c’era qualcuno. Hasson scese dall’auto con Werry e si fermò un attimo a guardarsi attorno.

La vista che si godeva da lì era identica a quella che conosceva già. L’Hotel Chinook non era nemmeno visibile oltre le luci ammassate della città ma, per la sua immaginazione, l’atmosfera era del tutto diversa. Provava la piacevole sensazione di sentirsi osservato.

— Credi che sappiano che siamo qui? — chiese.

— Senz’altro. Buck è grande, nei sistemi di sorveglianza. — Werry s’incamminò verso i gradini di pietra, stirando, lisciando, sistemando l’uniforme in un modo che ricordò ad Hasson il pavone quando dispiega le piume. Hasson lo seguì ma si tenne un po’ indietro, improvvisamente conscio che il proprio abbigliamento, maglione e calzoni sportivi, avrebbe sciupato lo spettacolo rituale d’autorità messo in scena da Werry. Il poliziotto suonò il campanello e aspettò che la porta si aprisse. Hasson gli rivolse un sorriso incoraggiante, Werry lo fissò con gli occhi freddi, vuoti, d’un estraneo e rimase così finché non sentirono scorrere un chiavistello. La porta si spalancò di pochi centimetri. Apparve la faccia barbuta di Starr Pridgeon. Guardò Werry e Hasson per un attimo, senza parlare, maliziosamente divertito.

— Voglio parlare con Buck — disse Werry.

— Buck non vuole parlarti. Ciao, Al. — Pridgeon chiuse la porta, ma Werry infilò tra i battenti uno stivale lucido e impedì la chiusura totale. La porta si apri di nuovo, e questa volta la faccia di Pridgeon era piena di risentimento.

— Al, perché non fai un favore a tutti quanti e non la smetti di comportarti come un poliziotto vero? — chiese, con calma beffarda. — Non la dai a bere a nessuno. Perché non salti sulla tua macchinina e torni da dove sei venuto?

Werry avanzò di poco. — Ti ho detto che voglio parlare con Buck.

Qualcosa brillò negli occhi di Pridgeon. — Immagino di non poterti impedire di entrare, però ricordati che non ti abbiamo invitato. — Indietreggiò e aprì del tutto la porta.

Hasson sentì risvegliarsi l’istinto. Ebbe l’impressione che Pridgeon avesse ripetuto una frase fatta, come un giovane avvocato che ripassi una certa sentenza, e al tempo stesso notò lo strano movimento quasi di valzer che fece nel ritirarsi; tre passi ad angolo retto che tennero i suoi piedi lontani dall’area appena oltre la soglia. Balzò avanti, cercando d’afferrare il braccio di Werry, ma arrivò in ritardo d’una frazione di secondo.

Werry attraversò la soglia. Ci fu un secco slap che segnava uno scatenarsi d’energia, e Werry cadde in ginocchio. Rimase così forse per un secondo, scuotendo la testa, poi cadde sul parquet. Il suo berretto rotolò via sui tasselli di legno lucido.

— Santo Cielo — disse Pridgeon, ridendo. — Santo Cielo! Che disdetta! Qualcuno deve aver lasciato acceso lo schermo di protezione. — Tirò diritto, senza fare nulla per aiutare il poliziotto caduto. Nell’ingresso si aprì una porta e ne uscirono tre uomini. Uno reggeva un boccale di birra. Ridacchiando, avanzarono verso Pridgeon. Sembravano pieni d’aspettativa e poco coscienti di sé.

— Cos’è successo al vecchio Al? — chiese uno. — Si è fatto una delle sue bevute?

— Dev’essere la stagione buona — rispose Pridgeon, scatenando una marea di risate, poi puntò il suo sguardo truce su Hasson. — Tu! Cugino d’Inghilterra di Al! Portalo via. Sporca tutto.

Hasson avanzò, si fermò sulla soglia. — Mi invitate dentro, e avete spento lo schermo di protezione?

— Questo qui non corre mai rischi — disse Pridgeon voltando la testa, poi si girò verso Hasson. — Lo schermo è spento. È stato un incidente puro e semplice che Al ci sia finito dentro. Diglielo, quando si sveglia.

Hasson s’inginocchiò a fianco di Werry e lo guardò in faccia. Il poliziotto era in stato di coscienza, però i suoi occhi erano appannati, e bolle di saliva gli uscivano agli angoli della bocca. Hasson sapeva che aveva subito un neuro-choc fortissimo, tanto da paralizzargli le sinapsi cerebrali e renderlo momentaneamente impotente, e che solo di li a un minuto o due sarebbe riuscito a camminare da sé. Infilò le mani sotto le ascelle di Werry, lo trascinò a una sedia a schienale alto in un angolo della stanza, lo depose lì.

— Fuori — ordinò Pridgeon. — Ti ho detto di portarlo fuori di qui.

— Non è ancora in grado di camminare. — Inginocchiato accanto alla sedia, Hasson diede dei buffetti sulle guance di Werry con la sinistra, mentre con la destra, di nascosto, slacciava il cinturino di sicurezza della fondina. — Il minimo che possiate fare è dargli un bicchiere d’acqua.

Pridgeon strinse le labbra. — Do a tutti e due dieci secondi per uscire di qui.

— E poi cosa fate? Chiamate la polizia? — Hasson rinnovò gli sforzi per ridare a Werry il controllo del corpo, e si accorse che l’altro cominciava a muovere gambe e braccia. Werry agitò la testa da una parte e dall’altra, poi mise a fuoco lo sguardo sul viso di Hasson.

— Mi spiace, Rob — disse debolmente. — lo… Sarà meglio che mi riporti in macchina.

Hasson si chinò in avanti e avvicinò la bocca all’orecchio di Werry. — Al — sussurrò con decisione — lo so quanto stai male. Lo so che adesso non vuoi sentire discorsi del genere, però, se esci da questa casa senza parlare a Morlacher, come ufficiale di polizia sei finito. Troppa gente ha visto quello che è successo. Ne parleranno in tutta la città, e tu sarai finito.

Werry quasi sorrise. — E se non me ne importasse?

— Ma te ne importa! Senti, Al, non devi nemmeno fare niente. Non devi neanche alzarti in piedi. Parla a Morlacher come avevi deciso. Poi possiamo andarcene. Okay?

— Okay, ma chi…?

— Basta! Ne ho abbastanza di voi due cretini. — I passi di Pridgeon risuonarono alle spalle di Hasson. — Nessuno potrà dire che non vi avevo avvisato.

Hasson si alzò, lo fissò. — Il Comandante Werry mi ha autorizzato ad agire in vece sua… E vogliamo parlare col signor Morlacher.

— Ha autorizzato te! — Pridgeon guardò Hasson a bocca spalancata, poi sorrise e chiuse gli occhi, come provando un piacere atteso da molto tempo. — Ecco cosa penso di te, storpio.

Lentamente e delicatamente, come se dovesse sollevare un vaso inestimabile, levò le mani verso le orecchie di Hasson. Hasson appoggiò una mano al centro del petto di Pridgeon e gli diede una spinta che lo colse assolutamente impreparato. Pridgeon scivolò all’indietro troppo in fretta per riuscire a mantenere l’equilibrio. Cadde di schiena sul parquet lucido, volando a gambe all’aria. Uno dei tre uomini uscì in un latrato di derisione.

Pridgeon scattò in piedi, bestemmiando velenosamente, e si lanciò verso Hasson, questa volta a piena velocità, le spalle abbassate e gli occhi socchiusi, deciso a prendersi una rapida, sanguinosa rivincita per l’offesa appena subita. Fece una finta di sinistro, di destro, poi lasciò partire un pugno di destro indirizzato alla gola di Hasson.

Hasson, pieno di adrenalina, ebbe il tempo di analizzare i tre movimenti e seppe subito di avere davanti un avversario istintivo e troppo sicuro di sé, il tipo d’uomo che affrontava spavaldamente la lotta fisica forse una volta l’anno, vincendo a forza di rabbia e ferocia, e che su quella base si era illuso di essere un lottatore bravissimo, imbattibile. Hasson deviò senza sforzi il pugno con l’avambraccio sinistro e vide il corpo di Pridgeon, immobile davanti a lui, come un atlante anatomico, con tutti i centri nervosi segnati in rosso, e scoprì che non aveva nessuna voglia di chiudere la lotta in modo pulito, scientifico. Pridgeon lo aveva insultato e umiliato e fatto vergognare di sé. A Pridgeon piaceva tormentare ragazzi ciechi che non potevano assolutamente reagire. A Pridgeon piaceva usare i muscoli su uomini che riteneva storpi. Per tutto quello, e per un migliaio di altri motivi che gli erano ignoti, Pridgeon doveva pagare un prezzo molto alto, ed era giunta l’ora…

Hasson cambiò mira e scagliò il primo pugno sulla bocca di Pridgeon, esultando al secco scricchiolio dei denti. Poi lo buttò contro il muro a pannelli, per non concedergli nemmeno il sollievo di scivolare a terra, e lo colpì tre volte di seguito, mirando ogni volta al viso, colpendo duro, facendo ogni volta sprizzare sangue. La rabbia che si era impadronita di lui sbollì immediatamente quando, con l’angolo dell’occhio, colse un movimento fra i tre uomini alla sua sinistra. Lasciò cadere a terra Pridgeon e si girò a fissare gli uomini. Avanzavano verso di lui per circondarlo, e sulle loro facce c’era un’espressione che Hasson aveva già visto molte volte: la rabbia oltraggiata che un vigliacco sente sempre quando la vittima ha il coraggio di ribellarsi. L’uomo col boccale di birra, un rosso tarchiato in camicia a quadretti, aveva vuotato il bicchiere e lo reggeva col fondo appoggiato al palmo della mano.

Hasson tornò accanto a Werry e sollevò le sue mani come un vigile, segnalando ai tre di fermarsi. — Prima che vi troviate coinvolti — disse, sforzandosi di parlare con voce sicura e tranquilla — è bene sappiate che il Comandante Werry è qui per svolgere indagini su un omicidio. Qualcuno ha messo una bomba ad alto esplosivo nell’Hotel Chinook, e poco fa è scoppiata in mezzo a un gruppo di ragazzi. Forse c’è più di un morto, non siamo sicuri, ma quello che è sicuro è che qui c’è qualcuno che passerà molto, molto tempo in galera. Ora tocca a voi decidere se volete sporcarvi le mani con roba del genere, o no.

Hasson s’interruppe. Respirava piano e con regolarità, per calmare i battiti nel petto. I tre uomini si guardarono. Non credevano ad Hasson e non sapevano cosa fare. Le sue parole avevano ottenuto un effetto inferiore alle aspettative, e Hasson aveva la spiacevole sensazione di trovarsi di fronte un gruppo di individui che possedevano la classica incapacità criminale di soppesare le conseguenze future.

— Era ora che qualcuno sistemasse quei bastardi che vanno su nell’hotel — disse l’uomo col boccale di birra. — Sono solo schifosissime zanzare.

— Sì, ma avete qualche motivo per rendervi complici dell’omicidio?

L’uomo non pareva convinto. — Per me è tutto un mucchio d’idiozie. Non so niente di omicidi, ma so che non mi piace vedere dei poliziotti che picchiano un mio amico.

— Giusto — approvò un altro, avanzando un poco.

— Provate a metterla così — disse Hasson. — Voi stasera siete venuti qui per bere qualcosa in santa pace e magari farvi una partitina a carte. Giusto? Non siete venuti per trovarvi coinvolti in un processo per omicidio. È una brutta faccenda, e potrebbe diventare ancora più brutta se ci aggiungete altre complicazioni.

Si chinò e tolse dalla fondina la pistola di Werry, stringendola fra pollice e indice come se provasse un profondo disprezzo per quell’oggetto. Lasciò che i tre la studiassero per diversi secondi, poi la rimise nella fondina.

— Non voglio mettermi a puntarvi una pistola in faccia, e magari far partire un colpo per sbaglio — disse. — È una cosa che mi farebbe proprio schifo, e forse a voi farebbe schifo anche di più, per cui perché non ve ne tornate a casa e lasciate fare il suo dovere al Comandante Werry?

— Il mio amico sta dicendo che vi conviene andarvene intanto che ci riuscite ancora — intervenne Werry, alzandosi in piedi. — È un buon consiglio.

— Se lo dici tu, Al — mugugnò uno degli uomini. I tre raccolsero i loro corpetti AG e le tute da volo, sparpagliate su una cassapanca di legno, e scomparvero nella notte. L’ultimo che uscì sbatté la pesante porta.

Hasson annuì in direzione di Werry, che stava provando a muovere le spalle. — Grazie, Al. Non credo che ci sarei riuscito da solo.

— Non metterti a ringraziarmi, Rob. Non sono mica stupido. — Werry si ripulì l’uniforme, raccolse il berretto e lo infilò. — Forse non ho fegato, ma non sono stupido. Okay?

— Non credo che tu sappia cosa significhi non avere fegato. Ricordami di spiegartelo, una volta o l’altra.

— Lasciamo stare — fece Werry bruscamente, gettando un’occhiata alla radio da polso. Dovevo dire a Henry di tenersi in contatto. Mi piacerebbe sapere se hai ragione per la faccenda dell’omicidio.

— Era una lurida bugia — intervenne improvvisamente Pridgeon, rizzandosi su un gomito. La sua voce era incerta, sibilata da labbra pestate a sangue, e il suo viso aveva quell’aspetto distrutto, disumano, che Hasson aveva notato spesso sui lineamenti di chi resta vittima di un incidente. Fissava Hasson coi suoi occhi gonfi, pieni di un insieme di odio, stupore e rimprovero. Hasson ricambiò lo sguardo, ricacciando il senso di colpa per aver obbedito a un impulso oscuro, primordiale. Werry afferrò Pridgeon per i risvolti della giacca e lo scaraventò sulla sedia che aveva appena abbandonato.

— Ha raccontato una sporca bugia — mormorò Pridgeon. — Avete del fegato a venire qui e cercare di far credere che…

— Ha raccontato la verità — lo interruppe Werry. — Qualcuno ha messo delle schifose bombe al Chinook, e c’è un ragazzo conciato per le feste e forse altri già morti, ed esiste un solo uomo che poteva avere qualche motivo di fare una cosa del genere. Dov’è Buck? È in casa?

— Buck è di sopra. — Pridgeon afferrò il polso di Werry, e nella sua voce spuntò un tono querulo. — Al, non mi imbrogli, eh?

— Non t’imbroglio — rispose Werry, impassibile. — È una faccenda seria.

— Sei sicuro che non fosse una pallottola abbandonata o qualcosa per spaventare gli uccelli o roba del genere?

— Era una bomba ad alto potenziale. Ne sai qualcosa, Starr? Perché se ne sai qualcosa…

— Ho preparato le spolette — rispose Pridgeon, asciugandosi il sangue sulla fronte. Ma Buck mi ha detto che erano solo…

— Buck ti ha detto di tenere la bocca chiusa. — Morlacher, fuori luogo in una vestaglia da camera di seta, apparve in cima a una scalinata in fondo all’ingresso e scese verso di loro. — Non hai abbastanza cervello da capire quando ti stanno fregando?

Werry si girò verso di lui. — Noi non freghiamo nessuno, Buck. L’hai messa tu la bomba?

— Naturalmente no. — Morlacher si fermò a scrutare il viso di Pridgeon, poi rivolse un sorriso incredulo a Werry. — Sei stato tu? Be’, allora hai perso un lavoro.

— Non è stato Al. — Pridgeon indicò Hasson. — Mi ha colpito quando non ero pronto.

Hasson annuì. — Non è stato pronto per quattro volte di seguito.

— Cosa sta succedendo qui? — chiese Morlacher, irritato, girando gli occhi fra Werry e Hasson. A cosa credete di giocare, voi due?

— Ti ho fatto una domanda, Buck. — La voce di Werry era ferma. — L’hai messa tu la bomba?

— Ti ho già risposto. Non so niente di nessuna bomba.

— Sul serio? — Negli occhi di Werry si accese una luce. — Be’, allora t’informo io. Ha dato fuoco al tuo stupido hotel.

Morlacher contorse la bocca. — Sei un bugiardo.

— Se hai un cannocchiale — rispose disinvoltamente Werry — puoi guardare dalla finestra e vedere il tuo hotel a spillo che si trasforma in un incendio a spillo.

— Devo andarci — disse Morlacher. La sua faccia era impallidita all’improvviso, e sulle guance spiccavano triangoli rossi. Si voltò, corse alla cassapanca di legno che serviva da attaccapanni e prese un corpetto AG.

Werry arrivò alla porta d’ingresso e vi si appoggiò di schiena, impassibile e sicuro sotto l’uniforme immacolata e i distintivi del suo rango di poliziotto, trasformato nell’uomo che un tempo Hasson aveva immaginato che fosse.

— Deciderò io dove devi andare — disse. — Dopo che avrai risposto alle mie domande.

— Tu, Al? — Morlacher continuò ad allacciare il corpetto. — Tu sei solo un buffone, e adesso non ho voglia di ridere. — Strinse la cintura del corpetto, fece un passo verso la porta, si fermò quando vide che Werry aveva estratto la pistola.

— Questa bomba, allora? — disse Werry.

— Adesso stai diventando un pessimo buffone. Non imbrogli nessuno con quell’aggeggio. — Morlacher ricominciò ad avanzare.

Werry schiacciò il grilletto. Non si udì nessun suono, perché l’arma espelleva i proiettili grazie all’energia elettromagnetica, ma un tassello volò via dal parquet, vicino al piede di Morlacher, e andò a finire dall’altra parte della stanza.

— La prossima volta miro al naso — promise Werry. — Allora, questa bomba…?

Morlacher respirò profondamente, dilatò tutto il corpo come risucchiando forza da una mitica fonte d’energia; poi, dentro di lui, si spezzò qualcosa. Il suo potere fu neutralizzato, la sua carica vitale scomparve. Morlacher rabbrividì e si fece più piccolo.

— Per amor di Dio, Al — piagnucolò — cosa vuoi combinarmi? Lasciami uscire. Devo andare all’hotel. — La bomba…

— Non doveva essere una bomba — rispose in fretta Morlacher, facendo cenni vaghi con le mani. — Non crederai che volessi procurare danni all’hotel, no?

— E allora a cosa doveva servire?

— Volevo solo fargliela vedere a quei maiali. Spaventarli, non farli più tornare. Adesso lasciami uscire, Al. Werry gli rispose di no con un movimento della pistola. — Che esplosivo hai usato?

— Era solo un vecchio pezzo di esplosivo al plastico che ho avuto da George York alla cava di Bettsville. — Esplosivo al plastico! Hai usato dell’esplosivo al plastico per spaventare dei ragazzi?

— Sì, ma l’ho tagliato a quadrettini piccoli.

— Piccoli quanto?

— Piccoli. Piccoli! Che altro vuoi che ti dica?

— Quanto pesavano? — urlò Pridgeon, balzando su dalla sedia. — Non mi hai parlato di queste bombe. Quanto pesavano?

— E come faccio a saperlo? — disse Werry, impaziente. — Quindici grammi. Venti grammi. Qualcosa del genere.

— Oh, Cristo — esclamò Pridgeon, girandosi verso Werry. — Al, ti giuro che non ne sapevo niente. Se nel Chinook c’è qualcuno, bisogna farlo uscire subito. Mi ha fatto preparare una ventina di spolette.

— Che tipo di spolette? — chiese Werry. — A orologeria?

— Spolette di prossimità, Al. Scoppiano appena uno gli arriva vicino.

Hasson, sorpreso, vide che Werry pensava agli aspetti tecnici di quanto gli avevano appena detto. — Ma come si fa a maneggiarle? Come fai a essere sicuro che non ti scoppino in mano?

— Ho usato anche dei meccanismi a orologeria. I circuiti entrano in funzione solamente di sera. — Pridgeon avanzò verso Werry, portando le mani alla faccia ferita come per tenerla assieme. — Al, non ne avevo idea.

— Indietro — ordinò Werry, gli occhi fissi su Morlacher. — Buck, quante bombe hai messo nell’hotel?

— Tutte. — La voce di Morlacher era spenta.

— E dove?

— Dappertutto. Una per ogni piano, e qualcuna in più nei punti dove ho trovato del cibo. Sai, dove quelli si fermano a mangiare.

— Ti ricordi i posti esatti? — Morlacher scosse la testa. — I piani dell’hotel sono tutti uguali, tutti vuoti. Dovrei andare a vedere di giorno.

— E così ci sei proprio riuscito, eh? — Werry schiacciò i comandi della radio da polso e l’avvicinò alle labbra. — Victor? Volevo parlare con Henry.

— Anch’io ho cercato di mettermi in contatto con lui. — La voce di Victor Quigg risuonava metallica e impaurita. — Il primo piano dell’hotel si è incendiato sul serio, Al. Si vedono le fiamme da terra. Se Henry non esce subito da quella finestra al secondo piano, sarà nei guai. L’incendio lo chiuderà dentro.

— Hai sentito altre esplosioni?

— Esplosioni? No, Al. Perché…?

— Victor, devi metterti in contatto con Henry — lo interruppe Werry. — Vai su con un megafono, ma non entrare. L’hotel è tutto minato. — Spiegò a Quigg la situazione nei particolari, ordinandogli di dire a Henry Corzyn di tornare alla finestra da cui era entrato seguendo esattamente lo stesso percorso.

— Vado subito — rispose Quigg. — E tu quando torni, Al?

— Presto. — Gli occhi di Werry, freddi e spietati, erano fissi su Morlacher. — Prima devo sistemare una faccenda.

— Usciamo — disse Morlacher con un tono che ricordava il suo solito comportamento, avvicinandosi alla porta. — Devo andare all’hotel.

Werry gli sbarrò la strada, scuotendo la testa. — Tu verrai al mio hotel, Buck. Ho un paio di stanze comunicanti prenotate per te e per Starr.

Morlacher gli puntò contro un indice tremante. — Hai perso un buon lavoro.

— Per la seconda volta in una sola serata — disse Werry, calmissimo. Tolse di tasca un rotolo di cerotti poliadesivi e lo gettò ad Hasson. — Dietro la schiena, Rob, se non ti spiace. Non voglio correre rischi.

Hasson annuì. Si avvicinò a Morlacher e gli unì le mani dietro la schiena. Tolse la carta di protezione da un cerotto blu, lo sistemò fra i polsi di Morlacher e poi li spinse l’uno contro l’altro, creando un legame indissolubile. Pridgeon si sottopose allo stesso cerimoniale quasi di buonagrazia, per dimostrare che credeva nella collaborazione con la giustizia.

— Adesso possiamo andare — disse Werry. Spalancò la porta d’ingresso, rimettendo in comunicazione l’interno della casa con l’universo esterno, e questa volta l’Hotel Chinook fu immediatamente visibile: ardeva, a sud, come un pianeta rosso colpito dalla sventura.

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