I carboidrati non saranno il cibo più sano, quando sono il punto centrale di una dieta, ma gli affamati non si preoccupano tanto di fare una dieta sana, quanto di riempire la pancia. I carboidrati sono utilizzabili facilmente dal corpo e hanno un alto contenuto energetico. Quando si mangiano carboidrati, il livello dello zucchero nel sangue sale immediatamente, e ci si sente subito più in forza.
In un primo tempo fu necessario il razionamento, ma, razionamento o no, quando tonnellate di carboidrati cominciarono a essere trasportate dalla Luna alla Terra per rimediare alla sempre maggiore scarsità di cibo, fu chiaro che nella battaglia contro la fame era stato raggiunto un traguardo importantissimo.
Le prime volte non si badò molto all’igiene. Piccole razioni di carboidrati vennero distribuite sia ai combattenti sia ai civili che non si facevano un problema della pulizia, ma si preoccupavano solo che il cibo, in forma di stecche mal tagliate, avesse un buon sapore.
In seguito, quando il paese cominciò a tornare alla normalità e le truppe del Fronte Unito di Shaw furono a poco a poco respinte nella California del sud e sterminate le razioni vennero racchiuse in involti igienici accuratamente pesate, ma distribuite però in abbondanza.
Quando l’ammiraglio Dominic Gordon tornò da Giove con un altro carico di materia prima, ormai negli Stati Uniti c’era già un governo in grado di funzionare al meglio. Piccoli quantitativi di materia prima potevano bastare per molto tempo, perché quel cibo era altamente nutritivo. Appena veniva scaricata dalla stiva della John F. Kennedy, l’atmosfera di Giove si trasformava in tonnellate e tonnellate di buon cibo.
L’industria spaziale incrementò la sua attività. I danni prodotti dalla guerra rallentarono la ripresa, ma lo spazio ormai era diventato un campo a cui si dava la precedenza assoluta. Vicino alla faccia nascosta della Luna si stava costruendo un’altra nave come la Kennedy. I piani di costruzione dell’astrocisterna furono dati ai governi della Gran Bretagna, del Giappone, della Germania e dell’Unione Sovietica, e nel giro di qualche mese anche questi paesi cominciarono a costruire astrocisterne. C’era un mucchio di spazio per costruirle vicino alla Luna.
Donare i piani di costruzione della Kennedy e distribuire gratistonnellate di carboidrati all’India, all’Africa e all’Asia fu un atto che il governo di Washington non compì senza prima essere sicuro di avere una contropartita. Nessuno dà niente per niente, e il prezzo fu imposto dal governo stesso, un governo deciso che funzionava con un Congresso che contava solo cinquantadue membri, uno per stato, in buona parte militari. La regola era che ogni paese industriale che voleva costruire un’ astrocisterna doveva prima istituire un programma molto rigido di controllo delle nascite. Nei paesi non industriali bisognosi di cibo, il governo doveva stabilire pene severe per chi non si atteneva alle regole del controllo demografico. La libertà di procreare fu definitivamente bandita, e quando succedeva che milioni di persone affamate protestassero, s’interrompevano gli invii di cibo, finché quelle stesse persone capivano l’antifona e obbedivano ai decreti del governo sul controllo delle nascite. Alla Borsa di New York,ititoli delle società produttrici di contraccettivi andarono alle stelle.
La democrazia parlamentare non era popolare, negli Stati Uniti. I politici, che per secoli si erano gingillati al governo senza risolvere nemmenoiproblemi più pressanti, furono rispediti a casa, a lavorare la terra e aiutare la ripresa dell’agricoltura, per la quale c’erano di nuovo speranze, ora che la manna proveniente dal cielo si era rivelata un eccellente fertilizzante. In realtà solo alcuni degli ex politici si diedero al lavoro manuale; la maggior parte di loro invece si misero in testa di fare il gentiluomo di campagna, e la cosa fece molto ridere quando venne raccontata alla stampa da J.J. Barnes, ministro dei Rifornimenti della Seconda Repubblica.
L’ammiraglio Gordon non era del tutto soddisfatto del nuovo governo di Washington, ma pensava che fosse il migliore che gli americani avessero avuto dall’epoca dell’ultimo dei Presidenti decisi, Harry Truman, che era stato in carica intorno alla metà del ventesimo secolo. Parlando con i suoi colleghi tradizionalisti, Dom aveva cominciato a coltivare la speranza che si potesse evitare una rigida dittatura militare e che sarebbe stato mantenuto un certo grado di libertà, da aumentarsi in futuro a poco a poco. Ma una cosa preziosa come il diritto di voto non sarebbe mai più stata estesa alla gente che viveva nell’ignoranza e nell’indolenza. Il diritto di voto sarebbe stato sì alla portata di tutti, ma ciascuno avrebbe dovuto guadagnarselo, e non con la ricchezza e la proprietà. Il diritto di voto avrebbe potuto essere esercitato solo da quelli che avessero dimostrato, tramite una prova scritta, di capire a fondo cosa significasse per un uomo libero scegliere. Il voto, in una parola, sarebbe stato di chi se lo meritava, e non un diritto concesso da Dio. Le elezioni in futuro non sarebbero state vinte dall’uomo più telegenico, né dall’uomo che doveva i suoi voti al fatto che suo padre e il padre dell’elettore erano da sempre populcratici.
L’ammiraglio Neil Walters condusse la Kennedy su Giove per la terza volta, dopo avere completato il collaudo della seconda delle enormi astrocisterne. L’ammiraglio Gordon, a bordo della New Republic, la gemella della Kennedy, fece le corse con lui nel lungo tragitto fino al pianeta gassoso, e vide con piacere la vecchia nave battere la nuova di due ore e trentadue minuti.
Fu un lungo viaggio noioso quello per Dom, perché Doris era sulla Terra, a progettare un computer che avrebbe collegato gli elettori qualificati a un centro per referendum di Washington. Quando Dom tornò con la sua nave sulla Luna, negli Stati Uniti già dieci milioni di cittadini si erano qualificati elettori ed erano in condizioni di far sentire la loro voce su tutti i problemi, non solo su quello dell’elezione del Presidente. A poco a poco si stava instaurando una nuova forma di governo del popolo, fatta dal popolo stesso.
Quando andò incontro alla nave spola che aveva appena riportato Dom sulla Terra, Doris era in alta uniforme. A Dom parve più bella che mai, e quando l’abbracciò sollevandola da terra trovò deliziosa toccarla e sentire l’odore della sua pelle. Aveva un programma in mente, che riguardava solo lui e Doris. Non vedeva l’ora di stare con lei in pace, senza nessuno attorno. Pensò che in futuro, se lei non fosse partita, non sarebbe partito nemmeno lui.
— Cerca di darti un po’ più di contegno, ammiraglio — disse Doris, sistemandosi l’uniforme che lui le aveva stropicciato. — Ci stanno riprendendo.
Dom alzò gli occhi e vide l’occhio di una telecamera.
— Di nuovo? — disse.
— Questa è una trasmissione speciale — disse Doris. — È stata tolta la censura dai mass media. Adesso abbiamo di nuovo una stampa libera, e la Tv vuole preparare un documentario esauriente sul primo volo della Kennedy.
— Dopo disse Dom, prendendo Doris per un braccio e cercando di condurla via.
— Gli ordini dall’alto sono di collaborare — disse Doris.
— J.J.? — chiese. Lei annuì.
— Oh, cavoli — disse Dom. — Che si faccia intervistare lui. Dài andiamo a casa.
Ma fu bloccato da un’altra telecamera e da una giovane donna. — Ammiraglio Gordon, non vi porteremo via molto tempo.
— D’accordo — disse Dom.
— Dite.
— Vorremmo girare parte del film sul luogo della costruzione — disse la giovane donna. Nello spazio vicino alla Luna stavano costruendo una terza astrocisterna. — Potremmo girarlo dopo che avrete avuto il tempo di riposarvi dal viaggio…
— Oh, come siete buoni — disse Dom.
John Marrow, l’uomo che doveva intervistare Dom, gli si mise alle costole. — Immagino che vogliate sapere cosa appare nel documentario prima dell’intervista — disse. — Ci vorrà solo un minuto. — Piazzò davanti a Dom un monitor portatile.
Il documentario si apriva con alcune immagini d’effetto, delle foto a distanza ravvicinata di Giove. Sovrapposta a quello sfondo c’era la sagoma della Kennedy. La voce narrante, quella di Marrow, raccontava come fosse ridotto il mondo all’epoca del primo viaggio della Kennedy e come uomini e donne coraggiosi si fossero imbarcati su una nave non collaudata per portare a termine una missione destinata a cambiare il mondo.
— A questo punto arriva l’intervista — disse Marrow. — cominciamo. — Si rivolse alle telecamere. — E adesso si sta finendo di costruire una terza astrocisterna del tipo Kennedy, nello spazio vicino alla Luna. Abbiamo qui con noi l’uomo che ha progettato la prima Kennedy, un uomo che è appena tornato dalla sua terza spedizione su Giove. I suoi amici lo chiamano Flash Gordon.
— Voi non siete un mio amico — disse Dom. — Per voi sono l’ammiraglio Gordon.
— Tagliate — disse Marrow.
— Scusate, ammiraglio. Proviamo un’altra volta? — Terminò la sua introduzione. — E adesso, ammiraglio Gordon, potete dirci quali sono i risultati del vostro ultimo viaggio su Giove?
— Abbiamo portato a casa la pagnotta, come le altre volte — disse Dom.
— Un’espressione appropriata, ammiraglio, perché in un certo senso è esattamente quello che avete fatto, vero?
— L’ho appena detto.
— Perché la stiva della New Republic contiene abbastanza materia prima da fornire cibo a milioni di persone.
— Per essere esatti — disse Dom — la stiva contiene molte centinaia di migliaia di tonnellate di nube carbonigena, presa da quello strato gassoso del pianeta Giove che si trova a tremila atmosfere di pressione.
— Ammiraglio Gordon, torniamo adesso all’inizio, a quando voi e J.J. Barnes progettaste la prima Kennedy.
— J.J. non progettò affatto la nave — disse Dom. — Era l’organizzatore, ma il progetto di costruzione fu fatto da me e dalla mia squadra, che comprendeva Larry e Doris Gomulka…
— Tagliate — disse Marrow. — Torniamo a dove dico «torniamo all’inizio». Bene. Torniamo all’inizio, ammiraglio, a quando voi e la vostra squadra stavate progettando la costruzione della prima Kennedy. Ho sentito dire che ignoravate la vera funzione della nave. È così?
— Ci fu detto che c’era una nave aliena nell’atmosfera di Giove — disse Dom.
— È vero che solo uno o due uomini conoscevano il vero scopo della prima spedizione?
— Non so quanti ne fossero a conoscenza — disse Dom. — Certo J.J. Barnes era fra questi.
— Ma voi, ammiraglio, appena vi trovaste dentro l’atmosfera di Giove capiste subito che J.J. Barnes era un uomo lungimirante, dotato di grande acume e discernimento?
— Pensai che fosse pazzo — disse Dom.
— Certo non la penserete più così adesso, immagino — rise Marrow.
— Penso ancora che sia matto, ma un matto ispirato e molto fortunato. Ha giocato d’azzardo, e gli è andata bene. È stata una giocata molto fortunata, e dobbiamo molto a J.J.
— Dareste il vostro voto perché J.J. Barnes diventasse Presidente degli Stati Uniti?
— No — disse Dom.
— Tagliate — disse Marlow.
— Che cavolo di domanda è questa? — disse Dom.
— Non sapete che J.J. si presenta candidato per la Presidenza, alle prossime elezioni? — disse Marrow.
— No, non lo sapevo.
— Votereste per lui?
— No.
— Lasciate stare — disse Marrow. — Taglieremo in un secondo tempo. — Rifletté un attimo. — Siete un elettore qualificato, ammiraglio Gordon?
— Non ancora. Probabilmente dovrò farmi dare lezioni da mia moglie per superare la prova scritta.
Marrow stava per formulare un’altra domanda, quando Dom lo interruppe. — Ma cos’è, J.J. ha organizzato questa intervista perché esprimessi la mia stima per lui e il mio appoggio alla sua candidatura?
— Lasciate — disse Marrow. — Taglieremo in seguito. — Cambiò tattica. — In quanto progettista delle Kennedy e suo Comandante nel primo viaggio potreste, ammiraglio Gordon, spiegarci quello che alcuni definiscono un miracolo?
— Be’, in realtà non si è trattato di un miracolo — disse Dom. — È capitato al momento giusto, e questo l’ha fatto apparire un miracolo. La materia prima era là. Noi siamo riusciti semplicemente a costruire un’ astrocisterna capace di andare a raccoglierla. Ciò che la maggior parte della gente trova sconcertante è in realtà semplicissimo. Questo «miracolo» si ripete ogni giorno, sulla Terra. Quando l’aria è sovraccarica di vapore si condensa e cade in forma di precipitazione. Se si sovraccarica un’atmosfera con i dovuti quantitativi e i dovuti composti di carbonio e idrogeno, la precipitazione sarà costituita da carboidrati.
— Ovvero di manna proveniente dal cielo — disse Marrow.
— Gli antichi ebrei la chiamavano così — disse Dom. — Il Talmud parla di pane che pioveva dal cielo. Nelle leggende islandesi, la gente mangia la rugiada del mattino; i buddisti parlano di olio celeste, di profumo, di unguento. La biblica manna arrivò in un momento di crisi e fu definita un miracolo; del resto, anche i nostri carboidrati di Giove sono arrivati in un momento di crisi. L’unica differenza è che non ce li hanno portati né gli dèi, né le dee, ma ce li siamo andati a prendere da soli.
— Sì, grazie alla preveggenza di quel grand’uomo, J.J. Barnes — disse Marrow, sorridendo alle telecamere.
— Grazie a Immanuel Velikovsky — disse Dom — che è morto da un pezzo.
— Ah, sì — disse Marrow.
— È per questo che la terza nave verrà chiamata Velikovsky — disse Dom.
Molto più tardi, Dom era sdraiato su un’amaca e guardava il sole tramontare sul Golfo del Messico. Era una bella sera. Dom era contento, nel caldo vento d’estate che gli carezzava la pelle. Aveva in mano un bicchiere vuoto e stava cercando di raccogliere le forze per andarselo a riempire di nuovo, quando arrivò Doris.
— Ehi, ammiraglio — gridò.
— Stanno per trasmettere la tua intervista.
Dom si avviò lemme lemme. Si vide in Tv accanto a John Marrow. Brontolò e andò a prepararsi un drink, ma poiché anche lui era un essere umano tornò davanti allo schermo, a guardare la sua immagine così come la vedevano gli altri. Tuttavia non riuscì a guardarsi a lungo, perché Doris, che appariva sullo schermo vicino a lui, era davvero bellissima.
— Sei telegenica, in Tv color — disse lui.
— Tu hai l’aria di avere sonno.
— Lo avevo.
— Ci sono matti e matti — stava dicendo Dom in televisione. — Velikovsky era un matto che visse e scrisse nella seconda metà del ventesimo secolo. In sintesi elaborò una teoria raccogliendo informazioni da centinaia di antichi scritti…
— Scritti ben poco attendibili — disse. Marrow.
— Poco attendibili solo a causa delle limitazioni imposte dalle lingue antiche — disse Dom.
— Prendiamo per esempio la Bibbia. La Bibbia fu scritta in ebraico, lingua in cui, come nella maggior parte delle lingue antiche, una parola può avere molti significati. Perciò, a seconda del traduttore della Bibbia, così come di qualsiasi altro scritto antico, si possono avere innumerevoli versioni. Per esempio, poco tempo dopo che Velikovsky aveva elaborato la sua teoria, un tedesco si servì delle stesse fonti per dimostrare che la Terra era stata visitata da spaziali provenienti da un altro pianeta. Insomma, uno negli antichi scritti può vederci tutto quello che vuole. Però Velikovsky aveva un lieve vantaggio, dal punto di vista della plausibilità. Previde per esempio che la temperatura di Venere fosse molto elevata, più elevata di quanto pensassero gli scienziati.
— Questa temperatura elevata di Venere non gioca un ruolo importante nella teoria di Velikovsky?
— Velikovsky sosteneva che Venere fosse stato scagliato dal pianeta Giove in un’orbita eccentrica che per poco non lo portò alla collisione sia con Marte sia con la Terra — disse Dom.
— E questo sarebbe successo all’epoca dell’Esodo e ancora all’epoca di Giosuè, nella Bibbia — disse Marrow.
— Ma la teoria di Velikovsky non spiegava tutti i fenomeni conosciuti — disse Dom — per cui fu considerata assurda e sconclusionata. E fu del tutto dimenticata.
— Ma non da J.J. Barnes — disse Marrow.
— Già — disse Dom. — Secondo Velikovsky, le nubi carbonigene strappate a Giove dal pianeta Venere avrebbero fatto precipitare carboidrati sulla Terra nel momento della quasi-collisione. Un matto si è ricordato di ciò che aveva detto un altro matto, e noi siamo andati su Giove per scoprire che effettivamente la sua atmosfera era… tutta latte e miele.
— In questo momento — disse Marrow — un carico di nubi carbonigene proveniente da Giove viene pompato in una camera immensa, sulla Luna. Lì, i carboidrati vengono fatti precipitare e trasformati in pani dolci, i pani dolci che voi e io mangeremo nell’immediato futuro.
— Bene — disse Dom — così è. — Spense la televisione.
— È un ometto insopportabile — disse Doris.
— Non mi va di parlare di lui — disse Dom.
— Vuoi ripassarti un po’ di storia per prepararti all’esame di elettore?
— No, non ora.
— Stai pensando a qualcosa.
— A te — disse lui. — E a Velikovsky.
— Bene per il primo pensiero — disse lei maliziosamente.
— Secondo te, aveva ragione Velikovsky?
— Be’, riguardo alle proprietà dell’atmosfera di Giove sì, non ti pare?
— Che abbia indovinato per caso?
— Non so. Certo, non ha spiegato tutto — disse Doris. — Stai pensando ai mammut congelati, vero?
— Velikovsky è stato l’unico a elaborare un’ipotesi convincente su di essi.
— Forse è bene che non si possa spiegare tutto — disse Doris,. — Così abbiamo ancora qualcosa di cui preoccuparci e qualcosa da imparare a poco a poco, così non ci tocca stare a gingillarci tutto il tempo pensando a quello cui pensi tu.
Dom sorrise. — Vedrò di trovare il tempo di imparare a poco a poco — disse. Si alzò e guardò fuori dalla finestra. — Marte un tempo era un pianeta vivo. Il Sole potrà anche essere stato più caldo in passato, però il pianeta era certamente più umido. Un cambiamento dell’orbita spiegherebbe perché si inaridì, e Velikovsky ha detto che Marte ebbe dei guai con Venere prima di assestarsi in un’orbita stabile. Velikovsky studiò i cambiamenti nei calendari terrestri e fece alcune interessanti osservazioni. Popoli che avevano una matematica altamente sviluppata sembravano fare errori molto sciocchi riguardo alla lunghezza del giorno, e in seguito cambiarono il loro calendario. Non è strano questo? E non è strano che tutti i popoli primitivi avessero paura delle comete?
— Dove vuoi arrivare?
— A prevedere le orbite di Plutone e di Nettuno.
— Sì, capisco cosa vuoi dire — disse Doris. — C’è un punto in cui Plutone entra nell’orbita di Nettuno.
— Ci sarà mai una collisione? Plutone è un pianeta piccolo. Se venisse sbalzato via dalla sua orbita e attraversasse le orbite dei pianeti interni, cosa succederebbe?
— Plutone e Nettuno non sono sullo stesso piano, ma credo che valga la pena lo stesso di tenerli d’occhio. Farò un po’ di calcoli. E con questo per il momento abbiamo sistemato la parte Velikovsky. Che cosa ne diresti di sistemare la parte Doris, adesso?
— Voglio fare delle ricerche — disse Dom. — Puoi farmi avere tutte le osservazioni sui pianeti esterni? Voglio calcolare quanto costerebbe portare una delle nuove navi di esplorazione con motore nucleare là al momento della prossima congiunzione. Sono convinto che questa avverrà senz’altro entro i prossimi tre anni.
— È già da un po’ che ci stai meditando, vero? — disse lei.
— Pensi che noi due da soli ce la faremmo a pilotare una delle nuove navi di esplorazione Explorer?
— Una seconda luna di miele su Plutone — disse Doris. — Sono senza parole. E non hai magari qualche lavoro in cui potrei aiutarti, ehm, subito?
Doris lo guardò negli occhi. Indossava dei pantaloncini corti e un top. I suoi fianchi torniti e molto femminili ricordarono a Dom che aveva effettivamente un programma immediato di… lavoro, per lei.
Plutone avrebbe dovuto aspettare.