INTERLUDIO Novus Ordo

11

Il cardinale Simon Palestrina, della Congregazione Vaticana per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, e ora de facto legato pontificio alla Corte del Novus Ordo, si chiuse il mantello per ripararsi dal vento ottobrino e guardò con aria torva la costa del Nuovo Mondo che si avvicinava.

La desolazione della costa si rispecchiava nel viso del cardinale. La severità della sua espressione, assieme al pallore delle sue guance, gli avevano fatto guadagnare una reputazione di studioso ostinato, quasi gesuitico. In realtà era un frate manicheo, e la sua espressione dipendeva più che altro dai periodici attacchi di gastrite che avevano segnato la sua entrata nella mezza eta. Naturalmente i suoi amici se ne rendevano conto… ma il cardinale Palestrina aveva pochissimi amici. Soffre meglio, pensava lui, chi soffre solo.

Per motivi simili aveva tenuto per sé i propri piani nel corso del lungo viaggio transatlantico. In un mondo sano, avrebbe viaggiato con un dirigibile. I mezzi aerei erano migliorati moltissimo dai giorni delle Tragedie Teutoniche. Ma la Curia aveva un bilancio vergognosamente basso, persino alla luce degli eventi del Mediterraneo. Conservatorismo vaticano, pensò Palestrina con tristezza; paura di potenziali alleati… forse avrebbero perso la guerra proprio per quel motivo.

Aggrappato alla balaustra, si purificò con una visione delle orde islamiche che invadevano l’Europa civilizzata. Un muezzim che cantava dal campanile della basilica di Orvieto, gli ulemi che tagliuzzavano le membra degli onesti cristiani. Ed eccomi qui, pensò, bloccato da un mese su questa catramosa Madonna di Avignone.

Non era neanche una barca nuova. Il sartiame era logoro, e le vele erano in canapa ricucita e rammendata mille volte. Il motore a olio-carbone, giù sottocoperta, dava più l’impressione di inquinare l’ambiente circostante che di far procedere velocemente l’imbarcazione. La prima settimana di viaggio dopo la partenza da Genova, il cardinale Palestrina l’aveva passata in una condizione di inesorabile e continua nausea. Ma tornerò a casa, pensava, e ci saranno i musulmani impazziti nella basilica di San Pietro. E io cercherò Frate Osvaldo, del Sub-comitato Fondi, in qualunque prigione o cella in cui l’abbiano messo, e gli dirò: Te l’avevo detto!

Il cardinale si gustò la sua fantasia mentre la Madonna di Avignone entrava nel porto ventoso di Philadelphia.

La città sembrava rispecchiare esattamente tutto ciò che Palestrina pensava degli americani. Il porto puzzava. Puzzava di pesce marcio e di palude. Ogni estate in quel miasma nasceva la febbre gialla, che poi devastava la città. I moli erano vecchi,coperti degli escrementi secchi dei gabbiani. Le torri distanti della città si innalzavano nere ed enormi, come monumenti sudici della supremazia industriale del Novus Ordo; il Nuovo Ordine degli americani. Tanto disperatamente si erano dati da fare per emulare le decadenti valli del Reno e del Rodano, tanto completamente vi erano riusciti.

Mentre lasciava che gli altri passeggeri gli si affollassero davanti per scendere sul molo, il cardinale sentì una fitta di nostalgia per Roma. Una città vecchio stile, certamente; più vecchia di diversi fieri millenni di qualsiasi cosa avessero mai costruito gli americani. Pensò ai Giardini Vaticani, alle Mura Leonine; pensò agli spazzini che attraversavano il Giardino della Pigna come un esercito, lasciando l’acciottolato umido e splendente alla luce del mattino…

Una meraviglia. Almeno quando il vento non veniva dal Tevere.

Ma questa, si disse, non era autentica nostalgia. Era solo per via della sua riluttanza. Il lavoro che doveva svolgere non lo attraeva affatto. Lui era uno studioso, non un inquisitore. Si trovava veramente a suo agio solo in compagnia dei libri. Aveva scritto un’agiografia di Sant’Eustachio che la Curia Romana aveva dichiarato “senza macchia”, e quindi era stato considerato affidabile, brillante, ma soprattutto incorruttibile, e di conseguenza adatto a portare avanti un atto di delicata diplomazia ecclesiastica. Forse, più importante ancora, il suo inglese era molto buono. Ma le questioni che si ponevano erano questioni di mezzi e di fini, di eresia e di potere, di guerra e di pace… e soprattutto, pensò, di bene e di male. E i poteri degli inferi erano spaventosamente attivi in quel periodo.

Il pensiero lo turbò. Avvertì uno spasmo nel ventre.

Con un sospiro, il cardinale Palestrina scese nel Nuovo Mondo, con un fazzoletto premuto sul naso.

Sul molo lo attendeva un uomo di nome Carl Neumann, al volante di un’automobile.

L’automobile era decisamente notevole. Le Guerre Islamiche avevano interrotto il commercio di petrolio nel Golfo Persico, e la benzina aveva raggiunto costi proibitivi. Gli americani (Palestrina usava privatamente quel termine arcaico) naturalmente possedevano i loro giacimenti. E spesso le loro infinite crisi di frontiera con gli aztechi dipendevano da questioni di diritti minerari. Tuttavia, anche lì, un’automobile era una rara indulgenza.

Specialmente un’automobile come quella; larga e bassa, esageratamente pesante; una specie di barca terrestre. Palestrina, che pur non volendolo ne era rimasto piuttosto colpito, infilò le sue due valigette nere nel capace portabagagli, e prese posto sul sedile accanto a Neumann. L’odore della tappezzeria interna era opprimente.

— Siamo felici che abbiate potuto intraprendere questo viaggio, Vostra Eminenza — disse Neumann.

Palestrina capì subito che Neumann era uno di quei funzionari governativi che si sarebbe rivolto a lui parlando sempre al plurale. Neumann indossava un completo blu di sartoria, una stretta cravatta nera, e una fedora. Si strinsero la mano, e Neumann accese il motore. Mentre si facevano strada verso sud, in mezzo a un ammasso di carri e carrozze trainati da cavalli, Neumann fissava periodicamente la veste nera del cardinale. Palestrina immaginò che si trattasse del Lascito Waldesiano del quale lo avevano avvertito in Segretariato; un misto fra curiosità e sdegno. Era fastidioso, ma a modo suo, utile. L’avrebbe tenuto in guardia. Gli avrebbe ricordato che era entrato in un paese straniero.

Anche se era difficile che se ne dimenticasse. Nel giro di un’ora riuscirono a conquistare una strada asfaltata che conduceva verso sud, e la foresta iniziò a chiudere entrambi i lati della strada. La Grande Foresta del Nuovo Mondo, pensò Palestrina. Era un luogo leggendario, dove una volta vivevano i selvaggi. L’automobile proseguì la sua corsa lungo muri infiniti di alberi. Le nuvole si aprirono per mostrare un tramonto vistoso. La notte cadde subito dopo. Improvvisamente le ombre dietro l’automobile si fecero molto spesse, e Palestrina pensò ai folletti dei boschi, agli spiriti dei primordi. Ma quello erano paure esclusivamente europee; l’aveva letto da qualche parte. Nel Nuovo Mondo i pericoli erano esclusivamente materiali.

Neumann ruppe il silenzio. — Io sarò il vostro tramite per tutta la durata della vostra permanenza qui, Vostra Eminenza. Ho paura che dovrete abituarvi alla mia presenza.

Sorrise. Palestrina non fece altrettanto.

Neumann continuò: — Non posso fare a meno di riflettere sul vostro nome. Siete forse parente del, uh, famoso Palestrina?

— Intende quel Palestrina che ha scritto la Messa di Marcello?

— Esatto.

— È uno storico, signor Neumann?

— Un amante della musica — disse l’altro con modestia. — Colleziono dischi. Fu la Missa Papae Marcelli che decise la questione musicale nella liturgia, vero? Un pezzo magnifico. Commovente.

Il cardinale Palestrina disapprovava le registrazioni secolari della musica liturgica. Sebbene egli stesso possedesse una registrazione. Si trattava del Jubilate Deo di Giovanelli, su un disco laccato spagnolo; un suo amore segreto. Usava ascoltarlo sul suo piccolo Victrola elettrico. — No — disse innanzitutto. — Non c’è nessuna relazione.

Neumann sembrò deluso.

— Sono veramente molto stanco — disse Palestrina. — Se non le dispiacesse dirmi dove mi sta portando…

— Mi dispiace, Vostra Eminenza. Davo per scontato che vi avessero informato. Saremo a Washington per mezzanotte. C’è una camera d’albergo che vi attende, e io sarò la vostra guida, il vostro contatto, o quello che desiderate. Poi, naturalmente, vi aspetta una visita alla sede dell’Istituto di Ricerca per la Difesa. Vi sono delle persone che dovrete incontrare…

— Dobbiamo viaggiare ancora per cinque ore?

— Ho paura di sì, Vostra Eminenza.

Che Dio mi aiuti. — E poi, a Washington, potrò vederlo?

— Vedere chi, Vostra Eminenza?

— Questo prodigio, naturalmente. Questo mostro che avete creato. L’uomo che cammina attraverso i mondi.

Il silenzio che seguì fu breve ma intensissimo. Le gomme mordevano l’asfalto. I fari giocavano fra grotte profonde di bosco autunnale.

— Immagino di sì, Vostra Eminenza — disse Neumann.

Per il Cardinale Palestrina, gli incontri personali con il Male erano stati molto limitati.

Tuttavia, aveva un grande rispetto per il Male. In quell’ultimo secolo, il Male era stato un po’ come quello che gli americani chiamavano un titolo in ascesa. Nessuno sembrava esserne esente. Persino la Chiesa (si permise un pensiero pacatamente blasfemo) persino la Chiesa aveva commesso degli atti che si potevano considerare eccessivi. L’Inquisizione Teutonica, ad esempio, con la sua oppressione degli ebrei e dei polacchi, una dottrina brandita per fini politici, mentre Roma stessa rimaneva muta…

Ma questa era storia. La storia era ricolma di oppressione. La cosa più importante era che ultimamente il Cristianesimo stesso sembrava in pericolo. L’Islam aveva attecchito come fuoco nell’Africa del nord, fomentando la rivoluzione contro i francesi, gli olandesi e i britannici; anche i russi stavano combattendo contro i musulmani ribelli sui loro confini meridionali. Le razze orientali avevano sfrattato le forze militari del Novus Ordo dai loro avamposti nel Pacifico, e avevano messo al bando il commercio con l’Occidente. Piccole guerre scoppiavano ovunque, e conflitti più estesi sembravano inevitabili.

Tutti i presagi erano infausti. Il giorno della Domenica delle Palme del 1982, l’immagine del Principe delle Tenebre era apparsa in una nuvola di triclorofenolo sopra San Pietro in Vincoli; centinaia di persone erano finite all’ospedale. Quell’ultimo Natale, una pioggia di colombi era caduta su Palazzo Venezia. La Sicilia aveva quasi ceduto alla flotta turca; il Mediterraneo era in pericolo; i soldati erano stati chiamati a raccolta in tutta l’Italia e la Spagna. La situazione era disperata. Altrimenti, perché sarebbe stato mandato lì, per rinsaldare il dubbioso legame con gli americani, nella speranza che potessero aver effettivamente prodotto un’arma segreta?

Perché, pensò Palestrina, con tutto il loro ingenuo protestantesimo e la loro incorreggibile superstizione, sono più simili a noi che agli arabi. Salvandorum paucitas, damnadorum multitudo. Non c’era neanche bisogno di dirlo. E inoltre, la politica è una strana compagna di letto.

Dormì un poco nell’automobile. Quando ne uscì, sotto la terribile luce artificiale del vestibolo dell’albergo, si ritrovò dolorante. La schiena gli bruciava. Neumann, al contrario, era più fresco che mai. Sorrise a Palestrina attraverso il finestrino dell’automobile come il quadro incorniciato di un Arlecchino particolarmente insolente. — Posso mostrarvi la vostra stanza?

— La troverò da solo.

— Passerò domani a prendervi. Immagino che abbiate bisogno di riposare.

— Grazie — rispose seccamente il cardinale.

L’albergo, che si chiamava Waterwheel, o Waterfall, o una simile frivolezza, dava sul Potomac. Era costruito in quello stile gotico che era stato così popolare mezzo secolo prima, un labirinto di cortili e di finte guglie. Si fece dare la chiave, salì fino al quindicesimo piano con un ascensore traballante, aprì la porta di una camera piena di aria stantia, e crollò sul letto. Dormì senza cambiarsi.

Si svegliò nelle ore buie che precedono l’alba. Aveva dormito profondamente, ma troppo poco, e si sentiva più esausto che mai, morto nello spirito. Offrì una preghiera silenziosa e si lavò la faccia in un echeggiante bagno piastrellato.

Provando un certo senso di claustrofobia, aprì le tende. Oltre lo spacco nero del Potomac poteva vedere quella città americana che espirava fiamme dalle sue fonderie notturne, buie e sporche. Prese una sedia, e si sedette sorseggiando un bicchiere di acqua del lavandino. Il bicchiere era avvolto nella carta; una novità. Tante cose nuove… in quel momento, gli venne in mente che era vecchio… per la prima volta nella sua vita, si sentì vecchio. Come per sottolineare quel punto, il suo ventre si contrasse in uno spasmo.

Era vecchio, e non era mai stato così lontano da casa.

Così lontano da Dio.

Extra ecclesiam nulla salus.

Ma qui, pensò con dolore, io sono la Chiesa.

Diede uno sguardo alle lancette fosforescenti della sveglia. Erano le 4:20. Si sentiva accecato; spiritualmente svuotato. Appoggiò il bicchiere sul davanzale; la testa gli cadde in avanti.

Sbatté le palpebre, e improvvisamente era l’alba; la finestra era piena di luce, e Carl Neumann stava martellando alla porta.

— In realtà è un vecchio progetto — disse Neumann. — È iniziato negli anni quaranta. Facevamo parecchia ricerca allora; i talenti li avevamo, quasi tutti rifugiati.

Attraversarono la città di Washington dirigendosi verso l’Istituto di Ricerca per la Difesa. Il traffico era leggero, e soprattutto equino. La giornata era fresca e ventosa, e il cardinale credette di sentire l’odore di neve nell’aria. L’inverno precedente, un temporale imprevisto aveva colpito Roma, e il ghiaccio aveva rotto le linee idroelettriche. Il gelo bagnato e penetrante aveva invaso il suo ufficio al Vaticano, e si era infiltrato nella sua memoria. Ora la stessa aria sgradevole si riversava dalle griglie di ventilazione dell’automobile, facendogli dolere terribilmente le ginocchia.

— Eretici — disse.

Neumann apparve perplesso. — Cosa?

— Eretici, non rifugiati.

— Forse entrambi, Vostra Eminenza. In ogni caso, uomini utili. Abbiamo avuto Einstein e Heisenberg, che scappavano dall’Inquisizione, e abbiamo avuto russi come Lysenko. Abbiamo avuto Dirak e Plank. E abbiamo sostenuto il loro lavoro. Da qui sono scaturite delle idee molto interessanti.

Palestrina aveva letto libri di filosofia profana; conosceva le loro idee. — Sono stati giudicati eretici per un motivo, signor Neumann.

— Tuttavia le nozioni fondamentali non sono così eretiche… Ma mi rendo conto che sto sconfinando in un campo pericoloso — il suo sorriso era fisso — ma la dualità della natura, le forze creative della luce e delle tenebre, queste sono cose che il vostro ordine riconosce, o mi sbaglio?

— Per favore, non mi faccia lezioni di teologia. — L’espressione di Neumann si incupì, e Palestrina continuò, con tono più calmo. — Noi riconosciamo anche un ordine morale.

— Ma non è nuova… l’idea di guardare la natura obiettivamente.

— Direi di no. Cartesio venne impiccato per questo.

— Eppure è utile.

— È questo che conta?

Neumann scrollò le spalle. — Io non sono in grado di giudicare.

— Dio ci fa tutti giudici, signor Neumann.

— Se lo dite voi, Vostra Eminenza.

La città era piena di bandiere. Dappertutto si vedeva la bandiera del Novus Ordo, la piramide nera con un occhio al centro, su uno sfondo di strisce bianche e rosse. Fra le bandiere e l’allegra amoralità di Neumann, Palestrina iniziò a capire l’orrore che serbavano nell’animo gli europei nei confronti degli americani; gli americani non avevano paura di nulla. La prole bastarda dell’Europa; una nazione di Waldesiani, Calvinisti, Massoni e anche peggio. Un caos di credenze perverse, che avevano la temerarietà di chiamare “libertà di culto e religione”. Forse c’era veramente un’arma segreta. Tutto era possibile in un ambiente simile. Forse le voci erano veritiere.

— Noi abbiamo dato una mano a questa gente — disse Neumann. — Abbiamo dato loro gli strumenti di cui avevano bisogno. Naturalmente ci sono state molte critiche per quel che riguardava alcuni settori. Intendo cose come la magia cabalistica, il traffico con gli elementi, o l’alchimia. E la segretezza era una piaga; si combattevano fra loro. Ma erano uomini brillanti, e condividevano questo bisogno di capire certe cose; stelle e atomi, e il plenum stesso.

— Teoria — disse Palestrina, sperando di potersela cavare così.

— Hanno detto — continuò allegramente Neumann — che non esisteva un solo plenum, ma diversi… mondi dentro i mondi, se riesce ad afferrare un concetto simile, tutti divisi da unità di probabilità, che Plank ha chiamato quanta. La teoria diceva anche che il cervello umano ha il potere di penetrare quelle barriere.

Il cardinale Palestrina voleva dire che erano sciocchezze, chimere, un tranello e una delusione. Ma naturalmente non si trattava di una sciocchezza, altrimenti lui non si sarebbe trovato lì… o Neumann non gli avrebbe detto quelle cose. La Curia aveva una conoscenza segreta del così detto Progetto Plenum; Palestrina capiva che Neumann stava comportandosi in maniera più o meno aperta con lui.

— Io ho ammirato quegli uomini — disse Neumann. — Erano instancabili, e seri. Lavoravano ad un livello molto alto. E badate bene, non davano particolare attenzione alle applicazioni pratiche. Un esercito, ad esempio, o anche un solo uomo, un assassino, che poteva più o meno attraversare le pareti, o qualsiasi altra barriera… furono sorpresi che qualcuno potesse essere interessato a una simile applicazione. Alcuni di loro si spaventavano quando lanciavamo incantesimi di ricerca, o quando sequestravamo civili che davano segni di latenza. Be’, in effetti esiste una questione morale, e io sono il primo ad ammetterlo. Ma si tratta di misure d’emergenza per tempi duri. Non si può fare una frittata senza rompere le uova, vero, Vostra Eminenza?

Palestrina si sentiva male.

— L’istituto è qui dietro l’angolo — disse Neumann.

Ormai erano nel cuore del quartiere governativo; grandi strutture di pietra che si affollavano sulle vie acciottolate, un canyon di architravi impolverati decorati con scene didattiche delle Virtù, del Capitale e del Lavoro che camminavano mano nella mano verso il futuro. Le fabbriche sul Potomac fornivano un drappo di fumo oleoso di carbone; in una giornata brutta, gli disse Neumann, non si riusciva a distinguere il mezzogiorno dalla mezzanotte.

Ma l’Istituto di Ricerca per la Difesa era la costruzione più terrificante di tutte. La sua sola vista faceva apparire la giornata più fredda. Non aveva proprio niente a che vedere con la spiritualità del Vaticano, con la sua architettura proiettata verso Dio; non c’era niente che ispirasse alla preghiera in quei bastioni di pietra nera, o in quel cancello con le punte d’acciaio che si alzava automaticamente mentre l’automobile si avvicinava. Attraversarono un arco di colonne sulla cui sommità annerita era stato inciso il simbolo dell’occhio e della piramide, e la temperatura sembrò scendere di dieci gradi.

Il palazzo era immenso, simile a una prigione. Aveva la sua centrale elettrica e il suo commissariato, spiegò Neumann, nonché negozi e lavanderia. Passarono attraverso un secondo porticato di pietra, e Neumann si fece identificare da una guardia. La guardia estrasse un tesserino di plastica che Palestrina doveva mettere sulla sua veste. C’era scritto il suo nome. — Avremo bisogno di una vostra fotografia — disse Neumann — ma per il momento va bene anche questo.

Palestrina odiò quel tesserino. Odiava il solo fatto di essere associato a quel luogo. Gli edifici interni erano molto alti, incombenti, e alcune finestre erano sbarrate. Immaginò di poter sentire le urla della gente che l’istituto aveva, per usare l’orribile eufemismo di Neumann, “sequestrato”. Ma tutto questo certamente sarà cosa del passato, pensò; o no?

— Abbiamo avuto dei problemi negli anni quaranta — ammise Neumann. — Investigazioni congressuali, fanatici che cercavano di farci chiudere baracca. È stato un decennio turbolento. Ora è finita, grazie a Dio, ma ha rallentato il nostro lavoro almeno di una dozzina di anni… e ha permesso alcuni degli errori dei quali forse avete sentito parlare.

— La fuga — disse Palestrina. — La gente che riuscì a fuggire.

— Non amo usare un linguaggio così inutilmente melodrammatico.

Neumann parcheggiò la macchina in uno spazio con la scritta PRIVATO-RISERVATO. Uscirono dalla macchina e fecero una corsa attraverso il cortile freddo, fino a un’enorme porta d’acciaio che Neumann aprì con una chiave. All’interno, il corridoio era illuminato dalla luce sterile di vecchi neon; le porte erano dipinte di un rosa salmone, ed erano numerate.

Neumann sembrò divertito dal disorientamento di Palestrina. — Seguitemi, Vostra Eminenza.

— Dove stiamo andando? — La riluttanza del cardinale aveva ormai preso il sopravvento, come una sorta di resistenza fisica.

— Nel mio ufficio — disse Neumann. — A meno che non desideriate fare subito il gran giro dimostrativo.

— Vorrei parlare con qualcuno. Qualcuno di un certo grado… qualcuno che è a capo di tutto questo.

Quel sorriso…

— L’avete davanti — disse Neumann.

Neumann disse che lavorava con l’istituto da trent’anni, e che la sua fortuna saliva e scendeva assieme al Progetto Plenum, che coordinava di persona da circa cinque anni. — Non sono uno scienziato, badate bene. Ma per quanto riguarda le operazioni, la programmazione degli scopi e l’amministrazione, posso dire di avere quasi carta bianca.

L’ufficio di Neumann era freddo, pietroso e spoglio. — Voglio vedere questo essere che avete creato.

— Lo fate sembrare uno dei nostri omuncoli.

— Vi sono alcuni omuncoli che lavorano come servi alla Libreria Vaticana, signor Neumann, e le assicuro che non ne parlerei con lo steso tono.

Infine, e il cardinale Palestrina lo considerò come una specie di trionfo personale, il sorriso di Neumann svanì. — Mi dispiace che voi affrontiate la questione con un atteggiamento così negativo — disse.

— Non intendevo insultare il suo lavoro…

— Perché dovete sapere che le implicazioni sono tremende. Persino la Curia se n’è resa conto. Francamente, a me pare che il fatto che il Dipartimento di Stato vi abbia invitato sia da considerarsi un atto di estrema generosità. Normalmente noi non mostriamo questo genere di materiale neanche ai nostri alleati.

Palestrina chinò il capo. — La posta è considerevole.

— I rifornimenti petroliferi — disse Neumann.

— Io stavo pensando alla sopravvivenza del Cristianesimo.

Il sorriso di Neumann ebbe un leggero tremolio. — Anche quello.

— Mi mostri quest’uomo — disse Palestrina.

— Non è forse un po’ prematura come mossa?

— Conosco la storia di questo luogo. Devo veramente ammirarne anche l’architettura? — Si protese in avanti. — Il Vaticano riconosce la generosità della sua nazione. Ciò nonostante, permane una questione morale. Ed è per questo che io mi trovo qui.

— Una questione morale — ripeté Neumann con tono piatto.

— Mezzi e fini.

— Non capisco.

La cosa non sorprese il cardinale. — Si trova qui?

— Sì, è nell’edificio, ma…

— Allora voglio essere condotto da lui, per cortesia.

Neumann esitò. Scocciato, pensò Palestrina, perché lo stava costringendo a cambiare i suoi programmi. Infine, scrollò le spalle. — In fondo, non c’è niente da perdere.

La stanza era una specie di cella di pietra grigia. Neumann acconsentì ad aspettare fuori.

Palestrina capiva che, in un certo senso, era alla mercè di Neumann. Non riusciva a orientarsi in quell’edificio, e non sarebbe mai riuscito a trovare l’uscita. L’Istituto di Ricerca per la Difesa era letteralmente un labirinto, con corridoi che giravano su se stessi o si dividevano davanti a pareti spoglie di pietra. Il palazzo non ospitava solo il Progetto Plenum di Neumann, ma anche un’altra dozzina di progetti segretissimi; guerra biochimica, incantesimi di invisibilità, commercio di morte. Ogni singolo livello della gerarchia burocratica possedeva la sua mappa frammentaria del palazzo. Neumann gli aveva detto che, secondo alcune voci, non esisteva nessuna mappa completa; nessun architetto aveva mai contemplato il progetto per intero, e nessun uomo vivente comprendeva il palazzo nella sua interezza. Per la sua bizzarria, Neumann riferì queste voci come una leggenda, ma per il cardinale Palestrina era persino troppo facile crederci.

Entrò nella stanza grigia attraverso una delle due porte, e si sedette su una delle due seggiole. Subito dopo, l’uomo con il quale era venuto a parlare entrò.

È solo un uomo, pensò Palestrina.

L’uomo si sedette davanti a lui in silenzio, e unì le mani in grembo.

Sembrava proprio un tipo normale. Anziano e trasandato, con un vestito grigio sciupato e un cappello dalla tesa piegata. A Roma, pensò Palestrina, sarebbe stato uno come tanti altri. Lo avrebbero preso per un borghese di poco successo, un negoziante di alcolici, o un impiegato in pensione della cavernosa burocrazia dei Tribunali. Cercando indizi di mala fede, il cardinale non notò niente, tranne la grande mobilità degli occhi dell’uomo. Ma faceva fatica a fissarlo negli occhi. La tentazione di spostare lo sguardo, e in un certo modo, di spostare lo sguardo da se stesso, era quasi invincibile.

— Qual è il suo nome? — gli domandò.

— Camminatore — disse l’uomo vestito di grigio.

La voce era particolare; rimbombante, ma atona.

— Camminatore…?

— Camminatore, stanatore, cacciatore, trovatore — fece un sorriso volpino. — Camminatore è il mio nome di famiglia.

— Ha conosciuto i suoi genitori? — chiese Palestrina.

— No, signore. Io sono cresciuto qui.

Allora era vero, pensò Palestrina, ciò che gli avevano detto al Segretariato e ciò che aveva voluto sottintendere Neumann. In quell’edificio avevano creato uomini e donne, come bestiame. Interventi chirurgici; ovuli femminili tolti dal tessuto vivo e fertilizzati in vitro. Clonazioni praticate in laboratori sterili con l’ausilio di incantesimi di fertilità. Il solo pensiero lo faceva stare male.

— Ma io so chi siete voi… — aggiunse Camminatore. Voi siete il papista.

— Mi chiamano così?

— Nessuno parla molto con me. Ma a volte sento che dicono delle cose.

— E allora capisce perché io mi trovo qua?

— Ha qualcosa a che fare con la guerra.

— Ha qualcosa a che fare, spero profondamente, con la pace.

Camminatore scrollò le spalle, come per dire: per me è lo stesso. — Voi siete un giudice — disse.

— Sì, in un certo senso. E sa che cosa devo giudicare?

— Me — disse l’altro. Il suo sorriso persisteva, infantile in una maniera orribile.

— La sua utilità — corresse il porporato. — Se è in grado di aiutarci. Se quello che sta facendo ci può aiutare, in Europa.

— Quello che sono buono a fare — interpretò l’uomo.

No, pensò Palestrina; non devo stabilire quello che sei buono a fare, devo stabilire se sei buono. O peggio ancora: se sei un acquisto che il nostro bilancio morale si può permettere.

Ma invece disse: — In un certo senso.

— Oh, io non sono buono a fare molte cose; mi hanno fatto così — si toccò la testa. — Ma so fare alcuni giochetti.

— Mi racconti.

— Incantesimi. Di ricerca e di cattura. È un lavoro molto laborioso, ma sono abbastanza bravo. E poi so fare quell’altra cosa. Penso che sappiate già di che si tratta.

— Viaggiare attraverso i mondi — disse il cardinale. Ancora stentava a crederci. Eppure lì, in quella stanza, in quel palazzo…

— Attraverso il plenum — disse Camminatore. — Sì.

— E lo potrebbe fare anche adesso… se lo desiderasse?

— Sì.

— Potrebbe andare… — Palestrina alzò entrambe le mani, con le palme rivolte verso l’alto — ovunque?

— Solo in certi luoghi — rispose Camminatore.

— Quali luoghi?

— Dove sono stati loro.

Il cuore della faccenda.

— Mi è sembrato di capire — disse l’ecclesiastico — che foste una famiglia.

— Tanto tempo fa — disse Camminatore, e un’ombra sembrò attraversargli il viso; non tanto un’emozione, pensò Palestrina, quanto l’ombra di un’emozione.

— Le piacerebbe parlarne? — domandò.

— Mi hanno detto di rispondere alle vostre domande.

— E lei deve fare per forza ciò che le dicono?

— Sì.

— Allora mi racconti — disse il cardinale Palestrina.

Camminatore chiuse gli occhi, e sembrò che potesse guardare direttamente il ricordo.

— Eravamo in tre — disse. — Eravamo i migliori che potessero creare. Avevamo il talento. Molto forte. Così, ci chiusero dentro, naturalmente… ci ingabbiarono con magie e incantesimi. E per un certo periodo funzionò.

Intrecciò le mani in grembo. Palestrina non poté fare a meno di fissare le dita che si intrecciavano per poi liberarsi; dita vecchie e ossute.

— Ci diedero un nome a testa. Camminatore, Julia e William. Venivamo tutti da genitori diversi, o forse da nessun genitore, ma noi ci consideravamo fratelli e sorella. William era il maggiore, e io lo ammiravo un sacco. Sorprendeva sempre i dottori e le infermiere, facendo cose che non credevano fosse in grado di fare. Io penso che William si portasse in giro il plenum stesso dentro di sé; lui era così grande, così potente… Era come un dio.

Gli occhi di Camminatore scintillarono al ricordo di una vecchia sensazione. Il cardinale Palestrina rimase in silenzio.

— Julia era molto bella. Se devo dirle la verità, padre, io mi trovavo un po’ perso fra loro due. William era grande e potente. Julia era bellissima e furba. E io, io ero solo Camminatore. Il semplice Camminatore. Oh, certo, anch’io sapevo fare i trucchi. Ma non come loro. Ma non importava; avevamo noi stessi.

— Finché loro non se ne andarono — disse Palestrina con tono pacato.

L’espressione di Camminatore s’indurì. — A volte ne parlavano. Io la consideravo una cosa negativa. Un errore. Non poteva scaturirne niente di buono. Ma loro avevano compreso anche me. Io l’apprezzai molto. “Non ci possono tenere” diceva sempre William. “Neanche con tutti i loro incantesimi ci possono trattenere qui.” E alla fin fine, sapete, aveva ragione.

— Ma lei rimase indietro — insistette il cardinale.

— Io non potevo andare! O non volevo andare. O non ero abbastanza forte per andare…

— Non se lo ricorda?

— Mi ricordo di loro che mi pregavano. Eravamo già cresciuti, allora, e sapevo che William e Julia si volevano bene, e che volevano bene anche a me, ma in un modo diverso. Mi amavano di meno. Così, abbattemmo gli incantesimi e stavamo per andarcene dove nessuno ci poteva trovare, a mondi e mondi di distanza. Ma io non volevo, o non potevo, e infine dissi loro di andare finché erano ancora in tempo, di andare e di lasciami qui… e loro lo fecero…

— La lasciarono?

— Sì.

— E le dispiacque?

— Non ricordo.

— Come mai non ricorda?

— Perché fui preso dai funzionari. Mi presero e mi portarono dai chirurghi — fissò Palestrina con il capo chinato da un lato, con un’espressione che era maliziosa e patetica allo stesso tempo. — Mi hanno operato — disse.

Il cardinale provò un attimo di orrore. — Operato…?

Camminatore si tolse il vecchio cappello grigio.

Anche a distanza di tanti anni, la cicatrice era ben visibile. Formava un cerchio irregolare che partiva dall’orecchio sinistro per passare sopra l’orbita dell’occhio e poi scomparire sotto i capelli. Camminatore ne seguì la traccia con il dito. — Mi hanno aperto il cranio — disse. — E ci hanno tirato fuori delle cose.

Delle cose — sussurrò Palestrina.

— Odio e amore. Interesse e disinteresse.

— E hanno lasciato…?

— Obbedienza. Lealtà. Loro la chiamano lealtà.

— Mio Dio… e lei non li odia per questo?

Imprevedibilmente, Camminatore sorrise. — Non credo di poterlo fare.

No, pensò il cardinale. No, questo è troppo; troppa crudeltà, troppa efferatezza. Ricordava un genere di tortura che i Tribunali non praticavano più da secoli.

Avevano cauterizzato una parte dell’anima di quell’uomo, pensò… e fino a che punto è possibile assassinare la coscienza di un uomo, o violentarla, senza che quell’uomo divenga, essenzialmente, un morto?

Quindi, forse stava parlando con un uomo morto.

Il pensiero lo fece rabbrividire, e lo mise a disagio.

— Lei li ha seguiti — disse Palestrina. — È per questo che è stato addestrato.

— Li ho seguiti per anni. — Ancora una volta, gli occhi di Camminatore si riempirono di quello sguardo distante, perso. — È un lavoro duro, sa. Ma io riesco a rintracciarli col fiuto. Lasciano delle tracce.

— Julia e William? Li ha trovati?

— Dopo un po’.

— E li ha riportati indietro?

— Uccisi.

Il porporato sbatté le palpebre.

— Era inevitabile — disse Camminatore.

La sua espressione era dolce, serena, sorridente. Quest’uomo è morto, pensò Palestrina. — Ma allora è tutto finito, no? Il suo lavoro è finito, il progetto è finito.

— C’erano dei figli — disse Camminatore.

— Capisco… e anche loro avevano questo potere?

— Ce l’hanno, e molto forte. Più forte di quanto loro stessi non sappiano.

— E ha dato loro la caccia?

— Gli sono arrivato vicino. Molto spesso! Ma non è tanto facile riportarli indietro. Queste braccia non li possono trattenere. Una gabbia non li può trattenere. È proprio questo il paradosso! È un lavoro che necessita di una vita intera. Gli incantesimi e le fatture sono le uniche armi che abbiamo. E funzionano meno bene attraverso i mondi. Ma ora stiamo per farcela. — Si avvicinò al cardinale; il suo alito era acido. — Hanno imparato tante cose in questo palazzo, da quando io ero giovane.

— Non ne dubito — disse Palestrina con voce fioca.

— E ce n’è un altro — continuò Camminatore. — Il figlio di un figlio. È un ibrido, ma il genotipo è quello vero. È per lui che abbiamo lavorato tutti questi anni. Lo riporteremo qui. Io lo riporterò. E lui può fare quello che voi tutti volete, sapete. È molto potente. Con un paio di ritocchi — Camminatore sfiorò con una mano la linea esangue della sua cicatrice — farà tutto quello che gli direte. Condurrà eserciti contro la Terra Santa, se è questo che desiderate. Chiamerà rinforzi attraverso il plenum. Eserciti che spaventerebbero un dio, armi in grado di devastare una città intera. C’è di tutto là fuori. — Camminatore mostrò nuovamente i denti. — Le garberebbe? È questo che cerca?

Questo, penso il cardinale Palestrina, ci potrebbe salvare.

Oppure dannare.

Si inumidì le labbra; un crampo gli stava attanagliando lo stomaco, ed era il meglio che poteva fare per non urlare. Prese fiato e disse: — E lei può farlo? Portarlo qui?

— Oh, sì. — Camminatore s’infilò le mani in tasca e si appoggiò allegramente allo schienale della seggiola. — Questa Volta — disse — abbiamo chi ci aiuta.

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