Non conosciamo i nomi delle donne che si trovavano nel palazzo di Graendal, disse Lews Therin. Non possiamo aggiungerli alla lista. Rand cercò di ignora re il pazzo. Si rivelò impossibile. Lews Therin seguitò.
Come possiamo continuare la lista se non conosciamo i nomi! In guerra, cercavamo le Fanciulle cadute. Le abbiamo trovate tutte! La lista è fallata! Non posso continuare! Non è la tua lista! ringhiò Rand. È la mia, Lews Therin. Mia!
No!, farfuglio il folle. Chi sei tu? È mia! lo l’ho fatta. Non posso continuare ora che sono morte. Oh, Luce! Fuoco malefico? Perche abbiamo usato il fuoco malefico? Ho promesso che non l’avrei fatto mai piu’…
Rand chiuse a forza gli occhi, tenendo strette le redini di Tai’daishar. Il cavallo da guerra scelse il proprio percorso lungo la strada; gli zoccoli percuotevano la terra battuta, uno dopo l’altro. Cosa siamo diventati?, sussurrò Lews Therin. Lo faremo di nuovo, vero? Ucciderli tutti. Tutti quelli che abbiamo amato. Ancora, ancora, ancora…
«Ancora e ancora» mormorò Rand. «Non ha importanza, sempre che il mondo sopravviva. Mi hanno maledetto in precedenza, hanno imprecato contro Montedrago e il mio nome, ma sono vissuti. Noi siamo qui, pronti a combattere. Ancora e ancora.»
«Rand?» chiese Min.
Lui apri gli occhi. Min fece avanzare la sua giumenta bruno grigiastra accanto a Tai’daishar. Rand non poteva lasciare che lei o chiunque altro lo vedesse perdere il controllo. Non dovevano sapere quanto era vicino a crollare.
Così tanti nomi che non conosciamo, sussurrò Lews Therin. Così tanti morti per mano nostra. Ed era solo l’inizio.
«Sto bene, Min» disse. «Stavo pensando.»
«Alla gente?» chiese Min. Le passerelle di legno di Bandar Eban erano piene di persone. Rand non vedeva più i colori dei loro vestiti; vedeva quanto erano laceri. Vedeva gli strappi nel tessuto eccellente, i rattoppi logori, lo sporco e le macchie. Praticamente chiunque a Bandar Eban era un profugo di qualche tipo. Lo osservavano con occhi tormentati.
Ogni volta che aveva conquistato un regno in precedenza, lo aveva lasciato meglio di quando era arrivato. Rand aveva rimosso tiranni che erano in realtà Reietti, aveva posto fine a guerre e assedi. Aveva cacciato via invasori shaido, aveva inviato cibo, aveva creato stabilità. Ogni terra che aveva distrutto, in sostanza, era stata salvata allo stesso tempo.
L’Arad Doman era diverso. Rand aveva portato cibo… ma quel cibo aveva attirato ancor più rifugiati, mettendo a dura prova i suoi rifornimenti. Non solo aveva fallito nel dar loro la pace con i Seanchan, ma si era appropriato delle loro uniche truppe e le aveva inviate a sorvegliare le Marche di Confine. I mari non erano ancora sicuri. La minuta imperatrice Seanchan non si era fidata di lui. Avrebbe continuato i suoi attacchi, forse li avrebbe raddoppiati. I Domanesi sarebbero stati travolti sotto gli zoccoli della guerra, schiacciati fra gli invasori, i Trolloc a nord e i Seanchan a sud. E Rand li stava abbandonando.
In qualche modo, la gente l’aveva capito, e per Rand era molto difficile guardarli. Quegli occhi affamati lo accusavano: perché portarci speranza e poi lasciarla inaridire, come un pozzo appena scavato durante una siccità ? Perche costringerci ad accettarti come nostro governante, solo per poi abbandonarci?
Flinn e Naeff lo avevano preceduto; lui poteva vedere le loro giubbe nere mentre sedevano in sella ai loro cavalli, osservando la processione di Rand avvicinarsi alla piazza cittadina.
Le spille luccicavano sui loro alti colletti. La fontana nella piazza zampillava ancora fra scintillanti cavalli di rame che balzavano da onde, sempre di rame. Quali di quei silenziosi Domanesi continuavano a lucidare la fontana, quando nessun re governava e metà del Consiglio dei Mercanti era disperso?
Gli Aiel di Rand non erano stati in grado di rintracciare abbastanza membri del consiglio per formare una maggioranza; Rand sospettava che Graendal ne avesse uccisi o catturati abbastanza per impedire che fosse scelto un nuovo sovrano. Se alcuni dei membri del Consiglio dei Mercanti fossero stati abbastanza graziosi, si sarebbero uniti alle file dei suoi preferiti… il che voleva dire che Rand li aveva uccisi.
Ah, disse Lews Therin. Nomi che posso aggiungere alla lista. Sì…
Bashere accostò il suo cavallo a quello di Rand, toccandosi con le nocche i baffi, con aria pensierosa. «Il tuo volere è stato compiuto» disse.
«Lady Chadmar?» chiese Rand.
«Tornata alla sua residenza» rispose Bashere. «Abbiamo fatto lo stesso con gli altri quattro membri del Consiglio dei Mercanti che gli Aiel stavano trattenendo vicino alla città.»
«Comprendono quello che devono fare?»
«Sì» disse Bashere con un sorriso. «Ma non pensare che lo faranno. Se vuoi il mio parere, nel momento in cui ce ne saremo andati, schizzeranno via dalla città come ladri in fuga da una prigione una volta che le guardie si sono allontanate.»
Rand non ebbe alcuna reazione. Aveva ordinato al Consiglio dei Mercanti di scegliere nuovi membri, poi designare un re. Ma probabilmente Bashere aveva ragione. Rand aveva già ricevuto rapporti dalle altre città lungo la costa dove aveva detto ai suoi Aiel di ritirarsi. I capi delle città stavano scomparendo, fuggendo prima del presunto assalto dei Seanchan. L’Arad Doman, come regno, era finito. Come un tavolo caricato con troppo peso, presto sarebbe crollato. Non è un mio problema, pensò Rand, senza guardare la gente. Ho fatto tutto quello che potevo.
Quello non era vero. Anche se aveva voluto aiutare i Domanesi, le vere ragioni per cui era venuto qui erano occuparsi dei Seanchan, scoprire cos’era successo al re e rintracciare Graendal. Per non parlare di mettere al sicuro quello che poteva delle Marche di Confine.
«Che notizie da Ituralde?» chiese Rand.
«Nulla di buono, temo» disse Bashere con aria cupa. «Ha avuto delle schermaglie con i Trolloc, ma lo sapevi già. La Progenie dell’Ombra si ritira sempre rapidamente, ma lui avverte che qualcosa si sta radunando. I suoi esploratori hanno scorto forze abbastanza vaste da sopraffarlo. Se i Trolloc si stanno radunando lì, è probabile che lo stiano facendo anche altrove. In particolare alla breccia.»
Dannazione a quegli uomini delle Marche di Confine!, pensò Rand. Dovrò fare qualcosa con loro. Presto.
Raggiunta la piazza, arrestò Tai’daishar e annuì a Flinn e Naeff.
Al suo segnale, ciascuno di loro aprì un ampio passaggio nella piazza cittadina. Rand aveva voluto partire direttamente dai terreni della villa di lady Chadmar, ma quello sarebbe stato scomparire come un ladro, un giorno lì e il giorno dopo svanito. Almeno voleva che la gente vedesse che se ne stava andando e che era stata lasciata a se stessa.
Le persone erano allineate lungo le passerelle, in modo molto simile a quando Rand era entrato per la prima volta in città. Se possibile, adesso erano più silenziose di allora. Donne nei loro abiti eleganti, uomini in giacche variopinte con maniche increspate al di sotto. C’erano molti senza la pelle ramata dei Domanesi. Rand aveva attirato così tanta gente in città con la promessa di cibo.
Tempo di andare. Si avvicinò a uno dei passaggi, ma una voce chiamo’: «Lord Drago!»
La voce fu facile da udire, dal momento che le folle erano così silenziose. Rand si voltò sulla sella, cercando la sorgente della voce. Un uomo snello in una rossa giacca domanese, abbottonata alla cintura, aperta in una V sul davanti, con sotto una camicia increspata. I suoi orecchini dorati scintillavano mentre si faceva strada a gomitate attraverso la folla. Gli Aiel lo intercettarono, ma Rand lo riconobbe come uno dei capitani del porto. Rand fece cenno agli Aiel di lasciare che l’uomo — il suo nome era Iralin — si avvicinasse.
Iralin si affrettò verso Tai’daishar. Era stranamente rasato per un Domanese, e i suoi occhi erano oscurati dalla mancanza di sonno.
«Mio lord Drago» disse l’uomo con voce sommessa, in piedi accanto al cavallo di Rand. «Il cibo! Si è guastato!»
«Che cibo?» chiese Rand.
«Tutto quanto» rispose l’uomo, la voce tesa. «Ogni barile, ogni sacco, ogni pezzo nei nostri magazzini e nelle navi del Popolo del Mare. Mio signore! Non è solo pieno di larve. E diventato nero e amaro, e fa ammalare gli uomini che lo mangiano!»
«Tutto quanto?» ripete Rand sbigottito.
«Tutto» disse Iralin piano. «Centinaia su centinaia di barili. È accaduto all’improvviso, in un batter d’occhio. Un momento era buono, quello successivo… Mio signore, così tante persone sono venute in città perché hanno sentito che avevamo cibo! Ora non abbiamo nulla. Cosa faremo?»
Rand chiuse gli occhi.
«Mio signore?» chiese Iralin.
Rand aprì gli occhi e spronò Tai’daishar avanti. Si lasciò alle spalle il capitano del porto, a bocca aperta, e attraversò il passaggio. Non c’era altro che Rand potesse fare. Non c’era nient’altro che avrebbe fatto. Scacciò dalla mente l’ormai prossima carestia. Fu sconcertante quanto gli risultò facile.
Bandar Eban scomparve, così come quelle persone troppo silenziose. Nel momento in cui attraversò il passaggio, la folla in attesa esplose in acclamazioni.
Era un contrasto talmente sbalorditivo che Rand fermò all’istante Tai’daishar, sbigottito.
Tear si estendeva davanti a lui. Questa era una delle grandi città , enorme ed estesa, e i passaggi si aprivano direttamente su Raduno del Convitato, una delle principali piazze cittadine. Una corta fila di Asha’man lo salutò col pugno contro il petto. Rand li aveva mandati presto in mattinata per preparare la città per il suo arrivo e sgombrare la piazza per i passaggi.
La gente continuò con le sue acclamazioni. A migliaia si erano radunati, e gli Stendardi della Luce sventolavano in cima a dozzine di aste tenute in alto dalla folla. L’adulazione colpì Rand come un’ondata di rimprovero. Non si meritava tali lodi. Non dopo quello che aveva fatto nell’Arad Doman.
Devo continuare a muovermi, pensò, spronando di nuovo Tai’daishar. Gli zoccoli del cavallo qui pestavano su pietre del selciato, invece di terra inumidita dalla pioggia. Bandar Eban era una città grande, ma Tear era qualcosa di totalmente diverso. Le strade serpeggiavano per il paesaggio, fiancheggiate da edifici che nella maggior parte delle nazioni la gente avrebbe definito ammassati, ma che per i Tarenesi erano normali. Su molti dei tetti a spiovente a lastre di ardesia c’erano dei ragazzi appollaiati, sperando di ottenere una visuale migliore del lord Drago. Le pietre dei palazzi erano di una tonalità più chiara qui rispetto a Bandar Eban, e costituivano il materiale di costruzione preferito. Forse era per via della fortezza che incombeva sopra la città. La Pietra di Tear, era chiamata. Un vestigio di un’epoca precedente, ancora impressionante.
Rand avanzò al trotto, con Min e Bashere lì vicino. Quelle folle ruggirono forte. Nelle vicinanze, due pennoni sventolarono e, inspiegabilmente, rimasero aggrovigliati. Gli uomini che li tenevano in alto, vicino alle prime file della folla, li abbassarono e cercarono di separarli, ma erano annodati stretti, in qualche maniera contorti a quel modo dal vento. Rand li superò notandoli a malapena. Aveva smesso di sorprendersi per quello che la sua natura di ta’veren poteva fare.
Rimase però sorpreso di vedere così tanti stranieri tra la folla. Quello non era così inusuale: a Tear c’erano sempre molti forestieri, dato che accoglieva coloro che commerciavano in spezie e sete dall’Est, porcellana dai mari, granaglie o tabacco dal Nord e storie da ovunque venissero racimolate. Comunque, Rand aveva notato che i forestieri — a prescindere dalla città — gli prestavano meno attenzione quando giungeva in visita. Questo valeva anche per coloro che provenivano da altre nazioni che aveva conquistato. Quando era a Cairhien, i Cairhienesi gli facevano festa… ma se era a Illian, i Cairhienesi lo evitavano. Forse alla gente non piaceva che gli venisse ricordato che il loro signore e il signore del loro nemico erano la stessa persona.
Qui, però, non aveva problemi a contare gli stranieri: il Popolo del Mare con la carnagione scura e i flosci vestiti vivaci; Murandiani, con le giacche lunghe e i baffi incerati; Illianesi barbuti con colletti voltati all’insù; Cairhienesi dal volto pallido con vestiti a strisce. C’erano anche uomini e donne che indossavano semplice lana dell’Andor. Rispetto alla gente del luogo, erano meno i forestieri che esultavano, ma erano lì, attenti.
Bashere passò in rassegna la folla.
«La gente pare sorpresa» si ritrovò a dire Rand.
«Sei stato via per un po’.» Bashere si toccò i baffi con le nocche, pensieroso. «Senza dubbio le voci sono volate più rapide delle frecce, e molti locandieri hanno raccontato storie della tua morte o della tua sparizione per incoraggiare un altro giro di bevute.»
«Luce! Mi sembra di passare metà della mia vita a mettere a tacere una voce o l’altra. Quando finirà ?»
Bashere rise. «Quando riuscirai a far cessare le dicerie stesse, smonterò dal mio cavallo e mi metterò a dorso di capra! Ah! E diventerò anche uno del Popolo del Mare.»
Rand tacque. I suoi seguaci continuarono a riversarsi attraverso i passaggi. Mentre i Saldeani entravano a Tear, tenevano le lance dritte all’insù fino all’ultimo, e i loro cavalli si impennavano. Le Aes Sedai non si sarebbero fatte vedere a pavoneggiarsi, ma sembravano davvero meno affaticate, con i loro volti senza età che scrutavano la folla in maniera sagace. E gli Aiel — i loro passi furtivi un po’ meno cauti, le espressioni meno guardinghe — parevano più a loro agio con quelle acclamazioni di quanto lo fossero stati con quei silenziosi sguardi accusatori domanesi.
Bashere e Rand si mossero da un lato, Min li seguì in silenzio. Pareva distratta. Nynaeve e Cadsuane non erano nella villa quando Rand aveva annunciato la sua partenza. Cosa potevano stare tramando? Dubitava che fossero assieme; quelle donne tolleravano appena di stare nella stessa stanza. Comunque, avrebbero sentito dov’era andato e l’avrebbero trovato. Da questo punto in poi, Rand sarebbe stato facile da localizzare. Niente più nascondersi in manieri di legno. Niente più viaggi solitari. Non con Lan e i suoi Malkierani che cavalcavano verso la breccia. Non rimaneva abbastanza tempo.
Bashere osservò i passaggi aperti, mentre gli Aiel li attraversavano a passi silenziosi. Questo metodo di trasporto stava diventando familiare per loro.
«Hai intenzione di dirlo a Ituralde?» chiese infine Bashere. «Della tua ritirata?»
«Lo verrà a sapere» disse Rand. «Ai suoi messaggeri era stato ordinato di portare rapporti a Bandar Eban. Scopriranno presto che non mi trovo più lì.»
«E se dovesse lasciare le Marche di Confine per riprendere la sua guerra contro i Seanchan?»
«Allora li rallenterà» disse Rand. «E impedirà loro di mordermi i calcagni. Sarà utile anche così.»
Bashere lo fissò.
«Cosa ti aspetti che faccia, Bashere?» chiese Rand piano. Quello sguardo era una sfida, anche se sottile, ma Rand non l’avrebbe raccolta. La sua rabbia rimase congelata.
Bashere sospirò. «Non lo so» disse. «Tutta questa situazione è complicata, e non riesco a vedere una via d’uscita, amico. Andare in guerra con i Seanchan alle nostre spalle è la posizione peggiore a cui riesco a pensare.»
«Lo so» disse Rand, facendo spaziare lo sguardo sulla città. «Tear sarà loro quando tutto questo sarà finito, e probabilmente anche Illian, Che io sia folgorato, saremo fortunati se non conquistano tutti i territori fino all’Andor mentre noi gli voltiamo le spalle.»
«Ma…»
«Dobbiamo supporre che Ituralde abbandonerà la sua postazione una volta che gli giungerà notizia del mio fallimento. Questo significa che la nostra prossima mossa deve essere verso l’esercito delle Marche di Confine. Qualunque lamentela i tuoi abbiano nei miei confronti, dev’essere sistemata in fretta. Ho poca pazienza per gli uomini che abbandonano i loro doveri.»
Non è quello che abbiamo fatto noi?, chiese Lews Therin. Chi abbiamo abbandonato ? Zitto!, ringhiò Rand. Torna alle tue lacrime, pazzo, e lasciami in pace!
Bashere si sporse all’indietro meditabondo sulla sella. Se stava pensando a Rand che aveva abbandonato i Domanesi, non disse nulla. Infine scosse il capo. «Non so quali intenzioni abbia Tenobia. Può darsi che si tratti semplicemente della sua rabbia nei miei confronti per essermene andato per seguirti; potrebbe trattarsi invece di una richiesta che tu ti sottometta alla volontà dei monarchi delle Marche di Confine. Non riesco a immaginare cosa potrebbe attirare lei e gli altri lontano dalla Macchia in un momento come questo.»
«Lo scopriremo presto» disse Rand. «Voglio che tu prenda un paio di Asha’man e scopra dove sono accampati Tenobia e gli altri. Forse scopriremo che hanno lasciato perdere questa follia e stanno tornando verso le loro terre.»
«D’accordo, allora» disse Bashere. «Fammi controllare che i miei uomini siano sistemati e partirò.»
Rand annuì bruscamente, poi voltò il suo destriero e si avviò al trotto lungo la strada. Le persone erano allineate da entrambi i lati, scortandolo avanti. L’ultima volta che aveva visitato Tear, aveva cercato di venire in incognito, per quanto gli era servito. Chiunque conoscesse i segni avrebbe saputo che lui era in città. Eventi insoliti — stendardi che si annodavano assieme, uomini che cadevano dai palazzi e atterravano illesi — erano solo l’inizio. Il suo effetto da ta’veren pareva farsi più potente, causando distorsioni sempre maggiori. E più pericolose. Durante la sua ultima visita, Tear era assediata dai ribelli, ma la città non aveva sofferto. Tear aveva troppi commerci per essere infastidita da qualcosa di così semplice come un assedio. La maggioranza della gente aveva vissuto come al solito, mostrando a stento di riconoscere i ribelli. I nobili potevano dedicarsi ai loro giochi, finche non scombussolavano la gente onesta.
Inoltre, tutti sapevano che la Pietra avrebbe tenuto, come era successo quasi sempre. Poteva essere stata resa obsoleta dal Viaggiare, ma per invasori che non avevano accesso all’Unico Potere, la Pietra era virtualmente impossibile da espugnare. Di per se era più massiccia di molte città , una mastodontica estensione di mura, torri e pure fortificazioni senza una singola giuntura nella sua roccia. Racchiudeva forge, magazzini, migliaia di difensori e il proprio porto fortificato.
Nulla di ciò sarebbe stato molto utile contro un esercito di Seanchan con damane e raken.
Le folle fiancheggiavano la strada fino al Margine della Pietra, l’ampio spazio aperto che la circondava da tre lati. E un mattatoio, disse Lews Therin.
Qui un’altra folla acclamò Rand. I cancelli per la Pietra erano aperti e una delegazione di benvenuto lo attendeva. Darlin — una volta un Sommo Signore, ora re di Tear — sedeva in sella a un lucido stallone bianco. Più basso di Rand di almeno una testa, il Tarenese aveva una barbetta nera e capelli tagliati corti. Il suo naso prominente gli impediva di essere bello, ma Rand lo aveva trovato molto acuto di mente e di onore. Dopotutto, Darlin si era opposto a Rand fin dall’inizio, piuttosto che unirsi a coloro che si erano affrettati a venerarlo. Un uomo la cui lealtà era difficile da conquistare era spesso uno la cui lealtà sarebbe anche stata assicurata quando non lo tenevi d’occhio.
Darlin si inchinò a Rand. Il pallido Dobraine, vestito con una giacca azzurra e pantaloni bianchi, sedeva in groppa a un castrone roano accanto al re. La sua espressione era indecifrabile, anche se Rand sospettava che fosse ancora deluso per essere stato mandato via così presto dall’Arad Doman.
File di Difensori della Pietra erano disposte davanti al muro, le spade tenute davanti a se, le corazze e gli elmi increspati lucidati fin quasi a brillare. Le loro maniche a sbuffo erano a strisce nere e oro, e sopra di loro sventolava lo stendardo di Tear, un campo metà rosso e metà oro contrassegnato da tre falci di luna argentee. Rand poteva vedere che la piazza all’interno delle mura traboccava di soldati: molti indossavano i colori dei Difensori, ma molti altri non avevano un’uniforme a parte una fascia rosso e oro legata attorno alle braccia. Quelle dovevano essere le nuove reclute, gli uomini che Rand aveva ordinato a Darlin di radunare. Era un’esibizione fatta per suscitare meraviglia. O forse per rinfocolare l’orgoglio di un uomo. Rand arrestò Tai’daishar davanti a Darlin. Purtroppo quell’arrogante di Weiramon accompagnava il sovrano, in. sella al suo cavallo appena dietro Darlin. Weiramon era così lento di comprendonio che Rand non si sarebbe fidato di lui nemmeno per lavorare in un campo senza supervisione, tanto meno per comandare una squadra di truppe. Sì, l’uomo basso era coraggioso, ma questo solo perché era troppo tardo per prendere in considerazione la maggior parte dei pericoli. Come sempre, Weiramon pareva ancora più sciocco per aver tentato di assumere uno stile che non lo faceva sembrare altro che un buffone: la sua barba era incerata, i suoi capelli attentamente disposti per nascondere quanto stava diventando calvo, e i suoi abiti erano ricchi — una giacca e delle brache dal taglio che imitava un’uniforme per un campo di battaglia —, ma nessun uomo avrebbe indossato abiti tanto eleganti per combattere. Nessun uomo tranne Weiramon.
Mi piace, pensò Lews Therin.
Rand sussultò. A te non piace nessuno!
È sincero, replicò Lews Therin. Più di me, poco ma sicuro! Un uomo non sceglie di essere un idiota, ma sceglie di essere leale. Avere quest’uomo come seguace non dovrebbe essere così male.
Rand tenne a freno la lingua. Discutere con il pazzo non aveva senso. Lews Therin prendeva decisioni senza ragionare. Quantomeno non stava canticchiando di nuovo di una donna graziosa. Quello poteva distrarre.
Darlin e Dobraine si inchinarono a Rand, imitati da Weiramon. C’erano altri dietro al re, naturalmente. Lady Caratine, certo; la snella Cairhienese era bella quanto Rand se la ricordava. Un opale bianca le pendeva sulla fronte, la catena dorata era intrecciata ai suoi capelli scuri. Rand dovette costringersi a distogliere lo sguardo. Assomigliava troppo a sua cugina, Moiraine. Come previsto, Lews Therin cominciò a snocciolare i nomi sulla lista, Moiraine per prima.
Rand si fece forza, ascoltando l’uomo morto in fondo alla sua testa mentre esaminava il resto del gruppo. Tutti i Sommi Signori e Signore di Tear rimanenti erano lì, in sella ai loro destrieri. Anaiyella, con i suoi sorrisi affettati, montava sul suo baio accanto a Weiramon. E… quello che indossava era un fazzoletto con i colori di lui? Rand aveva pensato che fosse un po’ più schizzinosa. Torean aveva un sorriso su quel suo volto bitorzoluto. Un peccato che fosse ancora vivo quando uomini di gran lunga migliori fra i Sommi Signori erano morti. Simaan, Estanda, Tedosian, Hearne… tutti e quattro si erano opposti a Rand, guidando l’assedio contro la Pietra. Ora si inchinarono a lui.
Anche Alanna era lì. Rand non la guardò. lira addolorata, poteva percepirlo attraverso il loro legame. E a ragione.
«Mio lord Drago,» disse Darlin, raddrizzandosi sulla sella «grazie per aver mandato Dobraine con i tuoi desideri.» La sua voce trasmetteva il suo disappunto. Si era affrettato per radunare un esercito quando Rand gliel’aveva ordinato con urgenza, e poi lui lo aveva costretto a non fare nulla per settimane. Be’, presto gli uomini sarebbero stati grati per quelle settimane di addestramento supplementari.
«L’esercito è pronto» continuò Darlin, esitante. «Siamo pronti a partire per l’Arad Doman.»
Rand annuì. La sua intenzione originaria era quella di piazzare Darlin nell’Arad Doman in modo da poter utilizzare gli Aiel e gli Asha’man altrove. Si voltò, lanciando di nuovo un’occhiata alle folle, realizzando in modo assente perché c’erano così tanti forestieri fra loro. Buona parte dei Tarenesi erano stati reclutati per l’esercito e ora se ne stavano schierati all’interno della Pietra. Forse la gente nella piazza e per le strade non era stata lì per acclamare l’arrivo di Rand. Forse pensavano di stare incoraggiando gli eserciti in partenza per la vittoria.
«Hai agito bene, re Darlin» disse Rand. «Era ora che qualcuno a Tear imparasse a obbedire agli ordini. So che i tuoi uomini sono impazienti, ma dovranno aspettare ancora un po’. Fa’ preparare delle stanze per me nella Pietra e predisponi in modo da acquartierare i soldati di Bashere e gli Aiel.»
La confusione di Darlin si accentuò. «Molto bene. Non siamo necessari nell’Arad Doman, allora?»
«Quello di cui l’Arad Doman ha bisogno, nessuno glielo può dare» disse Rand. «Le tue truppe verranno con me.»
«Ma certo, mio signore. E… dove marceremo?»
«Verso Shayol Ghul.»