III

Balzò ai Cortili la Farge, poi a Kimberley, a Danbury Marble e a Krasniak, esaminando liste di acquisti e consultando ragionieri. Fece tutto il necessario senza consultare i suoi appunti, poiché a mezzogiorno aveva lasciato l’ufficio senza farsene stampare una copia dal suo computer. Malgrado ciò eseguì il lavoro con efficienza e precisione, anche se tutti dovettero giudicarlo troppo frettoloso. Ma a Roan importava di più che l’ufficio non s’accorgesse del fatto che lui aveva usato per i suoi scopi personali le prime due ore del pomeriggio.

Quella piccola disonestà gli lasciò comunque addosso un senso di colpa. L’onore era parte dell’insieme decoro-intimità-perfezione. E tuttavia cominciava a sembrargli che nel mondo degli affari, per ottenere un vantaggio economico, bisognasse entro certi limiti farne a meno. Questo significava che lui non era, e non poteva essere, quello che suo padre chiamava un gentiluomo? E comunque, quanta importanza aveva ciò?

Decise che non aveva molta importanza; maledisse allegramente la voce interiore che continuava a dargli torto e andò a far visita a sua nonna.

Che gli piacesse o meno, Nonnina gli istillava nelle viscere un timore del tutto particolare. In nessun altro luogo del pianeta gli era mai accaduto di avvertire come lì, in quel cortile, la presenza di un’intera cultura: decenza, intimità, correttezza.

Scese dal transplat e andò a controllare l’ora sul quadro dei comandi. Ne fu compiaciuto: non avrebbe potuto essere più puntuale.

Ci fu un lieve ronzio e una porta scivolò di lato. Era sempre la stessa porta, e come già altre volte si chiese se vi fossero altre stanze, e quali, nella casa di Nonnina. Non si sarebbe stupito nell’apprendere che, se c’erano, erano vuote. Quali potevano essere le sue necessità, oltre la rettitudine, la solitudine e una stanza in cui ricevere?

Entrò e rimase rispettosamente in piedi. Sua nonna, capelli candidi, abito rigido come l’avorio, pelle di cera bianca, gli comunicò con un cenno delle pesanti palpebre che poteva accomodarsi. Roan sedette di fronte a lei, al lato opposto del pesante tavolo dalla superficie spoglia.

— Madre di mio padre — la salutò formalmente. — Ti auguro una buona Stasi.

— Ehilà — disse lei, con affettazione. — Come ti butta, ragazzo? — E malgrado il suo stato d’animo, Roan fu colpito dal fascino arcano di quell’impeccabile linguaggio vecchio stile. La voce di lei era ancora chiara e ben udibile, ma aveva un tono che faceva pensare a un vento lontano. — Hai l’occhio smorto del mezzemaniche che ingoia rospi su rospi.

Roan capì, ma soltanto grazie ad anni di esperienza nel suo strano eloquio fuori moda. — Non va troppo male. Si lavora.

— Come tira avanti la bottega? — La vecchia donna viveva in qualche suo mondo vago e silenzioso, separato dalla realtà del presente, ma non trascurava mai di fargli quella domanda.

— Oh, come al solito… ti ho portato una cosetta. — Dalla tasca interna del mantello tolse le decorazioni che aveva comprato, spezzò il sigillo del cilindro a vuoto e le porse l’esplosione di rose e di giunchiglie che s’erano spalancate attorno. L’altro pacchetto cadde sul tavolo.

Apparve per un istante un guanto niveo, e la donna afferrò gli steli chiusi nell’involucro umidificante. Immerse il viso nella fragrante massa di colori, e lui la udì inalare il respiro dal naso. — Hai avuto una pensata fine, ragazzo — approvò. — E questo cos’è? — Prese il pacchetto, se lo mise in grembo per scartarlo al riparo dell’orlo del tavolo, e chinò il capo per guardarlo meglio. — Ferri da calza! Avrei giurato che non ci fosse più un cane a ricordare cos’è questa roba, oggi. Già quand’ero una fringuella della tua età la usavano soltanto i vecchi rinciucchiti. Si sedevano al sole, gli uomini biascicavano i loro ricordi e le vecchie facevano andare i ferri.

— Pensavo che li avresti graditi. — Roan notò il lieve scrollarsi delle sue spalle, poi la donna chiuse l’astuccio e lo infilò in un cassetto del tavolo.

Si guardarono per un poco, infine lei chiese: — Il lavoro ti pesa troppo? Hai l’aria di… be’, mi stavi parlando di bottega. Come tirano gli affari?

— Come sempre — disse lui. — Questa mattina ho avuto un’idea e ne ho parlato al Privato. Credo che la utilizzerà. Era soddisfatto. Ha parlato di farmi socio.

— Questo è positivo, ragazzo. Che idea gli hai ventilato?

Lei non avrebbe capito. Ma gliela spiegò lo stesso, e scegliendo con cura le parole disse del suo progetto per eliminare gli operatori dei transplat. La donna annuì gravemente alle sue parole, e ad un certo punto lui ebbe la folle tentazione di inventarle lì per lì termini tecnici cervellotici per vedere se avrebbe continuato ad annuire. Era certo che l’avrebbe fatto: per lei tutto era lo stesso. Le bastava di mostrarsi educata.

Ma si controllò e concluse: — Così, se funzionerà, porterà a un certo risparmio. E non sarà possibile che qualche carico finisca chissà dove. — Fu sul punto di raccontarle l’episodio delle donne finite nella clausura del monastero, ma si trattenne appena in tempo; la vecchia signora ne sarebbe rimasta sconvolta. — Sai, in passato questo è accaduto.

— Credo anch’io che non farai una brutta frittata — fu d’accordo lei, e annuì ancora come se avesse capito tutto.

Adesso toccava a lui restituirle la cortesia, pensò Roan, e disse: — E tu cos’hai fatto di bello, Madre di mio padre?

— Vorrei che seguitassi a chiamarmi Nonnina — disse lei, con un’ombra di petulanza e un sospiro stanco. — Cos’ho fatto? E come vuoi che sbatta via il tempo alla mia età? Lo sai quanti anni mi tiro dietro, Roan?

Lui accennò di sì.

— Centottantatrè primavere filate — disse lei, ignorandolo. — Ne ho viste di cose io, ai miei tempi. Le storie che potrei raccontarti… lo sai che sono nata nella Colonia Africana?

Lui annuì di nuovo, e di nuovo lei lo ignorò. — Proprio così. È là che sono nata. E avevo grosso modo la tua età quando tutto questo prese il via, quando il transplat rovesciò il secchio dentro cui vivevamo, e la gente ne schizzò fuori spargendosi in ogni angolo del mondo.

Sì, tu l’hai visto accadere! pensò lui, afferrando per la prima volta la realtà di quella che fino allora gli era apparsa solo come una linea su un grafico. Tu hai visto quando la gente danzava petto a petto, e mangiava insieme, e nessuno ci faceva caso. Conoscevi la nostra cultura prima che vi fosse qualsiasi vero decoro e intimità… tu che sei la persona che vive nel decoro e nell’intimità più di chiunque, oggi. Le storie che avresti da raccontare? Oh, sì… solo che non potresti raccontarle. Che nome usavano, prima di chiamarli «Negozi di fiorista»?

Certo che lei non avrebbe potuto neppure intuire il motivo della sua curiosità, le chiese: — Cosa faceva la gente a quel tempo, Nonnina? Voglio dire… oggi, se c’è un compito che possa essere comune a tutti, potremmo dire che consiste nel mantenere la perfezione che abbiamo. A quell’epoca voi avevate qualcosa del genere?

Gli occhi di lei ebbero un lampo. Nonnina aveva gli occhi più brillanti e i denti più bianchi che lui avesse mai visto. — Sicuro che l’avevamo. — La donna chiuse gli occhi. — Non posso darti a bere che ci perdessimo troppo dietro questa cosa della perfezione… non nei primi tempi. La cosa che avevamo inchiodata in testa era il prossimo passo in avanti. Sempre fare un altro passo avanti — ripeté, assaporando la frase. — Sai cos’è quel che abbiamo oggi, Roan? Be’, noi siamo i primi nella storia della razza umana che non lavoriamo più in quel senso, in un modo o nell’altro. Dovrebbero insegnare la storia, oggi! Sì, dovrebbero. Ma ho idea che alla gente non piacerebbe, la storia. Sia come sia, quand’ero ragazza tutti volevano sempre migliorare, andare avanti.

«Qualche volta s’erano fermati magari per cento o duecent’anni, e avevano pensato solo a ripulirsi l’anima; e qualche volta s’erano dimenticati anche di averci un’anima per buttarsi a diventare più veloci e più forti e più rumorosi. Qualche volta facevano delle maledette porcate, e qualche volta agivano bene soltanto per sbaglio. Ma tutto il tempo lavoravano e ci davano dentro per fare quel passo in avanti. Oggi invece no — terminò bruscamente.

— No, naturalmente. A che ci servirebbe un passo avanti? Dove ci porterebbe un passo in avanti?

— Questa era la vita — disse lei, — quando a nessuno gli sarebbe passato per il capo che voi sareste riusciti a fermare il progresso. Un seme d’erba può spezzare in due un pezzo di granito, lo sai. E l’acqua contenuta in un tubo di ferro può sfondarlo se la raffreddi.

— Noi siamo diversi — disse lui con umile orgoglio. — Forse la differenza fra l’uomo e gli altri generi di vita è questa. Noi possiamo fermarci.

— Puoi dirlo forte. — Lui non capì quell’osservazione. Prima che potesse domandarne il significato la vecchia continuò: — Cosa ne sai dello Psi, Roan?

— Psi? — Lui dovette frugare nei suoi ricordi. — Oh, adesso rammento. Giochi e Passatempi ne vendeva, un paio d’anni fa. Mi sembrò un giochetto abbastanza insulso.

Quello! — sbottò lei, con tutto il disprezzo di cui era capace la sua voce fragile e lontana. — Quello era un gioco di indovinelli. Non meritava d’essere chiamato Psi. Io sto parlando di un’altra cosa, più antica di quanto tu e chiunque altro possiate immaginare. Apri gli orecchi, ragazzo: per diecimila anni la gente ha creduto che ci fosse tutto un mondo di poteri nella mente umana. Telepatia, telecinesi, teleferesi, chiaroveggenza… e altri ancora. Ma non importa, non voglio tenerti una conferenza — disse, con occhi che d’improvviso scintillavano.

Lui si accorse d’aver appena mascherato uno sbadiglio — uno piccolissimo, e a bocca chiusa — e che la donna l’aveva notato. Arrossì d’imbarazzo. Lei non ci fece caso e proseguì:

— Quello che sto dicendo è che c’è una frotta di prove sulla loro esistenza, se sai dove andare ad annusare. Una mente che parla a un’altra, qualcuno che si spara da un posto all’altro in un batter d’occhio e senza bisogno del transplat, gente che sa in anticipo quello che sta per succedere… e tutto con il potere della mente. Capita da migliaia di anni. Nessuno ha mai capito un fico come funzionava la cosa… e nessuno ha mai avuto bisogno di capirlo. Ma è ancora intorno a noi.

Roan si chiese cos’avesse a che fare questo con l’argomento di cui avevano parlato. Come se avesse sentito quella domanda, lei disse: — Tu volevi sapere quale potrebbe essere il prossimo passo in avanti, nel caso che ci sia qualcuno capace di chiederselo. Be’, è questo.

— Non lo definirei un passo avanti — replicò lui, rispettosamente ma in tono pratico. — Siamo già capacissimi di spostare gli oggetti, di parlarci a distanza, e di tutto ciò che hai menzionato. Sappiamo anche prevedere quel che ci prepara il futuro. Ogni cosa è programmata. Dunque che vantaggio ci sarebbe?

— Che vantaggio c’è nel levare di mezzo gli inservienti dei transplat?

— Questo è semplicemente un risparmio.

— E come chiameresti la possibilità di usare la telecinesi e la teleferesi per spostare gente e merci, senza il transplat?

Senza il transplat? — gridò quasi lui. — Ma tu… ma noi…

— Tu e io ci troveremo nella stessa barca degli operatori che stai per mandare a fare ghiande.

— Gli ope… be’, non ho ancora pensato a cosa sarebbe di loro.

Lei annuì.

Un po’ scosso Roan mormorò: — Mi chiedo perché il Privato non me l’abbia fatto notare, stamattina, quando gli ho esposto l’idea.

Dalla gola della vecchia donna emerse un suono di compiacimento. — Non gli è balenato nel cranio. Lui non ha mai capito niente di come le cose funzionano: si limita a farle funzionare.

Roan cercò di controllarsi. Uno non poteva starsene zitto ad ascoltare critiche a suo padre. Ma lei era la Madre di suo padre. Lo sforzo d’autocontrollo servì però a fargli vedere quella strana conversazione in un’altra prospettiva, e gli sfuggì una risatina fiacca. — Be’, a conti fatti non credo che in quel modo realizzeremmo un risparmio.

Lei inarcò le sopracciglia. — Questo progresso di cui parlavamo… ti dirò che anche ai tempi miei molta gente era convinta che fosse l’uomo a programmare il progresso dell’uomo. Ma quando vai al nocciolo della cosa, ti accorgi che neppure il primo troglodita a cui successe di camminare eretto non lo fece perché voleva farlo. Lo fece perché si accorse di esserne già capace. — Quando vide che lui non replicava, aggiunse: — Quello che sto dicendo è che se ai vecchi tempi avevano ragione, e se è vero che il progresso non può essere fermato, allora adesso sta per ripartire. E se riparte, ragazzo, ti schizza via fra le mani… che ti piaccia o che non ti piaccia, che tu sia il capo della J. D. Walsh oppure l’ultimo stivatore di scorie.

— Be’, non credo che succederà.

— Cos’hai negli orecchi quando ti parlo, segatura? Ti ho appena detto che quella cosa è ancora fra noi.

— E allora perché loro… questa gente, dovrebbe mostrarcelo adesso e non, diciamo, fra un migliaio d’anni?

— Perché l’umanità non aveva mai detto basta al progresso. Non in questo modo. — E ruotò lo sguardo attorno alle pareti, come a indicargli l’intero pianeta che li circondava.

— Nonnina, tu vuoi che succeda? Tu?

— Quello che voglio io non conta uno sputo. C’è sempre stata gente con quei… poteri. La mia ipotesi è che oggi, fra tutte le epoche possibili, sia venuto per loro il momento di fare quel passo in avanti. Oggi che noi, ragazzo, non facciamo più un passo verso niente.

Lui volle insistere: — Tu pensi che sarebbe una cosa positiva, allora?

La vecchia esitò. — Guardami bene, guarda come sono decrepita. È una cosa positiva, questa? Ma non importa: succederà. Deve succedere.

— Perché mi parli di questo? — sussurrò lui.

— Perché tu mi hai chiesto cosa sto facendo di bello — disse lei. — E io ho avuto la gentilezza di dirtelo. Penso a queste cose. Ti spaventano?

Lui accennò di sì, ottusamente.

Anche la vecchia annuì, e rise. — Ti fa bene. Ai tempi miei eravamo spesso maledettamente spaventati. E questo ci dava una spinta.

Lui scosse il capo. Ti fa bene. Non riusciva affatto a immaginare che razza di bene quel cosiddetto «progresso» poteva fare se minacciava l’esistenza dei transplat. Cosa ne sarebbe stato di loro? Cosa ne sarebbe stato del loro sistema di vita, e della stessa intimità se qualcuno avesse potuto (come l’aveva chiamata? Teleferesi?) a suo piacere teletrasferirsi nell’ufficio o nel cubicolo di chiunque altro…

— Ascolta, ragazzo, non aspettare che venga il tuo turno se vuoi fare due chiacchiere con la vecchia Nonnina. Datti una mossa quando avrai voglia di parlare di qualcosa. Solo fammelo sapere prima. Nient’altro.

Non c’era nulla che Roan desiderasse meno di un’altra seduta di quel genere, ma ricordò che l’educazione imponeva di ringraziarla. — Arrivederci allora, Nonnina.

— Ci sentiamo, ragazzo.

S’affrettò al quadro-comandi e febbrilmente compose il numero di casa sua. Poi saltò sulla piattaforma. L’ultima cosa che vide, al di là della porta aperta, fu il volto di Nonnina e su di esso un’espressione di… era pietà?

O forse «compatimento» era la parola più adatta.

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