PARTE TERZA Possono nulla?

1

Selene Lindstrom sorrideva gaiamente, camminando con quell’andatura leggera e scattante che sorprendeva i turisti la prima volta che la vedevano, ma in cui non si poteva fare a meno di notare una grazia particolare.

— È ora di pranzo — disse con brio. — Tutti alimenti locali, signore e signori. Forse il sapore vi sembrerà insolito ma sono nutrienti… Di qui, per favore. Signore? Non vi dispiace sedere con queste signore, vero?… Un momento, calma. C’è posto per tutti… Mi spiace, ma la scelta delle bevande è limitata… Quello è vitello… No, no. Sapore e consistenza sono artificiali, ma è carne buonissima.

Infine sedette anche lei, con un lieve sospiro e un ancora più lieve mutamento dell’espressione cordiale.

Uno del gruppo prese posto al suo tavolo, dirimpetto a lei. — Vi spiace? — le chiese.

Gli gettò un’occhiata rapida e penetrante. Possedeva la dote di giudicare le persone a prima vista, naturalmente, e quell’uomo le parve innocuo. Rispose: — Per niente. Ma non siete con qualcuno del gruppo?

Lui scosse la testa. — No, sono solo, ma, se anche non lo fossi, i Terragni non mi attirano molto.

Lei tornò a guardarlo. Era sulla cinquantina e aveva un aspetto stanco che però gli occhi brillanti e dallo sguardo inquisitore sembravano smentire: aveva cioè l’aspetto inconfondibile del Terrestre schiacciato dalla forza di gravità. Gli disse: — Terragno è un’espressione della Luna, e non molto lusinghiera.

— Io vengo dalla Terra — replicò lui — perciò spero di poterla usare senza offendere nessuno. A meno che a voi dispiaccia.

Selene alzò le spalle come per dire: “Fate come vi pare”.

Aveva gli occhi leggermente a mandorla, comuni a molte ragazze lunari, ma i capelli erano colore del miele e il naso pronunciato. Pur senza essere una bellezza classica, era indubbiamente attraente.

Il Terrestre aveva gli occhi fissi sulla piastrina con il nome che lei portava appuntata sulla camicetta, nella parte superiore del seno sinistro, sostenuto anche se non troppo voluminoso. Giudicò che stesse guardando proprio la piastrina e non il seno, per quanto la camicetta fosse quasi trasparente, specie se la luce la colpiva da un’angolazione particolare, e lei non indossasse niente, sotto. Lui chiese: — Ci sono molte Selene sulla Luna?

— Oh, sì. Centinaia, credo. E anche Cinzie, Diane e Artemidi. Selene è un nome piuttosto sfruttato. La metà delle Selene che conosco si fa chiamare “Silly” e l’altra metà “Lena”.

— E voi come vi fate chiamare?

— In nessuno dei due modi. Io sono Selene per esteso. Sé-le-ne — ripeté, marcando forte la prima sillaba, — per chi mi chiama solo col nome proprio. Per gli amici.

Un lieve sorriso aleggiò sul viso del terrestre, che sedeva un po’ a disagio, come se non vi fosse abituato. — E se qualche estraneo vi chiedesse di potervi chiamare così, cosa fareste, Selene?

— Non me lo chiederebbe due volte — gli rispose, ferma.

— Ma ve lo hanno chiesto?

— C’è sempre qualche sciocco, al mondo.

Al loro tavolo era arrivata una cameriera, che posò loro davanti i piatti colmi con gesti veloci e fluidi.

Il Terrestre ne rimase impressionato e disse alla ragazza: — Sembra che li facciate volare.

La cameriera sorrise e se ne andò.

— Non cercate di imitarla — lo avvertì Selene. — Lei è abituata alla gravità lunare.

— Mentre se lo facessi io, lascerei cadere tutto, vero?

— Fareste un gran pasticcio — confermò lei.

— Bene, allora non mi ci proverò.

— Ma vedrete che prima o poi qualcuno vorrà farlo, e allora il piatto gli andrà a finire sul pavimento e se si chinerà per prenderlo, finirà anche per cadere dalla sedia lui! Io avverto sempre i turisti, ma è inutile, perché si sentono solo imbarazzati. Vedrete, tutti rideranno… tutti i turisti, naturalmente, perché noi lo abbiamo visto troppe volte per trovarlo ancora divertente, e poi le pulizie restano da fare a noi!

Sollevando con cautela la forchetta, il Terrestre disse: — Capisco. Qui anche i gesti più semplici sembrano strani.

— Sì, ma ci si abitua in fretta. Almeno alle cose più semplici, come il mangiare. Camminare è più difficile. E non ho mai visto un Terrestre correre in modo efficace, qui sulla Luna.

Mangiarono per un poco in silenzio. Poi lui disse: — Cosa significa la elle? — Stava di nuovo osservando la piastrina, su cui era scritto “Selene Lindstrom L.”.

— Sta per Luna — rispose lei con indifferenza. — Per distinguermi dagli immigrati. Io sono nata qui.

— Davvero?

— Non c’è da meravigliarsi. La comunità lunare esiste da più di cinquant’anni. Credete che sulla Luna non nascano bambini? C’è gente nata qui che ha già dei nipoti.

— Voi, quanti anni avete?

— Trentadue.

L’uomo parve incredulo, poi mormorò: — Naturalmente.

Selene inarcò le sopracciglia. — Ah, avete capito? Mi tocca spiegarlo a quasi tutti i Terrestri.

— Sono abbastanza informato da sapere che i segni più visibili dell’invecchiamento come guance o seno cascanti, sono dovuti all’ineluttabile vittoria della gravità sui tessuti — replicò il Terrestre. — E dal momento che sulla Luna la gravità è un sesto di quella della Terra, non è difficile capire che qui la gente conserva più a lungo un aspetto giovanile.

— Solo l’aspetto - precisò Selene. — Non significa che qui siamo immortali. La durata della vita è pressappoco uguale che sulla Terra, ma di solito invecchiamo meglio.

— Non è un vantaggio da poco… Naturalmente ci sono anche i lati negativi, immagino. — Il Terrestre aveva appena bevuto il primo sorso di caffè. — Dovete bere questa… — S’interruppe per cercare un termine adatto, poi preferì non aggiungere altro.

— Potremmo importare cibi e bevande dalla Terra — disse lei, divertita. — Ma solo per nutrire una minima parte di noi e per un tempo minimo. Perciò usiamo lo spazio disponibile sulle navi per articoli più importanti e utili. E poi siamo abituati a questa schifezza… o vi pare che il termine sia troppo blando?

— Non per il caffè. Per il cibo, forse… ma non importa, ditemi, signorina Lindstrom, nel nostro itinerario turistico non vedo citata nessuna visita al protosincrotrone.

— Il protosincrotone? — Selene stava finendo il caffè e il suo sguardo stava facendo il giro della sala in attesa del momento di avvertire i turisti che dovevano alzarsi. — È di proprietà della Terra e non è aperto ai turisti.

— Volete dire che ne è vietato l’ingresso ai Lunariti?

— Oh, no! La maggior parte del personale è composta da Lunariti. È solo che il regolamento è fatto dal governo terrestre. Niente turisti.

— A me piacerebbe visitarlo.

— Lo immagino… Sapete che mi avete portato fortuna? Niente piatti per terra, nessun turista caduto dalla sedia. — Si alzò e, rivolgendosi a tutti, disse: — Signore e signori, fra dieci minuti usciremo. Vi prego di lasciare i piatti dove stanno. Per chi lo voglia, ci sono locali di riposo. Poi andremo a visitare gli impianti alimentari dove si producono i pasti come quello che avete appena consumato.

2

L’alloggio di Selene era piccolo, naturalmente, e ridotto all’essenziale, ma complicato. Aveva tre finestre panoramiche con scene raffiguranti gruppi di stelle che si rinnovavano di continuo e non avevano niente a che fare con le vere costellazioni. Inoltre, era possibile ingrandire a volontà quelle vedute.

Barron Neville detestava quelle scene, e non mancava di sbottare, dopo aver spento di colpo i panorami: — Come fai a sopportarle? Sei l’unica persona che conosco che abbia il cattivo gusto di mettersi in casa un simile orrore. E quelle nebulose e quegli ammassi stellari, non esistono nemmeno.

E Selene rispondeva alzando le spalle: — Cos’è la realtà? Come fai a sapere che le stelle visibili in cielo esistono? E poi, quei panorami mi danno una sensazione di libertà e di movimento. Non posso tenerli in casa mia se mi piacciono?

Al che Neville brontolava qualcosa e poi rimetteva in funzione i meccanismi, cercando di sistemare gli indici nel punto in cui li aveva trovati. E Selene diceva: — Lascia perdere!

Il mobilio era tutto curve e le pareti tinteggiate a colori tenui e riposanti che formavano disegni astratti. Non c’era alcuna riproduzione di creature viventi.

— La vita appartiene alla Terra, non alla Luna — diceva Selene.

Adesso, entrando, come spesso accadeva, trovò Barron Neville, steso su un divano, e con un solo sandalo infilato. L’altro era sul pavimento dove lui lo aveva lasciato cadere, e sul suo stomaco c’era una lunga fila di segni rossi, dove si era grattato distrattamente.

— Ci facciamo un caffè, Barron? — disse lei, sgusciando fuori dagli abiti con un unico aggraziato movimento, unito a un sospiro di sollievo. Poi li buttò con un calcio in un angolo. — Che sollievo spogliarsi! — esclamò. — Doversi vestire come i Terragni è la parte peggiore del lavoro.

Neville era nell’angolo cucina a preparare il caffè. Non fece commenti perché aveva già sentito più d’una volta quelle parole. Disse invece: — Cos’ha la tua scorta d’acqua? È già finita.

— Davvero? Be’, si vede che ne ho adoperata troppa. Abbi pazienza.

— Niente di spiacevole, oggi?

— No, tutto normale e piuttosto disgustoso, come al solito. Fingono di gustare i nostri cibi e hanno paura che gli si chieda di spogliarsi… Figurati che roba se lo facessero!

— Sei diventata pudica? — Le chiese portando due tazzine di caffè e deponendole sul tavolino.

— In questo caso il pudore è necessario. I miei turisti sono rugosi, cascanti, panciuti, nonché pieni di germi. C’è la quarantena, lo so, ma per me sono sempre pieni di germi… E tu, hai novità?

Barron rispose con un cenno di diniego. Era tarchiato, per essere un Lunarita, e teneva sempre la fronte aggrottata e gli occhi socchiusi, quasi per vezzo. Ma, a parte questo, aveva lineamenti regolari ed era nel complesso un bell’uomo, almeno secondo Selene.

Le rispose: — Niente d’importante. Stiamo ancora aspettando il cambio del Commissario. Staremo a vedere com’è questo nuovo, questo Gottstein.

— Potrebbe creare difficoltà?

— Non più di quante ne abbiano sempre fatte. In fin dei conti, cosa possono fare? Non possono infiltrarsi. È impossibile che un Terragno riesca a farsi passare per un Lunarita! — Ma pareva a disagio, dicendolo.

Selene bevve il caffè fissandolo. — Ci sono dei Lunariti che, nel loro intimo, sono dei Terragni.

— Lo so, e vorrei sapere chi sono. Qualche volta penso che non dovrei fidarmi… Oh, be’, sto perdendo un sacco di tempo col progetto del mio sincrotrone, senza approdare a niente. Non ho fortuna con le richieste e i diritti di precedenza!

— È probabile che non si fidino di te, e non li biasimo. Ti comporti come se fossi un cospiratore!

— Non è vero. Mi farebbe un immenso piacere uscire dalla camera del sincrotrone e non ritornarci mai più, ma allora sì che diventerebbero sospettosi… Se hai consumato tutta la razione di acqua, Selene, forse sarà difficile farci una seconda tazza di caffè.

— Infatti. E, già che siamo sul discorso, mi hai aiutato anche tu a sprecare acqua. La settimana scorsa ti sei fatto due docce in casa mia!

— Ti darò un buono. Non sapevo che tu ne tenessi conto!

— Non io, ma il serbatoio.

Finì di bere il caffè e rimase a fissare con aria pensosa la tazzina vuota. — I turisti fanno sempre delle smorfie quando lo bevono — disse. — Chissà perché. A me pare buono. Tu hai mai assaggiato il caffè terrestre Barron?

— No.

— Io sì. Un turista aveva portato di contrabbando un pacchetto di quello che loro chiamano caffè istantaneo. Me l’ha offerto in cambio di quello che sai. Pareva convinto che fosse uno scambio equo.

— E l’hai accettato?

— Ero curiosa di assaggiarlo. Era amaro e metallico. Uno schifo. Poi ho detto a quel tizio che la mescolanza razziale era contraria all’uso dei Lunariti e allora è diventato lui amaro e metallico.

— Non me lo avevi mai raccontato. E ha tentato altro, vero?

— Non è cosa che ti riguardi, ti pare? Comunque, no, non ha tentato altro. Se si fosse provato, alla gravità per lui sbagliata, l’avrei mandato a finire in fondo al corridoio uno.

Fece una breve pausa, poi continuò: — Ah, sì. Ho conosciuto un altro Terragno, oggi. Ha voluto sedersi al mio tavolo.

— E che cosa ti ha offerto in cambio di quello che tu con tanta delicatezza definisci “quello che sai”?

— Niente, voleva solo sedersi al mio tavolo e basta.

— A guardarti il seno?

— È uno spettacolo che merita di essere guardato, lo ammetto, ma invece quello ha guardato la targhetta… Ma a te cosa importa quello che guardava o non guardava quel tizio? Ognuno è libero di guardare e di pensare quel che gli pare. E non per questo io mi sento obbligata ad assecondare le fantasie altrui. Cosa credi? Che se lui aveva voglia di venire a letto con me, io ci sarei andata di corsa? A letto con un Terragno? Sai che bel risultato, con uno che non è ancora abituato al nostro campo gravitazionale? Non dico che non riuscirebbe a concludere qualcosa, ma non con me. Ti basta? Sei soddisfatto? Posso tornare al Terragno? Il quale ha almeno cinquant’anni e non dev’essere stato bello neanche a venti. Ammetto però che è un tipo interessante, questo sì.

— Va bene. Faccio a meno di una descrizione dettagliata. Cosa mi dici di lui?

— Mi ha chiesto del protosincrotrone.

Neville si alzò in piedi di scatto, barcollando un poco, cosa inevitabile dopo un movimento brusco in ambiente a bassa gravità, e sbottò:

Cosa ti ha domandato del sincrotrone?

— Niente! Perché ti ecciti tanto? Mi hai raccomandato di dirti tutte le cose fuori dal normale che i miei turisti fanno o dicono. Finora nessuno mi aveva chiesto del sincrotrone, perciò te l’ho riferito.

— Va bene. — Tacque, poi aggiunse in tono normale: — Perché gl’interessava il sincrotrone?

— Non ne ho la più pallida idea — rispose Selene. — Mi ha chiesto solo se poteva visitarlo. Può darsi che sia un turista con interessi scientifici. Secondo me era solo una scusa per rendersi interessante ai miei occhi.

— E immagino che ci sia riuscito. Come si chiama?

— Non lo so, non gliel’ho chiesto.

— Perché?

— Perché a me non interessa! Insomma, si può sapere cosa vuoi? Inoltre, la sua è una domanda proprio da turista. Se fosse un fisico, non me l’avrebbe fatta. Lavorerebbe qui.

— Mia cara Selene — disse Neville — lascia che ti spieghi. Date le attuali circostanze, chiunque chieda di visitare il sincrotrone è un tizio fuori dell’ordinario, sul quale è necessario indagare a fondo. E mi sai dire come mai è venuto a chiederlo proprio a te? — Si mise nervosamente a passeggiare da un capo all’altro della stanza, come se volesse smaltire un po’ d’energia, poi disse: — Tu che sei l’esperta conoscitrice d’uomini. Lo trovi interessante?

— Dal punto di vista sessuale?

— Sai bene cosa intendo. Non scherzare, Selene!

Con palese riluttanza, lei rispose: — È interessante, anzi preoccupante. Ma non so perché. Non ha detto né fatto niente di particolare.

— Interessante e preoccupante? Allora lo rivedrai.

— Per fare che?

— E cosa ne so? Sono fatti tuoi. Scopri come si chiama. Scopri tutto quello che puoi sul suo conto. Hai cervello, quindi fallo funzionare per uno scopo utile, tanto per cambiare.

— Ah, bene ordini dall’alto! — disse Selene. — D’accordo.

3

L’alloggio del Commissario, quanto a dimensioni, non si distingueva da quello di un qualunque Lunanta. Sulla Luna non c’era spazio, nemmeno per gli alti funzionali terrestri: niente sprechi, niente lussi, nemmeno come simbolo del pianeta natale. Né, quanto a questo, c’era modo di cambiare l’opprimente realtà della Luna — ambiente sotterraneo a bassa gravità — nemmeno per il più grand’uomo della Terra.

— L’uomo è ancora una creatura legata al suo ambiente — sospirò Luiz Montez. — Vivo da due anni sulla Luna e ci sono state volte in cui ho avuto la tentazione di restare, ma… sono ormai in là con gli anni. Ne ho più di quaranta e, se voglio tornare sulla Terra, è meglio che mi decida subito. Più si invecchia, meno si riesce a riadattarsi alla gravità terrestre.

Konrad Gottstein aveva solo trentaquattro anni e ne dimostrava meno. Aveva una faccia tonda dai lineamenti marcati, quel tipo di faccia che non si vedeva tra i Lunariti e che sembrava loro la caricatura della faccia di un Terragno. Era snello — non mandavano mai uomini troppo robusti sulla Luna — e forse per questo la sua faccia sembrava più larga.

Disse, nello Standard Planetario, ma con accento diverso da quello di Montez: — Pare che vogliate scusarvi di qualcosa.

— È vero, è vero — ammise Montez. Se il viso di Gottstein era nell’insieme bonario e ottimista, le linee allungate del viso di Montez avevano un che di tragicomico.

— Mi sento imbarazzato in due sensi — spiegò. — Mi imbarazza lasciare la Luna, perché è un mondo attraente ed eccitante, e mi imbarazza di essere imbarazzato. Mi vergogno perché provo una certa riluttanza a riprendere sulle spalle il peso terrestre… gravità compresa.

— Già, immagino che riprendere gli altri cinque sesti sarà dura — ammise Gottstein. — Io sono qui solo da pochi giorni, ma sento già che un sesto di g è perfetto.

— Cambierete parere quando comincerà la stitichezza e sarete costretto a bere olio di vaselina — ribatté Montez con un sospiro. — Ma poi passa… e non pensate di potervi muovere con la leggerezza di una gazzella, solo perché vi sentite leggero. È un’arte che bisogna imparare.

— L’ho già capito.

— Lo credete, Gottstein. Avete mai visto come camminano i canguri?

— In televisione.

— Be’, ne danno una pallida idea. Bisogna provarlo. È il modo migliore, anzi l’unico, per muoversi a velocità elevata sulla superficie lunare. I piedi vanno all’unisono indietro, dando una spinta che sulla Terra vi permetterebbe solo di fare un salto. A mezz’aria i piedi vi si spostano in avanti, e cominciano a tornare indietro appena prima di toccare il suolo in modo di rimandarvi in aria, e così via. È un movimento che secondo gli standard terrestri sembra lento con una gravità così scarsa a dare il rimbalzo, ma ogni passo si fanno sei o sette metri e lo sforzo muscolare è minimo. Si ha la sensazione di volare.

— Voi avete provato? Siete in grado di muovervi così?

— Ho provato, ma nessun Terrestre può dire di esserne capace. Io sono riuscito a far cinque balzi di fila, ma poi si perde la sincronizzazione, si sbagliano i calcoli e si finisce a ruzzoloni per tre o quattrocento metri. I Lunariti sono molto educati e non vi prendono mai in giro. Loro, naturalmente, sono degli esperti. Cominciano da bambini e ci riescono subito senza difficoltà.

— È il loro mondo — commentò Gottstein. — Pensate come si troverebbero loro sulla Terra!

— Non potrebbero trovarsi sulla Terra. Anzi, non possono. E questo, credo, è uno dei nostri vantaggi.’Noi possiamo vivere sia sulla Terra che sulla Luna. Loro possono vivere solo qui. Lo dimentichiamo spesso, perché confondiamo i Lunariti con gli Immi.

— Con cosa?

— È così che loro chiamano gli immigranti terrestri, quelli che vivono più o meno in permanenza sulla Luna, ma che sono nati e cresciuti sulla Terra. Gli immigranti, naturalmente, possono tornare sulla Terra, ma i veri Lunariti non hanno né ossa né muscoli adatti a sopportare la forza di gravità terrestre. Per questo motivo accaddero delle vere tragedie nei primi tempi della storia della Luna.

— Ah?

— Sì. Gente che tornò sulla Terra con i loro figli nati sulla Luna. Ma noi abbiamo tendenza a dimenticare. Avevamo in corso o appena passato la nostra Crisi e la morte di qualche bambino non era rilevante, in confronto all’enorme numero di morti che avevamo avuto verso la fine del ventesimo secolo e a tutto quello che ne seguì. Qui sulla Luna, però, viene mantenuto vivo il ricordo di tutti i Lunariti che dovettero soccombere alla forza di gravità terrestre… Li aiuta, credo, a sentirsi un mondo a sé stante.

— Credevo che sulla Terra mi avessero dato tutte le informazioni necessarie, ma vedo che ho ancora molto da imparare — osservò Gottstein.

— È impossibile arrivare a conoscere tutto della Luna restando sulla Terra, perciò vi ho lasciato una relazione esauriente, così come fece il mio predecessore per me. Troverete la Luna affascinante, ma anche atroce, sotto certi punti di vista. Non credo che sulla Terra abbiate mai mangiato razioni lunari e, se le conoscete solo per sentito dire, non siete preparato ad affrontare la realtà… però le mangerete e vi ci abituerete, per forza. Non è buona politica farsi mandare viveri terrestri. Dobbiamo mangiare e bere prodotti locali.

— Visto che voi avete resistito per due anni, penso che anch’io riuscirò a sopravvivere.

— Non sono rimasto qui due anni di fila. Ho fatto qualche scappata sulla Terra. Sono viaggi obbligatoli. Ve l’hanno detto, no?

— Infatti — disse Gottstein.

— Nonostante tutto l’esercizio fisico che farete qui, è necessario tornare di tanto in tanto a gravità normale, perché le ossa e i muscoli non se ne dimentichino. E quando sarete sulla Terra, ah, che mangiate! E un po’ di contrabbando di viveri non guasta.

Gottstein disse: — All’arrivo hanno accuratamente ispezionato il mio bagaglio, naturalmente, ma avevo in tasca una scatoletta di carne. Non l’avevo vista… e anche loro hanno fatto finta di niente.

Montez sorrise, poi disse, esitando: — Immagino che adesso mi offrirete di dividerla con voi.

— No — disse Gottstein giudiziosamente, arricciando il naso a patata. — Stavo per dire con tutta la tragica nobiltà di cui sono capace: “Ecco, Montez, tenetevela tutta! Ne avete più bisogno di me”.

Il sorriso di Montez si allargò, ma poi si spense. — No — disse, scuotendo la testa. — Fra una settimana potrò mangiare cibi terrestri a sazietà. Voi no. Dovrete tirare la cinghia nei prossimi anni e passerete fin troppo tempo a rimpiangere la generosità di adesso. Tenetevela voi… Insisto. Non vorrei guadagnarmi il vostro odio retroattivo.

Parlava con serietà, tenendo una mano sulla spalla di Gottstein, e fissandolo negli occhi. — Inoltre — aggiunse — voglio parlarvi di una cosa che ho continuato a rinviare perché non so come abbordarla, e quella scatoletta sarebbe una scusa per un ulteriore rinvio.

Gottstein si affrettò a rimettere in tasca la scatoletta e tornò serio a sua volta. — Si tratta di qualcosa che non potevate inserire nei vostri dispacci, signor Montez?

— Si tratta di qualcosa che ho tentato di inserire nei dispacci, signor Gottstein, ma fra la mia incapacità a esprimermi e la riluttanza terrestre ad afferrare i miei sottintesi, abbiamo finito col non capirci. Voi, me lo auguro, potrete fare meglio di me. Uno dei motivi per cui non ho chiesto la proroga del mio mandato è il fatto che non riuscivo a sopportare la responsabilità del mio fallimento nelle comunicazioni.

— Da come parlate, mi pare che si tratti di una cosa grave.

— Vorrei che la riteneste grave, ma francamente potrebbe sembrarvi sciocca. Nella colonia lunare ci sono alcune decine di migliaia di persone, di cui meno della metà Lunariti di nascita. Essi sono ostacolati dall’insufficienza delle risorse naturali, dall’insufficienza di spazio, da un mondo ostile, e tuttavia… tuttavia…

— Tuttavia? — ripeté Gottstein in tono incoraggiante.

— Sta succedendo qualcosa qui… Non so esattamente cosa, ma potrebbe esser pericoloso.

— Pericoloso in che senso? Che cosa possono fare? Far guerra alla Terra? — Gottstein faceva fatica a mantenersi serio.

— No, no, è qualcosa di indefinibile. — Montez si passò una mano sulla faccia, fregandosi a lungo gli occhi. — Permettetemi di essere franco con voi. La Terra si è infiacchita.

— Come sarebbe a dire?

— Be’, in che altro modo potreste definire la situazione? Nell’epoca in cui venne fondata la colonia lunare la Terra fu colpita dalla Grande Crisi. Questo non c’è bisogno che ve lo ricordi.

— No di certo — rispose con disgusto Gottstein.

— Da sei, la popolazione terrestre scese a due miliardi.

— E sulla Terra si sta meglio, adesso, non è vero?

— Senza dubbio, anche se io sono del parere che poteva esserci un sistema migliore per diminuire la popolazione… A ogni modo dopo la Crisi è rimasta una grande sfiducia nella tecnologia, un’inerzia diffusa, la riluttanza a correre rischi per il timore degli effetti collaterali. Progetti molto importanti, ma ritenuti pericolosi, sono stati abbandonati perché si temeva più il pericolo di quanto non se ne desiderassero i risultati.

— Immagino che vogliate alludere al programma d’ingegneria genetica.

— Questo, ovviamente, fu il caso più spettacolare, ma non fu l’unico — disse Montez, con amarezza.

— Francamente non rimpiango che abbiano abbandonato l’ingegneria genetica. Era stata un seguito di fallimenti.

— Ma abbiamo perso l’intuitivismo.

— Be’, non c’era nessuna prova che l’intuitivismo fosse una qualità mentale desiderabile, e molte che dimostravano la sua pericolosità… Ma, a proposito della colonia lunare? Vi pare che sia una prova dell’inerzia della Terra?

— Sissignore! — esclamò con enfasi Montez. — La colonia lunare è un pesante retaggio dei giorni precedenti la Crisi: qualcosa di simile all’estrema avanzata dell’umanità, prima di ritirarsi definitivamente.

— Come siete drammatico, Montez!

— Non direi. La Terra è in ritirata. L’umanità è in ritirata, ovunque meno che sulla Luna. La colonia lunare è l’ultima frontiera dell’uomo, non solo materialmente ma anche psicologicamente. Questo è un mondo in cui non è mai esistita una forma di vita da distruggere o un ambiente complesso in equilibrio precario da sovvertire. Tutto quello che sulla Luna vi è di utile all’uomo, è un manufatto dell’uomo. La Luna è un mondo costruito dall’uomo fin dall’inizio e perciò senza fondamenta. Qui non hanno un passato.

— E allora?

— Sulla Terra stiamo andando alla deriva a causa della nostalgia di un passato pastorale che in realtà non è mai esistito e, se anche fosse esistito, non potrebbe mai più tornare. Sotto alcuni aspetti l’ecologia è stata sconvolta dalla Crisi e noi stiamo facendo del nostro meglio con i cocci, perciò abbiamo paura, una paura che non ci abbandona un istante… Sulla Luna non esiste un passato da temere o da sognare. Qui esiste un’unica direzione: verso l’avvenire. — Infervorato dalle sue stesse parole, Montez proseguì: — Gottstein, io l’ho osservato per due anni, e voi farete altrettanto, forse per più tempo. C’è un fuoco che arde senza mai spegnersi, qui sulla Luna! Qui si espandono in tutte le direzioni. Fisicamente. Tutti i mesi vengono scavati nuovi corridoi e sistemati nuovi alloggi per fare posto a potenziali nuovi abitanti. E sfruttano al massimo le risorse locali, trovano nuovi materiali da costruzione, nuove sorgenti d’acqua, nuovi filoni. Allargano le stazioni di accumulatori a energia solare, ingrandiscono le fabbriche di materiale elettronico… Immagino sappiate che le diecimila persone che vivono qui costituiscono la maggior fonte produttiva di congegni elettronici miniaturizzati e prodotti biochimici di altissima qualità per la Terra.

— So che ne sono importanti fornitori.

— I principali: la Terra non può farne a meno. Andando avanti di questo passo, saranno anche gli unici in un prossimo futuro… Qui progrediscono anche intellettualmente, Gottstein. Sono sicuro che non esiste sulla Terra un giovane d’ingegno portato per le scienze che non sogni più o meno vagamente, o forse non tanto vagamente, di venire un giorno sulla Luna. Con la Terra in ritirata dalla tecnologia, la Luna è l’unico posto in cui si combatta.

— Immagino che vogliate alludere al protosincrotrone.

— È un esempio. Quando è stato costruito l’ultimo protosincrotrone sulla Terra? Ma è solo l’esempio più evidente e più grande. Se volete sapere qual è l’apparecchio scientifico più importante qui sulla Luna…

— Una cosa segreta di cui non mi hanno informato?

— No, anzi, una cosa talmente ovvia che non ci si bada neppure. I diecimila migliori cervelli umani che sono qui. L’unico gruppo compatto di cervelli umani, portati per le scienze che è qui.

Gottstein si mosse dalla sedia, ma questa, essendo inchiodata al pavimento, restò immobile. Sarebbe caduto se Montez non si fosse sporto a impedirglielo.

— Scusate — disse Gottstein, arrossendo.

— Di che? Vi abituerete alla gravità.

— Gottstein chiese: — Non credete di dipingere le cose a tinte troppo fosche? Sulla Terra, in fin dei conti, non siamo nati ieri. Abbiamo inventato la Pompa Elettronica. È una conquista terrestre. Nessun Lunarita ci ha messo mano.

Montez scosse la testa mormorando qualcosa nel suo spagnolo natio. Il tono non era calmo. Poi disse: — Avete mai conosciuto Frederick Hallam?

Gottstein sorrise. — Sì, in effetti l’ho conosciuto. Il Padre della Pompa Elettronica. Credo che questa frase l’abbia tatuata sul petto.

— Quello che dite e il vostro sorriso mi fanno capire che condividete il mio punto di vista. Provate a domandarvi: è possibile che un uomo come Hallam abbia inventato la Pompa Elettronica? L’uomo della strada può anche esserne convinto, ma in realtà sapete benissimo che non esiste un Padre della Pompa Elettronica. L’hanno inventata i para-abitanti del para-universo, chiunque siano. Hallam è stato il loro strumento, e solo per caso. Tutta la Terra è il loro strumento.

— Ma noi siamo stati abbastanza intelligenti da approfittare della loro iniziativa.

— Sì, allo stesso modo che le mucche sono abbastanza intelligenti da mangiare il fieno che noi forniamo loro. La Pompa non significa un passo avanti per l’umanità, anzi il contrario.

— Se la Pompa è un passo indietro, allora ringrazio l’arretramento. Non potrei farne a meno.

— E chi lo farebbe? Ma il punto fondamentale è che la Pompa si adatta alla perfezione all’attuale stato d’animo terrestre. Energia in quantità illimitata a costo zero, tranne che per la manutenzione, e a zero inquinamento. Però sulla Luna non ci sono Pompe Elettroniche.

— Immagino che non ce ne sia bisogno — disse Gottstein. — Le batterie solari sopperiscono a tutte le necessità dei Lunariti. Energia illimitata a costo zero, o quasi, e a zero inquinamento… Non è la stessa litania?

— Già, però le batterie solari sono in tutto e per tutto un manufatto dell’uomo. Ecco dove volevo arrivare: era stata prevista una Pompa anche per la Luna, e si tentò d’installarla.

— E?

— Non ha funzionato. Nel para-universo non hanno accettato il tungsteno.

— Non lo sapevo. Come mai?

— E chi lo sa? — ribatté Montez inarcando spalle e sopracciglia. — Possiamo presumere che i para-abitanti vivano in un pianeta privo di satelliti; che non concepiscano l’esistenza di due mondi vicini e ambedue abitati; che, avendone trovato uno, non ne cerchino un secondo. Chi lo sa? Resta il fatto che non collaborarono, e noi da soli non possiamo far niente.

— Noi da soli — ripeté pensoso Gottstein. — Con questo, intendete noi Terrestri?

— Sì.

— E i Lunariti?

— Loro non c’entravano.

— Ma erano interessati al progetto?

— Non lo so. Ecco il motivo principale della mia incertezza e anche della mia paura. I Lunariti, quelli nati sulla Luna in particolare, hanno reazioni diverse da quelle dei Terrestri. Ignoro quali siano i loro progetti o le loro intenzioni. Non sono riuscito a scoprirlo.

— Ma che cosa possono fare? — domandò Gottstein, sempre più pensoso. — Avete motivo di supporre che vogliano farci del male? O che possano far del male alla Terra se ne avessero l’intenzione?

— Non sono in grado di rispondere alle vostre domande. Sono in gamba, molto intelligenti. Io ho l’impressione che siano incapaci di vero odio, come anche di vera paura. Ma forse è solo una mia impressione. Quello che mi preoccupa di più è quello che non so.

— Le apparecchiature scientifiche sulla Luna sono tutte in mano ai Terrestri, mi pare.

— Infatti, come il protosincrotrone. E così pure il radiotelescopio sulla faccia invisibile alla Terra, e il telescopio ottico da trecento pollici. Insomma, tutte le apparecchiature più grosse, installate già da una cinquantina d’anni.

— E dopo di allora cos’è stato fatto?

— Pochissimo, almeno da parte dei Terrestri.

— E da parte dei Lunariti?

— Non lo so. I loro scienziati lavorano nelle installazioni di gran mole che vi ho detto e in altre. Ma una volta ho controllato i cartellini orari e ho trovato delle lacune.

— Lacune?

— Passano molto tempo fuori da quelle istallazioni. Come se avessero dei laboratori personali.

— Ma non è ovvio, se fabbricano congegni miniaturizzati e prodotti biochimici?

— Sì, ma… Gottstein, non lo so. La mia ignoranza mi fa paura.

Seguì un lungo silenzio che Gottstein ruppe per dire: — Montez, suppongo che mi abbiate parlato così per farmi capire che devo stare attento e cercare di scoprire cosa stanno facendo i Lunariti?

— Più o meno — ammise Montez, impacciato.

— Però non siete nemmeno sicuro che stiano realmente facendo qualcosa.

— Non lo so, ma lo sento.

— È strano — riprese Gottstein. — Dovrei cercare di persuadervi che sono tutte impressioni dettate da un vostro timore… mistico, ma, è strano…

— Cosa?

— A bordo della nave che mi ha portato sulla Luna c’era un uomo… Voglio dire c’era un mucchio di gente, ma un viso, in particolare, mi ha colpito. Non gli ho parlato, non ne ho avuto l’occasione. Non ci avevo pensato più, ma le vostre parole hanno fatto scattare la molla del ricordo.

— E allora?

— Una volta ho fatto parte di un comitato relativo a certe faccende circa la Pompa Elettronica. Problemi di sicurezza. Come dite voi, la Terra si è infiacchita e tutti hanno paura di tutto. Be’, temevano per qualcosa in rapporto alla Pompa… È un bene, comunque, avere paura di qualcosa. I particolari mi sfuggono, ora, ma ricordo di avere visto quell’uomo che ho rivisto a bordo.

— Credete, che fosse importante?

— Non vi saprei dire. Però, associo quella faccia a qualcosa di preoccupante. Ci penserò sopra e un giorno o l’altro ricorderò. Casomai posso consultare l’elenco dei passeggeri, per vedere se un nome mi aiuta. Colpa vostra, Montez, mi avete messo una pulce nell’orecchio.

— Ne sono contento non dispiaciuto. Quanto a quell’uomo, potrebbe essere un qualsiasi turista che ripartirà fra quindici giorni. Ma sono contento che vi dia da pensare.

Gottstein pareva non lo ascoltasse. Mormorò: — Dev’essere un fisico o uno scienziato. Non so perché, ma lo associo a un pericolo.

4

— Salve! — esclamò allegramente Selene.

Il Terrestre si voltò e la riconobbe immediatamente — Selene! Dico giusto? Selene?

— Giusto. Pronuncia esatta. Vi state divertendo?

— Moltissimo — rispose serio il Terrestre. — Mi sto rendendo conto di quanto straordinario sia il nostro secolo. Fino a poco tempo fa ero sulla Terra, e mi sentivo stanco del mio ambiente e di me stesso. Poi ho pensato: “Be, se fossi vissuto cent’anni fa, l’unico modo di lasciare questo mondo sarebbe stato morire, invece adesso… posso andare sulla Luna”. — Sorrise, ma senza gaiezza.

— Siete più felice adesso che ci siete? — domandò Selene.

— Un poco. — Si guardò in giro. — Non avete un branco di turisti da curare, oggi?

— Oggi, no. È il mio giorno di libertà. Chissà, forse riuscirò ad averne due o tre. Il mio è un lavoro monotono.

— Che peccato, allora, che vi siate imbattuta in un turista proprio oggi!

— Non mi sono imbattuta, vi stavo cercando. E ho faticato a trovarvi. Non dovreste andarvene in giro da solo.

Il Terrestre la guardò con interesse.

— Perché mi cercavate? Vi piacciono i Terrestri?

— No — rispose lei con disarmante franchezza. — Mi danno la nausea. Non mi piacciono per principio, e avere a che fare con loro per lavoro non fa che peggiorare ulteriormente le cose.

— Eppure siete venuta a cercarmi, e non c’è niente sulla Terra… voglio dire sulla Luna, che possa convincermi che lo avete fatto perché sono giovane e bello.

— Anche se lo foste, sarebbe lo stesso. I Terrestri non m’interessano, come sanno tutti, eccetto Barron.

— Allora perché mi cercavate?

— Perché ci sono altri modi di essere interessanti e perché voi interessate a Barron.

— Chi è? Il vostro ragazzo? Un amico?

Selene rise: — Barron Neville. È molto più di un ragazzo e anche di un amico. Quando ne abbiamo voglia ce la spassiamo insieme.

— È quello che intendevo dire. Avete bambini?

— Un maschio di dieci anni. Vive quasi sempre nella sezione ragazzi. E, per risparmiarvi la prossima domanda, aggiungo che non è figlio di Barron. Può darsi che avrò un figlio anche da Barron, se saremo ancora insieme quando… se mi verrà dato il permesso di avere un secondo figlio. Ma sono sicura che me lo daranno.

— Siete molto franca.

— Riguardo ad argomenti che non considero segreti? Certo… Ma cosa vi piacerebbe fare adesso?

Stavano camminando lungo un corridoio dalle pareti di roccia color latte, nella cui superficie levigata erano incastonate schegge di “gemme lunari” che si trovavano facilmente in molte zone della superficie. Selene calzava sandali che sfioravano a malapena il terreno, mentre lui portava stivali dalla pesante suola di piombo che lo aiutavano a camminare con relativa facilità.

Il corridoio era a senso unico. Di tanto in tanto venivano sorpassati da un piccolo e silenzioso veicolo elettrico.

Il Terrestre rispose: — Che cosa avrei voglia di fare, dite? Be’, è un invito a raggio talmente ampio!… Non vorreste porvi qualche condizione limitativa in modo che io non possa offendervi, anche senza volerlo?

— Siete un fisico?

Il Terrestre esitò. — Perché me lo domandate?

— Per sentire cosa mi rispondete. Lo so che siete un fisico.

— Come fate a saperlo?

— Nessuno parla di “condizioni limitative”, se non lo è specialmente se la prima cosa che vuole vedere della Luna è il protosincrotrone.

— È per questo che mi cercavate? Perché sembro un fisico?

— È il motivo per cui Barron mi ha mandato a cercarvi. Perché lui è un fisico. Io sono venuta perché penso, che… siate fuori del comune, per un Terrestre.

— In che senso?

— Se andate in cerca di complimenti… non è un complimento. È solo che mi pare che i Terrestri non vi piacciano.

— Come fate a dirlo?

— Vi ho osservato mentre guardavate gli altri turisti. E poi io lo sento. Sono i Terragni a cui non piacciono gli altri Terragni quelli che tendono a rimanere sulla Luna. E questo mi riporta alla domanda di prima. Che cos’avete voglia di fare, adesso? E porrò le mie condizioni limitative… voglio dire, per quanto riguarda le cose che andremo a vedere.

— È strano, Selene — ribatté lui, lanciandole un’occhiata penetrante. — Avete un giorno di libertà e, dal momento che il vostro lavoro non vi dà nessuna soddisfazione, dovreste godervelo. Invece siete disposta a lavorare volontariamente per me… Solo perché v’interesso un pochino.

— Perché interessate a Barron. Lui ha da fare, adesso e non c’è niente di male se v’intrattengo io finché non sarà libero… E poi è diverso. Non lo capite? Il mio lavoro consiste nel guidare un branco di Terragni… Non vi offenderete se uso questo termine?

— Lo uso anch’io.

— Perché siete un Terrestre. Alcuni Terrestri lo considerano denigratorio e si offendono se lo usano i Lunariti.

— Volete dire se lo usano i lunatici?

Selene arrossì, poi disse: — Sì. Proprio così.

— Bene, allora non stiamo a scambiarci insulti. Su, continuate a parlarmi del vostro lavoro.

— Nel mio lavoro ci sono questi Terragni che devo sorvegliare perché non finiscano con l’ammazzarsi e a cui devo dire come muoversi e camminare, e devo badare che mangino e bevano secondo il manuale. E loro vedono le loro cosette, fanno le loro cosette, e io devo essere tremendamente materna e gentile.

— Orribile — commentò il Terrestre.

— Ma voi e io possiamo fare quello che preferiamo spero! Voi forse dovrete affidarvi alla sorte, ma io non dovrò soppesare ogni parola!

— Vi ho già detto che siete liberissima di chiamarmi Terragno.

— D’accordo. Allora, cosa vogliamo fare?

— Sapete già la risposta. Voglio visitare il protosincrotrone.

— Questo no. Forse Barron riuscirà a farvi ottenere un permesso in seguito.

— Be’, se non posso visitare il protosincrotrone, non so cos’altro ci sia da vedere. So che il radiotelescopio è sull’altra faccia della Luna, e poi non è una novità. Ditemi voi. I turisti-tipo cosa visitano?

— Un mucchio di cose. Ci sono le colture di alghe, per esempio, ma l’odore è tale che un Terragno… un Terrestre non lo apprezzerebbe molto. I turisti fanno già i difficili con i nostri cibi!

— Vi sorprende? Non avete mai assaggiato cibi terrestri?

— No, ma credo che non mi piacerebbero. Dipende da cosa si è abituati a mangiare.

— Già — convenne il Terrestre con un sospiro. — Se mangiaste una vera bistecca forse vi darebbero fastidio i nervi e il grasso.

— Potremmo andare in periferia dove stanno aprendo nuovi corridoi, ma dovreste indossare una tuta protettiva. Poi ci sono le fabbriche…

— Selene, lascio a voi la scelta.

— D’accordo, se prima risponderete sinceramente a una mia domanda.

— Non posso promettere prima di averla sentita.

— Dicevo che i Terragni a cui non piacciono i Terragni tendono a restare sulla Luna. Voi non avete negato. Avete intenzione di fermarvi sulla Luna?

Il Terrestre fissava le punte dei suoi goffi stivali. Poi disse: — Selene, ho faticato a ottenere il visto. Dicevano che ero troppo vecchio per affrontare il viaggio e che, se fossi rimasto qui troppo a lungo forse non sarei più riuscito a riadattarmi alla Terra. Così ho detto che avevo intenzione di restare per sempre sulla Luna.

— Eravate sincero?

— Allora ero incerto, ma adesso penso che rimarrò.

— È strano che vi abbiano concesso il visto, date le circostanze.

— Perché?

— In genere le autorità terrestri non hanno piacere che un fisico si trasferisca definitivamente sulla Luna.

— Quanto a questo, non ho avuto difficoltà — dichiarò il Terrestre, con una smorfia.

— Be’, allora, se volete diventare uno di noi, penso che dovreste visitare la palestra. I Terragni lo chiedono spesso, ma noi non li incoraggiamo, di solito, anche se non è vietato. Con gli immigranti è diverso.

— Perché?

— Be’, tanto per cominciare, noi facciamo ginnastica nudi o quasi. E perché non dovremmo? — si affrettò ad aggiungere in tono difensivo come per prevenire delle obiezioni. — La temperatura è controllata e l’ambiente pulito. Solo i Terrestri reagiscono in modo esagerato al nudo: o si eccitano o lo trovano indecente, o tutt’e due le cose insieme. Be’, noi non abbiamo voglia di vestirci in palestra per amor loro, e così, per evitare fastidi, facciamo a meno di portarceli.

— Ma gli immigranti?…

— Loro ci si devono abituare. Prima o poi dovranno spogliarsi anche loro, e hanno più bisogno di fare ginnastica dei Lunariti indigeni.

— Voglio essere onesto con voi, Selene: se vedo un nudo femminile mi ecciterò. Non sono così decrepito!

— Be’, eccitatevi pure — disse lei, con indifferenza. — Ma per conto vostro. D’accordo?

— Dobbiamo spogliarci anche noi? — domandò lui, guardandola con divertito interesse.

— Come semplici spettatori non è necessario. Voi vi sentireste a disagio e per noi non costituireste certo un bello spettacolo!

— Siete schietta!

— Credete forse che lo spettacolo sarebbe bello? Siate onesto. E poi, per quanto mi riguarda, non ho voglia di aggravare la tensione del vostro eccitamento… privato. Perciò è meglio restare vestiti tutti e due.

— Nessuno protesterà? Voglio dire per il fatto che sarò là come Terragno di aspetto non proprio gradevole.

— Se ci sarò anch’io, no.

— Allora d’accordo. È lontano?

— Ci siamo. Quella è l’entrata.

— Ah! Avevate già programmato di condurmi qui.

— Ho solo pensato che poteva essere interessante.

— Perché?

Selene sorrise all’improvviso. — Così, solo un pensiero.

Il Terrestre scosse la testa. — Comincio a credere che voi non abbiate mai solo un pensiero. Lasciatemi indovinare. Se devo rimanere sulla Luna, avrò bisogno di fare spesso ginnastica, per conservare in forma, forse, muscoli, ossa e tutti gli altri miei organi.

— Vero. Facciamo tutti ginnastica, ma gli immigrati devono farla. Arriverà il giorno in cui la palestra sarà per voi un noioso dovere quotidiano.

Erano davanti a una porta. Quando l’ebbero varcata, il Terrestre si fermò, sbalordito. — Questo è il primo posto che mi ricorda la Terra!

— In che senso?

— Per la sua grandezza. Non sapevo che ci fossero locali così grandi sulla Luna. Scrivanie, macchine da ufficio, donne sedute alle scrivanie…

— Donne a seno nudo — aggiunse Selene, seria.

— In questo, devo ammettere, non c’è nessuna somiglianza con la Terra.

— Abbiamo anche un pozzo di discesa e un ascensore per i Terragni. Ci sono molti piani… Ma aspettate.

Si avvicinò a una donna seduta a una delle scrivanie più vicine e scambiò qualche parola con lei, mente il Terrestre si guardava in giro con curiosità non invadente.

Selene tornò. — Nessuna difficoltà. Pare che stia per cominciare una mischia. Sarà bella, conosco le squadre.

— Questo posto è davvero imponente.

— Se alludete all’ampiezza, non è sufficiente. Abbiamo tre palestre. Questa è la più grande.

— In un certo senso mi fa piacere che nell’ambiente lunare, così spartano, vi permettiate il lusso di sprecare tanto spazio per una frivolezza.

— Frivolezza? — ripeté Selene con aria offesa. — Quale frivolezza?

— Avete parlato di una mischia… Un tipo di gioco, no?

— Chiamatelo pure gioco. Sulla Terra lo fate per sport: dieci uomini in azione, diecimila che li stanno a guardare. Sulla Luna è diverso. Quello che per voi è una frivolezza, un passatempo, per noi è una necessità… Da questa parte. Prenderemo l’ascensore, il che significa che forse ci toccherà aspettare un poco.

— Non volevo farvi arrabbiare.

— Non sono arrabbiata, però voi dovete essere ragionevole. Voi Terrestri avete avuto modo di abituarvi alla gravità del pianeta da trecento milioni di anni, cioè da quando il primo anfibio si è arrampicato sulla terraferma. Anche se non fate ginnastica, vivete abbastanza bene lo stesso. Ma qui sulla Luna noi non abbiamo avuto tempo di adattarci alla gravità.

— Però avete un aspetto diverso da noi.

— Se foste nato e cresciuto in un ambiente con gravità pari a quella lunare, le vostre ossa e i vostri muscoli sarebbero per forza di cose più lunghi e meno massicci che sulla Terra. Ma si tratta di uno solo dei tanti particolari. Non esiste una sola funzione fisiologica… digestione, secrezioni ormonali e così via, che non risenta della forza di gravità e che non richieda, per essere equilibrata, esercitazioni adatte. Se poi riusciamo a trasformare queste esercitazioni in ginnastica, divertimento e giochi, tanto meglio, ma non significa che siano dei passatempi frivoli… Ah, ecco l’ascensore.

Il Terrestre arretrò, un po’ allarmato, ma Selene, impaziente, lo incitò a prender posto. — Adesso, come tutti i Terragni, mi direte che vi sembra un canestro di vimini! Be’, data la forza di gravità della Luna, non è assolutamente necessaria una cabina più solida.

— Immagino che non venga molto usato — disse il Terrestre.

Selene, sorrise: — Avete ragione. — Erano soli a bordo, e la cabina, prese a scendere lentamente. — La caduta frenata è più usata, perché è più divertente.

— In che cosa consiste?

— Il nome stesso ve lo dice… Eccoci arrivati. Sono solo due piani… Si tratta di un condotto verticale, dotato di appigli per salire e scendere. Ma sconsigliamo i Terragni dal servirsene.

— Perché è troppo rischioso?

— Di per se stesso non lo è, in quanto si può salire o scendere come su una scala a pioli. Però ci sono sempre i ragazzini che si lanciano a gran velocità, e i Terragni non sono abbastanza abili da evitarli. E così succedono scontri con spiacevoli conseguenze. Ma col tempo vi ci abituerete anche voi. Quello che vi mostrerò adesso è un condotto piuttosto largo, ideato apposta per le mischie.

Guidò il compagno verso un parapetto circolare al quale stavano appoggiate parecchie persone che chiacchieravano tra loro. Erano tutti praticamente nudi. Molti calzavano sandali, o avevano una borsa a tracolla.

Il Terrestre si protese a guardare. Sotto di lui si apriva un ampio pozzo cilindrico dalle pareti lisce dipinte in rosa e interrotte da sbarre metalliche disposte a caso. Talune erano corte, altre attraversavano diametralmente l’apertura. Il pozzo aveva una profondità di centoventi, centocinquanta metri, e un diametro di quindici circa.

La presenza del Terrestre non suscitò particolare attenzione. Qualcuno l’aveva guardato distrattamente, mentre passava, qualche altro aveva salutato con un cenno o un sorriso Selene. Ma tutti avevano subito distolto gli occhi. Quel disinteresse, così ostentato, aveva un che di offensivo.

Il Terrestre riportò la sua attenzione al pozzo. Sul fondo scorse delle figure, schiacciate dalla prospettiva. Notò che alcune indossavano un succinto indumento rosso, altre blu. Dovevano essere i componenti le due squadre. Quegli indumenti avevano una funzione utilitaristica e protettiva: erano sandali, guanti e fasce intorno ai gomiti e alla ginocchia. Alcuni avevano anche un perizoma, altri una fascia intorno al petto.

— Ah — mormorò il Terrestre. — Uomini e donne!

— Proprio così — convenne Selene. — I due sessi gareggiano su un piede di parità, e le fasce servono solo a evitare il dondolìo incontrollato di parti che potrebbero intralciare i movimenti. Inoltre, esiste una differenza tra i sessi relativa ai punti vulnerabili al dolore. Vedete dunque che non si tratta di pudore.

Intanto, due figure stavano rapidamente salendo dal fondo del pozzo, diametralmente opposte, e un sommesso rullare di tamburi accompagnava i loro movimenti. In principio i due salirono attaccandosi alle maniglie, poi presero velocità e a metà si limitavano ad appoggiarvi una mano, via via che ne incontravano una.

— Sulla Terra una cosa simile sarebbe impossibile — ammise il Terrestre.

— Non si tratta solo di gravità inferiore — disse Selene. — Provare per credere. Per salire con tanta rapidità e tanta grazia bisogna fare ore ed ore d’esercizio.

I due raggiunsero il parapetto e si rigirarono a testa in giù con un guizzo fulmineo, rituffandosi per scendere.

— Caspita, come sono veloci! — esclamò il Terrestre.

— Uhm — osservò Selene mentre intorno si levava un applauso. — Credo che i Terrestri, quelli che non sono mai venuti sulla Luna, siano convinti che qui ci si sposti solo in superficie e con addosso le tute spaziali. Il che, ovviamente, rende i movimenti goffi e lenti.

— Proprio così — disse il Terrestre. — Ho visto il film dei primi astronauti, che proiettano in tutte le scuole elementari, e pareva che camminassero sott’acqua. E nonostante tutti sappiano che adesso le cose sono cambiate, l’impressione suscitata da quei primi filmetti è sempre tale che molti sono convinti che sulla Luna siate rimasti fermi a quel punto.

— E invece rimarreste tutti meravigliati nel constatare come oggi sia possibile spostarsi rapidamente in superficie, anche con le tute e gli apparecchi respiratori — dichiarò Selene. — Qui sottoterra, poi, avete avuto modo voi stesso di vedere che ci muoviamo con scioltezza e rapidità. Basta saper adoperare i muscoli e si annullano gli svantaggi della gravità ridotta.

— Però siete anche capaci di muovervi lentamente — osservò il Terrestre, che non aveva distolto lo sguardo dagli acrobati.

Questi, dopo esser saliti velocemente, stavano scendendo con deliberata lentezza, fluttuando, toccando gli appigli più per ritardare la caduta che non per darsi una spinta come avevano fatto salendo. Appena i primi due furono giunti sul fondo, vennero sostituiti da un’altra coppia, e così via, in una gara di destrezza e di virtuosismo.

Tutte le coppie salivano all’unisono, per sbizzarrirsi poi nella discesa con complicati giochi di equilibrio. Una coppia si staccò simultaneamente dall’appiglio, con un colpo di tallone, passò al di sopra di una sbarra trasversale con una bassa parabola, sfiorandosi senza toccarsi, e ciascun componente andò ad afferrare l’appiglio che l’altro aveva appena lasciato. Fu uno scrosciare di applausi.

— Non sono abbastanza esperto per apprezzare la loro bravura — dichiarò il Terrestre. — Sono tutti Lunariti indigeni?

— Per forza! La palestra è aperta a tutti i Lunariti e, anche alcuni immigrati si comportano proprio benino, per arrivare a virtuosismi come questi bisogna essere nati e cresciuti qui. Gli indigeni hanno il fisico adatto, più di quanto lo abbiano i nati sulla Terra, e inoltre si esercitano fin da piccoli. La maggior parte di quelli che si esibiscono oggi non hanno superato i diciott’anni.

— Però mi pare che siano esercizi piuttosto pericolosi, nonostante la gravità inferiore.

— Qualche osso rotto ogni tanto, ma non credo che si siano mai verificati incidenti mortali. Per quanto ne so, il più grave è stato la frattura della colonna vertebrale di un atleta che è rimasto paralizzato. È stata una cosa terribile, l’ho vista accadere con i miei occhi… Oh, guardate, adesso ci sono i liberi.

— I cosa?

— Fino a ora abbiamo visto esercizi obbligati, con movimenti stabiliti da regole fisse.

Il rullio dei tamburi si attenuò, mentre un atleta, che era salito a metà pozzo, si lanciò nel vuoto, afferrò una sbarra trasversale, vi ruotò intorno in verticale e poi la lasciò andare.

— Stupefacente — commentò il Terrestre. — Quei volteggi sulla Terra li fanno solo i gibboni.

— Cosa sono?

— Scimmie, anzi, l’unica specie di scimmia che esista ancora allo stato selvatico, sono… — S’interruppe notando l’espressione di Selene, per affrettarsi ad aggiungere: — Non volevo offendere nessuno. I gibboni sono creature agilissime, piene di grazia.

— Ho visto delle foto di scimmie — disse seccamente lei.

— Ma non avete certamente visto i gibboni in movimento. Vi assicuro che il paragone non voleva essere insultante, tutt’altro! — Appoggiò i gomiti alla ringhiera seguendo i movimenti degli atleti che sembravano danzare nel vuoto. — Come trattate gli immigranti qui sulla Luna? — domandò poi. — Parlo di quelli che vengono per non tornare più sulla Terra. Poiché non possiedono le doti innate dei Lunariti…

— Non ci sono differenze. Gli Immi sono cittadini come gli altri. Non esistono discriminazioni legali.

— Perché dite discriminazioni legali?

— Be’, l’avete detto voi. Ci sono cose che non possono fare. Esistono delle differenze. Hanno problemi medici diversi dai nostri e il loro fisico è meno resistente. E, se vengono qui in età matura, sembrano dei vecchi.

Il Terrestre distolse lo sguardo, imbarazzato. — Sono permessi i matrimoni misti tra Terrestri e Lunariti?

— Certo. Mio padre, per esempio, era un immigrato, mentre mia madre era nata sulla Luna.

— Immagino che vostro padre fosse venuto qui… Oh, santo cielo!…

Si aggrappò alla ringhiera trattenendo il fiato. — Temevo che mancasse l’appiglio.

— Niente paura. Quello è Marco Fore. È uno dei suoi trucchi, afferrare l’appiglio all’ultimo momento. A dire il vero adesso non è molto in forma, e un vero campione non ricorre a questi giochetti. Però… Mio padre aveva ventidue anni quando venne sulla Luna.

— Immagino che sia l’età migliore. Ancora abbastanza giovani per adattarsi al nuovo ambiente e non avere troppi legami sentimentali con la Terra. Dal punto di vista del maschio terrestre medio, credo che sia eccitante avere dei rapporti sessuali con…

— Rapporti sessuali? — l’espressione divertita di Selene nascondeva male il disgusto. — Non penserete che mio padre abbia avuto rapporti sessuali con mia madre! Se mia madre vi sentisse, vi farebbe correre!

— Ma…

— Fecondazione artificiale per grazia del cielo! Sesso con un Terrestre?

— Non dicevate che non esistono discriminazioni?

— Non si tratta di discriminazioni, ma di realtà fisica. Un Terrestre non riesce ad adattarsi del tutto all’attrazione gravitazionale. Per quanto esperto, nell’impeto della passione potrebbe tornare ai gesti cui è abituato. È un rischio che non mi piacerebbe correre. Nella confusione, ci potrebbe scappare un braccio o una gamba rotta. La mescolanza dei geni è una cosa, il sesso un’altra.

— Scusate, ma la fecondazione artificiale non è proibita dalla legge?

Fissando con sguardo assorto gli atleti, lei disse: — Ecco di nuovo Marco Fore. Quando non vuole strafare, è davvero in gamba, e sua sorella è brava come lui. A vederli lavorare insieme sono un poema d’armonia e di sincronismo. Lui a volte esagera un po’, ma ha un perfetto controllo dei muscoli… Sì, la fecondazione artificiale è vietata dalle leggi terrestri, ma è permessa quando sia necessaria per motivi clinici, il che, non occorre dirlo: è sempre il caso in questione.

Tutti gli acrobati erano saliti sulla sommità del pozzo e s’erano disposti in cerchio appena sotto il parapetto, i rossi da una parte e i blu dall’altra. Una piccola folla plaudente si era raggruppata attorno alla ringhiera.

— Dovreste mettere dei posti a sedere — osservò il Terrestre.

— Perché? Questo non è uno spettacolo, ma un esercizio fisico. Se a qualcuno interessa guardare, può appoggiarsi al parapetto. Non è un posto da spettatori, questo, ma una palestra, e noi dovremmo essere nel pozzo e non fuori.

— Come? Anche voi fate questi esercizi, Selene?

— Certo, tutti i Lunariti li fanno, anche se in diversa misura. Io non ho mai fatto parte di nessuna squadra… Ecco, adesso ci sarà una gara di discesa collettiva, è l’esercizio più pericoloso. Ogni squadra deve cercare di mantenersi in aria il più possibile, cercando di far cadere gli avversari. Guardate!

Il rullio dei tamburi pareva adesso un rombo di tuono, e ciascun membro delle due squadre si staccò dagli appigli saettando come una freccia. Ci fu un momento di gran confusione a mezz’aria, ma, quando l’intreccio dei corpi si districò, ciascuno era saldamente ancorato a una sbarra. Ci fu un altro momento di tensione, nell’attesa, poi uno si lanciò e un secondo lo seguì e il centro del pozzo fu di nuovo un vorticare di corpi volanti. Il gioco si ripeté più volte.

— Le regole sono complesse — spiegò Selene. — Ogni lancio vale un punto e così pure ogni appiglio. Due punti di penalità se l’appiglio è mancato, dieci a chi atterra. Poi ci sono altri falli, penalizzati in modo vario.

— Chi segna i punti?

— Ci sono gli arbitri e comunque tutta la gara viene filmata, in caso di controversie. Ma anche così, a volte, è difficile decidere.

Il gioco si andava riscaldando. Il Terrestre rinunciò a cercare di dare un senso a tutte quelle piroette e a quei volteggi complicati. A volte un atleta mancava l’appiglio, altre, gli spettatori si sporgevano tanto che sembrava volessero gettarsi anche loro nel pozzo. Una volta un avversario afferrò Marco Fore per un polso e qualcuno gridò: — Fallo!

Fore mancò un appiglio e precipitò. Agli occhi del Terrestre, data la gravità lunare, la caduta sembrava lenta, e il corpo snello di Fore piroettava alla ricerca di una sbarra su cui fermarsi, ma senza riuscirci. Gli altri atleti erano fermi, forse perché le regole esigevano così, quando uno cadeva.

Fore scendeva velocemente, adesso, sebbene fosse riuscito a rallentare più volte, sfiorando una sbarra. Era ormai quasi sul fondo, quando, con mossa fulminea, allungò la gamba destra e riuscì ad afferrarsi a una traversa: rimase appeso, dondolando, a testa in giù a meno di tre metri da terra. Rimase così, a braccia spalancate, finché durò il lungo applauso tributatogli dal pubblico, poi si rigirò, si mise ritto sulla sbarra e riprese a salire.

— È stato un fallo? — domandò il Terrestre.

— Se Jean Wong gli ha davvero afferrato il polso invece di spingerlo, era fallo. Ho visto che l’arbitro l’ha segnato. Marco però è sceso più del necessario. Gli piace interrompere la caduta in extremis, e un giorno o l’altro finirà col farsi del male… Oh, oh!

Il Terrestre alzò di scatto la testa a guardare cos’avesse, ma Selene non badava a lui. — C’è qualcuno dell’ufficio del Commissario che vi cerca — disse.

— Ma come…

— Non vedo chi altri potrebbe cercare voi.

— Ma non c’è motivo.

Tuttavia il nuovo venuto, che era indubbiamente un Terrestre o un immigrato e che pareva a disagio in mezzo ai corpi nudi dei Lunariti, stava dirigendosi verso di lui.

— Signore — disse — il Commissario Gottstein vi prega di seguirmi…

5

L’alloggio di Barron Neville era meno elegante di quello di Selene. C’erano libri sparpagliati qua e là, il computer, personale, in mostra nel suo angolo, e un’ampia scrivania in disordine. Le finestre, infine, erano cieche.

Selene entrò, incrociando le braccia e disse: — Se vivi in un porcile, Barron, come puoi pretendere di avere le idee chiare e ordinate?

— Mi arrangio — rispose lui, brusco. — Come mai non hai portato con te il Terrestre?

— Il nuovo Commissario è arrivato prima di me.

— Gottstein?

— Sì. Ma tu, perché non ti sei fatto vivo prima?

— Le ricerche sono lunghe e complesse. Sai che non mi piace lavorare male.

— Be’, allora dovremo pazientare — commentò lei.

Neville si mordicchiò un’unghia, esaminò il risultato con molta attenzione, e poi disse: — Non so se la situazione dovrebbe piacermi, o no… Tu cosa ne pensi di quell’uomo?

— A me piace — dichiarò Selene in tono deciso. — È piuttosto simpatico, tenendo conto del fatto che è un Terragno. Si è lasciato guidare, ha dimostrato interesse, non ha espresso giudizi né si è dato arie di superiorità. E io mi sono comportata bene e ho evitato di insultarlo.

— Ha fatto altre domande sul sincrotrone?

— No, non ne aveva bisogno.

— Perché?

— Gli ho detto che tu volevi vederlo, e gli ho spiegato che sei un fisico. Quindi, suppongo che chiederà a te tutto quello che vuole sapere, quando vi vedrete.

— Non ti pare strano che abbia attaccato discorso proprio con una guida che ha un amico fisico?

— Perché strano? Gli ho detto che andiamo a letto insieme e non c’è niente di strano che a un fisico piaccia una guida turistica.

— Smettila, Selene.

— Oh, senti, Barron! Secondo me, se quel tizio aveva dei piani e se mi ha avvicinato allo scopo di poter arrivare fino a te, sarebbe stato teso, ansioso. Più un complotto è stupido e complicato, più i cospiratori sono tesi e ansiosi. Io ho fatto di tutto per comportarmi in modo normale. Gli ho parlato di tutto fuorché del sincrotrone. L’ho portato in palestra.

— E lui?

— Si è molto interessato ai nostri esercizi. Era calmo, rilassato e si divertiva. Qualsiasi cosa abbia in mente, sono certa che non è niente di losco e complicato.

— Sei sicura? Però il Commissario è arrivato prima di te. Ti pare bene?

— Non vedo perché dovrei considerarlo un male. Un aperto invito a una riunione, fatto alla presenza di parecchi Lunariti, non mi pare una cosa sospetta.

— Selene, ti prego, non insistere a voler giudicare quando non te lo chiedo. Diventi irritante. In primo luogo quell’uomo non è un fisico. Sai cos’è in realtà?

— Io gli ho detto che era un fisico e lui non ha ammesso né negato — rispose Selene dopo averci pensato su. — Eppure… eppure sono sicura che lo è.

— La sua è una bugia per omissione, Selene. Può darsi che gli piaccia la fisica, ma non ha svolto studi né lavoro da fisico. Sono certo che ha fatto studi scientifici, ma non lavora in campo scientifico. Anche se volesse, non ci riuscirebbe: nessun laboratorio terrestre gli offrirebbe un posto. È sulla lista nera di Fred Hallam, e tu sai che tipo è Hallam.

— Ne sei sicuro?

— Credimi, ho controllato. Mi hai criticato perché ero in ritardo… Be’, quello che ho saputo è troppo bello per essere vero.

— Perché troppo bello? Non capisco dove vuoi arrivare.

— Non ti pare che dovremmo fidarci di lui? Dopo tutto ha seri motivi di rancore nei confronti della Terra.

— Se quello che hai scoperto è vero, possiamo fargli credito.

— Sì, quello che ho scoperto, è vero, almeno nel senso che cercando, ho scoperto quanto ti ho detto. Ma chi dice che non sia tutto predisposto a questo fine?

— Barron, sei disgustoso! Possibile che tu veda cospirazioni dappertutto? Ben non mi pare…

— Ben? — ripeté Neville, sardonico.

— Ben! — confermò lei, decisa. — Ben non mi pare roso dal rancore né tanto meno uno che reciti la parte di quello che deve apparire roso dal rancore.

— No, ma è riuscito a rendersi simpatico. L’hai detto tu, no? Con enfasi. Forse l’ha fatto apposta.

— Sai bene che non è facile ingannarmi.

— Be’, aspetterò a giudicare quando l’avrò conosciuto.

— Oh, va’ al diavolo, Barron! Ho conosciuto migliaia di Terragni di tutti i generi. È il mio lavoro. E tu non hai il minimo motivo di considerare con tanto sarcasmo i miei giudizi. Sai invece che puoi fidarti ciecamente di me.

— Vedremo. Non arrabbiarti. È che dobbiamo aspettare ancora… E intanto potremmo… Indovini cosa penso?

— Non m’interessa di saperlo — ribatté Selene allontanandosi da lui.

— Sei seccata perché ho messo in dubbio la tua capacità di giudicare la gente?

— Mi sono seccata perché… Oh, al diavolo, perché non cerchi di mettere un po’ d’ordine, in questa stanza? — E se ne andò.

6

— Vorrei potervi offrire qualche comodità terrestre, dottore — disse Gottstein — ma per una questione di principio non ho portato niente. I bravi abitanti della Luna si offendono se qualcuno venuto dalla Terra gode di un trattamento speciale. Per non urtare la loro suscettibilità mi è parso meglio adeguarsi alle abitudini locali finché è possibile. Temo però che il mio modo di camminare mi tradisca. La loro gravità è impossibile!

— Anch’io la penso così — disse il Terrestre. — Congratulazioni per il vostro nuovo incarico…

— Non è ancora mio, sapete?

— Congratulazioni lo stesso. Però, non posso fare a meno di chiedervi perché abbiate voluto vedermi.

— Eravamo compagni di viaggio. Siamo arrivati poco tempo fa sulla stessa nave.

Il Terrestre aspettò che si spiegasse meglio.

— E, inoltre noi ci conosciamo da molto tempo — continuò Gottstein. — Ci siamo incontrati anni fa, di sfuggita.

— Mi spiace, ma non ricordo…

— Non ne sono sorpreso. Non c’è motivo perché ve ne ricordiate. A quell’epoca io facevo parte dello staff del senatore Burt, che era allora, ed è tuttora, presidente del Comitato per la Tecnologia e l’Ambiente. Era l’epoca in cui egli faceva di tutto per tenersi buono Hallam… Frederick Hallam.

Il Terrestre parve irrigidirsi un poco sulla sedia.

— Conoscete Hallam?

— Siete la seconda persona che me lo chiede da che sono arrivato sulla Luna. Sì, l’ho conosciuto, non intimamente. E ho conosciuto altri che lo conoscevano. Cosa strana, la loro opinione coincideva con la mia. Per essere un uomo idolatrato da tutto il pianeta Hallam ispira pochissima simpatia quando lo si conosce di persona.

— Pochissima? Nessuna, credo.

Gottstein ignorò l’interruzione. — A quell’epoca il senatore mi aveva incaricato di fare ricerche sulla Pompa Elettronica per vedere se l’installazione avesse comportato sprechi o indebiti profitti. Questo era lo scopo ufficiale e legittimo, ma, detto tra noi, il senatore sperava di scoprire qualcosa che danneggiasse Hallam. Voleva ridurre il suo strapotere in campo scientifico e politico. Ma non vi riuscì.

— È evidente. Hallam è più potente che mai anche oggi!

— D’altra parte, non c’erano irregolarità che risalissero ad Hallam. È un uomo onesto fino all’eccesso.

— In un certo senso è vero. Il potere ha un valore di mercato che non sempre si misura in denaro.

— Comunque, quello che mi interessò allora, sebbene fosse una cosa che non seguissi io, fu l’incontro con una persona che avanzò un reclamo non contro Hallam, ma contro la Pompa Elettronica in sé. Ero presente al colloquio, ma non lo condussi io. Eravate voi, non è vero?

Il Terrestre rispose, circospetto: — Ricordo il fatto, ma non voi.

— Allora mi parve incredibile che qualcuno avesse da recriminare contro la Pompa su base scientifica. Mi avevate colpito, tanto che, rivedendovi, mi si ridestò qualcosa nella memoria. Poi ci ripensai e alla… fine, senza consultare la lista dei passeggeri, mi è tornato in mente anche il vostro nome. Non siete il dottor Benjamin Andrew Denison?

Il Terrestre sospirò. — Benjamin Allan Denison. Sì. Ma vi prego, Commissario, non ho voglia di rivangare il passato. Sono venuto sulla Luna con l’intenzione di ricominciare da capo. Accidenti, era meglio se cambiavo nome!

— Non sarebbe servito. Io vi ho riconosciuto dalla faccia. Siete liberissimo di rifarvi una nuova vita, dottor Denison, io non vi metterò bastoni tra le ruote. Tuttavia vorrei sapere una cosa che non vi riguarda direttamente. Non ricordo più il vostro reclamo contro la Pompa Elettronica. Potreste spiegarmi le ragioni della vostra ostilità di allora?

Denison chinò la testa. Il silenzio si prolungò e il Commissario Designato non lo interruppe: si trattenne persino dallo schiarirsi la gola.

Alla fine Denison disse: — In realtà non era niente. Solo una mia supposizione. Un certo timore circa l’alterazione dell’intensità del campo nucleare forte. Niente!

— Niente? — Stavolta Gottstein si schiarì la gola. — Vi prego di non seccarvi se cerco di capire. Vi ho detto che all’epoca mi avevate colpito. Non potei seguire la faccenda e non credo che riuscirei a scoprire qualcosa adesso, andando a spulciare negli archivi. Il senatore non riuscì nel suo intento e non è certo interessato a riaprire la questione. Però, io ricordo qualcosa. Non eravate un collega di Hallam, un tempo? Ma non eravate un fisico.

— È vero. Ero un radiochimico. Come lui, del resto.

— Interrompetemi se sbaglio, ma il vostro curriculum nei primi tempi era ottimo, vero?

— I giudizi di merito erano obiettivi. Io non mi ero montato la testa, però il mio lavoro mi piaceva e avevo ottenuto dei brillanti risultati.

— È davvero stupefacente come mi tornino in mente i ricordi. Hallam, invece, non era un gran che.

— Infatti.

— In seguito, però, le cose non vi andarono bene. Quando vi intervistammo… mi pare che vi foste presentato spontaneamente… lavoravate per una fabbrica di giocattoli.

— Cosmetici — corresse Denison con voce strozzata. — Cosmetici per uomini. Non era un lavoro che mi qualificasse.

— Già, purtroppo. Eravate un venditore.

— Direttore delle vendite. Ero sempre in gamba nel mio lavoro. Quando ho piantato tutto, ero vice presidente.

— C’entrò lo zampino di Hallam? Voglio dire col fatto che avevate abbandonato la ricerca scientifica.

— Commissario, vi prego! — esclamò Denison. — Sono cose che non hanno più la minima importanza. Io c’ero quando Hallam scoprì lo scambio del tungsteno ed ebbe inizio la catena di eventi che culminarono con la costruzione della Pompa Elettronica. Non saprei dirvi che cosa sarebbe successo, se non mi fossi trovato là in quel momento. Forse io e Hallam saremmo morti per avvelenamento da radiazioni nel giro di un mese o in un’esplosione atomica quindici giorni dopo. Non so. Invece, io ero là e, in parte per causa mia, Hallam è diventato quello che è adesso. E, a causa della parte da me avuta, io sono quello che sono adesso. Ma al diavolo i particolari. Siete soddisfatto? Spero di sì, perché non ho intenzione di dire altro.

— Sì, credo che mi basti. Dunque, allora avevate un certo risentimento nei confronti di Hallam?

— Certamente non gli ero affezionato a quel tempo. E non gli sono affezionato adesso, quanto a questo.

— Direste, quindi, che le vostre critiche alla Pompa Elettronica erano ispirate al desiderio di distruggere Hallam?

— Questo interrogatorio non mi piace — dichiarò Denison.

— Scusate. Tutto quanto stiamo dicendo resterà tra noi. Cerco di saperne di più, perché sono preoccupato per la Pompa e per certe altre faccende.

— Allora, se volete, pensate pure che io fossi emotivamente coinvolto. E che, perché detestavo Hallam, fossi disposto a credere che la sua grandezza e la sua popolarità avessero delle basi inconsistenti. E che studiassi la Pompa Elettronica nella speranza di trovarvi qualche punto debole.

— E quindi ne trovaste uno?

— No! — eslamò Denison, calando il pugno sul bracciolo della seggiola e spostandosi un poco in avanti per reazione. — Non “quindi”. Lo trovai perché c’era realmente… o così almeno pensavo. Potete star certo che non me lo inventai al solo scopo di denigrare Hallam.

— Non è questione di inventare, dottor Denison — obiettò Gottstein cercando di calmarlo. — Non mi sognerei mai di sottintendere una simile ipotesi. Però sappiamo tutti che quando si cerca di determinare qualcosa entro i confini del cognito, è necessario partire da determinati presupposti. I quali spaziano su un’area molto vasta di incertezze. Perciò si può andare in una direzione piuttosto che in un’altra, in tutta onestà ma secondo le… emozioni del momento. Sono certo che i vostri presupposti partivano dalla poca fiducia e dall’antipatia che nutrivate per Hallam.

— Questa è una discussione inutile. Commissario. All’epoca, secondo me, i miei presupposti partivano da una base valida. Però non sono un fisico. Sono, o meglio ero, un radiochimico.

— Anche Hallam lo era, il che non impedisce che oggi sia il più celebre fisico del mondo.

— Però continua a essere un radiochimico, e per di più in arretrato di venticinque anni.

— Con voi invece le cose sono andate diversamente. Ce l’avete messa tutta per diventare un buon fisico.

— Vedo che avete indagato a fondo su di me.

— Ve l’ho detto: mi avevate colpito. Ma passiamo ad altro. Conoscete un fisico che si chiama Peter Lamont?

— L’ho conosciuto tempo fa — ammise con riluttanza Denison.

— Lo giudicate brillante?

— Non lo conosco abbastanza per poterlo giudicare, e non voglio esprimere opinioni avventate.

— Ma direste che non è tipo da parlare a vanvera?

— A meno che non esistano prove contrarie, direi di no.

— Vi seccherebbe dirmi come avete conosciuto Lamont? Solo per sentito dire o di persona?

— Ho parlato alcune volte con lui, perché a quel tempo aveva intenzione di scrivere la storia della Pompa Elettronica. Il fatto che Lamont venisse da me mi lusingò… Al diavolo, Commissario, ero lusingato per il solo fatto che Lamont sapesse che esistevo! Ma non avevo molto da dirgli. A cosa sarebbe servito? Io non ci avrei guadagnato altro che scherni, e ne sono stufo, ormai, stufo di rimuginare sul passato, stufo di autocompassione!

— Sapete niente dell’attività di Lamont in questi ultimi anni?

— Dove volete andare a parare, Commissario? — domandò Denison, con cautela.

— Un anno fa, circa Lamont andò da Burt. Non lavoravo più per il senatore, all’epoca, ma ci vedevamo di tanto in tanto. Mi parlò della visita di Lamont. Era preoccupato. Secondo lui, Lamont aveva scoperto qualcosa di serio contro la Pompa, ma non riusciva ad approfondire la cosa. Anch’io me ne preoccupai.

— Quante preoccupazioni! — esclamò con sarcasmo Denison.

— Adesso però mi chiedo… se voi avete parlato con Lamont…

— Basta! Non una parola di più, Commissario. Vedo che state arrivando a un punto che io non voglio toccare. Se vi aspettate che vi dica che Lamont mi ha rubato l’idea, che una volta di più sono stato preso a calci, vi sbagliate. Torno a ripetervi che non avevo nessuna teoria valida, le mie erano solo supposizioni. C’era qualcosa che mi preoccupava, esposi quel reclamo, ne parlai, non fui creduto, mi persi d’animo e, poiché non avevo modo di dimostrare la validità della mia idea, rinunciai. Non ne accennai a Lamont, quando venne da me. Parlammo infatti solo delle origini della Pompa. Anche se le ipotesi che è arrivato a formulare in seguito avevano punti in comune con le mie, ci è arrivato per conto proprio. E si tratta di ipotesi solide, basate su solide analisi matematiche. Non rivendico nessuna precedenza. Nessuna.

— Mi pare che conosciate la teoria di Lamont.

— Se ne è parlato in questi ultimi mesi. Lui non l’ha potuta pubblicare e nessuno lo prende sul serio, ma è circolata ugualmente. È arrivata persino a me.

— Capisco, dottore. Io, però, la prendo molto sul serio. Per me si tratta del secondo avvertimento, capite? Il rapporto relativo al primo, cioè il vostro, non è mai finito sotto gli occhi del senatore, in quanto allora stavamo dando la caccia a eventuali irregolarità finanziarie, e lui non aveva altro per la testa. E il capo della commissione di ricerca incaricato dal senatore giudicò le vostre ipotesi… scusatemi se ve lo dico, pazzesche. Io no. Quando Lamont ha riportato la questione sul tappeto, ne sono rimasto turbato. Avrei voluto parlargli, ma i fisici che ho interrogato…

— Compreso Hallam?

— No, lui non l’ho consultato. Ma quelli con cui ho parlato mi assicuravano che la teoria di Lamont era priva di fondamento. Nonostante ciò, ero deciso a cercarlo, quando mi hanno assegnato questo incarico. E poi ho incontrato voi. Adesso potete capire perché ho voluto parlarvi. Secondo voi, le teorie di Lamont e vostre sono valide?

— Volete dire che, se si continua a usare la Pompa Elettronica, il Sole e forse tutto questo braccio della Galassia finiranno per esplodere?

— Esatto.

— E come faccio a saperlo? La mia era una supposizione. Quanto alla teoria di Lamont, non l’ho studiata a fondo. Non è stata pubblicata. Ma, se anche l’avessi letta, la parte matematica sarebbe certamente superiore alla mia comprensione… E poi, cosa importa? Lamont non riuscirà mai a convincere nessuno. Hallam lo ha rovinato, come tanti anni fa ha rovinato me, e il pubblico non vede al di là della punta del proprio naso e ha molto più interesse a credere nella Pompa che nelle teorie sballate di uno sconosciuto. Ma figuratevi! Chi mai rinuncerebbe alla Pompa per dar credito a Lamont?

— Però voi non siete rimasto indifferente, vero?

— Be’, ammetto che non mi piace l’idea di saltar per aria tutti.

— Così siete venuto sulla Luna a fare qualcosa che il vostro antico nemico Hallam vi avrebbe impedito di fare sulla Terra.

— Anche a voi piace fare supposizioni — osservò Denison, a bassa voce.

— Vi pare? — ribatté con indifferenza Gottstein. — Forse anch’io sono brillante. Ebbene, la mia supposizione è esatta?

— Può darsi. Non ho rinunciato alla speranza di tornare alla scienza. Sarei contento di fare qualcosa per allontanare dal mondo lo spettro della distruzione, sia dimostrando che esiste davvero sia dimostrando che non esiste.

— Capisco. Passando ad altro dottor Denison, il mio predecessore, il signor Montez, mi ha detto che la Luna è all’avanguardia della scienza. Secondo lui, quassù c’è una quantità spropositata di cervelli.

— Può darsi che abbia ragione — disse Denison. — Non so.

— Può darsi che abbia ragione — convenne Gottstein, pensoso. — Se così fosse, non credete che sarebbe un inconveniente per i vostri propositi? Qualsiasi cosa possiate fare, gli uomini direbbero e penserebbero che siete riuscito a ottenerla solo grazie alle installazioni scientifiche lunari. Personalmente ve ne deriverebbe poco merito, anche se sarebbe ingiusto.

— Sono stufo della corsa alla fama, Commissario Gottstein. Cerco un interesse nella vita, più interesse di quanto avevo come vice-presidente della Ultrasonic Depilatories. Lo troverò tornando alla scienza e, se otterrò qualcosa, mi basterà la soddisfazione personale.

— Diciamo che a me questo non basterebbe. Se avrete dei meriti, vi saranno riconosciuti. E a me, come Commissario, dovrebbe essere possibile presentare i fatti alla comunità terrestre in modo che non siate privato di quanto vi spetta. Penso che siate abbastanza umano da desiderare ciò che vi spetta.

— Siete davvero gentile. E in cambio?

— Siete cinico. Ma non avete torto. In cambio voglio la vostra collaborazione. L’ex-Commissario Montez ha dei dubbi sul tipo di ricerche scientifiche effettuate sulla Luna. Le comunicazioni tra Terrestri e Lunariti lasciano a desiderare, mentre il coordinamento degli sforzi dei due mondi sarebbe utile per tutti. È comprensibile che vi sia diffidenza, ma se voi sarete in grado di fare qualcosa per dissiparla, per noi potrebbe essere della stessa utilità delle vostre eventuali scoperte scientifiche.

— Non penserete sul serio, Commissario, che io sia l’uomo ideale per dimostrare ai Lunariti che gli scienziati terrestri sono leali e ben disposti nei loro confronti!

— Non dovete confondere uno scienziato vendicativo con i Terrestri in generale, dottor Denison. Mettiamola così. Vi sarei grato se mi teneste al corrente delle vostre scoperte scientifiche, e in cambio io farò in modo che ne otteniate il merito dovuto. E, per poter capire a fondo le vostre scoperte, dato che io, non dimentichiamolo, non sono uno scienziato, mi sarebbe molto utile se voi me le spiegaste alla luce delle attuali condizioni della scienza qui sulla Luna. Siete d’accordo?

— Pretendete molto — disse Denison. — Esporre prematuramente dei risultati preliminari, sia per trascuratezza che per eccesso di entusiasmo, può danneggiare irreparabilmente una reputazione. Io detesto parlare di qualsiasi cosa con qualcuno, finché non ne sono più che sicuro. E la mia esperienza col Comitato, di cui voi facevate parte, m’incoraggia ad andare coi piedi di piombo.

— Vi capisco. — Gottstein era sincero. — Lascio a voi decidere se e quando sarà opportuno mettermi al corrente… Ma vi sto trattenendo troppo, mentre con tutta probabilità avrete voglia di andare a dormire.

Essendo questo un congedo, Denison uscì, e Gottstein lo seguì con lo sguardo pensoso.

7

Denison aprì la porta a mano. Esisteva un comando che l’apriva automaticamente, ma, non essendo ancora ben sveglio, non gli riuscì di trovarlo.

L’uomo brano, dall’espressione preoccupata, disse: — Scusatemi… sono venuto troppo presto?

Denison ripeté l’ultima parola per avere il tempo di mettere a fuoco le idee: — Presto?… No, sono io che mi sono svegliato tardi, credo.

— Avevamo un appuntamento. — Finalmente Denison capì. — Ah, siete il dottor Neville!

— Esatto. Posso entrare?

La stanza di Denison era angusta, occupata quasi per intero dal letto ora disfatto. Il ventilatore sibilava in sordina.

— Spero che abbiate dormito bene — disse Neville con formale cortesia.

Denison abbassò lo sguardo sul pigiama spiegazzato e si passò le dita tra i capelli scomposti — No — disse brusco. — Ho passato una nottata tremenda. Potete pazientare finché non mi sia reso un po’ più presentabile?

— Certamente. Volete che intanto vi prepari la colazione? Forse non vi siete ancora familiarizzato con gli elettrodomestici.

— Mi fareste un vero favore.

Tornò dopo una ventina di minuti lavato e rasato, in camiciola e calzoni. — Spero di non aver guastato la doccia — disse. — Non veniva più acqua e non sono riuscito a farla tornare.

— È razionata e non si può averne più di una determinata quantità. Siamo sulla Luna, dottore. Mi sono preso la libertà di preparare uova strapazzate e minestra calda per tutti e due.

— Uova…

— Noi le chiamiamo così, ma i Terrestri no, credo.

Denison fece: — Oh! — e, messosi a sedere, assaggiò con scarso entusiasmo la pastetta collosa che l’altro aveva definito “uova strapazzate”. Dominò una smorfia appena si fu messo in bocca la prima forchettata, ma la ingoiò eroicamente, facendola seguire da una seconda.

— Col tempo vi ci abituerete — disse Neville. — E poi è molto nutriente. Vi faccio notare che l’alto contenuto di proteine e la gravità ridotta faranno diminuire il vostro fabbisogno di cibo.

— Tanto meglio — mormorò Denison.

— Selene mi ha detto che avete intenzione di stabilirvi sulla Luna.

— Già — ammise Denison. — Però ho passato una notte così orribile che ha dato una forte scossa alla mia decisione.

— Quante volte siete caduto dal letto?

— Due… Ma ho sentito dire che è una cosa normale.

— Inevitabile, direi, per i Terrestri. Da svegli, potete concentrarvi in modo da regolare i movimenti adattandoli alla forza di gravità della Luna; ma nel sonno vi muovete come se foste sulla Terra. Per fortuna che, cadendo, non ci si fa male.

— La seconda volta ho dormito sul pavimento. Non mi ero accorto di essere caduto. Come diavolo si può ovviare a un simile inconveniente?

— Non dovete dimenticare di sottoporvi a periodici controlli della pressione sanguigna, della funzione cardiaca e così via, per esser certo che il cambiamento di gravità non influisca negativamente sul vostro fisico.

— Me l’hanno già raccomandato da più parti — rispose Denison con aria annoiata. — Nel corso del prossimo mese mi sottoporrò a diversi esami, e prenderò delle pillole.

— Bene — disse Neville, come a porre fine a un argomento banale — entro una settimana vi sarete probabilmente adattato… Ma avete anche bisogno di vestiario adatto. Questi calzoni non vanno bene e la camiciola è inutile.

— Spero che ci sia un posto dove posso rifornirmi di abiti.

— Certo. Se avete modo, di vederla quando è in libertà, Selene sarà ben felice di esservi utile, ne sono sicuro. Vi considera una persona simpatica e per bene, dottore.

— Sono lusingato che la pensi così. — Avendo ingollato una cucchiaiata di minestra, Denison aveva l’aria di non saper cosa fare del resto. A malincuore, si decise a finirla.

— Pensava che foste un fisico, ma naturalmente si sbagliava.

— Ho studiato radiochimica.

— Ma è molto tempo che non esercitate la vostra professione, dottore. Quassù non siamo poi isolati del tutto. Voi siete una delle vittime di Hallam.

— Sono tante da parlarne al plurale?

— E come no? Tutta la Luna è una vittima di Hallam.

— La Luna?

— Si fa per dire.

— Non capisco.

— Sulla Luna non ci sono Stazioni della Pompa Elettronica. Non ne sono state installate per mancanza di collaborazione da parte dei para-uomini che non hanno accettato i nostri campioni di tungsteno.

— Non vorrete dire, Neville, che sia colpa di Hallam.

— In senso negativo, sì. Perché solo il para-universo può dare l’avvio al funzionamento di una Pompa? Perché non anche noi?

— A quanto ne so, perché non possediamo le nozioni che ci consentono di prendere l’iniziativa.

— E sarà sempre così se continuerà a essere vietato far ricerche in materia.

— È vietato? — domandò sorpreso Denison.

— A conti fatti, sì. Il fatto che nessuno dei lavori necessari a far diffondere la conoscenza in materia trovi la dovuta priorità al protosincrotrone o in qualsiasi altra delle maggiori installazioni (tutte controllate dalla Terra e tutte sotto l’influenza di Hallam) equivale a dire che le ricerche in quel senso sono vietate.

Denison si sfregò gli occhi. — Temo che fra non molto avrò ancora bisogno di dormire… Scusatemi, con questo non voglio dire che mi annoiate. Ditemi, la Pompa Elettronica è davvero tanto importante per la Luna? Le batterie solari sono efficienti e sufficienti.

— Ma ci costringono a dipendere dal Sole, dottore. Cioè, ci legano alla superficie.

— Be’… Secondo voi, dottor Neville, perché Hallam sarebbe contrario?

— Dato che lo conoscete di persona, lo conoscete meglio di me. Tende sempre a comportarsi in modo che il pubblico ignori che la Pompa in realtà è una creazione dei para-uomini, mentre noi non siamo che degli esecutori, dei servi dei padroni. Ma se qui sulla Luna arrivassimo a capire quello che stiamo facendo, la data di nascita della tecnologia della Pompa saremmo noi a stabilirla, non più lui.

— Perché mi dite questo? — volle sapere Denison.

— Perché non voglio sprecare il mio tempo. Di solito, accogliamo a braccia aperte i fisici che vengono dalla Terra. Siamo tagliati fuori, qui sulla Luna, vittime di una politica terrestre che ci è deliberatamente avversa, e un fisico che ci viene a visitare serve se non altro a farci sentire meno isolati; un fisico immigrante poi, ci è molto più utile e siamo assai lieti di spiegargli la situazione e lo incoraggiamo a lavorare con noi. In fin dei conti, mi dispiace che non siate un fisico.

— Ma io non ho mai detto di esserlo! — esclamò irritato Denison.

— Però avete chiesto di visitare il sincrotrone. Perché?

— Ah, eravate preoccupato per questo? Caro signore, lasciate che vi spieghi. La mia carriera scientifica è stata stroncata moltissimi anni fa. Ho deciso di riabilitarmi, di dare un nuovo scopo alla mia vita… tenendomi il più possibile alla larga da Hallam. E dove posso essere più lontano da lui se non sulla Luna? Ho studiato da radiochimico, ma questa specializzazione non mi ha condizionato al punto da togliermi l’interesse e la capacità di dedicarmi ad altri studi. La branca più importante, oggi, è la para-fisica. Io ho fatto del mio meglio per studiarla, come autodidatta, con la sensazione che mi potesse offrire la speranza più concreta di riabilitarmi.

— Capisco — disse Neville, ma il tono era dubbioso.

— A proposito della Pompa Elettronica, avete sentito parlare della teoria di Peter Lamont?

— No — rispose Neville, scrutandolo. — Non credo di aver mai sentito nominare questo individuo.

— Già, non è ancora famoso, e probabilmente non lo diventerà mai… probabilmente per la stessa ragione per cui non lo diventerò io. Ha pestato i calli a Hallam… Il suo nome è salito alla ribalta di recente, e io gli ho dedicato qualche pensiero… come stanotte, per esempio, quando non riuscivo a dormire — e sbadigliò.

— E allora, dottore? — incalzò Neville. — Parlatemi di quell’uomo. Come si chiama?

— Peter Lamont. Ha formulato una teoria secondo cui l’uso continuo e indiscriminato della Pompa farà sì che la forte interazione nucleare diventerà fondamentalmente più intensa nello spazio del sistema solare, finché raggiunto un punto critico, subirà un cambiamento di fase che produrrà un’esplosione.

— Quante sciocchezze! Sapete a quanto ammonta il mutamento prodotto su scala cosmica dall’uso su scala umana della Pompa? Anche se siete un fisico dilettante non dovreste trovar difficoltà a capire che la Pompa non può produrre un mutamento apprezzabile nelle condizioni generali dell’universo durante il ciclo vitale del sistema solare.

— Credete?

— Ma certo! Voi no?

— Non ne sono sicuro. Lamont agisce sotto la spinta di forti rancori personali. L’ho conosciuto, sia pur di sfuggita, e mi ha fatto l’impressione di essere un uomo passionale ed emotivo. Considerando quello che gli ha fatto Hallam, è probabilmente trascinato dal rancore che lo domina.

— Siete sicuro che sia sul libro nero di Hallam? — obiettò Neville.

— Sono un esperto in materia.

— Non vi è passato per la mente che la diffusione di un dubbio come questo, e cioè che la Pompa potrebbe essere pericolosa, sarebbe un ottimo trucco per impedire alla Luna di installare delle Stazioni per conto suo?

— A costo di suscitare ostilità e allarme in tutto il mondo? Sarebbe come voler rompere delle noci facendo esplodere un’atomica. No, sulla sincerità di Lamont non vi sono dubbi. E aggiungo che, pur senza esser stato capace di formulare teorie, ebbi io pure gli stessi dubbi, anni fa.

— Perché anche voi eravate spinto dal rancore contro Hallam.

— Io non sono Lamont. Non reagisco come lui. A esser franchi, vi dirò che avevo la vaga speranza di approfondire la questione qui sulla Luna, senza l’interferenza di Hallam e lontano dall’emotività di Lamont.

— Qui?

— Sì. Pensavo di potermi servire del sincrotrone.

— Per questo vi interessa?

Denison annuì.

— Credete davvero di potervi servire del sincrotrone? Non sapete quante richieste arretrate ci sono?

— Pensavo di poter ottenere la collaborazione di qualche scienziato lunare.

Neville scoppiò a ridere scuotendo la testa: — Abbiamo le stesse vostre probabilità di accedervi… Però vi dirò cosa possiamo fare. Noi abbiamo delle installazioni nostre. Possiamo cedervi un po’ di spazio e anche l’uso di qualche strumento dei meno importanti. Voi ne farete l’uso che vorrete, ma forse ricaverete qualcosa.

— Pensate che mi sarebbe possibile avere i mezzi per fare delle osservazioni utili nel campo della para-teoria?

— Dipende dalla vostra abilità. Vi proponete di confermare la validità della teoria di quel Lamont?

— O la sua inattendibilità.

— Credo che la seconda sia l’ipotesi più probabile. Anzi, ne sono certo.

— È chiaro, no, che sono solo un fisico dilettante? E allora, come mai mi avete subito offerto di lavorare nei vostri lavoratori?

— Perché venite dalla Terra. Vi ho già detto che chi è disposto a lavorare qui è il benvenuto, anche se autodidatta. Non si sa mai… Selene garantisce per voi, e questo è un fatto a cui forse do più importanza di quanta non meriti. E poi, siamo tutti vittime di Hallam. Se volete riabilitarvi, noi vi aiuteremo.

— Scusatemi se sono cinico, ma voi cosa pensate di guadagnarci?

— Il vostro aiuto. Fra gli scienziati della Terra e quelli della Luna esiste una certa incomprensione. Voi siete un uomo della Terra venuto spontaneamente sulla Luna e potreste agire da intermediario, per il bene di tutti. Avete già preso contatto col nuovo Commissario e può darsi che, riabilitando voi stesso, riabiliterete anche noi.

— Volete dire che se mai riuscissi a indebolire l’influenza di Hallam ne trarrebbe beneficio anche la scienza lunare?

— Qualunque cosa farete, sarà certo utile… Ma forse adesso è meglio che me ne vada e vi lasci dormire. Fatevi vivo tra un paio di giorni; vedrò di sistemarvi in un laboratorio e anche — concluse dando un’occhiata in giro — di trovarvi un alloggio migliore.

Si scambiarono una stretta di mano, e Neville se ne andò.

8

— Immagino che sebbene il vostro incarico non sia stato dei più divertenti, tuttavia ora che dovete andarvene provate un briciolo di dispiacere — osservò Gottstein.

— Un grosso dispiacere, direi — confessò Montez con una eloquente alzata di spalle. — Specie quando penso alla forza di gravità terrestre, alla difficoltà di respirazione, al mal di piedi, al sudore… Sento che vivrò costantemente immerso in un bagno di sudore.

— Un giorno verrà anche il mio turno.

— Seguite il mio consiglio: non restate qui mai più di due mesi per volta. Non importa quel che possono dire i medici o quali esercizi isometrici vi consiglino di fare… tornate sulla Terra ogni sessanta giorni e restatevi per una settimana. Così sopporterete tutto meglio.

— Non lo dimenticherò… oh, dimenticavo, ho visto il mio amico.

— Quale amico?

— L’uomo che era a bordo con me quando sono arrivato qui. Mi pareva che avesse una faccia nota, e infatti non sbagliavo. Si chiama Denison, ed è un radiochimico. E quel che mi ricordavo di lui corrispondeva alla realtà.

— Davvero?

— Ricordavo una certa sua interessante irrazionalità, e ho cercato di sondarlo. Mi ha resistito, in modo molto astuto. Era razionale, talmente razionale da insospettirmi. Certi tipi di svitati dispongono di una razionalità che costituisce una specie di meccanismo di difesa.

— Signore! — esclamò Montez perplesso. — Temo proprio di non riuscire a seguirvi. Se non vi spiace, mi metto a sedere un momento. Fra il dover badare a che tutto sia impacchettato a dovere e pensare alla gravità terrestre, sono rimasto a corto di fiato… Di che irrazionalità stavate parlando?

— Una volta, tentò di spiegarci che l’uso delle Pompe Elettroniche era pericoloso. Secondo lui, avrebbero fatto esplodere l’universo.

— Sul serio? Ed è vero?

— Spero di no. Allora, fu mandato via alquanto bruscamente. Quando gli scienziati si occupano di qualche cosa ai limiti della comprensibilità, diventano molto suscettibili, sapete. Una volta, uno psichiatra che conoscevo lo definì il fenomeno del “Chi lo sa?”. Se niente di quel che fate vi porterà alla conoscenza che vi è utile, finirete col dire “Chissà cosa succederà”, e la fantasia vi dirà il resto.

— Sì, ma se i fisici si comportano a questo modo, anche se non tutti…

— Ma non si comportano così, almeno non ufficialmente. Esiste la responsabilità scientifica e le riviste specializzate badano bene a non pubblicare notizie cervellotiche… Ma per tornare a noi, la controversia è tornata a galla. Un certo Lamont è andato dal senatore Burt, da quel Chen che si autodefinisce un messia o che so io e da altri, insistendo a dire che potrà verificarsi un’esplosione cosmica. Nessuno gli ha creduto, ma la voce si è diffusa e ha finito col trovare credito.

— E questo tizio che è venuto sulla Luna ci crede?

— Credo di sì — ammise Gottstein con un ampio sorriso. — Diavolo, di notte, quando non riesco a dormire — fra l’altro continuo a cadere dal letto — arrivo a crederci anch’io. Forse lui pensa di poter esperimentare la sua teoria, qui.

— E allora?

— E allora lasciatelo fare. Gli ho fatto capire che lo avremmo aiutato.

— È rischioso — commentò Montez scuotendo la testa. — Non mi piace dare un sostegno ufficiale alle teorie cervellotiche.

— Sapete, esiste una sia pur minima possibilità che non sia poi tanto cervellotica. Il fatto importante è che se possiamo farlo restare qui sulla Luna, tramite suo possiamo arrivare a scoprire cosa sta succedendo qui. Non vede l’ora di essere riabilitato e io gli ho suggerito che poteva raggiungere lo scopo dandoci una mano… Farò in modo che siate tenuto al corrente, in via amichevole.

— Grazie — rispose Montez. — E addio.

9

Con espressione ingrugnita, Neville dichiarò: — No, non mi piace.

— Perché è un Terragno? — Selene si tolse un peluzzo dal seno e lo esaminò attentamente tenendolo fra due dita. — Non è della mia camicetta. L’ho sempre detto io, che il sistema di depurazione dell’aria funziona male.

— Quel Denison non vale una cicca. Non è un para-fisico. Ha qualche nozione dilettantesca in materia — a quanto racconta — e, per dimostrare la sua competenza, tira fuori delle idee assurde.

— Quali, per esempio?

— Dice che la Pompa potrebbe far esplodere l’universo.

— Davvero?

— Proprio così… Oh, sono obiezioni che ho già sentito non so quante volte! Ma non si tratta solo di questo… E poi sono tutte assurdità.

— Forse la pensi così perché vorresti che non fossero vere.

— Non cominciare!

— Be’, cosa vuoi farne, di lui? — tornò alla carica lei dopo una breve pausa.

— Lo sistemerò in qualche laboratorio. Non varrà niente come scienziato, ma potrebbe esserci ugualmente utile. Deve essere abbastanza conosciuto, se il Commissario ha già conferito con lui.

— Lo so.

— Mi ha raccontato una romantica storia, secondo cui gli hanno rovinato la carriera, e ora vorrebbe riabilitarsi.

— Sul serio?

— Certo. Sono sicuro che ti piacerà, e del resto, se lo metti sull’argomento, sarà felice di raccontartela. Anche questo è un bene. Il Terrestre romantico che lavora sulla Luna a un progetto pazzesco costituirà un magnifico motivo di preoccupazione per il Commissario, e ci servirà da paravento. E chissà che, tramite suo, non si riesca a sapere qualche cosa di più di quello che succede sulla Terra… Perciò sarà meglio che tu continui a mostrarti cordiale con lui, Selene.

10

La risata di Selene risuonò stridula negli auricolari di Denison. La tuta spaziale in cui era infagottata nascondeva la sua figuretta.

— Avanti, Ben, venite — incitò. — Non c’è da aver paura. Oramai siete un veterano. È un mese che vivete sulla Luna.

— Ventotto giorni — borbottò Denison che si sentiva soffocare nella tuta.

— Un mese — insisté Selene. — C’era la mezzaterra quando siete arrivato, e adesso c’è di nuovo mezzaterra — e così dicendo indicò la curva luminosa della Terra nel cielo meridionale.

— D’accordo, ma aspettate. Qui in superficie non sono così bravo a cavarmela come di sotto… E se casco?

— Non succede proprio niente. La forza di gravità è minima, il pendio dolce e la tuta robusta. Se doveste perdere l’equilibrio, lasciatevi cadere e rotolare. Fra l’altro, è molto più divertente scendere a questo modo.

Ma Denison non era per niente tranquillo. La superficie della Luna si stendeva bellissima alla fredda luce della Terra, tutta una sinfonia di bianchi e di neri. Un bianco tenue e delicato in confronto a quello delle zone illuminate dal Sole che aveva visto una settimana prima durante una gita fatta allo scopo di visitare le batterie solari installate nel Mare Imbrium. Anche il nero era più tenue e morbido non essendovi il contrasto della cruda luce del giorno. Le stelle avevano uno splendore incomparabile, e la Terra era così invitante, con le sue pennellate di bianco e di azzurro, fra cui comparivano qua e là tratti marrone.

— Bene — disse Denison — vi secca se mi aggrappo a voi?

— No di certo. Del resto, non risaliremo fino alla sommità, ma percorreremo solo un tratto del pendio adatto ai principianti: cercate di stare al passo con me. Camminerò lentamente.

I passi di Selene erano lenti, lunghi e ondeggianti, e lui cercava di imitarne il ritmo. Il pendio che stavano risalendo era coperto di polvere, e ad ogni passo Denison ne scalciava una nuvoletta che ricadeva subito nel vuoto. Riusciva a star al passo con Selene, ma a fatica.

— Bene — commentò lei tenendolo sottobraccio. — Vi comportate proprio benino, per essere un Terragno… scusate, un Immi.

— Grazie.

— Be’, non è che ci sia molta differenza. Immi, per Immigrante, è un epiteto spregiativo come Terragno per Terrestre. Devo ammettere che avete un buon carattere, per la vostra età.

— No! Questo è peggio ancora. — Denison ansimava e aveva la fronte sudata.

— Ogni volta che state per posare un piede, date una leggera spinta con l’altro — consigliò Selene. — Così i passi si allungano e camminare diventa più facile. No, non così… guardate me.

Denison fu ben lieto di fermarsi un momento, e guardò Selene, che, nonostante fosse impacciata dalla tuta, procedeva a passi aggraziati. Poi lei tornò indietro e gli si inginocchiò accanto.

— Su, adesso provate a muovere un passo… lentamente, e io vi batterò sul piede quando sarà il momento di calcare per darvi una spinta.

Dopo parecchi tentativi, Denison commentò: — È peggio che correre sulla Terra. Sarà meglio che riposi un po’.

— Va bene. La colpa è dei muscoli che non sono avvezzi ai movimenti coordinati. Fate fatica non per colpa della forza di gravità, ma per mancanza di coordinamento muscolare… D’accordo, mettetevi a sedere e riprendete fiato. Non ho intenzione di farvi salire molto più in alto.

— Se mi sdraio comprometto il funzionamento delle bombole?

— No, ma è meglio che non vi sdraiate. Mancano solo 120° allo zero assoluto, cioè siamo a 150° sottozero, e più piccola è la zona di contatto con il terreno, tanto meglio è. Io, se fossi in voi, mi limiterei a star seduto.

— Va bene. — Denison si mise a sedere col viso rivolto verso il nord.

— Guardate quelle stelle! — esclamò.

Selene si era messa anche lei a sedere, ad angolo retto rispetto a Denison, che, di tanto in tanto, quando la luce della Terra colpiva il visore a un’angolazione giusta, riusciva a vederla in faccia.

— Sulla Terra si vedono le stelle? — domandò lei.

— Non così. Anche quando non ci sono nuvole, l’atmosfera terrestre assorbe parte della loro luce. Le differenze di temperature nei diversi strati atmosferici le fanno sembrare tremule, e le luci delle città, anche se lontane, le offuscano.

— Dev’essere disgustoso!

— Vi piace stare qui in superficie, Selene?

— Non in modo folle, però non ho niente in contrario a venirci, qualche volta. Fa parte del mio lavoro accompagnare i turisti.

— E adesso l’avete fatto per me.

— Riuscirò mai a convincervi che con voi è diverso, Ben? E poi abbiamo un itinerario fisso per i turisti, breve e per niente interessante. Non penserete che li porti qui sullo scivolo, eh? Qui ci vengono i Lunariti e gli Immi. Anzi, più che altro gli Immi.

— Non deve attirarli molto, visto che ci siamo solo noi.

— Be’, non ci vengono tutti i giorni. Ma dovreste vedere quando ci sono le gare. Non vi piacerebbe, ve l’assicuro.

— Non credo che mi piaccia molto nemmeno adesso. Lo scivolo è uno sport da Immi?

— In genere sì. Ai Lunariti piace poco salire in superficie.

— E al dottor Neville?

— Per dir la verità non credo che sia mai venuto qui. È un vero cittadino, lui. Ma perché v’interessa saperlo?

— Quando ho chiesto di visitare le batterie solari, mi ha dato subito il permesso, però non mi ha accompagnato. Glielo avevo chiesto, per avere con me qualcuno in grado di fornirmi delucidazioni in materia, ma il suo rifiuto è stato netto.

— Spero che avrete trovato qualcun altro in grado di rispondere alle vostre domande.

— Oh, sì. Un Immi. Forse questo spiega l’atteggiamento del dottor Neville nei riguardi della Pompa.

— Come sarebbe a dire?

— Be’… — Denison si piegò all’indietro mettendosi ad agitare alternativamente le gambe. — Ehi, è divertente! Guardate, Selene… Volevo dire che Neville ci tiene tanto a installare una stazione di pompaggio, mentre per il fabbisogno locale sono sufficienti le batterie solari. Sulla Terra non possiamo usarle perché il Sole non è sempre presente, non è sempre limpido, e non irradia su tutte le lunghezze d’onda. In tutto il sistema solare non esiste un solo pianeta più adatto all’uso delle batterie della Luna. Anche Mercurio è troppo caldo. Ma, per adoperarle, bisogna dipendere dalla superficie, e se a voi non piace starci…

Selene si alzò di scatto in piedi, dicendo:

— Basta, avete riposato abbastanza, Ben. Su, su…

Lui si rialzò a fatica, continuando a parlare. — Una stazione di pompaggio, però, permetterebbe ai Lunariti di non salire mai in superficie, se non vogliono.

— Avanti, saliamo ancora un po’. Vedete quel dosso, più in alto, dove la luce della Terra viene tagliata in linea orizzontale?

Salirono in silenzio fino alla cima. Denison notò che ai lati il terreno era più liscio: un’ampia distesa in pendio, pressoché priva di polvere.

— È troppo liscio per un principiante — disse Selene rispondendo a una domanda inespressa del compagno. — Non cercate di essere troppo ambizioso, altrimenti finirete col chiedermi di insegnarvi anche il salto del canguro.

Così dicendo, saltò come un canguro, roteando su se stessa prima di ricadere. Poi esclamò: — Ecco qua! Mettetevi a sedere, mentre io sistemo…

Denison ubbidì, sedendosi con la faccia rivolta al pendio che osservò con aria incerta: — Siete davvero capace di scivolare fino in fondo?

— Ma certo! La forza di gravità ridotta fa sì che si prema meno sul terreno. Sulla Luna è sempre molto più facile scivolare. Per questo voi avete l’impressione che i pavimenti dei nostri alloggi siano mal rifiniti. Volete che vi tenga una piccola lezione sull’argomento, come ai turisti?

— No, grazie.

— E poi, naturalmente, si adoperano gli scivoli. — Stringeva in mano una piccola cartuccia a cui erano attaccati dei morsetti e un paio di tubi sottili.

— Che cos’è? — domandò Ben.

— Una bomboletta di gas liquido che emette un getto di vapore sotto la suola degli stivali. Il sottile strato di gas fra la suola e il terreno riduce l’attrito a zero, per cui ci si muove come se si fosse sospesi nel vuoto.

— Non mi va — disse Denison. — È uno spreco adoperare così il gas sulla Luna.

— Andiamo! Che gas credete che ci sia negli scivoli? Ossido di carbonio? Ossigeno? In questo caso, sì che sarebbe uno spreco! Si tratta di argon, disponibile a tonnellate nel suolo lunare, derivato da miliardi di anni di degradazione del potassio 40… L’argon serve a pochissimi usi sulla Luna. Potremmo adoperarlo per milioni di anni negli scivoli senza esaurire le scorte… Ecco fatto, vi ho sistemato gli scivoli. Adesso aspettate che metta i miei.

— Come funzionano?

— Automaticamente. Appena si comincia a scivolare il contatto fa uscire il gas. La riserva dura solo pochi minuti, ma sono sufficienti. — Si alzò e lo aiutò a rialzarsi in piedi. — Mettetevi di fronte alla discesa. Così! È un pendio molto dolce, coraggio, Ben, da qui il terreno sembra addirittura pianeggiante.

— No — protestò spaventato Denison — a me sembra ripidissimo.

— Macché! Adesso statemi bene a sentire e tenete a mente quello che vi dico. Tenete i piedi appena divaricati, uno pochi centimetri più avanti dell’altro. Non importa quale. Le ginocchia devono essere piegate. Non guardate indietro né in alto; se è necessario potete guardare di fianco. Soprattutto, quando sarete arrivato in fondo alla discesa, non cercate di fermarvi subito: perché la velocità è più alta di quanto sembri. Lasciate che il gas finisca, e l’attrito vi farà rallentare fino a fermarvi.

— Non sarò mai capace di ricordare tutte queste cose.

— Ma sì, invece! E poi io sarò al vostro fianco, pronta ad aiutarvi. Caso mai poi doveste cadere senza che riesca a impedirvelo, non fate niente; lasciatevi semplicemente andare, scivolando a ruzzoloni. Non ci sono sassi contro cui possiate urtare.

Denison deglutì a vuoto fissando la discesa: il pendio, rivolto a sud, scintillava alla luce della Terra, e le più piccole imperfezioni risaltavano nitide, facendo spiccare minuscole zone d’ombra, cosicché il terreno pareva macchiato. Il grande semicerchio della Terra solcava il cielo nero proprio davanti a lui.

— Pronto? — domandò Selene posandogli una mano guantata fra le scapole.

— Pronto — rispose Denison con un filo di voce.

— E allora… via! — disse lei dandogli una spinta. Denison cominciò a muoversi, dapprima lentamente. Si voltò vacillando, e lei gli disse: — Non preoccupatevi, sono qui di fianco a voi.

D’un tratto Denison non sentì più il terreno sotto i piedi. Il gas cominciava ad uscire. Per un momento gli sembrò di star fermo. Non c’era l’attrito dell’aria contro il corpo, né aveva la sensazione di scivolare. Ma quando tornò a voltarsi verso Selene, notò che al suo fianco le luci e le ombre fuggivano all’indietro a velocità crescente.

— Tenete gli occhi fissi sulla Terra finché la velocità aumenta — disse lei. — Più andrete forte, più sarete stabile. Piegate le ginocchia… Andate proprio benino.

— Per un Immi — ansimò Denison.

— Come va?

— Mi pare di volare. — Le luci e le ombre si confondevano ai suoi fianchi in un grigiore uniforme. Gli parve di perdere l’equilibrio e tornò a fissare la Terra. — Ma non è un paragone che possiate capire — aggiunse poi — dato che sulla Luna non si vola.

— No, non capisco. Volare deve essere come scivolare!

Denison andava ormai abbastanza forte da provare una sensazione di moto senza bisogno di guardare di fianco. Il panorama lunare che gli sfuggiva rapido ai lati, andava allargandosi davanti a lui. — Che velocità si può raggiungere con gli scivoli? — domandò.

— Durante una gara sono state cronometrate velocità superiori alle cento miglia orarie, su pendenze più forti di questa, naturalmente. Voi starete andando sulle trentacinque…

— A me pare di essere molto più veloce.

— No. Guardate, Ben, abbiamo raggiunto il piano e non siete caduto. Su, reggetevi… Il gas sta per finire e sentirete attrito. Non fate niente; continuate a lasciarvi andare.

Selene non aveva ancora finito di parlare che Denison cominciò a sentire una pressione sotto le suole. Gli parve che la velocità fosse improvvisamente aumentata e strinse forte i pugni per impedirsi di sollevare le braccia in un gesto istintivo di equilibrio. Sapeva che, se l’avesse fatto, sarebbe invece caduto disastrosamente.

Socchiuse gli occhi trattenendo il respiro finché gli parve di sentirsi scoppiare i polmoni, e poi sentì la ragazza che diceva: — Perfetto, Ben, perfetto. Non ho mai visto un Immi fare la sua prima discesa senza cadere. Perciò, se anche adesso doveste cadere, non ci sarebbe niente di male.

— Ma io non voglio cadere! — protestò Denison, che aspirò a fondo prima di riaprire gli occhi. La Terra era là davanti a lui, come prima, serena e indifferente. Lui stava rallentando, sempre più, sempre più…

— Sono fermo, Selene? — domandò. — Io non lo so.

— Sì, siete fermo. Non muovetevi. Dovete riposarvi prima che ci rimettiamo in cammino per tornare in città… Accidenti… L’ho lasciato qui da qualche parte quando siamo saliti…

Denison la guardò incredulo. Era salita e discesa con lui, ma mentre lui si sentiva esausto per la stanchezza e la tensione, ecco che Selene stava allontanandosi a grandi balzi da canguro. Era distante cento metri buoni quando sentì negli auricolari la sua voce che diceva: Eccolo! — risuonandogli nelle orecchie come se fosse a due passi da lui.

Tornò dopo un momento stringendo sottobraccio un voluminoso foglio di plastica ripiegato.

— Ricordate di avermi chiesto che cos’era mentre venivamo qui?… Vi avevo detto che l’avremmo adoperato prima di tornare — disse, aprendo il foglio e stendendolo sulla superficie polverosa della Luna.

— Si chiama “salotto lunare” — spiegò. — Ma noi lo chiamiamo semplicemente salotto perché tanto l’aggettivo è superfluo. — Inserì nel foglio una cartuccia e spinse una leva. Il foglio incominciò a gonfiarsi. — Prima che troviate da dire, vi avverto che anche questo è argon.

Il foglio si trasformò in un materasso sonetto da sei tozze gambe.

— Vi reggerà — disse Selene. — Ha pochissimo contatto col terreno e il vuoto che lo circonda mantiene il calore.

— Non vorrete dirmi che è caldo! — eslamò Denison.

— Man mano che esce, il gas si scalda, ma solo quanto basta per evitare che la vostra tuta isolata si raffreddi più in fretta di quanto voi non riusciate a mantenerla calda. Su, sdraiatevi!

Denison ubbidì, con enorme sollievo.

— Magnifico! — esclamò esalando un lungo sospiro.

— Mamma Selene pensa a tutto — commentò la ragazza.

Poi si mise a scivolare intorno a Denison ponendo un piede davanti all’altro come se avesse i pattini; quindi si sollevò e ricadde con grazia su un fianco e su un gomito, accanto a lui. Magnifico! — esclamò Denison. — Come fate?

— Ci vuol pratica. Voi non tentate di imitarmi. Vi rompereste un gomito. Se avrò freddo vi pregherò di farmi un po’ di posto sul divano. Ma intanto riposatevi finché il cuore non avrà ripreso il ritmo normale. Poi torneremo a casa. Se allungate le gambe dalla mia parte, vi toglierò gli scivoli. La prossima volta vi insegnerò a metterli e a toglierli da solo.

— Non sono tanto sicuro di aver voglia di riprovare un’altra volta.

— Proverete, proverete! Non vi siete divertito?

— Un po’. Ma avevo troppa paura.

— Ne avrete meno la prossima volta, finché a poco a poco la paura scomparirà del tutto. Farò di voi un vero scivolista.

— No, no, sono troppo vecchio.

— Non sulla Luna. “Sembrate” soltanto vecchio.

L’assoluta tranquillità della Luna si era comunicata a Denison. Guardava la Terra, la cui presenza nel cielo gli aveva dato, più di ogni altra cosa, un senso di stabilità mentre scivolava, e provò verso di essa un senso di gratitudine.

— Venite spesso, qui, Selene? — domandò. — Non coi turisti, intendo, né quando c’è qualche gara.

— Praticamente mai. A meno che non ci sia altra gente, questo è un po’ troppo anche per me. A dir la verità mi stupisco di quello che sto facendo.

— Davvero? — disse con indifferenza Denison.

— Non vi sorprende?

— Dovrei? Secondo me ognuno fa quel che fa o perché gli piace o per dovere, e comunque sia non è una cosa che mi riguardi.

— Grazie, Ben. Grazie di cuore. Mi fa piacere sentirvi parlare così. Una delle cose migliori in voi è che pur essendo un Immi, non ci criticate. Noi siamo abituati a vivere sotto terra, siamo dei cavernicoli… cosa c’è di male?

— Niente.

— A sentire i Terragni non si direbbe. E siccome sono una guida turistica, non posso fare a meno di sentire quello che dicono. Li ho sentiti ripetere un milione di volte le stesse cose, ma più di tutto dicono — e continuò con l’accento tipico dei Terrestri che parlavano lo standard planetario: — “Ma, cara, come fate a vivere nelle caverne? Non vi fa venire la claustrofobia? Non vi viene mai la voglia di vedere il cielo azzurro, gli alberi, l’oceano, sentire il vento e odorare i fiori?”… Potrei continuare a lungo, Ben. E non mancano mai di aggiungere: “Già, voi non avete mai visto gli alberi, e il cielo azzurro, e così non sentite nostalgia”… Come se non fossimo collegati alle reti TV terrestri e non disponessimo di film, diapositive, eccetera.

— Qual è la risposta ufficiale a queste osservazioni? — chiese Denison divertito.

— Ci limitiamo a ribattere: “Ci siamo abituati, signora (o signore)”. Ma di solito sono le donne. Gli uomini sono troppo occupati a guardarci le camicette chiedendosi quando ce le toglieremo, o almeno credo. E sapete cosa vorrei rispondere a quegli idioti? “Scusate, signora, ma perché mai credete che dovrebbe interessarci il vostro mondo? Non vogliamo starcene appesi sulla superficie di un pianeta aspettando di precipitare o di essere scagliati via, coll’aria che ci schiaccia e l’acqua sporca che ci bagna. Non vogliamo i vostri schifosi germi, né le vostre stupide nuvole, o la vostra erba puzzolente e il vostro monotono cielo blu. Quando ne abbiamo voglia possiamo vedere la Terra nel nostro cielo, ma non ci interessa molto. La Luna è la nostra casa, e ce la siamo fatta noi, alla lettera. È nostra, ci siamo creati il nostro ambiente, e non ci rincresce minimamente che sia diverso dal vostro. Tornatevene nel vostro mondo e lasciate che la forza di gravità vi faccia cadere i seni fino alle ginocchia”. Ecco che cosa direi.

— Bene! — disse Denison. — Quando vi verrà voglia di rispondere così a qualche Terragno, venite a sfogarvi da me.

— Sapete una cosa? Ogni tanto qualche Immi propone di costruire una Terra-Park sulla Luna, sapete, una piccola riproduzione della Terra con piante e fiori, e magari qualche animale.

— E voi naturalmente siete contrari.

— Certo! La Luna è casa nostra, e se qualche Immi ha nostalgia di casa sua, se ne torni sulla Terra.

— Cercherò di ricordarmelo.

— No, non mi pare che siate il tipo. — Seguì un breve silenzio, poi Selene riprese: — Vi secca se vi faccio una domanda?

— Per niente. Se vi interessa la mia vita privata, non ho segreti. Sono alto un metro e settanta, sulla Luna peso quattordici chili, avevo una moglie da cui ho divorziato, una figlia sposata assistente all’Università di…

— No, Ben, parlo sul serio. Posso chiedervi del vostro lavoro?

— Certamente, però non so cosa potrei dirvi.

— Be’, voi sapete che Barron ed io…

— Sì, lo so — tagliò corto lui.

— …Parliamo spesso insieme. Mi ha detto che secondo voi la Pompa Elettronica potrebbe fare esplodere l’universo.

— La nostra parte di universo. Potrebbe trasformare in un quasar il braccio della galassia dove ci troviamo.

— Davvero? Ci credete sul serio?

— Quando sono arrivato sulla Luna non ne ero sicuro — rispose Denison. — Adesso lo sono. Sono personalmente convinto che succederà.

— Quando?

— Non lo so di preciso. Forse tra qualche anno, forse tra qualche decennio…

— Barron non ci crede — dichiarò Selene.

— Lo so e non tento neanche di fargli cambiare idea. Non si può pretendere di riuscirci con un attacco frontale. Questo è stato l’errore di Lamont.

— Chi è Lamont?

— Niente, Selene… parlavo tra me.

— No, Ben, per favore… mi interessa molto.

Denison si voltò a guardarla: — E va bene! — esclamò. — Non ho niente in contrario a parlarvene. Lamont è un fisico che cercò di metter in guardia il mondo contro i pericoli della Pompa. Ma non ci riuscì. La gente non vuol rinunciare all’energia gratuita, la desidera al punto da rifiutare di credere alla possibilità di non poterla più avere.

— Ma perché dovrebbero continuare a volerla se è così pericolosa?

— Perché si rifiutano di credere che sia pericolosa. Il modo più semplice di risolvere un problema è negare che esista. È quel che fa il vostro amico, il dottor Neville. Non gli piace stare in superficie e così si impone di credere che le batterie solari non bastano, anche se a un osservatore imparziale sembrano la più perfetta fonte di energia per la Luna. Vuole la Pompa, perché così può restarsene sempre nel sottosuolo, e siccome la vuole a tutti i costi, si rifiuta di credere che sia pericolosa.

— Barron non è tipo da rifiutarsi di credere a una cosa solo perché va contro ai suoi desideri — obiettò Selene. — Naturalmente, ci vogliono delle prove. Ne avete?

— Penso di sì. È davvero stupefacente, Selene. Tutto dipende da fattori quasi imponderabili di interazione nucleare. Sapete cosa significa?

— Non occorre che me lo spieghiate. Ho parlato tanto e di tanti argomenti con Barron che riesco benissimo a seguirvi.

— Bene. Pensavo che avrei avuto bisogno del sincrotrone per raggiungere il mio scopo. Ha un diametro di 25 miglia, ha dei magneti superconduttori, e inoltre è in grado di disporre di energie di 20.000 bevatroni e più. Ho però scoperto che voi Lunariti possedete un apparecchio che avete battezzato Pionizzatore, racchiuso in uno spazio relativamente piccolo, ma capace di svolgere le stesse funzioni del sincrotrone. Bisogna fare le congratulazioni alla Luna per questo meraviglioso progresso tecnico.

— Grazie — disse Selene. — Parlo a nome della Luna.

— Bene. I risultati che ho ottenuto col Pionizzatore rivelano la quantità dell’aumento dell’intensità della interazione nucleare forte, e l’aumento corrisponde ai dati di Lamont e non a quelli della teoria ortodossa.

— Ne avete parlato a Barron?

— No. Tanto, se lo facessi, non ci crederebbe lo stesso. Direbbe che si tratta di risultati marginali, che ho commesso un errore, che non ho tenuto conto di tutti i fattori o che non ho eseguito tutti i controlli… Insomma, potrebbe dire che vuole la Pompa a qualunque costo, e sarebbe la stessa cosa.

— Quindi, secondo voi, non c’è via d’uscita.

— Sì che c’è, ma non bisogna ricorrere al metodo diretto come ha fatto Lamont.

— E allora?

— Lamont propone di chiudere la Pompa, ma non basta. Non si possono far rientrare i pulcini una volta usciti dall’uovo, il vino nell’uva o un bambino nell’utero. Se si vuole che un bambino non giochi col nostro orologio non ci si limita a dirgli che non deve farlo, ma gli si offre in cambio qualcosa.

— E sarebbe?

— Ah, è ben qui che non sono sicuro! Ho un’idea, un’idea molto semplice basata sul fatto ovvio che il numero due è ridicolo e non può esistere.

Seguì un silenzio che si protrasse per un paio di minuti. Selene lo ruppe per dire con voce assorta: — Vediamo se riesco a indovinare quello che volete dire.

— Ma se non ne sono sicuro nemmeno io!

— Lasciatemi provare lo stesso. Era sensato supporre che il nostro universo fosse l’unico che potesse esistere ed esistesse, in quanto è l’unico in cui viviamo e che ricade sotto la nostra esperienza diretta. Ma una volta avute le prove che esiste anche un secondo universo — quello che noi chiamiamo para-universo — diventa ridicolo supporre che ne esistano due e solo due. Se esiste un secondo universo, allora è possibile che ne esistano in numero infinito. In casi come questi non ci sono numeri reali accettabili. Non due soltanto, ma qualsiasi numero finito è ridicolo, e non può esistere.

— Proprio quello che pensavo io — disse Denison. Tornò a cadere il silenzio e Denison si drizzò a sedere guardando la ragazza chiusa nella tuta. — Sarà meglio che torniamo in città — disse.

— Ho tirato a indovinare — disse lei.

— No, non è vero. Una riposta così non è dettata dal caso.

11

Barron Neville la fissava senza parlare e lei ricambiava lo sguardo senza scomporsi. Il panorama alle finestre era cambiato. A una finestra si vedeva la Terra quasi piena.

Finalmente lui disse: — Perché?

E lei: — È stato un caso, ti dico; avevo capito al volo e il troppo entusiasmo mi ha spinto a parlare. Avrei dovuto dirtelo già da parecchi giorni, ma temevo che la tua reazione fosse quella che in effetti è.

— Dunque, lui sa. Che stupida sei stata!

— Cosa sa? — ribatté Selene, punta sul vivo. — Solo quello che prima o poi avrebbe finito per capire, e cioè che io ho delle intuizioni? Quante volte mi hai detto che le intuizioni più profonde possono essere sbagliate? Dunque, che valore potrebbe dare, lui, a una semplice intuizione?

Neville era impallidito, ma Selene non sapeva se per la rabbia o per l’apprensione. — Tu sei diversa — disse lui. — Il tuo intuito non ha mai fatto cilecca una volta.

— È vero, però lui lo ignora.

— Ma finirà per supporto. Parlerà con Gottstein.

— E cosa vuoi che vada a dire a Gottstein? Non sa certo che cosa stiamo realmente facendo.

— Credi?

— No, non lo sa. — Si era alzata e stava passeggiando avanti e indietro. Poi si voltò di scatto ed esclamò con impeto: — No! È meschino da parte tua voler sottintendere che sarei capace di tradire te e gli altri. Se non accetti la mia integrità, accetta almeno il mio buonsenso. Sarebbe perfettamente inutile dirglielo. Se moriremo tutti, che vantaggio ne avremmo, sia noi che loro?

— Ti prego, Selene! — esclamò Neville agitando una mano con aria disgustata. — Piantala con questo argomento.

— No, stammi a sentire, invece. Mi ha parlato diffusamente del suo lavoro. Tu mi tieni nascosta come se fossi un’arma segreta. Sostieni che valgo più di qualsiasi strumento o scienziato. Ti diverti a fare il cospiratore, insisti a farmi recitare la parte di guida turistica in modo che possa dedicare tutte le mie straordinarie facoltà solo e sempre ai Lunariti. E cioè a te. E cosa ottieni?

— Lo sai bene, no? Per quanto tempo credi che saremmo rimasti liberi, se loro…

— Non fai che ripetere sempre le stesse cose. Ma chi mai è stato arrestato? Chi messo in condizioni di non poter agire? Dove sono le prove della cospirazione che tu vedi ovunque? I Terrestri impediscono a te e a quelli del tuo gruppo l’accesso ai loro strumenti più perché tu li hai costretti a farlo che per secondi fini da parte loro. E questo in fondo per noi è un bene piuttosto che un male in quanto ci ha costretto a inventare altri strumenti molto più capaci.

— Basati sulle tue intuizioni teoriche, Selene.

— Lo so — sorrise lei. — Ben mi ha detto che li apprezza molto.

— Tu e il tuo Ben! Che cosa diavolo vuoi da quel miserabile Terragno?

— È un immigrante, e voglio da lui delle informazioni. Tu me ne dai mai? Hai una tale maledetta fifa che mi peschino, che non mi permetti nemmeno di parlare con un fisico. Solo con te. E tu sei il mio… be’, per quest’ultima ragione, probabilmente.

— Andiamo, Selene! — Voleva rabbonirla, ma il tono era troppo impaziente.

— No, le cose stanno proprio come ho detto. Mi hai spiegato che ho questo compito ed io ho cercato di concentrarmi in modo da ottenere dei risultati, e, matematica o no, a volte ci sono riuscita. Posso visualizzare come vanno fatte le cose… è una visione rapida, che scompare subito. Ma, comunque sia, a che serve, se la Pompa distruggerà tutto?

— Torno a chiedertelo un’altra volta — disse Neville. — Puoi asserire con certezza che ci distruggerà? Niente se e ma. Sì o no.

— Non posso! — esclamò con rabbia Selene. — È una questione così marginale che non sono in grado di rispondere con sicurezza. Un semplice “forse” non ti basterebbe?

— Oh, Signore!

— Non alzare gli occhi al cielo, Non assumere quell’aria sprezzante! Tu non hai mai cercato le prove. Perché? Ti ho detto che è possibile trovarle.

— Non ti erano mai venute in mente certe idee prima di conoscere quell’Immi.

— Immigrante. Insomma, sei disposto a cercare le prove?

— No! Ti ho detto che in questo caso le tue intenzioni non si possono mettere in pratica. Non sei uno sperimentatore, tu, e quello che, a pensarci, pare valido, non può essere sempre applicato al mondo reale degli strumenti, del caso, dell’incertezza.

— Il cosiddetto mondo reale del tuo laboratorio. — Selene era rossa e irritata e stringeva i pugni. — Sprechi tanto di quel tempo a cercare di ottenere un vuoto tale per cui… Ma qui c’è, il vuoto, su in superficie, con temperature che a volte arrivano a metà strada dallo zero assoluto. Perché non fai i tuoi esperimenti in superficie?

— Sarebbe inutile.

— Come fai a saperlo? Non hai mai provato. Denison ha provato. Si è preso la briga di escogitare un sistema valido anche in superficie e lo ha collaudato quando è andato a visitare le batterie solari. Voleva che tu l’accompagnassi, ma hai rifiutato, ricordi? È un aggeggio semplicissimo, che sarei capace di descrivere anch’io dopo che Denison me l’ha spiegato. Funziona a temperatura ambiente, sia diurna che notturna, ed è stato in grado di istradarlo verso una nuova linea di ricerche col Pionizzatore.

— A sentirti, parrebbe una cosa semplicissima.

— E lo è. Quando ha scoperto che sono un’Intuitiva, Denison mi ha parlato come non aveva mai fatto prima. Mi ha spiegato le ragioni che lo inducono a pensare come la forte interazione nucleare, accentuandosi, si stia accumulando in modo catastrofico in prossimità della Terra. Fra pochi anni il Sole esploderà, e…

— No, no, no e no! — urlò Neville. — Ho visto i risultati e non mi persuadono.

— Li hai visti?

— Ma certo! Credi che lo lasci lavorare nei nostri laboratori senza sapere quel che fa? Ti ripeto che ho visto i suoi risultati, e che non hanno alcun valore. Basa i suoi calcoli su piccolissime deviazioni che rientrano nell’ambito dell’errore sperimentale. Fa di tutto per persuadersi che quelle deviazioni sono significative, e se tu sei disposta a crederci, liberissima di farlo. Ma per quanto uno possa esserne convinto, non per questo diventano significative quando — com’è il caso — non lo sono.

— Ma tu cosa vuoi, Barron?

— Voglio la verità.

— Non hai però deciso in anticipo che la verità deve essere quella che vuoi tu? Tu vuoi una Stazione di Pompaggio sulla Luna, non è così? In modo da non avere niente a che fare con la superficie. E qualsiasi cosa contrasti con i tuoi desideri non può essere vera… per definizione.

— Non voglio discutere con te. Voglio la Stazione, e più ancora, voglio… il resto. Ma una cosa non serve, senza l’altra. Sei sicura di non avere…?

— Sicurissima.

— E per l’avvenire?

Selene gli si piazzò di fronte, battendo nervosamente un piede.

— Non gli dirò niente — disse. — Ma io devo saperne di più. Tu non hai informazioni da darmi, ma lui forse sì, o può ottenerne grazie agli esperimenti che tu ti rifiuti di fare. Gli parlerò, e riuscirò a sapere che cosa ha scoperto. Se cercherai di interporti fra noi, non riuscirai mai a ottenere quello che vuoi. Non aver paura che lui riesca ad arrivarci prima di me. È troppo abituato al modo di pensare terrestre. Non si azzarderà mai a fare il passo decisivo.

— Bene, ma non dimenticare anche la differenza tra Terra e Luna. Questo è il tuo mondo. Non ne hai altri. Quell’uomo, il tuo Ben… Denison, questo immigrante venuto dalla Terra può anche tornarci, se vuole. Ma tu non potrai mai andare sulla Terra. Sei una Lunarita e non puoi cambiare.

— Una vergine lunare — disse con scherno Selene.

— Vergine no — corresse Neville. — E quanto al pericolo dell’esplosione, se il rischio connesso al mutamento delle costanti fondamentali dell’universo è così grande, come mai i para-uomini, tanto più progrediti di noi tecnologicamente, non hanno pensato di fermare loro la Pompa?

Detto questo, se ne andò.

Stringendo i pugni e le mascelle, lei rimase a fissare a lungo la porta chiusa. Poi disse: — Perché le loro condizioni sono diverse dalle nostre, imbecille! — Ma parlava solo per sé. Neville era già lontano.

Con un calcio, spinse il pulsante che faceva scendere il letto e vi si sdraiò. Di quanto si erano avvicinati al vero obiettivo cui tendevano da anni, Barron e gli altri?

Di niente. Erano sempre allo stesso punto. Energia! Tutti cercavano energia. Parola magica! La cornucopia, la chiave della ricchezza universale… Ma l’energia non era tutto.

Trovando l’energia, si poteva anche trovare… l’altra cosa. Se si scopriva la chiave per ottenere energia, la chiave per ottenere il resto diventava ovvia. Lei lo sapeva, questo, ma sapeva anche che per trovare quella chiave avrebbe dovuto afferrare un punto così sottile da apparire ovvio solo dopo averlo afferrato. (Santo cielo, i sospetti cronici di Barron l’avevano contagiata al punto che perfino nei pensieri si limitava a definirla “l’altra cosa”?)

Nessun Terrestre sarebbe mai stato capace di afferrare quel punto sottile, specie perché non aveva motivo di cercarlo.

Ma Ben Denison l’avrebbe trovato per lei, pur senza cercarlo per sé.

Salvo che… Se l’universo veniva distrutto, niente importava più.

12

Con uno sforzo notevole Denison cercò di mantenere un tono disinvolto. Allungando più volte la mano, cercò di tirarsi su i calzoni che non aveva. Tutto quel che indossava, infatti, erano un paio di sandali e uno slip ridotto al minimo, troppo stretto. Oltre, naturalmente, al lenzuolo.

Selene, addobbata come lui, si mise a ridere. — Ben, non dovete proprio vergognarvi del vostro corpo. È solo un po’ flaccido, ma neanche poi tanto. Anzi, se lo slip vi stringe, toglietelo.

— No, no — mormorò Denison avvolgendosi il lenzuolo intorno all’addome. Ma lei glielo strappò di dosso.

— Datelo a me — disse. — Che razza di Lunarita siete, se non rinunciate al puritanesimo terrestre? Sapete bene che il pudore non è che l’altra faccia della libidine.

— È un’abitudine inveterata, Selene.

— Potreste cominciare a guardare me, ogni tanto, senza far scivolare via lo sguardo come se fossi unta d’olio. Ho notato che guardate le donne con molta disinvoltura. Ecco, mi fermo, tolgo lo slip e voi mi guardate.

— Selene, c’è tanta gente in giro — protestò lui — e non è bello che vi facciate gioco di me in questo modo. Fatemi il favore di camminare e lasciate che mi abitui a poco a poco.

— D’accordo, però vi prego di notare che nessuno bada a noi.

— A voi vorrete dire. Me, mi guardano tutti. Probabilmente non hanno mai visto nessuno così vecchio e flaccido.

— Può anche darsi — ammise lei con noncuranza — però ci si abitueranno.

Denison camminava in preda alla più cupa infelicità, pensosamente consapevole di ognuno dei peli grigi che gli spuntavano sul petto e del tremolio dell’addome. Solo quando il corridoio cominciò a restringersi e la folla si diradò, poté tirare un sospiro di sollievo.

Adesso, si guardava intorno incuriosito senza far più troppo caso ai seni eretti di Selene e alle sue cosce levigate. Sembrava che il corridoio non finisse mai.

— Quanta strada abbiamo fatto? — domandò.

— Siete stanco? Mi spiace. Avremmo potuto prendere uno scooter. Ogni tanto mi dimentico che venite dalla Terra.

— Meglio così, invece. Non dovete ricordarmi che sono un immigrante. Comunque, non sono stanco. Nemmeno un poco. Casomai, ho freddo.

— È frutto dell’immaginazione — disse lei. — Solo perché siete nudo credete di avere freddo.

— Si fa presto a dirlo — sospirò lui. — Spero almeno di camminare bene.

— Benissimo. Potreste cominciare a fare i salti del canguro.

— E partecipare alle gare di scivolo. Non dimenticate che non sono più giovane. Quanta strada abbiamo fatto?

— Circa un paio di miglia.

— Santo cielo! Ma quanto sono lunghi questi corridoi?

— Non lo so. Quelli residenziali costituiscono solo una piccola parte del complesso. Ci sono corridoi minerari, geologici, industriali, micologici… In tutto assommano a parecchie centinaia di miglia.

— Esistono delle mappe?

— Naturalmente. Non possiamo certo lavorare alla cieca.

— Ma voi ne avete?

— Io? Be’, no, almeno non qui. Ma per questa zona non mi occorrono. La conosco bene, perché la frequento fin da quando ero bambina. Questi corridoi sono i più vecchi. Quelli nuovi — ne apriamo due o tre miglia all’anno — sono a nord. Per orizzontarmi da quelle parti avrei bisogno anch’io di una mappa.

— Adesso dove stiamo andando?

— Vi ho promesso uno spettacolo insolito, e sarete soddisfatto. È la più insolita delle miniere lunari, e non rientra nel giro turistico.

— Una miniera di diamanti?… No, non credo.

— Oh, molto meglio!

In quel tratto, le pareti del corridoio erano di roccia grigia non levigata, e illuminata a tratti. La temperatura si manteneva sui valori medi e la circolazione dell’aria dava perfino l’idea che ci fosse un leggero vento. Lì riusciva difficile persuadersi di essere a una settantina di metri sotto la superficie battuta dal sole e dal gelo.

— Sono tutti a tenuta stagna? — domandò con un improvviso senso di disagio Denison, che si era improvvisamente ricordato di trovarsi sotto un oceano di vuoto che si estendeva all’infinito.

— Certamente. Le pareti sono impermeabili, e la pressione è mantenuta costante. Se dovesse cadere solo del dieci per cento in una qualsiasi parte dei corridoi, sentireste un concerto di sirene da farvi diventare sordo, e si accenderebbero luci e frecce in quantità per indicare le zone sicure.

— È già successo molte volte?

— No, raramente. Negli ultimi cinque anni credo che nessuno sia morto per mancanza d’aria. Poi, in tono difensivo: — Sulla Terra si verificano pure le catastrofi naturali come i terremoti o le inondazioni, che causano migliaia di vittime!

— Per carità, Selene, non ho voglia di discutere, calmatevi.

— Va bene, non volevo prendermela… — Si fermò, in ascolto, e aggiunse: — Sentite?

Denison tese le orecchie, ma poco dopo scosse la testa: — C’è un silenzio assoluto. Dove sono gli altri? Non vedo più anima viva. Siete sicura che non ci siamo smarriti?

— Queste non sono grotte naturali con passaggi sconosciuti, come ne avete sulla Terra. So che esistono perché ho visto le foto.

— Sì, sono per lo più grotte di arenaria scavate dall’acqua. Sulla Luna non esiste niente del genere, vero?

— No, e quindi non possiamo esserci smarriti. Se siamo soli, attribuitelo alla superstizione.

— Alla superstizione? Non capisco.

— Be’, in effetti non è il termine esatto, forse, ma in genere i Lunariti hanno la tendenza a starsene alla larga da questa zona.

— Perché?

— Per quello che vi mostrerò. — Intanto, si erano rimessi in cammino. — Sentite, adesso?

Tornò a fermarsi, e Denison tese le orecchie.

— Alludete a quel leggero “tap-tap”? — disse dopo un po’.

Lei non rispose, e partì di corsa a lunghi balzi armoniosi. Denison la seguì, cercando di imitare le sue movenze.

— Qui… qui…

Denison seguì la direzione indicata dalla mano di Selene.

— Buon Dio! — esclamò. — Da dove viene?

Era una cascatella d’acqua limpida, un rivoletto che ricadeva sgocciolando in un piccolo condotto di ceramica che entrava poi nella roccia.

— Dall’interno delle rocce. C’è acqua nella Luna, non lo sapevate? La maggior parte la ricaviamo dalla pietra da gesso, e ci basta, perché sappiamo adoperarla con giudizio.

— Lo so, lo so. Però non sono ancora riuscito a fare una doccia come si deve.

— Eppure vi ho spiegato come dovete fare. Prima, bagnarsi. Poi, chiudere il rubinetto, insaponarsi e strofinarsi… oh, Ben, non ho voglia di tornare a ripeterlo. E poi, sulla Luna non ci si sporca mai molto… Ma non è di questo che volevo parlare. Ci sono dei veri e propri depositi di acqua, in un paio di posti, di solito sotto forma di ghiaccio, in prossimità della superficie, all’ombra delle montagne. Quando li localizziamo, cominciano a sgocciolare attraverso il canale di trivellazione. Questo cola da quando fu scavato il corridoio, otto anni fa.

— Non capisco cosa c’entri la superstizione.

— Naturalmente l’acqua è la maggior risorsa naturale da cui dipende la vita sulla Luna. Ci serve per bere, per lavarci, per coltivazioni, per ricavarne ossigeno… insomma, per infinite necessità vitali. L’acqua allo stato libero viene riguardata da noi col massimo rispetto. Quando fu scoperto questo deposito, il progetto per il completamento della galleria fu rinviato al giorno in cui si sarebbe esaurito. Non rifinirono nemmeno le pareti.

— Questa è dunque la superstizione?

— Forse sarebbe meglio dire rispetto, riverenza. Si pensava che, come sempre succede in questi casi, si esaurisse in un mese, due al massimo. Be’, passato un anno, si cominciò a considerarlo eterno. E infatti hanno ribattezzato questa cascatella “L’Eterna”. Non è neanche indicata dalle mappe. E tutti pensano che se un giorno o l’altro dovesse scomparire, sarebbe un brutto segno.

Denison rise.

— Nessuno ci crede sul serio — protestò Selene con calore. — Tuttavia… Vedete, non è certo eterna e prima o poi non colerà più. Adesso, per esempio, la quantità d’acqua che sgocciola ammonta a un terzo, rispetto ai primi tempi. Quindi, è segno che il deposito sta lentamente esaurendosi. Penso che tutti siano convinti che se si trovassero qui quando cesserà di colare, succederebbe loro qualche disgrazia. Almeno io mi spiego in questo modo la riluttanza a venire qui.

— Ne deduco che voi non condividete questa convinzione.

— Che io ci creda o meno, non importa. Intanto, sono certa che non smetterà di colare all’improvviso, per cui c’è sempre il tempo di allontanarsi prima che smetta. Andrà via via sempre più rallentando e nessuno sarà in grado di determinare con esattezza il momento in cui avrà smesso di sgocciolare. Quindi, perché preoccuparsi?

— Avete ragione.

— Però ci sono altre cose che mi preoccupano — continuò Selene. — Vorrei discuterne con voi, approfittando del fatto che qui siamo soli.

Stese il lenzuolo sul pavimento e ci si sedette sopra a gambe incrociate.

— Qual è il vero motivo per cui mi avete portato qui? — volle sapere Denison sdraiandosi accanto a lei.

— Vedete, ormai vi state abituando a guardarmi senza imbarazzo… e sicuramente ci sono state epoche sulla Terra quando la nudità non era giudicata sconveniente.

— Epoche e località — convenne lui — ma non dopo la Crisi. Da quando sono nato…

— Be’, sulla Luna comportatevi come i Lunariti. È il meglio che vi conviene fare.

— Per favore, volete sì o no dirmi il motivo per cui mi avete portato qui, o devo incominciare a credere che volete sedurmi?

— Se volessi, potrei farlo benissimo a casa, dove staremmo molto più comodi. No, si tratta di ben altro… — esitò, prima di continuare.

— E allora? — la incitò Denison.

— Barron è arrabbiato. Molto arrabbiato.

— Non mi sorprende. Vi avevo detto che si sarebbe arrabbiato se gli aveste svelato che io so che siete una Intuitiva. Non capisco perché abbiate ritenuto necessario dirglielo.

— Perché è difficile nascondere a lungo qualche cosa al mio… compagno di letto. Anche se forse non si considera più tale.

— Mi spiace.

— Oh, tanto le cose si stavano già guastando. È durato anche troppo. Quello che mi preoccupa veramente — e molto — è che lui rifiuta di accettare la vostra interpretazione dei risultati degli esperimenti fatti col Pionizzatore in superficie.

— Vi ho detto che sarebbe successo così.

— Barron dice di aver visto i vostri risultati.

— Gli ha dato una rapida occhiata e li ha subito scartati.

— È davvero deludente! Possibile che uno debba credere solo a quello che desidera?

— Sì, finché gli è possibile. E talvolta anche oltre.

— E voi?

— Vi domandate se sono umano? Certo. Non credo di essere davvero vecchio. Sono convinto di essere attraente. Credo che voi cerchiate la mia compagnia perché mi trovate affascinante… anche se insistete a parlare di cose serie.

— Per piacere! Non sto scherzando.

— Be’, penso che Neville vi abbia detto che i dati da me raccolti non sono indicativi al di là di un margine di errore; il che li rende dubbi. E questo è abbastanza vero, tuttavia io penso che abbiano il significato che mi aspettavo di trovare.

— Solo perché ci volete credere?

— Non solo per questo. Guardiamo le cose da un altro punto di vista. Supponiamo che la Pompa non sia pericolosa ma che io insista a crederla tale. In questo caso sarei uno stupido, e la mia reputazione scientifica ne risentirebbe. Ma io sono già uno stupido agli occhi della gente che conta e non godo della minima reputazione scientifica.

— Perché, Ben? Avete fatto spesso delle allusioni, ma non mi avete mai raccontato tutto per filo e per segno.

— Oh, rimarrete stupita nel constatare quanto poco c’è da dire. A venticinque anni ero ancora così infantile da insultare uno stupido per il solo motivo che era stupido. E poiché non aveva colpa, se era così, mi rivelavo più stupido io di lui. Grazie ai miei insulti, quel tale ha raggiunto vette che altrimenti non credo sarebbe mai riuscito a scalare.

— State parlando di Hallam?

— Proprio di lui. E mentre Hallam saliva, io scendevo, finché non precipitai… sulla Luna.

— È stato un gran male?

— Tutt’altro. Credo anzi che sia stato un bene. Diciamo quindi che, alla lunga, mi ha addirittura fatto un piacere… Ma torniamo all’argomento di prima. Vi ho spiegato che se fossi convinto che la Pompa è pericolosa mentre non lo è, non avrei niente da perdere. Invece, se credessi che la Pompa è innocua, mentre non lo è, contribuirei alla distruzione del mondo. Ormai ho già vissuto più di metà della vita e non ho alcun motivo per amare l’umanità. Però quelli che mi hanno fatto del male sono pochi, e se in cambio io danneggiassi tutti farei pagare un interesse troppo esoso. Se poi volete un motivo meno nobile, Selene, pensate a mia figlia. Poco prima della mia partenza per la Luna ha richiesto il permesso di avere un bambino. Credo che lo otterrà e quindi fra non molto diventerò nonno. Ebbene, mi piace pensare che il mio nipotino possa avere una vita lunga e normale. Per questo, preferisco credere che la Pompa sia pericolosa, e agire di conseguenza.

— È proprio questo che voglio sapere! — esclamò Selene. — La Pompa è pericolosa, o no? Voglio la verità, non quello che uno preferisce credere.

— Dovrei essere io a chiederlo a voi. Siete voi l’Intuitiva. Cosa vi suggerisce l’intuito?

— È proprio questo che mi preoccupa, Ben. Non riesco a esser certa di niente. Tendo a pensare che la Pompa è pericolosa, ma può darsi che lo faccia perché voglio crederlo.

— D’accordo. Forse è così. Perché?

Selene sorrise, alzando le spalle. — Sarebbe bello se Barron avesse torto. Quando è sicuro di qualche cosa, lo è in modo talmente offensivo!

— Capisco. Vi piacerebbe vedere la sua faccia quando fosse costretto a ritrattare le sue convinzioni. Mi rendo benissimo conto di quanto possa essere intenso un desiderio di questo genere. Per esempio, se la Pompa fosse pericolosa e io potessi provarlo, sarei considerato il salvatore dell’umanità. Ma quello che mi interesserebbe più di ogni altra cosa sarebbe l’espressione della faccia di Hallam. Non è un sentimento di cui andare fiero, per cui ho il sospetto che insisterò a divi, dere a metà il merito con Lamont, il quale dopotutto se lo merita, e mi limiterò a godere osservando la faccia di Lamont mentre lui guarda quella di Hallam. Così, non mi sentirei più tanto meschino… Ma sto dicendo un sacco di sciocchezze… Selene?

— Sì, Ben.

— Quando avete scoperto di essere una Intuitiva?

— Non lo so.

— Immagino che all’università abbiate studiato fisica.

— Sì, e anche un po’ di matematica. Ma non ci ero molto portata. A pensarci, non riuscivo molto bene neppure in fisica. Quando mi trovavo con l’acqua alla gola, tiravo a indovinare le risposte, e spesso imbroccavo quelle giuste. E se chiedevano come ci fossi arrivata, non sapevo spiegarlo. I professori pensavano che li volessi prendere in giro, ma non potevano provarlo.

— Non sospettavano, che foste una Intuitiva?

— Non credo. Allora, non ci pensavo neanch’io. Finché, be’, uno dei miei primi compagni di letto era un fisico. Anzi, è il padre di mio figlio, dato che ha fornito lui il seme. Aveva un problema di fisica che non riusciva a risolvere, é me ne parlò un giorno, a letto, così, tanto per parlare, credo. E io gli dissi: “Sai cosa dovrebbe essere, secondo me?” e gli spiegai quella che, a mio parere, era la soluzione. Lui l’applicò, tanto per il gusto di farlo, e scoprì che funzionava. Fu il primo passo per la realizzazione del Pionizzatore, che — come avete detto anche voi — è molto superiore al protosincrotrone.

— Volete dire che è stato idea vostra? — Denison mise un dito sotto l’acqua che sgocciolava, e fece per metterselo in bocca. Ma prima domandò: — È potabile?

— Assolutamente sterile, ma viene immessa nelle cisterne per essere depurata, in quanto è satura di solfati, carbonati e altre sostanze che le conferiscono un sapore sgradevole.

— Avete inventato voi il Pionizzatore? — insisté Denison.

— Inventato, no. Io ho solo intuito il concetto originale. Svilupparlo, è stata una cosa molto, molto difficile e laboriosa. Il merito va quasi tutto a Barron.

— Selene, voi siete un fenomeno stupefacente. Dovreste essere esaminata a fondo dai biologi molecolari.

— Credete? Io preferisco divertirmi in modo diverso.

— Una cinquantina d’anni fa il boom della tecnica genetica era al culmine.

— Lo so, ma poi raggiunse tali eccessi, per cui venne posta fuori legge. Però conosco qualcuno che si dedica ancora a questo genere di studi…

— Volete dire che si occupano dell’intuitività?

— No, questo non credo.

— Ah, ma è invece lì che voglio arrivare. Quando gli studi di tecnica genetica avevano raggiunto il massimo della diffusione, si fecero dei tentativi per stimolare le doti di intuizione. Si sosteneva che un intuito superiore fosse il prodotto di una particolare combinazione genetica, e si fecero le più svariate speculazioni sulle qualità di questa combinazione.

— Immagino che ne esistesse più d’una.

— E io immagino che se è stato l’intuito a suggerirvi questa risposta, avete indovinato. Ma qualcuno insisteva che un gene o un piccolo gruppo di geni avesse un’importanza particolare nella combinazione, al punto da poterlo definire Gene Intuitivo… poi gli studi furono interrotti.

— Come dicevo.

— Prima, però — proseguì Denison — erano stati fatti tentativi per accrescere il potenziale dell’intuito, e pare che in certi casi i risultati fossero stati positivi. Sono sicuro che i geni alterati entrarono nel circolo genetico, e se voi per caso ereditaste… Qualcuno dei vostri nonni fu sottoposto a esperimenti di tecnica genetica?

— No, che io sappia — rispose Selene — ma non posso escluderlo. Uno di loro avrebbe anche potuto… ma, se non vi spiace, preferisco non indagare a fondo. Non voglio sapere.

— Forse è meglio. Quel genere di esperimenti piaceva molto poco al grosso pubblico, e chiunque fosse considerato un prodotto della tecnica genetica non era ben visto. Dicevano, per esempio, che l’intuito era legato ad altre caratteristiche poco simpatiche.

— Grazie.

— Non sono io a dirlo. Chi possiede un intuito eccezionale ispira immancabilmente invidia e ostilità. Perfino un intuitivo gentile e angelico come Michael Faraday suscitò l’invidia e l’odio di Humphry Davy. E nel vostro caso…

— Io non suscito di certo odio e invidia.

— No, non credo. Ma cosa ne pensa Barron Neville?

Selene non rispose.

— Quando vi conosceste, immagino che le vostre doti fossero già note.

— Non molto note. Solo alcuni fisici sapevano, ma poiché anche qui, come sulla Terra, nessuno è disposto a cedere il merito ad altri, penso che fossero convinti più o meno in buona fede che si fosse trattato di una supposizione fortuita, niente più. Ma Barron, naturalmente, sapeva.

— Capisco.

Selene torse le labbra: — Ho la sensazione che vorreste dire: “Dunque, è per questo che si è interessato a voi”.

— Ma no, Selene. Siete abbastanza attraente perché un uomo possa desiderarvi senza secondi fini.

— Sono anch’io dello stesso parere, ma — come si dice — tutto fa brodo, e Barron non poteva non interessarsi alle mie doti di Intuitiva. E perché mai non avrebbe dovuto? Solo, insistette perché continuassi a fare la guida turistica. Sosteneva che io sono una importante risorsa naturale della Luna e non voleva che la Terra mi monopolizzasse come ha monopolizzato il protosincrotrone.

— Che strana idea. Ma forse pensava che meno gente era al corrente delle vostre doti, meno sarebbero stati quelli che avrebbero attribuito a voi parte del merito delle sue invenzioni.

— Adesso parlate come Barron!

— Ah sì? E suppongo che si secchi molto quando il vostro intuito dà risultati particolarmente brillanti.

— Barron è un tipo sospettoso — disse lei scrollando le spalle, — Ognuno ha i suoi difetti.

— Allora vi pare prudente stare sola con me?

— Adesso non irritatevi perché lo difendo — protestò brusca Selene. — Non pensa neppur lontanamente che fra noi due possano esserci rapporti sessuali. Voi venite dalla Terra. Anzi, dirò più: incoraggia la nostra amicizia. Pensa che possa imparare molto da voi.

— Ed è vero? — domandò freddamente Denison.

— Sì… Però, se questo è il motivo principale per cui lui incoraggia la nostra amicizia, per me non è così.

— Qual è il vostro motivo?

— Come sapete benissimo, e come bramate di sentirmi dire, mi piace stare con voi. Se così non fosse, potrei ottenere ciò che voglio in molto meno tempo.

— Va bene. Amici, allora?

— Amici, sicuro!

— Potrei sapere cosa avete imparato da me?

— È lungo da spiegare. Sapete che il motivo per cui non possiamo installare una Stazione di Pompaggio è che non siamo in grado di localizzare il para-universo, mentre loro possono localizzare noi. Questo accade o perché sono molto più intelligenti o perché sono molto più progrediti di noi.

— Il che non è detto che sia la stessa cosa — disse Denison.

— Lo so, e per questo ho detto “o”. Ma potrebbero anche essere più tardi e meno progrediti, ma molto più difficili da localizzare. Il problema potrebbe esser tutto qui: è difficile localizzarli. Se la interazione nucleare forte è molto più forte nel loro universo, le loro stelle devono per forza essere molto più piccole e più piccoli saranno anche, di conseguenza, i pianeti. Quindi, il loro mondo individuale dovrebbe essere più difficile da localizzare del nostro.

— È un’ipotesi affascinante.

— Prendiamo poi in considerazione gli scambi di proprietà tra un universo e l’altro, che servono a indebolire la loro interazione nucleare forte, a raffreddare i loro soli, mentre rafforzano la nostra interazione nucleare e riscaldano i nostri soli fino a farli esplodere. Che cosa implica tutto questo? Immaginiamo che loro riescano a procurarsi energia senza il nostro aiuto, ma solo a un rendimento rovinosamente basso. In circostanze normali, questo sarebbe molto, molto poco pratico. Loro hanno bisogno che li aiutiamo a dirigere nella loro direzione energia concentrata, fornendo tungsteno 186 e ricevendo in cambio plutonio 186. Ma supponiamo che il nostro braccio galattico esploda, trasformandosi in una quasar. In questo caso si verificherebbe una produzione di energia concentrata in prossimità del sistema solare molto più intensa dell’attuale e della durata di milioni di anni.

“Una volta formatasi una quasar, anche una produzione rovinosamente bassa sarebbe sufficiente. Perciò a loro non importerebbe se noi fossimo distrutti o meno, anzi, la nostra distruzione li avvantaggerebbe. Finché esistiamo, sussiste la possibilità che per un motivo o per l’altro facciamo fermare la Pompa, e loro non potrebbero riattivarla da soli. Ma dopo l’esplosione, non dovrebbero più dipendere da noi. E per questo chi dice ’Se la Pompa è pericolosa perché quei cervelloni dei para-uomini non la fermano?’ non sa quello che dice.”

— È un’idea di Neville, questa?

— Sì.

— Ma il para-sole continuerebbe a raffreddarsi, no?

— Che importerebbe? — ribatté con impazienza Selene. — Con la Pompa, non dipendono più dal sole.

— Forse non lo sapete — disse allora Denison con un profondo sospiro — ma sulla Terra correva voce che Lamont avesse ricevuto dai para-uomini un messaggio in cui dicevano che la Pompa è pericolosa ma che loro non possono fermarla. Naturalmente, nessuno l’ha preso sul serio… ma supponiamo che sia vero. Supponiamo che Lamont abbia ricevuto questo messaggio. Non potrebbe darsi il caso che qualche para-uomo sia così altruista da non volere la nostra distruzione, ma sia nel contempo impossibilitato ad agire perché la maggioranza bada solo al proprio vantaggio?

— Potrebbe essere così — ammise Selene. — Sapevo, o meglio, intuivo tutto questo prima che entraste in scena voi. Ma poi diceste che tra uno e l’infinito niente ha senso, ricordate?

— Certo.

— Bene. La differenza tra universo e para-universo sta così palesemente nell’interazione nucleare forte, che finora non si è preso in considerazione altro. Ma di interazioni non ce n’è una sola, bensì quattro. Oltre alla nucleare forte, c’è l’elettromagnetica, la nucleare debole e la gravitazionale con gradi di intensità di 130:1:10-10:10-42. Ma se ne prendiamo in considerazione quattro, perché non possiamo supporre che ne esista un numero infinito, con tutte le altre troppo deboli per essere evidenziate o per influenzare in qualche modo il nostro universo?

— Se un’interazione è troppo debole per essere scoperta o per avere un’influenza, allora è come se non esistesse per definizione — obiettò Denison.

— In questo universo — disse Selene facendo schioccare le dita. — Ma chi sa cosa esiste o non esiste nei para-universi? Con un numero infinito di interazioni possibili, ciascuna delle quali può variare all’infinito in intensità confrontata ad una di esse presa come base, il numero di universi differenti possibili è infinito.

— È l’infinità del continuum: alfa-uno piuttosto che alfa-zero.

Selene aggrottò la fronte. — Cosa vuol dire?

— Non ha importanza, proseguite.

— Allora, invece di cercare di lavorare con l’unico para-universo che si è imposto a noi, e che forse non risponde per nulla alle nostre necessità, perché non cerchiamo di scoprire quale universo fra tutte le infinite possibilità si adatta meglio a noi e può venire localizzato più facilmente? Progettiamo un universo partendo dal presupposto che tutto quello che progettiamo deve esistere, e cerchiamolo.

Denison sorrise. — Selene, ho avuto anch’io la stessa idea. E se non esistono leggi che dicono che sbaglio, è altamente improbabile che un uomo del mio ingegno sbagli quando una persona intelligente come voi giunge per suo conto alla stessa conclusione… Sapete una cosa?

— Cosa?

— Dal momento che lavoriamo insieme, un bacio tra sperimentalista e Intuitiva non ci starebbe bene?

Selene ci pensò su e poi disse: — Tutti e due abbiamo baciato e siamo stati baciati moltissime volte, credo. Non potremmo baciarci semplicemente da uomo a donna?

— Be’, credo che potrebbe andare. Ma come devo fare per non essere troppo goffo? Quali sono le regole per baciarsi, sulla Luna?

— Affidatevi all’istinto — disse Selene.

Con circospezione, Denison intrecciò le mani dietro la schiena, e si protese verso Selene. Poi, dopo un poco, allungò le braccia e le cinse la vita.

13

— E allora ho ricambiato il bacio — disse Selene, pensosa.

— Ma davvero? — disse aspro Barron. — Be’, questo è zelo eccessivo.

— Non saprei. Non è stato poi brutto, anzi… — aggiunse con un sorriso — direi che lui era commovente. Aveva paura di comportarsi in modo goffo e ha cominciato intrecciando le mani dietro la schiena. Forse aveva paura di stritolarmi.

— Risparmiami i particolari.

— Perché? Cosa diavolo te ne importa? — disse lei accalorandosi. — Tu non sei il signor platonico?

— Vuoi che mi comporti in modo diverso? Adesso, subito?

— Non hai bisogno di recitare, per dare ordini.

— E tu dovresti comportarti meglio. Comunque, quando pensi di darci quel che ci occorre?

— Appena mi sarà possibile.

— Senza che lui lo sappia?

— A lui interessa solo, l’energia.

— E salvare il mondo — disse Ne ville con scherno. — E diventare un eroe. E dimostrarlo a tutti. E baciarti.

— Lui non nega niente di tutto questo. E tu, cosa ammetti?

— Ammetto di essere impaziente — rispose con ira Neville. — Molto, molto impaziente!

14

— Sono contento che la giornata sia finita — disse con intenzione Denison. Allungò un braccio coperto dagli strati protettivi della tuta, e lo esaminò. — Il Sole lunare è una cosa a cui non posso e non voglio abituarmi. In confronto, perfino questa tuta mi pare una cosa naturale.

— Cos’ha il Sole che non va? — domandò Selene.

— Non ditemi che a voi piace?

— No di sicuro. Lo detesto. Però io non lo vedo mai… voi invece ci siete abituato.

— Ma non è come qui sulla Luna. Qui risplende in mezzo a un cielo nero. Fa scomparire le stelle abbagliandole, invece di offuscarle. È rovente, spietato, pericoloso. È un nemico, e quando è in cielo non posso far a meno di pensare che i nostri tentativi di ridurre il campo di intensità falliranno.

— Ma questa è superstizione, Ben — disse Selene con impazienza. — Il Sole non c’entra. Per di più eravamo nell’ombra del cratere ed era come notte, con le stelle, eccetera.

— Non proprio — corresse Denison. — Tutte le volte che guardavamo a nord, Selene, potevamo vedere quella luce abbacinante. Non volevo guardare da quella parte, pure non riuscivo a farne a meno. E ogni volta che guardavo sentivo gli ultravioletti colpire il visore del mio casco.

— Tutta immaginazione! In primo luogo, nella luce riflessa non ci sono ultravioletti in tal quantità da poterli considerare dannosi, e poi la tuta protegge dalle radiazioni.

— Ma non dal calore… almeno non molto.

— Però adesso è notte.

— Sì — disse lui in tono soddisfatto — e mi piace. — Si guardò intorno con sempre rinnovata meraviglia. La Terra era una falce un po’ ingrossata, con la parte arrotondata rivolta a sud. La sovrastava Orione, il cacciatore, che si ergeva dalla luminosa sedia a dondolo della Terra. L’orizzonte era soffuso dalla tenue luce terrestre.

— È bellissimo — disse lui. E poi: — Selene, il Pionizzatore non rivela niente?

— Non ancora, ma non c’è da preoccuparsi. L’intensità di campo si mantiene un po’ al di sopra dei 50.

— Non è abbastanza bassa — osservò Denison.

— La si può abbassare ancora. Sono certa che tutti i parametri sono esatti.

— Anche il campo magnetico?

— Non ne sono tanto sicura.

— Se lo rafforzassimo, tutto diventerebbe instabile.

— No, non dovrebbe. Sono certa di no!

— Selene, mi fido del vostro intuito finché non è contraddetto dai fatti. Diventa instabile. L’abbiamo provato.

— Lo so, Ben, ma non con questa geometria. Sta reggendo sui 52 da un tempo eccezionalmente lungo. Sono sicura che se cominciassimo a mantenerlo per ore, invece che per minuti, dovremmo essere in grado di rafforzare dieci volte il campo magnetico per la durata di alcuni minuti invece che per qualche secondo. Proviamo…

— Non ancora.

Selene esitò, poi si voltò e disse: — Non avete ancora nostalgia della Terra, Ben?

— No, è piuttosto strano, ma non ne sento per niente la mancanza. Eppure avevo creduto inevitabile che mi mancasse il cielo azzurro, la terra verde, l’acqua corrente… tutti i cliché nome-aggettivo, insomma, che si riferiscono a particolari aspetti della Terra. Invece non ne sento per niente la mancanza e non me li sogno neppure.

— Capita, a volte. Per lo meno, ci sono Immigranti che dicono di non soffrire di nostalgia. Naturalmente, sono una minoranza e nessuno è riuscito a stabilire cos’abbia in comune questa minoranza. Si va dalle ipotesi di carenze emotive o incapacità di sentire, alla paura o alla vergogna di ammettere la nostalgia per timore — ammettendolo — di arrivare a un punto di rottura.

— Nel mio caso credo che la spiegazione sia semplice. Per più di vent’anni, la mia vita sulla Terra è stata tutt’altro che piacevole, mentre qui almeno lavoro in un campo che ho scelto io. E ho il vostro aiuto, Selene… e quel che più conta, la vostra compagnia.

— Molto gentile accomunare l’aiuto alla compagnia, nei nostri rapporti — disse lei, seria. — Però non mi pare che abbiate bisogno di molto aiuto. Fingete, per il piacere della mia compagnia?

— Non so quale risposta vi farebbe più piacere — disse Denison ridendo.

— Dite la verità.

— Non è facile stabilirla, dato che annetto tanta importanza a tutte e due le cose. — Si voltò per guardare il Pionizzatore. — L’intensità di campo continua a reggere, Selene.

Il visore di Selene rifletteva la luce della Terra. — Barron dice che non provare nostalgia è naturale — disse — e che è segno di una mente sana. Secondo lui il corpo umano è fatto per vivere sulla superficie terrestre e ha bisogno di adattamenti per abituarsi alla Luna, mentre per il cervello la cosa è diversa. Quantitativamente, il cervello umano è così diverso da tutti gli altri cervelli che può essere considerato un fenomeno particolare. Non ha avuto il tempo di adeguarsi alla superficie terrestre e può, senza modifiche, adattarsi ad altri ambienti. Barron dice che la vita al chiuso nelle caverne lunari è probabilmente quella che meglio gli si addice perché esse non sono che una versione ingigantita della caverna cranica in cui è chiuso.

— Ne siete convinta anche voi? — domandò Denison divertito.

— Quando parla, Barron ha la facoltà di far sembrare tutto attendibile.

— Credo che si possa ritenere altrettanto attendibile sostenere che la comodità offerta dalle caverne lunari è il risultato del raggiungimento del desiderio di tornare nel grembo materno. Infatti — aggiunse pensoso — se consideriamo la temperatura e la pressione costanti, la natura e la digeribilità dei cibi, l’ambiente lunare non è altro che una deliberata ricostruzione dell’ambiente fetale.

— Non credo che Barron condividerebbe questa ipotesi — osservò lei.

— No di certo — confermò Denison osservando la Terra ai cui margini si distinguevano i lontani banchi di nuvole. Tacque e anche quando Selene si mosse per tornare al Pionizzatore, lui rimase immobile.

Guardava la Terra nel suo nido di stelle e l’orizzonte angusto, dove, a tratti, gli pareva di scorgere uno sbuffo di polvere nel punto in cui forse era caduta una piccola meteorite. La notte prima aveva indicato uno di quegli sbuffi di polvere a Selene con una certa preoccupazione. Ma lei aveva preso il fenomeno alla leggera.

— La Terra oscilla lievemente nel vuoto a causa della librazione della Luna — gli aveva spiegato — e a volte un raggio di luce terrestre colpisce un punto un po’ elevato, per poi riabbassarsi sul terreno sottostante. A vederlo, sembra un piccolo sbuffo di polvere. È un fenomeno comune, noi non ci badiamo.

— Però qualche volta può trattarsi di una meteorite — aveva obiettato lui. — Ma ne cadono?

— Sì, moltissime, ma la tuta vi protegge.

— Non alludo alle particelle microscopiche. Parlo di meteoriti di dimensioni tali da sollevare effettivamente la polvere. Meteoriti capaci di uccidere.

— Be’, ne cadono anche di quelle, ma poche, e la Luna è grande. Almeno finora, nessuno è stato colpito.

E mentre Denison osservava il cielo pensando a questo, vide una cosa che — forse proprio perché ci stava pensando — scambiò per una meteorite. Era una luce che striava il cielo, attraversandolo; ma avrebbe potuto trattarsi di una meteorite solo sulla Terra, con la sua atmosfera, e non sulla Luna che ne era priva.

La luce in cielo era opera dell’uomo, ma Denison non se ne era ancora reso conto appieno che già si era trasformata in un piccolo velivolo che scese velocemente accanto a lui.

Ne smontò una figura in tuta, mentre il pilota, a mala pena visibile tra la luce dei fari, restò a bordo.

Denison aspettava. L’etichetta, fra persone in tuta spaziale, voleva che a presentarsi fosse l’ultimo arrivato.

— Qui il commissario Gottstein — disse una voce.

— Qui Ben Denison.

— Già, lo supponevo.

— Siete venuto qui a cercarmi?

— Sì.

— Con un razzo? Ma avreste potuto…

— Avrei potuto servirmi dell’Uscita P-4 che dista meno di un chilometro da qui. È vero. Ma non cercavo solo voi.

— Be’, non voglio chiedervi chi o cosa cercate.

— Non ho motivi per nasconderlo. Certamente non vi parrà strano che mi interessino i vostri esperimenti sulla superficie lunare.

— Non hanno niente di segreto e chiunque ha il diritto di interessarsene.

— Però nessuno sa di cosa si tratta, oltre al fatto che sono in rapporto con la Pompa Elettronica.

— È un’ipotesi logica.

— Sì? A me pare che esperimenti di tale natura, per avere un valore qualsiasi, richiedano apparecchiature imponenti. Sono cose che mi hanno detto, perché io non sono un esperto in materia. Però è evidente che voi non disponete di un tal genere di apparecchiature. Allora mi è balenata l’idea che non dovrei concentrare il mio interesse su di voi. Forse, tentando di attirare la mia attenzione su di voi, qualcuno cerca di distraimi da altre cose che potrei notare.

— Perché dovrei servire da paravento?

— Lo ignoro. Se lo sapessi, sarei meno preoccupato.

— Quindi, sono stato messo sotto osservazione.

— Già — ammise ridacchiando Gottstein. — Fin dal vostro arrivo. Ma mentre voi lavorate qui in superficie, noi abbiamo tenuto d’occhio tutta questa zona per miglia e miglia in ogni direzione. È strano, ma sembra che in superficie ci siate solo voi due, occupati a far qualcosa che non sia un lavoro di routine.

— Strano, perché?

— Perché significa che voi pensate realmente di star facendo qualcosa con quel vostro trabiccolo che ignoro cosa sia. Non posso credere che siate un incompetente, perciò penso che valga la pena di ascoltarvi, se volete spiegarmi cosa state facendo.

— Faccio degli esperimenti di para-fisica, Commissario, proprio come dicono in giro. Alle voci che circolano, posso aggiungere che finora i miei esperimenti sono riusciti solo in parte.

— Suppongo che la vostra compagna sia Selene Lindstrom L., guida turistica.

— Sì.

— Strano tipo di assistente.

— È intelligente, pronta, interessata al mio lavoro, e molto carina.

— È disposta a lavorare con un Terrestre?

— Disposta a lavorare con un immigrante che diventerà cittadino lunare appena la sua domanda sarà accettata.

Selene stava avvicinandosi e la sua voce gli risuonò nelle orecchie.

— Buongiorno, Commissario. Mi spiace di aver ascoltato e di essermi intromessa in una conversazione privata, ma quando si è dentro a una tuta spaziale non si può far a meno di sentire tutto quello che viene detto entro il giro dell’orizzonte.

Gottstein si voltò. — Salve, signorina Lindstrom. Quello che ho detto non aveva niente di segreto. Vi interessa la para-fisica?

— Oh, sì!

— Vedo che la mancata riuscita degli esperimenti non vi ha scoraggiato.

— Non è esatto dire che non sono riusciti — rispose lei — anzi, lo sono molto più di quanto non creda il dottor Denison.

— Come? — Denison roteò sui tacchi rischiando di perdere l’equilibrio e sollevando una nuvoletta di polvere. Ora, tutti e tre stavano di fronte al Pionizzatore, al di sopra del quale — a circa un metro e mezzo d’altezza — brillava una luce simile a una grossa stella.

— Ho aumentato l’intensità del campo magnetico — spiegò Selene — e in principio il campo nucleare restava stabile, ma poi ha cominciato a cedere… a cedere…

— E si è fratturato! — esclamò Denison. — Accidenti, e io non l’ho visto!

— Mi spiace, Ben, ma prima eravate immerso nei vostri pensieri, e poi è arrivato il Commissario, e io non ho saputo resistere alla tentazione di provare da sola.

— Cos’è quella luce? — volle sapere Gottstein.

— Energia emessa spontaneamente da materia che trabocca da un altro universo nel nostro — spiegò Denison. Mentre parlava, la luce tremolò e si spense, e a distanza di parecchi metri ne comparve un’altra meno brillante.

Denison si slanciò verso il Pionizzatore, ma Selene, tutta grazia lunare, avanzò più rapidamente e arrivò per prima. Annullò la struttura del campo e la stella lontana si spense.

— Il punto di rottura non è stabile, vedete? — disse.

— Non su piccola scala — corresse Denison — ma se consideriamo che uno spostamento di un anno luce equivale teoricamente a uno spostamento di cento metri, uno di cento metri soltanto è miracolosamente stabile.

— Non abbastanza miracolosamente — disse Selene con voce incolore.

— Lasciate che indovini di cosa state parlando — si intromise Gottstein. — Volete dire che la materia può traboccare qui, o là, o altrove, a caso, nel nostro universo.

— Non proprio a caso, Commissario — spiegò Denison. — La probabilità di rottura si attenua allontanandosi dal Pionizzatore, e anche piuttosto bruscamente, direi. La precisione dipende da vari fattori, ma direi che ormai abbiamo delimitato con sufficiente precisione il campo. Anche cosi, però, uno spostamento di qualche centinaio di metri è possibile, come avete potuto constatare con i vostri occhi.

— E il fenomeno avrebbe potuto verificarsi ovunque, nell’interno della città o anche dentro ai nostri caschi, immagino.

— No, no — disse con impazienza Denison. — Il punto di rottura, almeno con le tecniche che usiamo noi, dipende strettamente dalla densità della materia già presente in questo universo. Non esiste praticamente la possibilità che la posizione di passaggio si sposti da un punto dove c’è il vuoto a un altro ove esiste atmosfera anche cento volte meno densa di quella esistente in città o nell’interno del nostro casco. Sarebbe stato poco pratico cercare di creare il passaggio in qualunque posto, oltre che nel vuoto. Per questo abbiamo fatto i nostri tentativi in superficie.

— Allora questa non è come la Pompa Elettronica?

— Per niente — rispose Denison. — Nella Pompa Elettronica, il passaggio di materia avviene nei due sensi, qui in uno solo. E gli universi interessati non sono gli stessi.

— Verreste a cena da me stasera, dottor Denison? — propose Gottstein.

— Io solo?

Gottstein abbozzò un inchino che risultò una grottesca parodia, all’indirizzo di Selene.

— Sarò felicissimo di godere della compagnia della signorina Lindstrom in una prossima occasione — disse. — Ma questa volta devo parlare a tu per tu con il dottor Denison.

— Avanti, accettate — disse bruscamente Selene a Denison vedendo che costui esitava. — Tanto, domani avrò una giornata molto faticosa, e voi avete bisogno di tempo per pensare alla stabilità del punto di passaggio.

— Be’ — rispose incerto Denison — allora fatemi sapere quando avrete un altro giorno libero, d’accordo?

— Non l’ho sempre fatto? E poi ci vedremo anche prima… Perché non ve ne andate, voi due? Penso io a sistemare gli apparecchi.

15

Barron Neville si bilanciava prima su un tallone e poi sull’altro costretto a questo dall’ambiente angusto, mentre se fosse stato sulla Terra avrebbe passeggiato avanti e indietro.

— Sei sicura che funzioni? Proprio sicura?

— Sicurissima — affermò Selene. — È la quinta volta che te lo ripeto.

Neville non l’ascoltava. A bassa voce, in fretta, disse: — Allora non importa anche se era presente Gottstein? Non ha cercato di interrompere l’esperimento?

— Ma no!

— Non hai avuto l’impressione che volesse valersi della sua autorità…?

— Senti, Barron, quale autorità avrebbe potuto far valere? Poteva inviare un corpo di polizia terrestre? E poi… oh, sai bene che, tanto, non potrebbero fermarci.

Neville smise di agitarsi e domandò: — Non lo sanno? Non lo sanno ancora?

— No, naturalmente. Ben stava guardando le stelle, e poi è arrivato Gottstein. Ho approfittato della situazione per cercar di provocare la rottura del campo, e ci sono riuscita, come era già riuscita l’altra. Le apparecchiature di Ben…

— Non dir così. È stata un’idea tua.

— Io ho dato solo dei vaghi suggerimenti — precisò Selene scuotendo la testa. — I particolari sono opera di Ben.

— Però sei in grado di riprodurre da sola gli esperimenti, no? Per amor del cielo, non dovremo ricorrere al Terragno, spero!

— Credo di esserne capace. Poi, al resto, penseranno gli altri.

— Bene. Allora incominciamo.

— Non ancora, Barron. Accidenti, non ancora.

— Perché?

— Abbiamo anche bisogno di energia.

— Quella l’abbiamo.

— No. Il punto di rottura è ancora troppo instabile.

— Hai detto che è possibile stabilizzarlo.

— Ho detto che lo credo possibile.

— Fa lo stesso.

— Comunque, è meglio che ci pensi Ben a trovare il modo di stabilizzarlo.

Seguì un breve silenzio, e infine Barron, con espressione seccata, quasi ostile, domandò: — Non starai pensando che potrei farlo io, vero?

— Vuoi salire con me in superficie e provvedere al necessario?

Seguì un altro silenzio, e poi Barron disse con voce incerta: — Non apprezzo il tuo sarcasmo, e non voglio aspettare troppo.

— Non posso comandare alle leggi naturali, però credo che non ci vorrà molto… E adesso, se non ti spiace, avrei bisogno di dormire. Domani ho i turisti.

Per un attimo, sembrò che Neville stesse per indicare il suo letto come per offrire ospitalità, ma il gesto, posto che volesse esser tale, restò allo stato d’intenzione, e Selene non dimostrò di aver capito, né di averlo anticipato. Salutato Barron con un cenno, se ne andò.

16

— Per esser sinceri — disse Gottstein sorridendo al di sopra del pasticcio dolce e colloso che fungeva da dessert — avevo sperato che ci saremmo visti più spesso.

— È molto gentile da parte vostra interessarvi tanto al mio lavoro — disse Denison. — Se l’instabilità del punto di rottura potrà esser superata, credo che il risultato ottenuto da me e dalla signorina Lindstrom sarà molto significativo.

— Vi esprimete con molta cautela, Denison, da vero scienziato… Non v’insulterò offrendovi l’equivalente lunare di un liquore. È l’unica imitazione di prodotti alimentari terrestri che ho fermamente deciso di non tollerare… Potete dirmi in parole povere che cosa rende significativo il risultato da voi ottenuto?

— Mi ci proverò — incominciò Denison soppesando le parole. — Partiamo dal para-universo, dove l’interazione nucleare forte è più intensa che nel nostro, cosicché le masse relativamente piccole di protoni, laggiù, sono in grado di tollerare una reazione di fusione capace di formare una stella. Masse equivalenti alle nostre stelle esploderebbero violentemente nel para-universo, che ha più stelle del nostro, però molto più piccole.

“Immaginiamo adesso di avere una interazione nucleare forte meno intensa di quella che esiste nel nostro universo. In questo caso, per formare una stella occorrerebbe una massa immensa di idrogeno, in quanto grandi masse di protoni avrebbero pochissima tendenza a fondersi. Un simile antipara-universo (cioè un universo che, in altre parole, fosse il contrario del para-universo) sarebbe formato da meno stelle del nostro, però molto più grandi. Infatti, se l’interazione nucleare forte venisse indebolita in modo sufficiente, ne deriverebbe un universo composto da un’unica stella contenente tutta la massa di questo universo. Sarebbe una stella estremamente densa, ma relativamente non reattiva e forse non emetterebbe più radiazioni del nostro sole.

— Sbaglio — lo interruppe Gottstein — o non è questa la situazione in cui si trovava il nostro universo prima della grande scissione… una sola, enorme massa stellare?

— Sì — rispose Denison — in realtà, l’anti-para-universo che sto descrivendo è quello che alcuni definiscono un uovo cosmico (cosmic egg), o più brevemente “cosmeg”. Un universo cosmeg è quello di cui abbiamo bisogno per un passaggio di materia in una sola direzione. Il para-universo con cui siamo attualmente collegati, con le sue piccole stelle, virtualmente non è che spazio vuoto. Si può continuare a sondare, a sondare, senza arrivare a toccar niente.

— Però i para-uomini ci hanno trovato.

— Sì, forse hanno seguito i campi magnetici. Ho fondati motivi per supporre che nel para-universo non esistano campi magnetici rilevanti, il che ci toglie il vantaggio che invece essi hanno nei nostri confronti. Se sondiamo invece l’universo cosmeg, non possiamo fallire. Il cosmeg di per se stesso è tutto un universo, e ovunque sondiamo, tocchiamo materia.

— Ma come avvengono questi sondaggi?

— Questa è la parte più difficile da spiegare — rispose Denison. — I pioni sono le particelle che fungono da intermediarie nell’interazione nucleare forte. L’intensità dell’interazione dipende dalla massa dei pioni, massa che può venir alterata, in condizioni speciali. I fisici lunari hanno inventato uno strumento, da loro battezzato Pionizzatore, con cui è possibile fare quanto vi ho detto. Una volta diminuita, o aumentata, la massa di pioni diventa parte effettiva di un altro universo. Diventa un punto d’incontro, di passaggio. Se viene diminuita a sufficienza, può entrare a far parte di un universo cosmeg, ed è questo che noi vogliamo.

— E potete anche risucchiare materia da quel… cosmeg? — domandò Gottstein.

— Questa è la parte più facile. Una volta formatosi il passaggio, l’afflusso è spontaneo. La materia entra con le proprie leggi, e quando arriva è stabile. Gradatamente s’infiltrano in essa le leggi del nostro universo, l’interazione forte diventa ancora più forte, la materia si fonde e comincia a sprigionare enorme quantità di energia.

— Ma se è super densa come mai non evapora in uno sbuffo di fumo?

— Anch’esso produrrebbe energia, ma tutto dipende dal campo elettromagnetico e, nel caso in questione, la forte interazione ha la precedenza, in quanto noi teniamo sotto controllo il campo elettromagnetico. Ci vorrebbe molto tempo a spiegare tutti i particolari.

— Bene. Allora, il globo di luce che ho visto quando eravamo in superficie era materia del cosmeg in fusione?

— Sì, Commissario.

— E si può imbrigliare quell’energia per usarla secondo necessità?

— Certamente, e nella quantità che si vuole. Quello a cui voi avete assistito era l’arrivo nel nostro universo di masse di cosmeg valutate in microgrammi. In teoria, niente impedisce che se ne trasporti a tonnellate.

— Allora può servire a sostituire la Pompa Elettronica.

— No — rispose Denison scuotendo la testa. — Anche l’uso di energia cosmeg altera le proprietà degli universi interessati. L’interazione forte si intensifica poco per volta nell’universo cosmeg e si indebolisce nel nostro, via via che le leggi naturali passano da un universo nell’altro. Questo significa che il cosmeg accelera lentamente i tempi di fusione e si scalda. Alla fine…

— Alla fine, esplode scindendosi — terminò per lui Gottstein.

— Così almeno suppongo.

— Credete che la stessa cosa si sia verificata nel nostro universo dieci miliardi di anni fa?

— È probabile. I cosmologi si sono chiesti come mai l’uovo cosmico sia esploso in un determinato momento piuttosto che in un altro. Alcuni hanno immaginato un universo oscillante in cui si formò l’uovo cosmico, e che poi improvvisamente esplose. Ma la possibilità dell’universo oscillante è stata scartata, e si è giunti alla conclusione che l’uovo cosmico dovette esistere per un lungo periodo di tempo prima di soggiacere a una crisi di instabilità prodottasi per ragioni sconosciute.

— Ma che potrebbero esser state il risultato del passaggio di energia attraverso gli universi.

— Forse. Comunque, non è necessario che questo sia avvenuto per l’intervento di qualche intelligenza. Forse, a volte, si verificano spontaneamente delle fratture.

— E quando avverrà l’esplosione finale sarà ancora possibile ricavare energia dal cosmeg? — domandò Gottstein.

— Non lo so, ma non è questo che può preoccuparci, per il momento. La fessura prodotta dal nostro campo di interazione forte nell’universo cosmeg può funzionare anche per milioni di anni prima che si arrivi al punto critico. E devono esserci altri universi cosmeg, forse in numero infinito.

— E quanto ai cambiamenti nel nostro universo?

— L’interazione forte va gradatamente indebolendosi. Molto, molto lentamente, il nostro Sole si raffredda.

— Per ovviare a questo possiamo ricorrere all’energia cosmeg?

— Non è detto che sia necessario — rispose Denison — perché se da una parte, qui nel nostro universo, l’interazione forte si indebolisce, in seguito all’azione della pompa cosmeg, dall’altra si rafforza grazie a quella della Pompa Elettronica già funzionante. Se riusciamo ad equilibrare la produzione di energia delle due pompe, sebbene le leggi naturali continuino a modificarsi nel para-universo e in quello cosmeg, nel nostro rimarranno inalterate. Noi siamo una strada, non il capolinea nell’una o nell’altra direzione, né il comportamento dei capolinea esercita una qualsiasi influenza su di noi. Da una parte, i para-uomini finiranno per adattarsi al raffreddamento del loro sole, che, tanto per cominciare, dev’essere già abbastanza freddo. Quanto poi all’universo cosmeg, non c’è motivo di supporre che vi sia vita. Infatti è proprio creando le condizioni necessarie all’esplosione finale che noi forse daremo inizio a un nuovo tipo di universo, in cui non è da escludere che un giorno vi sarà vita.

Per un po’, Gottstein non disse niente: la sua faccia paffuta pareva impassibile, mentre, a tratti, chinava la testa come ad approvare qualcosa che stava pensando.

Infine, disse: — Sapete, Denison, credo che questo sia proprio quel che ci vuole. Qualunque difficoltà si potrebbe incontrare nel tentativo di persuadere gli alti papaveri della scienza che la Pompa Elettronica sta distruggendo il mondo, non avrebbe più ragione d’essere.

— Infatti — confermò Denison — la riluttanza emotiva ad accettare questa realtà, non esisterà più, in quanto sia il problema sia la sua soluzione verranno esposti contemporaneamente.

— Quando credete di poter preparare una relazione in merito, relazione che vi assicuro sarà immediatamente inoltrata?

— Me lo potete garantire, questo?

— Se non ci riuscirò in altro modo, la farò pubblicare a spese del governo.

— Prima, preferirei neutralizzare l’instabilità del punto di rottura.

— È logico.

— E mi pare sarebbe cosa avveduta cercar di avere come coautore il dottor Peter Lamont. Lui, contrariamente a me, è in grado di fornire una rigorosa esattezza alla parte matematica. Inoltre, è stato proprio Lamont ad aprirmi la strada. Ah, un’altra cosa ancora, commissario…

— Sì?

— Vorrei che una parte del merito andasse anche ai fisici lunari. Uno di loro, il dottor Barron Neville, potrebbe figurare come terzo autore.

— Ma perché? Non state creando inutili complicazioni?

— È stato il loro Pionizzatore a rendere possibile quello che ho fatto.

— Lo si potrà menzionare… ma il dottor Barron ha lavorato insieme a voi al progetto?

— Indirettamente.

— E allora perché tirarlo in ballo?

Denison abbassò lo sguardo, lisciando con la mano la piega dei calzoni. — Sarebbe una buona mossa diplomatica — disse. — Bisognerà installare la pompa cosmeg sulla Luna.

— Perché non sulla Terra?

— In primo luogo perché bisogna lavorare nel vuoto assoluto. Si tratta di un trasferimento a senso unico, e non nei due sensi, come avviene nella Pompa Elettronica. E le condizioni necessarie al funzionamento sono diverse nei due casi. Sulla superficie della Luna possiamo disporre di vuoto assoluto naturale in gran quantità, mentre creare sulla Terra un ambiente in cui esista il vuoto comporterebbe sforzi e difficoltà.

— Però sarebbe una cosa fattibile, no?

— In secondo luogo — proseguì Denison senza rilevare l’interruzione — se disponiamo di due enormi fonti di energia situate in direzioni opposte, col nostro universo in mezzo, se i due sbocchi fossero troppo vicini si verificherebbe una specie di corto circuito. Tenendoli alla distanza di un quarto di milione di miglia di vuoto, con la Pompa Elettronica che funziona solo sulla Terra e la cosmeg sulla Luna, avremmo una situazione ideale… anzi, necessaria. E quindi, se dovremo operare sulla Luna sarebbe saggio, per non dire doveroso, tener conto della suscettibilità dei fisici lunari. Dobbiamo dividere la torta anche con loro.

— Questo è il parere della signorina Lindstrom? — domandò Gottstein con un sorriso.

— Penso di sì. Basterebbe chiederglielo. Comunque, mi pare una proposta abbastanza logica perché possa essermi venuta in mente senza bisogno che me la suggerisse qualcuno.

Gottstein si alzò, stiracchiandosi, poi fece qualche saltello flettendo le ginocchia e ricadendo con lo strano effetto al rallentatore dovuto alla gravità lunare.

Infine, tornò a sedersi, e disse: — Non avete mai provato a farlo, dottor Denison?

Denison fece un cenno di diniego.

— Pare che favorisca la circolazione nelle estremità inferiori — spiegò. — Lo faccio tutte le volte che sento le gambe intorpidirsi. Fra non molto farò un breve viaggio sulla Terra e cerco di non assuefarmi troppo alla gravità lunare… E adesso, vogliamo parlare della signorina Lindstrom, dottor Denison?

— Cosa c’è da dire? — disse l’altro, cambiando tono. — È una guida turistica.

— Sì, me l’avete già detto. E io vi ho fatto osservare che mi pare un tipo insolito di assistente, per un fisico.

— Per la precisione, io sono un fisico dilettante, come credo che lei sia un’assistente dilettante.

Gottstein non sorrideva più. — Non cercate di ingannarmi, dottore. Mi sono presa la briga di fare indagini sul suo conto. Il suo curriculum è rivelatore, oserei dire, e chiunque avesse indagato in merito se ne sarebbe accorto. Io credo che sia un’Intuitiva.

— L’intuito è un dono comune a molti. In un certo senso, arriverei a dire che anche voi siete un Intuitivo. In un altro senso ancora, anch’io lo sono, e di sicuro.

— È diverso. Voi siete uno scienziato che sa il fatto suo, e io, almeno lo spero, sono un esperto amministratore. La signorina Lindstrom di professione fa la guida turistica, mentre invece possiede tali doti di intuito per cui vi è utile nei vostri lavori di fisica teorica.

Denison ebbe un momento di esitazione. — Ha fatto un po’ di pratica. Possiede, è vero, un intuito eccezionale, che però non tiene sotto controllo consapevole.

— Che sia un risultato dei programmi di tecnica genetica svoltisi qualche decennio fa?

— Non lo so, però non mi stupirei se lo fosse.

— Vi fidate di lei?

— In che senso? Mi ha aiutato.

— Sapete che è la moglie del dottor Barron Neville?

— Sono legati da un rapporto sentimentale, non legale, almeno credo.

— Qui sulla Luna nessun rapporto si può definire legale secondo i nostri schemi. Si tratta dello stesso Neville che vorreste far figurare come terzo autore della relazione che scriverete?

— Sì.

— Ed è solo una coincidenza?

— No. Neville si è interessato a me quando sono arrivato, e credo che abbia chiesto a Selene di aiutarmi nel mio lavoro.

— È stata lei a dirvelo?

— Lei mi ha detto che il mio lavoro lo interessava, il che mi pare abbastanza naturale.

— Non avete mai pensato, dottor Denison, che la signorina Lindstrom possa lavorare anche per il suo interesse e per quello del dottor Neville?

— In che cosa i loro interessi differirebbero dai nostri? Lei mi ha aiutato senza riserve.

Gottstein cambiò posizione e allargò le spalle come se volesse stendere i muscoli. — Il dottor Neville non può ignorare che la donna con cui è in rapporti intimi è una Intuitiva. E credete che non se ne approfitti? Perché dovrebbe continuare a fare la guida turistica se non per mascherare le sue capacità per uno scopo preciso?

— Pare che il dottor Neville sia solito ragionare in modo contorto. Io invece non sono portato a vedere complotti inutili.

— Come fate a sapere che sono inutili? Quando la mia capsula spaziale stava per scendere sulla superficie, subito prima che sopra le vostre apparecchiature si formasse quella sfera di radiazioni, vi guardavo, e voi non eravate al Pionizzatore.

— No, infatti — ammise Denison dopo averci pensato. — Guardavo le stelle come mi capita spesso di fare quando sono in superficie.

— E la signorina Lindstrom cosa stava facendo?

— Non lo so. Lei dice che continuò a rafforzare il campo magnetico finché non le riuscì di produrre la frattura.

— È normale che sia lei a manovrare gli apparecchi in vostra assenza?

— No, ma capisco come abbia provato l’impulso di farlo.

— E si sarebbe verificata una specie di… fuoruscita?

— Non capisco.

— Forse non capisco nemmeno io. Alla luce della Terra, ho notato una scintilla che pareva un oggetto in volo. Non so cosa fosse.

— Nemmeno io.

— Non vi viene in mente che possa aver attinenza con l’esperimento, per cui…?

— No.

— E allora che cosa stava facendo la signorina Lindstrom?

— Continuo a ignorarlo.

Seguì un breve silenzio, che il Commissario ruppe per dire: — Torniamo a noi. Per prima cosa, cercate di ovviare a quella instabilità, poi pensate alla relazione. Io intanto mi darò da fare, e durante la mia prossima visita sulla Terra prenderò accordi perché venga pubblicata e sottoposta all’attenzione del governo…

Era un congedo. Denison si alzò, e il Commissario disse: — E pensate a Neville e alla signorina Lindstrom.

17

Era una pesante stella di radiazioni, più grossa e più luminosa, e Denison, avvertendone il calore attraverso il visore del casco, arretrò. In quelle radiazioni erano presenti tracce di raggi X, e sebbene la tuta gli offrisse una protezione sufficiente, tuttavia era meglio non correre rischi inutili.

— Credo che ormai non ci siano più dubbi — mormorò Denison. — Il punto di rottura è stabile.

— Ne sono assolutamente sicura — disse Selene.

— Interrompiamo le prove e torniamo in città.

Si incamminarono lentamente, Denison, per quanto strano possa sembrare, si sentiva demoralizzato. Ormai incertezze ed eccitazione erano superate. Non c’erano più da temere insuccessi. Il governo stava già occupandosi della scoperta, e la cosa gli sarebbe sfuggita sempre più dalle mani.

— Penso che sia venuto il momento di incominciare la relazione.

— Già — si limitò a dire Selene.

— Avete parlato ancora con Barron?

— Sì.

— Ha cambiato idea?

— Per niente. Si rifiuta di partecipare… Ben…

— Cosa?

— Credo che sia inutile parlargli. Si rifiuta di collaborare a qualsiasi progetto di cui si occupi anche il governo terrestre.

— Non gli avete spiegato la situazione?

— Fin nei minimi particolari.

— E continua a rifiutare?

— Ha chiesto di parlare con Gottstein, e il Commissario gli ha fissato un appuntamento al suo ritorno dalla Terra. Bisognerà aspettare fino ad allora. Forse, Gottstein riuscirà a persuaderlo, ma ne dubito.

Denison scrollò le spalle, gesto del tutto inutile all’interno di una tuta spaziale. — Non lo capisco.

— Io sì — disse piano Selene.

Denison non rispose. Mise il Pionizzatore e il resto dell’attrezzatura al riparo in una piccola caverna, e disse: — Pronta?

— Pronta.

Si avviarono in silenzio verso l’Uscita P-4, che sboccava in superficie, e Denison scese la scaletta, Selene lo superò con un agile salto, sfiorando appena il corrimano. Si tolsero poi le tute e le sistemarono negli appositi armadietti. — Volete venire a colazione con me? — propose Denison.

— Mi sembrate giù di corda — osservò lei. — C’è qualcosa che non va?

— Sarà la reazione… Allora, venite?

— Sì, certo.


Mangiarono nell’appartamento di Selene, che aveva insistito dicendo: — Devo parlarvi, e al ristorante non si può farlo in pace.

Mentre Denison stava masticando lentamente qualcosa che aveva il vago sapore di vitello alla noce moscata, lei disse: — Ben, non avete ancora aperto bocca, ed è una settimana che non parlate.

— Non è vero — disse lui.

— Sì, invece. — E lo fissò preoccupata. — Non so. se il mio intuito valga qualcosa anche in altri campi che non siano la fisica, ma penso che ci sia qualcosa che non mi volete dire.

Denison scrollò le spalle. — Sulla Terra stanno facendo un caos del diavolo. Gottstein si dà un gran da fare a muovere tutte le pedine utili prima del ritorno. Lamont è diventato una celebrità, e una volta scritta la relazione vogliono che torni anch’io sulla Terra. A quanto pare sono anch’io un eroe.

— In fin dei conti è vero.

— Riabilitazione completa — continuò pensoso Denison. — Ecco cosa mi offrono. È chiaro che, arrivato a questo punto, potrei aspirare a un ottimo posto in qualche università o associazione scientifica terrestre.

— Non è quello che volevate?

— Immagino che sia quello che vuole Lamont, che certamente lo otterrà. Ma io non lo voglio.

— Cosa volete, allora?

— Restare sulla Luna.

— Perché?

— Perché è la punta di diamante dell’umanità e io voglio farne parte. Voglio lavorare nelle installazioni delle pompe cosmeg, il che è possibile solo qui. Voglio lavorare nel campo della para-teoria con gli strumenti che voi siete in grado di ideare e manovrare, Selene… Voglio stare con voi… Ma voi volete stare con me?

— Anche a me interessa la para-teoria.

— Ma adesso Neville non vi impedirà di lavorare?

— Barron impedirmi di lavorare? — ribatté lei con voce tesa. — Volete insultarmi, Ben?

— Me ne guardo bene.

— Allora, forse, vi ho frainteso. Volevate insinuare che ho lavorato con voi perché Barron me l’ha ordinato.

— Non è forse vero?

— Sì, però io non l’ho fatto perché me lo ha detto lui, ma perché lo volevo io. Lui è padrone di credere di potermi ordinare qualsiasi cosa, ma questo è vero solo quando i suoi ordini coincidono con la mia volontà, com’è stato appunto nel vostro caso. Altrimenti mi offenderei, come mi offende sapere che voi pensate una cosa del genere.

— Però siete amanti.

— Lo siamo stati, ma cosa c’entra? Ragionando a questo modo, allora anch’io potrei ordinargli di fare una cosa o un’altra.

— Allora potete lavorare con me, Selene?

— Certo — rispose freddamente lei. — Basta che lo voglia.

— E lo volete?

— Adesso come adesso, sì.

Denison sorrise. — La possibilità che voi non poteste o voleste lavorare con me è quello che mi preoccupava in questi ultimi giorni. Paventavo la fine del progetto perché avevo avuto paura che dovessero terminare anche i nostri rapporti. Perdonatemi, Selene, non voglio affliggervi con l’attaccamento sentimentale di un vecchio Terragno…

— Be’, nella vostra mentalità non c’è niente del vecchio Terragno, Ben. E ci sono altri attaccamenti, oltre a quello sessuale. Mi piace stare con voi.

Nella pausa che seguì il sorriso di Denison scomparve, per poi riapparire, forse un tantino sforzato. — Grazie per la mia mentalità. — Distolse lo sguardo scuotendo la testa, e poi tornò a voltarsi. — Selene — disse — nei passaggi da universo a universo è coinvolto qualcos’altro oltre al rifornimento di energia. Ho il sospetto che abbiate pensato proprio a questo.

Il silenzio si prolungò fino a diventare penoso, e finalmente Selene disse: — Oh, quello…

Rimasero a fissarsi per un poco; Denison imbarazzato, Selene quasi furtiva.

18

— Non mi sono ancora riabituato a camminare sulla Luna — disse Gottstein — ma non è niente al confronto della fatica che facevo a camminare sulla Terra. Denison, sarà meglio che rinunciate all’idea di tornarci. Vi trovereste malissimo.

— Non ho nessuna intenzione di tornare sulla Terra, Commissario — disse Denison.

— Sotto un certo punto di vista, però, è un peccato. Sareste acclamato. E quanto a Hallam…

— Mi sarebbe piaciuto vedere la sua faccia — sogghignò Denison. — Ma è un desiderio di poco conto.

— Lamont, naturalmente, ha avuto la parte del leone. È al centro dell’interesse mondiale.

— Sono contento, perché se lo merita… Pensate che Neville accetterà di unirsi a noi?

— Non so, comunque sta per arrivare… Sentite — aggiunse Gottstein abbassando la voce, in tono da cospiratore — prima che arrivi gradireste una tavoletta di cioccolata?

— Come?

— Una tavoletta di cioccolata, con le mandorle. Una. Ne ho alcune.

L’espressione di Denison, dapprima confusa, si schiarì. — Cioccolata vera?

— Sì.

— Certo che… — L’espressione s’indurì. — No, Commissario.

— No?

— No! Se assaggiassi un pezzetto di cioccolata vera, finché non mi si fosse sciolta in bocca proverei una gran nostalgia della Terra. E questa è una cosa che non posso permettermi di sopportare. Non voglio… Non fatemela nemmeno vedere, né tantomeno odorare.

— Avete ragione — ammise il Commissario con aria avvilita, e, con sforzo palese, cambiò argomento. — Sulla Terra, regna un enorme fermento. Naturalmente abbiamo fatto il possibile per salvare la faccia di Hallam, che continuerà a coprire una carica di primo piano. Ma sarà puramente onorifica.

— Avrà sempre più considerazione di quanto lui non ne abbia avuta per gli altri — disse Denison.

— Non è per lui, ma perché non si può distruggere un’immagine che per tanti anni ha avuto tanta importanza per tutti; il suo crollo avrebbe effetti disastrosi sulla scienza. E il buon nome della scienza è più importante di Hallam.

— È una cosa che io disapprovo per principio — disse Denison. — La scienza deve incassare i colpi che si merita.

— Tutto a tempo e luogo… Ma ecco il dottor Neville.

Gottstein assunse un’espressione impassibile, e Denison si girò sulla sedia per guardare verso la porta.

Barron Neville fece un ingresso solenne. La sua figura imponente mancava della grazia e della delicatezza comuni ai Lunariti. Salutò con un breve cenno i due, prese posto a sedere, incrociò le gambe. Era chiaro che si aspettava che fosse Gottstein il primo a parlare.

— Sono lieto di vedervi, dottor Neville — disse il Commissario. — Il dottor Denison mi ha detto che vi rifiutate di figurare come co-autore di quello che a mio parere sarà un trattato classico sulla pompa cosmeg.

— È perfettamente inutile — asserì Neville. — Quel che succede sulla Terra non m’interessa.

— Siete al corrente degli esperimenti della pompa cosmeg? Sapete quali ne sono le implicazioni?

— So tutto. Sono perfettamente al corrente, come voi due.

— Allora tralascerò i preliminari. Sono appena tornato dalla Terra, dottor Neville, ed è già stato stabilito il programma per il prossimo futuro. In tre diversi punti della superficie lunare verranno installate tre grandi stazioni di pompe cosmeg, in maniera che una stia sempre nell’ombra. Le altre due lo saranno per metà del tempo. Quelle che si troveranno nell’ombra genereranno di continuo energia, che per la maggior parte verrà irradiata nello spazio. Il nostro scopo non sarà di servirci per fini pratici di quella energia, ma per controbilanciare i mutamenti nelle intensità di campo prodotti dalla Pompa Elettronica.

— Per qualche anno — lo interruppe Denison — dovremo controbilanciarla allo scopo di riportare questa parte di universo nelle condizioni in cui era prima che la Pompa incominciasse a funzionare.

— E Luna City ne avrà dei vantaggi? — volle sapere Neville.

— Sì, se sarà necessario. Secondo noi le batterie solari dovrebbero essere sufficienti ai vostri fabbisogni, ma non vi sono obiezioni a che possiate avere qualche supplemento d’energia.

— Molto gentile da parte vostra — disse Neville senza curarsi di nascondere il sarcasmo. — E chi costruirà e farà funzionare le pompe cosmeg?

— Tecnici e operai lunariti, speriamo.

— Tecnici e operai lunariti senza dubbio — corresse Neville. — I Terrestri sarebbero troppo goffi e impacciati per poter lavorare con profitto sulla Luna.

— Avete ragione — ammise Gottstein. — Abbiamo fiducia nella collaborazione dei Lunariti.

— E chi deciderà sulla quantità di energia da produrre, su quanta ne andrà adoperata per i fabbisogni locali e quanta invece dovrà essere dispersa nello spazio?

— Le decisioni toccheranno al Governo — dichiarò Gottstein.

— Allora i Lunariti dovranno lavorare mentre i Terrestri si limiteranno a impartire gli ordini — disse Neville.

— No — rispose calmo Gottstein. — Lavoreremo di comune accordo, per il bene di tutti.

— Parole! Ma resta il fatto che sarete voi a prendere le decisioni — insisté Neville. — No, Commissario. La mia risposta è no.

— Volete dire che vi rifiuterete di costruire le stazioni cosmeg?

— No, le costruiremo, ma per nostro uso e consumo. Decideremo noi quanta energia usare e quanta disperdere.

— No, così non può andare. Bisogna che lavoriate in continuo contatto col governo terrestre in quanto l’energia della pompa cosmeg dovrà servire a controbilanciare quella della Pompa Elettronica.

— Provvederemo anche a questo, ma abbiamo anche altri progetti in cantiere. L’energia non è l’unico prodotto di quantità illimitata derivante dal contatto di due o più universi.

— Sappiamo che ci sono anche alcune leggi di conservazione — lo interruppe Denison.

— Sono lieto che ve ne siate resi conto — disse Neville lanciandogli un’occhiata ostile. — E fra queste ci sono la velocità lineare e la velocità angolare. Fin quando un oggetto risponde al campo gravitazionale in cui è immerso, e a quello solamente, si trova in caduta libera e può conservare la propria massa. Per potersi muovere in qualsiasi altra direzione deve accelerare in senso anti-gravitazionale e perché ciò si possa verificare parte di esso deve sottostare a un cambio in senso opposto.

— Come nei reattori — commentò Denison — che devono emettere massa in una direzione perché il resto della massa possa accelerare nella direzione opposta.

— Immaginavo che voi lo sapeste, dottor Denison — disse Neville — ma volevo che la cosa fosse chiara per il Commissario. La perdita di massa può essere ridotta al minimo se la sua velocità viene enormemente aumentata, poiché la quantità di moto è uguale alla massa moltiplicata per la velocità. Ciononostante, per quanto grande sia la velocità, parte della massa deve essere eliminata. Se la massa che deve accelerare è originariamente enorme, anche la massa che deve essere scartata sarà enorme. Se, per esempio, la Luna…

— La Luna! — esclamò sbalordito Gottstein.

— Sì, la Luna — disse imperturbabile Neville. — Se dovessimo far uscire la Luna dalla sua orbita per lanciarla verso la parte esterna del sistema solare, per mantenere la quantità di moto occorrerebbero enormi sforzi, che renderebbero inattuabile la cosa. Ma se invece la quantità di moto potesse esser trasferita dal cosmeg in un altro universo, la Luna potrebbe accelerare senza perdere massa. Sarebbe come spingere una barca controcorrente piantando un palo sul fondo, per darvi un’idea che ho ricavato da un libro terrestre.

— Ma perché? Voglio dire, perché vorreste spostare la Luna?

— Mi pare ovvio. A cosa ci serve la presenza soffocante della Terra? Abbiamo l’energia che ci occorre; disponiamo di un mondo dotato di tutte le comodità e in cui c’è spazio anche per le generazioni future, almeno per qualche secolo. Perché non dovremmo essere indipendenti? E poi, sarà così, Sono venuto apposta per dirvi che non ci potete fermare e per consigliarvi caldamente di non interferire. Faremo come vi ho detto. Noi Lunariti sappiamo come e dove costruire le pompe cosmeg. Adopereremo tutta l’energia di cui avremo bisogno e ne produrremo in eccesso allo scopo di neutralizzare i cambiamenti provocati dalle vostre stazioni di pompaggio.

— Da come presentate le cose — disse con ironia Denison — pare che agiate per il nostro bene, ma non è certo così. Se le nostre Pompe Elettroniche fanno esplodere il Sole, questo avverrà molto prima che voi riusciate a uscire dalla zona interna del sistema solare, e sarete coinvolti nella catastrofe.

— Può anche darsi — ammise Neville — ma dal momento che produrremo energia in sovrabbondanza, questo non si verificherà.

— Ma non potete farlo! — esclamò eccitato Gottstein — non potete andarvene. Se vi allontanerete troppo, la pompa cosmeg non riuscirà a neutralizzare la Pompa Elettronica. Non è vero, Denison?

Denison scrollò le spalle. — Secondo un rapido calcolo mentale che ho fatto in questo momento, questo dovrebbe avvenire quando raggiungeranno la zona di Saturno. Ma ci vorranno anni prima che arrivino fin là e ora di allora noi avremo certamente fatto in tempo a costruire stazioni spaziali nell’orbita che era della Luna, e sulle quali avremo installato pompe cosmeg. In effetti, dunque, non abbiamo bisogno della Luna. Può andarsene… solo che non lo farà.

— Cosa ve lo fa pensare? — domandò Neville con un sorriso beffardo. — Nessuno può impedircelo. I Terrestri non potranno in alcun modo imporci la loro volontà.

— Non ve ne andrete perché è perfettamente inutile farlo. Perché smuovere tutta la Luna? Per poter raggiungere un’accelerazione sufficiente ci vorrebbero anni, data la massa della Luna. Vi sposterete, sì, ma con una lentezza esasperante. Perché invece non costruite delle navi stellari, grandissime, dotate di pompe cosmeg, con un’ecologia indipendente? Con la spinta del cosmeg farete meraviglie. Se anche doveste impiegare vent’anni a costruire le navi, poi potreste viaggiare a una tale velocità da superare in meno di un anno la Luna, supponendo che cominciasse adesso a muoversi. Le navi potrebbero cambiar rotta in una frazione di secondo rispetto al tempo che ci impiegherebbe la Luna.

— E cosa succederebbe all’universo se le pompe cosmeg non fossero controbilanciate?

— La quantità di energia necessaria a una o più navi stellari sarà molto ma molto minore di quella necessaria per spostare un pianeta e sarà distribuita in diverse e ampie zone dell’universo. Occorreranno milioni di anni prima che si verifichino cambiamenti degni di nota. E inoltre ci guadagnareste enormemente in manovrabilità e velocità.

— Non abbiamo fretta — mormorò Neville che aveva perso la sua primitiva baldanza. — Abbiamo solo fretta di allontanarci dalla Terra.

— In fin dei conti ci sono dei vantaggi ad avere la Terra vicina — gli fece notare Denison. — Avete l’afflusso degli immigranti, godete degli scambi culturali. Avete a portata di mano un pianeta abitato da due miliardi di persone. Perché volete rinunciare a tutto questo?

— Ci rinunceremo molto volentieri.

— Parlate a nome vostro o di tutta la popolazione lunare? Io credo che parliate solo per voi, Neville. Nel vostro carattere ci sono dei lati strani. Vi rifiutate di salire in superficie, mentre gli altri Lunariti lo fanno senza difficoltà, anche se non con entusiasmo. L’interno della Luna non è il grembo materno, per loro, come invece lo è per voi. Non è la loro prigione, come invece è la vostra. In voi esiste un fattore nevrotico che la maggior parte dei Lunariti non ha, o ha in maniera molto inferiore. Se allontanate la Luna dalla Terra, essa diventerà una prigione per tutti. Diventerà una prigione da cui nessuno — e non solo voi — potrà mai uscire… Ma forse è proprio questo che volete.

— Voglio che il mio mondo sia libero e indipendente, e senza influenze esterne.

— Potete costruirvi tutte le navi che volete. Con esse, vi sarà facile muovervi a velocità prossime a quella della luce, dopo che avete trasferito l’inerzia nel cosmeg. Sarete in grado di esplorare tutto l’universo in un ciclo vitale. Non vi piacerebbe disporre di una nave capace di tanto?

— No — rispose Neville con disgusto.

— Davvero? O è solo perché così non vi sarebbe possibile portarvi con voi la Luna ovunque andrete? Ma sono sicuro che la maggior parte dei Lunariti non la pensa così.

— Non è affar vostro.

— Come no? Io sono un immigrante che fra poco avrà la cittadinanza. Non voglio che, a scegliere per me, sia qualcuno che non ha la forza di emergere in superficie e che vuole trasformare la sua prigione personale in una prigione comune. Io ho lasciato la Terra per sempre, ma solo per venire sulla Luna, per restare a un quarto di milione di miglia dal pianeta dove sono nato. Non voglio finire chissà dove.

— E allora tornatevene sulla Terra — ribatté Neville con indifferenza. — Ne avete ancora il tempo.

— E gli altri cittadini della Luna? Gli altri immigranti?

— Ormai è deciso.

— Non è vero… Selene!

Selene entrò.

Aveva un’espressione solenne e gli occhi pieni di sfida.

— Da quanto tempo eri in ascolto nella stanza vicina? — le domandò Neville.

— Da prima che tu arrivassi, Barron.

Neville guardò Selene, poi Denison, poi ancora Selene. — Voi due… — cominciò, puntando l’indice contro di loro.

— Non so cosa vuoi dire con quel “voi due” — lo interruppe Selene — ma Ben ha scoperto da tempo quello che ti ha appena spiegato sull’inerzia.

— Non è stata colpa di Selene — intervenne Denison. — Il Commissario notò un oggetto volante, una volta che nessuno pensava che potesse vederlo. Quando me lo disse, pensai che Selene stesse facendo degli esperimenti relativi a un problema che ignoravo. Ci pensai e scoprii che era possibile trasferire l’inerzia. Dopo di che…

— Be’, se sapevate tutto non importa — disse Neville.

— Importa, eccome! — ribatté Selene. — Ne ho parlato con Ben e ho scoperto che non ero poi obbligata ad accettare sempre le tue opinioni. Forse non andrò mai sulla Terra, e può anche darsi che non ne abbia voglia. Ma ho scoperto che mi piace vederla in cielo, e sapere che è sempre lì, quando ho voglia di guardarla. Ho parlato con gli altri del Gruppo. Non tutti hanno voglia di andarsene. La maggior parte preferisce che si costruiscano navi stellari. Chi vuole, potrà partire, e chi non vuole resterà qui.

— Tu hai parlato — disse Neville con voce strozzata. — Chi ti aveva dato il diritto di…

— Me lo sono preso io, Barron. E del resto, non ha più importanza. Abbiamo votato, e tu sei in minoranza.

— Tutto per causa di… — Neville si alzò, avventandosi minaccioso contro Denison.

— Vi prego di non perdere la calma — intervenne il Commissario. — Dottor Neville, anche se voi siete nato sulla Luna non credo che avreste la meglio, contro noi due.

— Noi tre, vorrete dire — lo corresse Selene. — Anch’io sono nata sulla Luna, e se vai a cercare la causa e la colpa, sono stata io, non loro, Barron.

— Sentite, Neville — s’intromise a questo punto Denison. — Per quel che importa alla Terra, la Luna può anche andare in malora. La Terra può costruire delle stazioni spaziali. Ma tutta la faccenda sta molto a cuore ai cittadini della Luna… a Selene, a me, a tutti. Nessuno vi impedirà di avventurarvi nello spazio, di andarvene, di essere libero. Potete fare quello che volete, andarvene, star chiuso nel grembo materno… Ma anche gli altri hanno il diritto di scegliere quello che vogliono. E chi vuol restare, resterà.

19

Adesso, nell’appartamento di Selene le finestre, mostravano panorami terrestri.

— La stragrande maggioranza ha votato contro di lui, Ben — disse Selene.

— Non per questo, però, lui rinuncerà. Se nel corso dell’installazione delle stazioni ci saranno attriti con la Terra, la pubblica opinione della Luna potrà cambiare.

— Non è detto che debbano esserci attriti.

— No, infatti. A ogni modo, nella storia il lieto fine non esiste. Esistono solo momenti critici da superare. Noi abbiamo superato questo, ritengo, e ci preoccuperemo degli altri quando sarà il momento. Ma credo che con la costruzione delle navi stellari la tensione diminuirà notevolmente.

— Vivremo abbastanza per vederlo, ne sono sicura.

— Voi, di certo, Selene.

— Anche voi, Ben. Non esagerate con la vostra età. Avete solo quarantotto anni.

— Voi partireste con una delle navi stellari, Selene?

— No. Allora sarò troppo vecchia, e poi mi piace vedere la Terra nel cielo. Forse ci andrà mio figlio. Ben?

— Sì, Selene?

— Ho chiesto il permesso di avere un secondo figlio. Hanno accettato la domanda. Vuoi contribuire?

Denison la fissò negli occhi. Lei non distolse lo sguardo.

— Fecondazione artificiale? — domandò.

— Certo — rispose lei. — La combinazione dei geni dovrebbe essere interessante.

Denison abbassò gli occhi. — Ne sarei lunsigato, Selene.

— È solo questione di buonsenso, Ben — disse lei, sulla difensiva. — È importante che le combinazioni dei geni siano buone, e non c’è niente di male in un po’ d’ingegneria genetica naturale.

— Sicuro.

— Ma questo non significa che io non lo voglia anche per altri motivi… perché tu mi piaci.

Denison annuì ma non disse niente.

— È più importante l’amore del sesso — disse lei quasi con rabbia.

— In questo, sono d’accordo. Se non altro, ti amo anche senza sesso.

— E, già che siamo in tema — riprese lei — è meglio il sesso dell’acrobazia.

— Sono d’accordo anche in questo.

— E inoltre… Oh, maledizione, tu potresti cercare d’imparare!

Denison annuì e disse, sottovoce: — Se tu vuoi insegnarmi.

Con esitazione, fece un passo verso di lei. Selene non si mosse.

Lui smise di esitare.


FINE
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