Dua aveva potuto allontanarsi dagli altri senza troppi fastidi. Se ne aspettava sempre, invece i guai non arrivavano. Mai guai seri, comunque.
E poi perché avrebbero dovuto arrivare?, avrebbe obiettato Odeen con il suo modo di fare un po’ saccente. — Sta’ qui — avrebbe detto. — Lo sai che Tritt si secca. — Lui non parlava mai delle proprie seccature: i Razionali non s’inalberavano mai per le sciocchezze. Eppure volteggiava su Tritt in continuazione, quasi quanto Tritt volteggiava sui bambini.
Ma poi Odeen la lasciava sempre fare a modo suo, se lei insisteva abbastanza, e intercedeva persino presso Tritt. A volte ammetteva addirittura di essere fiero delle sue capacità, della sua indipendenza… In fondo non era un cattivo sinistride, pensò Dua, con un vago slancio d’affetto.
Tritt era più difficile da trattare e la guardava in un certo modo, tra l’arcigno e l’amareggiato, quando lei era… be’, quando lei era come voleva essere. Boh, i destridi erano fatti così. Per lei Tritt era un destride, ma per i bambini era un Paterno, e questo secondo aspetto della sua personalità era predominante… Il che era un bene, perché lei poteva sempre contare sul fatto che l’uno o l’altro dei bambini avesse bisogno di lui e lo facesse allontanare giusto quando le cose cominciavano a mettersi male.
Con tutto questo, a Dua non importava molto di Tritt: tendeva a ignorarlo, tranne naturalmente che nella fusione. Odeen era un’altra cosa. In principio era stato eccitante: le era bastata la presenza di Odeen perché i suoi contorni brillassero e si dissolvessero. E il fatto che lui fosse un Razionale lo aveva reso ancora più eccitante. Non aveva capito, però, il perché di quella sua reazione: l’aveva considerata parte del suo Garattere strano. Era cresciuta così, strana, e ormai si era abituata alla propria stranezza… quasi.
Dua sospirò.
Da bambina, quando ancora pensava a se stessa come a un individuo, un essere singolo e non la terza parte di una triade, era molto più consapevole di quella diversità. Ed erano soprattutto gli altri a renderla tanto consapevole. Una cosa da niente, come la superficie, la sera al tramonto…
Le era sempre piaciuta la superficie, di sera. Le altre Emotive dicevano che era fredda e triste, e rabbrividivano e si condensavano quando lei gliela descriveva. Erano abbastanza propense a emergere nel pieno calore del mezzodì, per estendersi e nutrirsi, ma era proprio quello che a lei rendeva tanto antipatico il mezzodì. Non le andava di essere nei paraggi di quel mucchio di pettegole pigolanti.
Doveva mangiare anche lei, ovviamente, ma preferiva di gran lunga farlo la sera, quando il cibo scarseggiava, ma tutto era avvolto in una cupa penombra rossa e lei era sola. Naturalmente descriveva la superficie al tramonto più fredda e desolata di quanto fosse, quando ne parlava alle altre, proprio per vederle ispessire i contorni mentre s’immaginavano il gelo… o per lo meno ispessirli di quanto potevano farlo le giovani Emotive. Dopo un po’ si erano messe a bisbigliare sul suo conto, a deriderla e… a lasciarla sola.
Il piccolo sole toccava adesso l’orizzonte e aveva quella segreta tinta rossastra che soltanto lei era là a vedere. Si estese dalle due parti, rafforzando intanto lo spessore dorsoventrale, per assorbire le ultime tracce di calore. Lo centellinò oziosamente, assaporando il gusto lievemente acidulo ma poco sostanzioso delle lunghezze d’onda lunga. (Non aveva mai conosciuto un’altra Emotiva che ammettesse di gradirlo. Ma lei non avrebbe mai detto a nessuno che le piaceva perché lo associava alla libertà: la libertà dagli altri, di quando poteva starsene da sola.)
Persino adesso la solitudine, il gelo e il rosso cupo le riportarono alla mente i giorni lontani, prima della triade, e il ricordo ancora vivissimo del suo Paterno, che sarebbe senz’altro venuto a cercarla, muovendosi in quel suo modo rumoroso e goffo, per l’eterno timore che si facesse male.
Le era stato tanto, tanto affezionato, come lo erano sempre i Paterni: preoccupati e ansiosi per le loro piccole mediane più che per gli altri due. Quell’attaccamento l’aveva disturbata e aveva desiderato moltissimo che arrivasse il giorno in cui lui l’avrebbe lasciata: i Paterni, alla fine, lo fanno sempre. Ma quando lui se n’era andato, un bel giorno, quanto ne aveva sentito la mancanza!
L’aveva cercata per parlarle, con la sollecitudine e l’affetto di sempre, nonostante la difficoltà che i Paterni incontrano quando devono esprimere con le parole i loro sentimenti. E quel giorno lei era corsa via, lontano da lui, non per fargli un dispetto e nemmeno perché avesse immaginato quello che lui aveva da dirle, ma così, soltanto per ridere. A mezzodì era riuscita a scovare un posto speciale e, inaspettatamente sola soletta, aveva fatto una scorpacciata che l’aveva riempita di uno strano, impellente bisogno di movimento e di azione: così si era stesa tutta sopra le rocce lasciando che i suoi margini si sovrapponessero ai loro. Sapeva che era un comportamento indecente, permesso solo ai bambini più piccoli, eppure era eccitante e riposante insieme.
E alla fine il suo Paterno l’aveva trovata ed era rimasto ritto davanti a lei, tacendo a lungo e facendo gli occhi piccoli piccoli e densi, come per fermare ogni minimo sprazzo di luce riflessa da lei, per vedere di lei quanto più poteva e il più a lungo possibile.
Sulle prime, lei aveva semplicemente ricambiato lo sguardo, pensando confusamente che lui l’avesse vista strofinarsi sulle rocce e penetrarle, e che si vergognasse di lei. Ma non aveva captato alcuna aura-di-vergogna e infine si era decisa a mormorare, appena appena: — Cosa c’è, Papà?
— Ecco, Dua, è l’ora. L’aspettavo, e certo l’avrai aspettata anche tu.
— Quale ora? — Adesso che era arrivata, cocciutamente non voleva saperlo. Se si rifiutava di conoscere una cosa, allora non sarebbe esistito niente da conoscere. (Non aveva mai perso quell’abitudine. Odeen diceva che tutte le Emotive sono così, con quel tono di saccente superiorità che usava talvolta, quando si sentiva particolarmente fiero dell’importanza di essere un Razionale.)
Il Paterno aveva risposto: — Devo trapassare. Non sarò più con te. — Poi aveva taciuto e aveva continuato a guardarla, e lei non era stata capace di dire niente.
Lui aveva aggiunto: — Lo dirai tu agli altri.
— Perché? — Dua si era girata, con un moto di ribellione, e i suoi vaghi contorni erano diventati ancora più indistinti, quasi tentasse di dissolversi. Lei voleva dissolversi del tutto, infatti, ma naturalmente non poteva. Dopo un po’ quello stato la rendeva tutta tesa e indolenzita, e così era tornata a condensarsi. Il suo Paterno non si era preso nemmeno la briga di rimproverarla o di dirle che sarebbe stata una vergogna se qualcuno l’avesse vista così estesa. — A loro non importerà — disse allora, per pentirsene subito dopo, perché sapeva che il Paterno ne avrebbe sofferto.
Lui li chiamava ancora “piccolo sinistride” e “piccolo destride”, anche se il piccolo sinistride non faceva altro che studiare e il piccolo destride parlava già di formarsi una triade. Dua era la sola dei tre che ancora provasse… Be’, in fondo lei era la più giovane. Le Emotive erano sempre le più gióvani, e con loro era diverso.
Il suo Paterno si era limitato a dire: — Glielo dirai comunque. — Ed erano rimasti là a fissarsi, tutti e due.
Lei non aveva voglia di dirlo agli altri. Non c’era più confidenza tra loro. Le cose erano state differenti quando tutti erano piccoli. Allora erano sempre insieme, indivisibili: fratello sinistride, fratello destride e sorella mediana. Erano tutti e tre sottilissimi, trasparenti e filiformi, si arrotolavano l’uno dentro l’altro e si fondevano insieme e si nascondevano nei muri.
Nessuno si preoccupava se loro si comportavano così, quando erano piccoli. Nessuno degli adulti, cioè. Ma poi i fratelli erano cresciuti, erano diventati più densi e tanto seri, e si erano allontanati, e quando lei se n’era lamentata con il Paterno, lui aveva risposto: — Ormai sei troppo grande per rarefarti, Dua.
Lei aveva fatto finta di niente, ma quando aveva cercato di giocare ancora, il fratello sinistride le aveva detto: — Non starmi addosso, non ho tempo da perdere con te. — E il fratello destride aveva cominciato a rimanere quasi sempre denso, ed era diventato cupo e silenzioso. Lei, allora, non aveva capito il perché e Papà non era stato capace di spiegarglielo. Le aveva ripetuto, di tanto in tanto, come se fosse una lezione imparata molto tempo prima: — I sinistridi sono Razionali, Dua, e i destridi sono Paterni. E crescono a modo loro.
Quel loro modo a lei non era piaciuto. I suoi fratelli non erano più bambini, mentre lei lo era ancora, perciò si era aggregata alle altre Emotive. E tutte avevano da fare le stesse lamentele contro i fratelli. Parlavano tutte di quando avrebbero formato una triade. Si estendevano tutte al sole per mangiare. Crescevano tutte e tutte allo stesso modo, e ogni giorno dicevano sempre le stesse cose.
Lei aveva finito col non sopportarle più e, ogni volta che aveva potuto, se n’era stata per conto suo, tanto che loro l’avevano lasciata perdere, chiamandola “Emo-Sinistride”. (Era da un pezzo, ormai, che nessuno la chiamava più così, ma Dua non poteva pensare a quell’epiteto senza ricordare le vocette canzonatorie che glielo gridavano dietro, con insistenza maliziosa, sapendo di farla soffrire.)
Ma il suo Paterno era sempre rimasto affezionato a lei, anche se doveva aver capito che tutte le altre la prendevano in giro. Anzi aveva cercato, nel suo modo goffo, di difenderla dalle altre. Qualche volta l’aveva persino seguita in superficie, e sì che non gli piaceva per niente andarci, solo per accertarsi che non le succedesse niente.
Una volta si era imbattuta in lui mentre era in compagnia di un Duro. Non era facile per i Paterni parlare a un Duro, e lei, sebbene ancora bambina, lo sapeva. I Duri parlavano solo con i Razionali.
Si era spaventata e si era rarefatta per scappare via, ma aveva fatto in tempo a sentire il Paterno che diceva: — Mi prendo cura di lei, Duro signore.
Possibile che il Duro avesse chiesto proprio di lei? Forse voleva sapere della sua stranezza? Ma il Paterno non aveva parlato in tono di scusa. Aveva solo detto al Duro quanto lei gli stesse a cuore, e per questo Dua aveva provato un oscuro senso d’orgoglio.
Ma poi era venuto il momento in cui il Paterno stava per lasciarla e tutt’a un tratto l’indipendenza che lei tanto agognava aveva perso tutto il suo fascino, trasformandosi in un dirupo aguzzo di solitudine. Gli aveva chiesto: — Ma perché devi trapassare?
— Devo, mia piccola cara mediana.
Doveva. Lei lo sapeva. Tutti, prima o poi, dovevano trapassare. Anche per lei sarebbe giunto il giorno in cui avrebbe detto, con un sospiro: “Devo”.
— Ma come fai a sapere quando è il momento di trapassare? Se puoi sceglierlo, perché non scegli un altro momento e non resti ancora un poco?
Lui aveva risposto: — Il tuo padre sinistride ha deciso. La triade deve fare quello che dice lui.
— Perché devi fare quello che dice lui? — Vedeva pochissimo sia il suo padre sinistride che la sua mamma mediana. Per lei non contavano niente. Contava solo suo padre destride, il Paterno, il suo papà, che stava adesso davanti a lei, basso, tozzo e con le superna piane. Non era tutto curve lisce come un Razionale né aveva la forma fluttuante e irregolare di un’Emotiva, e lei sapeva sempre in anticipo quello che stava per dirle. Quasi sempre.
Era sicura che adesso le avrebbe detto: — Non posso spiegarlo a una piccola Emotiva.
Ed era stato quello che le aveva detto.
In un impeto di sofferenza Dua aveva allora esclamato: — Mi mancherai molto! So che credi che non ti ascolto e non ti voglio bene, perché mi dici sempre che non devo fare questo e quello! Ma preferisco non volerti bene perché mi dici sempre le stesse cose noiose, piuttosto che non averti più vicino a dirmi di non fare questo e quello!
E il Papà era rimasto lì, fermo e silenzioso. Non poteva fare niente per calmare quello sfogo tranne che avvicinarsi e sporgere una mano. Ed era quello che aveva fatto. Gli era costato uno sforzo visibile, ma aveva allungato una mano tremante, i cui contorni erano persino diventati lievemente vaghi.
— Oh, papà! — aveva esclamato Dua, e a sua volta aveva esteso la mano sopra quella di lui, avvolgendola, così che era parsa annebbiata e luccicante attraverso la sostanza di lei. Era stata però molto attenta a non toccarla per non mettere troppo in imbarazzo il Paterno.
Poi, ritraendo la mano in modo che quella di lei si era ritrovata ad avvolgere il nulla, lui aveva detto: — Ricorda i Duri, Dua. Ti aiuteranno. Io… io devo andare adesso.
E si era allontanato, e lei non lo aveva rivisto mai più.
Adesso era là seduta nel tramonto del Sole con i suoi ricordi, pur sapendo benissimo che di lì a poco Tritt avrebbe cominciato a lamentarsi con petulanza per la sua assenza e a seccare Odeen.
E poi forse Odeen le avrebbe fatto la predica sui suoi doveri.
Lei se ne infischiava.
Odeen era solo moderatamente consapevole del fatto che Dua era fuori, in superficie. Senza nemmeno concentrarsi, poteva valutare in che direzione si trovasse e persino la distanza approssimativa. Se avesse smesso di pensarci, ne avrebbe probabilmente provato dispiacere, perché, da quel senso di reciproca consapevolezza che andava via via affievolendosi col tempo, benché non molto sicuro del motivo, lui ricavava un senso di raggiunta completezza. Era così che si pensava andassero le cose: quello era il segno del progressivo sviluppo del corpo con l’età.
Il senso di reciproca consapevolezza di Tritt, invece, non era diminuito, solo si era sempre più spostato verso i bambini. Quella era chiaramente la linea di sviluppo più utile, ma del resto il ruolo del Paterno era un ruolo semplice, in un certo senso, anche se importante. Il Razionale era molto più complesso e, a quel pensiero, Odeen provò un senso di vuota soddisfazione.
Ovviamente il vero rompicapo era Dua. Era talmente diversa dalle altre Emotive! Il suo comportamento sconcertava e deludeva Tritt, riducendolo a un mutismo persino più accentuato del solito. Sconcertava e deludeva anche Odeen, a volte, ma lui capiva altresì quanto fosse infinita in Dua la capacità di rendere piena e soddisfacente la vita, e gli pareva molto probabile che le due cose fossero collegate. L’occasionale esasperazione che Dua causava con il suo comportamento era più che ripagata dall’intensa felicità che sapeva dare.
E, forse, anche lo strano modo di vivere di Dua rientrava nell’ordine naturale delle cose. Pareva che i Duri provassero interesse nei suoi riguardi, mentre di regola prestavano attenzione solo ai Razionali. Il fatto rendeva Odeen orgoglioso: era un onore per la triade che anche l’Emotiva fosse degna di attenzione.
Le cose erano come si pensava che fossero. Questo era il fondamento, ed era ciò che lui desiderava più di tutto sentire, da quel momento fino alla fine. Un giorno o l’altro avrebbe addirittura saputo che era giunta l’ora di trapassare, e allora avrebbe voluto trapassare. I Duri l’avevano rassicurato su questo punto, come facevano con tutti i Razionali, ma avevano anche aggiunto che sarebbe stata la sua consapevolezza interiore a indicargli l’ora in maniera inequivocabile, e non un avvertimento proveniente dall’esterno.
— Quando tu dirai a te stesso — gli aveva spiegato Losten in quel caratteristico modo chiaro e preciso con cui i Duri parlavano sempre ai Morbidi, come se si sforzassero di farsi capire — che sai perché devi trapassare, allora trapasserai, e la tua triade trapasserà con te.
Odeen aveva replicato: — Non posso dire di voler trapassare adesso, Duro signore. C’è ancora tanto da imparare!
— Certo, sinistride caro. Senti e pensi così, adesso, perché non sei ancora pronto.
Odeen aveva pensato: “Come farò a sentirmi pronto, se non vorrei mai pensare che non c’è più niente da imparare?”.
Ma non aveva detto niente. Era sicurissimo che, quando fosse giunta l’ora, avrebbe capito.
Si guardò per studiarsi, quasi soprappensiero, e per farlo estruse un occhio (esisteva sempre qualche impulso infantile persino nel più adulto e razionale dei Razionali). Non era un gesto necessario, naturalmente: era in grado di sentirsi benissimo, anche tenendo l’occhio fisso al suo posto. Comunque, si trovava solido in modo soddisfacente: un bel contorno netto, liscio e curvo che formava ovoidi elegantemente congiunti.
Il suo corpo non aveva lo scintillio stranamente attraente di Dua, né la confortante, compatta inerzia di Tritt. Li amava tutti e due, ma non avrebbe voluto scambiare il suo corpo con quello di nessuno dei due. Tantomeno la mente, è ovvio. Non si sarebbe mai sognato di dir loro una cosa del genere, naturalmente, perché non voleva ferire i loro sentimenti, ma non avrebbe mai smesso di essere felicissimo di non possedere la limitata intelligenza di Tritt o (peggio ancora) quella errabonda di Dua. Immaginava però che a loro non importasse, dal momento che non conoscevano altro.
Il senso di consapevolezza di Dua riaffiorò in lui, ma lo ignorò deliberatamente. In quel momento non provava nessun bisogno di lei. Non che la desiderasse meno, solo che aveva altri interessi in costante accrescimento, rivolti in altre direzioni. Man mano che si avvicinava alla maturità, un Razionale traeva sempre maggior soddisfazione nell’esercitare la mente, cosa che poteva fare soltanto da solo, e con i Duri.
Odeen andava sempre più abituandosi ai Duri e sempre più affezionandosi a loro. Sentiva anche che era una cosa giusta e normale, perché lui era un Razionale e in un certo senso i Duri erano dei super-Razionali. (Una volta aveva espresso questa sua idea a Losten, il più cordiale e, secondo la sua impressione, il più giovane dei Duri. Losten aveva irradiato divertimento, ma non aveva fatto commenti. E ciò significava, tra l’altro, che non l’aveva smentito).
Anche nei suoi ricordi infantili più lontani i Duri erano presenti. Era stato quando il suo Paterno aveva concentrato ogni giorno di più la propria attenzione sull’ultimo nato, la piccola Emotiva. Questo era naturale. Anche Tritt avrebbe fatto lo stesso, appena l’ultima bambina fosse arrivata… se mai fosse arrivata. (Quest’ultima precisazione Odeen la ricavava da Tritt, che se ne serviva di continuo come rimprovero per Dua.)
Tanto meglio, comunque. Con il Paterno sempre così occupato, Odeen aveva potuto iniziare prestissimo la propria educazione. Aveva abbandonato per tempo il suo comportamento infantile e aveva imparato un mucchio di cose ancor prima d’incontrare Tritt.
Quell’incontro, tuttavia, era un avvenimento che sicuramente non avrebbe mai dimenticato. Era come se fosse successo il giorno precedente, non mezza vita prima! Logicamente aveva già visto Paterni della sua stessa generazione: erano giovani i quali, molto prima d’incubare i bambini che li avrebbero resi Paterni effettivi, mostravano pochi segni della futura stolidità. Da bambino lui aveva giocato con suo fratello destride senza quasi rendersi conto della differenza intellettiva che esisteva tra loro (sebbene, ripensando a quei giorni lontani, riconoscesse che una differenza c’era anche allora).
Conosceva anche, seppure vagamente, il ruolo che sosteneva il Paterno in una triade. Persino da piccolo aveva sentito bisbigliare storie sulla fusione!
Ma quando Tritt era comparso, quando lui, Odeen, lo aveva visto per la prima volta, tutto era cambiato. Per la prima volta in vita sua aveva provato un gran caldo interiore e aveva pensato che esisteva al mondo qualcosa di molto diverso dal pensiero, che però lui desiderava con tutte le sue forze. Ancora adesso ricordava il senso d’imbarazzo che aveva accompagnato l’incontro.
Tritt, logicamente, non aveva provato il minimo imbarazzo. I Paterni non erano mai imbarazzati quando si trattava delle attività della triade, e le Emotive non provavano imbarazzo in assoluto, o quasi. Soltanto i Razionali avevano quel problema.
— Pensi troppo — aveva detto un Duro, quando Odeen gli aveva parlato del problema in questione, ma la spiegazione lo aveva lasciato insoddisfatto. In che senso il pensare poteva essere “troppo”?
Tritt era molto giovane al momento dell’incontro, logicamente. Era talmente infantile da essere ancora incerto circa la sua solida forma squadrata, per cui la sua reazione era stata chiara in modo imbarazzante: era diventato quasi traslucido ai margini.
Odeen aveva detto, con una certa esitazione: — Non ti ho già visto prima, amico destride?
— Non sono mai stato qui — aveva risposto Tritt. — Mi ci hanno portato adesso.
Tutti e due sapevano esattamente quello che era successo a entrambi. L’incontro era stato combinato perché qualcuno (un Paterno, aveva creduto Odeen allora, ma in seguito aveva saputo che era stato un Duro) aveva pensato che loro due fossero adatti l’uno all’altro, e il pensiero era poi risultato esatto.
Fra loro non intercorreva alcun rapporto intellettuale, ovviamente. E come sarebbe stato possibile, se Odeen desiderava imparare con un’intensità superiore a qualsiasi cosa, tranne l’esistenza della triade stessa, mentre Tritt non conosceva nemmeno il concetto di istruzione? Quello che Tritt doveva sapere, lo sapeva in modo del tutto indipendente dall’istruzione o dalla non istruzione.
Talvolta (in quel primo periodo trascorso insieme) Odeen, trascinato dall’eccitazione per le nuove nozioni imparate — per le sue scoperte circa il mondo e il Sole, circa la storia e il meccanismo della vita, circa tutto quello che c’era in giro per l’universo — si ritrovava a riversarle su Tritt.
E Tritt lo stava ad ascoltare placido, senza capire niente, ma lieto di essere l’ascoltatore, mentre Odeen, pur non tra smettendogli niente, era chiaramente altrettanto contento di essere il conferenziere.
Era stato Tritt, spinto dai suoi istinti particolari, a fare la prima mossa. Odeen stava parlando di quello che aveva imparato quel giorno, nel breve intervallo dopo il pasto di mezzodì. (La loro sostanza più densa assorbiva il cibo così rapidamente che per sentirsi sazi bastava una passeggiata al sole, mentre le Emotive ci si crogiolavano per ore ogni volta, arricciandosi e rarefacendosi, come se prolungassero volontariamente quel compito noioso.)
Odeen, che aveva sempre ignorato le Emotive, era felice solo di parlare. Non così Tritt, che giorno dopo giorno le guardava in silenzio, e ormai era diventato visibilmente irrequieto.
A un tratto gli si era avvicinato e aveva estruso un’appendice talmente in fretta da urtare in modo alquanto sgradevole il senso della forma di Odeen. Poi l’aveva posata su quella parte dell’ovoide superiore di Odeen in cui un lieve scintillio stava facendo penetrare un piacevole soffio di aria tiepida, come dessert. L’appendice di Tritt si era rarefatta a prezzo di un visibile sforzo ed era affondata sotto la superficie dell’epidermide di Odeen prima che lui si scansasse, tremendamente imbarazzato.
Da bambino Odeen aveva fatto cose simili, naturalmente, ma non più, da quando era diventato adolescente. — Non farlo, Tritt. — aveva detto bruscamente.
L’appendice di Tritt era rimasta dov’era, muovendosi un poco a tentoni. — Voglio farlo.
Odeen si era irrigidito, addensandosi più che poteva, per cercare di rafforzare la superficie contro l’intrusione. — Io non voglio.
— Perché no? — aveva chiesto Tritt, allarmato. — Non c’è niente di male.
Odeen aveva detto la prima cosa che gli era venuta in mente: — Fa male. — (Non era vero, per lo meno non fisicamente. Ma i Duri evitavano sempre il contatto con i Morbidi. Loro soffrivano se per caso avveniva un’interpenetrazione, ma erano strutturati diversamente dai Morbidi, del tutto diversamente.)
Tritt non si era lasciato ingannare. Il suo istinto, a quel proposito, era infallibile. Aveva detto: — Non fa male.
— Be’, così non è la maniera giusta. Abbiamo bisogno di un’Emotiva.
E Tritt non aveva fatto altro che insistere, testardo: — Io voglio farlo comunque.
Era una cosa destinata a ripetersi, e Odeen era obbligato a cedere. Aveva sempre ceduto, infatti, perché era qualcosa che capitava anche al Razionale più consapevole di sé. Come diceva il proverbio, “Chi non ammette di farlo, mente”.
Dopo di allora, a ogni incontro Tritt era pronto a farlo: se non estrudeva un’appendice, gli si appiccicava, margine contro margine. Finì che Odeen, travolto dal piacere, cominciò a collaborare cercando di risplendere. In questo riusciva molto meglio di Tritt. Il povero Tritt, infinitamente più ardente, se ne aveva a male e si sforzava, ma riusciva solo a emettere qua e là deboli scintille, a chiazze e senza grazia.
Odeen, invece, diventava traslucido in tutta la superficie e vinceva l’imbarazzo in modo da rifluire e modellarsi contro Tritt. Ne derivava una penetrazione profonda e Odeen arrivava a percepire sotto la propria pelle il pulsare della dura superficie di Tritt. Ne ricavava una gioia venata da un senso di colpa.
Quando era tutto finito, il più delle volte Tritt era stanco e un po’ irritato.
— Senti, Tritt — diceva Odeen — ti ho pur detto che abbiamo bisogno di un’Emotiva per farlo come si deve. Non puoi arrabbiarti per qualcosa che è così e basta.
E Tritt ribatteva: — Allora troviamo un’Emotiva!
Trovare un’Emotiva! I semplici impulsi di Tritt lo conducevano immediatamente all’azione, e Odeen non era sicuro di potergli far capire le complessità della vita. — Non è così semplice, destroide — aveva tentato, con gentilezza.
Tritt era sbottato: — Possono farlo i Duri. Tu sei loro amico. Chiedilo a loro.
Odeen era inorridito. — Non posso chiederglielo! Non è ancora giunto il momento — aveva continuato, assumendo involontariamente il suo tono di conferenziere, — altrimenti lo saprei per certo. Fino a quel momento…
Tritt non lo aveva nemmeno ascoltato. Aveva detto: — Lo chiederò io!
— No! — aveva esclamato Odeen, ancor più inorridito. — Non devi entrarci. Ti dico che non è ancora il momento. Io devo pensare alla mia istruzione. È facile essere un Paterno e non dover sapere altro che…
Si era pentito di quelle parole nell’istante in cui le aveva pronunciate, tanto più che erano una bugia. La verità era che non voleva fare niente che potesse offendere i Duri e intralciasse i suoi vantaggiosi rapporti con loro. Tritt, però, non se l’era presa, e Odeen si era reso conto che l’altro non vedeva l’utilità di imparare cose che non sapeva già, e che la sua constatazione non lo aveva offeso.
Il problema dell’Emotiva, comunque, era stato oggetto di costanti discussioni. Ogni tanto tentavano un’interpenetrazione, dato che in effetti il desiderio diventava sempre più forte con il passare del tempo. Ma i risultati, sebbene piacevoli, non erano mai del tutto soddisfacenti, e ogni volta Tritt ripeteva la sua richiesta di un’Emotiva. E ogni volta Odeen s’immergeva sempre più negli studi, come se fossero una difesa contro il problema.
Eppure, sovente era stato tentato di parlarne a Losten.
Losten era il Duro che conosceva meglio e quello che dimostrava un più spiccato interesse personale verso di lui. Nei Duri c’era una univocità perenne e statica, perché non erano mutevoli: i Duri non cambiavano mai e la loro forma era fissa. I loro occhi erano sempre nello stesso posto, e tutti li avevano nello stesso posto. La loro pelle non era esattamente dura, ma era sempre opaca: non brillava mai, non era mai fluttuante e vaga, e non era interpenetrabile nemmeno dall’epidermide di un altro della stessa specie. Non erano di dimensioni molto più grandi dei Morbidi, in particolare, ma erano più pesanti. Erano fatti di una sostanza più densa e dovevano fare attenzione con i cedevoli tessuti dei Morbidi.
Una volta, quando era piccolo, molto piccolo, e il suo corpo era ancora fluttuante quasi quanto quello della sorella, Odeen era stato avvicinato da un Duro. Non aveva mai saputo quale, ma in seguito, vivendo, aveva imparato che tutti i Duri provavano curiosità per i bambini Razionali. Odeen si era proteso verso il Duro, anche lui per pura curiosità, e il Duro era prontamente indietreggiato. Più tardi il Paterno lo aveva sgridato per aver tentato di toccare un Duro.
Il rimprovero era stato così aspro che Odeen non l’aveva mai dimenticato. Crescendo, aveva appreso che gli atomi più ravvicinati dei tessuti dei Duri sentivano dolore a una penetrazione forzata da parte di altri. Odeen si era chiesto se anche i Morbidi sentissero dolore. Un bambino Razionale una volta gli aveva raccontato di essersi scontrato con un Duro: il Duro si era piegato in due, ma lui non aveva sentito niente. Però Odeen non era proprio sicuro che quel racconto non fosse solo una grossa millanteria.
C’erano altre cose che gli erano vietate. Gli piaceva strofinarsi contro le pareti della caverna: si ricavava una piacevole sensazione di calore, quando uno si lasciava penetrare nella roccia. I bambini piccoli lo facevano sempre, ma diventava più difficile riuscirci man mano che si cresceva. Eppure, lui era ancora in grado di penetrare in profondità e gli piaceva, quando un giorno il Paterno lo aveva colto sul fatto e lo aveva rimproverato. Odeen aveva ribattuto che sua sorella lo faceva sempre: l’aveva vista lui.
— È diverso — era stata la risposta del Paterno. — Lei è un’Emotiva.
Un’altra volta, mentre Odeen stava assorbendo una registrazione — era ormai grandicello — soprappensiero aveva formato un paio di estrusioni con le estremità così sottili che una poteva penetrare nell’altra. Poi aveva preso l’abitudine di farlo regolarmente, quando ascoltava. Provava una sensazione di solletico, molto piacevole, che gli rendeva più facile l’ascolto e gli consentiva di dormire meglio, dopo.
Ma anche allora il suo Paterno lo aveva colto sul fatto e quello che gli aveva detto metteva ancora a disagio Odeen, quando ci ripensava.
Nessuno, in quei tempi, gli aveva parlato chiaramente della fusione. Lo imbottivano di nozioni e lo istruivano su ogni possibile argomento, tranne che su quello che era o riguardava la triade. Anche a Tritt non avevano mai detto niente, ma lui, essendo un Paterno, sapeva tutto per istinto. Logicamente, quando alla fine era arrivata Dua, tutto era stato chiaro, anche se pareva che lei ne sapesse anche meno di Odeen, in proposito.
Ma Dua non si era unita a loro per qualcosa che avesse fatto Odeen. Era stato Tritt a intavolare la questione; Tritt che di solito aveva paura dei Duri e li evitava in silenzio; Tritt che non possedeva, come Odeen, alcuna fiducia in sé stesso, salvo che per quello; Tritt che era esigente soltanto a quel proposito; Tritt… Tritt… Tritt…
Odeen sospirò. Tritt stava invadendo i suoi pensieri perché stava avvicinandosi. Lo sentiva benissimo: ruvido, esigente, sempre esigente. In questo periodo Odeen aveva pochissimo tempo per sé, e proprio quando sentiva di aver più che mai bisogno di pensare, di mettere ordine in tutti i pensieri che…
— Sì, Tritt? — disse.
Tritt era consapevole della sua compatta solidità. Non pensava che fosse brutta. Non ci pensava e basta. Se l’avesse fatto, l’avrebbe considerata bella. Il suo corpo era progettato per uno scopo ed era stato progettato bene.
Chiese: — Odeen, dov’è Dua?
— Fuori, da qualche parte — borbottò Odeen, come se non se ne curasse. Tritt, invece, era preoccupato di avere una triade così poco completa. Dua era così difficile, e Odeen non se ne curava.
— Perché l’hai lasciata andare?
— Come faccio a impedirglielo, Tritt? E che male fa, poi?
— Tu lo sai che male fa. Abbiamo due bambini. Ci occorre il terzo. È così difficile fare un bambino mediano di questi tempi. Dua dovrebbe nutrirsi bene per poterlo fare. Invece se ne va in giro al tramonto un’altra volta. Come può nutrirsi a dovere, al tramonto?
— Ma lei non è proprio una mangiona.
— E noi non abbiamo proprio una piccola mediana, Odeen. — La voce di Tritt diventò carezzevole. — Come faccio ad amarti come si deve, senza Dua?
— Insomma, andiamo… — borbottò Odeen, e una volta di più Tritt si sentì perplesso per l’evidente imbarazzo del compagno di fronte alla più semplice delle realtà.
Disse allora: — Ricordati, sono stato io a farci avere Dua.
Ma Odeen se lo ricordava? Pensava mai alla triade e a quello che significava? A volte Tritt si sentiva così avvilito che avrebbe potuto… avrebbe potuto… In realtà non sapeva cosa fare, ma sapeva di sentirsi avvilito. Come in quei giorni lontani in cui lui desiderava tanto un’Emotiva e Odeen non faceva niente.
Tritt sapeva di non avere il bernoccolo per le frasi lunghe ed elaborate. Ma, se anche non parlavano molto, i Paterni pensavano. E pensavano a cose importanti. Odeen parlava sempre di atomi e di energia. Ma a chi importava degli atomi e dell’energia? Tritt pensava alla triade e ai bambini.
Una volta Odeen gli aveva detto che il numero dei Morbidi stava gradatamente calando. Se ne preoccupava, forse? Se ne preoccupavano i Duri? Chi se ne preoccupava, a parte i Paterni?
In tutto il mondo c’erano solo due forme viventi, i Morbidi e i Duri. E il cibo scendeva scintillante su di loro.
E Odeen una volta gli aveva detto che il Sole stava diventando più freddo. C’era meno cibo, aveva detto, e perciò c’era meno gente. Tritt non ci credeva. Il Sole non era più freddo di quando lui era piccolo. Era solo la gente che non voleva più preoccuparsi della triade. Troppi Razionali sempre assorti, troppe Emotive sempre sciocche.
Quello che i Morbidi dovevano fare era concentrarsi sulle cose importanti della vita. Lui, Tritt, lo faceva. Era lui che si curava delle faccende della triade. Così era arrivato il bambino sinistride e poi il bambino destride. E tutti e due stavano crescendo belli e floridi. Però, dovevano ancora avere la bambina mediana. Era la più difficile da iniziare, ma senza una bambina mediana non ci sarebbe stata una nuova triade.
Che cosa rendeva Dua così com’era? Era sempre stata difficile, ma col tempo era anche peggiorata.
Tritt provava una strana collera nei riguardi di Odeen. Odeen parlava sempre con quei suoi paroloni difficili, e Dua lo stava ad ascoltare. Odeen avrebbe parlato a Dua all’infinito, nemmeno fossero stati due Razionali. Quello non era un bene per la triade.
Odeen avrebbe dovuto saperlo.
Invece, era sempre Tritt che doveva preoccuparsene. Era sempre Tritt che doveva fare quello che andava fatto. Odeen era amico dei Duri, eppure non gli diceva niente. Come quando loro due avevano bisogno di un’Emotiva, eppure Odeen non gli aveva detto niente. Odeen gli parlava dell’energia e non delle necessità della triade.
Era stato Tritt a far cambiare le cose in loro favore. Provava ancora orgoglio a ripensarci. Aveva visto Odeen che parlava a un Duro e si era avvicinato. Senza neanche un tremito nella voce li aveva interrotti e aveva detto: — Abbiamo bisogno di un’Emotiva.
Il Duro si era girato a guardarlo. Tritt non era mai stato tanto vicino a un Duro. Era fatto di un pezzo solo e, se una parte di lui si voltava, dovevano voltarsi anche tutte le altre parti. Aveva delle estrusioni che potevano muoversi per conto loro, ma non cambiavano mai forma. Non fluttuavano mai ed erano irregolari e poco eleganti. Ai Duri non piaceva essere toccati.
Il Duro aveva detto: — È vero, Odeen? — Non aveva nemmeno parlato a Tritt.
Odeen si era appiattito. Si era appiattito vicinissimo a terra, più piatto di così Tritt non lo aveva mai visto. Aveva detto: — Il mio congiunto destride è troppo zelante. Il mio congiunto destride è… è… — Aveva balbettato, ansimato e non era più stato capace di parlare.
Tritt poteva parlare e aveva detto: — Non possiamo fonderci senza.
Tritt sapeva che Odeen era talmente imbarazzato da non riuscire a parlare, ma non se ne curava. Era ora di avere un’Emotiva.
— Be’, sinistro caro — aveva detto il Duro a Odeen, — sei dello stesso parere sulla questione? — I Duri parlavano come i Morbidi, ma con voce più aspra e con pochi toni acuti. Era difficile seguirli. Tritt lo trovava difficile, a ogni modo. Odeen, invece, sembrava che ci fosse abituato.
— Sì — aveva detto Odeen, alla fine.
Il Duro si era allora — finalmente! — rivolto a Tritt. — Dimmi, giovane destride. Da quanto tempo tu e Odeen siete insieme?
— Da abbastanza tempo da meritarci un’Emotiva — aveva detto Tritt. Aveva mantenuto la sua forma ben salda agli spigoli. Non voleva lasciarsi andare per la paura. Era una cosa troppo importante. Aveva aggiunto: — E il mio nome è Tritt. Il Duro era sembrato divertito. — Sì, è stata una buona scelta. Tu e Odeen andate benissimo insieme, ma ciò rende difficile la scelta di un’Emotiva. Abbiamo quasi deciso o, quanto meno, io ho preso da tempo la mia decisione, ma gli altri devono ancora convincersi. Sii paziente, Tritt.
— Sono stufo di pazienza.
— Lo so, ma cerca comunque di essere paziente. — Era di nuovo divertito, quel Duro.
Dopo che se n’era andato, Odeen si era sollevato da terra e si era rarefatto con fare iroso. — Come hai avuto il coraggio di fare una cosa del genere, Tritt? Lo sai chi era?
— Era un Duro.
— Era Losten. È il mio insegnante particolare. Io non voglio che si arrabbi con me.
— Perché dovrebbe arrabbiarsi? Sono stato gentile.
— Be’, non importa. — Odeen aveva pian piano ripreso la sua forma normale. Questo voleva dire che non era più arrabbiato. (Tritt se n’era sentito sollevato, anche se aveva cercato di non mostrarlo.) — È molto imbarazzante che il mio taciturno destride spunti dal nulla per parlare al mio Duro.
— Perché non l’hai fatto tu, allora?
— Ogni cosa va fatta a tempo debito.
— Ma non è mai il tempo debito per te!
Ma poi si erano strofinati superficie contro superficie e avevano smesso di discutere. E poco tempo dopo Dua era arrivata.
Era stato Losten a condurla. Tritt non lo aveva neanche riconosciuto: lui non aveva guardato il Duro, aveva guardato Dua. Solo Dua. Ma in seguito Odeen gli aveva detto che era stato Losten a portarla.
— Hai visto? — gli aveva detto Tritt. — Sono stato io a parlargli. Ecco perché l’ha portata.
— No, era il momento giusto — aveva detto Odeen. — L’avrebbe portata anche se nessuno di noi due gliene avesse parlato.
Tritt non gli aveva creduto. Lui era sicurissimo che fosse tutto merito suo se Dua adesso era con loro.
Certamente non c’era mai stato al mondo nessuno come Dua. Tritt aveva visto molte Emotive. Erano tutte molto attraenti. Lui ne avrebbe accettata una qualsiasi per una fusione come si deve. Ma, quando aveva visto Dua, aveva capito che nessun’altra sarebbe andata bene. Solo Dua. Solo Dua.
E Dua sapeva esattamente cosa fare. Esattamente. Nessuno le aveva mai mostrato come fare, aveva detto loro in seguito. Nessuno gliene aveva mai neanche parlato. Nemmeno le altre Emotive, dal momento che lei le evitava.
Eppure, quando si erano trovati tutti e tre insieme, ciascuno sapeva cosa fare.
Dua si era rarefatta. Tritt non aveva mai visto una persona rarefarsi a quel modo. Si era rarefatta più di quanto Tritt avrebbe creduto possibile. Era diventata una specie di fumo con tanti colori, che riempiva la stanza e lo abbagliava. Si era mosso senza rendersi conto che stava muovendosi. Si era immerso in quell’aria che era Dua.
Non aveva provato nessuna sensazione di penetrazione, niente del tutto. Non aveva sentito resistenza, né attrito. Era stato semplicemente un galleggiare verso l’interno e un palpitare rapido. Poi aveva sentito di andare rarefacendosi, in accordo, senza il tremendo sforzo che gli costava di solito. Con Dua che lo completava, avrebbe potuto rarefarsi senza fatica fino a essere un fumo denso lui stesso. Rarefarsi era diventato come fluttuare, come un’enorme onda liscia.
Molto vagamente aveva visto Odeen avvicinarsi dall’altra parte, alla sinistra di Dua. E anche lui si stava rarefacendo.
Poi, come se tutte le scosse da contatto di tutto il mondo si fossero unite insieme, lui e Odeen si erano toccati. Ma non era stata per niente una scossa. Lui sentiva senza sentire, sapeva senza sapere. Era scivolato dentro Odeen e Odeen era scivolato dentro di lui. Non avrebbe potuto dire se era lui ad avvolgere Odeen, oppure Odeen ad avvolgere lui, o tutti e due insieme, o nessuno dei due.
Era soltanto… puro piacere.
Mentre l’intensità del piacere aumentava, i sensi si erano attutiti, e quando aveva raggiunto il punto in cui aveva creduto di non farcela più, i sensi erano svaniti tutti di colpo.
Alla fine si erano separati e si erano fissati in silenzio l’un l’altro. Erano rimasti fusi insieme per giorni e giorni. Naturalmente la fusione porta sempre via del tempo e, quanto meglio riesce, tanto più tempo dura. Eppure, quando è finita, tutto quel tempo sembra solo un istante e non si ricorda niente di niente. Così era successo alla loro triade. In seguito, però, raramente una fusione era durata tanto a lungo quanto quella prima volta.
Odeen aveva detto: — È stato meraviglioso.
Tritt, lui, aveva guardato Dua, che aveva reso possibile quella meraviglia.
Dua stava condensandosi, roteava su se stessa e tremolava tutta. Pareva la più sconvolta dei tre.
— Lo faremo ancora — aveva detto frettolosamente. — Ma più tardi, più tardi. Lasciate che vada, adesso.
Era scappata via e loro non l’avevano fermata. Erano troppo turbati per fermarla. Ed era sempre andata a quel modo, dopo. Subito dopo una fusione Dua scappava lontano. Non importava quanto bene fosse riuscita, lei si allontanava. Doveva avere qualcosa dentro di lei che la obbligava a starsene da sola.
Tritt se n’era preoccupato. In tutte le cose che contavano lei era differente dalle altre Emotive. Ma non avrebbe dovuto esserlo.
Odeen la pensava in modo diverso. Più di una volta aveva detto: — Perché non la lasci stare, Tritt? Lei non è uguale alle altre e questo significa che è migliore delle altre. Fondersi non sarebbe così bello, se lei fosse uguale alle altre. Tu vuoi i vantaggi senza dar niente in cambio?
Quella spiegazione Tritt non l’aveva mai capita bene. Lui sapeva solo che Dua doveva fare quello che andava fatto. Rispondeva: — Io voglio che lei faccia quello che è giusto.
— Lo so, Tritt, lo so. Ma lasciala stare da sola, ad ogni modo.
Odeen non aveva mai voluto che Tritt rimproverasse Dua per il suo strano modo di fare, anche se lui, invece, la rimproverava spesso. — Tu manchi di tatto, Tritt — gli diceva. Tritt, lui, non sapeva bene cos’era quel “tatto”.
E adesso… Era passato tantissimo tempo da quella prima fusione e ancora non avevano la piccola Emotiva. Quanto tempo ci sarebbe voluto? Ne era già passato fin troppo! E Dua, neanche a farlo apposta, se ne stava per conto suo sempre più spesso.
Tritt disse: — Dua non mangia abbastanza.
— A tempo debito… — cominciò Odeen.
— Tu parli sempre di tempo debito e di tempo non debito. Non hai mai trovato il tempo di avere Dua, tanto per cominciare. E adesso non trovi mai il tempo di avere la nostra bambina Emotiva. Dua dovrebbe…
Ma Odeen si allontanò. Disse solo: — Dua è là fuori, Tritt. Se vuoi andare fuori a prenderla, come se fossi il suo Paterno invece che il suo congiunto destride, fa’ pure. Ma io ti dico ancora: lasciala stare.
Tritt fece marcia indietro. Avrebbe avuto un mucchio di cose da dire, ma non sapeva come dirle.
In maniera remota e indistinta Dua percepì l’agitazione del suo sinistride nei suoi riguardi e il suo spirito di ribellione aumentò.
Se l’uno o l’altro, o tutti e due, fossero andati a prenderla, sarebbe finita con una fusione, e la sola idea la mandava su tutte le furie. Tritt non pensava che a quello, a parte i bambini; Tritt voleva solo quello, a parte il terzo e ultimo bambino; insomma, tutto quanto girava intorno ai bambini e a quello che ancora mancava. E, quando Tritt voleva una fusione, la otteneva.
Con la sua testardaggine Tritt dominava la triade. Si aggrappava alla sua semplice e unica idea e non mollava, finché Odeen e Dua erano costretti a cedere. Eppure, adesso lei non avrebbe ceduto. No, lei non avrebbe ceduto…
Non per questo si sentiva sleale nei loro confronti. Non pretendeva di provare per Odeen o per Tritt quel profondo e intenso desiderio che i due provavano l’uno per l’altro. Inoltre, lei poteva fondersi da sola, mentre loro erano in grado di farlo soltanto con la sua mediazione (e allora perché non la tenevano in maggior considerazione?). Nella fusione a tre provava un piacere intensissimo; era naturale e sarebbe stato sciocco negarlo, ma era un piacere simile a quello che provava quando passava attraverso una parete di roccia, come ogni tanto faceva, di nascosto. Per Tritt e Odeen, invece, quel piacere non era uguale a nient’altro che avessero sperimentato o potessero mai sperimentare in futuro.
No, un momento. Odeen provava un grande piacere a imparare, in quello che lui chiamava sviluppo intellettuale. Anche lei sentiva qualcosa del genere, a volte, abbastanza da capire che cosa volesse dire e, sebbene fosse molto diverso dalla fusione, forse serviva da sostituto b da consolazione, per lo meno quelle volte che Odeen doveva fare a meno della fusione.
Ma con Tritt era diverso. Per lui esistevano soltanto la fusione e i bambini. Solo quello. E, se la sua mente limitata si concentrava totalmente su quel pensiero, Odeen finiva sempre col cedere, e poi sarebbe toccato a lei.
Una volta si era ribellata. — Ma cosa succede quando ci fondiamo? Passano ore e ore, qualche volta dei giorni, prima che ne usciamo. Cosa succede durante quel periodo?
Tritt si era offeso. — È sempre così. È così che deve essere.
— A me non piace niente di quello che deve essere. Io voglio sapere il perché.
Odeen era imbarazzatissimo. Passava metà della vita a essere imbarazzato, lui! Aveva detto: — Andiamo, Dua. Deve essere così. Allo scopo di… dei bambini. — Si era messo a pulsare, come lo chiamava lui.
— Be’, non star lì a pulsare — aveva detto Dua, brusca. — Siamo adulti, adesso, e ci siamo fusi non so quante volte ormai, e sappiamo tutti che è così che possiamo avere bambini. Potresti anche dirlo, no? Ma perché occorre tanto tempo? È questo che chiedo.
— Perché è un procedimento complicato — aveva detto Odeen, sempre pulsando. — Perché consuma energia. Dua, occorre molto tempo per dare inizio a un bambino e anche quando ci si mette molto tempo non è detto che si riesca a farlo. E le cose stanno andando peggio… Non nel nostro caso, però — aveva aggiunto frettolosamente.
— Peggio? — aveva chiesto Tritt, con ansia, ma Odeen non aveva detto altro.
Alla fine avevano avuto un bambino: un piccolo Razionale, un sinistridino che svolazzava e si rarefaceva mandandoli in visibilio. Persino Odeen lo sorreggeva e lo lasciava cambiar forma tra le sue mani, per tutto il tempo che Tritt glielo permetteva. Perché naturalmente era stato Tritt che lo aveva incubato durante il lungo periodo della preformatura, Tritt che si era separato da lui quando aveva inziato un’esistenza indipendente, Tritt che lo curava quasi senza interruzioni.
Dopo l’arrivo del bambino Tritt non era rimasto più tanto spesso insieme a loro, e Dua ne era stata stranamente contenta. L’ossessione di Tritt la infastidiva, ma quella di Odeen, ancor più stranamente, le piaceva. Pian piano si era resa conto del… dell’importanza che Odeen aveva assunto per lei. Qualcosa, nei Razionali, rendeva loro possibile rispondere alle domande, e Dua aveva di continuo domande da porre a Odeen. E lui era più disposto a rispondere quando Tritt non era presente.
— Perché occorre tanto tempo, Odeen? A me non piace fondermi e poi non sapere che cosa succede per giorni e giorni, ogni volta.
— Non corriamo nessun pericolo, Dua — aveva risposto Odeen, serio. — Su, non ci è mai successo niente, no? E hai mai sentito che sia capitato qualcosa di male a una qualunque altra triade? E poi, non dovresti fare domande.
— Perché sono un’Emotiva? Perché le altre Emotive non fanno domande?… Se proprio vuoi saperlo, io non posso soffrire le altre Emotive, ma voglio fare domande.
Sapeva benissimo che Odeen la stava guardando come se non avesse mai visto niente di più affascinante e che, se Tritt fosse stato presente, una fusione sarebbe stata inevitabile. Si era persino rarefatta deliberatamente: non molto ma in modo percettibile e per pura civetteria.
Odeen aveva detto: — Ma forse tu non capisci le implicazioni, Dua. È necessaria una grande quantità di energia per dare inizio a una nuova scintilla di vita.
— Tu parli spesso di energia. Che cos’è, esattamente?
— Be’, è quello che mangiamo.
— Allora perché non dici “cibo”?
— Perché cibo ed energia non sono proprio la stessa cosa. Il nostro cibo proviene dal Sole, e questo è un tipo di energia, ma ci sono molti altri tipi di energia che non sono cibo. Quando mangiamo, noi dobbiamo estenderci e assorbire la luce. Per le Emotive è molto difficile, perché sono molto più trasparenti. In altre parole, la luce tende ad attraversarle, invece di essere assorbita…
Era magnifico ricevere quelle spiegazioni, aveva pensato Dua. In realtà, lei sapeva già ciò che Odeen le raccontava, ma non conosceva le parole adatte, le lunghe parole scientifiche che invece Odeen conosceva e che rendevano più preciso e più significativo ogni e qualunque fatto normale.
Dal momento che ormai, nella sua vita da adulta, non temeva più le prese in giro infantili e faceva parte della prestigiosa triade di Odeen, aveva cercato di unirsi di nuovo alle altre Emotive, nonostante le troppe chiacchiere e l’affollamento. In fondo, ogni tanto le piaceva fare un pasto più sostanzioso del solito (pasto che, tra l’altro, rendeva migliore la fusione) ed era anche piacevole — anzi, talvolta le pareva quasi di poter afferrare la felicità altrui nel farlo — espandersi e rivoltolarsi per esporsi meglio alla luce solare, e contrarsi e condensarsi per assorbire il calore con tutto lo spessore del corpo, quindi con maggior efficienza.
Tuttavia, dopo un po’ lei si stancava di mangiare, mentre le altre sembravano non averne mai abbastanza e continuavano ad agitarsi per ingordigia. Dua non era mai riuscita a imitarle, e alla fine non aveva più sopportato quel modo di fare.
Lei sapeva anche perché i Razionali e i Paterni salivano tanto di rado in superficie: la loro maggior densità gli consentiva di mangiare velocemente e andarsene. Le Emotive, invece, si esponevano al Sole per ore, sia perché mangiavano più lentamente sia perché avevano bisogno di molta più energia, quanto meno per la fusione.
Glielo aveva spiegato Odeen (e nel farlo pulsava talmente che i suoi segnali erano a malapena comprensibili): l’Emotiva forniva l’energia, il Razionale il seme e il Paterno l’incubazione. Dopo averlo saputo, un certo divertimento si era mescolato alla disapprovazione di Dua tutte le volte che aveva visto le altre Emotive ingozzarsi letteralmente di rossa luce solare: era sicura che non conoscessero il motivo di quel loro comportamento (anche perché non ponevano mai domande) e che pertanto non capissero che, in un certo senso, il loro condensarsi e il successivo ridacchiare — mentre alla fine scendevano di sotto per andare, ovviamente, a una bella fusione con un mucchio di energia di riserva — erano osceni.
Perciò lei avrebbe tollerato la contrarietà di Tritt quando fosse scesa priva di quella fumosa opacità che era la prova di un lauto pasto. Che cos’avevano poi da lamentarsi i suoi due congiunti? Era proprio per la sua rarefazione che la fusione riusciva tanto bene! Forse non era svenevole e voluttuosa come quella delle altre triadi, ma era eterea, e questo contava più di tutto, lei ne era sicura. E il bambino sinistride e quello destride non erano forse già arrivati?
Naturalmente il punto cruciale era adesso la piccola Emotiva, la bambina mediana. Per metterla in cantiere occorreva più energia che per gli altri due, e lei di energia non ne aveva mai a sufficienza.
Persino Odeen aveva cominciato a parlarne. — Non prendi abbastanza luce solare, Dua.
— Invece sì — aveva ribattuto.
— La triade di Genia ha appena dato inizio a un’Emotiva — aveva detto ancora Odeen.
A Dua Genia non piaceva e non era mai piaciuta. Era una testa vuota, anche più stupida della media delle Emotive. Aveva detto, con sprezzo: — Immagino che vada in giro a vantarsene. Non ha nessuna delicatezza. Avrà detto, senz’altro: “Non dovrei dirlo, caro, ma non immagineresti mai che cos’hanno fatto e detto il mio sinistride e il mio destride…”. — Aveva imitato così bene i tremuli segnali di Genia che Odeen se n’era mostrato divertito.
Ma poi aveva detto: — Genia sarà anche una testa vuota, però ha dato inizio a un’Emotiva, e Tritt ci è rimasto malissimo. Noi l’aspettiamo da molto più tempo di loro…
Dua aveva fatto il gesto di allontanarsi. — Io prendo tutto il Sole che posso. Resto là finché non riesco più a muovermi. Non so cosa vogliate di più da me!
— Non arrabbiarti, Dua — aveva pregato Odeen. — Avevo promesso a Tritt di parlarti. Lui è convinto che tu mi ascolti…
— Tritt è convinto solo che sia strano che tu mi parli di scienza. Lui non capisce… Tu vorresti una congiunta mediana uguale alle altre?
— No — aveva risposto Odeen, serio. — Tu non sei uguale alle altre, e io ne sono felice. E, se a te interessano le cose di cui parlano i Razionali, permettimi di spiegartene una. Il Sole non ci dà più la quantità di cibo che ci dava in passato. La sua energia luminosa è diminuita e, per mangiare, occorre esporsi più a lungo. Sono secoli che il livello delle nascite continua a calare, e oggi la popolazione mondiale è solo una piccola frazione di quella che era un tempo.
— Io non posso farci niente! — aveva protestato lei, ribellandosi.
— Forse i Duri possono farci qualcosa. Anche il loro numero è diminuito, però…
— Anche loro trapassano? — aveva chiesto Dua, d’un tratto interessata. Aveva sempre creduto che fossero immortali o giù di lì: che non nascessero e che non potessero morire, quindi. Chi aveva mai visto un Duro bambino, per esempio? Loro non avevano bambini. Non si fondevano e nemmeno mangiavano.
Pensoso, Odeen aveva detto: — Immagino di sì. Però, loro non parlano mai di se stessi, con me. Non so neanche come facciano a mangiare, benché, naturalmente, debbano mangiare anche loro. E nascere. Ce n’è uno nuovo adesso, sai? Io non l’ho ancora mai visto… ma questo non importa. Il fatto importante è che hanno scoperto un cibo artificiale…
— Lo so — lo aveva interrotto Dua. — L’ho assaggiato.
— Cosa? Non lo sapevo!
— C’era un gruppetto di Emotive che ne parlava. Dicevano che un Duro cercava dei volontari per assaggiarlo e quelle stupide avevano tutte paura. Dicevano che forse quel cibo le avrebbe fatte diventare dure per sempre e così non avrebbero più potuto fondersi.
— Che assurdità! — aveva esclamato Odeen, con foga.
— Certo. Per questo mi sono offerta volontaria io! E gli ho tappato la bocca. Sono così insopportabili, Odeen!
— E com’era quel cibo?
— Disgustoso — aveva detto lei, convinta. — Aspro e amaro. Naturalmente questo non l’ho detto alle altre Emotive.
Odeen aveva aggiunto. — L’ho assaggiato anch’io. E non era tanto cattivo.
— I Razionali e i Paterni non badano mai al sapore del cibo.
Ma Odeen aveva spiegato: — È ancora allo stadio sperimentale. Stanno lavorando sodo per migliorarlo, i Duri, intendo. Soprattutto Estwald… quello che ho nominato prima, quello nuovo che non ho ancora visto. È lui che ci dà più dentro. Ogni tanto Losten ne parla come se fosse qualcosa di speciale, uno scienziato eccezionale.
— Come mai non l’hai ancora visto?
— Io sono solo un Morbido. Non crederai che i Duri mi facciano vedere tutto e mi spieghino tutto, vero? Prima o poi lo vedrò, immagino. Lui ha scoperto una nuova fonte di energia che potrebbe salvarci tutti se…
— Io non voglio del cibo artificiale — aveva affermato Dua, e poi aveva piantato in asso Odeen.
Questa conversazione aveva avuto luogo poco tempo prima e Odeen non aveva più nominato quell’Estwald, ma Dua sapeva che ne avrebbe riparlato e ci stava riflettendo sopra, mentre era in superficie, al tramonto.
Aveva visto una volta sola quel cibo artificiale: un abbagliante globo di luce, simile a un piccolo Sole, in una caverna artificiale sistemata dai Duri. Poteva ancora sentirne il sapore amaro.
L’avrebbero davvero migliorato? Sarebbero riusciti a dargli un gusto più buono? Delizioso, magari? E lei avrebbe dovuto mangiarne a sazietà, finché la sensazione di pienezza le avesse fatto provare un incontrollabile desiderio di fondersi?
Aveva paura di quel desiderio che nasceva spontaneamente. Era diverso, quando derivava dall’eccitante stimolo combinato del suo sinistride e del suo destride. Il suo sorgere spontaneo, invece, significava che lei sarebbe stata matura per dare inizio a una piccola mediana. E… e lei non voleva farlo!
Per molto tempo si era rifiutata di ammettere la verità anche con se stessa: non voleva dare inizio a un’Emotiva! Era perché, dopo che tutti e tre i bambini fossero nati, sarebbe inevitabilmente giunta l’ora di trapassare, e lei non voleva trapassare! Ricordava il giorno in cui il suo Paterno se n’era andato per sempre e non voleva che succedesse la stessa cosa a lei! Per questo era così decisa.
Le altre Emotive non se ne preoccupavano perché erano troppo stupide per pensarci, ma lei era diversa. Lei era la strana Dua, la Emo-Sinistride. Era così che la chiamavano, no? E lei sarebbe stata diversa: finché non avessero avuto il terzo bambino, non sarebbe trapassata ma avrebbe continuato a vivere.
Perciò, lei non avrebbe avuto quel terzo bambino. Mai! Mai!
Ma come avrebbe fatto a scansare il pericolo? Come poteva impedire a Odeen di scoprire la verità? E, se l’avesse scoperta, cos’avrebbe fatto Odeen?
Odeen aspettava che fosse Tritt a fare qualcosa. Era ragionevolmente sicuro che non sarebbe salito in superficie a cercare Dua, perché in questo caso avrebbe dovuto lasciare i bambini, e per Tritt era sempre difficile farlo. Tritt, dal canto suo, aspettò in silenzio per un po’, poi se ne andò in direzione della stanza dei bambini.
Odeen fu quasi contento che Tritt se ne andasse. Naturalmente non perché Tritt si era arrabbiato, ritraendosi in se stesso, così che il contatto interpersonale si era indebolito e tra loro era sorta una barriera di scontento. No, per questo Odeen era molto triste: era come se l’impulso vitale si fosse attenuato.
A volte si chiedeva se anche Tritt sentisse allo stesso modo… No, quello era un pensiero ingiusto: Tritt dedicava tutto se stesso ai bambini.
E in quanto a Dua, chi conosceva i suoi sentimenti? Chi mai poteva dire che cosa provasse un’Emotiva? Erano talmente diverse che al loro confronto sinistridi e destridi potevano considerarsi uguali in tutto, tranne che nella mente. Ma anche tenendo conto dell’imprevedibile comportamento delle Emotive, chi poteva dire che cosa Dua — specialmente Dua — provasse?
Era questo il motivo per il quale era quasi contento quando Tritt se ne andò: perché il problema in ballo era Dua. Il ritardo nel dare inizio al terzo bambino era davvero eccessivo, e Dua era sempre più strana e ribelle. Anche lui cominciava a provare una singolare irrequietezza, che non riusciva a definire… Era meglio che ne parlasse con Losten.
Perciò si diresse verso il basso, alle caverne dei Duri, affrettando i propri movimenti fino a farli diventare uno scorrere continuo, che però non era poco dignitoso come l’ondeggiamento veloce delle Emotive, tutto curve e stranamente eccitante, e nemmeno ridicolo come il pesante e inerte spostamento dei Paterni…
(Rivide d’un tratto, col pensiero, l’immagine di Tritt che arrancava ponderoso all’inseguimento del loro piccolo Razionale, il quale alla sua età era ovviamente poco meno sgusciante di un’Emotiva, e l’immagine di Dua costretta a bloccare il bambino per riportarlo indietro. E poi Tritt che chiocciava, indeciso se scrollare ben bene lo scopo della sua vita, oppure avvolgerlo con tutta la sua sostanza. Fin dall’inizio Tritt poteva rarefarsi per i bambini con più efficacia che per lui, Odeen, e quando lui se n’era lagnato Tritt gli aveva risposto, serio, perché naturalmente era privo d’umorismo quando si trattava di quella questione: “Ah, ma i bambini ne hanno più bisogno!”.)
Odeen si compiaceva un po’ egoisticamente del suo scorrere, ritenendolo aggraziato e imponente insieme. Ne aveva parlato una volta a Losten — al quale, nella sua qualità di maestro Duro, lui raccontava tutto — e Losten aveva detto: “Ma non credi che un’Emotiva o un Paterno provino la stessa cosa per il loro modo di scorrere? Se ognuno di voi pensa e agisce in modo diverso, perché non dovrebbe essere compiaciuto in modo diverso? La triade non esclude l’individualità, lo sai”.
Odeen non era convinto di capire del tutto il concetto di individualità. Significava l’essere soli? Un Duro era solo, naturalmente. Loro non avevano triadi… e come facevano a sopportarlo?
Era ancora molto giovane quando si era posto quella domanda. I suoi rapporti con i Duri erano agli inizi e all’improvviso si era reso conto di dubitare che essi avessero le triadi. Era una storia che i Morbidi raccontavano, ma quanto di vero c’era in quella storia? Odeen vi aveva riflettuto sopra e aveva deciso che fosse necessario chiederlo, e non accettarla come materia di fede.
Aveva chiesto, quindi: — Voi siete un sinistride o un destride, signore? — (In seguito pulsava al semplice ricordo di quella domanda. Com’era stato ingenuo a farla! Ed era stato di scarsa consolazione sapere che tutti i Razionali la ponevano a uno dei Duri, presto o tardi… di solito presto.)
Losten aveva risposto, calmo: — Né l’uno né l’altro, piccolo sinistride. Tra i Duri non ci sono né destridi né sinistridi.
— E nemmeno medi… Emotive?
— Mediane? — Il Duro aveva modificato la forma della sua zona sensoria fissa in un modo che alla fine Odeen aveva imparato ad associare a divertimento o a piacere. — No. Nemmeno mediane. Solo Duri di uno stesso genere.
Odeen era stato costretto a chiedere ancora. La domanda gli era uscita involontariamente, quasi contro il suo desiderio. — Ma come fate a sopportarlo?
— È diverso per noi, piccolo sinistride. E ci siamo abituati.
Ci si sarebbe mai potuto abituare lui? Prima c’era stata la triade del Paterno, che aveva colmato la sua vita per molto, molto tempo, e poi la certezza che in un momento non troppo lontano avrebbe lui stesso formato una sua triade. Che cos’era mai la vita senza di essa? Ci aveva pensato molto, di quando in quando. Lui pensava sempre molto, su tutti i problemi: era fatto così. E talvolta era riuscito ad afferrare una parte del significato di quella situazione. Voleva dire che i Duri avevano solo loro stessi: né fratello sinistride, né fratello destride, né sorella mediana, né fusione, né bambini, né Paterni. I Duri possedevano solo la mente, solo la ricerca pura di tutto ciò che esisteva nell’universo. Forse gli bastava. Crescendo, Odeen aveva capito meglio, a sprazzi, il significato delle gioie della ricerca pura. Erano quasi sufficienti — quasi — e poi gli tornavano in mente Tritt e Dua, e decideva che, in confronto a loro, anche tutto l’universo non era per niente sufficiente.
A meno che… Era strano, ma ogni tanto aveva l’impressione che dovesse giungere un periodo di tempo, una situazione, una condizione in cui… Poi quell’impressione momentanea, o meglio quell’impressione di un’impressione, svaniva e tutto finiva lì. Ma più tardi sarebbe tornata e, con il passare del tempo, si era accorto che la sua intensità aumentava, così che alla fine sarebbe senz’altro rimasta nella sua mente abbastanza a lungo da essere capita.
Ma adesso non erano quelli i pensieri che lo preoccupavano: adesso doveva risolvere il problema di Dua. Stava percorrendo per l’ennesima volta una strada ben nota, quella lungo la quale era stato condotto tanto tempo prima dal suo Paterno (come avrebbe fatto dopo poco anche Tritt, accompagnando il loro piccolo Razionale, il loro bambino sinistride). E all’istante, naturalmente, si smarrì di nuovo nei ricordi.
Com’era spaventato, quel giorno! C’erano altri bambini Razionali, che pulsavano, brillavano e cambiavano forma, nonostante i continui segnali dei Paterni perché rimanessero saldi e lisci e non disonorassero la triade. Un giovane sinistride, compagno di giochi di Odeen, si era infatti appiattito e rarefatto, così come fanno i piccolissimi, e si rifiutava di riprendere la sua forma a dispetto di tutti gli sforzi del suo imbarazzatissimo Paterno. (Era poi diventato un normalissimo studente, quantunque non bravo come lui, non poté fare a meno di pensare Odeen, con notevole orgoglio.)
Durante quel primo giorno di scuola avevano conosciuto molti Duri: si erano fermati vicino a ognuno di loro, allo scopo di registrare con parecchi sistemi speciali la particolare vibrazione di ogni giovane Razionale, per poi decidere se ammetterlo subito all’istruzione oppure farlo aspettare un altro periodo di tempo e, in caso positivo, a quale tipo d’istruzione avviarlo.
Facendo uno sforzo disperato, quando un Duro si era avvicinato a lui, Odeen era riuscito a restare liscio e a non tremolare.
Il Duro aveva detto (ed erano bastati gli strani suoni della sua voce a spaventarlo tanto da desiderare di non essere mai cresciuto): — Questo è un Razionale molto saldo. Come definisci te stesso, sinistride?
Era la prima volta che Odeen veniva chiamato solo “sinistride”, invece che con qualche diminutivo, e questo l’aveva fatto sentire più saldo che mai, tanto che si era ritrovato a rispondere: “Odeen, Duro signore”, nella maniera educata insegnatagli dal suo Paterno.
Molto vagamente Odeen ricordava di essere poi stato condotto via, attraverso le caverne dei Duri, piene di apparecchiature, macchine, biblioteche e tante altre cose e rumori strani, per lui senza senso allora. Ma, più che le percezioni sensoriali, ricordava la profonda disperazione che aveva provato. Che cosa gli avrebbero fatto?
Il suo Paterno gli aveva detto che avrebbe imparato, ma lui non sapeva che cosa volesse effettivamente dire “imparare” e, quando aveva chiesto una spiegazione, era saltato fuori che nemmeno il Paterno lo sapeva. Gli ci era voluto un po’ di tempo per scoprirlo, ma era stata un’esperienza piacevole, anzi piacevolissima, benché non priva di qualche lato preoccupante.
Il Duro che lo aveva chiamato “sinistride” era stato il suo primo maestro: gli aveva insegnato a interpretare le registrazioni di onde di modo che, dopo un po’, quello che sembrava un codice incomprensibile era diventato un insieme di parole. Parole chiare quanto quelle che lui stesso formava con le proprie vibrazioni.
Ma in seguito quel primo Duro non si era fatto più vedere ed era stato sostituito da un altro. Odeen non se n’era accorto subito: gli era difficile in quei lontani giorni distinguere un Duro da un altro, in base alle loro voci. Aveva cominciato a sospettarlo, poi a poco a poco ne era diventato certo e il cambiamento lo aveva fatto tremare, perché non ne capiva il significato.
Aveva raccolto tutto il suo coraggio e alla fine aveva chiesto: — Dov’è il mio maestro, Duro signore?
— Gamaldan?… Non verrà più qui con te, sinistride.
Odeen era rimasto per un istante senza parole. Poi aveva detto: — Ma i Duri non trapassano… — Non aveva finito la frase: era troppo scosso.
Il nuovo Duro non si era mosso, non aveva detto niente, né dato volontariamente una spiegazione.
Sarebbe sempre andata così, aveva scoperto con il tempo Odeen: i Duri non parlavano mai di loro stessi. Su qualunque altro argomento erano loquaci e disponibili. Su quanto li riguardava… zero.
Da decine e decine di fatterelli, tuttavia, Odeen aveva deciso che i Duri trapassavano, che non erano immortali (mentre fin troppi Morbidi credevano il contrario). Comunque, nessun Duro lo aveva mai detto apertamente. Odeen e gli altri studenti Razionali ne avevano discusso talvolta, con un certo imbarazzo, ognuno adducendo qualche piccolo particolare, come prova. E tutte tendevano inesorabilmente a dimostrare la mortalità dei Duri, ma loro erano indecisi e l’ovvia conclusione non gli piaceva, perciò non avevano insistito.
Pareva che i Duri non facessero caso a quegli indizi della loro mortalità. Non facevano niente per nasconderla, ma nemmeno ne parlavano mai. E quando gli si poneva una domanda diretta (succedeva a volte, era inevitabile) non rispondevano: non negavano né affermavano niente.
Ma, se trapassavano, dovevano anche essere nati, eppure non parlavano nemmeno della loro nascita, e Odeen non aveva mai visto un Duro che non fosse adulto.
Odeen era convinto che i Duri ricavassero la loro energia dalle rocce invece che dal Sole. Quanto meno, il loro corpo comprendeva della roccia nera in polvere. Alcuni studenti erano del suo stesso parere, altri lo rifiutavano e con una certa veemenza. E non erano mai giunti a una conclusione, poiché nessuno aveva mai visto i Duri mangiare. E i Duri non parlavano mai nemmeno di questo.
Odeen aveva finito per considerare la reticenza una loro caratteristica, una parte del loro essere. Forse, pensava, era quella la loro individualità, il motivo per cui non formavano le triadi. Gli costruiva intorno una corazza.
Con il tempo, però, Odeen aveva imparato cose talmente importanti e serie da rendere insignificanti i dubbi circa la vita privata dei Duri. Aveva imparato, per esempio, che il mondo intero stava avvizzendo… rimpicciolendo…
Era stato Losten, il suo nuovo maestro, a parlargliene.
Odeen gli aveva chiesto delle caverne disabitate che si diramavano all’infinito nelle viscere del mondo e Losten ne era sembrato lieto. — Avevi paura nel fare questa domanda, Odeen?
(Lui non era più, adesso, una qualche definizione generica relativa al suo stato di sinistride, era “Odeen”. Ed era sempre fonte di orgoglio sentire un Duro che gli si rivolgeva chiamandolo con il suo nome. Molti Duri lo facevano, ormai: Odeen era un prodigio di apprendimento e di conoscenze e l’uso del nome era una specie di riconoscimento della situazione. Losten, poi, aveva espresso più di una volta la sua soddisfazione di averlo come allievo.)
Aveva davvero paura, comunque, e dopo un attimo di esitazione lo aveva detto. Gli era sempre stato più facile confessare le sue manchevolezze ai Duri che ai suoi compagni Razionali, molto più facile che confessarle a Tritt, anzi, era impensabile che le confessasse a Tritt… Ma quelli erano i tempi precedenti l’arrivo di Dua.
— Allora perché chiedi?
Aveva esitato di nuovo. Poi aveva detto, lentamente: — Ho paura delle caverne disabitate perché, quando ero piccolo, mi avevano detto che là dentro c’erano tantissimi mostri. Ma non lo so per mia esperienza diretta. So soltanto quello che mi hanno raccontato i miei compagni, e nemmeno loro potevano averne un’esperienza diretta. Voglio scoprire la verità, adesso, e il desiderio di verità è cresciuto dentro di me al punto che la curiosità è diventata più forte della paura.
Losten era sembrato molto contento. — Ottimo! La curiosità è utile, la paura inutile. Il tuo sviluppo interiore è eccellente, Odeen, e ricorda sempre che la più importante tra le cose importanti è proprio e soltanto il tuo sviluppo interiore. L’aiuto che ti diamo noi è relativo. Dato che ora vuoi sapere, è facile dirti che le caverne disabitate sono effettivamente disabitate. Sono tutte vuote. In esse restano soltanto le poche cose senza importanza lasciatevi nei tempi passati.
— Lasciatevi da chi, Duro signore? — Benché a disagio, Odeen si sentiva costretto a usare l’appellativo onorifico tutte le volte che si trovava in presenza di una conoscenza che a lui mancava, ma che l’altro possedeva.
— Da coloro che le avevano occupate nei tempi passati. Un tempo, migliaia di cicli fa, esistevano parecchie migliaia di Duri e milioni di Morbidi. Oggi noi siamo molto meno di quanti eravamo in passato, Odeen. Oggi non vi sono più di trecento Duri e un po’ meno di diecimila Morbidi.
— Perché? — aveva chiesto Odeen, scioccato. (Erano rimasti soltanto trecento Duri. Questa non era altro che l’ammissione che anche i Duri trapassavano, ma non era il momento di pensare alla questione.)
— Perché l’energia sta diminuendo. Il Sole si raffredda. A ogni ciclo è sempre più difficile dare inizio a una nuova vita e vivere.
(E questo non significava che anche i Duri nascevano? E non significava che anche i Duri dipendevano dal Sole per il cibo, e non dalle rocce? Odeen mise da parte il pensiero, immagazzinandolo, e per il momento non ci pensò più.)
— Continuerà così? — aveva chiesto ancora.
— Il Sole diventerà sempre più piccolo, avviandosi alla fine, Odeen. E arriverà il giorno in cui non darà più cibo.
— Significa allora che tutti, Duri e Morbidi, un giorno trapasseremo?
— Cos’altro può significare?
— Non possiamo trapassare tutti. Se abbiamo bisogno di energia e il Sole si avvia alla fine, dobbiamo trovare altre fonti di energia. Altre stelle.
— Ma, Odeen, tutte le stelle si avviano alla fine. È l’universo che si avvia alla fine.
— Se le stelle arrivano alla fine, non ci sarà più cibo? Da nessuna parte? Nessun’altra fonte di energia?
— No. Tutte le fonti di energia di tutto l’universo stanno avviandosi alla fine.
Odeen aveva considerato il problema con un senso di ribellione, poi aveva detto: — Gli altri universi, allora. Non possiamo darci per vinti solo perché lo fa l’universo. — Mentre lo diceva, tremava tutto. Si era espanso in modo davvero scortese, imperdonabile, fino a diventare traslucido e di dimensioni maggiori del Duro.
Ma Losten non si era offeso, anzi, aveva espresso un grande compiacimento. — Magnifico, mio caro sinistride. Lascia che lo dica agli altri!
Odeen era ritornato di colpo alle sue dimensioni normali, per l’imbarazzo e insieme il piacere di sentirsi chiamare “mio caro”, un’espressione che nessuno gli aveva mai rivolto… tranne Tritt, naturalmente.
Non era passato molto tempo da quella conversazione che lo stesso Losten aveva condotto loro Dua. Odeen si era chiesto vagamente se tra le due cose vi fosse un nesso, ma dopo un po’ il dubbio era svanito. Tritt ripeteva tanto spesso che era stato a causa della sua richiesta diretta che Losten aveva portato Dua, che Odeen aveva smesso di riflettere sulla questione. Era troppo confusa.
Ma adesso stava andando da Losten ancora una volta. Era trascorso un tempo lunghissimo da quei lontani giorni in cui aveva imparato che l’universo stava avviandosi alla fine e che (lo aveva scoperto più tardi) i Duri stavano dandosi da fare con decisione per continuare a vivere comunque. Lui stesso era ormai diventato un esperto in molti campi e Losten era arrivato a confessare che nella fisica gli restava da insegnargli ben poco che Odeen, in quanto Morbido, potesse imparare con profitto. E c’erano altri giovani Razionali di cui Losten doveva occuparsi, perciò non lo vedeva più tanto sovente come prima.
Lo trovò con due adolescenti Razionali nella Camera delle Radiazioni. Losten lo vide subito attraverso il vetro e uscì, chiudendosi accuratamente la porta alle spalle.
— Mio caro sinistride — disse, estendendo le estremità in un gesto di amicizia (e in un modo che fece provare a Odeen, come gli era capitato spesso in passato, il perverso desiderio di toccarlo, desiderio che lui naturalmente controllò). — Come stai?
— Non volevo interrompervi, Losten maestro.
— Interrompermi? Quei due possono andare avanti benissimo da soli per un po’. Anzi, forse sono felici di vedermi andar via, perché di sicuro io li annoio con le mie eccessive chiacchiere.
— Assurdo — disse Odeen. — Voi mi avete sempre affascinato e di sicuro affascinate anche loro.
— Bene, bene. Sei gentile a dirmelo. Ti vedo spesso in biblioteca e ho sentito dagli altri che vai molto bene nei corsi superiori, il che mi fa sentire la mancanza del mio miglior allievo. Come sta Tritt? È sempre il solito testardo, nella sua qualità di Paterno?
— Più testardo ogni giorno che passa. È lui la forza trainante della triade.
— E Dua?
— Dua? Sono venuto per… Lei è molto fuori del comune, sapete?
Losten annuì. — Sì, lo so. — Aveva un’espressione che Odeen aveva imparato ad associare alla malinconia.
Odeen aspettò un momento, poi decise di affrontare direttamente l’argomento. Disse: — Losten maestro, Dua ci è stata condotta, a Tritt e a me intendo, proprio perché era fuori del comune?
Losten replicò: — Ne saresti sorpreso? Tu stesso sei fuori del comune, Odeen, e mi hai detto moltissime volte che anche Tritt lo è.
— È vero — assentì Odeen, convinto. — Anche Tritt lo è.
— Perché allora la vostra triade non dovrebbe comprendere un’Emotiva fuori del comune?
— Ci sono molti modi di essere fuori del comune — disse Odeen, pensoso. — Non so perché, le stranezze di Dua dispiacciono a Tritt e preoccupano me. Posso chiedervi consiglio?
— Quando vuoi.
— Lei… a lei non piace… ecco, fondersi.
Losten ascoltava molto serio, ma in apparenza per niente imbarazzato.
Odeen continuò: — Cioè, le piace la fusione quando ci fondiamo, ma non è facile convincerla a farla.
Losten chiese: — Che cosa prova Tritt in merito alla fusione? Voglio dire, oltre al piacere immediato dell’atto in sé? Che cosa significa per lui la fusione, a parte il piacere?
— I bambini, naturalmente — rispose Odeen. — A me piacciono e anche a Dua piacciono, ma Tritt è il Paterno. Lo capite, vero? (D’un tratto gli sembrava che Losten non fosse in grado di capire tutte le sottigliezze della triade.)
— Cerco di capire — affermò Losten. — A me pare, quindi, che Tritt ricavi dalla fusione qualcosa di più che la semplice fusione. E tu? Che cosa ne ricavi, oltre al piacere?
Odeen rifletté. — Credo che voi lo sappiate. Una specie di stimolo mentale.
— Sì, lo so, ma voglio essere sicuro che lo sappia tu. Voglio essere sicuro che tu non abbia dimenticato. Mi hai raccontato spesso che, uscendo da un periodo di fusione, con quella sua strana perdita di tempo… durante la quale, devo ammettere, a me succedeva di non vederti talvolta per periodi piuttosto lunghi… dunque mi dicevi che all’improvviso ti accorgevi di capire molte cose che prima non ti erano chiare.
— Era come se la mia mente rimanesse attiva per tutto l’intervallo di tempo — confermò Odeen. — Come se quel tempo, sebbene io non fossi consapevole del suo trascorrere e addirittura ignaro della mia stessa esistenza, mi fosse necessario, perché allora potevo pensare più profondamente e più intensamente, senza essere distratto dal lato meno intellettuale della vita.
— Sì — disse Losten. — E al ritorno il tuo intelletto aveva fatto un balzo quantico in avanti. È un fatto comune tra voi Razionali, però devo ammettere che nessuno è mai migliorato a balzi prodigiosi come i tuoi. Sinceramente ritengo che nessun Razionale sia migliorato tanto come te, mai, in tutta la storia.
— Davvero? — disse Odeen, tentando di non sembrare troppo inorgoglito.
— D’altra parte potrei sbagliarmi — e Lpsten parve divertito all’improvviso calo dello scintillio di Odeen — ma non è questo che importa. Il punto importante è che tu, come Tritt, ricavi dalla fusione qualcosa di più della fusione stessa.
— Questo è più che certo.
— E che cosa ricava Dua dalla fusione, a parte la fusione?
Ci fu una lunga pausa. — Non lo so — disse Odeen, alla fine.
— Non glielo hai mai chiesto?
— Mai.
— Ma allora — riprese a dire Losten — se tutto quello che lei ricava dalla fusione è la fusione, e se tu e Tritt ne ricavate la fusione più qualcos’altro, per quale motivo lei dovrebbe essere desiderosa di fondersi più di voi due?
— Non mi pare che le altre Emotive abbiano bisogno… — cominciò a dire Odeen, in tono difensivo.
— Le altre Emotive non sono come Dua. Questo me lo hai detto abbastanza spesso e, ritengo, con una certa soddisfazione.
Odeen si sentì colmo di vergogna. — Avevo pensato che ci fosse qualcos’altro.
— Che cosa?
— È difficile da spiegare. Nella triade noi tre ci conosciamo bene, reciprocamente; ci sentiamo anche. In un certo senso è come se noi tre fossimo le tre parti di una sola persona. Una persona vaga, che va e viene. E quasi sempre a un livello non cosciente. Se ci pensiamo sopra con troppa concentrazione, la perdiamo, perciò non possiamo mai averne una visione reale. Noi… — Odeen s’interruppe, come per disperazione. — È difficile spiegare la triade a chi…
— Comunque sto tentando di capire. Tu ritieni di aver conosciuto o capito o sentito, nella parte della mente più profonda di Dua, qualcosa che lei ha sempre cercato di mantenere nascosto. Non è così?
— Non so. È un’impressione molto vaga, percepita appena con la coda della mia mente e solo di quando in quando.
— Allora?
— Ecco, qualche volta penso che Dua non voglia avere la nostra piccola Emotiva.
Losten lo guardò molto serio. — Fino a questo momento avete soltanto due bambini, mi pare. Il piccolo sinistride e il piccolo destride.
— Sì, solo due. L’Emotiva è difficile da iniziare, lo sapete.
— Lo so.
— E Dua non vuole assorbire l’energia necessaria. O quanto meno provarci. Ha sempre una quantità di scuse pronte, ma io non credo in nessuna. A me sembra che, per qualche suo motivo, semplicemente lei non voglia l’Emotiva. Per quanto mi riguarda… se davvero Dua non volesse il terzo bambino per un po’, ecco, io l’accontenterei. Ma Tritt è un Paterno e vuole l’Emotiva. Deve averla. E io non me la sento di deludere Tritt, nemmeno per Dua.
— Se Dua avesse un motivo razionale per non voler iniziare un’Emotiva, per te farebbe qualche differenza?
— Per me, certo. Ma non per Tritt. Lui non capisce certe cose.
— Ma tu ti daresti da fare per farlo pazientare?
— Sì, lo farei. Per tutto il tempo che mi fosse possibile.
Losten disse allora: — Ti è mai venuto in mente che è molto difficile che un Morbido… — Esitò, come se cercasse la parola adatta, poi usò l’abituale modo di dire dei Morbidi: — …trapassi prima che i bambini siano nati? Tutti e tre, cioè, con la piccola Emotiva per ultima?
— Sì, lo so. — Odeen si chiese come mai Losten lo ritenesse ignaro di una nozione tanto elementare.
— Allora la nascita di una piccola Emotiva equivale all’arrivo del giorno del trapasso.
— Di solito non succede finché l’Emotiva non è abbastanza grande da…
— Ma il giorno del trapasso è comunque in arrivo. Non può essere che Dua non voglia trapassare?
— Non è possibile, Losten! Quando viene il giorno di trapassare è come quando viene il giorno di fondersi. Come si fa a non volerlo? (I Duri non si fondevano: forse non erano in grado di capirlo.)
— Supponi semplicemente che Dua non voglia trapassare mai. Cosa ne diresti?
— Be’, che noi dobbiamo trapassare lo stesso, alla fine. Se Dua vuole solo ritardare l’arrivo dell’ultimo bambino, posso dargliela vinta e magari convincere anche Tritt… forse. Ma se non vuole averlo mai, ecco, questo non si può fare, semplicemente.
— Perché?
Odeen rimase un attimo a riflettere. — Non lo so, Losten maestro, ma so che dobbiamo trapassare. A ogni ciclo che passa lo so e lo sento meglio e con più forza, e talvolta penso quasi di capirne il perché.
— Io talvolta penso che tu sia un filosofo, Odeen — disse Losten, asciutto. — Ma riflettiamo. Dopo che il vostro terzo bambino sarà arrivato e sarà cresciuto, Tritt avrà avuto tutti e tre i suoi bambini e potrà attendere con serenità di trapassare, soddisfatto di avere pienamente vissuto. Anche tu avrai avuto la soddisfazione di avere molto imparato e anche tu, perciò, trapasserai dopo aver pienamente vissuto. Ma Dua?
— Non so — rispose Odeen, infelice. — Le altre Emotive non fanno altro che riunirsi in gruppo e sembrano ricavare molto piacere dal chiacchierare tra loro. Dua, però, non lo fa mai.
— Be’, lei è fuori del comune. Non c’è nient’altro che le piaccia fare?
— Le piace ascoltarmi quando parlo del mio lavoro — borbottò Odeen.
Losten disse: — Non devi vergognartene, Odeen. Tutti i Razionali parlano del loro lavoro ai loro congiunti, destroide e mediana. Dite tutti che non è vero, invece lo fate.
Odeen replicò: — Ma Dua ascolta, Losten maestro.
— Ne sono certo. E non come fanno le altre Emotive. E non ti sembra che lei capisca anche meglio dopo una fusione?
— Sì, me ne sono accorto. Non vi ho prestato molta attenzione, ma…
— Perché sei convinto che le Emotive non siano realmente in grado di capire le cose dei Razionali. Ma pare che in Dua ci sia una parte considerevole di Razionale.
(Odeen guardò Losten con improvvisa costernazione. Una volta Dua gli aveva detto della sua infanzia infelice. Soltanto una volta. E delle prese in giro delle altre Emotive, e dell’orribile nome che le davano: Emo-Sinistride. Che Losten ne avesse sentito parlare? Ma come?… No, Losten lo stava solo guardando, calmo.)
Disse: — Qualche volta l’ho pensato anch’io. — Poi proruppe: — E sono fiero di lei proprio per questo!
— Non c’è niente di male — commentò Losten. — Perché non lo dici anche a lei? E, se le piace indulgere alla sua parte di Razionalità, perché non permetterglielo? Insegnale quello che conosci meglio. Rispondi alle sue domande. Oppure sarebbe un disonore per la vostra triade fare una cosa del genere?
— Non me ne importa niente del disonore… E poi perché dovrebbe? Tritt penserà che è una pura perdita di tempo, ma so come trattarlo.
— Spiegagli che, se Dua otterrà di più dalla vita e ne ricaverà un senso di soddisfazione più completo, potrebbe superare la paura di trapassare ed essere più disposta ad avere la piccola Emotiva.
Per Odeen fu come se gli avessero tolto di dosso il tremendo peso di un disastro incombente. Si affrettò a dire: — Avete ragione. Sento che avete ragione. Losten maestro, voi capite tantissimo. Con voi alla guida dei Duri, come potremmo fallire nella prosecuzione del progetto relativo all’altro universo?
— Con me alla guida? — Losten era divertito. — Dimentichi che ora è Estwald che ci guida. È lui il vero protagonista del progetto. Senza di lui non saremmo approdati a niente.
— Ah, sì — mormorò Odeen, un po’ deluso. Non aveva ancora mai visto Estwald. A dir la verità, non sapeva di nessun Morbido che l’avesse effettivamente conosciuto, anche se ogni tanto qualcuno affermava di averlo intravisto in distanza. Estwald era un nuovo Duro; nuovo quanto meno nel senso che, da giovane, Odeen non aveva mai sentito parlare di lui. Il che poteva solo significare che Estwald era un Duro giovane, che era stato un bambino Duro quando Odeen era stato un bambino Morbido.
Ma al momento non importava. Al momento Odeen voleva solo tornarsene a casa. Non poteva toccare Losten in segno di gratitudine, ma lo ringraziò più volte e poi si accomiatò colmo di gioia.
C’era una certa porzione di egoismo nella sua gioia. Non era lieto unicamente per la lontana prospettiva di avere la piccola Emotiva o per il prevedibile piacere di Tritt. E nemmeno per la futura soddisfazione di Dua. Quello che, in quel preciso istante, contava di più per lui era il suo immediato futuro felice: avrebbe potuto insegnare. Nessun altro Razionale avrebbe provato il piacere dell’insegnamento, ne era sicuro, poiché nessun altro Razionale aveva un’Emotiva come Dua tra i componenti della triade.
Sarebbe stato meraviglioso, se solo fosse riuscito a far capire a Tritt che era una cosa necessaria. Doveva parlare a Tritt e convincerlo a essere paziente.
Tritt non si era mai sentito meno paziente. Non pretendeva di capire perché Dua si comportasse nel modo in cui si comportava. E non voleva neanche provare. Non gliene importava. Non aveva mai capito perché le Emotive si comportassero così. E Dua non si comportava neanche come le altre Emotive.
Lei non pensava mai alla cosa più importante. Sarebbe andata a guardare il Sole. Ma poi si sarebbe rarefatta tanto che la luce e il cibo le sarebbero semplicemente passati attraverso. E allora avrebbe detto che era bello. Ma non era quella la cosa importante. La cosa importante era mangiare. Cosa c’era di bello nel mangiare? E cos’era poi questo bello?
Lei voleva sempre fondersi in un modo diverso. Una volta aveva detto: — Prima parliamone. Non ne parliamo mai. Non ci pensiamo mai.
Odeen avrebbe detto, come sempre: — Lasciala fare a modo suo, Tritt. Così sarà meglio.
Odeen era sempre paziente. Lui pensava sempre che le cose sarebbero andate meglio se aspettavano. Altrimenti avrebbe voluto pensarci sopra.
Tritt non sapeva bene che cosa voleva dire Odeen con “pensarci sopra”. A lui pareva che volesse dire solo che Odeen non faceva niente.
Come, per esempio, avere Dua con loro. Se era per Odeen, sarebbe stato ancora là a pensarci sopra. Lui, Tritt, era andato dritto al punto e aveva chiesto. Era così che bisognava fare.
E adesso Odeen non avrebbe fatto niente circa Dua. E circa la piccola Emotiva, che era la cosa più importante? Be’, Tritt avrebbe fatto qualcosa, se non la faceva Odeen.
In effetti stava già facendo qualcosa. Stava procedendo giù per il lungo corridoio proprio intanto che nella sua mente pensava a tutte quelle cose. Non si era neanche accorto di essere arrivato tanto lontano. Era quello il “pensarci sopra”? Be’, non si sarebbe lasciato spaventare. E non sarebbe tornato indietro.
Stolidamente si guardò intorno. Quella era la strada per le caverne dei Duri. Lui sapeva che sarebbe dovuto passare di lì dopo non molto tempo, con il suo piccolo sinistride. Si era fatto mostrare la strada da Odeen, una volta.
Ma stavolta, quando fosse arrivato, non sapeva che cosa fare. Eppure, non aveva per niente paura. Lui voleva la sua bambina Emotiva. Era suo diritto avere una piccola Emotiva. Niente era più importante di quello. I Duri avrebbero fatto in modo che l’avesse. Non avevano forse portato Dua da loro, quando lui glielo aveva chiesto?
Ma a chi avrebbe dovuto chiedere questa volta? A un Duro qualunque? In modo vago era convinto che non doveva essere un Duro qualunque. Com’era il nome di quello a cui chiedere? Allora avrebbe parlato a lui di quello che importava.
Ecco, ricordava il nome. Ricordava persino quando lo aveva sentito per la prima volta. Era stato quando il piccolo sinistride era cresciuto abbastanza da cominciare a cambiare forma volontariamente. (Che gran giorno era stato, quello! “Vieni, Odeen, svelto! Annis è tutto ovale e solido. E l’ha fatto tutto da solo! Dua, guarda!” Erano arrivati di corsa tutti e due. Annis era il loro unico bambino, allora. E poi avevano dovuto aspettare un mucchio di tempo prima di avere il secondo. Così erano arrivati di corsa, e lui si era appena riappiattito nel suo angolo. Si riavvoltolava su se stesso e volteggiava sopra il suo giaciglio, simile a creta umida. Odeen aveva dovuto andarsene perché aveva da fare. Ma Dua aveva detto: “Oh, lo farà di nuovo, Tritt, vedrai”. E loro due erano rimasti ad aspettare per ore, ma Annis non l’aveva rifatto.)
Tritt se n’era avuto a male che Odeen non fosse rimasto. Lo avrebbe anche rimproverato se non si fosse accorto che era tanto sciupato. Aveva un mucchio di grinze sull’ovoide non si sforzava nemmeno di lisciarle.
Tritt gli aveva detto, con ansia: — C’è qualcosa che non va, Odeen?
— È stata una giornata pesante e non so nemmeno se riuscirò a ricavare le equazioni del differenziale prima della prossima fusione. (Tritt non ricordava esattamente quei paroloni difficili, ma era qualcosa del genere. Odeen usava sempre paroloni difficili.)
— Vuoi che ci fondiamo adesso?
— Oh, no. Ho appena visto Dua salire, e sai come fa se la interrompiamo adesso. Non c’è fretta, davvero. C’è un nuovo Duro, sai?
— Un nuovo Duro? — aveva ripetuto Tritt, con palese mancanza d’interesse. Odeen trovava molto interessante stare in compagnia dei Duri, mentre Tritt avrebbe addirittura voluto che quell’interesse non esistesse. Odeen si dedicava troppo a quello che lui chiamava la sua istruzione, più di tutti gli altri Razionali della zona. Non era giusto. Odeen era davvero troppo impegnato in quella faccenda. E Dua era troppo impegnata nel vagabondare in superficie da sola. Nessuno era decentemente interessato alla triade. Nessuno, tranne lui, Tritt.
— Si chiama Estwald — aveva detto Odeen.
— Estwald? — Tritt aveva sentito una punta d’interesse. Forse perché stava ansiosamente percependo le sensazioni di Odeen.
— Io non l’ho mai visto, ma tutti parlano di lui. — Gli occhi di Odeen si erano appiattiti come succedeva quando lui diventava introspettivo. — È il responsabile della nuova scoperta dei Duri.
— Quale nuova scoperta?
— La Pompa Positro… Non capiresti, Tritt. È una cosa del tutto nuova che hanno loro. Rivoluzionerà il mondo intero.
— Cosa vuol dire “rivoluzionare”?
— Rendere tutto diverso da prima.
Tritt si era subito allarmato. — Loro non devono rendere tutto diverso!
— Renderanno tutto migliore, Tritt. Diverso non vuol dire sempre che sarà peggio. A ogni modo, il responsabile è Estwald. È molto, molto intelligente. Ne ho la chiara sensazione.
— Allora perché non ti piace?
— Io non ho detto che non mi piace.
— Io sento come se non ti piacesse.
— Ma no, non è vero, Tritt. È solo che io… io forse… — Odeen si era messo a ridere. — Ne sono invidioso. I Duri sono così intelligenti che un Morbido, in confronto, non è niente, ma ormai non ci pensavo più perché Losten mi diceva sempre quant’ero bravo… per essere un Morbido, immagino. Però adesso è arrivato questo Estwald e persino Losten non fa che cantarne le lodi, e io sono davvero niente.
Tritt aveva gonfiato la sua superficie piana anteriore per portarla appena appena in contatto con Odeen. Questi lo aveva guardato e aveva sorriso. Poi aveva aggiunto: — Ma questa è solo una dimostrazione della mia stupidità. A chi importa se un Duro è tanto intelligente? Nessuno di loro ha un Tritt come ho io!
Dopo di che, in definitiva, erano andati in cerca di Dua. E per un magnifico caso lei aveva smesso di vagabondare in giro e stava tornando giù. Era stata una bellissima fusione, anche se il tempo perso era stato solo di un giorno o poco più. In quel periodo Tritt era preoccupato, quando si fondevano. Con Annis tanto piccolo, anche una breve assenza era rischiosa, benché ci fossero sempre gli altri Paterni a prendersi cura di lui.
Ogni tanto, dopo di allora, Odeen nominava Estwald. Lo chiamava sempre “il Nuovo”, anche se ormai era passato parecchio tempo. Ma non l’aveva ancora conosciuto. — Credo di essere io a evitarlo — aveva detto una volta che c’era anche Dua con loro — perché lui sa tantissimo della nuova apparecchiatura. Io non voglio, invece, scoprirla tutta troppo presto. È troppo divertente imparare.
— La Pompa Positronica? — aveva chiesto Dua.
…Quella era un’altra cosa strana di Dua, pensò Tritt. Una cosa che lo irritava. Lei era capace di dire le parole difficili quasi bene come Odeen. Un’Emotiva non avrebbe dovuto essere così.
Perciò Tritt aveva deciso di parlare con Estwald: perché Odeen aveva detto che era molto intelligente. Inoltre, Odeen non lo aveva mai visto, così Estwald non avrebbe potuto rispondere: — Ho già parlato di questo con Odeen, Tritt, e tu non devi preoccupartene.
Tutti erano convinti che, se si parlava al Razionale, si parlava alla triade. E nessuno faceva caso ai Paterni. Ma adesso quelli avrebbero dovuto farci caso.
Tritt era arrivato nelle caverne dei Duri, ma tutto là dentro era strano, differente. Non c’era niente che sembrasse uguale a qualcosa che lui conosceva. Era tutto sbagliato e metteva paura. Però lui era troppo ansioso di vedere Estwald per lasciarsi spaventare sul serio. Disse a se stesso: “Io voglio la mia piccola mediana”. E questo lo rese abbastanza saldo da continuare ad andare avanti.
Finalmente vide un Duro. C’era solo quello. Faceva qualcosa. Era chino su una certa cosa e faceva qualcosa. Odeen una volta gli aveva detto che i Duri stavano sempre lavorando a quella loro… chissà che cos’era. Tritt non se lo ricordava e non gl’importava.
Si mosse in silenzio verso il Duro e si fermò. — Duro signore — disse.
Il Duro alzò gli occhi verso di lui e l’aria gli vibrò tutt’intorno, nel modo che Odeen diceva che succedeva, qualche volta, quando due Duri parlavano tra di loro. Poi il Duro sembrò accorgersi che lì c’era Tritt e disse: — Ehi, è un destride. Che cosa sei venuto a fare qui? Hai accompagnato il tuo piccolo sinistride? È oggi che comincia la scuola?
Tritt ignorò tutte le domande. Chiese: — Dove posso trovare Estwald, signore?
— Trovare chi?
— Estwald.
Il Duro rimase zitto per un lungo momento. Poi disse: — Che cosa devi fare con Estwald, destride?
Tritt si sentiva ostinato. — È importante, devo parlargli. Siete voi Estwald, Duro signore?
— No, io non sono… Come ti chiami, destride?
— Tritt, Duro signore.
— Capisco. Tu sei il destride della triade di Odeen, vero?
— Sì.
La voce del Duro sembrò addolcirsi. — Ho paura che tu non possa vedere Estwald in questo momento. Non è qui. Se qualcun altro può esserti utile…
Tritt non sapeva più cosa dire. Rimase lì, fermo e muto.
Il Duro disse ancora: — Vai a casa, adesso. Parla a Odeen. Ti aiuterà lui. Va bene? Va’ a casa, destride.
Il Duro si girò e tornò al suo lavoro. Pareva che Tritt non lo interessasse più, e Tritt rimase ancora lì fermo, incerto su cosa fare. Poi si spostò in un’altra parte della caverna in silenzio, scorrendo senza nessun rumore. Il Duro non alzò nemmeno gli occhi.
In un primo momento Tritt non capì perché si fosse mosso in quella particolare direzione. In un primo momento sentì soltanto che era giusto fare così. Poi gli fu tutto chiaro. Intorno a lui c’era un leggero calore di cibo e lui stava già assaggiandolo.
Non sapeva nemmeno di aver fame, eppure stava già mangiando e gli piaceva.
Il Sole però non c’era. Istintivamente alzò gli occhi, ma naturalmente era in una caverna. Eppure il cibo era persino migliore di quello che avesse mai mangiato in superficie. Si guardò in giro, chiedendosi meravigliato il perché. Si meravigliava, soprattutto, di chiedersi il perché.
Più di una volta lui si era spazientito con Odeen, perché Odeen si chiedeva il perché di tantissime cose che non avevano nessuna importanza. Adesso era lui, proprio lui — Tritt! — a chiedersi il perché. Ma la cosa di cui se lo chiedeva aveva importanza. Improvvisamente vide quella cosa che aveva davvero importanza. E con un lampo quasi accecante si rese conto che lui, Tritt, non si sarebbe mai chiesto meravigliato il perché a meno che, dentro di lui, qualcosa non gli avesse detto che aveva importanza.
Agì velocemente, sorpreso del proprio coraggio. Dopo pochissimo tempo tornò sui suoi passi. Oltrepassò di nuovo il Duro, quello cui aveva parlato prima, e gli disse: — Sto andando a casa, Duro signore.
Il Duro si limitò a borbottare qualcosa d’incomprensibile. Stava ancora facendo qualcosa, era chino su una certa cosa e faceva cose sciocche e non vedeva la cosa più importante.
Se i Duri erano così in gamba e potenti e intelligenti, pensò Tritt, come facevano a essere così stupidi?
Dua si ritrovò a fluttuare senza fretta in direzione delle caverne dei Duri. Ci andava in parte perché, essendo ormai tramontato il Sole, quello l’avrebbe tenuta ancora per un po’ lontana da casa — dove non aveva voglia di tornare a sorbirsi le noiose insistenze di Tritt e le esortazioni per metà imbarazzate e per metà rassegnate di Odeen — e in parte per l’attrazione che su di lei esercitavano i Duri in quanto tali.
La provava da moltissimo tempo, quell’attrazione (fin da quando era piccola in effetti) e ormai aveva smesso di fare finta che non fosse così. Un’Emotiva non avrebbe dovuto sentirsi attratta in quel modo, si affermava. Talvolta le più piccole ne erano incuriosite — Dua era abbastanza vecchia e sperimentata da riconoscerlo — ma la curiosità svaniva alla svelta oppure gliela facevano svanire i rimbrotti dei Paterni.
Tuttavia, anche da bambina, lei aveva testardamente continuato a essere curiosa del mondo e del Sole e delle caverne e… di tutto, insomma, tanto che il suo Paterno le diceva: — Sei davvero strana, Dua, cara. Sei una buffa piccola mediana. Cosa ne sarà di te?
Allora, in principio, non aveva la minima idea di cosa ci fosse di strano o di buffo nel desiderio di sapere. Aveva presto scoperto che il suo Paterno non era in grado di rispondere alle sue domande, e una volta aveva provato a rivolgersi a suo padre sinistride, ma lui non aveva la dolcezza e le perplessità del Paterno. — Perché fai tante domande, Dua? — era sbottato, fissandola con severità.
Lei era scappata via, spaventata, e non gli aveva mai più chiesto niente.
Ma poi un giorno un’altra Emotiva della sua stessa età l’aveva schernita strillandole dietro: “Emo-Sin”, dopo che lei aveva detto qualcosa… non se la ricordava più, ma all’epoca le era sembrata una cosa naturale. Ci era rimasta malissimo senza sapere perché, e aveva chiesto a suo fratello sinistride, molto maggiore di lei, cosa volesse dire “Emo-Sin”. Lui si era tirato indietro imbarazzato, palesemente imbarazzato, borbottando: — Non lo so — mentre era evidente che lo sapeva benissimo.
Dopo qualche riflessione era andata dal Paterno e aveva detto: — Io sono una Emo-Sin, papà?
E lui aveva ribattuto: — Chi ti ha chiamato così, Dua? Non devi ripetere certe parole.
Dua si era estesa, fluttuando, fin contro il suo spigolo più vicino, aveva riflettuto, poi aveva detto: — È brutta?
Lui aveva risposto: — Crescerai e ne verrai fuori — e si era gonfiato un pochino in modo da farla oscillare verso l’esterno e vibrare tutta, nel gioco che tanto le piaceva. Però quella volta non si era divertita, perché aveva capito che anche lui, in realtà, non le aveva risposto. E poi se n’era andata via, pensierosa. Il Paterno aveva detto: “Crescerai e ne verrai fuori”, perciò adesso c’era dentro. Ma dentro cosa?
Persino allora aveva poche amiche vere tra le Emotive. A loro piaceva chiacchierare e ridacchiare insieme, ma lei preferiva fluttuare sopra le rocce aguzze e sgretolate, per godere la sensazione della loro scabrosità. C’era, tuttavia, qualche mediana più amichevole delle altre o che lei considerava meno esasperante. Per esempio c’era Doral, sciocca come tutto il resto del mucchio, in effetti, ma che ogni tanto era divertente. (Diventata adulta, Doral aveva formato la triade con il fratello destride di Dua e un giovane sinistride proveniente da un altro complesso di caverne, che però a Dua piaceva poco. Doral aveva cominciato subito a dare inizio al piccolo sinistride e al piccolo destride in rapida successione, e alla bambina mediana non molto tempo dopo. Era anche diventata così densa che pareva che in quella triade ci fossero due Paterni, e Dua si era addirittura chiesta come riuscissero ancora a fondersi. E pensare che Tritt non faceva altro che ripeterle, con intenzione: “Guarda che bella triade ha messo insieme Doral!”.)
Un giorno che erano sole lei le aveva domandato, sussurrando: — Doral, tu lo sai cos’è un’Emo-Sin?
E Doral aveva sobbalzato, ridacchiando, e si era compressa, come se non volesse essere vista, e aveva risposto: — È un’Emotiva che si comporta come un Razionale. Lo sai, come un sinistride. Capisci? Emotiva-Sinistride… Emo-Sin! Hai capito?
Naturale che lei avesse capito! Era lampante, una volta spiegato. Ci sarebbe arrivata da sola, subito, se fosse stata capace d’immaginare una situazione simile.
Aveva chiesto: — Come fai a saperlo?
— Me l’hanno detto le grandi. — Il corpo di Doral si era arricciolato in un movimento che Dua aveva trovato sgradevole. — È una parola sporca — aveva aggiunto.
— Perché? — aveva chiesto ancora lei.
— Perché è sporca. Le Emotive non devono comportarsi come i Razionali.
Era un’eventualità cui Dua non aveva mai pensato, ma allora lo aveva fatto. E aveva detto: — Perché non dovrebbero?
— Perché sì! Vuoi sentire un’altra cosa sporca?
Era rimasta perplessa: — Cosa?
Doral non aveva risposto, ma una sua parte si era espansa di colpo e aveva sfiorato Dua prima che lei avesse avuto il tempo di formare una concavità. A Dua la cosa non era piaciuta. Si era scansata e aveva detto: — Non fare così.
— Lo sai cos’altro è sporco? Si può andare dentro una roccia.
— No, non si può! — aveva esclamato lei. Era stupido negarlo, dato che era spesso penetrata attraverso la superficie esterna della roccia e le piaceva. Ma ora, a causa delle sciocche risatine dell’amica, ne era disgustata e non voleva ammetterlo, nemmeno con se stessa.
— Sì che puoi! Si chiama stropicciamento, e a noi Emotive viene facile anche contro la roccia. Destridi e sinistridi lo possono fare solo da bambini ma, sai?, quando sono grandi lo fanno l’uno con l’altro.
— Non ti credo! Te lo stai inventando!
— Invece lo fanno. Conosci Dimit?
— No.
— Ma sì che la conosci! È quella ragazza che ha un angolo denso, quella della Caverna C.
— Quella che fluttua in quel modo storto?
— Sì, proprio per quel suo angolo denso. Be’, lei andava sempre dentro la roccia, ogni volta che poteva, meno il suo angolo naturalmente. E una volta lo ha fatto intanto che suo fratello sinistride stava a guardare, e lui lo ha detto al Paterno, e che cosa non s’è presa! Non l’ha fatto mai più.
Dua se n’era andata subito, tutta sottosopra e per molto tempo non aveva più parlato con Doral. Anzi, non erano più state tanto amiche, da allora, però la sua curiosità era aumentata.
La sua curiosità? Perché non chiamarla la sua “Emo-Sinistrezza”?
Un giorno, dopo essersi assicurata che il suo Paterno non fosse nelle vicinanze, si era infilata dentro una roccia, fondendosi con essa lentamente, per un pochino. Era la prima volta che ci provava, da grande, e non aveva la minima idea che avrebbe osato andare tanto in profondità. Dava una magnifica sensazione di calore, ma, quando ne era emersa, si era sentita come se tutti sapessero cos’aveva fatto, come se la roccia le avesse lasciato addosso una macchia.
L’aveva fatto ancora, ogni tanto e con maggiore baldanza, godendosela ogni volta un po’ di più. Naturalmente non era mai andata troppo in profondità.
Alla fine il Paterno l’aveva colta sul fatto e aveva borbottato per il disgusto, così che dopo di allora lei era stata più attenta. Ma adesso era molto più vecchia e sapeva benissimo che, nonostante le risatine chiocce di Doral, non era un’azione inusitata. In pratica tutte le Emotive lo facevano, di quando in quando, e qualcuna l’ammetteva anche.
Avveniva con minore frequenza, diventando adulte, e Dua riteneva che nessuna delle Emotive da lei conosciute l’avesse più fatto dopo essersi unita a una triade e aver cominciato le fusioni vere e proprie. Era uno dei suoi segreti (non l’aveva mai detto ad alcuno, infatti), ma lei aveva continuato a farlo, e un paio di volte anche dopo la formazione della triade. (Quelle volte aveva pensato: “Cosa succederebbe se Tritt mi scoprisse?” e le era parso che le conseguenze sarebbero state orribili e tutto il divertimento era svanito.)
Confusamente, però, trovava — di fronte a se stessa — una giustificazione del suo comportamento nella dura prova che erano i suoi rapporti con le altre. Le grida “Emo-Sin! Emo-Sin!” avevano cominciato a seguirla ovunque, proprio allora, come una specie di umiliazione pubblica. Era quello il periodo della sua vita durante il quale era stata spinta a un isolamento quasi totale per sfuggire a quella tortura e la sua precedente propensione alla solitudine si era pertanto rafforzata. Essendo sempre sola, poi, aveva trovato consolazione nelle rocce. Lo stropicciamento, fosse una cosa sporca o no, era un atto solitario e loro la costringevano a stare sempre sola.
Per lo meno, questo era quanto lei si diceva.
Aveva tentato di rendergli pan per focaccia, una volta. Le aveva insultate, urlando: — Siete un branco di Emo-Destridi! Un branco di sporche Emo-Destridi! — a tutte quelle mediane che la prendevano in giro.
Ma loro si erano messe a ridere, e Dua era corsa via, confusa e frustrata. Loro erano davvero Emo-Destridi. Quando si avvicinava l’età di formare una triade, quasi tutte le Emotive cominciavano a interessarsi ai bambini, svolazzando sui piccoli a imitazione dei Paterni, cosa che lei trovava repellente. Non aveva mai provato quell’interesse: i bambini erano solo bambini ed erano i fratelli destridi a occuparsene!
Il soprannome odioso non le era stato più rivolto dopo che era cresciuta. In parte aveva contribuito il fatto di essere rimasta con una struttura molto giovanile, quasi da ragazzina, tanto rarefatta e agile che era in grado di fluttuare in un unico ricciolo fumoso, impossibile da imitare. E poi, quando sinistridi e destridi avevano cominciato a mostrare un sempre più vivo interesse per lei, le altre Emotive non avevano proprio più potuto schernirla.
Tuttavia… tuttavia, adesso che nessuno più osava mancare di rispetto a Dua (perché in tutte le caverne si sapeva che Odeen era il più importante Razionale della sua generazione e lei era la sua congiunta mediana), aveva raggiunto l’intima certezza di essere irrimediabilmente un’Emo-Sin.
Non riteneva che fosse una cosa sporca, no, ma in qualche occasione si era scoperta a desiderare di essere un Razionale e ne era rimasta sconcertata. Si chiedeva se le altre Emotive avessero mai avuto, anche una volta sola, un simile desiderio e se per caso non fosse quello il motivo, almeno in parte, per cui lei non voleva una bambina Emotiva — cioè perché lei stessa non era una vera Emotiva — e non copriva degnamente il suo ruolo nella triade…
A Odeen non era mai importato che lei fosse un’Emo-Sin. Non l’aveva mai chiamata così, sebbene gli piacesse molto che lei s’interessasse al suo lavoro, gli piacessero le sue domande cui lui immancabilmene rispondeva, e gli piacesse anche il fatto che lei capiva le risposte. La difendeva sempre quando Tritt si mostrava geloso, be’, non proprio geloso, ma contrario, nella sua visione testarda e limitata del mondo, a tutto quanto riteneva inutile e inadatto alla triade.
Qualche volta Odeen l’aveva condotta alle caverne dei Duri, fiero della sua posizione e palesemente compiaciuto dell’impressione che suscitava in lei. E Dua ne era rimasta davvero impressionata, non tanto per la sua intelligenza e la sua immensa cultura, quanto per il fatto che Odeen era lieto di dividere con lei tutto quello che sapeva. (Ricordava bene l’aspra risposta del suo padre sinistride quell’unica volta che gli aveva fatto una domanda!) Non era mai stata così felice e lo aveva amato ancora di più, perché lui la rendeva partecipe della propria vita… anche se quella era un’altra prova della sua diversità.
Forse era a causa di quella sua natura ibrida — le veniva da pensare sempre più spesso — che si sentiva ogni giorno più vicina a Odeen mentre si allonanava da Tritt, e trovava sempre più insopportabile l’insistenza del secondo. Odeen non le aveva mai accennato, nelle sue spiegazioni, a niente del genere, ma forse Tritt la percepiva vagamente e, benché incapace di capirla, ne ricavava ugualmente un senso d’infelicità.
La prima volta che era andata in una caverna dei Duri, ne aveva udito due parlare tra loro. Allora non sapeva che parlassero, naturalmente. Aveva sentito una vibrazione nell’aria, rapidissima e mutevole, che si trasformava in uno spiacevole ronzio dentro di lei. Si era rarefatta e aveva lasciato che la vibrazione l’attraversasse.
Odeen aveva detto: — Stanno parlando. — Poi, anticipando la sua obiezione: — Nella loro maniera di parlare. Tra loro si capiscono.
Dua si era sforzata e aveva afferrato subito quel concetto. Era più che mai felice di riuscire a capire subito una cosa perché, tra l’altro, così rendeva contento Odeen. (Lui le aveva detto, una volta: “Tutti gli altri Razionali che conosco hanno un’Emotiva con la testa vuota. Io sono più fortunato”. Lei aveva ribattuto: “Ma agli altri Razionali le teste vuote piacciono molto. Perché tu sei diverso da loro, Odeen?”. Lui non aveva negato che agli altri piacessero le teste vuote, aveva detto solo: “Non ci ho mai pensato e non credo che sia una cosa tanto importante da pensarci sopra. Io sono molto contento di avere te, e contento di esserne contento”.)
Gli aveva chiesto: — Tu capisci il modo di parlare dei Duri?
— Non proprio — aveva risposto Odeen. — Posso sentire i cambiamenti abbastanza in fretta. Qualche volta percepisco la sensazione che provano per quello che stanno dicendo, anche senza capire le parole, soprattutto dopo che ci siamo fusi. Ma solo qualche volta. Percepire le sensazioni è in realtà una specialità delle Emotive, solo che, se mai ci si provasse, un’Emotiva non saprebbe dare un senso a quello che percepisce. Però, tu potresti.
Dua si era schermita. — Non posso, ne ho paura. Magari a loro non piace.
— Su, prova. Sono curioso. Vedi se riesci a dirmi di cosa stanno parlando.
— Davvero potrei?… Davvero?
— Sì, forza. Se ti scoprono e la cosa ti disturba, gli dirò che sono stato io a chiedertelo.
— Promesso?
— Te lo prometto.
Piuttosto nervosa, Dua si era estesa in direzione dei due Duri, ponendosi in uno stato di completa passività per facilitare l’afflusso delle sensazioni.
— Eccitazione! — aveva detto. — Sono eccitati. Per qualcuno nuovo.
Odeen aveva avanzato una supposizione: — Magari per Estwald.
Era stata la prima volta che Dua aveva sentito quel nome. — Questo è buffo.
— Che cosa?
— Ho la sensazione di un sole grande. Molto, molto grande.
Odeen aveva riflettuto. — Forse stanno parlandone.
— Ma come può esistere?…
In quel momento i Duri li avevano visti. Si erano avvicinati, accogliendoli amichevolmente, e li avevano salutati parlando alla maniera dei Morbidi. Dua era tremendamente imbarazzata, per timore che si fossero accorti che lei li aveva spiati, ma loro non avevano detto niente.
(In seguito Odeen le aveva raccontato che era inconsueto imbattersi in Duri che parlavano tra di loro, alla loro maniera. Di solito si sottomettevano alle richieste dei Morbidi e sospendevano sempre quello che stavano facendo quando arrivava un Morbido. “Ci vogliono molto bene” diceva Odeen. “Sono gentilissimi con noi.”)
Di tanto in tanto l’avrebbe portata ancora nelle caverne dei Duri, quasi sempre mentre Tritt era totalmente occupato con i bambini. E non si sarebbe fatto in quattro per dire a Tritt che l’aveva condotta con sé, per non provocare l’avvio di qualche predica sul fatto di viziare Dua e d’incoraggiarne la brutta abitudine di sfuggire il Sole e proprio per quello rendere così inefficace la fusione che… Era impossibile parlare con Tritt per più di cinque minuti senza che la fusione comparisse nel discorso.
Un paio di volte era scesa nelle caverne da sola. Aveva sempre provato un po’ di timore nel farlo, benché i Duri che incontrava fossero sempre amichevoli, sempre “gentilissimi”, come diceva Odeen. Ma si comportavano come se non la prendessero sul serio. Erano lieti, ma anche segretamente divertiti — questo lei lo percepiva con assoluta certezza — quando gli poneva qualche domanda. E le loro risposte erano lineari e non fornivano informazioni. “È una semplice macchina, Dua” dicevano. Oppure: “Fattelo spiegare da Odeen”.
Non era sicura di avere o no incontrato Estwald, dato che non aveva mai osato chiedere il nome dei Duri che le parlavano (tranne Losten, al quale Odeen l’aveva presentata e di cui le aveva raccontato moltissimo). Qualche volta aveva avuto l’impressione che questo o quel Duro fosse lui: Odeen ne parlava con grande rispetto e con un po’ d’invidia. Ma lei supponeva che fosse troppo impegnato in qualche lavoro di enorme importanza per trovarsi nelle caverne accessibili ai Morbidi.
E poi a poco a poco, mettendo insieme le informazioni che Odeen le dava, aveva scoperto che il mondo aveva uno spaventoso bisogno di cibo. Odeen, però, non lo chiamava mai “cibo”, lui diceva “energia” e le aveva spiegato che così lo chiamavano i Duri.
Il Sole stava indebolendosi e morendo, ma Estwald aveva scoperto come trovare altra energia molto lontano, ben più lontano del Sole e delle sette stelle che brillavano nel buio cielo della notte. (Odeen diceva che le sette stelle erano sette soli lontanissimi, e che esistevano molte altre stelle ancora più lontane e troppo deboli per essere viste. Tritt aveva sentito quella spiegazione e aveva chiesto a cosa serviva che quelle stelle esistessero, se non potevano essere viste, e che comunque lui non credeva a una sola parola. Odeen aveva replicato: “Ma insomma, Tritt” nel suo solito tono paziente, mentre lei era stata sul punto di dire qualcosa che somigliava molto a quello che aveva detto Tritt, ma poi non ne aveva fatto niente.)
Così adesso pareva che ci sarebbe stato un mucchio di energia, e per sempre. Un mucchio di cibo, cioè, per lo meno appena Estwald e gli altri Duri avessero imparato a dare alla nuova energia un gusto migliore.
Era stato solo pochi giorni prima che lei aveva detto a Odeen: — Ti ricordi, tanto tempo fa, quando mi hai condotta alle caverne dei Duri e io ho percepito i Duri e ti ho detto di aver avuto la sensazione di un grande sole?
Per un momento Odeen era rimasto perplesso. — Mi pare. Ma va’ avanti, Dua. Che cosa vuoi dirmi?.
— Ci ho pensato molto. È il grande Sole, la fonte della nuova energia?
Felice, Odeen aveva esclamato: — Ma è magnifico, Dua! Non è del tutto esatto, ma è un’intuizione eccezionale per un’Emotiva!
E adesso Dua, di umore un po’ triste, stava di nuovo scendendo lentamente, e intanto rievocava tutti quegli episodi del passato. Senza quasi rendersi conto del tempo trascorso o della distanza percorsa, si ritrovò nelle caverne dei Duri, ed era in procinto di chiedersi se non fosse stata fuori abbastanza e se non fosse meglio ritornare a casa accettando l’inevitabile rimprovero di Tritt, quando — come se il pensarlo lo avesse portato fino a lei — percepì la presenza di Tritt.
La sensazione era talmente forte che solo per un attimo sospettò di captare emozioni provenienti dalla lontana caverna della triade. No! Tritt era lì, proprio laggiù vicino a lei, nelle caverne dei Duri!
Ma che cosa c’era andato a fare? La stava forse seguendo? Voleva magari mettersi a litigare con lei, lì? Era tanto stupido da fare appello ai Duri? Lei non avrebbe sopportato che…
E poi quel senso di fredda rabbia l’abbandonò e venne sostituito dallo sbalordimento: Tritt non stava affatto pensando a lei. Era persino inconsapevole della sua presenza. Tutto quello che percepiva in lui era una fortissima determinazione a fare qualcosa, mista ad apprensione per quello che intendeva fare.
Dua sarebbe stata in grado di penetrare più a fondo nelle emozioni di Tritt e, quanto meno, scoprire che cosa lui stesse facendo e perché, ma quello era l’ultimo dei suoi pensieri: dal momento che Tritt non sapeva che lei era vicina, voleva soltanto essere sicura che continuasse a non saperlo.
Perciò, quasi per un riflesso condizionato, fece qualcosa che un istante prima avrebbe giurato che mai e poi mai avrebbe fatto, in nessunissima circostanza.
Forse (rifletté in seguito) era successo perché aveva da poco ricordato quella particolare conversazione avuta con Doral da ragazzina, oppure i suoi stessi esperimenti di stropicciamento con la roccia. (Per definirlo, gli adulti usavano un’altra parola, più complicata, che però lei riteneva molto più imbarazzante di quella usata dai bambini.)
A ogni modo, senza quasi rendersi conto di quanto faceva e persino, per un breve periodo del tempo successivo, di quanto aveva fatto, s’immerse frettolosamente dentro la più vicina parete di roccia.
Dentro la roccia! E tutta intera, non solo una piccola parte di lei!
L’orrore per l’azione compiuta venne attenuato dalla perfetta scelta di tempo e dal modo impeccabile in cui raggiunse il suo scopo: Tritt, infatti, passò in quel medesimo momento a una distanza talmente ravvicinata da poterla toccare, se si fosse esteso, eppure non si accorse di lei.
Nel frattempo, però, Dua aveva perso ogni interesse nel motivo che aveva portato Tritt nelle caverne dei Duri, se non c’era andato per cercare lei. Anzi, Dua aveva completamente dimenticato Tritt.
Era colma di un’indicibile meraviglia per la sua attuale posizione nello spazio. Neppure da bambina si era mai completamente fusa dentro la roccia né aveva mai conosciuto un’Emotiva che ammettesse di averlo fatto (anche se invariabilmente girava la voce che l’aveva fatto qualcun’altra). Di certo nessuna Emotiva adulta l’aveva mai fatto o avrebbe potuto farlo, ma Dua era rarefatta in modo eccezionale anche per un’Emotiva (e Odeen amava farle i complimenti proprio per quello) e il suo rifiuto di nutrirsi la rendeva ancor più rarefatta (come spesso osservava Tritt).
L’azione appena compiuta sottolineava l’estensione della sua rarefazione molto più che tutti i rimbrotti del suo congiunto destride, e per qualche momento Dua se ne vergognò e fu dispiaciuta per Tritt. Ma subito fu oppressa da una vergogna più grande: e se qualcuno l’avesse vista? Lei, un’adulta…
Se un Duro fosse passato di lì e si fosse soffermato… Non se la sentiva certo di riemergere in presenza di qualcuno, ma per quanto tempo avrebbe potuto restare immersa? E cosa sarebbe successo se l’avessero scoperta dentro la roccia?
E, mentre rifletteva a questo modo, percepì la presenza dei Duri e anche — chissà come — si rese conto che erano molto lontani.
Restò ferma, cercando di riacquistare la calma. La roccia, che la permeava e la circondava, conferiva un certo grigiore al suo senso percettivo, ma non lo attenuava. Anzi, lo acuiva. Sentiva ancora Tritt, che proseguiva ostinato verso il basso, come se fosse al suo fianco, e poteva sentire i Duri, benché si trovassero al di là di un intero complesso di caverne. Li vedeva addirittura, uno per uno e ciascuno al proprio posto, e percepiva le vibrazioni del loro linguaggio in ogni particolare, tanto che era persino in grado di afferrare a pezzi e a bocconi quello che stavano dicendo.
Sentiva meglio di quanto avesse mai sentito prima e di quanto avesse creduto possibile.
Perciò, sebbene ora sapesse con certezza di essere sola e inosservata, non uscì dalla roccia, in parte per lo sbalordimento e in parte per la bizzarra esaltazione che le dava quel nuovo tipo di comprensione. Per di più desiderava continuare a sperimentarlo.
La sua percettività aveva raggiunto un tale livello che ormai sapeva persino perché era tanto percettiva. Odeen aveva sovente affermato che, dopo una fusione, capiva meglio anche quello che in precedenza gli risultava incomprensibile. Esisteva dunque qualcosa, nello stato di fusione, che accresceva in modo incredibile la sensibilità in ogni campo: si assorbiva di più e la si usava di più. Odeen aveva detto che succedeva così a causa della maggiore densità atomica durante la fusione.
Benché Dua non fosse sicura del significato dell’espressione “maggiore densità atomica”, sapeva che era quello che avveniva quando si fondevano, e il suo stato attuale non era molto simile a una fusione? Non si era forse fusa con la roccia?
Quando a fondersi era la triade, tutti i benefici dell’aumento del senso percettivo andavano a Odeen. Era il Razionale ad assorbire, ad accrescere le proprie capacità di comprensione, a conservare anche dopo la separazione le conoscenze acquisite. Ma ora Dua era la sola coscienza presente in quella fusione. Erano infatti soltanto lei e la roccia. Avveniva quindi una “maggiore densità atomica” (era così, no?) a suo esclusivo beneficio.
(Era per quello che lo stropicciamento con la roccia era considerato una perversione? Era quello il motivo per cui si ammonivano le Emotive a non farlo? Oppure era capitato solo a lei perché era tanto più rarefatta delle altre? O perché era un’Emo-Sin?)
E poi Dua lasciò da parte le congetture e si limitò a esercitare la sua percezione… affascinata da essa. Captò, registrandolo solo automaticamente, il ritorno di Tritt, che la oltrepassava di nuovo muovendosi nella direzione da cui era venuto. Captò, registrandolo solo automaticamente — e quasi senza sorpresa — l’arrivo di Odeen che risaliva, anche lui, dalle caverne dei Duri. Erano i Duri che lei stava ascoltando, soltanto loro, con la sua percezione acuita al massimo per tentare di ricavarne il più possibile.
Passò molto tempo prima che Dua la smettesse e fluttuasse fuori dalla roccia. Quando lo fece, non era più nemmeno preoccupata che qualcuno potesse vederla. Era ormai abbastanza sicura delle sue capacità percettive per sapere che nei dintorni non c’era nessuno.
E tornò verso casa immersa in profondi pensieri.
Tornato a casa, Odeen aveva trovato Tritt che lo aspettava, mentre Dua era ancora fuori. Contrariamente al solito, Tritt non ne era preoccupato; cioè, pareva preoccupato ma non per quello. Quindi, benché le sue emozioni fossero abbastanza forti da essere chiaramente percepite, Odeen non volle indagare a fondo. Era l’assenza di Dua che lo rendeva irrequieto, a tal punto che scoprì d’irritarsi per la presenza di Tritt solo perché Tritt non era Dua.
La constatazione lo sorprese. Non poteva negare che, dei suoi due congiunti, fosse Tritt quello che gli era più caro. In teoria i tre componenti la triade costituivano un’unità e ogni componente trattava gli altri due in modo esattamente uguale. Però lui non aveva mai conosciuto una triade in cui le cose stessero così, e meno che mai nelle triadi di coloro che proclamavano a gran voce di essere perfetti a tale riguardo. Di solito, invece, uno dei tre era lasciato un poco in disparte e se ne rendeva conto.
Non era quasi mai l’Emotiva, comunque. Le Emotive si sostenevano a vicenda, al di fuori della triade, in una misura che Razionali e Paterni non raggiungevano affatto. Il proverbio diceva, infatti: il Razionale ha il suo maestro e il Paterno i suoi bambini, ma l’Emotiva ha tutte le altre Emotive.
Le Emotive si scambiavano osservazioni e, se una di loro dichiarava di essere trascurata oppure la inducevano a dichiararsi tale, veniva rimandata a casa dopo un fitto cicaleccio di istruzioni: resta sulle tue, non cedere e, al contrario, pretendi! Dal momento, poi, che la riuscita della fusione dipendeva in gran parte dal suo comportamento, l’Emotiva veniva generalmente coccolata e blandita sia dal congiunto sinistride sia da quello destride.
Ma Dua era un’Emotiva così poco Emotiva! Sembrava non importarle che Odeen e Tritt fossero tanto intimi e non aveva nessun’amica tra le altre Emotive che glielo facesse notare. Era naturale, d’altra parte: era un’Emotiva pochissimo Emotiva.
Odeen l’amava. L’amava perché lei s’interessava al suo lavoro, l’amava perché se ne lasciava coinvolgere e perché era così sorprendentemente pronta a capire, ma il suo era un amore intellettuale. I suoi sentimenti più profondi erano per il serio, saldo, stupido Tritt, che sapeva stare tanto bene al proprio posto e che poteva offrire tanto poco, oltre a ciò che era effettivamente essenziale: la garanzia di una sicura e normale vita quotidiana.
Ma adesso Odeen si sentiva impaziente. Chiese: — Sai niente di Dua, Tritt?
Tritt non rispose direttamente. Disse: — Ho da fare. Ci vedremo dopo. Sono stato molto occupato.
— Dove sono i bambini? Sei uscito anche tu? Hai in te un senso di “fuori casa”.
Una nota d’irritazione comparve nella voce di Tritt. — I bambini stanno bene e sono beneducati. Sanno già abbastanza da poter vivere da soli nell’ambito della comunità. E poi, Odeen, non sono più tanto bambini! — Ma non negò l’aura di “fuori casa” che emetteva debolmente.
— Scusa. Sono solo ansioso di vedere Dua.
— Dovresti essere così più spesso — ribatté Tritt. — A me dici sempre di lasciarla andare, di lasciarla sola. Cercatela da te. — E se ne andò nei locali più interni della caverna di famiglia.
Odeen lo seguì con lo sguardo, sorpreso da quella reazione. In qualunque altro momento avrebbe seguito il suo congiunto destride per tentare di capire il motivo dell’insolito disagio che emergeva chiarissimo dalla sua naturale stolidità di Paterno. Chissà mai cos’aveva fatto Tritt?… Ma lui desiderava talmente vedere Dua e la sua ansietà aveva raggiunto un livello tale che lasciò andare Tritt.
L’ansietà, inoltre, acuì la sua sensibilità. Era con una specie di orgoglio perverso che i Razionali si vantavano della loro relativa mancanza di percezione, perché il senso percettivo non era una qualità della mente, bensì una caratteristica delle Emotive. In particolare Odeen, il più Razionale tra i Razionali, preferiva di gran lunga ragionare piuttosto che sentire, ma quel giorno estese più che poté il reticolo imperfetto della sua capacità percettiva, desiderando per un attimo essere un’Emotiva in modo da poterlo proiettare meglio e più lontano.
A ogni modo servì allo scopo. Dopo un po’ riuscì a captare Dua che si avvicinava a una distanza inusuale — per lui — e si affrettò ad andarle incontro. E proprio perché l’aveva sentita a tale distanza si accorse di quanto fosse rarefatta. Di solito non ci badava, ma Dua era soltanto una nebbiolina lieve e delicata, nient’altro.
…Tritt aveva ragione, pensò con improvvisa angoscia. Era indispensabile costringere Dua a mangiare e a fondersi. Era indispensabile ravvivare il suo interesse nella vita.
Era così concentrato in quel pensiero che, quando lei fluttuò nella sua direzione e praticamente lo avvolse tutto — senza badare al fatto che non erano in privato e che qualcuno poteva vederli — dicendo: — Odeen, devo sapere… devo sapere tante cose… — lui accettò il gesto come logica conseguenza della propria preoccupazione e non lo considerò nemmeno strano.
Si scostò un poco, con prudenza, tentando di assumere una posizione più decorosa senza farlo sembrare un moto di ripulsa. — Vieni — le disse. — Ti stavo aspettando. Chiedimi tutto quello che vuoi sapere. Cercherò di risponderti come meglio posso.
E si avviarono velocemente verso casa, con lui che accordava i propri movimenti al caratteristico ondeggiare delle Emotive.
Dua disse: — Parlami dell’altro universo. Perché sono diversi? In che cosa sono diversi? Racconta.
Lei non si rendeva conto di chiedere troppo. Odeen, invece, se ne rese conto. Si sentiva colmo di una sorprendente quantità di nozioni e fu sul punto di chiederle: “Come hai fatto a sapere qualcosa dell’altro universo, abbastanza da diventare tanto curiosa in proposito?”.
Represse la domanda: in fondo Dua proveniva dalla direzione in cui si trovavano le caverne dei Duri, e forse Losten gliene aveva accennato, dubitando che, nonostante i suoi consigli, lui fosse troppo orgoglioso della propria posizione per aderire alle richieste della sua congiunta mediana.
No, le cose non stavano così, pensò Odeen, serio. E lui non avrebbe chiesto spiegazioni a Dua. Le avrebbe semplicemente insegnato tutto.
Appena arrivati in casa, Tritt, indaffarato, andò loro incontro. — Se voi due dovete parlare, andate nella camera di Dua. Io ho da fare qua in giro. Devo assicurarmi che i bambini siano puliti e facciano esercizio. Non c’è tempo di fondersi adesso. No, niente fusione.
Né Odeen né Dua avevano la minima voglia di fondersi, in quel momento, ma nessuno dei due aveva nemmeno la minima voglia di disobbedire all’ordine di Tritt. La casa era il regno del Paterno. Il Razionale aveva le caverne dei Duri, giù nel profondo, e l’Emotiva i suoi posti di ritrovo, in superficie. Il Paterno aveva solo la sua casa.
Perciò Odeen disse: — Senz’altro, Tritt. Ce ne staremo fuori dai piedi.
E Dua estese, con un breve gesto affettuoso, una parte di sé e disse: — È bello vederti, destride caro. — (Odeen dubitò che in quella gentilezza vi fosse anche molto sollievo per non essere stata sollecitata a fondersi. A quel proposito Tritt esagerava sempre un tantino, persino più di quanto in media esagerassero gli altri Paterni.)
Una volta in camera sua, Dua si fermò a guardare il suo angolino privato di alimentazione, che di solito, invece, ignorava.
Era stata un’idea di Odeen. Sapeva che esistevano degli apparecchi per nutrirsi e, come aveva spiegato a Tritt, se a Dua non piaceva sciamare con le altre Emotive era possibilissimo convogliare l’energia del Sole dentro la loro caverna, in modo che potesse mangiare in casa.
Tritt ne era stato orripilato: erano cose che non si facevano, gli altri ne avrebbero riso, la triade ne avrebbe ricavato solo disonore. Ma perché Dua non si comportava come doveva?
— D’accordo, Tritt — aveva detto Odeen. — Ma Dua non si comporta come dovrebbe, perciò cosa costa accontentarla? È una cosa così tremenda? Mangerà per conto suo, metterà su un po’ di sostanza, ci farà felici e sarà più felice lei stessa, e forse alla fine imparerà a sciamare con le altre.
Allora Tritt aveva smesso di obiettare e poi anche Dua aveva accettato, dopo qualche discussione, ma aveva insistito che fosse un apparecchio semplicissimo. Di conseguenza si trattava unicamente di due aste verticali, che servivano da elettrodi, con un certo spazio in mezzo per Dua.
Lei lo usava raramente, ma quel giorno lo fissò e disse: — Tritt lo ha decorato… oppure lo hai fatto tu, Odeen?
— Io? Naturalmente no.
Alla base di ogni elettrodo c’erano dei ghirigori di argilla colorata.
— Credo che sia il suo modo di dirmi che vuole che lo adoperi — continuò Dua. — E oggi ho fame. E poi, se mangio, Tritt non si sognerà d’interromperci, vero?
— No — ammise Odeen, serio. — Tritt fermerebbe il mondo, se pensasse che il suo moto ti disturba mentre mangi.
— Be’, ho proprio fame — ripeté Dua.
Odeen percepì in lei un lieve senso di colpa. Si sentiva colpevole verso Tritt? Oppure perché era affamata? Perché poi avrebbe dovuto vergognarsi di avere fame? Oppure aveva fatto qualcosa che le aveva tolto energia ed era per quello che si sentiva…
Con impazienza, distolse la mente da quegli interrogativi. A volte un Razionale poteva essere troppo Razionale e risalire il filo di ogni suo minimo pensiero con pregiudizio di ciò che era davvero importante. E in quel preciso momento la cosa importante era parlare a Dua.
La guardò sedersi tra i due elettrodi, comprimendosi un poco nel farlo. Come risaltavano penosamente le sue piccole dimensioni! Strano, era affamato anche lui: se ne accorse perché d’un tratto gli sembrò che gli elettrodi risplendessero più del normale e sentì il gusto del cibo anche a quella distanza. Il sapore era ottimo. Ma, già, quando uno aveva appetito, i sensi gli si affinavano… No, lui avrebbe mangiato più tardi.
Dua disse: — Non stare lì a guardarmi in silenzio, sinistride caro. Parla. Voglio sapere. — Aveva assunto (inconsapevolmente?) la forma ovoide tipica dei Razionali, quasi volesse far capire che desiderava essere considerata una di loro.
Odeen cominciò: — Non posso spiegarti tutto. La parte scientifica della questione, voglio dire, perché a te non sono state date le basi. Cercherò quindi di semplificare al massimo, e tu limitati ad ascoltare. Quando avrò finito, mi dirai che cosa non hai capito e io vedrò di spiegartelo meglio. Tu sai, in primo luogo, che ogni cosa è composta di particelle piccolissime, chiamate atomi, che sono a loro volta composti di particelle ancora più piccole, subatomiche.
— Sì, sì — annuì Dua. — È per questo che possiamo fonderci.
— Esatto. Perché in realtà noi siamo per la maggior parte spazio vuoto. Tutte le particelle sono molto distanziate l’una dall’altra, e le tue e le mie e quelle di Tritt possono fondersi insieme in quanto ogni serie si sistema negli spazi vuoti delle altre serie. Il motivo per cui la materia non sfugge di qua e di là è che le minuscole particelle si attirano reciprocamente attraverso lo spazio che le divide. A tenerle unite sono le forze di attrazione, la più forte delle quali è quella che noi chiamiamo forza nucleare. Essa tiene insieme molto tenacemente le principali particelle subatomiche, che formano dei gruppi ben separati l’uno dall’altro, i quali a loro volta sono tenuti insieme da forze più deboli. Riesci a capire?
— Solo un po’ — ammise Dua.
— Be’, non importa, ci torneremo sopra in seguito… La materia, inoltre, esiste in diversi stati. Può essere molto rada, come nelle Emotive, cioè come in te, Dua. Può essere un po’ meno rada, come nei Razionali e nei Paterni, o ancora meno rada, come nelle rocce. Può essere anche molto compressa o compatta, come nei Duri. Ed è per questo che sono proprio duri e solidi: le loro particelle sono molto fitte.
— Vuoi dire che in loro non c’è spazio vuoto?
— No, non è quello che voglio dire — rispose Odeen, incerto circa il modo di rendere più chiaro il concetto. — Anche loro hanno una gran quantità di spazio vuoto, ma non tanto come noi. Le particelle hanno sempre bisogno di una certa e ben determinata quantità di spazio vuoto, intorno. E se tutte hanno quello che gli basta, allora le altre particelle non possono entrarci. Se poi le particelle vengono fatte entrare a forza, ecco che compare il dolore. Per questo ai Duri non piace che noi li tocchiamo. Tra le particelle di noi Morbidi, invece, c’è più spazio del necessario, perciò altre particelle possono entrarci in mezzo.
Dua non sembrava molto convinta di quel particolare aspetto dell’argomento.
Odeen si affrettò a proseguire: — Nell’altro universo le regole sono differenti. La forza nucleare non è forte come nel nostro. E questo vuol dire che le particelle hanno bisogno di più spazio.
— Perché?
Odeen scosse la testa. — Perché… perché… le particelle spargono molto più in giro le loro forme-onda. Non so spiegarmi meglio di così. Quando la forza nucleare è più debole, le particelle hanno bisogno di uno spazio maggiore e due pezzi di materia non sono in grado di fondersi insieme con la facilità con cui si fondono nel nostro universo.
— Possiamo vederlo, l’altro Universo?
— No, non è possibile. Possiamo solo dedurne la natura in base alle sue leggi fondamentali. Comunque, i Duri sono riusciti a tare cose straordinarie. Possiamo mandare di là un tipo di materia e ricevere da loro un altro tipo. Possiamo studiarlo, quel loro materiale, capisci? E possiamo far funzionare la Pompa Positronica. Lo sai cos’è, no?
— Be’, mi hai detto tu che da quella cosa noi ricaviamo energia. Ma non sapevo che c’entrasse anche un universo differente dal nostro… Com’è fatto l’altro universo, Odeen? Hanno anche loro stelle e pianeti come noi?
— Questa è una buona domanda, Dua! — Nell’insegnare, quel giorno Odeen provava un piacere più intenso del solito, perché era stato ufficialmente incoraggiato a farlo. (Prima, invece, aveva sempre l’impressione che tentare di spiegare qualcosa a un’Emotiva fosse un’azione indecente, da fare di nascosto.) Riprese a spiegare: — Anche se non possiamo vedere l’altro universo, siamo in grado di calcolarne l’aspetto dalle sue leggi. Sai cos’è che fa brillare le stelle? È la lenta e graduale trasformazione di combinazioni semplici di particelle in combinazioni più complesse. Si chiama fusione nucleare.
— Ce l’hanno anche nell’altro universo?
— Sì, ma poiché la forza nucleare là è più debole, la fusione è molto più lenta. Questo significa che le stelle devono essere molto, molto più grandi in quell’universo, altrimenti non si avrebbe una fusione sufficiente a farle brillare. Se le stelle dell’altro universo non fossero più grandi del nostro Sole, sarebbero fredde e morte. D’altra parte, se nel nostro universo le stelle fossero più grandi di quello che sono, la velocità di fusione sarebbe così enorme che esploderebbero. E questo significa che nel nostro universo devono esserci stelle piccole in quantità migliaia di volte superiore a quella delle grandi stelle dell’altro universo…
— Ma se ne abbiamo solo sette… — cominciò Dua. Poi disse: — Ah, dimenticavo.
Odeen sorrise con indulgenza. Era tanto facile dimenticare il numero infinito di stelle che non potevano essere viste se non con l’aiuto di strumenti speciali. — Ma va benissimo così, se non t’importa che continui ad annoiarti con le mie spiegazioni.
— Tu non mi annoi per niente — replicò Dua. — Mi piace tantissimo, anzi. Rende addirittura più buono il sapore del cibo. — E si mosse ondeggiando tra gli elettrodi con una specie di tremito voluttuoso.
Odeen se ne rallegrò tra sé e sé: prima di allora Dua non aveva mai detto una parola di lode nei riguardi del cibo. Continuò: — Naturalmente il nostro universo non durerà quanto l’altro universo. La fusione avviene tanto rapidamente che tutte le particelle saranno combinate insieme dopo un tempo uguale a un milione di vite.
— Ma ci sono tantissime stelle!
— Ah, ma stanno tutte morendo. Tutto l’universo sta morendo. Nell’altro universo, invece, dove le stelle sono molto più poche ma molto più grandi, la fusione è tanto lenta che le stelle durano milioni e milioni di volte più delle nostre. È difficile dire esattamente quanto, però, perché forse il tempo non scorre alla stessa velocità nei due universi. — Aggiunse, con una certa riluttanza: — Questo non lo capisco bene nemmeno io. È una parte della teoria di Estwald che non ho ancora studiato a fondo.
— È stato Estwald a scoprire tutte queste cose?
— Quasi tutte, sì.
Dua disse: — Allora è meraviglioso poter ottenere il cibo dall’altro universo. Voglio dire che non ha importanza se il nostro Sole muore, allora. Avremo sempre tutto il cibo che vorremo dall’altro universo.
— Esatto.
— Ma non succederà niente di brutto, vero? Io ho… io ho la sensazione che succederà qualcosa di brutto.
Odeen disse: — Ecco, per far funzionare la Pompa Positronica, si trasferisce una piccola quantità di materia avanti e indietro, il che significa che i due universi si mescolano un poco. La nostra forza nucleare diventa appena appena più debole, facendo rallentare ma di poco la fusione all’interno del nostro Sole e il Sole stesso si raffredda un poco più in fretta… Ma è roba da poco, veramente, e a ogni modo non ne abbiamo più bisogno.
— Non è questo il qualcosa di brutto che io sento. Se la forza nucleare diventa un po’ più debole, allora gli atomi occuperanno più spazio… è giusto, vero? E cosa succederà alla nostra fusione?
— Diventerà un po’ più difficile fondersi, infatti, ma occorrerà un tempo uguale a molti milioni di vite prima che sia evidente. E anche se un giorno fondersi diventasse impossibile e tutti i Morbidi morissero, be’, succederebbe moltissimo tempo dopo che saremmo tutti morti per mancanza di cibo… se non usassimo quello che ci arriva dall’altro Universo.
— Eppure non è questo il… qualcosa di brutto… lo sento. — Dua parlava in modo un po’ confuso, adesso. Si contorceva tutta tra gli elettrodi, e agli occhi di un Odeen soddisfatto pareva più grossa e più compatta. Era come se si fosse nutrita, oltre che di cibo, anche dei suoi insegnamenti.
Losten aveva ragione! L’istruzione rendeva Dua più soddisfatta della vita. In quel momento stava provando una gioia quasi sensuale — Odeen la percepiva — che non era solita provare.
Gli disse: — Sei tanto, tanto gentile a spiegarmi, Odeen. Sei un bravissimo congiunto sinistride.
— Vuoi che continui? — chiese Odeen, lusingato e compiaciuto come non mai. — Hai altre domande da farmi?
— Tantissime, Odeen, ma… ma non adesso. Non adesso, Odeen. Oh, Odeen… vuoi sapere cosa vorrei fare… adesso?
Lui lo intuì subito, ma era troppo prudente per dirlo a voce alta. I momenti di esaltazione e di profferte erotiche di Dua erano troppo rari per non essere trattati con la massima cautela. Sperò con tutte le sue forze che Tritt non fosse troppo occupato con i bambini al punto da dover rinunciare a quell’occasione inattesa.
Ma Tritt era già nella camera. Che fosse rimasto fuori dalla porta, ad aspettare? Non importava. Non era quello il momento di pensare!
Dua si era allontanata fluttuando dagli elettrodi e tutti i sensi di Odeen erano colmi della sua bellezza. Era tra lui e Tritt, adesso, e attraverso la sua sostanza Tritt scintillava, con tutti i màrgini risplendenti di un colore incredibile.
Non era mai stato così. Mai.
Con uno sforzo immenso Odeen si trattenne, in modo che la sua sostanza penetrasse in Dua e in Tritt un atomo per volta; contrastò con ogni stilla di forza che possedeva l’irresistibile penetrazione di Dua, non abbandonandosi all’estasi, ma cedendovi lentamente; si aggrappò alla propria consapevolezza fino all’ultimo istante possibile, e poi si annullò in uno slancio finale tanto intenso che fu simile a un’esplosione rimbombante e riecheggiante all’infinito dentro di lui.
Mai, in tutta la vita della triade, il periodo di perdita della coscienza durò a lungo come quella volta.
Tritt era contento. La fusione era stata tanto soddisfacente! Al confronto, tutte le altre volte parevano misere e vuote. E lui era ancora più felice per quello che era successo. Eppure rimase zitto. Sentiva che era meglio non parlare.
Anche Odeen e Dua erano felici. Tritt ne era sicuro. E persino i bambini sembravano più risplendenti.
Ma Tritt era il più felice di tutti… naturalmente.
Restò ad ascoltare Odeen e Dua che parlavano. Non capiva niente di quello che dicevano, ma non aveva importanza Non gli importava nemmeno che sembrassero così contenti di essere insieme. Lui aveva la sua felicità e gli bastava stare ad ascoltare.
Dua disse, a un certo punto: — Ma davvero loro cercano di comunicare con noi?
(Tritt non riusciva proprio a capire chi fossero quei “loro”. Supponeva, però, che “comunicare” fosse una parola strana per “parlare”. Perché allora non dicevano semplicemente “parlare”? Qualche volta era tentato d’interromperli. Ma, se avesse fatto una domanda, Odeen avrebbe detto solo: “Ma insomma, Tritt”, e Dua si sarebbe arricciolata per l’impazienza.)
Odeen rispose: — Sì, certo. I Duri ne sono del tutto certi. Qualche volta fanno dei segni sul materiale che ci mandano, e i Duri dicono che è possibile comunicare per mezzo di quei segni. In effetti, molto tempo fa, anche loro facevano dei segni sul materiale di scambio quando era ancora necessario spiegare agli esseri-altri come mettere insieme la loro parte della Pompa Positronica.
— Chissà che aspetto hanno gli esseri-altri? A cosa immagini che assomiglino?
— In base alle leggi possiamo dedurre la natura delle stelle, perché è una cosa semplice. Ma come si fa a dedurre la natura degli esseri? Non sapremo mai come sono.
— Non potrebbero essere loro a comunicarci come sono?
— Se comprendessimo cosa ci comunicano, forse potremmo dedurne qualcosa. Ma non comprendiamo i loro segni.
Dua ne parve molto addolorata. — I Duri non li capiscono?
— Non lo so. Se anche li capiscono, a me non l’hanno fatto sapere. Una volta Losten mi ha detto che non importava quale aspetto avessero, finché la Pompa Positronica funzionava e, anzi, veniva allargata.
— Forse ti ha detto così solo perché non voleva che tu lo scocciassi.
Odeen replicò, rigido: — Io non scoccio Losten.
— Oh, sai bene cos’intendevo dire! Semplicemente non aveva voglia di spiegarti tutto nei particolari.
A quel punto Tritt non ne poteva già più di stare ad ascoltarli. Odeen e Dua continuarono a discutere per un bel po’ se i Duri avrebbero o non avrebbero permesso a Dua di vedere quei segni. Dua diceva che lei avrebbe potuto sentire quello che volevano dire, forse.
Queste parole fecero arrabbiare un poco Tritt. In fin dei conti Dua era solo una Morbida e… non era nemmeno un Razionale! Cominciò a chiedersi se Odeen facesse bene a raccontarle tutto quello che le raccontava. Metteva certe strane idee a Dua…
Le parole di Dua avevano fatto arrabbiare anche Odeen. Dapprima lui fece una risatina. Poi disse che un’Emotiva non poteva capire quelle cose complicate. Poi si rifiutò semplicemente di continuare il discorso. Così Dua fu costretta a essere molto carina con Odeen per un bel po’, per fargli tornare il buonumore.
In un’altra occasione fu Dua ad arrabbiarsi, e arrabbiarsi sul serio.
Cominciò tranquillamente. In effetti era una di quelle volte in cui erano tutti insieme, compresi i due bambini. Odeen era ben disposto e si era messo a giocare con loro. Non s’inquietò neanche quando Torun, il piccolo destride, si mise a spingerlo qua e là. Anzi, si lasciò andare in una forma molto poco dignitosa. Sembrava che non gl’importasse di essere tutto storto. Era la prova sicura che Odeen era contento. Tritt rimase in un angolo, a riposare, felice e soddisfatto di quello che stava succedendo.
Dua rise alla disavventura di Odeen e con la sua sostanza lo toccò proprio sulla bozza, in modo provocante. Sapeva benissimo, e Tritt sapeva che lei lo sapeva, che la superficie dei sinistridi era tanto sensibile quando non erano nella forma ovoidale!
Dua disse: — Ho pensato una cosa, Odeen… Se l’altro universo manda un po’ delle sue leggi dentro il nostro per mezzo della Pompa Positronica, anche il nostro universo manderà lo stesso po’ delle sue dentro il loro, vero?
Odeen mugolò sotto il tocco di Dua e cercò di scansarla senza sconvolgere troppo i bambini. Poi ansimò: — Non posso risponderti se non la smetti, mascalzoncella di una mediana!
Dua smise subito e Odeen riprese: — Il tuo è un ottimo ragionamento, Dua! Sei una creatura piena di sorprese, sai? La tua idea è esatta, naturalmente. Le leggi si mescolano nei due sensi… Tritt, per favore, vuoi portar fuori i piccoli?
Ma i due briganti scapparono via da soli. Non erano più “piccoli”, infatti! Erano quasi del tutto cresciuti, quasi adulti. Annis avrebbe presto cominciato la sua istruzione e Torun aveva già assunto la forma squadrata dei Paterni.
Tritt rimase dov’era e pensò che Dua diventava bellissima quando Odeen le parlava in quel modo.
Dua disse: — Se le altre leggi rallentano il nostro Sole e lo raffreddano, le nostre leggi non accelereranno forse i loro soli e non li riscalderanno?
— Perfettamente esatto, Dua! Un Razionale non potrebbe ragionare meglio.
— E di quanto li riscalderanno?
— Oh, non di molto. Diventeranno solo un pochino più caldi, appena appena.
Dua ribatté: — Ma è proprio qui dove io sento quel qualcosa di brutto!
— Be’, ecco, il guaio sta nel fatto che i loro soli sono così enormi. Non ha molta importanza che i nostri piccoli soli diventino un poco più freddi. Persino se diventassero freddi del tutto non importerebbe, finché avessimo in funzione la Pompa Positronica. Però, con stelle grandi, anzi enormi, anche un piccolo aumento di calore può causare guai. In ognuno di quei soli c’è talmente tanta materia, che accelerare anche di poco la fusione nucleare lo farà esplodere.
— Esplodere! Ma allora cosa succederà alla gente?
— Che gente?
— La gente dell’altro universo.
Per un momento Odeen restò interdetto, poi mormorò: — Non lo so.
— Be’, cosa succederebbe se il nostro Sole esplodesse?
— Il nostro Sole non può esplodere.
(Tritt si chiese dove fosse il motivo di tutta quell’eccitazione. Come poteva esplodere un Sole? Eppure, Dua sembrava sempre più arrabbiata e Odeen sempre più confuso.)
Dua replicò: — Ma se esplodesse? Diventerebbe molto caldo?
— Immagino di sì.
— Non ci ucciderebbe tutti?
Odeen esitò, poi rispose, chiaramente seccato: — Che differenza fa, Dua? Il nostro Sole non può esplodere. Non fare domande sciocche!
— Mi hai detto tu di fare domande, Odeen!, e fa una grossa differenza, perché la Pompa Positronica funziona nei due sensi. Noi abbiamo bisogno della loro metà di pompa, come loro della nostra metà.
Odeen la fissò sbalordito — Questo io non te l’ho mai detto.
— Ma io lo sento.
Odeen disse: — Tu senti una gran quantità di cose, fin troppe. Dua…
Ma Dua si mise a urlare. Era fuori di sé. Tritt non l’aveva mai vista in quelle condizioni. Disse: — Non cambiare argomento, Odeen! E non tirarti indietro e non tentare di farmi passare per una stupida totale… un’Emotiva qualunque! L’hai detto tu che ragiono quasi come un Razionale, e io so di essere abbastanza Razionale da capire che la Pompa Positronica non funzionerebbe senza gli esseri-altri. Se la gente di quell’altro universo verrà distrutta, la Pompa Positronica si fermerà e il nostro Sole diventerà più freddo che mai e noi moriremo di fame. Non credi che questo sia importante?
Anche Odeen si mise a urlare, adesso: — Questo dimostra quello che sai tu! Noi abbiamo bisogno del loro aiuto perché l’energia che ci fornisce la Pompa è a bassa concentrazione e siamo costretti a trasferire materia di qua e di là. Ma se il Sole dell’altro universo esploderà, avremo un flusso gigantesco di energia. Un flusso enorme che durerà per un tempo uguale a un milione di vite. Ci sarà così tanta energia che potremo spillarla direttamente, senza scambi di materia nei due sensi. Perciò noi non abbiamo bisogno di loro, e non ha importanza che cosa gli succederà…
Erano così vicini che quasi si toccavano. Tritt ne fu inorridito. Avrebbe dovuto dire qualcosa, dividerli, parlargli per farli calmare. Ma non riusciva a pensare a niente da dire. Poi risultò che non era necessario.
Sulla soglia della caverna era comparso un Duro. No, ce n’erano tre. Avevano anche cercato di parlare ma nessuno li aveva sentiti.
Tritt strillò: — Odeen! Dua!
Poi tacque, tremando tutto. Aveva il pauroso presentimento di quello che i Duri erano venuti a fare, di quello che avrebbero detto. Decise che doveva andarsene.
Ma un Duro estese una delle sue opache appendici permanenti e disse: — Non andar via.
Il tono era aspro, per niente amichevole. E Tritt ebbe più paura che mai.
Dua era furibonda. Era talmente piena di collera che, quasi, non percepiva i Duri. Le sembrava di soffocare per tutti gli elementi che componevano quella collera, ognuno dei quali la colmava fino all’orlo, separatamente: erano un senso d’ingiustizia per il fatto che Odeen aveva tentato di mentirle, un senso d’ingiustizia che la gente di un intero pianeta dovesse morire, un senso d’ingiustizia che le fosse tanto facile imparare, mentre non le era mai stato permesso di farlo.
Dopo quel giorno, quando si era immersa nella roccia, era tornata altre due volte nelle caverne dei Duri. Altre due volte, senza che nessuno si accorgesse di lei, si era nascosta completamente nella roccia, e ogni volta aveva percepito, sentito e imparato, così che, quando in seguito Odeen le aveva spiegato questo o quello, lei sapeva in anticipo che cosa le avrebbe spiegato.
Perché, allora, non insegnavano anche a lei come avevano insegnato a Odeen? Perché solo i Razionali dovevano sapere? Lei possedeva forse la capacità d’imparare solo perché era un’Emo-Sin, una mediana pervertita? E allora che le insegnassero, perversione e tutto. Era sbagliato e ingiusto lasciarla nell’ignoranza!
Alla fine le parole del Duro si fecero strada dentro di lei. C’era anche Losten, ma non era lui che parlava. Chi parlava era un Duro strano, quello proprio di fronte. Non lo conosceva, ma in effetti conosceva pochi Duri.
Il Duro aveva chiesto: — Chi di voi è stato di recente nelle caverne più profonde, nelle caverne dei Duri?
Dua la considerò una sfida. Avevano senz’altro scoperto il suo stropicciamento con la roccia, ma a lei non importava. Che lo dicessero pure a tutti! Lo avrebbe detto anche lei! Rispose: — Io ci sono stata. Molte volte.
— Da sola? — chiese ancora il Duro, calmo.
— Da sola. Molte volte — sbottò Dua. Erano state solo tre, le volte, ma non importava.
Odeen borbottò: — Anch’io, naturalmente, sono stato all’occasione nelle caverne “più profonde.
Il Duro parve ignorarlo. Si girò invece verso Tritt e chiese, secco: — E tu, destride?
Tritt tremò tutto. — Sì, Duro signore.
— Da solo?
— Sì, Duro signore.
— Quante volte?
— Una.
Dua era contrariata per quell’interrogatorio. Il povero Tritt si spaventava sempre tanto e per niente! Era lei la responsabile ed era pronta al confronto. — Lasciatelo stare — s’intromise. — Sono io quella che cercate.
Il Duro si rigirò lentamente verso di lei. — Per che cosa? — chiese.
— Per… per tutto quello che volete. — Messa di fronte alle proprie azioni, alla fin fine non se la sentiva di descrivere che cos’aveva fatto. Non davanti a Odeen per lo meno.
— Bene, ne parleremo dopo. Prima, il destride… Tritt, mi pare che ti chiami, vero? Perché sei andato da solo nelle caverne più profonde?
— Per parlare al Duro Estwald, Duro signore.
Al che Dua intervenne nuovamente: — Siete voi Estwald?
Il Duro rispose, secco: — No.
Odeen sembrò irritato, come se trovasse imbarazzante il fatto che Dua non riconoscesse quel Duro. Ma a lei la cosa non importava.
Il Duro chiese ancora a Tritt: — Che cos’hai portato via dalle caverne più profonde?
Tritt rimase zitto.
Il Duro insisté, senza agitarsi: — Sappiamo che hai preso qualcosa. Vogliamo sapere se sai che cos’era. Potrebbe essere molto pericoloso.
Tritt rimase ancora zitto, e Losten s’intromise, dicendo con più gentilezza: — Per favore, Tritt, dillo. Sappiamo che sei stato tu, e non vorremmo doverti costringere.
Allora Tritt borbottò: — Ho preso una palla di cibo.
— Ah. — Questo era il primo Duro. — E che cosa ne hai fatto?
Tritt esplose: — Era per Dua! Lei non voleva mangiare. Era per Dua!
Dua guizzò e si riaddensò per lo sbalordimento.
Il Duro si girò immediatamente verso di lei. — Tu ne sapevi niente?
— No!
— Nemmeno tu? — Questa era per Odeen.
Tanto immobile che pareva congelato, Odeen rispose: — No, Duro signore.
Per qualche istante l’aria fu impregnata dalle spiacevoli vibrazioni dei Duri che parlavano tra loro, ignorando la triade.
Sia che le sue sedute di stropicciamento con la roccia l’avessero resa più percettiva, sia che fosse la recente tempesta di emozioni ad acuire la sua sensibilità — lei non lo sapeva e non si sognava nemmeno di perdere tempo ad analizzare la faccenda — Dua riuscì ad afferrare zaffate, non di parole, ma di comprensione…
I Duri si erano accorti del furto qualche tempo prima. Con calma, avevano fatto le loro ricerche che, sia pure con riluttanza, li avevano condotti ai Morbidi come possibili colpevoli. Avevano continuato a indagare e alla fine erano giunti alla triade di Odeen, con riluttanza anche maggiore. (Perché? Questo Dua non lo percepì.) Tutto considerato, secondo loro Odeen non poteva avere commesso la stupidaggine di rubare e Dua non ne aveva affatto la propensione. A Tritt non avevano proprio pensato.
Poi il Duro che fino a quel momento non aveva detto una parola ai Morbidi si era ricordato di avere visto Tritt nelle caverne dei Duri. (Certo, pensò Dua, Era stato il giorno in cui lei era entrata nella roccia per la prima volta. Anche lei aveva sentito Tritt. E se lo era dimenticato.)
Era sembrata a tutti una cosa estremamente improbabile, ma alla fine, dato che nessun’altra soluzione era possibile e che il passare del tempo rendeva la situazione sempre più pericolosa, erano andati personalmente da loro. Avrebbero voluto potersi consultare con Estwald, ma questi non era reperibile fin da prima che i sospetti si appuntassero su Tritt.
Dua captò tutte queste notizie in un attimo, quindi si girò verso Tritt, sentendosi insieme piena di meraviglia e oltremodo offesa.
Con ansia, Losten stava vibrando che non era successo niente d’irreparabile, che Dua stava bene e che, in definitiva, ne era risultato un esperimento utile. Il Duro al quale Tritt aveva parlato era d’accordo, mentre l’altro, il primo, emanava ancora preoccupazione.
E intanto Dua rivolgeva la sua attenzione non solo a loro ma anche a Tritt.
Il primo Duro chiese: — Dov’è adesso la palla di cibo, Tritt?
Tritt gliela mostrò.
Era nascosta bene e i collegamenti con gli elettrodi erano rozzi ma efficienti.
Il Duro chiese ancora: — Hai fatto tutto da solo, Tritt?
— Sì, Duro signore.
— Come facevi a sapere come fare?
— Ho guardato bene com’era fatto nelle caverne dei Duri. E l’ho rifatto esattamente com’era là.
— Non sapevi che avresti potuto fare del male alla tua congiunta mediana?
— Non ho fatto del male… Io non volevo… Io… - Per un momento Tritt non fu capace di parlare. Riprese: — Non era per farle del male. Era per farla mangiare. L’ho messa in modo che finisse nel suo alimentatore e ho anche decorato l’alimentatore. Volevo che lei lo provasse, e lo ha fatto. Ha mangiato! Per la prima volta dopo tanto tempo ha mangiato bene. E ci siamo fusi. — S’interruppe, poi concluse, quasi gridando tanto grande era la sua agitazione: — E aveva anche abbastanza energia per dare inizio a una piccola Emotiva. Ha preso il seme da Odeen e lo ha passato a me. Mi sta crescendo dentro, adesso. Una piccola Emotiva sta crescendo dentro di me!
Dua era ammutolita. Barcollò, poi si precipitò verso la porta con movimenti tanto rapidi e convulsi che i Duri non fecero in tempo a scansarsi. Urtò l’appendice di quello che era davanti, l’attraversò passando in profondità, poi scappò via con un aspro lamento.
L’appendice ricadde, inerte, e l’espressione del Duro si contorse per il dolore. Odeen fece il gesto di aggirarlo per seguire Dua, ma il Duro disse, con una certa difficoltà: — Lasciala andare, per adesso. È già stato fatto sufficiente danno. Ce ne occuperemo noi.
Odeen si ritrovò a vivere in un incubo. Dua se n’era andata. Poi se n’erano andati i Duri. Solo Tritt era ancora lì, silenzioso.
Come mai era successa una cosa simile?, pensò, torturato. Come aveva fatto Tritt a trovare da solo la strada per scendere nelle caverne dei Duri? Come aveva fatto a portare via una batteria di accumulatori caricati alla Pompa Positronica e costruiti appositamente per cedere le radiazioni in una forma molto più concentrata di quella della luce solare, e poi avere il coraggio di…
Lui, Odeen, non avrebbe avuto il coraggio di correre quel rischio. Dove l’aveva trovato, Tritt, il goffo e ignorante Tritt? Oppure era fuori del comune anche lui? Odeen, il Razionale geniale; Dua, l’Emotiva curiosa… e Tritt, il Paterno coraggioso?
Chiese: — Come sei riuscito a farlo, Tritt?
Tritt replicò, accalorato: — E cos’ho fatto? Le ho dato da mangiare. L’ho nutrita meglio di quanto lei si sia mai nutrita da sola. E così, finalmente, abbiamo iniziato una piccola Emotiva. Non avevamo aspettato abbastanza? Avremmo aspettato in eterno, se fosse stato per Dua!
— Ma non capisci, Tritt? Avresti potuto farla star male. Non era la solita luce del Sole. Era una fonte sperimentale di radiazioni, che avrebbero potuto essere troppo concentrate e quindi pericolose.
— Non capisco quello che dici, Odeen. Come poteva farle male? Io ho assaggiato quella specie di cibo che i Duri avevano fatto una volta. Aveva un gusto cattivo. Anche tu l’hai assaggiato, no? Era semplicemente disgustoso, ma non ha fatto male a nessuno dei due. Però era così cattivo che Dua non lo avrebbe neanche toccato. Poi sono capitato su quella palla di cibo. E aveva un gusto ottimo. Ne ho mangiato un po’. Delizioso. Quello che è delizioso non può far male. Hai visto, Dua l’ha mangiato. E le è piaciuto. Così la piccola Emotiva ha avuto inizio. In che cosa, secondo te, io avrei sbagliato?
Odeen rinunciò a farsi capire. Disse invece: — Dua si è molto arrabbiata.
— Le passerà.
— Ne dubito. Tritt, lei non è uguale alle solite Emotive. È per questo che è tanto difficile vivere insieme a lei, ma è anche tanto meraviglioso quando ci si riesce. Può darsi che adesso non voglia più fondersi con noi.
I contorni di Tritt erano solidissimi e con tutte le superfici piane. Dopo un po’ disse: — Be’, e allora?
— Come, e allora? E sei tu a dirlo! Vuoi smetterla con la fusione?
— No, ma se lei non vuole, non vuole. Io ho il mio terzo bambino e il resto non m’importa. So tutto dei Morbidi dei tempi andati. Loro avevano anche due triadi di bambini, qualche volta. Ma a me non importa. A me ne basta una.
— Ma, Tritt, non ci si fonde solo per dare inizio ai bambini!
— E per cos’altro? Una volta ho sentito che dicevi che dopo una fusione imparavi più in fretta. Be’, imparerai più adagio. A me non importa. Io ho il mio terzo bambino.
Odeen si allontanò, tremando tutto, e uscì dalla stanza fluttuando a scatti. A cosa serviva sgridare Tritt? Tritt non capiva. D’altra parte nemmeno lui era sicuro di avere capito.
Dopo che il terzo bambino fosse nato e fosse un po’ cresciuto, sarebbe certamente arrivato il momento di trapassare. E sarebbe stato lui, Odeen, a dover dare il segnale, lui a dover dire quando, lui a dover fare in modo che avvenisse senza paura. Altrimenti sarebbe stato il disonore per la triade, o peggio. Eppure, lui non se la sentiva di affrontare l’avvenimento senza più fondersi, persino adesso che tutti e tre i bambini erano stati generati.
La fusione avrebbe eliminato la paura, chissà come… Forse perché fondersi era molto simile a trapassare. C’era infatti un periodo di tempo in cui si perdeva conoscenza, e tuttavia non si soffriva. Era un po’ come non esistere più, e tuttavia lo si desiderava. Ecco, fondendosi abbastanza spesso avrebbe trovato il coraggio di trapassare senza paura e senza…
Oh, Sole e Stelle del cielo! Quello non era “trapassare”! Perché continuava a usare la perifrasi con tanta solennità? Lui conosceva l’altra parola, la parola che non veniva mai pronunciata tranne che, qualche volta, dai bambini che volevano scandalizzare gli adulti. Quello era morire. Dunque, lui doveva prepararsi a morire senza paura, e fare in modo che Dua e Tritt fossero pronti a morire insieme a lui.
E non sapeva come fare… Non senza fondersi…
Tritt restò solo nella stanza, impaurito, oh, quanto impaurito!, ma ostinatamente deciso a rimanere fermo, saldo, impassibile. Aveva il suo terzo bambino. Lo sentiva dentro di sé.
Era quello che contava.
Era tutto quello che contava.
Eppure come mai, allora, in fondo in fondo dentro di lui, aveva la debole ma persistente sensazione che non fosse tutto quello che contava?
Dua provava un senso di vergogna quasi insopportabile. Le occorse un tempo lunghissimo per combatterlo e per dominarlo a sufficienza da avere modo di pensare. Era corsa via, in fretta… in fretta… muovendosi alla cieca per allontanarsi dall’orrore presente nella caverna di famiglia e non preoccupandosi affatto di sapere dove stava andando e nemmeno dov’era.
Era notte, un’ora in cui nessun Morbido perbene, nemmeno la più frivola delle Emotive, sarebbe mai andato in superficie. E mancava ancora molto tempo al sorgere del Sole. Dua ne fu felice. Il Sole voleva dire cibo, e al momento lei odiava il cibo e ciò che le aveva fatto.
Faceva anche freddo, ma Dua ne era a malapena consapevole. Perché avrebbe dovuto preoccuparsi del freddo, pensò, quando l’avevano rimpinzata affinché facesse il suo dovere?… rimpinzata nel corpo e nella mente! In fondo freddo e fame erano quasi i suoi migliori amici.
Lei capiva benissimo Tritt. Poverino! Era talmente facile da capire! Le sue azioni erano puro istinto: avrebbe dovuto essere lodato per averle eseguite con tanto coraggio. Era tornato dalle caverne dei Duri con la sua palla di cibo in modo talmente audace (e lei… lei lo aveva percepito e avrebbe sentito che cosa stava succedendo, se Tritt non fosse stato così paralizzato da quello che stava facendo da non osare nemmeno pensarlo, e se lei stessa non fosse stata così paralizzata da quello che stava facendo e dalle nuove, profonde sensazioni che provava, da non preoccuparsi di captare ciò che era veramente importante!).
Tritt era riuscito a tornare a casa senza che nessuno lo scoprisse e aveva sistemato la sua pietosa, stupida trappola, decorando l’alimentatore per allettarla. E anche lei era tornata a casa, eccitata di essere tanto rarefatta da essere riuscita a immergersi nella roccia, e colma di vergogna per la sua azione e di compassione per Tritt. A causa di quella vergogna e di quella compassione aveva mangiato e così aveva contribuito a dare inizio all’ultimo bambino.
Dopo di allora aveva mangiato altre volte, ma pochissimo, com’era sua abitudine, e mai all’alimentatore. Non ne aveva più sentito il bisogno e Tritt non l’aveva in nessun modo spinta a farlo. Le era sembrato soddisfatto (per forza!) e perciò niente aveva riacceso la sua vergogna. Con tutto questo Tritt non si era liberato della palla di cibo. Già, non si era arrischiato a riportarla al suo posto: dopo aver ottenuto quello che voleva, era meglio e più facile lasciare le cose come stavano e non pensarci più.
…Finché non l’avevano colto sul fatto.
Ma Odeen, l’intelligente Odeen, doveva aver intuito il piano di Tritt, doveva avere scoperto il nuovo collegamento con gli elettrodi e doveva aver compreso lo scopo di Tritt. Senza alcun dubbio a Tritt non aveva detto niente: la rivelazione avrebbe soltanto causato imbarazzo e timore al povero congiunto destride, mentre Odeen era sempre molto protettivo e affettuoso con lui.
E poi, naturalmente, non c’era bisogno che Odeen dicesse qualcosa: bastava soltanto che tappasse le falle dell’ingenuo piano di Tritt e lo facesse funzionare.
Ormai Dua non si faceva più illusioni: lei si sarebbe accorta del gusto diverso del cibo, del suo strano sapore, e avrebbe fatto caso all’altrettanto strano modo con cui la saziava senza darle alcuna sensazione di pienezza… se non fosse stato per Odeen che la teneva occupata con le sue chiacchiere.
Era stata tutta una cospirazione tra gli altri due, che Tritt ne facesse parte consapevolmente o no. Ma come aveva fatto a credere che Odeen potesse diventare all’improvviso un maestro attento e coscienzioso? Come aveva fatto a non capirne il motivo nascosto? La loro preoccupazione per lei era in realtà la loro preoccupazione per il completamento della nuova triade, il che era la chiara indicazione di quanto poco i suoi due congiunti si curassero di lei.
D’accordo…
Sostò abbastanza a lungo in superficie da rendersi conto di quanto fosse stanca. Allora s’insinuò in una crepa della roccia che l’avrebbe riparata dal lieve vento gelido della notte. Nel suo campo visivo c’erano due delle sette stelle, e lei le osservò distrattamente, solo per tenere occupati i sensi esterni in cose di poco conto mentre si concentrava al massimo nei pensieri interiori.
Era profondamente delusa.
— Tradita — mormorò tra sé. — Sono stata tradita!
Era mai possibile che quei due non vedessero nient’altro che loro stessi? Che Tritt fosse disposto ad accettare che tutto venisse distrutto, purché gli assicurassero l’esistenza dei suoi bambini, era comprensibile. Ma Odeen?
Odeen ragionava. Il che voleva forse dire che al solo scopo di esercitare il suo raziocinio avebbe sacrificato tutto il resto? Bastava che una cosa fosse un prodotto della ragione per giustificarne l’esistenza… a ogni costo? Poiché Estwald l’aveva ideata, la Pompa Positronica doveva obbligatoriamente essere fatta funzionare, in modo che tutto il mondo, e Duri e Morbidi insieme, fossero in sua balia, e in balia della gente dell’altro universo? E se quell’altra gente l’avesse fermata e il mondo fosse rimasto senza la Pompa Positronica e con un Sole più freddo, molto più freddo?…
No, quell’altra gente non l’avrebbe fermata. No, quell’altra gente era stata convinta a farla partire e sarebbe stata convinta a tenerla in funzione fino a quando non sarebbe stata tutta distratta… perché allora, quella gente, non sarebbe più stata necessaria ai Razionali o ai Duri o ai Morbidi… così come lei, Dua, avrebbe dovuto trapassare (essere distrutta cioè) adesso che ormai non era più necessaria.
Lei e quell’altra gente, tutt’e due tradite.
Quasi senza accorgersene, stava rannicchiandosi sempre più profondamente nella roccia. Vi si seppellì del tutto, lontano dalla vista delle stelle, lontano dalla carezza del vento, inconsapevole del mondo che la circondava. Era, ormai, puro pensiero.
Quello che odiava di più era Estwald. Lui era la personificazione di tutto ciò che era egoista e rigido e duro. Era lui che aveva inventato la Pompa Positronica e avrebbe distratto un intero mondo di forse molte decine di migliaia di esseri, senza neanche averne coscienza. Era sempre così appartato che non si faceva mai vedere e così potente che persino gli altri Duri parevano avere paura di lui.
Be’, lei lo avrebbe combattuto. Lei lo avrebbe fermato.
La gente dell’altro universo era stata aiutata a impiantare la Pompa Positronica per mezzo di comunicazioni di qualche tipo. Gliene aveva parlato Odeen, sì… Dov’erano tenute quelle comunicazioni? A cosa somigliavano? Avrebbero potuto essere usate ancora per comunicare?
Era sorprendente come riuscisse a pensare chiaramente! Sorprendente? Addirittura eccezionale! E provava anche un enorme piacere al pensiero di adoperare la ragione per sconfiggere quei crudeli ragionatori!
Non sarebbero stati in grado di fermarla, perché lei sarebbe andata dove nessun Duro poteva andare, dove non poteva andare nemmeno un Razionale o un Paterno… e dove nessun’altra Emotiva voleva andare.
Forse prima o poi l’avrebbero presa, ma in quel momento non le importava. Era pronta a lottare per fare a modo suo, per ottenere quello che voleva… a qualunque costo, qualunque. Anche se significava che avrebbe dovuto attraversare la roccia, vivere nella roccia, restare ai margini delle caverne dei Duri, rubare il cibo immagazzinato nelle loro batterie di accumulatori di energia, quando avesse dovuto farlo, e unirsi al gregge delle altre Emotive e assorbire la luce del Sole, quando avesse potuto.
Alla fine, però, avrebbe dato a tutti una bella lezione. Dopo di che… che facessero quello che volevano! Lei sarebbe stata persino pronta a trapassare, allora… ma solo allora.
Odeen era presente quando nacque la piccola Emotiva, perfetta in ogni sua parte, ma non fu capace di entusiasmarsene. Persino Tritt, che se ne prendeva cura con totale dedizione, da bravo Paterno, sembrava meno estasiato del normale.
Era trascorso molto tempo ed era come se Dua fosse svanita nell’aria. Non era trapassata — un Morbido non può trapassare a meno che non lo faccia l’intera triade — ma non era nemmeno più con loro. Era proprio come se fosse trapassata, pur senza trapassare.
Odeen l’aveva vista una volta, solo una volta, non molto tempo dopo la sua selvaggia fuga alla notizia di aver dato inizio al terzo bambino.
Era in superficie, quel giorno, e stava andando in giro spinto dalla vaga, sciocca idea di poterla trovare, quando era passato vicino a un gruppo di Emotive. Si erano messe a ridacchiare, perché un Razionale che si aggirava intorno a un gruppo di Emotive era una cosa rara, e si erano assottigliate e rarefatte in una provocazione di massa, e non perché in tutta quella massa di scioccherelle vi fosse un solo pensiero logico, ma semplicemente per reclamizzare il fatto che erano Emotive.
Aveva provato per loro soltanto disprezzo, e nessun brivido di risposta gli era corso per le lisce curve. Al contrario, aveva pensato a Dua e a come fosse diversa da tutte quelle sciocche! Dua non si assottigliava mai se non per un proprio bisogno interiore. Non aveva mai tentato di attrarre nessuno, e per questo motivo era ancor più attraente. Quand’anche si fosse rassegnata a unirsi a quella frotta di teste vuote, sarebbe stata facilmente riconoscibile (lui ne era sicuro), perché sarebbe stata l’unica a non assottigliarsi, anzi, probabilmente si sarebbe ispessita proprio perché le altre si assottigliavano.
E, mentre pensava, aveva rapidamente controllato le Emotive stese al Sole e si era accorto che una non si era affatto mossa.
Si era affrettato ad andarle vicino, dimentico di tutte le altre Emotive che incrociava, incurante dei loro strilli mentre si scostavano fluttuando dal suo cammino e delle loro voci concitate mentre tentavano di non scontrarsi e unirsi l’una all’altra… per lo meno non all’aperto e in presenza di un Razionale.
Era proprio Dua, e non aveva nemmeno fatto il gesto di allontanarsi. Era rimasta immobile e in silenzio.
— Dua — le aveva detto, con umiltà, — non vieni a casa?
— Io non ho nessuna casa, Odeen — aveva risposto lei. Così, senza astio, senza odio… ed era stato ancor più tremendo.
— Non puoi avercela con Tritt per quello che ha fatto, Dua. Lo sai che il povero Tritt non ragiona.
— Ma tu ragioni, Odeen. E tu hai tenuto occupata la mia mente a pensare, mentre lui sistemava le cose in modo da dar da mangiare al mio corpo, non è così? La tua ragione ti diceva che sarei caduta in trappola più facilmente con te che con lui.
— Dua, no!
— No che cosa? Non hai forse fatto quella gran commedia d’insegnarmi, d’istruirmi?
— L’ho fatto, ma non era una commedia, era vero. E non era perché Tritt facesse quello che ha fatto. Io non sapevo che cos’avesse fatto Tritt.
— Non ti credo. — Fluttuando, Dua si era mossa lentamente. Odeen l’aveva seguita. Ed erano rimasti soli, con il Sole rosso che li illuminava dall’alto.
Dua si era girata verso di lui. — Mi permetti di farti una domanda, Odeen? Perché hai voluto insegnarmi?
Le aveva risposto: — Perché lo volevo. Perché a me piace molto insegnare e perché io preferisco insegnare che fare qualunque altra cosa… tranne imparare.
— E fonderti, naturalmente… Non badarci — aveva aggiunto subito lei, per evitare che lui la interrompesse. — Non stare a dire che parlavi di ragione e non di istinto. Senti, se parli seriamente e se davvero ti piace insegnare e se io posso davvero crederti, allora forse potrai capire quello che adesso ti dirò. Ho imparato moltissime cose da quando ti ho lasciato, Odeen. Non importa come, adesso. Le ho imparate e non sono più un’Emotiva, tranne che fisiologicamente. Dentro di me, dov’è quello che più conta, io sono tutta Razionale, tranne che spero di avere più comprensione per gli altri di quanta ne hanno i Razionali. E una delle cose che ho imparato, Odeen, è che cosa siamo noi in realtà. Tu, io e Tritt e tutte le altre triadi di questo pianeta… quello che siamo realmente e siamo sempre stati.
— Che cosa? — aveva chiesto. Era pronto ad ascoltarla per tutto il tempo che fosse stato necessario, e in silenzio, se solo lei fosse tornata a casa insieme a lui dopo aver detto quello che aveva da dire. Avrebbe eseguito qualunque penitenza, fatto qualunque cosa. Bastava che lei tornasse… Eppure, in un angolo triste e oscuro dentro di sé, sapeva anche che lei avrebbe dovuto tornare di sua volontà.
— Che cosa siamo? Niente, in realtà, Odeen — aveva risposto lei, in tono leggero, quasi ridendo. — Non è strano? I Duri sono l’unica specie vivente sulla faccia del pianeta. Non te l’hanno insegnato questo? Esiste una sola specie di esseri perché tu e io, i Morbidi cioè, non siamo vivi, in realtà. Noi siamo macchine, Odeen. Dobbiamo esserlo, perché solo i Duri sono vivi. Non te l’hanno insegnato questo, Odeen?
— Dua, questa è un’assurdità! — aveva esclamato lui, sconcertato.
La voce di Dua era diventata aspra. — Macchine, Odeen! Costruite dai Duri! Distrutte dai Duri! Loro sono vivi. Solo loro, i Duri. Non ne parlano molto. Non ne hanno bisogno, perché tutti loro lo sanno. Ma io ho imparato a pensare, Odeen, e l’ho ricavato dai pochi indizi che avevo. I Duri hanno una vita terribilmente lunga, ma alla fine muoiono. E non hanno più nascite, perché il Sole fornisce ormai troppo poca energia. E, dato che muoiono raramente ma non hanno più nascite, il loro numero cala molto, molto lentamente. E non hanno giovani che gli forniscano sangue nuovo e nuovi pensieri, perciò i vecchi Duri dalla vita lunghissima si annoiano tremendamente. E allora che cosa pensi che facciano, Odeen?
— Che cosa fanno? — Quello che Dua diceva era affascinante. Affascinante in modo repellente.
— Fabbricano bambini meccanici ai quali insegnare. L’hai detto tu, Odeen. Preferisci insegnare che fare qualunque altra cosa, tranne imparare… e fonderti, naturalmente. I Razionali sono fatti a immagine mentale dei Duri, e i Duri non si fondono, e imparare è molto difficile, per loro, perché sanno già tantissime cose. Non gli resta altro divertimento che l’insegnare. Perciò hanno creato i Razionali al solo scopo d’insegnargli. Le Emotive e i Paterni sono stati creati perché erano necessari per perpetuare automaticamente il meccanismo che fabbrica i nuovi Razionali. E i Duri hanno costantemente bisogno di nuovi Razionali, perché quelli vecchi non servono più dopo che hanno imparato tutto quello che possono imparare. Infatti, quando i vecchi Razionali hanno assorbito tutto quello che possono, vengono distrutti, ma in precedenza gli hanno insegnato a chiamare il procedimento di distruzione “trapasso”, per non ferire i loro sentimenti. E naturalmente Emotive e Paterni trapassano insieme a loro. È logico! Dopo che hanno aiutato a formare una nuova triade non servono più a niente!
— Ma queste tue idee sono tutte sbagliate, Dua! — era riuscito a dire Odeen, con fatica. Non aveva argomentazioni da contrapporre a quella teoria da incubo, ma sapeva con una certezza indiscutibile che Dua aveva torto. (Eppure, dentro di lui, una punta di dubbio non gli diceva forse che quella certezza avrebbe potuto essergli stata instillata, tanto per cominciare?… No, certamente no, perché allora anche in Dua, sicuramente, sarebbe stata instillata la certezza di avere torto… Oppure, dato che lei era un’Emotiva fuori del comune, magari era un’Emotiva imperfetta, priva di quelle adeguate nozioni preventivamente instillate e mancante anche… Ah, cos’andava mai a pensare! Era pazzo quanto lei!)
Dua stava dicendo: — Mi sembri sconvolto, Odeen. Sei proprio sicuro che io mi sbagli? Ovviamente, adesso loro hanno la Pompa Positronica e quindi tutta l’energia di cui hanno bisogno, oppure l’avranno tra poco. E presto saranno in grado di dare inizio a nuovi piccoli Duri. Forse ne sono già in grado. E così non avranno più bisogno delle macchine che sono i Morbidi, e noi verremo tutti distrutti… scusa, volevo dire: noi trapasseremo tutti.
— No, Dua — aveva detto lui, coraggiosamente e con forza, tanto per se stesso che per lei. — Io non so da dove tu abbia ricavato queste idee, ma i Duri non sono come dici tu. Noi non veniamo distrutti.
— Non mentire a te stesso, Odeen! I Duri sono proprio così. Sono pronti a distruggere un intero mondo di esseri-altri per il loro personale vantaggio, o addirittura un intero universo! Credi che si tratterranno dal distruggere pochi Morbidi, se non gli faranno più comodo?… Ma hanno commesso un errore. Qualcosa è andato storto nelle loro macchine e la mente di un Razionale è finita nel corpo di un’Emotiva. Io sono un’Emo-Sin, lo sai? Mi chiamavano così quando ero piccola, e dicevano giusto. Io ragiono come un Razionale e sento come un’Emotiva. E, grazie a questa combinazione, combatterò ì Duri.
Odeen si era sentito la mente in subbuglio. Dua era impazzita di sicuro, ma lui non aveva il coraggio di dirglielo. Anzi, doveva blandirla per riportarla a casa. Le aveva detto, con sincera convinzione: — Dua, quando trapassiamo noi non veniamo distrutti.
— No? Cosa ci succede allora?
— Io… io non lo so. Penso che entriamo in un altro mondo, un mondo migliore e più felice, e diventiamo… diventiamo come… be’, molto migliori di quello che siamo.
Dua aveva riso. — Dove hai sentito una storia del genere? Te l’hanno raccontata i Duri?
— No, Dua. Sono sicuro che dev’essere così, l’ho ricavato dal mio ragionamento. Ho pensato molto anche a questo dopo che tu te ne sei andata.
Dua aveva ribattuto: — Allora pensa di meno, così sarai meno stupido! Povero Odeen! Ciao, ciao! — Ed era fluttuata via un’altra volta, rarefatta, evanescente. Pareva stanchissima.
Odeen aveva gridato: — Aspetta, Dua! Non vuoi essere presente quando arriverà la tua nuova piccola mediana?
Lei non aveva risposto.
Lui aveva gridato ancora: — Quando tornerai a casa?
Lei non aveva risposto.
E lui non l’aveva seguita più, ma era rimasto a guardarla, disperato e infelice, mentre rimpiccioliva in lontananza.
Non aveva raccontato a Tritt di avere visto Dua. A cosa sarebbe servito? E dopo quella volta non l’aveva rivista più, anche se aveva continuato a frequentare i posti di ritrovo al sole preferiti delle Emotive della zona. Lo faceva ormai tanto spesso che di tanto in tanto qualche Paterno emergeva in superficie per osservarlo con sospetto. (Tritt era mentalmente un gigante a paragone di tutti gli altri Paterni!)
L’assenza di Dua divenne sempre più dolorosa da sopportare, con il trascorrere dei giorni. E, con il trascorrere dei giorni, Odeen si rese conto che, insieme al dolore, stava crescendo in lui una grande paura per quell’assenza. Ma perché?
Un giorno, tornando alla caverna di famiglia, trovò Losten che lo aspettava. Il Duro, serio e cortese, stava osservando Tritt che gli mostrava la nuova bambina, sforzandosi d’impedire a quel batuffolo di nebbia di toccare l’ospite.
Losten disse: — È una vera bellezza, Tritt. Si chiama Derala, vero?
— Derola — lo corresse Tritt. — Non so quando Odeen sarà di ritorno. Di questi tempi va sempre molto in giro e…
— Sono tornato, Losten — si affrettò a intervenire Odeen. — Tritt, per favore, porta via la bambina. Questo è un mio amico.
Tritt ubbidì e Losten si girò verso Odeen con evidente sollievo, dicendo: — Devi essere contento di aver completato la triade.
Odeen tentò di rispondere con una frase di circostanza, ma non ci riuscì e rimase silenzioso e impacciato. Negli ultimi tempi tra lui e i Duri era sorto un certo cameratismo, quasi un senso di uguaglianza, che gli aveva permesso di parlare con loro su un piano di parità. Poi la pazzia di Dua aveva rovinato tutto. Pur sapendo che lei si sbagliava, ogni volta che aveva visto Losten si era comportato rigidamente, così come faceva in quei lontanissimi giorni in cui si riteneva di gran lunga inferiore a loro, inferiore come… una macchina?
Losten parlò di nuovo e chiese: — Hai visto Dua?
Questa era una vera domanda, non una frase di cortesia, si accorse Odeen.
Rispose: — Una volta sola, Du… — (Per poco non disse “Duro signore”, come se fosse ancora un bambino o un Paterno.) — Una volta sola, Losten. Non ha voluto tornare a casa.
— Deve tornare a casa — dichiarò Losten, pacato.
— Non so come riuscirci.
Losten lo guardava con espressione molto seria. — Sai almeno che cosa sta facendo?
Odeen non osava alzare gli occhi. (Che Losten avesse scoperto qualcosa delle folli teorie di Dua? Cos’avrebbe fatto in proposito?) Si limitò a un cenno di diniego, senza parlare.
Losten disse: — È un’Emotiva molto fuori del comune, Odeen. Questo lo sai, vero?
— Sì — sospirò lui.
— E lo stesso sei tu, a modo tuo, e anche Tritt, a modo suo. Dubito molto che esista un solo Paterno al mondo che abbia il coraggio o lo spirito d’iniziativa di rubare una batteria di energia, oppure l’ingenuità perversa di farne quello che lui ne ha fatto. Voi tre formate la triade più fuori del comune di cui si abbia notizia.
— Grazie.
— Ma questa stessa triade possiede dei lati inquietanti, che non avevamo previsto. Per esempio, noi volevamo che tu insegnassi a Dua nel modo più dolce e più esatto possibile, per blandirla e convincerla a compiere le sue funzioni volontariamente. Non avevamo previsto la stravagante e generosa azione di Tritt proprio in quel momento. E nemmeno, per dirti tutta la verità, l’esagerata reazione di Dua al fatto che il pianeta dell’altro universo dev’essere distrutto.
— Avrei dovuto stare più attento nel rispondere alle sue domande — disse Odeen, infelice.
— Non sarebbe servito. Stava già scoprendo tutto da sola. Non avevamo previsto nemmeno questo, sai? Odeen, mi dispiace, ma devo dirti una cosa… Dua è diventata un pericolo, un pericolo mortale. Sta tentando di fermare la Pompa Positronica.
— Ma come può riuscirci? Non può arrivare dov’è la Pompa e, anche se potesse, manca delle conoscenze necessarie.
— Ah, ma lei può arrivare alla Pompa. — Losten esitò un attimo, poi continuò: — Resta immersa nella roccia, dove sa di essere al sicuro da noi.
Ci volle qualche istante prima che Odeen afferrasse il significato di quelle parole. Disse: — Impossibile! Nessuna Emotiva adulta farebbe… Dua non farebbe mai…
— Lo fa. Lo vuole fare e lo fa. Non perdiamo tempo a discuterne. Dua può penetrare nelle caverne e arrivare dove vuole. Non le si può nascondere niente. Ha studiato le comunicazioni che abbiamo ricevuto dall’altro universo. Non ne abbiamo una prova evidente, ma non c’è altro modo per spiegare quello che sta succedendo.
— Oh… oh… — Odeen barcollò, avanti e indietro, mentre la sua superficie diventava opaca per la vergogna e il dolore. — Estwald lo sa?
Losten rispose, cupo: — Non ancora, ma un giorno lo saprà.
— Ma che cosa vuole farne Dua, di quelle comunicazioni?
— Se ne serve per trovare il sistema di mandare lei un messaggio nell’altra direzione.
— Ma lei non sa tradurre né trasmettere!
— Sta imparando come fare tutt’e due le cose. Ne sa più lei, di quelle comunicazioni, che lo stesso Estwald. È un fenomeno terrificante, un’Emotiva che ragiona e che è fuori controllo.
Odeen rabbrividì. Fuori controllo? Era un’espressione che si usava per le macchine! Disse: — La situazione non può essere tanto brutta.
— È brutta. Dua è già riuscita a comunicare, e io temo che consigli agli esseri viventi dell’altro universo di fermare la loro metà della Pompa Positronica. E se quelli lo faranno prima che il loro Sole esploda, noi saremo finiti.
— Ma allora…
— Dua dev’essere fermata, Odeen.
— Ma… ma come? Avete intenzione di far brillare?… — La voce gli mancò. Sapeva vagamente che i Duri possedevano strumenti per scavare la roccia del pianeta e ricavarne le caverne, ma erano strumenti che usavano raramente da quando, intere epoche prima, la popolazione aveva cominciato a diminuire. Avrebbero localizzato Dua all’interno della roccia e avrebbero fatto brillare tutt’e due?
— No — disse Losten, con forza. — Noi non possiamo far del male a Dua.
— Estwald potrebbe…
— Nemmeno Estwald può farle del male.
— Allora cosa si può fare?
— Devi pensarci tu, Odeen. Solo tu puoi fare qualcosa. Noi non possiamo reagire, perciò dipendiamo da te.
— Da me? Ma cosa posso fare io?
— Pensaci sopra — disse Losten, in tono pressante. — Pensaci sopra.
— Pensare sopra a cosa?
— Non posso dirti niente più di questo — rispose Losten, con angoscia. — Pensa! Resta ormai pochissimo tempo.
Poi si girò e se ne andò, muovendosi molto in fretta per un Duro, come se non si fidasse a rimanere, oppure come se avesse detto troppo.
E Odeen non poté fare altro che guardarlo allontanarsi, smarrito, confuso… sperduto.
Tritt aveva un mucchio di cose da fare. I bambini richiedevano una quantità di attenzioni, ma anche due piccoli sinistridi e due piccoli destridi messi insieme non ne richiedevano tante come una sola neonata mediana… specialmente se era una mediana perfetta come Derola. Bisognava farle fare esercizio e poi tenerla calma, impedirle di finire dentro a tutto quello che toccava, distrarla e coccolarla per convincerla a condensarsi e a riposare.
Trascorse parecchio tempo prima che rivedesse Odeen e, a essere sinceri, non gliene importò molto. Derola lo teneva costantemente occupato. Ma un giorno per caso lo vide: Odeen era in un angolo della sua stessa camera, tutto iridescente come quando pensava molto.
Ricordando, d’un tratto, gli ultimi avvenimenti, gli disse: — Magari Losten era arrabbiato per Dua?
Odeen tornò in sé con un sussulto. — Losten?… Sì, era arrabbiato. Dua sta facendo un gran danno.
— Dovrebbe tornare a casa, no?
Odeen lo guardò fisso. — Tritt — disse poi — noi due convinceremo Dua a tornare a casa. Prima dobbiamo trovarla, però. Tu puoi trovarla. Quando in casa c’è un nuovo bambino, la tua sensibilità di Paterno è più intensa. Puoi usarla per cercare Dua.
— No — disse Tritt, scioccato. — Dev’essere usata per Derola. Sarebbe sbagliato usarla per Dua. E poi, se insiste a star via per tanto tempo, mentre la sua bambina mediana ha tanto bisogno di lei… e anche lei è stata una piccola mediana, una volta, forse sarà meglio che impariamo a fare senza di lei.
— Ma, Tritt, non vuoi più fonderti?
— Be’, adesso la triade è completa.
— La fusione non serve solo a quello.
Tritt protestò: — Ma dove dovremo andare per cercarla? Derola ha bisogno di me. È ancora piccolissima. Io non voglio lasciarla sola.
— I Duri faranno in modo che Derola abbia tutte le cure possibili. Tu e io andremo nelle caverne dei Duri a cercare Dua.
Tritt rifletté sulla faccenda. Di Dua a lui non importava niente. Quasi quasi non gli importava niente neanche di Odeen. Per il momento gli importava solo di Derola. Replicò: — Un giorno. Un giorno, quando Derola sarà più grande. Per adesso non posso.
— Tritt, noi due dobbiamo trovare Dua — insisté Odeen, pressante. — Altrimenti… altrimenti ci porteranno via i bambini.
— Chi ce li porterà via?
— I Duri.
Tritt rimase in silenzio. Non sapeva cosa dire. Non aveva mai sentito parlare di una cosa simile. Non gli riusciva nemmeno di pensarla, una cosa simile!
Odeen riprese: — Tritt, noi dobbiamo trapassare. Conosco il perché, adesso. Ci ho pensato sopra da quando Losten… ma questo non importa. E anche tu e Dua dovete trapassare. Adesso che io so il perché, tu sentirai che devi farlo e spero… cioè penso che anche Dua lo sentirà. E dobbiamo trapassare presto, perché Dua sta distruggendo il mondo.
Tritt indietreggiava, spaventato. — Non guardarmi così, Odeen… Tu mi fai… tu mi fai…
— Non ti faccio niente, Tritt — disse Odeen, malinconico. — È solo che adesso io so, e tu devi… Ma prima dobbiamo trovare Dua.
— No, no… — Era una vera agonia, per Tritt, tentare di resistere. C’era qualcosa di nuovo e di tremendo in Odeen, e lui sentiva che la vita si stava inesorabilmente avvicinando alla fine. Non ci sarebbe stato più nessun Tritt, e nessuna piccola, piccolissima mediana. Gli altri Paterni potevano tenersi la loro piccola mediana per tanto, tantissimo tempo. Tritt, invece, l’avrebbe persa quasi subito.
Non era giusto. Oh, no, non era giusto!
Tritt ansimò: — È colpa di Dua. Falla trapassare per prima.
Con una calma mortale Odeen ribatté: — È impossibile. Bisogna trapassare tutti e tre insieme…
E Tritt sapeva che era così… era così… era così.
Dua si sentiva rarefatta e fredda, e sottile sottile. I suoi tentativi di riposarsi all’aperto e di assorbire la luce del Sole erano cessati dopo quella volta che Odeen l’aveva trovata. Si nutriva alle batterie dei Duri quando poteva e non regolarmente: non osava restare troppo a lungo fuori dal sicuro nascondiglio della roccia, perciò mangiava a rapidi bocconi e mai a sufficienza.
Sentiva di continuo i morsi della fame, tanto più forti da quando rimanere fusa nella roccia pareva stancarla. Era una specie di punizione, pensava, per tutto il tempo che aveva passato in superficie solo al tramonto, mangiando così poco.
Se non fosse stato per il lavoro che stava facendo, non sarebbe riuscita a sopportare quella stanchezza e quella fame. A volte sperava addirittura che i Duri la distruggessero… ma solo dopo che avesse finito quello che intendeva fare.
I Duri non potevano farle niente finché lei rimaneva dentro la roccia. Qualche volta li captava vicinissimi a dov’era lei, in uno spazio aperto. Avevano tutti paura. In principio aveva pensato che avessero paura per lei, ma era impossibile. Perché dovevano avere paura per lei, paura che lei trapassasse per totale mancanza di nutrimento, per totale esaurimento? No, dovevano avere paura di lei: avevano paura di una macchina che non funzionava come loro avevano progettato che funzionasse, erano sbigottiti per un prodigio così grande, atterriti perché impotenti nei suoi confronti.
Stava molto attenta a evitarli. Sapeva sempre dove si trovavano, perciò non potevano né prenderla né fermarla. Loro non erano in grado di controllare tutti i vari posti in continuazione, e a volte aveva pensato di non tener nemmeno conto della pochissima percezione che possedevano.
Usciva dalla roccia vorticando e andava a studiare le copie registrate delle comunicazioni che i Duri avevano ricevuto dall’altro universo. Loro non sapevano cosa lei cercasse di fare, ma, anche se le avessero nascoste, lei le avrebbe ritrovate ovunque. E se le avessero distrutte, be’, non importava più. Ormai lei le ricordava benissimo.
Al principio non le aveva capite, ma poi, a causa della sua lunga permanenza nelle rocce, tutti i suoi sensi si erano affinati, tanto che le pareva di capire senza nemmeno pensare. Cioè, sebbene non conoscesse il loro significato, i simboli le ispiravano determinate sensazioni, li sentiva.
Aveva scelto i segni che percepiva esatti e li aveva sistemati dove sarebbero stati trasmessi nell’altro universo. I segni erano: P-A-U-B-A. Non aveva idea di cosa volessero dire in realtà, ma la loro forma le dava un senso di paura e così aveva fatto del suo meglio per imprimere quel senso di paura sugli stessi segni. Forse gli esseri-altri, studiandoli, avrebbero provato paura anche loro.
Quando erano cominciate a giungere le risposte, Dua aveva percepito in esse molta eccitazione. Non riusciva sempre a riceverle lei. Talvolta erano i Duri a trovarle per primi e ormai, certamente, avevano capito cosa lei stesse facendo. Eppure loro non sapevano leggere i messaggi, non potevano nemmeno percepire le emozioni di chi li aveva mandati e che le giungevano insieme ai segni.
Perciò non si preoccupava più dei Duri. Nessuno l’avrebbe fermata, finché lei non avesse finito… qualunque cosa i Duri scoprissero di lei non importava più.
Adesso aspettava l’arrivo di un messaggio che avesse trasportato l’emozione che lei desiderava. E finalmente arrivò: P-O-M-P-A M-A-L-E.
Ecco, in esso c’erano la paura e l’odio che lei voleva. Lo rimandò indietro ampliandolo, aggiungendovi più paura, più odio. Ora la gente dell’altro universo avrebbe capito. Ora avrebbero fermato la Pompa. I Duri avrebbero dovuto trovare qualche altro sistema, qualche altra fonte di energia, poiché non l’avebbero più ottenuta a prezzo della morte di tutte le migliaia di esseri viventi di quell’altro universo.
Si accorse di rimanere a riposare troppo a lungo all’interno della roccia, di cadere in una specie di torpore. Aveva un disperato desiderio di cibo, e attese di poter strisciare fuori, fino a una batteria. Ma ancor più disperatamente del nutrimento contenuto in una batteria, desiderava che tutta la batteria di accumulatori si spegnesse. Desiderava poterne assorbire l’energia fino all’ultima scintilla, sapendo che dall’altro universo non ne sarebbe più giunta e che il suo compito era terminato.
Alla fine emerse dalla roccia e ne rimase fuori a lungo, sconsideratamente, succhiando e succhiando a una delle batterie. Voleva vederne il fondo, vuotarla, essere sicura che non entrasse più energia… ma la fonte era inesauribile, inesauribile, inesauribile…
Dua vibrò e si allontanò dalla batteria con disgusto. Così, la Pompa Positronica funzionava ancora. Che i suoi messaggi non avessero convinto gli esseri viventi dell’altro universo a fermare la loro Pompa? Oppure non li avevano ricevuti? O non ne avevano capito il significato?
Doveva ritentare. Doveva renderglielo chiaro, chiarissimo. Gli avrebbe mandato tutte le combinazioni di segni che le sembravano dare una sensazione di pericolo, tutte le combinazioni che trasportassero la preghiera di fermare la Pompa.
Con disperazione si mise a incidere i simboli nel metallo, fondendolo con tutta l’energia che possedeva. Per farlo attinse senza nessuna limitazione all’energia che aveva appena assorbito dalla batteria, finché non l’ebbe spesa tutta e si sentì più esausta che mai: POMPA NON FERMA NON FERMA NOI NON FERMA POMPA NOI NON SENTE PERICOLO NON SENTE NON SENTE VOI FERMA FAVORE FERMA VOI FERMA COSÌ NOI FERMA FAVORE VOI FERMA PERICOLO PERICOLO PERICOLO FERMA FERMA VOI FERMA POMPA.
Era tutto quello che poteva fare. Dentro di lei non restava altro che un dolore continuo, tormentoso. Sistemò il messaggio nel posto in cui poteva essere trasmesso, ma non attese che fossero i Duri a trasmetterlo involontariamente come al solito: attraverso una nebbia di agonia manovrò i comandi, così come aveva visto fare ai Duri, raccogliendo gli ultimi sprazzi di energia che possedeva.
Il messaggio sparì e così fece la caverna, in uno scintillio violetto di vertigine. Lei stava… trapassando… di totale… esaurimento.
Odeen… Tri…
Odeen era già in arrivo, fluttuando più veloce di quanto avesse mai fluttuato prima d’allora. Dapprima aveva seguito la direzione indicata dal senso percettivo di Tritt, acuito a causa della nuova bambina, ma ormai era abbastanza vicino da captare e localizzare Dua soltanto coi i suoi sensi più ottusi. Sentiva da sé che la coscienza di Dua tremolava e andava spegnendosi, e corse ancora più in fretta, mentre Tritt faceva del suo meglio per arrancargli dietro, ansimando e incitando: — Più svelto… più svelto…
Odeen la trovò in uno stato di collasso totale, viva a malapena, e così piccola che pareva un’Emotiva bambina.
— Tritt — ordinò, brusco — porta qui quella batteria. No, no… non toccare lei. È troppo rarefatta per poterla trasportare. Fa’ presto. Se affonda nel pavimento…
Nel frattempo, anche i Duri cominciarono ad arrivare e a raccogliersi intorno a loro. Erano in ritardo, naturalmente, a causa della loro incapacità di percepire a distanza le altre forme di vita. Se fosse dipeso da loro, sarebbe stato troppo tardi per salvare Dua. Non sarebbe trapassata, sarebbe stata davvero distrutta e… e insieme a lei sarebbe andato distrutto molto più di quello che lei sapeva.
Adesso, invece, stava lentamente riacquistando vita e vigore dalla batteria di energia, con tutti i Duri fermi e silenziosi intorno.
Odeen si raddrizzò, ed era un nuovo Odeen, che sapeva esattamente che cosa stava succedendo. Fece un gesto imperioso, ordinando loro di allontanarsi, ed essi se ne andarono. In silenzio. Senza una protesta.
Dua si agitò un poco.
Tritt chiese: — Adesso sta bene, Odeen?
— Zitto, Tritt — disse Odeen. — Dua?
— Odeen? — Dua si mosse ancora e sussurrò: — Credevo di essere trapassata.
— Non ancora, Dua. Non ancora. Prima devi mangiare e riposare.
— È qui anche Tritt?
— Sono qui, Dua — intervenne Tritt.
— Non tentate di riportarmi indietro — bisbigliò Dua. — È tutto finito. Ho fatto quello che volevo fare. La Pompa Positronica si… si fermerà presto. Ne sono sicura. Così i Duri continueranno ad avere bisogno dei Morbidi… e si prenderanno cura di voi, o almeno dei bambini.
Odeen non disse niente, e impedì anche a Tritt di parlare. Ma continuò a riversare energia radiante in Dua, lentamente, molto lentamente. Di tanto in tanto si fermava per lasciarla riposare, poi riprendeva.
Lei cominciò a mormorare: — Basta, basta… — La sua sostanza, adesso, si arricciolava tutta con più forza.
Odeen continuò a nutrirla.
Alla fine parlò. Le disse: — Dua, ti sbagliavi. Noi non siamo macchine. Io so esattamente che cosa siamo. Sarei venuto prima da te, se lo avessi scoperto più presto, ma non l’ho saputo finché Losten non mi ha supplicato di pensare. Allora io ho pensato, ho pensato molto. Eppure anche così la cosa è quasi prematura.
Dua si lamentò, e Odeen s’interruppe per un poco. Riprese: — Ascolta, Dua. Esiste una sola specie di esseri viventi. E i Duri sono davvero gli unici esseri viventi su tutto il pianeta. Tu l’avevi capito, e fino a qui avevi ragione. Ma questo non vuol dire che i Morbidi non siano vivi. Vuol dire semplicemente che anche noi facciamo parte di quella sola, unica specie. I Morbidi sono le forme immature dei Duri. Noi siamo dapprima bambini Morbidi, poi siamo adulti Morbidi, e poi siamo Duri. Capisci?
Tritt intervenne, colmo di confusione: — Cosa? Cosa?
Odeen disse: — Non adesso, Tritt. Non adesso. Capirai anche tu, ma questa spiegazione è per Dua.
Nel frattempo continuava a osservare Dua, che pian piano riprendeva la sua opalescenza.
Dopo un attimo Odeen riattaccò: — Ascolta, Dua, ogni volta che ci fondiamo, ogni volta che la triade si fonde, noi diventiamo un Duro. Il Duro è tre persone in una, ed è per questo che è duro e solido. Durante tutto il periodo in cui perdiamo conoscenza, mentre ci fondiamo, noi siamo un Duro. Ma è uno stato temporaneo, e in seguito non riusciamo mai a ricordarlo. Non possiamo nemmeno rimanere un Duro per molto tempo, e dobbiamo tornare Morbidi. Però, nel corso della vita noi continuiamo a svilupparci, per stadi successivi marcati da punti-chiave. Ogni bambino che nasce è il segno del passaggio allo stadio seguente. E con la nascita del terzo, cioè dell’Emotiva, diventa possibile raggiungere lo stadio finale, quando la mente del Razionale, da sola, senza l’aiuto degli altri due, riesce finalmente a ricordare a sprazzi il tempo vissuto come Duro. Allora, e soltanto allora, il Razionale è in grado di guidare la triade in una fusione perfetta che formerà il Duro in modo permanente e definitivo, così che la triade, unita, viva una nuova vita completa di apprendimento, di emozioni e d’intelletto. Ti avevo detto, no?, che trapassare era come rinascere? Allora stavo brancolando un po’ nel buio, cercando qualcosa che ancora non capivo bene, ma adesso lo so.
Dua lo guardava, con un mezzo sorriso. Disse: — E vuoi che ti creda, Odeen? Se fosse davvero così, perché i Duri non l’avebbero detto tanto tempo fa? A te e anche a tutti?
— Non potevano, Dua. C’è stato un tempo, molte epoche fa, in cui fondersi significava soltanto mettere insieme gli atomi per formare un corpo. Ma l’evoluzione ha lentamente fatto sviluppare le menti. Credimi, Dua. Fondersi significa mettere insieme anche le menti, e questa è una cosa molto più difficile e molto più delicata. Per poterle tenere unite in modo appropriato e per sempre, esattamente!, il Razionale deve raggiungere un determinato e alto livello di sviluppo. E questo livello lo raggiunge quando scopre, da sé, quello che ti ho appena detto, e quando la sua mente è ormai abbastanza affinata da ricordare tutto quello che è successo durante le unioni temporanee nelle fusioni normali. Se i Duri lo dicessero e il Razionale lo sapesse in precedenza, lo sviluppo della sua mente non sarebbe perfetto e non potrebbe decidere il momento della fusione perfetta. Così, il Duro che si formerebbe sarebbe imperfetto. Quando Losten mi ha incitato a pensare, ha corso un grosso rischio. Persino quel semplice suggerimento poteva essere causa… Spero di no, spero proprio di no. Perché è ancora più vero nel nostro caso, Dua! Sono ormai molte generazioni che i Duri pongono grande cura nel combinare le triadi, per formare Duri sempre più specializzati o speciali, e la nostra triade era la migliore che avessero mai ottenuto. Per merito tuo, Dua. Soprattutto per merito tuo. Losten, una volta, era la triade di cui tu eri la bambina mediana. Una parte di lui era il tuo Paterno. E lui ti conosceva bene. È stato lui a sceglierti e a portarti a Tritt e a me.
Dua si rizzò a mezzo, e la sua voce era quasi normale quando sbottò: — Odeen! Stai inventandoti tutta questa storia per tenermi buona?
Tritt intervenne: — No, Dua. Anch’io sento che è così. Lo sento proprio. Non so come, ma lo sento.
— Lui lo sente, Dua — disse Odeen. — Lo sentirai anche tu. Non cominci forse a ricordare di essere stata un Duro durante le nostre fusioni? Non vorresti fonderti, adesso? Per un’ultima volta? Per l’ultima volta?
La sollevò, con una specie di ansia febbrile. E anche Dua era agitata e, sebbene si opponesse un poco, stava già rarefacendosi.
— Se quello che dici è vero, Odeen… — ansimò — …se noi tre siamo un Duro, allora mi pare… da quello che hai detto… che saremo un Duro importante. È così?
— Il più importante. Il migliore che si sia mai formato. Voglio dire… Tritt, vieni qui. Mettiti là. Non è un addio, Tritt. Saremo tutti insieme, come abbiamo sempre voluto essere. Anche tu, Dua. Tu… anche, Dua.
Dua disse ancora: — Allora possiamo far capire a Estwald che la Pompa non può continuare a funzionare. Lo costringeremo…
La fusione era già cominciata. A uno a uno i Duri si avvicinavano di nuovo, nel momento cruciale. Odeen li vide indistintamente, perché stava già fondendosi in Dua.
Non era come le altre volte. Non vi fu quell’estasi improvvisa e dolorosa, ma solo un lento, fluido, freddo e calmo movimento. Odeen si sentì diventare parte di Dua, e tutto il mondo sembrò riversarsi nell’affinata percezione dei sensi di lui/lei. Le Pompe Positroniche erano ancora in funzione… Lui/Lei lo sentiva… Come mai funzionavano ancora?
Era anche Tritt, e un’acuta, dolorosa sensazione di perdita colmò la mente di lui/lei/lui. Oh, bambini miei!…
E allora Tritt gridò, e fu l’ultimo grido consapevole di Odeen, tranne che era anche il grido di Dua: — No, non possiamo fermare Estwald. Noi siamo Estwald! Noi…
Il grido che era di Dua, eppure non lo era, s’interruppe. Non c’era più nessuna Dua e non ci sarebbe stata mai più. E non c’era più Odeen. E non c’era più Tritt.
Estwald fece un passo avanti e ai Duri che lo attendevano disse, con tristezza, nel modo di parlare costituito da onde che vibravano nell’aria: — Ora sono con voi per sempre, e c’è tanto da fare…