PARTE QUARTA Ottobre — Dicembre 2144

L’aspetto personale è politico e quello politico è sempre personale.

Detto popolare americano

13

Drew Arlen — Florida

Restai in clandestinità con l’Avamposto di Liberazione Francis Marion per due mesi, tutto settembre e tutto ottobre.

Non avrei creduto possibile nascondersi per giorni, settimane, mesi all’ECGS. L’avamposto era formato da un branco di pazzi: che possibilità potevano avere di eludere il governo dopo avere ucciso tre agenti dell’ECGS, assassinato Leisha Camden e fatto saltare in aria un aereo di soccorso dell’ente governativo? Nessuna. Nada. Non era possibile. Ecco che cosa avrei creduto.

Né avevo creduto possibile nascondersi da Huevos Verdes. Quotidianamente, di ora in ora, mi aspettavo che venissero a prendermi.

Le forme nella mia mente erano sottili e fragili, simili a nervose membrane. Vulnerabili. Insicure. Quelle forme nuotavano attorno all’immobile grata verde, come pesci spaventati. A volte sulle forme incerte si trovavano visi o abbozzi di visi. A volta i visi rappresentavano il mio.


Alle cinque di mattina del mio secondo giorno nei sotterranei, era suonato un allarme. Mi era balzato il cuore in petto; erano state rotte le loro difese. Era invece solamente la sveglia.

Peg entrò trascinando i piedi, con espressione accigliata. Spinse la mia sedia a rotelle fino a un bagno comune, mi sbatté dentro, mi tirò fuori. Non rivelai che avrei potuto facilmente farlo per mio conto. Mi portò alla mensa stipata di persone che stavano mangiando frettolosamente; le persone erano così tante che alcune stavano ingollando il cibo restando in piedi. Estrasse quindi un pezzo di carta dalla tasca e me lo lanciò contro con rabbia.

— Ecco qui. È tuo.

Si trattava della stampa di una tabella dal titolo ARLEN, DREW, ASSEGNAZIONE TEMPORANEA 5a COMPAGNIA. — Sono assegnato alla Quinta Compagnia. È il tuo gruppo, Peg?

Lei sbuffò di derisione e mi fece ruotare così bruscamente che rischiai quasi di rotolar giù dalla sedia a rotelle.

La 5a Compagnia si riunì in un’immensa stanza vuota nel sotterraneo: un campo di parata. Non vidi Joncey, Abigail o altre persone che potessi riconoscere. Per due ore, venti persone fecero esercizi ginnici. Io feci, intenzionalmente, pallide imitazioni seduto sulla sedia. Peg sbuffava e sudava.

Arrivarono poi due ore di istruzioni olografiche sulle armi… propellenti, laser, biologiche, gravitazionali; restai sbalordito dal fatto che Hubbley me le lasciasse vedere ma poi, in fondo, no. Egli non si aspettava che io avessi mai più l’opportunità di parlarne con altri.

Mentre l’ologramma spiegava il caricamento delle armi, la manutenzione e l’uso, i venti membri della 5a Compagnia si esercitavano con quelle vere. Io mi trovavo a tre metri dallo strappare un fucile a Peg e ammazzarla. Lei non sembrava preoccupata di ciò anche se notai alcuni altri lanciarmi fugaci occhiate durissime. Probabilmente Peg non aveva obbiettato perché erano stati ordini di Hubbley. Forse era quello il modo in cui Francis Marion aveva convertito i suoi prigionieri di guerra.

Pranzo, quindi altri esercizi fisici, poi un olo-programma su come vivere dei frutti della terra. Incredibilmente, questo arrivava dall’Ufficio Documentazione del governo. Mi addormentai.

Peg sferrò un calcio contro la mia sedia. — Verità Politica, tu.

Mi spinse più vicino alla compagnia che stava seduta a semicerchio sul pavimento, davanti all’olo-palco. Tutti sedevano a schiena eretta. Riuscivo ad avvertire forme tese che si facevano sempre più tese nella mia mente. L’atmosfera si fece elettrica e pesante. Eravamo lì per qualcosa di più interessante dell’Ufficio Documentazione del governo.

Arrivò Jimmy Hubbley e si sedette insieme alla compagnia. Nessuno gli rivolse la parola. Iniziò un nuovo olo-filmato.

Aveva lo spessore deliberatamente granuloso riservato a filmati non montati, eseguiti in tempo reale. Non esisteva modo per alterarne alcuna parte senza distruggerli interamente. Si tratta della stessa tecnica di creazione-olografica che utilizzo nei miei concerti, anche se la mia attrezzatura compensa la granulosità con margini deliberatamente sfocati, come in un sogno. È tuttavia importante che la gente veda un vero concerto dal vivo e non una versione rappezzata e riprodotta in seguito. Hanno bisogno di sapere che sono veramente io.

Quell’ologramma era realmente accaduto.

Mostrava i clandestini, incluso James Hubbley, che confiscavano il disgregatore di duragem in un laboratorio fuorilegge. Gli inventori vennero quindi costretti a produrre immense quantità di disgregatori che furono successivamente riposte in piccoli involucri completamente dissolubili una volta aperti. Non era stato messo in circolazione nulla finché i contenitori non erano stati distribuiti in tutti gli Stati Uniti. A quel punto il disgregatore con meccanismo a orologeria era stato rilasciato simultaneamente dappertutto, così che non era stato possibile risalire a una fonte. Stavo guardando un documento informativo per conoscere il quale l’ECGS avrebbe dato la propria vita collettiva.

Il laboratorio fuorilegge originario era stato localizzato a Nord dello Stato di New York, nelle Montagne Adirondacks, presso un cittadina chiamata East Oleanta.

Rimasi seduto in silenzio, lasciando che le forme nella mia mente mi sopraffacessero. Non aveva senso cercare di combatterle. Miranda aveva sempre detto che East Oleanta era stata scelta a caso per il progetto di Huevos Verdes, estrapolata da un programma casuale generato dal computer per evitare i programmi di localizzazione deduttiva dell’ECGS. Ecco quello che mi aveva detto.

"Sei una parte necessaria del progetto, Drew. Un membro a pieno titolo."

— D’accordo — disse Jimmy Hubbley, quando l’olo-filmato si spense. Adesso chi mi sa dire perché ci rivediamo questo ologramma in continuazione?

Una ragazzina disse con fervore: — Perché noi condividiamo le conoscenze, noi. Non come i Muli.

— Va bene, Ida. — Hubbley le sorrise.

Un uomo disse, con voce profonda e con l’accento tipico delle zone dell’interno: — Noi abbiamo bisogno di sapere, noi, i fatti così che possiamo prendere decisioni giuste per il nostro paese. L’ideale di un’America per veri americani, umani. La volontà di arrivarci.

— Bene — commentò Hubbley. — Non vi sembra giusto, soldati?

Qualcuno disse con una certa esitazione: — Ma non significa, questo, che dovremmo chiedere a tutti nell’intero paese che cosa pensano loro? Una votazione?

Ci fu un po’ di agitazione nella stanza.

— Se avessero tutte le nostre conoscenze, Bobby, allora significherebbe sicuramente questo — disse con espressione seria Hubbley. Nei suoi occhi chiari scintillò una luce. — Ma non sanno tutte le cose che sappiamo noi. Non hanno avuto il privilegio di combattere per la libertà in prima linea. In particolare, non hanno visto l’olo-filmato del laboratorio sequestrato. Non sanno che armi abbiamo adesso dalla nostra parte. Potrebbero pensare che questa rivoluzione qui è senza speranza, non sapendolo. Ma noi sappiamo. Abbiamo quindi l’obbligo di decidere per loro e di agire a favore di tutti i nostri compagni americani.

Le teste annuirono. Capivo quanto si sentissero speciali Ida, Bobby e Peg a decidere, così altruisticamente, nel migliore interesse di tutti gli americani. Proprio come aveva fatto Francis Marion.

Udii la voce di Miranda nel cervello: "Non è possibile che comprendano le conseguenza biologiche e sociali del progetto, Drew, più di quanto le persone del periodo di Kenzo Yagai siano state in grado di prevedere le conseguenze sociali dell’onnipresente energia a basso costo. Egli è dovuto andare avanti e svilupparla sulla base delle sue migliori proiezioni informatiche. Così facciamo anche noi. Loro non potranno capire effettivamente finché non sarà accaduto."

Perché loro erano normali. Come Drew Arlen.

Ci fu un lungo silenzio. Hubbley disse: — Ho detto che non sanno quello che abbiamo e volevo proprio dire questo. Ma è maledettamente certo che lo scopriranno. Campbell, portalo dentro.

Campbell entrò da uno dei numerosi corridoi, trascinando un Vivo nudo e ammanettato. L’individuo rappresentava una vista penosa: alto appena un metro e cinquantacinque contro i due metri di Campbell opponeva una strenua quanto futile resistenza. Venne ribaltato e i calcagni nudi strisciarono sul pavimento. Non emise un suono.

Hubbley disse: — La robocamera è pronta?

Qualcuno alle sue spalle rispose: — L’ho appena accesa, Jimmy.

— Bene. Adesso, sapete che questo filmato è del tipo che non può essere manipolato senza autodistruggersi. E voi spettatori, là fuori, lo sapete anche voi. Figliolo, guardami quando sto parlando.

Il prigioniero sollevò la testa. Non fece nemmeno lo sforzo di coprirsi i genitali. Vidi che la sua statura piccola non era dovuta a cattivi geni da Vivo: era un ragazzino. Tredici anni, forse quattordici ed era modificato geneticamente. Si vedeva dai brillanti occhi verdi, dalla netta e bella linea della mascella. Ma non era un Mulo. Era un tecnico, quella genia di famiglie di confine che non si possono permettere una modificazione genetica completa, inclusi i costosissimi potenziatori di QI, ma che aspirano a essere qualcosa più dei Vivi. Acquistano per i loro figli solamente le modificazioni riguardanti l’aspetto fisico, i cervelli a metà strada fra i robot e quelli da Mulo. I miei assistenti erano tecnici. A Huevos Verdes, si sarebbe potuto affermare che il nipote di Kevin Baker, Jason, un Insonne, fosse, nonostante tutto, un tecnico.

Il ragazzino appariva terrorizzato.

Hubbley disse, non al ragazzo: — Come veniva chiamato il generale Francis Marion dal suo giovane luogotenente?

Peg rispose con ardore: — "Orribile, bisbetico figlio di puttana col naso adunco e le gambe a X!"

— Vedi, figliolo — spiegò gentilmente Hubbley al ragazzino — il generale Marion non era modificato geneticamente. Era semplicemente come il suo Dio lo aveva fatto. Ed è diventato il più grande eroe che questo paese ha mai avuto. Curtis, che cosa diceva il generale Marion su come ci si doveva comportare quando si era troppo inferiori di numero rispetto al nemico per attaccarlo direttamente?

Un uomo alla mia sinistra rispose prontamente: — "Li spingo così tanto da separarli".

— Assolutamente giusto. Ed è esattamente quello che stiamo facendo noi, spettatori là fuori. Spingiamo. Questo qui è un nemico catturato, lavoratore in una clinica di modificazione genetica. I genitori portano i loro innocenti bambini, non ancora nati, in questi posti e li trasformano in qualcosa che non è umano. I loro stessi figli. Per qualcuno di noi questo è praticamente inconcepibile.

Avrei voluto dire che le modificazioni genetiche in vitro avvenivano prima ancora che ci fosse un "bimbo", che venivano effettuate sull’ovulo fertilizzato in biostasi artificiale. Avevo però la lingua appiccicata al palato. Il ragazzino tecnico fissava davanti a sé senza vedere nulla, come un coniglio colto dagli abbaglianti di un’auto.

— Adesso voi potete pensare che questo ragazzino qui è troppo giovane per potere essere ritenuto responsabile delle sue azioni. Però ha quindici anni. Junie, quanti anni aveva il nipote di Francis Marion, Gabriel Marion, quando è stato ucciso mentre combatteva il nemico alla Piantagione di Mount Pleasant?

— Quattordici — rispose una voce femminile. Dalla mia sedia a rotelle non riuscii a vedere il suo volto.

La voce di Hubbley si fece confidenziale. Egli si sporse leggermente in avanti: — Vedete tutto, là fuori, vero? Questa è guerra. Parliamo sul serio. Abbiamo l’Ideale riguardo al genere di paese dove vogliamo vivere e abbiamo la Volontà per ottenerlo. Indipendentemente da qual è il costo personale. Earl, di’ a tutti i nostri spettatori là fuori dell’ECGS, della signora Rebecca Motte.

Un uomo che indossava una tuta color porpora si alzò goffamente, con le braccia che gli penzolavano lungo i fianchi. — L’undici maggio…

— Il dieci maggio — corresse Hubbley.

— Il dieci maggio il generale Marion e i suoi uomini attaccarono la piantagione di Mount Pleasant, loro, perché gli inglesi l’avevano presa come quartier generale. Avevano fatto spostare la signora Rebecca Motte e i suoi figli in una legnaia. La sua casa era così ben fortificata contro un attacco diretto che il generale ha deciso, lui, di lanciare frecce incendiarie per mandarla a fuoco. Però non ci avevano nessun buon arco o frecce. Il cavalleggero Harry Lee, che stava lavorando con il generale Marion, lui, andò a dire alla signora Motte che dovevano incendiare la sua casa. Lei se n’è entrata nella legnaia ed è uscita fuori con un magnifico arco con le frecce, vera roba da Muli. E lei ha detto sulla sua casa, lei: "Anche se fosse un palazzo, dovrebbe andare". — Earl si sedette.

Hubbley annuì. — Sacrificio autentico. Autentica patriota la signora Rebecca Motte. Hai sentito, figliolo?

Il tecnico non sembrava sentire proprio niente. Era drogato?

Leisha mi aveva sempre ammonito di non credere ai più coloriti racconti della storia.

— Gli agenti dell’ECGS sono tutti traditori, fanno finta di salvaguardare la purezza degli esseri umani mentre in effetti permettono ogni tipo di abominio. E stanno consegnando questo grande paese nelle mani di quegli stessi abomini, i Muli. Joncey, che cosa ha detto il generale Marion nel suo discorso agli uomini prima che attaccassero Doyle a Lynche’s Creek?

La voce di Joncey, così più forte e a proprio agio di quella di Earl, recitò: — "Ma, amici miei, se dovremo essere distrutti per avere resistito coraggiosamente ai nostri tiranni, che cosa ne sarà di noi se ci sottometteremo docilmente, arrendendoci a loro?"

Mi voltai. La stanza era piena di persone, tutti i "rivoluzionari" di altre "compagnie". Fissando il giovane tecnico, non mi ero nemmeno accorto che fossero entrati. Neppure, ero convinto, se n’era accorto lui.

Hubbley disse: — Questo ragazzo qui è un traditore. Lavorava in una clinica di modificazioni genetiche. Morirà come un traditore e voi tutti là fuori ricordatevi che non sarà l’unico né oggi, né domani, né dopodomani. Abby?

Abigail avanzò uscendo dalla folla. Portava un involucro grigio informe, non più grosso del suo pugno chiuso.

— Abby — disse Hubbley — che cosa faceva il generale Marion con i beni confiscati al nemico?

Lei si voltò per parlare direttamente verso la robocamera. — Ogni sega metallica che riusciva a trovare la brigata, lei, veniva trasformata in una spada.

— È perfettamente giusto. E questa qui — sollevò l’involucro alto sopra la sua testa — è una sega. Non è nemmeno stata prodotta in qualche laboratorio illegale di modificazione genetica. Questa qui viene direttamente dal più grande traditore di tutti: il cosiddetto governo degli Stati Uniti. — Rigirò l’involucro. Vi vidi stampigliato sopra PROPRIETÀ DELL’ESERCITO STATUNITENSE. SEGRETO. PERICOLO.

Non riuscii a crederci. Hubbley ci aveva dipinto sopra quelle parole. Non potevo crederci e non sapevo, ancora, che cosa contenesse l’involucro. La grata nella mia mente vibrò, come se ci passasse attraverso il vento.

— D’accordo, Abby — disse Hubbley — fallo.

Abby, volgendomi la schiena, fece qualcosa che non riuscii a vedere. Lo scintillio di uno spesso campo a energia-Y apparve attorno al tecnico nudo, un emisfero a cupola dotato di un pavimento del diametro di circa due metri. L’involucro era sistemato all’interno dello scintillio.

Il ragazzino non era drogato, dopotutto. Cominciò immediatamente a strillare. Il suono non poteva passare attraverso lo scudo, non faceva penetrare nulla, nemmeno l’aria. Il ragazzo picchiò i pugni contro l’interno della cupola e gridò, la bocca spalancata, una caverna rosa, gli occhi sbarrati dal terrore. C’era una leggera peluria sopra il labbro superiore, il piumino di un uccellino ancora implume, e ben poco di più sul suo pube.

Jimmy Hubbley appariva disgustato. — Vive provocando morte e non sa nemmeno morire da uomo. Fallo, Abby.

Qualunque cosa fece Abby, non riuscii a vederla. L’involucro si fece rilucente, quindi si dissolse in una poltiglia grigia.

— Questa qui è la vostra sega di metallo che avevate fatto per segarci — disse Hubbley — ma noi ne abbiamo fatto una spada. Tutti quelli che avranno impugnato la spada, di spada periranno. Matteo 26:52. Voi sapete già che cosa fa questa roba. Ma per quelli che non lo sanno — guardò me direttamente — lo ripeterò. Questo qui si porta via le pareti cellulari, le cellule di esseri umani viventi. Così.

Il ragazzino aveva smesso di picchiare contro lo scudo. Stava ancora gridando, ma la sua bocca aveva cominciato a cambiare forma. Si stava dissolvendo. Non era la stessa cosa di quando si versava dell’acido addosso a qualcuno. La carne del ragazzo non stava bruciando, si stava sciogliendo, come il ghiaccio in primavera. Pezzettini di pelle caddero sul pavimento all’interno della cupola, esponendo la carne viva, e poi caddero pezzi anche di quella. Egli continuò a strillare, strillare, strillare.

Al ragazzo occorsero circa tre minuti per morire.

A quel punto tutti si mossero. La robocamera doveva essere stata spenta. Le forme nella mia mente erano impregnate di catrame, ripugnanti. Non avevo fatto nulla per salvare il ragazzo. Non avevo nemmeno cercato di parlare. Non avevo cercato di farmi filmare sul nastro non modificabile, per fornire agli spettatori qualche indizio su dove stesse avendo luogo quella azione abominevole: non avevo fatto nulla.

— È fatta — disse Jimmy Hubbley, chiaramente compiaciuto di sé. — Siete tutti congedati. E Signor Arlen, signore, penso che è meglio se Peg la riporta nella sua stanza. Sembra che non sta troppo bene. Se non è un’impertinenza troppo grossa per me dirglielo.


Andò avanti così per settimane.

Addestramento fisico, olo-filmati sullo stato della società (dove erano stati fatti?), esercitazioni politiche. Era peggio che trovarsi di nuovo a scuola. Continuai a trovare piccoli rombi di pizzo dell’abito da sposa di Abigail, e Peg non spinse mai la mia sedia a rotelle in alcun posto che si trovasse a distanza di sputo da un terminale.

Non ci furono più esecuzioni.

Avevo un maledetto bisogno di bere. Hubbley disse di no. Concedeva alcune droghe perché non rallentavano il tempo di reazione. Io volevo bere perché quello rallentava il tempo di reazione.

Hubbley mi aveva concesso un insulso terminale portatile, del genere usato a scuola dai bambini, e una biblioteca enciclopedica standard. Una volta gli dissi, poiché non ero riuscito a trattenere le parole: — Francis Marion scoraggiava l’uccisione dei prigionieri. Fece perfino scappare un conservatore, Jeff Butler, dal proprio campo quando sembrò che i suoi uomini potessero ammazzarlo.

Hubbley rise deliziato e si sfregò il bozzo sul collo. — Maledizione, ha studiato figliolo, che diavolo, ha studiato! Sono maledettamente fiero di lei!

I denti mi fecero male da quanto li digrignai. — Hubbley…

— Ma non significa proprio niente, signor Arlen, signore. No, non significa niente. Il generale Marion mostrò compassione verso i conservatori perché facevano parte della sua stessa razza, erano suoi vicini che vivevano dei frutti della terra proprio come lui. Non mostrò la stessa compassione nei confronti dei soldati inglesi, vero? I Muli non sono della nostra razza. Non sono i nostri vicini nelle loro enclavi snob. E di certo non vivono come noi, deprivati di istruzione, proprietà privata e autentico potere. No, i Muli sono come gli inglesi, signor Arlen. Non Jeff Butler, ma il capitano James Lewis dell’Esercito di Sua Maestà che fu ucciso da un patriota quattordicenne di nome Gwynn. Questa è legge di natura, figliolo. Proteggi i tuoi.

— Marion non…

— Di’ "generale Marion" tu! — strillò Peg. Lanciò un’occhiata a Hubbley come un cane che spera di ricevere una carezza sulla testa. Hubbley sorrise, mettendo in mostra i denti spezzati.

Quelle erano le persone che avevano sparso per il paese il disgregatore di duragem, distruggendo la civiltà. Quelle.

Ed essa era distrutta. Gli olo-visori nelle mense ricevevano i canali dei Muli. Non c’era praticamente più nessun treno a gravità che funzionasse in orario, specialmente fuori dalla città. La maggior parte dei tecnici era stata trasferita in aree ad alta densità di popolazione, dove si trovavano votanti e pericolo di rivolte. La sicurezza era stata triplicata nella maggior parte delle enclavi. Volavano pochi aerei, il che significava che il paese veniva governato fondamentalmente tramite teleconferenze a distanza. Le unità mediche si rompevano costantemente. Non emettevano diagnosi errate: avevano semplicemente smesso di emettere diagnosi.

Una malattia di tipo virale si stava diffondendo nella California del sud. Nessuno sapeva se si trattava di una mutazione naturale o di bioingegneria.

Un messia Vivo nel Texas orientale aveva proclamato che quello era il Tempo della Fine. Citava le Rivelazioni sui quattro cavalieri dell’Apocalisse con qualche variazione: il cavaliere della guerra doveva essere sguinzagliato dai Vivi. Subito. Quando la squadra di sicurezza di Stato aveva cercato di arrestarlo, lui e i suoi seguaci avevano fatto saltare in aria trentatré persone con armi illegali messicane. Il governatore, aveva detto preoccupato il notiziario, era virtualmente certo di non riuscire a essere rieletto.

In Kansas, una fabbrica di soia sintetica posseduta dalla concessionaria D’Angelo era stata fatta a pezzi da un’orda che si era portata via la soia trattata e quella non trattata. La folla aveva anche distrutto tre milioni di dollari di macchinari robotici.

Il vicegovernatore del Sud Dakota era stato accoltellato a morte nel sonno, inspiegabilmente, all’interno di una enclave protetta.

I Vivi di San Diego avevano fatto irruzione nello zoo famoso in tutto il mondo, avevano ucciso un leone e due ele-ippopotami e se li erano mangiati, fidandosi di un rapporto che diceva che gli animali non potevano essere attaccati dalla nuova malattia.

Il nord-est era stato colpito da un inverno anticipato. Le cittadine più piccole, come East Oleanta, erano isolate e prive di treni a gravità, i cittadini morivano di fame per mancanza di cibo.

Dov’era Miranda? E che cosa stava aspettando? A meno che qualcosa non fosse andato storto negli ultimi stadi del progetto. A meno che l’ECGS non avesse scoperto l’Eden, rintracciandolo tramite le voci disseminate con prudenza nelle piccole cittadine isolate dei Vivi.

Per la prima volta mi chiesi se sarebbe effettivamente venuta a prendermi.

— La grandezza della Costituzione sta nella Volontà del suo popolo — disse Jimmy Hubbley, con gli occhi chiari che brillavano.

"La grandezza della Costituzione sta nei suoi controlli ed equilibri" aveva sempre detto Leisha. Leisha.

La grata scura nella mia mente era ripiegata, stretta come un ombrello, impenetrabile, una linea acuminata e sottile che mi tagliava dentro.

Dove stavano i controlli e gli equilibri rispetto a Huevos Verdes?

— Portami ancora in giro per il campo — dissi a Peg.

Lei stava stravaccata su una sedia nella sala mensa e guardava una gara di scooter che si stava svolgendo da qualche parte in California. Una parte della California senza peste. — Non voglio, io, portarti di nuovo. Hai visto tutto quello che dovevi vedere, tu.

— Benissimo. Andrò da solo. — Mi allontanai da lei spingendo la sedia a rotelle. Non osavo esercitare la parte superiore del mio corpo, nemmeno dopo essere stato chiuso a chiave in camera di notte. Non riuscivo a vedere i monitor della sorveglianza ma sapevo che dovevano esserci. Mi accontentavo di alzarmi furtivamente pochi centimetri al di sopra dei braccioli della sedia svariate volte al giorno, sollevando le gambe inutilizzabili, attento a scegliere ogni giorno un luogo differente per farlo.

— Aspetta, tu — sospirò Peg e si alzò. Spinse con maniere rozze la sedia in avanti.

Un corridoio bianco con le porte, prive di segni caratteristici, bloccate. Ne incontrai altri due nelle medesime condizioni.

La zona di atterraggio, sorvegliata da Campbell che stava dormendo, ma non profondamente. Un altro corridoio bianco con le…

C’era un pezzo dell’abito da sposa di Abby impigliato su un punto sporgente della parete.

— Maledizione! — disse Peg con più energia di quanto non le avessi mai sentito dire prima. — Quella puttana non riesce a tenere mai niente in ordine, lei! Questa stupida roba è dappertutto! — Staccò selvaggiamente il piccolo rombo e lo strappò in pezzettini anche più piccoli, il volto pieno di furiose chiazze rosse. Aveva le lacrime agli occhi.

Perché mai c’era un punto sporgente su una parete nano-tecnologicamente liscia da lasciarci impigliato un ritaglio di pizzo?

— Stupida puttana! — ripeté Peg. Le si incrinò la voce.

— Caspita, Peg — dissi io. — Sei gelosa.

— Chiudi il becco, tu!

Per mezzo della zona dotata di zoom delle mie cornee notai che il punto sporgente sulla parete aveva l’aria di essere stato aggiunto. Non rappresentava un errore nella nano-programmazione, ma una sporgenza aggiunta in seguito, con un altro nano-assemblatore dotato di meccanismo a orologeria, manualmente. Perché?

Per fare impigliare un rombo di pizzo?

Ogni rombo era differente. Il pizzo era stato studiato in quel modo. Per creare uno schema unico su un abito da sposa vecchio stile.

Per creare un codice.

Peg si era ripresa. Mostrando ancora una volta un’espressione vacua, ma con gli occhi arrossati, si infilò il pezzo strappato di pizzo nella tasca dell’odiosa e inadatta tuta turchese. Aveva la bocca contratta in una smorfia di dolore. Nella mente non mi scivolò alcuna forma di simpatia. Peg non sapeva che cosa fosse il dolore. Peg non aveva visto morire Leisha, con il fango che le macchiava la sottile camicetta gialla e due punti rossi sulla fronte.

— Andiamo — disse lei con impazienza, come se fossi stato io a farla attardare.

Un codice. I frammenti di pizzo erano un codice, in un luogo in cui ogni parola, ogni azione, ogni incontro casuale era monitorato. E dove tutti erano incoraggiati a essere "ordinati" e a portar via la spazzatura perché il brigadiere generale Francis Marion era stato il più ordinato figlio di puttana che avesse mai attaccato l’esercito inglese.

Quante persone erano coinvolte? Quasi certamente Abigail e Joncey. Chi avevano con sé contro Hubbley? Avevano qualcuno anche all’esterno?

Vidi nuovamente l’involucro grigio. PROPRIETÀ DELL’ESERCITO STATUNITENSE. SEGRETO. PERICOLO.

— Visto — latrò Peg quando fummo tornati alla sala comune — hai visto tutto, tu! Adesso ce ne possiamo stare un po’ fermi?

— Mi stufo a stare fermo — risposi io. — Facciamo un altro giro. — E cominciai a spingere la primitiva carrozzella sentendomi alle spalle gli improperi.

Tre giorni dopo, tre giorni di incessante spingere, la porta dei quartieri privati di Jimmy Hubbley si aprì e lui e Abigail uscirono. Quando Abigail vide Peg, abbassò gli occhi, sorrise e fece finta di finire di allacciarsi la cerniera dei pantaloni della tuta.

Peg era alle mie spalle, dove non potevo vedere il suo volto, ma riuscii a sentire le sue mani, grandi e grezze sulle maniglie della sedia a rotelle. Capii che sapeva già di Abigail e Hubbley. Era ovvio. Tutti dovevano saperlo: non ci si poteva nascondere in un posto del genere. Joncey doveva accettarlo. Forse questo aiutava i progetti suoi e di Abby per la contro-rivoluzione. Forse lui pensava che Hubbley stesse soltanto diffondendo i suoi geni nel modo naturale e permesso per rafforzare il genoma umano. Forse Hubbley pensava di diffondere quelli di Francis Marion con ogni soldatessa carina che avesse rispetto dell’Ideale e della Volontà.

— ’Sera Peg — disse Hubbley. Lei tossì una specie di risposta. Abigail sorrise in modo riservato. Quella ragazza creava una forma nella mia mente: fiori con piccolissimi denti letali nel centro giallo sole.

— ’Sera, maggiore Hubbley — bofonchiò Peg. Non sapevo nemmeno che fosse stato promosso.

Adesso, però, lo avevo in pugno.


A cena la sala mensa era stipata. Abigail era seduta con degli amici, ridendo, cucendo il suo abito da sposa di pizzo bianco. Aveva il volto arrossato e allegro. Sopra di noi, nel mondo che conoscevo soltanto tramite l’olo-terminale, era novembre. Sessantasette giorni in un sotterraneo e Miranda non era arrivata.

Joncey era in piedi in mezzo a un gruppetto che guardava un paio di giocatori d’azzardo giocare a Devil. I dadi a dodici facce, fatti di un metallo scintillante, balenavano quando venivano lanciati in alto. Tutti strillavano e ridevano. Peg era stravaccata sulla sua sedia, col volto vacuo e le rozze mani appoggiate sulle ginocchia. Le avevo chiesto che mi portasse carta e penna, cosa che l’aveva resa dapprima sospettosa, quindi disgustata.

— Per farci che? Hai il terminale-biblioteca, tu.

— Voglio scrivere qualcosa.

— Puoi dire, tu, al terminale tutto quello che vuoi salvato.

— Voglio scriverlo. Su carta.

Il sospetto crebbe. — Sai scrivere?

— Sì.

— Pensavo che il maggiore Hubbley aveva detto, lui, che tu non eri un Mulo, tu.

— Sono stato in scuole per Muli. So scrivere. E tu non sai leggere?

— Certo che so leggere, io!

Probabilmente era vero, quanto meno un pochino. I bambini dei Vivi imparavano generalmente a leggere le parole fondamentali, se non a scriverle. Era necessario saper leggere i nomi sui pacchi nel deposito, sui cartelli stradali, sui tagliandi per scommettere agli scooter. Speravo maledettamente che sapesse leggere.

Un monitor invisibile mi stava ovviamente fissando. Mi chinai sulla carta che Peg mi aveva portato, fogli chiari ma ruvidi, destinati probabilmente per incartare qualcosa. Non riuscivo a ricordare quando fosse stata l’ultima volta che avevo scritto qualcosa. Non ero stato mai particolarmente bravo. La penna mi sembrava pesante in mano.

"Drew, tienila così."

"Per fare che, Leisha? Posso dire, io, al terminale tutto quello che voglio sapere."

"E se un giorno non ci fossero terminali?"

"Col piffero! Ci saranno sempre terminali, loro!"

Scrissi lentamente a stampatello UNA ISTERIA DELA SECCONDA REVALUZIONE AMERICANA.

Tre ore più tardi, dopo un gran accartocciare e strappare carta e agitarmi sulla sedia, avevo ben tre pagine tutte scritte. Descrivevano la filosofia, le attività e gli obiettivi di James Francis Marion Hubbley. Lo stesso Hubbley attraversò a grandi passi la stanza, torreggiando su di me. Mi chiesi come mai gli era occorso tanto.

— Ora, signor Arlen, signore, sono veramente felice che si è interessato tanto alla nostra rivoluzione da volerla scrivere. Ma, naturalmente, voglio controllare quello che ha scritto, per precisione. Lo capisce, figliolo?

— Significa che pensa che qualcuno lo vedrà sul serio? — dissi, consegnandogli le carte. Stuzzicarlo, però, non sortì alcun effetto. Il suo volto, sempre ossuto, appariva tirato e desolato. La pelle attorno agli occhi si increspava in spesse rughe. Dette a malapena un’occhiata alla mia "isteria".

— Che diavolo, è bella, figliolo. Solo che c’è bisogno di più sul colonnello Marion. L’ispirazione è il cuore dell’azione, diciamo sempre.

— Non ho mai sentito nessuno di voi dirlo.

— Mmmh — commentò lui, senza avermi effettivamente ascoltato. Si guardò distrattamente attorno nella stanza. Abigail stava ancora ridendo in modo squillante con i suoi amici, cucendo il perenne abito da sposa: ci stava sopra da oltre tre ore. Ormai era incinta di sette mesi e il pizzo bianco le si appoggiava sul rigonfiamento del ventre. Joncey, il dottore e Campbell erano spariti. Peg, sveglia accanto a me, fissava Hubbley come fosse il sole. Stava succedendo qualcosa, qualcosa che non capivo.

Le forme nella mia mente erano serrate e dure, chiuse come la grata scura. Stavo esaurendo il tempo.

Serrando le mani sui braccioli della sedia a rotelle, sollevai il busto di pochi centimetri dal sedile. Spostai quindi il peso sulla mano sinistra finché la sedia si ribaltò. Caddi addosso a Peg che, istantaneamente mi afferrò la gola, stringendo. Lottai con me stesso per non reagire. Ogni fibra delle mie braccia gridava per mollarle un cazzotto, ma rimasi immobile, con gli occhi sbarrati, soffocando a morte. La stanza ondeggiò, si offuscò. Passò un’eternità prima che Jimmy Hubbley me la togliesse di dosso.

— Forza, Peg, lascia andare, quest’uomo non sta lottando, è soltanto caduto. Peg! Lascialo!

Lei lo fece, all’istante. L’aria mi riempì di nuovo i polmoni, bruciante e dolorosa come acido. Ansimai e rantolai.

Hubbley stava bloccando Peg anche se lei lo superava in altezza di venticinque centimetri ed era indubbiamente più forte di lui. Egli le tenne un braccio attorno alla vita. Con l’altra mano rigirò la sedia. Si erano radunati molti spettatori.

— Forza, ragazzi, non è successo niente. La sedia del signor Arlen si è ribaltata, vedete come è piegata questa cosa di metallo qui sotto? Calmati adesso, Peg. Caspita, non è nemmeno armato. Si è fatto male signor Arlen, signore?

— N-n-no.

— Cavoli, queste cose succedono. Starrett, rimetti il signor Arlen su questa sedia qui. Dov’è Bobby? Eccoti. Bobby questo è il tuo dipartimento, raddrizza questo metallo così che la sedia a rotelle non gli si ribalti un’altra volta. È decisamente pericoloso. Adesso, è quasi ora di spegnere le luci, quindi andate tutti nei vostri alloggi.

Venni sollevato su una sedia della mensa. Bobby tirò fuori un attrezzo elettrico dalla tasca e raddrizzò il montante in metallo, posto sotto la sedia, in quindici secondi. Mancandomi un attrezzo elettrico mi era occorsa mezz’ora e tutta la forza che avevo in corpo per piegarlo, quel pomeriggio.

Hubbley tolse il braccio dalla vita di Peg, che rabbrividì. L’uomo lasciò la stanza. Recuperai la mia "isteria" e lasciai che Peg spingesse la carrozzella fino in camera da letto e mi bloccasse dentro. Era brusca, arrabbiata con se stessa per avere esagerato nella reazione e si stava chiedendo se qualcun altro si fosse accorto quanto disperatamente aveva protetto Jimmy Hubbley. Non sapeva davvero che tutti gli altri si erano accorti e la prendevano in giro per la sua passione senza speranza. Povera Peg. Stupida Peg. Stavo contando sulla sua stupidità.

Arrivato in camera raggomitolai la coperta sul letto, cercando di far sembrare che mi ci trovassi sotto. Non fu facile: la coperta era sottile. Lasciai la sedia a rotelle vuota in modo che balzasse all’occhio, sulla mia destra, visibile non appena la porta si fosse aperta anche parzialmente. Mi posizionai proprio dietro la porta, accovacciato contro la parete, con le gambe inutilizzabili rannicchiate sotto di me.

Quanto sarebbe occorso a Peg per spogliarsi? Si controllava sempre le tasche? Certo che sì. Era una professionista. Una professionista stupida, però. E malata di passione.

Stupida e malata abbastanza? Se no, ero morto come Leisha.

Ero seduto più o meno nella stessa posizione in cui Leisha era morta. Leisha però non aveva mai saputo che cosa l’avesse colpita. Io sì. Le forme nella mia mente erano tese e veloci, squali argentei che giravano attorno alla grata verde e chiusa.

L’annotazione nella tasca di Peg era scritta con la stessa matita della mia "isteria", ma non su spessa carta da pacco chiara. Era scritta su un ritaglio di pizzo dell’abito da sposa di Abigail, un rombo lasciato-molto-distrattamente lungo un corridoio, un rombo con meno buchi di pizzo del solito e quindi con lo spazio per scribacchiare, utilizzando la grafia più differente possibile dalla mia "isteria" che ero riuscito a ottenere. Ovviamente un esperto grafologo avrebbe visto immediatamente che la scrittura era della stessa persona. Ma Peg non era un’esperta grafologa. Peg era a malapena in grado di leggere. Peg era stupida. Peg era marcia di passione, gelosia e desiderio di protezione per il suo folle capo.

La nota diceva: "Lei è traditore. Piano con me. Camera di Arlen più sicura". L’avevo scritta fra tutto l’accartocciare, lo strappare e l’armeggiare con la mia "isteria" e non era stato difficile farla scivolare nella tasca di Peg. Non per una persona che aveva un tempo infilato la mano in tasca al governatore del Nuovo Messico, ospite di Leisha, perché il governatore era un Mulo importante e io ero uno scialbo ragazzino menomato che era stato appena buttato fuori a calci dalla terza scuola dove i soldi da Mulo di Leisha avevano cercato di farmi restare.

"Leisha…"

Gli squali argentati si muovevano sempre più velocemente attraverso la mia mente. Peg sarebbe riuscita a decifrare la parola "traditore"? Forse sarei dovuto rimanere sulle parole di una sola sillaba. Forse era più professionista che non malata d’amore, o meno stupida che gelosa. Forse…

La serratura si illuminò. La porta si aprì. Nello stesso secondo in cui lei fu dentro io le sbattei in faccia la sedia a rotelle, sollevandola in alto con ogni briciolo della forza dei miei muscoli delle braccia potenziati. Lei ricadde contro la porta, chiudendola. Restò stordita per un solo istante, ma era solo di un istante che io avevo bisogno. Brandii nuovamente la sedia, questa volta puntando il bracciolo, che avevo piegato ad angolo, direttamente contro il suo stomaco. Se fosse stata un uomo avrei mirato alle palle. Con estrema pazienza avevo rimosso l’imbottitura del bracciolo e avevo lavorato il metallo, avanti e indietro, col sudore che mi colava lungo la faccia, finché non si era spezzato, formando una punta, quindi avevo riapplicato il bracciolo. Mi erano occorsi giorni, per nascondere il mio lavoro sia ai monitor sia a Peg. Al metallo affilato e spezzato occorse soltanto qualche secondo per trafiggere l’addome di Peg e impalarla.

Lei gridò, afferrò il metallo e cadde sulle ginocchia, bloccata dall’ingombro della sedia. Era forte, però: in un momento aveva tirato fuori dalla carne il bracciolo spezzato. Il sangue le scorreva dal ventre, ma non tanto quanto io avevo sperato. Si voltò verso di me e mi accorsi che, in tutti i miei concerti, in tutto il mio lavoro con le forme inconsce della mia mente, non avevo mai creato nulla di così selvaggio come l’aspetto del volto di Peg in quel momento.

Adesso però lei era in ginocchio, al mio livello. Era forte, allenata e più grossa di me, ma io ero potenziato e ben allenato. Ci azzuffammo, riuscii a piazzarle entrambe le mani attorno al collo e strinsi.

Peg mi colpì duramente. Mi esplose un gran dolore nella testa, un geyser bruciante che spruzzò la grata scura. Tenni duro. Il dolore soffocava entrambi, soffocava ogni cosa.

Per la terza volta, la grata color porpora scomparve. Quindi scomparve anche tutto il resto.

Lentamente, molto lentamente, mi resi conto che gli oggetti nella stanza avevano forme proprie, forme che si trovavano all’esterno della mia testa. Erano solide, nitide e reali. Il mio corpo aveva forme: gambe rannicchiate sotto di me, la testa appoggiata sopra alla sedia a rotelle di metallo, le palle che gridavano dal dolore. Le mie mani avevano una forma, erano serrate, bloccate attorno al collo di Peg. Il volto di lei era paonazzo, la lingua le spuntava, gonfia, fra le labbra. Lei era morta.

Provai dolore nell’aprire le mani.

La guardai. Non avevo mai ucciso nessuno prima di allora. La guardai centimetro per centimetro. Il messaggio scarabocchiato sul pizzo era serrato fra le sue dita irrigidite.

Raddrizzai la sedia a rotelle il più velocemente possibile, infilai nuovamente l’imbottitura sul bracciolo aguzzo e issai il mio corpo dolorante su di essa. Peg aveva una pistola nella tuta, la presi. Non sapevo quanto fosse sofisticato il programma di sorveglianza della camera. A Peg era probabilmente concesso di entrare quando voleva.

Aprii la porta e mi spinsi sul corridoio. Le ruote lasciarono una sottile striscia di sangue sul pavimento perfetto, costruito con la nano-tecnologia. Non potevo farci assolutamente nulla.

Avevo osservato, durante i giri attorno al bunker, chi entrava e usciva e da quali porte. Avevo ascoltato, cercando di immaginare chi fossero gli ufficiali più fidati, chi sembrava sveglio a sufficienza per lavorare con i computer. Avevo cercato di indovinare oltre quali porte vi fossero dei terminali.

Nessuno era venuto a cercarmi. Erano passati cinque minuti da quando avevo lasciato la mia stanza. Otto. Dieci. Non era suonato alcun allarme. C’era qualcosa che non andava.

Arrivai a una porta dove speravo ci fosse un terminale: era ovviamente bloccata. Pronunciai i trucchetti di sovrapposizione che Jonathan e Miranda mi avevano insegnato, i giochetti che io non capivo, e la serratura si illuminò. Aprii la porta.

Si trattava di una stanza-magazzino, piena di moltissimi involucri metallici, ammucchiati fino al soffitto. Nessuno degli involucri era etichettato. Non c’erano terminali.

Lungo il corridoio sentii il rumore di passi in corsa. Chiusi velocemente la porta dall’interno. Il rumore di passi cessò: la camera era insonorizzata. Aprii nuovamente la porta di qualche centimetro. Adesso c’era della gente che gridava più giù, lungo il corridoio.

— Maledizione, dove sta quello, lui? Maledizione e stramaledizione! — Campbell, che non avevo mai nemmeno sentito parlare. Stavano cercando me. Il programma di sorveglianza però avrebbe dovuto mostrare chiaramente dove mi trovavo…

Un’altra voce, di una donna, bassa e letale, disse: — Prova nella stanza di Abby.

— Abby! Cazzo, c’è sotto lei! Lei e Joncey! Hanno già la stanza coi terminali…

Le voci scomparvero. Chiusi la porta. Le forme nella mia mente cominciarono improvvisamente a gonfiarsi, escludendo i pensieri. Le repressi. Allora c’eravamo. Era iniziato. Non stavano cercando me, stavano cercando Hubbley. La rivoluzione contro la rivoluzione era cominciata.

Rimasi seduto, pensando il più velocemente possibile. Leisha. Se ci fosse stata Leisha…

Leisha non era una cospiratrice. Non era un’assassina. Aveva avuto fede nell’eventuale risultato di un qualsiasi scontro fra bene e male, aveva avuto fede nelle somiglianze basilari fra gli esseri umani, aveva avuto fede nella loro abilità di concludere compromessi e vivere insieme. Gli umani potevano avere bisogno di controlli ed equilibri, ma non avevano bisogno di forza imposta, né di isolazionismo difensivo. Leisha, a differenza di Miranda, credeva nella regola della legge. Ecco perché era morta.

Aprii la porta completamente e spinsi la mia sedia a rotelle, deformata come era, nel corridoio. Dal bracciolo cadde l’imbottitura. Bloccai il corridoio, a pistola spianata, e aspettai che qualcuno girasse l’angolo. Alla fine qualcuno lo fece. Era Joncey. Gli sparai all’inguine.

Egli gridò e cadde contro la parete. Uscì molto più sangue di quanto non fosse accaduto con Peg. Portai rapidamente la carrozzella fino a lui e me lo issai in grembo, bloccandogli i polsi con una delle mie mani potenziate e tenendo la pistola con l’altra. Un altro uomo voltò l’angolo, con Abigail che gli correva dietro ondeggiando. Abigail emise un suono gemente più simile al vento che non a una voce umana.

— Ooohhhhhh…

— Non avvicinatevi ulteriormente o lo uccido. Sopravviverà, Abby, se verrà sottoposto a cure mediche, sempre che lo lasci andare in fretta. Ma se non farete ciò che vi chiederò, lo ucciderò. Anche se tirerete fuori una pistola per spararmi io sparerò prima a lui.

L’altro uomo disse: — Ammazza quel bastardo monco, tu!

— No — disse Abby, Aveva riacquistato il controllo di sé immediatamente: il suo sguardo dardeggiava come quello dei conigli in trappola, ma aveva il controllo di sé. Era un capo naturale migliore di molti altri, forse migliore di Hubbley. Io però tenevo Joncey fra le braccia e lei non era abbastanza capo per questo genere di sacrificio.

— Che cosa vuoi, Arlen? — Si passò la lingua sulle labbra, guardando il sangue scorrere fuori dall’inguine di Joncey. Era svenuto e io lo feci scivolare leggermente per liberare l’altra mano.

— Ve ne state andando, vero? Insieme a quelli che avete lasciato in vita. Avete ammazzato Hubbley?

Lei annuì. Il suo sguardo non si spostò mai da Joncey. Lui era ancora sulle mie ginocchia. Le quasi dimenticate forme delle preghiere dell’infanzia mi sferzarono la mente: "Ti prego non lasciare che muoia, adesso". Vidi le stesse forme negli occhi di Abigail.

— Lasciami qui — dissi. — Tutto qui. Qui e vivo. Qualcuno alla fine arriverà.

— Chiamerà aiuto, lui — disse l’altro uomo.

— Chiudi il becco — ribatté Abby. — Sai che nessuno può usare quei terminali se non Hubbley, Carlos e O’Dealian e sono tutti morti, loro.

— Ma, Abby…

— Chiudi il becco, tu! — Stava pensando freneticamente. Non riuscivo più a sentire il cuore di Joncey.

Una donna sfrecciò lungo il corridoio. — Abby, che è successo? Il sottomarino al largo della costa… — Si bloccò di scatto.

Il "sottomarino". Improvvisamente capii come era riuscita la rivoluzione clandestina a eludere per così tanto tempo l’ECGS. Un sottomarino significava aiuto di tipo militare. Erano coinvolti enti all’interno del governo, quanto meno alcune persone all’interno degli enti. PROPRIETÀ DEL GOVERNO STATUNITENSE. SEGRETO. PERICOLO.

Per un interminabile momento pensai di essere morto.

— D’accordo! — disse Abby. — Dammelo e poi chiuditi dentro quel magazzino, tu!

— Non avvicinarti — dissi. Indietreggiai nella camera con gli involucri, portando ancora Joncey. All’ultimo minuto lo lasciai cadere e chiusi sbattendo la porta. Poteva essere serrata dall’interno, ma non avevo dubbi sul fatto che lei fosse in grado di sovrapporsi. Contai sull’urgenza nel tono della seconda donna, sul panico: "Abby, il sottomarino al largo della costa!".

Restai fermo, col cuore che batteva forte. Le forme nella mia mente erano rosse, nere e spinose, dolorose come cactus.

Non successe nulla.

I minuti si trascinarono.

Alla fine una piccola sezione della parete accanto a me si illuminò. Era un olo-schermo e io non me ne ero nemmeno reso conto. Un terminale dalle prestazioni limitate. Il volto di Abby lo riempiva, macchiato di sangue, distorto dall’odio.

— Ascolta, Arlen, tu. Tu morirai lì dentro, sotto terra. Ho sigillato tutto. I terminali sono bloccati, loro, tutti quanti. Nel giro di un’altra ora il supporto vitale si spegnerà automaticamente. Potrei ucciderti adesso, io, ma voglio che prima tu ci puoi pensare. Mi senti? Sei morto, MORTO. — A ogni parola la sua voce si alzò fino a trasformarsi in un grido. Si passò una mano sulla fronte da una parte all’altra, i capelli scompigliati e stopposi, macchiati di sangue. Capii che Joncey era morto.

Qualcuno la trascinò via dallo schermo ed esso si spense.

Aprii di uno spiraglio la porta del magazzino. La mia sedia a rotelle era così malconcia che riuscivo a malapena a farla procedere lungo i corridoi. La vista continuava ad andare e venire finché non fui più certo di quali fossero le forme che mi trovavo di fronte e quali fossero nel mio cervello, se si eccettuava la grata scura. Quella era saldamente nella mia testa. Fremeva e per la prima volta cominciò ad aprirsi e ogni centimetro della sua apertura premeva contro la mia mente provocandomi dolore.

Trovai Jimmy Hubbley. Lo avevano ammazzato in modo pulito, per quel che ne potevo dire io. Una pallottola in testa. Francis Marion, ricordai, era morto tranquillamente nel proprio letto, per un’infezione.

Campbell doveva avere lottato. Il suo immenso corpo bloccava un corridoio, era tutto insanguinato e lacero, come colpito da una raffica. Giaceva scomposto sopra il dottore prigioniero. Il volto del dottore appariva sia terrorizzato sia indignato: non doveva essere la sua guerra. Il suo sangue scivolava lungo le pareti nano-tecnologicamente lisce, che erano state progettate in modo da disfarsi delle macchie.

Due corpi giacevano sul pavimento della stanza con i terminali, quando ebbi finalmente aperto abbastanza porte da riuscire a trovarla. Una donna di nome Junie e un uomo che non avevo mai sentito chiamare altrimenti se non "Alligatore". Anche loro erano morti in maniera pulita: pallottole in fronte. Il tentativo di Abigail di conquistare il potere non era stato sadico. Voleva semplicemente controllare le cose. Essere al comando. Sapere che cosa fosse meglio per 175 milioni di americani, preso o tolto qualche milione di Muli.

Seduto davanti al terminale principale dissi: — Terminale acceso. — Rispose: — SÌ, SIGNORE!

Francis Marion aveva creduto nella disciplina militare.

Mi occorsero quindici minuti per tentare tutto quello che Jonathan Markowitz mi aveva insegnato. Pronunciai ogni passo, o lo inserii manualmente in codice, senza capire nulla di ciò che ognuno di essi potesse significare. Anche se Jonathan me lo avesse spiegato, non avrei capito. Lui, poi, non me lo aveva spiegato. Le forme nella mia mente sfrecciavano rapidamente, palpitanti, affilate come artigli.

PRONTI PER TRASMISSIONE ESTERNA. SIGNORE!

Non mi mossi.

Se Abigail mi aveva detto la verità, nel bunker rimanevano soltanto trentasette minuti di supporto vitale.

Quelli di Huevos Verdes, al largo della costa Messicana, potevano arrivare in quindici. Ma lo avrebbero fatto? Miranda non era venuta a prendermi finora.

SIGNORE? PRONTI PER TRASMISSIONE ESTERNA. SIGNORE!

La grata scura nella mia mente si stava finalmente aprendo.

Cominciò a schiudersi come un ombrello o un bocciolo di rosa. Adesso esistono boccioli di rosa modificati geneticamente che si schiudono interamente in cinque minuti, dati gli esatti stimoli, per essere utilizzati in svariate cerimonie. Sono belli da vedere. Gli opachi pannelli a forma di rombo sulla grata si illuminarono e allargarono, contemporaneamente. La stessa grata si estese, facendosi sempre più grande, finché non si fu completamente aperta.

All’interno c’era un ragazzetto di dieci anni, sudicio e sicuro di sé, con occhi sfavillanti.

Non lo avevo più visto, io, da decenni: non la sua sicurezza rispetto a quello che voleva, il suo modo diretto di arrivarci. Quel ragazzo era stato uomo con se stesso. Aveva preso le proprie decisioni, infischiandosene di ciò che il resto del mondo gli diceva che dovesse fare. Non lo avevo più visto dal giorno in cui era arrivato nella tenuta di Leisha Camden nel Nuovo Messico, aveva incontrato i suoi primi Insonni e aveva sottomesso la sua alle loro menti superiori. Non da quando ero diventato il Sognatore Lucido. Non da quando avevo incontrato Miranda.

Ed eccolo di nuovo lì, quel ragazzetto solitario, sogghignante, liberato dalla grata di pietra che lo aveva racchiuso. Una forma che scintillava lucente nella mia mente.

SIGNORE? VUOLE CANCELLARE LA TRASMISSIONE. SIGNORE?

Erano rimasti trentun minuti.

— No — dissi e pronunciai il codice di sovrapposizione di emergenza, quello che ero stato spinto a memorizzare attentamente e a non scordare, visto che Drew Arlen Vivo comune poteva facilmente dimenticare, in caso di emergenza.

Rispose lei personalmente. — Drew? Dove ti trovi?

Le fornii l’esatta latitudine e longitudine, ottenuta dal terminale, e le dissi come far passare la squadra di soccorso attraverso la pozza melmosa. La mia voce era completamente stabile. — È un laboratorio illegale sotterraneo. Una parte della rivoluzione che ha già liberato i disgregatori di duragem. Ma tu sai già tutto al proposito, vero?

Il suo sguardo non vacillò. — Sì. Ma non potevamo dirtelo.

— Capisco. — Era vero. Non avevo capito prima, ma adesso sì. Dopo Jimmy Hubbley. Dopo Abigail. Dopo Joncey. Dissi: — Ci sono moltissime cose che devo dire io a te.

Lei rispose: — Saremo lì in venti minuti. Ci sono delle persone già nelle vicinanze… aspetta soltanto venti minuti, Drew.

Annuii, guardando il suo volto sullo schermo. Non mi sorrideva: questa era una cosa troppo importante. Mi andava bene così. Le forme nella mia mente non lasciavano spazio ai sorrisi.

14

Billy Washington — East Oleanta

La mattina che il presidente ha dichiarato la legge marziale, lui, è stata la stessa mattina che io ho trovato vicino al fiume il corpo morto del coniglio modificato geneticamente. È stato una settimana dopo che eravamo andati a piedi a Coganville ed era poi arrivata la gente del governo a East Oleanta per far saltare in aria l’Eden. Solo quando Annie mi ha fatto finalmente uscire dal letto, io sono stato a sentire attentamente quello che diceva la gente nel caffè sul posto che era stato fatto saltare in aria. Alcune persone ci erano anche andate per dare un’occhiata. Mentre quelli lo descrivevano, io ho capito subito che il governo non aveva fatto esplodere il posto dove la ragazzina dalla testa grossa si nascondeva. Non il mio Eden.

E io ero l’unica persona al mondo, io, che lo sapeva.

Volevo, tuttavia, andare a vedere con i miei occhi. "Dovevo" andare.

— Dove stai andando, Billy? — mi ha detto Annie respirando con affanno. Aveva appena trascinato dentro un secchio di acqua del fiume per lavarsi. I tecnici governativi avevano riparato tutto, loro, ma due giorni dopo la roba aveva ricominciato a rompersi da capo. È stato allora che un sacco di gente ha lasciato East Oleanta partendo con la ferrovia a gravità prima che anche quella si spaccasse ancora. I bagni delle donne non funzionavano. Lizzie stava arrivando direttamente dietro Annie, lei, trascinando un altro secchio. Mi sono quasi sentito spezzare il cuore per la mia inutilità. L’unità medica diceva che io non dovevo assolutamente portare pesi.

— Giù al caffè — ho mentito io.

Annie ha serrato le labbra. — Non vuoi affatto andare di nuovo giù al caffè, tu. Dove stai andando realmente, Billy? Io non voglio assolutamente che tu te ne vai a passeggiare di nuovo nei boschi, tu. È troppo pericoloso. Potresti cadere un’altra volta.

— Vado al caffè — ho detto io ed era la seconda bugia.

— Billy — ha detto Annie e io ho capito dal suo labbro inferiore che cosa stava per dire ancora: — Potremmo andare via, noi. Adesso. Prima che altre parti di duragem vengono mangiate su quel treno.

— Io non lascerò East Oleanta, io — ho detto. Mi faceva una paura del diavolo dirle di no. Mi spaventava ogni volta. E se Annie se ne andava comunque, senza di me? La mia vita sarebbe finita. E se Annie prendeva Lizzie e se ne andava semplicemente via?

Ma io dovevo restare, io. "Dovevo." Ero l’unica persona che sapeva che il governo non aveva fatto saltare in aria l’Eden. La dottoressa Turner era stata quella che aveva chiamato il governo a East Oleanta. Me lo aveva detto Lizzie. Annie non lo sapeva. Io dovevo restare e assicurarmi che la dottoressa Turner non scopriva che l’Eden esisteva ancora e non chiamava il governo per tornare e finire il lavoro. Io non sapevo come potevo fermare la dottoressa Turner a meno di ucciderla e non pensavo di poterlo fare. Forse invece sì. Non me ne potevo nemmeno andare e lasciare così la ragazza dalla testa grossa e i capelli scuri, che mi aveva deliberatamente fatto sapere dove si trovava l’Eden nel caso che ne avevo davvero bisogno. Glielo dovevo a quella ragazza.

Ma non si trattava soltanto di quello.

Così ho detto ad Annie: — Piantala, donna. Io vado al caffè e ci vado da solo!

Poi ho trattenuto il respiro, io, mentre la tremenda paura mi consumava dentro.

Annie però ha soltanto sospirato, si è tolta il parka e ha preso in mano uno straccio. Quella era una cosa meravigliosa di Annie: sapeva che c’erano cose che una persona faceva comunque e non sprecava fiato a discuterci sopra, a meno che, ovviamente, la persona non era Lizzie. A dire il vero l’altra persona da cui mi aspettavo guai era proprio Lizzie. Lizzie però stava seduta sul divano con il suo terminale-biblioteca, impegnata nei suoi interminabili studi, e lanciava occhiate alla porta in attesa della dottoressa Turner, pronta a fare alla donna centinaia di domande.

Era un altro motivo per uscire in quel momento. La dottoressa Turner non era in giro. Tanto per cambiare.

Ho chiuso la lampo del parka e ho preso il bastone da passeggio che Lizzie mi aveva portato. È un bel bastone. Lo userei anche se non lo era, perché me lo ha portato Lizzie, ma "è" bello. Giusto per altezza e spessore. Lizzie ha l’occhio clinico, lei. Quando lo stacca dal terminale-biblioteca e dalla dottoressa Turner.

Annie ha detto con maggiore gentilezza: — Stai attento, Billy Washington. Non vogliamo che ti succede niente — proprio come se sapeva che io non me ne andavo al caffè, dopotutto. Mi ha abbracciato. Per un minuto ho stretto Annie Francy al petto, io, la sua testa appoggiava sotto il mio mento, e ho chiuso gli occhi.

— Tu — ho detto, cosa abbastanza stupida, ma andava bene così perché Annie ha sorriso. Potevo sentirla sorridere contro il mio collo. Così ho ripetuto: — Tu.

— Anche tu — ha detto lei, tirandosi indietro. I suoi occhi color cioccolato avevano un’espressione tenera. Sono uscito dalla porta come se camminavo direttamente nelle nuvole. E non mi sentivo manco tanto debole. Le gambe mi funzionavano meglio di quanto non mi aspettavo. Sono arrivato proprio fino al fiume senza che il cuore mi si metteva a correre forte. Lo faceva solo la mia mente.

Perché non volevo lasciare East Oleanta? Annie voleva davvero, lei, andare in un posto migliore per Lizzie. Restava soltanto per me.

E perché restavo io? Perché una ragazzina Insonne dalla testa grossa, che era probabilmente Miranda Sharifi in persona, poteva avere bisogno di me. Di me, Billy Washington che non riusciva ad aiutare a portare l’acqua, a intrappolare conigli o spostare i coni a energia-Y nei punti dove ce n’era bisogno. Era buffo a pensarci. Miranda Sharifi di Huevos Verdes e Eden che avevano bisogno di Billy Washington.

Solo che non era buffo per niente.

Ho infilato la punta del bastone nel fango soffice e mi ci sono appoggiato sopra per far scendere il mio vecchio e pazzo corpo fino alla sponda del fiume. Stavo prendendo in giro me stesso. La verità era che ero io ad avere bisogno dell’Eden. Quantomeno nella mia testa. E non sapevo esattamente il perché.

Mi sono incamminato sopra le rocce lungo il fiume. C’era stato un disgelo negli ultimi pochi giorni e il fango sul fiume era denso come una zuppa punteggiata di chiazze di neve. Il sole brillava e l’acqua si mostrava alta, verde e gelida sfrecciando via come un treno a gravità. Ho visto qualcosa di scuro steso su un po’ di neve e mi ci sono avvicinato per dargli un’occhiata.

Era un coniglio. Aveva lunghe zampe con gli artigli. Era steso su un fianco, sulla neve bianca con le budella di fuori. Impronte di volpe punteggiavano il fango. Il coniglio aveva il pelo marrone rossiccio.

Qualcuno è sceso sulla sponda avvicinandosi a me. Ho infilato il bastone sul coniglio e l’ho rivoltato. Il coniglio era marrone.

— Ehm — ha detto la dottoressa Turner. — Cosa lo ha ucciso?

— Una volpe.

— Be’, perché lo guardi con quell’aria da funerale? Deve succedere in continuazione qui nel regno del buon Dio. Stavi pensando se lo potevamo mangiare?

— No. Non questo coniglio.

— Be’, se riesci a distogliere la mente dalla fauna locale, ho qualche notizia da darti. Il presidente ha proclamato la legge marziale.

Sembrava sconvolta. Io non ho detto niente.

— Il Congresso lo ha appoggiato. Il buon vecchio Articolo 1 Sezione 8. C’è stato quel gran bordello a Wall Street ieri, il sistema giuridico ha smesso di funzionare in talmente tanti stati che il vecchio profilo del Comandante in Capo Bonny ha potuto dichiarare l’autorità civile inadeguata a… tu non sai di cosa sto parlando, vero Billy? Sai che cos’è la legge marziale?

— No, dottoressa Turner.

— Il presidente ha messo al comando l’esercito. Per mantenere la pace dove ci sono le rivolte. Indipendentemente da quello che devono fare per mantenerla.

— Sì, dottoressa Turner.

Mi ha guardato storto. Non sono mai stato bravo a nascondere le cose. — Cosa c’è Billy? Che c’è di storto in quel coniglio?

Ho detto, più lentamente di quanto non intendevo: — È marrone.

— E allora? Abbiamo visto un sacco di conigli marroni. Lizzie mi ha detto che ha perfino avuto come animaletto domestico un coniglio marrone, l’estate scorsa.

— Non è estate.

Lei ha continuato a guardarmi e mi sono accorto che davvero non capiva. A volte i Muli non sanno le cose più semplici.

— Questo qui è un coniglio dalle zampe bianche. Ormai doveva avere cambiato il pelo. Marrone rossiccio in estate, bianco in inverno e siamo all’inizio di novembre. Avrebbe dovuto cambiarlo.

— Sempre, Billy?

— Sempre.

— Modificato geneticamente. — La dottoressa Turner si è inginocchiata nella neve e ha studiato attentamente il coniglio. Non c’era niente da vedere eccetto quella pelliccia marrone rossiccia. Quasi dello stesso colore dei capelli che uscivano dal cappello di lei sulla nuca quando si è inginocchiata, davanti a me. L’avrei potuta uccidere in quel momento, picchiandole il collo col bastone, se ero un tipo da uccidere. E se pensavo che serviva a qualche cosa.

— Billy, sei sicuro che il mantello non dovesse essere ancora marrone?

Non le ho manco risposto, io.

Si è seduta sui talloni, pensando furiosamente. Poi ha sollevato lo sguardo su di me, con l’espressione più maledettamente vacua che avevo mai visto sulla faccia di qualcuno. Non avevo idea di che cosa voleva dire eccetto che mi ricordava Jack Sawicki quando giocava a scacchi. Quando era vivo, lui, per giocare a scacchi. La gente prendeva sempre in giro Jack per il fatto che gli piaceva giocare a scacchi. Non era un gioco da Vivi.

Poi la dottoressa Turner ha sorriso, lei. Ha detto: — Oh, per tutti i baffi e le orecchie, come si sta facendo tardi! — Il che non aveva nessun senso. — Billy, mi devi portare nell’Eden.

Mi sono appoggiato sul bastone. Aveva la punta sporca per avere rivoltato il coniglio. — Non c’è "nessun" Eden, dottoressa Turner. Il governo l’ha fatto saltare in aria.

— Non c’è "nessun coniglio" — ha detto lei sorridendo con quella stessa voce che non aveva nessun senso. — Giù nella tana del coniglio, Billy. Via le teste. Io e te sappiamo bene che non l’hanno fatto saltare in aria. Hanno sbagliato il colpo.

Io ho guardato un’altra volta il coniglio morto. La volpe ci aveva fatto un bel lavoretto. — Che cosa le fa dire che hanno sbagliato il colpo?

— Non importa. Quello che è importante è che hanno sbagliato il colpo e che ci sono cose che ho bisogno di sapere. Ho deciso che l’unico modo per scoprirle è di andare nell’Eden a chiederle. Graziosamente diretto, non pensi? Mi ci porterai?

Ho scelto un punto nel fiume e l’ho fissato. Poi ho fissato un’altra cosa. Io non avevo alcuna intenzione di buttarmi in una discussione con nessun Mulo. Ma non l’avrei nemmeno portata all’Eden. Aveva chiamato una volta il governo, per far saltare in aria l’Eden e poteva farlo di nuovo. Non avrebbe scoperto proprio niente da me.

Dopo qualche minuto la dottoressa Turner si è alzata, togliendosi il fango dalle ginocchia della tuta. Aveva di nuovo la voce seria. — D’accordo, Billy. Non ancora. Ma lo farai, lo so, se succederà qualcosa. E qualcosa succederà. I Super-Insonni non stanno rilasciando in giro conigli modificati geneticamente, in modo che tutti possano capire che sono conigli modificati geneticamente, senza nessun motivo. Questo è un messaggio. Ben presto ne verrà chiarito il significato e allora ne discuteremo di nuovo.

— Io non ho proprio niente da discutere — ho detto io, e parlavo sul serio. Non con lei. Indipendentemente da quanti conigli modificati geneticamente se ne uscivano fuori.

Il sole ora era più basso e l’aria si stava facendo fredda. La mia passeggiata era stata comunque rovinata. Sono risalito sull’argine del fiume, prendendo tempo. La dottoressa Turner era tanto furba da sapere di non dover cercare di aiutarmi.

Lizzie stava ballando nell’appartamento, pulita dopo il bagno, agitando il terminale da studio. — Il teorema di Godel, Billy!

Era uno strazio come la dottoressa Turner con le sue lenti di ingrandimento e le tane dei conigli. Ero comunque contento di vedere Lizzie così felice.

— Guarda, Vicki, guarda cosa succede se prendi questa formula e ci inserisci questi numeri.

— Fammi togliere il cappotto, signor Godel — ha detto la dottoressa Turner, il che non aveva senso proprio come le sue parole al fiume. Lei però stava sorridendo a Lizzie.

Lizzie non riusciva quasi a stare ferma, lei. Qualsiasi cosa aveva in quel terminale-biblioteca doveva essere tremendamente eccitante. Mi ha preso il bastone e ha cominciato a ballarci attorno come se era un compagno. Poi ci si è messa a cavalcioni come se era un cavalluccio. Lo ha poi sollevato alto sopra la testa come una bandiera. Da tutto questo ho capito che Annie non era a casa.

— D’accordo, vediamo questo teorema di Godel — ha detto la dottoressa Turner. — Sei entrata nelle varianti di Sven Bjorklind?

— Certo che l’ho fatto, io — ha detto Lizzie seccata. Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. Era come una luce. Un sole. La mia Lizzie.

La mattina dopo era così malata che non si poteva muovere.


Non sembrava una malattia che avevo mai visto prima, certamente non come la febbre che aveva avuto in estate. Lizzie aveva la diarrea con il sangue dentro. Annie continuava a svuotare il secchio e ripulirlo, ma l’appartamento puzzava ancora terribilmente. Lizzie non riusciva a muovere le gambe o la testa senza sentire male. Io e Annie siamo stati svegli con lei tutta notte. Ora dell’alba non piangeva nemmeno più, stava semplicemente stesa lì, con gli occhi sbarrati senza vedere niente. Ero terrorizzato. Era solo stesa lì.

Ho detto ad Annie: — Vado a chiamare la dottoressa Turner. È giù al caffè, lei, a guardare le notizie sulla legge marziale…

— Lo so io dov’è! — ha replicato seccamente Annie perché era così preoccupata per Lizzie e così esausta. — È stata lì tutta la notte, no? Ma Lizzie non ha più bisogno di un dottore Mulo lei. Questa volta l’unità medica funziona.

Io non sono stato a dirle che erano stati i Muli a inventare le unità mediche. Anche io ero troppo spaventato. Lizzie rantolava e aveva scariche di diarrea nel letto.

— Vai avanti tu e sveglia Paulie. Io la porterò non appena l’avrò lavata.

Paulie Cenverno è diventato sindaco da quando Jack Sawicki è stato ucciso. Paulie ha il codice della clinica. Ho afferrato il bastone, io, e sono partito di gran carriera per andare nell’edificio dove si trovava l’appartamento di Paulie.

Fuori era freddo e grigio, ma si sentiva un odore dolciastro il che mi ha fatto spaventare ancora di più per Lizzie. A metà strada ho incontrato la dottoressa Turner. Aveva un aspetto così stanco e stravolto che la sua faccia modificata geneticamente sembrava quasi insignificante.

— Billy? Cosa c’è? — Mi ha stretto forte un braccio. — Hai una faccia… Lizzie? Si tratta di Lizzie?

— È molto malata. È peggiorata così in fretta… morirà! — Mi è semplicemente venuto fuori dalla bocca. Ho pensato che stavo per svenire. Lizzie…

— Fai aprire a Paulie la clinica. Io aiuterò Annie. — È sparita in un attimo correndo come una volta sapevo fare anche io.

Paulie si è alzato immediatamente, lui. Quando siamo arrivati alla clinica, Annie e la dottoressa Turner erano già lì. La dottoressa Turner teneva in braccio Lizzie. Lizzie stava piangendo. Le sue povere gambe penzolavano come rami spezzati.

Mi è sembrato di avere dei carboni ardenti giù nello stomaco, tanto che avevo paura. Nessuna malattia dei bambini doveva peggiorare tanto e tanto in fretta.

La clinica non è altro che uno sgabuzzino sigillato in pietra spugnosa, niente finestre, grande abbastanza da contenere quattro o cinque persone in piedi. Paulie ha detto: — Appoggiatela qui, proprio qui. — Paulie, in effetti, non ci capiva niente. Era spaventato proprio come noi.

La dottoressa Turner ha appoggiata Lizzie sulla lettiga dell’unità medica, l’ha legata e ha infilato la lettiga all’interno dell’unità. Potevamo vedere Lizzie attraverso le finestre in plastichiara. Sono usciti fuori degli aghi che si sono infilati dentro Lizzie, ma lei non ha gridato, lei. Era come se non stava sentendo niente di quello che accadeva.

Sono trascorsi un po’ di minuti. Lizzie non si muoveva. Sembrava addormentata. Forse l’unità medica le aveva dato qualcosa per dormire. Alla fine l’unità medica ha detto: — L’unità è inadeguata per effettuare una diagnosi. La configurazione virale non è in archivio. Sono stati somministrati antivirus ad ampio spettro e antibiotici secondari… — C’era dell’altro. Nessuno è mai stato a sentire un’unità medica. Si lasciava unicamente che ci rimettesse a posto.

La dottoressa Turner invece ha fatto un balzo come se le avevano sparato. Ha scansato Paulie di lato, lei, e ha parlato con l’unità medica.

— Informazioni aggiuntive! Di che classe è la configurazione virale?

— Sono state superate le capacità di questa unità. Questa unità risponde solo manualmente a richieste mediche specifiche.

— Politici da quattro soldi. — La dottoressa Turner ha parlato ancora con l’unità medica e si è aperto un pannello su un fianco dove io non avevo mai visto nessun pannello. Dentro c’era un monitor e una tastiera. La dottoressa Turner ha digitato freneticamente. Ha poi studiato lo schermo.

— Cosa c’è? — ha chiesto Annie. — Che cos’ha Lizzie? — La voce di Annie era debole e lamentosa. Non sembrava per niente Annie.

Questa volta la dottoressa Turner non aveva più l’espressione da giocatore di scacchi. Questa volta aveva l’aspetto uguale alla sensazione che mi dava il mio stomaco. Le ossa sul suo volto sporgevano come se qualcuno gliele aveva tirate fuori dalla pelle.

— Billy, Lizzie ha toccato forse la punta del tuo bastone da passeggio? L’estremità con cui hai ribaltato il coniglio marrone?

Io ho rivisto Lizzie che danzava attorno all’appartamento con il mio bastone, che lo cavalcava, che lo agitava tenendolo in punta, che cantava su quel teorema di Godel. Qualcosa nelle budella mi è calato e ho pensato che stavo per vomitare.

— Sì. Stava giocando, lei.

La dottoressa Turner si è accasciata contro la parete. Aveva una voce densa. — Non è stato l’Eden. Non è stato l’Eden a creare quel coniglio. L’hanno fatto gli altri, il laboratorio illegale che ha diffuso il disgregatore, oh, Cristo santo all’inferno!

— Non si bestemmia — ha detto Annie, ma senza essere infuocata. Aveva gli occhi spalancati come quelli di Lizzie. Lizzie che ho capito che stava per morire.

Paulie ha detto: — Eden? Cos’è questa storia sull’Eden? — Aveva una faccia tesa e contratta.

La dottoressa Turner mi ha guardato. I suoi occhi, viola modificati geneticamente, innaturali quanto un coniglio dalle zampe bianche color marrone in un rigido novembre, non mi vedevano. Ne ero sicuro. Vedeva qualcosa d’altro, lei, e le sue parole non avevano senso. — Un cagnolino rosa. Un cagnolino rosa con quattro orecchie e degli occhi ipergrandi.

— Cosa? — ha detto di nuovo Paulie Cenverno sconcertato. — Cos’è ’sto cagnolino?

— Un cagnolino rosa. Senziente. Sacrificabile.

— Basta, adesso. Basta — ho detto io perché lei era fuori di testa, forse, e io mi sono reso conto che avrei avuto bisogno di lei. Bisogno che era in sé. Per portare Lizzie. No, poteva farlo Annie. Ma Annie non era abbastanza in forma per portare Lizzie. Paulie, allora. Ma Paulie stava già uscendo dalla clinica, lui. Lì stava succedendo qualcosa di strano e a lui non piaceva e quando a Paulie non piaceva qualcosa se ne allontanava. Non è come era il sindaco Jack Sawicki.

Inoltre non riuscivo a pensare a un modo per impedire alla dottoressa Turner di seguirci, a meno di farla fuori, e non avevo modo nemmeno per fare quello. Anche se potevo riuscire a costringermi a farlo. Se la dottoressa Turner portava in braccio Lizzie allora la dottoressa Turner non poteva sparare quando si apriva la porta dell’Eden.

Gli occhi della dottoressa Turner si sono schiariti. Mi vedeva di nuovo. Ha annuito.

Io ho guardato ancora attraverso la finestrella dell’unità medica. A Lizzie veniva messo una specie di cerotto medicinale anche se l’unità aveva detto che quella non era la medicina giusta. Probabilmente era il meglio che poteva fare. Era solo un robot alla moda.

La ragazza dalla testa grossa che aveva salvato la vita a Doug Kane e ucciso il procione con la rabbia non era un robot.

Stavo per fare quello che avevo giurato non avrei mai fatto. Stavo per portare la dottoressa Turner con me nell’Eden.


Il sole si stava appena alzando quando abbiamo lasciato il paese. Io camminavo davanti, io, reggendomi a un bastone diverso che la dottoressa Turner aveva strappato da un acero. Lei portava in braccio Lizzie, avvolta nelle coperte. Lizzie dormiva ancora per la medicina che le aveva dato l’unità medica. La sua pelle sembrava di cera. Annie veniva per ultima e arrancava attraverso i boschi dove non andava mai. Penso che piangeva, lei. Non potevo guardare perché poteva essere quel pianto privo di speranza che le donne fanno quando si è arrivati alla fine e non l’avrei sopportato. Non era ancora arrivata la fine. Stavamo andando nell’Eden

Il cielo ha preso tutti i colori di un fuoco di pini nodosi.

Io ho cercato di guidarle dove la neve non era troppo profonda. Qualche volta ho giudicato male e sono caduto in una buca colma di neve, sprofondando fino alle ginocchia. Ma andava bene così perché sono caduto solo io. Per questo motivo me ne stavo un bel po’ davanti agli altri. Tuttavia, ogni volta che cadevo, sentivo il cuore che correva un po’ più forte e le ossa che dolevano un po’ di più.

Il disgelo che avevamo avuto aiutava un pochino. Molta neve si era sciolta specialmente nei punti esposti al sole. Senza il disgelo non so se ce l’avrei fatta sulle montagne.

Lizzie gemeva, lei, ma non si svegliava.

— Solo un minuto, Billy — ha detto la dottoressa Turner dopo circa un’ora. Si è fermata in una chiazza assolata ed è caduta in ginocchio, Lizzie le è rimasta stesa in grembo. Ero sorpreso che aveva resistito così a lungo. Lizzie non era più leggera come un anno prima. La dottoressa Turner doveva essere più forte di quanto non sembrava, lei. Modificata geneticamente.

— Non abbiamo nemmeno un minuto extra! — ha gridato Annie, ma la dottoressa Turner non ci ha fatto attenzione, nemmeno per lanciarle un’occhiataccia. Forse la dottoressa Turner era troppo stanca per lanciare occhiatacce. Era stata alzata tutta la notte, guardando i notiziari sulla legge marziale del presidente. Penso che però sapeva come era spaventata a morte Annie.

— Quanto c’è ancora?

— Un’altra ora — ho detto io, anche se era di più. Non stavamo tenendo un buon passo. — Riesce a farcela?

— Ovviamente. — La dottoressa Turner si è alzata faticosamente reggendo Lizzie che pesava come un sacco. Solo per un istante ho pensato di avere visto Annie appoggiare una mano sul braccio della dottoressa Turner con estrema delicatezza. Ma forse Annie si stava solo sostenendo.

I boschi non mi erano mai sembrati tanto grandi.

Dopo un po’ il dolore ha cominciato ad annidarsi nelle mie ossa proprio come un animaletto. Mi rodeva dentro, le gambe, le ginocchia e la spalla del braccio che si reggeva al bastone. Poi ha cominciato a rodere verso il cuore.

Non potevo fermarmi. Lizzie stava morendo.

Adesso stavamo andando in salita, noi, sulla parte boschiva della montagna. Gli alberi e i cespugli si sono fatti più fitti. Non c’erano più zone al sole. Non le stavo portando per la strada che avevamo fatto io e Doug l’autunno prima, troppa neve. Questa via era più difficile e lunga ma ci saremmo arrivati.

C’è voluto quasi fino a mezzogiorno. La dottoressa Turner ci ha fatto fermare e mangiare un po’ del cibo che portava Annie. Aveva il sapore del fango. La dottoressa ha controllato che io mi mangiavo tutta la mia razione. Lizzie non poteva mangiare niente, lei. Non si muoveva, nemmeno gli occhi. Però respirava ancora. Ho sciolto un po’ di neve pulita con la torcia a energia-Y della dottoressa Turner e l’ho versata sulla labbra di Lizzie. Erano bluastre.

— "Padre Nostro che sei nei cieli, dacci oggi il nostro pane quotidiano…" — La dottoressa Turner fissava sconcertata Annie. Ho pensato che stava per dire qualcosa di tagliente su chi era che dava ai Vivi il loro pane quotidiano come avevo sentito fare ad altri Muli. I Muli non sono religiosi. Non lo ha fatto, però.

— Quanto manca ancora, Billy?

— Ci siamo quasi.

— Hai detto "ci siamo quasi" da almeno due ore!

— Ci siamo quasi.

Siamo partiti un’altra volta.

Quando ci siamo indirizzati lungo il sentiero che portava al ruscello ho pensato per un minuto, in preda al panico, che eravamo nel posto sbagliato. Non sembrava lo stesso. Il sentiero era scivoloso per il fango e il ruscello scorreva veloce anche se era intasato da blocchi di ghiaccio e rami spezzati che lo rendevano più largo di quanto non mi ricordavo. Scivolavamo e slittavamo lungo il ripido sentiero. La dottoressa Turner teneva Lizzie sopra a una spalla con una mano mentre con l’altra si afferrava agli alberi per evitare di cadere. Abbiamo attraversato con attenzione il ruscello. C’era un pezzetto di terra piatto e quasi sgombro con una sola betulla e una quercia con le foglie dell’anno passato che frusciavano al vento. Erano i miei punti di riferimento. Eravamo arrivati ma non c’era niente.

Niente da vedere. Niente di diverso. Ruscello, fango, sporgenza di roccia, fianco della montagna. Nulla.

— Billy? — ha detto Annie così piano che quasi non la sentivo. — Billy?

— Che facciamo adesso? — ha detto la dottoressa Turner. È crollata a terra trascinando Lizzie nel fango, troppo stanca per accorgersene.

Mi sono guardato attorno. Ruscello, fango, sporgenza di roccia, il fianco della montagna. Nulla.

Perché i Super-Insonni dovevano lasciare entrare due Vivi sporchi di fango, un Mulo rinnegato e una bambina morente? Perché dovevano farlo?

Quello è stato il momento che ho capito che cosa voleva dire Annie quando parlava dell’Inferno.

— Billy?

Sono crollato su una roccia. Le gambe non mi reggevano più. La porta era stata proprio lì. Ruscello, fango, sporgenza di roccia, il fianco della montagna. Nulla.

La dottoressa Turner ha consegnato Lizzie a sua madre. Poi è balzata in piedi, lei, e ha cominciato a strillare come una pazza scatenata, come una selvaggia che non si è trascinata in braccio una bambina pesante per ore e ore attraverso la neve.

— Miranda Sharifi! Mi senti? Qui c’è una bambina morente, una vittima di un virus modificato geneticamente e illegale, trasmissibile dalla fauna! Lo ha prodotto un qualche laboratorio illegale, qualche bastardo demente che potrebbe spazzar via intere comunità nel giro di qualche giorno e probabilmente vuole farlo! Mi senti? È modificato geneticamente ed è letale! La tua gente è responsabile di questo, dovreste essere voi i grandi esperti di modificazione genetica, non noi! Siete responsabili voi, bastardi Insonni, che lo abbiate creato voi o no, perché siete gli unici che lo possono curare! Siete voi i cervelloni cui noi siamo tenuti a guardare, Miranda Sharifi! Abbiamo bisogno di quel Depuratore Cellulare che è stato rifiutato a Washington! Ne abbiamo bisogno adesso! Ci hai adescato con quello, brutta zoccola, adesso ce lo devi!

Non riuscivo a crederci. Sembrava Celie Lane che strillava contro i Muli. Ho sussurrato: — Non puoi strapazzare un Super-Insonne, tu!

Non mi ha degnato di attenzione. Potevo anche non essere lì. — Miranda Sharifi! Mi senti brutta stronza? Nel nome di una umanità comune, ma che diavolo sto facendo?

Sembrava abbacinata, come se non dovesse muoversi mai più. A quel punto ha cominciato a piangere.

La dottoressa Turner. Ha cominciato a piangere.

Io non sapevo che cosa fare. Una cosa è quando piange Annie: Annie è una donna normale. Ma un Mulo che piange, singhiozzando e disperandosi come se era l’ultima ruota del carro invece della più importante, non sapevo cosa fare. E anche se lo sapevo non lo potevo fare. L’animale mi stava rodendo il petto troppo forte e nemmeno per Lizzie avrei potuto sollevarmi da terra.

— Ti prego… — sussurrò la dottoressa Turner.

E la porta nella montagna si è aperta. No, non si è aperta, non era così che funzionava. C’è stato una specie di bagliore duro, come uno scudo, e poi la terra è come svanita, fango e foglie di quercia secche, rocce coperte di muschio e tutto il resto e c’era un solido quadrato in plastichiara ai nostri piedi, solo che non era plastichiara, di circa un metro per uno. Poi è sparito pure quello e c’era una scala.

La dottoressa Turner è stata la prima a scendere, lei e ha sollevato le braccia per prendere Lizzie. Annie gliel’ha passata. Poi Annie si è infilata per le scale. Io sono andato per ultimo, io, perché anche se il petto mi faceva un gran male e la vista era annebbiata, volevo vedere che cosa succedeva dopo che eravamo scesi nel quadrato. Poteva essere l’ultima cosa che vedevo, io, e volevo vederla.

È successo che è ritornato lo scintillio e la plastichiara-che-non-era-plastichiara si è richiusa sopra la mia testa. Ho sollevato una mano per toccarla. Era dura come il diamante. Faceva il solletico. Dall’altra parte hanno cominciato a ricrescere terra e rocce e il terriccio non era allentato ma ben compatto, unito a tutto il resto della terra. Mi sono accorto che, nel giro di pochi minuti, non ci sarebbe stato alcun segno che era successo qualcosa, eccetto forse le nostre impronte nel fango. Ma non avrei giurato sulla presenza delle impronte.

Eravamo in una piccola stanza bianca e luminosa, con niente dentro. Le pareti erano perfette, non una tacca, un graffio o niente. Non avevo mai visto pareti come quelle. Siamo rimasti lì a lungo, mi è sembrato, anche se forse non è stato così. Ho serrato le braccia attorno al petto per impedire al dolore di rodermelo via. La dottoressa Turner si è rivolta verso di me e la sua faccia è cambiata: — Billy… — Poi si è aperta una porta dove non c’era stata nessuna porta ed eccola lì, la mia ragazza del bosco con la testa grossa e i capelli scuri, senza sorriso, ho avuto appena il tempo di vederla prima che l’animale che avevo nel petto indietreggiava e poi mi infilzava i denti nel cuore e tutto è scomparso.

15

Diana Covington — East Oleanta

Avevo completamente perso il contegno, la razionalità e il buon senso, quindi la porta dell’Eden si aprì.

La cosa mi preoccupò. Stavo ferma lì con una bambina morente in braccio e un vecchio che ero, contro ogni previsione, arrivata ad amare, sulla soglia del santuario tecnologico che il mio intero governo aveva ricercato per Dio solo sa quanto tempo, di fronte alla donna più potente di tutto il mondo, ed ero preoccupata del fatto che fosse stato il mio irrazionale gridare da vera nobildonna che aveva provocato lo spalancarsi dei portali dell’Eden. Solo che, ovviamente, non era stato quello. "Sapevo" che non era stato quello. Non ero lontana così tante deviazioni standard sulla curva dell’irrazionalità.

Da vicino, Miranda Sharifi appariva ancora più insignificante che a Washington. Testa grossa, leggermente deforme, ciuffi selvatici di capelli neri, corpo troppo corto e troppo pesante per essere da Mulo e tuttavia chiaramente non da Vivo. Indossava pantaloni e camicetta bianchi, dall’aspetto indefinito, ma non una tuta e aveva il volto pallido. L’unica chiazza di colore era data dal fiocco rosso che aveva fra i capelli. Ricordavo ciò che avevo pensato sulla gradinata del Tribunale Scientifico, che era troppo vecchia per i fiocchi nei capelli e provai una vaga vergogna. Era difficile mantenere la mente fissa sugli argomenti seri. Ne avevo troppi. O forse era soltanto la natura della mia mente.

Non riuscivo a pensare a nulla da dire. Restai in piedi fissando il fiocco rosso.

Lei era tutto ciò che io non ero.

Annie cadde in ginocchio. L’orlo del suo parka infangato si afflosciò con scarsa grazia sul pavimento sfavillante e il suo sguardo si sollevò come se stesse fissando un angelo. Forse era ciò che pensava fosse Miranda.

— Signora, lei ci deve aiutare, lei. La mia Lizzie sta morendo, lei, per qualche malattia, Billy dice che sta morendo, la dottoressa Turner dice che non è una cosa naturale, questa malattia, è modificata geneticamente e Billy, lui è stato così buono con noi, lui, e non ne ha cavato fuori praticamente niente, ma Lizzie, la mia piccina… — Cominciò a piangere.

Alle parole "dottoressa Turner" lo sguardo di Miranda si spostò su di me per un momento, quindi tornò su Annie. Fu come avere un laser che ti passa sopra. Avvertii improvvisamente che lei sapeva tutto quello che c’era da sapere su di me: i miei pseudonimi, la mia apparentemente segreta e pateticamente marginale affiliazione all’ECGS, l’intera storia delle mie residenze, pseudo-lavori, pseudo-amori. Mi sentii nuda fino al livello cellulare. Mi dissi di smetterla immediatamente. Lei non era una medium: era un essere umano, una donna con una terrificante tecnologia alle spalle, un cervello superpotenziato e pensieri che io non avrei mai avuto e non avrei nemmeno compreso se qualcuno me li avesse spiegati.

Ecco come dovevano sentirsi i Vivi nei confronti dei Muli come me.

Annie disse, attraverso le lacrime, ancora inginocchiata: — Per favore. — Quella semplice parola. In quel luogo aveva una sorprendente dignità.

Nella parete alle spalle di Miranda apparve una porta, una porta che un attimo prima non era esistita nemmeno come profilo, e un uomo vi sporse la testa. — Miri, sono in arrivo…

— Vai, Jon — rispose lei. Erano le prime parole che avesse pronunciato. Jon aveva la stessa testa deforme di Miranda ma aveva dei bei lineamenti, una combinazione bizzarra e sconcertante, come una manticora con la faccia di un collie domestico. La bocca di lui si irrigidì.

— Miri, "non puoi"…

— È già tutto sistemato! — replicò seccamente lei e per la prima volta mi accorsi che era sottoposta a una tremenda tensione. Si rivolse quindi a lui e disse poche parole che non riuscii a cogliere, tanto velocemente le pronunciò. A dispetto della velocità, le parole davano la strana sensazione di essere separate, ognuna una prudente comunicazione piuttosto che parte di un flusso grammaticale: stavo soltanto tentando di immaginare. Miranda portava un singolo anello, una sottile fascetta d’oro incastonata di rubini, sull’anulare della mano sinistra.

Jon si ritirò e la "porta" scomparve. Non c’era segno che fosse mai esistita.

Miranda appoggiò una mano sulla spalla di Annie. La mano tremava. — Non piangere. Posso aiutare entrambi. Di certo tua figlia.

Fu tuttavia accanto a Billy che si inginocchiò per prima. Tenne una scatoletta sul suo cuore e ne esaminò lo schermo in miniatura; gli appoggiò la scatoletta contro il collo e studiò nuovamente lo schermo; gli applicò un cerotto medico sul collo. Stando a guardare, mi sentii oscuramente rassicurata. Era una cosa nota. Stava curando Billy per l’attacco di cuore, se di questo si trattava.

Egli cominciò a respirare con maggiore facilità e gemette.

Miranda si rivolse a Lizzie. Estrasse dalla tasca una lunga e sottile siringa nera, opaca. Pochissimi medicinali venivano somministrati tramite iniezione invece che con i cerotti. Qualcosa mi si rigirò nel petto.

Dissi: — Ha già ricevuto un antibiotico ad ampio spettro e un antivirale da una unità medica di modello K. L’unità ha detto che si trattava di un virus sconosciuto che esulava dalla configurazione di qualsiasi microrganismo conosciuto confezionato, si dovrebbe ricostruirlo da capo per potere…

Stavo blaterando. Miranda non sollevò lo sguardo. — Questo è il Depuratore Cellulare, dottoressa Turner. Penso tuttavia che lei lo avesse già immaginato. — C’era qualcosa di premeditato nel suo modo di parlare, come se le parole fossero state scelte accuratamente, sebbene lei trovasse che fossero completamente inadeguate rispetto qualsiasi cosa avesse avuto intenzione di dire. Non lo avevo notato a Washington, dove i suoi discorsi davanti al Tribunale Scientifico dovevano essere stati preparati attentamente in anticipo. La lentezza aveva un contrasto marcato rispetto al modo in cui aveva parlato con "Jon".

Annie osservò l’ago sparire nel collo di Lizzie. Annie rimase completamente immobile, inginocchiata sull’orlo del parka infangato che aveva sparpagliato foglie morte sul pavimento bianco privo di qualsiasi segno.

Il momento appariva surreale. Miranda non aveva nemmeno esitato. Io sputai fuori: — Non hai nemmeno intenzione di spiegare loro questa cosa, di dar loro una scelta…

Miranda non rispose. Estrasse invece una seconda siringa dalla tasca e iniettò il liquido in Billy.

Pensai follemente a tutti i depositi di grasso sulle arterie del cuore di lui, a tutte le letali copie virali che possono giacere in attesa per anni nei linfonodi finché il corpo non si indebolisce, a tutte le moltiplicazioni tossiche del DNA normale nel corso dei sessantotto anni delle ossa, della carne e del sangue di Billy. Non riuscii a parlare.

Miranda tirò fuori una terza siringa e si rivolse ad Annie, che sollevò una mano in atteggiamento difensivo. — No, signora, la prego, io non sono malata.

— Lo sarai — disse Miranda — senza questo. Presto. — Aspettò.

Annie chinò la testa. Mi sembrò una preghiera che improvvisamente mi fece infuriare senza che riuscissi a capirne il motivo. Miranda iniettò il liquido in Annie.

Si rivolse quindi verso di me.

— Quanto è tossico il virus mutato…

— Letale. Entro ventiquattro ore. E viene trasmesso facilmente. Resterai infettata.

— Come fai a saperlo? È stata la tua gente a creare e liberare il virus? Sei stata tu?

— No — rispose lei, calma come se le avessi chiesto se stesse piovendo. Le pulsava tuttavia una vena sul collo ed era tesa come una corda di violino, pronta a vibrare al tocco. Non sapevo però al tocco di chi. Fissai la siringa che aveva in mano: lunga, sottile, nera, il fluido nascosto dentro. Di che colore era? Il fluido era già entrato in Lizzie, in Billy, in Annie.

Sussurrai, prima di sapere che lo avrei fatto: — Ma io sono un Mulo…

Miranda disse: — Mi sono iniettata il liquido personalmente. Mesi addietro. Non si tratta di una procedura non testata.

Non aveva affatto colto il significato delle mie parole. Esso andava al di là del suo campo visivo. Apparentemente, allora, c’erano cose che le sfuggivano. Dissi: — Sei così… — senza sapere come avrei terminato la frase.

— Non abbiamo molto tempo. Abbassa la testa, per favore, dottoressa Turner.

Spifferai subito, con mia eterna vergogna: — Non sono una vera dottoressa laureata!

Per la prima volta lei sorrise. — Nemmeno io, Diana.

— Perché non abbiamo molto tempo? Che cosa sta per succedere? Non sono ancora ammalata e tu stai per alterare la mia intera struttura biochimica, lasciamici almeno pensare un momento.

Apparve improvvisamente uno schermo sulla parete. Anche se questo, a differenza della porta, era certamente di tecnologia normale, sobbalzai lo stesso come se fosse apparso un angelo con una spada fiammeggiante. L’angelo però mi stava davanti, fissando addolorata lo schermo, con la spada che le tremava nella mano e io sarei morta non tanto perché avevo avevo mangiato quella particolare mela elaborata geneticamente, ma perché non lo avevo fatto.

Non mi dette alcuna possibilità. Lo schermo mostrava un aereo che atterrava laddove nessun aereo sarebbe dovuto essere in grado di atterrare, un oggetto ripiegato che scendeva giù come un elicottero privo di rotore, ma con una maggiore precisione rispetto a un elicottero, sullo stesso piccolo tratto di terreno pianeggiante fra il ruscello e la montagna dove io avevo gridato perché l’Eden si aprisse. Lo stesso nudo albero di betulla che fremeva, bianco. La stessa quercia malconcia. Sollevai la testa per guardare i quattro uomini che scendevano dalla fusoliera aperta dell’aereo governativo e Miranda mi infilzò la siringa nel collo. Poggiandomi l’altra mano sulla spalla, mi tenne ferma mentre il fluido penetrava.

Era molto forte.

Non so perché quel singolo fatto mi schiarì la mente, il che dimostra quanto fosse completamente folle l’intera situazione. Dissi, quasi fossimo cospiratori: — Non possono entrare, vero? Non sono nemmeno riusciti a trovare questo posto, prima, e hanno fatto saltare in aria l’installazione sbagliata. Devono averci seguito qui, Billy, Annie, Lizzie e me… oh, mi dispiace, Miranda…

Non mi stava ascoltando. Con mio assoluto stupore, vidi delle lacrime scintillare nei suoi occhi. Avvolse le dita della mano destra attorno alla sinistra. Coprendo l’anello.

Un quinto uomo era stato aiutato a scendere dall’aereo e a montare su una carrozzella elettrica che qualcun altro aveva velocemente aperto. Notai con ulteriore stupore che si trattava di Drew Arlen, il Sognatore Lucido.

Egli appoggiò la mano sull’albero di betulla. Non sapevo, e non lo scoprii mai, se lo avesse fatto per sorreggersi oppure se quel gesto facesse parte della procedura di ingresso, un attivatore o un sistema di riconoscimento della pelle o semplicemente un codice di sicurezza di un genere inimmaginabile. Pronunciò quindi una serie di parole, molto chiaramente, con la sua famosa voce. La porta sopra alle nostre teste si aprì.

Miranda non fece alcuno sforzo per fermarlo, sempre che avesse potuto. Era ovvio che avrebbe potuto. Dovevano esistere scudi, contro-scudi, qualcosa. Erano Super-Insonni.

I quattro agenti dell’ECGs scesero lungo le scale come se si trattasse di una discarica di rifiuti. Avevano estratto le pistole, cosa che mi riempì di improvviso disprezzo. Drew Arlen rimase all’esterno.

— Miranda Sharifi, lei è in arresto per violazioni all’Atto degli Standard Genetici, dalla Sezione 12 alla 34, che sostengono…

Lei li ignorò completamente. Passò oltre i quattro uomini come se non fossero stati nemmeno lì, con un improvviso fuoco che doveva essere una specie di scudo elettrico personale che le brillava attorno. Uno degli agenti cercò di afferrarla, emise un grido e si sostenne la mano bruciata, col volto distorto dal dolore. L’agente che bloccava le scale esitò. Lo vidi pensare per un mezzo secondo se sparare, poi si spostò dai gradini.

Miranda li salì lentamente, pesantemente, con le lacrime che le scintillavano negli occhi scuri. Tre degli agenti la seguirono. Dopo un istante di stordimento sfrecciai anche io dietro di loro.

Drew Arlen era seduto nei freddi boschi novembrini su una sedia a rotelle elettrica. Miranda lo affrontò. Un debole vento fece fremere la quercia e le foglie morte frusciarono. Ne cadde qualcuna.

— Perché, Drew?

— Miri, non hai il diritto di scegliere per 175 milioni di persone. Non in una democrazia. Non senza che ci siano controlli ed equilibri. Leisha diceva…

— Kenzo Yagai lo ha fatto. Lui ha scelto. Ha creato l’energia a basso costo e ha cambiato il mondo in meglio.

— Avresti potuto bloccare il disgregatore di duragem. Non lo hai fatto. Sono morte delle persone, Miranda!

— Non quante ce ne sarebbero state se lo avessimo fermato. Non a lunga scadenza.

— Non era questa la tua motivazione! Volevi soltanto controllare la situazione! Voi Super, che non dovrete morire mai!

Sentii un rumore alle mie spalle. Non mi voltai. Quello cui stavo assistendo era più importante di qualsiasi rumore. Le accuse che Drew e Miranda si stavano scagliando reciprocamente erano le stesse famose domande con cui avevo lottato da quando avevo visto il Depuratore Cellulare a Washington: chi dovrebbe controllare la tecnologia radicale? Solo che loro ne stavano facendo un’arma privata, come gli innamorati sanno rendere qualsiasi cosa un’arma privata.

E, senza ombra di dubbio, la tecnologia è darwiniana. Si diffonde. Si evolve. Si adatta. La più pericolosa spazza via quella meno adeguata.

L’ECGS aveva sperato di impedire che la tecnologia radicale cadesse nelle mani sbagliate. Ma Huevos Verdes erano le mani "giuste": le mani che utilizzavano la nano-tecnologia per rafforzare gli esseri umani, non per distruggerli. Questo era ciò che l’ECGS non riusciva ad ammettere. Non era compito loro giudicare, sostenevano: dovevano soltanto applicare la legge. Forse avevano ragione.

Qualcuno però, da qualche parte, in qualche momento, doveva giudicare, altrimenti saremmo finiti in una pura giungla darwiniana, tradotta in byte e assemblatori.

Quelli di Huevos Verdes avevano giudicato. Io, non convocando l’ECGS una seconda volta, lo avevo fatto insieme con loro. Non esisteva un modo chiaro per sapere se uno di noi aveva ragione.

Mi resi conto di tutto ciò, con quella tipica chiarezza che sopraggiunge in un momento di crisi corporea, mentre osservavo Drew Arlen e Miranda Sharifi farsi a brandelli nei freddi boschi.

Egli disse: — Tu non hai il diritto di portare avanti questo progetto. Non lo hai mai avuto. Non più di Jimmy Hubbley…

Lei ribatté: — Doveva trattarsi di "noi" non di "tu". Tu eri parte di tutto ciò.

— Non più.

— Perché sei caduto nelle mani di qualche scienziato pazzo. Dio, Drew, paragonare Jimmy Hubbley a "noi"…

— Allora sapevi di lui. E mi hai lasciato laggiù tutti questi mesi.

— No! Sapevamo della controrivoluzione, ma non specificatamente dove ti trovassi…

— Non ti credo. Avresti potuto trovarmi. Voi Super sapete fare tutto, no?

— Pensi che ti stia mentendo?

— Sì — rispose Drew. — Penso che tu stia mentendo.

— Ma "non" lo sto facendo. Drew… — Fu un grido di pura angoscia. Non riuscii a fissarla in volto.

— Avresti anche potuto fermare il disgregatore di duragem, vero? Sapevate che veniva da un laboratorio sotterraneo. Ma avete permesso che esso incoraggiasse il crollo sociale perché spianava meglio la strada al vostro progetto. Per i "vostri" piani. Non è vero, Miranda?

— Sì. Avremmo potuto bloccare il disgregatore.

— E non me lo hai detto.

— Avevamo paura… — si bloccò.

— Paura di cosa? Che lo avrei detto a Leisha? Alla stampa? All’ECGS?

Lei disse, con voce più calma: — Che è esattamente quello che hai fatto. Alla prima occasione che hai avuto. Ti abbiamo cercato, Drew, ma non siamo onnipotenti. Non c’era modo di sapere in quale bunker, dove… E nel frattempo tu hai agito esattamente come Jon, Nick e Christy avevano detto avresti fatto, hai tradito il progetto chiamando l’ECGS.

— Perché ho cominciato a pensare da solo. Di nuovo. Finalmente. E non è questo ciò che vogliono i Super, vero? Voi volete pensare per tutti noi e volete che noi vi obbediamo, senza porre domande. Perché voi sapete sempre cosa è meglio, non è così? Dio, Miranda, ma non ti "sbagli" mai?

— Sì — rispose lei. — Mi sono sbagliata su di te.

— Non sarà ancora per molto un problema per te.

Lei gridò: — Avevi detto di amarmi!

— Non più.

Continuarono a fissarsi. Non riuscivo a leggere il volto di Drew. Quello di Miranda si era fatto di pietra, le sue lacrime erano svanite. Aveva occhi che parevano laser.

Disse: — Io amavo "te". E tu non hai sopportato il fatto di essere inferiore. Ecco qual è il vero motivo del tuo tradimento. Jon aveva ragione. Non riesci davvero mai a capire. Nulla.

Drew non rispose. Il vento si alzò, sollevando un odore di acqua fredda. Dalla quercia caddero altre foglie. La betulla fremette. C’era sempre più rumore alle mie spalle. Non mi voltai.

Un agente dell’ECGS disse: — È in arresto, Miranda Sharifi, per violazioni a…

Lei gridò, proprio come se l’agente non avesse nemmeno parlato: — Non posso farci niente se so di più e penso meglio di te, Drew! Non posso fare a meno di essere quella che sono!

Egli ribatté, con voce instabile ma furiosa, nello stesso modo in cui fanno gli uomini quando sanno di apparire deboli: — Chi dovrebbe controllare la tecnologia…

— Merda! — esclamò qualcuno. Mi voltai. Billy stava seduto a terra, abbacinato, tenendosi le mani sul petto. Il rumore era stato provocato da lui e Annie, che avevano trascinato fuori Lizzie ancora in stato di incoscienza, dal bunker sotterraneo, luogo che non comprendevano e di cui dovevano avere paura. O forse Annie aveva portato Lizzie su per i gradini e l’agente con la mano bruciata aveva aiutato Billy. L’agente era accanto al vecchio e anch’egli appariva abbacinato. Ma non c’era proprio nulla di sconcertante riguardo a Billy. L’uomo stava seduto nel fango ghiacciato, un vecchio con un corpo che sarebbe diventata la macchina più efficiente del pianeta a livello biologico; mi accorsi che anche lui si rendeva conto di che cosa stava guardando. Billy Washington, il Vivo. Il suo sguardo da vecchio grinzoso si spostava da Drew a Miranda, sulla seconda con adorazione, notai, quindi di nuovo a Drew, poi a Miranda. — Merda — esclamò ancora una volta e nel suo tono di voce erano presenti mille strati, indecifrabili. — Tu stai discutendo, tu, su chi dovrebbe controllare questa tecnologia… ma non capisci che non importa "chi dovrebbe" controllarla? Quello che importa è solo "chi può". — Appoggiò la mano grata e nodosa sulla sagoma rannicchiata di Lizzie, che giaceva nel fango, col piccolo volto tranquillo, fresco e umido mentre la febbre letale calava.

16

Diana Covington — Albany

Non ci fu nulla da confiscare in qualità di prova. Giunsero altri aerei e Drew fece uso dei codici che facevano apparire la porta all’estremità del bunker. Architettai qualcosa per poter essere presente. La sicurezza era organizzata in modo caotico, eccetto che per Miranda Sharifi elettro-ammanettata alla betulla, con gli agenti che la fissavano come se si aspettassero un’ascensione antigravitazionale, albero e tutto il resto. Forse era così. Miranda, però, permise di essere catturata. Tutti compresero perfettamente che questo era ciò che stava accadendo: lei lo permise.

Nessuno, tuttavia, inclusa me, capì il perché.

Dietro alla porta del bunker non c’era nulla. Perfino le sterili pareti di fortificazione che erano state probabilmente lì si stavano autoconsumando a causa della stessa nano-tecnologia che le aveva costruite. C’era solamente una serie di tunnel stipati di terra e caverne che si estendevano fin dentro la montagna, pericolose da esplorare senza un equipaggiamento adeguato perché le pareti di terriccio si sgretolavano e minacciavano di franare all’interno. Era impossibile stabilire quanto fosse estesa la rete di caverne/tunnel. Era impossibile stabilire quelle fra loro che erano state nano-distrutte o rimosse prima del crollo. "Miri, stanno arrivando; Miri, non puoi…"

Cercai le sottili siringhe nere con le quali noi quattro eravamo stati iniettati, ma tutto quello che vidi fu una macchia nera sciolta, come cera di candela metallica, sul pavimento in fondo ai gradini dove erano stati stesi Billy e Lizzie.


Ci fu dell’altro e avvenne, incredibilmente, quasi come un ripensamento.

Prima, però, uno degli agenti mi arrestò. — Diana Arlene Covington, lei è in stato di arresto per violazioni del Codice degli Stati Uniti, Articolo 18, Comma 1510, 2381 e 2383.

Intralcio di indagini penali. Favoreggiamento alla ribellione o insurrezione. Tradimento. Dopotutto, dovevo essere un agente dell’ECGS.

Miranda mi osservava attentamente dalla betulla. Troppo attentamente. Drew era risalito sull’aereo. Noi dovevamo aspettare un secondo aereo, sia per maggiore spazio sia per maggior sicurezza. Con un’improvvisa finta che sorprese l’agente, mi tuffai sotto di lui e balzai in direzione di Miranda.

— Ehi!

Lei ebbe solamente il tempo di dirmi: — Altro nella siringa… — prima che l’agente infuriato mi riacciuffasse e mi trascinasse con espressione truce sull’aereo. La sua presa mi fece venire dei lividi sulle braccia.

Lo notai a malapena. "Altro nella siringa."

"L’intera portata del progetto" aveva detto lei a Drew Arlen.

Allora non si trattava solamente del Depuratore Cellulare, già abbastanza sconvolgente di per sé. Non c’era soltanto quello. C’era dell’altro.

Qualche altra tecnologia biologica: radicale, inaspettata. Inimmaginabile.

Qualcosa di più.

Quelli di Huevos Verdes non avevano avuto bisogno di allestire quell’elaborato laboratorio sotterraneo per perfezionare o testare il Depuratore Cellulare. Lo avevano già fatto, prima dell’udienza davanti al Tribunale Scientifico dell’autunno precedente.

Quelli di Huevos Verdes si erano aspettati di perdere la causa davanti al Tribunale Scientifico. Era stato chiarissimo già allora, quasi a tutti. Quello che non era stato chiaro era perché stessero presentando la causa, data la conclusione scontata. Era perché Miranda voleva la rassicurazione morale che tutte le vie legali legittime per il suo progetto fossero state chiuse, prima di completare la sua corsa lungo le vie illegali a East Oleanta.

Quanto sapeva l’agente? I capoccioni dell’ECGS, ovviamente, sapevano tutto. Arlen doveva averglielo detto.

Questa speculazione intellettuale durò soltanto un momento. Venne rimpiazzata, quasi istantaneamente, da una paura raggelante del genere che non ti fa sciogliere le ossa ma che te le irrigidisce, tanto che ti sembra di non riuscire mai più a muoverti o respirare.

Qualsiasi fosse quel progetto di bioingegneria, mi era stato iniettato. Èra nel mio corpo. Stava diventando me.

Ondeggiai andando a sbattere contro la carlinga in metallo, quindi mi ripresi. Avevo le dita leggermente bluastre per il freddo. L’unghia del medio si era rotta. La carne era liscia se si eccettuava un sottile taglio sull’indice. Il fango, ormai seccato, creava un lungo arco dal polso alle unghie. La mia mano. Aliena.

Dissi a voce alta a Miranda: — Che cos’era?

Nella mia mente lei voltò la sua testa deforme per guardarmi. Le lacrime, che ancora non cadevano, le facevano scintillare gli occhi. Disse: — Solo per il tuo bene.

— Secondo la definizione di chi?

La sua espressione non mutò. — Mia.

Continuai a fissarla. Quindi lei svanì, perché ovviamente era un’illusione, prodotta dallo shock. Non era realmente all’interno della mia testa. La mia testa era troppo piccola.

L’aereo decollò e venni portata ad Albany per essere rimandata in giudizio in tribunale.


Billy, Annie, Lizzie e io venimmo portati all’Ospedale di Ricerca degli Stati Uniti Jonas Salk ad Albany, un edificio altamente schermato, imponente per i suoi robot di sicurezza. Venni condotta lungo un corridoio. Allungai il collo per tenere sott’occhio la barella di Lizzie il più a lungo possibile.

In una stanza priva di finestre mi stava aspettando Colin Kowalski, insieme con un uomo che riconobbi immediatamente. Kenneth Emile Koehler, direttore dell’Ente governativo per il Controllo degli Standard Genetici. Colin non disse nulla e capii che non lo avrebbe mai fatto: era troppo inferiore di grado, presente soltanto perché aveva avuto la pessima idea di assoldare me, l’agente illegale che avrebbe potuto condurre l’ECGS da Miranda Sharifi prima di Drew Arlen e, di conseguenza, una collaborazionista altrettanto ufficiale. Ovviamente, però, per l’altra parte. Colin era in disgrazia. Arlen era probabilmente l’eroe che aveva, in ritardo ma giustamente, visto la luce. Io ero in stato di arresto per tradimento. Un perdente, uno che non rispettava le regole del gioco.

— D’accordo, Diana — disse Kenneth Emile Koehler. Pessimo inizio. Ero stata ridotta al nome proprio. Come un robot. — Dicci che cosa è successo.

— Tutto?

— Dal principio.

I registratori erano accesi. Drew Arlen aveva indubbiamente spillato fuori tutte le sue cellule cerebrali. Io non riuscivo proprio a trovare un motivo per non dire la verità: "Mi è stato iniettato nelle vene qualcosa di biotecnologico. Altro nella siringa".

Ma non volevo iniziare da lì. Sentivo piuttosto un desiderio irresistibile di iniziare dal principio, da Stephanie Brunell e il suo illegale cagnolino rosa modificato geneticamente che si era scaraventato oltre la ringhiera del mio terrazzo. Avevo bisogno di dire tutto, fino all’ultima azione, decisione e argomento intellettuale che mi avevano portato dal disgusto per la bioingegneria illegale alla sua difesa. Volevo spiegare chiaramente a me stessa così come a quegli uomini che cosa avevo esattamente fatto, perché e cosa significasse, in quanto era l’unico modo in cui l’avrei capito fino in fondo anch’io.

Fu quello il momento in cui mi resi conto che l’ECGS mi aveva già drogata con il siero della verità. Era, ovviamente, una violazione del Quinto Emendamento, fatto troppo insignificante anche solo per commentarlo. Non commentai. Fissai piuttosto Koehler, Kowalski e gli altri che erano improvvisamente apparsi e poi, avvolta nel bagliore della verità assoluta e nel tenero e innocente desiderio di condividerla, cominciai a parlare, parlare, parlare.

17

Drew Arlen — Washington

C’erano guardie umane, guardie robot, scudi di protezione. Furono tuttavia le guardie umane quelle che notai. Tecnici, nella maggior parte dei casi, anche se almeno uno di essi era un Mulo. Li notai perché erano moltissimi. Miranda aveva più guardie umane dell’intera popolazione di Huevos Verdes, inclusi perfino gli Insonni sostenitori come i nipoti di Kevin Baker. Lei aspettava il processo in un carcere diverso rispetto a quello di sua nonna, la cui prigionia per tradimento rappresentava ormai storia antica: Jennifer aveva probabilmente meno guardie.

— Appoggi l’occhio direttamente sull’analizzatore, signore — disse uno di loro. Indossava la scialba divisa azzurra della prigione, dal taglio simile a quello delle tute, ma non era una tuta. Lasciai che mi venisse analizzata la retina. Huevos Verdes aveva superato questo livello di identificazione dieci anni prima.

— Anche lei, signora.

Carmela Clemente-Rice si avvicinò all’analizzatore. Quando indietreggiò di un passo, sentii una mano di lei sulla mia spalla, fresca e rassicurante. La avvertii nella mente come una serie di ovali intersecati in perfetto equilibrio.

La sensazione che mi dava la prigione era di una confusione blu incandescente. La mia.

— Da questa parte, prego. Attento ai gradini, signore.

Evidentemente non vedevano troppe carrozzine da quelle parti. Mi chiesi scioccamente il perché. La mia sedia scese sfiorando le scale.

L’ufficio del direttore del carcere non mostrava segni di sorveglianza o di impianti di sicurezza, il che significava che c’era abbondanza di entrambi. Era una grande stanza, ammobiliata nello stile attualmente in voga fra i Muli: tavoli semplici e lineari di teak e palissandro combinati con qualche sedia stile antico con sedili di stoffa e braccioli intagliati. Non sapevo di che periodo fossero.

Miranda lo avrebbe saputo.

Il direttore del carcere non si alzò quando io e Carmela venimmo fatti entrare. Era un Mulo fino alla bionda radice dei capelli. Alto, occhi azzurri, muscolatura possente, una replica modificata geneticamente di un capo vichingo fatta da genitori con più soldi che immaginazione. Parlò direttamente a Carmela, ignorandomi.

— Temo, dottoressa Clemente-Rice, che dopotutto non potrete far visita alla prigioniera.

La voce di Carmela restò serena, ma d’acciaio. — Si sbaglia, signor Castner. Io e il signor Arlen abbiamo un permesso del Procuratore Generale in persona per vedere la signorina Sharifi. Ha ricevuto notifica sia via terminale sia via cartacea. Ho con me le copie della pratica.

— Ho già ricevuto la notifica dal Tribunale, dottoressa.

L’espressione di Carmela non mutò. Restò in attesa. Il direttore del carcere si appoggiò allo schienale della sedia antica allacciandosi le mani dietro la testa con espressione ostile e divertita. Anche lui aspettò.

Carmela era più brava.

Alla fine lui ripeté: — Nessuno di voi due può vedere la prigioniera, a dispetto di quello che dice il Tribunale.

Carmela non disse nulla.

Lentamente l’espressione divertita di lui svanì. Lei non aveva intenzione né di chiedere né di pregare. — Non potete vedere la prigioniera perché la prigioniera non vuole vedervi.

Mi lasciai sfuggire: — Per niente?

— Per niente, signor Arlen. Si rifiuta di vedere entrambi. — Si appoggiò ulteriormente indietro sulla sedia, slacciando le mani, i suoi occhi azzurri piccoli nel bel volto.

Forse me lo sarei dovuto aspettare. Ma non era stato così. Appoggiai i palmi delle mani sulla sua scrivania.

— Le dica… le dica solo che io… le dica…

— Drew — disse dolcemente Carmela.

Cercai di ricompormi. Odiavo che quel bastardo sogghignante mi avesse sentito balbettare. Arrogante cazzone Mulo. In quel momento lo odiavo quanto avevo odiato Jimmy Hubbley, quanto avevo odiato Peg, quella povera ignorante zoticona senza speranza che si sforzava pateticamente di stare al passo con Jimmy Hubbley. "Non ci posso fare niente se so di più e penso meglio di te, Drew! Non posso fare a meno di essere quella che sono!"

Feci ruotare repentinamente la carrozzella e mi mossi verso la porta. Un istante dopo sentii che Carmela mi stava seguendo. La voce del direttore Castner bloccò entrambi.

— La signorina Sharifi ha lasciato un pacchetto per lei, signor Arlen.

Un pacchetto. Una lettera. Una possibilità di rispondere, di spiegarle che cosa avevo fatto e perché lo avevo fatto.

Non volevo aprire il pacchetto davanti a Castner. Avrei però potuto aver bisogno di prendere accordi per rispondere alla lettera lì, subito, e la lettera avrebbe potuto dare qualche spunto che… A Carmela erano occorse tre settimane per farci arrivare fin lì. Un favore personale del Procuratore Generale. Inoltre, Castner aveva indubbiamente già letto quello che Miranda aveva da dirmi. Che diavolo, intere squadre di esperti informatici della sicurezza avevano sicuramente analizzato le sue parole alla ricerca di un codice, di un nano-meccanismo nascosto, di un significato simbolico. Voltai le spalle a Castner e aprii la busta leggermente imbottita.

E se avesse scritto parole troppo difficili per me da comprendere…

Non c’erano però parole. Soltanto l’anello che le avevo regalato dodici anni prima, una sottile fascetta d’oro incastonata di rubini. Lo fissai finché l’anello non si sfuocò e solo la sua immagine restò a riempirmi la mente vuota.

— C’è una risposta? — chiese Castner con voce melliflua. Aveva sentito l’odore del sangue. — No — dissi io. — Nessuna risposta. — Continuai a fissare l’anello.

"Avevi detto che mi amavi!"

"Non più."

Carmela mi dava le spalle, fornendomi l’illusione di un po’ di privacy. Castner mi fissava, sorridendo debolmente.

Mi infilai l’anello in tasca. Lasciammo la prigione federale. Adesso non avevo nessuna forma nella mente, nulla. La grata scura che si era dissolta nel bunker sotterraneo di Jimmy Hubbley per mostrarmi il mio stesso serrato isolamento, non era mai più riapparsa. Non ero più soggiogato da Huevos Verdes. Miranda però era sparita. Leisha era sparita. Carmela era lì, ma non la sentivo nella mia mente, non riuscivo nemmeno realmente a vederla.

Ero solo.

Passammo nuovamente attraverso il sistema di sicurezza e uscimmo dalla prigione nella fredda e scintillante luce solare di Washington.

18

Diana Covington — Albany

Strizzai le palpebre e chiusi gli occhi davanti al bagliore di una parete che appariva eccessivamente bianca. Per un istante non riuscii a ricordare dove fossi o chi fossi. Questa informazione poi mi tornò in mente. Mi sedetti, troppo velocemente. Il sangue abbandonò la testa e la camera prese a turbinare.

— Si sente bene?

Una donna di mezz’età dal volto piacevole, con un corpo grassoccio e profonde rughe che andavano dal naso alla bocca. Modificata geneticamente al minimo, sempre che lo fosse, ma non un Vivo. Indossava l’uniforme della sicurezza. Era armata.

Chiesi: — Che giorno è?

— Il dieci dicembre. Lei è qui da trentaquattro giorni. — Parlò in direzione della parete. — Dottor Hewitt, la signorina Covington è di nuovo qui.

Di nuovo qui. Dov’ero stata? Non importava, lo sapevo. Mi trovai seduta su un letto d’ospedale bianco, in una stanza d’ospedale bianca stipata di apparecchiature mediche e di sorveglianza. Sotto il camiciotto usa e getta bianco le mie braccia, le gambe e l’addome erano ricoperti da piccole protuberanze chiare di sangue raggrumato. Qualcuno aveva preso un bel po’ di campioni.

— Lizzie? Billy? I Vivi che sono arrivati qui con me, erano in tre…

— Il dottor Hewitt sarà qui in un minuto.

— Lizzie, la bambinetta, era malata, è forse…

— Il dottor Hewitt sarà qui in un minuto.

Ci fu, insieme a Kenneth Emile Koehler. La testa mi si schiarì immediatamente.

— D’accordo, dottor Hewitt. Che cosa mi hanno fatto quelli di Huevos Verdes?

Sembravano aspettarsi la mia franchezza. Perché no? Avevamo passato trentaquattro giorni in intima comunione, senza che io potessi ricordare nulla. Egli disse: — Le hanno iniettato svariati e differenti tipi di nano-meccanismi. Alcuni sono costruiti sulla base di organismi di bioingegneria, primariamente virus. Alcuni sembrano essere esclusivamente macchinari, creati un atomo alla volta, che hanno trovato alloggio nelle sue cellule. La maggior parte di essi sembra autoreplicante. Alcuni, supponiamo, hanno un meccanismo a orologeria che ne programma la replicazione. Lì stiamo studiando tutti, cercando di determinare l’esatta natura di…

— Che cosa "fanno" questi macchinari? Che cosa è stato cambiato nel mio corpo?

— Non lo sappiamo ancora.

— Non lo sapete? — Notai io stessa quanto fosse stridula la mia voce. Non me ne importò.

— Non completamente.

— Lizzie Francy? Billy Washington? Lizzie era malata…

— Una parte dell’iniezione che vi è stata fatta conteneva il meccanismo del Depuratore Cellulare, come lei già sa. Ma il resto… — Una strana espressione passò sul volto di Hewitt, risentita e struggente. Non avevo alcuna intenzione di dare retta alla sua espressione. Ero presa da una specie di frenesia improvvisa, del tipo che ti fa pensare che non potrai sopravvivere entro i successivi cinque minuti se non conoscerai informazioni che sai già che rifiuterai nei cinque minuti successivi a essi.

— Dottore, cosa pensa che farà questa fottuta iniezione?

Il suo volto si contrasse. — Non lo sappiamo.

— Ma dovete sapere "qualcosa"…

Un robot arrivò sulle rotelle attraverso la porta. Aveva la forma di un tavolino, con una inutile griglia che suggeriva un volto sorridente. Sulla sua superficie si trovava un vassoio coperto. — Pranzo per la Stanza 612 — disse gradevolmente il robot. Sentii odore di riso, pollo, roba vera, non soia sintetica, cibi che non avevo gustato da mesi. Mi venne improvvisamente una fame da lupo.

Tutti mi guardarono mangiare. Mi guardarono con una intensità particolare. Non me ne importava niente. Il sugo del pollo mi gocciolava lungo il mento, i grani di riso mi scivolavano dalle labbra. I denti erano stuzzicati dalla gradevole dolcezza del lacerare carne. Piselli freschi e dolci, salsa di mele speziata. Ero famelica, consumata da ciò che stavo consumando. Nessuna quantità poteva essere sufficiente.

Quando ebbi terminato, mi stesi nuovamente sui cuscini, curiosamente esausta. Hewitt e Koehler avevano espressioni identiche e non riuscivo a decifrare nessuna delle due. Ci fu un lungo silenzio, inutilmente pregno, per quello che mi riguardava.

Dissi: — E allora? Quando verrò rimandata a giudizio?

— Non è necessario — rispose Koehler. Il suo volto era ancora imperscrutabile. — È libera di andarsene.

Il mio improvviso sfinimento sparì altrettanto improvvisamente. Non era così che funzionava il sistema.

— Sono in stato di arresto per avere ostacolato la giustizia, cospirato a sovvertire…

— Le imputazioni sono state lasciate cadere — disse Hewitt.

Parlai lentamente: — Fatemi vedere un olo-notiziario.

Koehler ripeté la frase di Hewitt, con voce atona: — È libera di andare.

Portai le gambe oltre il margine del letto. Il camicione da ospedale mi avvolgeva come una tenda, informe. Nei grandi momenti le cose piccole erano importanti: il modo del mondo per mantenerci insignificanti. Chiesi bruscamente: — Dove sono i miei vestiti? — Come se avessi veramente voluto la dozzinale tuta e il parka pieni di fango che avevo indossato quando ero arrivata in ospedale.

Ovviamente ci sarebbero stati monitor corporei. Cimici sub-epidermiche, indicatori radioattivi del sangue, chissà cos’altro. Non li avrei mai trovati.

Un robot mi portò gli abiti. Li infilai, senza badare al fatto che gli uomini stessero a guardare. Le solite regole non si applicavano.

— Lizzie? Billy?

— Sono usciti due giorni fa. La bambina è guarita.

— Dove sono andati?

Koehler disse: — Non possediamo questa informazione. — Stava mentendo. Le sue informazioni mi erano interdette. Io ero fuori dalla rete governativa.

Uscii dalla stanza, aspettandomi di essere bloccata nel corridoio, all’ascensore, nell’atrio. Uscii anche dalla porta principale. Non c’era in giro assolutamente nessuno, nessuno che si stesse affrettando a entrare per far visita a un fratello, una moglie o un partner commerciale. Un robot si stava occupando dell’erba primaverile, che, ai miei occhi abituati a East Oleanta, appariva aggressivamente modificata geneticamente riguardo al verde. L’aria era dolce e calda. La luce primaverile batteva sopra di essa producendo lunghe ombre da tardo pomeriggio. Un albero di ciliegio era carico di fragranti fiorellini rosa. Il parka che avevo addosso era decisamente troppo pesante: lo tolsi e lo lasciai cadere sul marciapiede.

Camminai lungo tutto il lato dell’edificio, chiedendomi che cosa avrei fatto adesso. Ero realmente curiosa, in un modo così distaccato che mi avrebbe dovuto allertare rispetto a quanto tranquillamente e stupidamente folle fossi in quel momento. La realtà poteva soltanto interessarmi, non sorprendermi. Perfino l’interesse era precario. Il passo successivo sarebbe stata la catatonia.

Raggiunsi l’angolo dell’edificio e svoltai. C’era una navetta, compatta, verde come l’erba bio-tecnologica. La portiera era aperta. Entrai.

Il bus disse: — CARTA DI CREDITO, PER FAVORE.

Armeggiai con le mani nelle tasche della tuta. Doveva esserci una carta di credito da qualche parte: non un gettone-pasto da Vivo, ma una carta di credito da Mulo. La inserii nella fessura. La navetta disse: — GRAZIE.

— Che nome c’è su quella carta?

AVETE SUPERATO LA CAPACITA DI LINGUAGGIO DI QUESTA UNITÀ. DESTINAZIONE. PREGO? CIVIC PLAZA. HOTEL SHEHERAZADE. HOTEL IOTO. STAZIONE CENTRALE FERROVIA A GRAVITÀ O PIAZZA EXCELSIOR?

— Stazione Centrale ferrovia a gravità.

Le portiere della navetta si chiusero.

C’rano molte persone in stazione, Vivi vestiti con brillanti tute e pochi Muli del governo; eravamo ad Albany, la capitale dello stato. Tutti sembravano avere una gran fretta. Entrai nel Caffè della Stazione Centrale Governatore John Thomas Lividini. Creano tre uomini ammassati a un tavolinetto d’angolo che parlavano animatamente. La catena del cibo si era fermata. L’olo-canale mostrava una gara di scooter e nessuno degli uomini sollevò lo sguardo quando cambiai per sintonizzarmi su un canale-notiziario dei Muli.

— "…continua a diffondersi negli stati del centro occidentali e meridionali. Visto che il virus biotecnologico può essere trasmesso da moltissime specie di animali e uccelli, il Centro per il Controllo Malattie raccomanda di evitare qualsiasi contatto con la fauna selvatica. Essendo la pestilenza anche estremamente contagiosa fra gli umani…"

Cambiai canale.

— "…severissimo embargo su ogni commercio di tipo fisico, viaggiatori, posta o qualsiasi oggetto diretto in Francia dall’America del Nord. Come con le altre nazioni, la paura della Francia di una contaminazione ha condotto a un’isteria che…"

Cambiai canale.

— "…apparentemente terminato. Gli scienziati del Massachusetts Institute of Technology hanno diramato un comunicato secondo cui i nano-meccanismi a orologeria del disgregatore di duragem non hanno ancora terminato il corso programmato, ma sono piuttosto svaniti nel tempo a causa della erronea interpretazione della complessa struttura della loro costruzione. Il Presidente del Dipartimento di Ingegneria Myron Aaron White ha parlato con noi nel suo ufficio di…"

Cambiai canale.

— "…carenza cronica di cibo. Ci si aspetta, tuttavia, che la situazione migliori ora che la crisi del disgregatore di duragem è rallentata, a causa, apparentemente, di…"

Restai a guardare per un’ora. La carestia stava diminuendo; la carestia stava aumentando. La piaga biotecnologica si stava diffondendo; la piaga biotecnologica era sotto controllo. Il resto del mondo era stato infettato da beni e viaggiatori americani; il resto del mondo mostrava soltanto segni di scarsa importanza sia di contaminazione del duragem sia della "peste da animali selvatici".

Nemmeno una volta, venne tuttavia nominata un’organizzazione clandestina di sabotatori nano-tecnologici. Nemmeno una volta venne menzionata l’organizzazione palese di Huevos Verdes. I Super-Insonni sarebbero anche potuti non esistere. Non Miranda Sharifi.

Mi avvicinai al tavolinetto degli uomini nell’angolo. Sollevarono lo sguardo senza sorridere. Indossavo una tuta color porpora e avevo gli occhi modificati geneticamente. Non allungai nemmeno la mano per controllare se avessi o no lo scudo personale sulla cintura. Doveva esserci. Koehler mi voleva viva: ero un preziosissimo laboratorio ambulante.

— Voi uomini sapete, voi, dov’è che posso trovare l’Eden?

Due volti restarono ostili. Sul terzo, il più giovane, gli occhi scintillarono e la bocca si raddolcì agli angoli. Parlai con lui.

— Io sto male, io. Penso di averla presa.

— Harry, è modificata geneticamente, lei — disse l’uomo più anziano. Nulla nel suo tono di voce mostrava timore di contagio.

— È malata — ribatté Harry. Aveva una voce più vecchia rispetto al volto.

— Non sapete dove…

— Vai alla macchinetta della droga al binario dodici, tu. C’è lì una donna con una collana che sembra di stelle. Ti porterà a un Eden, lei.

"Un" Eden. Uno dei molti. Preparati in anticipo da Huevos Verdes: tecnologia, distribuzione, diffusione di informazioni, tutto quanto. La forza di sicurezza dei Vivi, se così la si poteva chiamare, consisteva in tutto nel pacato scoraggiamento degli amici di Harry, il che significava che il governo non stava interferendo. Mi vennero le vertigini.

Durante il lungo tragitto fino al binario dodici, vidi solamente quattordici persone. Due di esse erano tecnici Muli. Non vidi alcun treno lasciare la stazione. Un robot-pulitore era bloccato, immobile, nel punto in cui si era guastato, ma non c’erano lattine di bibita, panini mezzo mangiati, torsoli di mele modificate geneticamente, carte di caramelle di soia sintetica sul pavimento. Senza tutte queste cose la stazione sembrava di Muli, non di Vivi.

Una donna di mezza età stava seduta pazientemente per terra presso la macchinetta distributrice di droga. Indossava una tuta blu e una collana di lattina, ogni tondino di metallo tenero piegato e ribattuto fino a formare una rozza stella. Mi piantai davanti a lei. — Sono malata.

Mi ispezionò attentamente. — No, non è vero.

— Voglio andare nell’Eden.

— Di’ al Capo della Polizia Randall che se vuole chiuderci dentro, lui, lo deve fare e basta. Non c’ha bisogno di nessun Mulo che viene qui facendo finta che è malato, lui, se non lo è. — La donna pronunciò queste parole senza rancore, dolcemente.

— Giù nella tana del coniglio — dissi io. — "Mangiate di Me", "Bevete di Me". — Al che, naturalmente, lei non fece una piega.

Mi diressi verso un monitor di informazioni ferroviarie e chiesi notizie sulle partenze dei treni. Era rotto. Provai con un altro. Al quarto tentativo un monitor funzionante mi rispose.

Il binario 25 si trovava in un’altra sezione della stazione. Lì c’era maggiore attività, anche se non più spazzatura a terra. Tre tecnici stavano lavorando su un treno. Mi sedetti a gambe incrociate sul pavimento, senza rivolgere loro la parola, finché non ebbero terminato. Ripararono solamente quel treno, quindi se ne andarono, con un’espressione stanca in viso. Colin Kowalski e Kenneth Koehler sapevano dove sarei andata.

Ero l’unico passeggero. Il treno era un diretto. Il tramonto era appena all’inizio quando scesi sulla deserta via principale di East Oleanta.

L’appartamento di Annie su Jay Street era vuoto, la porta socchiusa. Non era stato preso nulla. Non l’orrendo e sgargiante arazzo, non i secchi dell’acqua, non i cuscini in plasti-stoffa, non la bambola mezza rotta di Lizzie. Entrai e mi stesi sul letto di Lizzie. Dopo qualche tempo mi diressi al caffè.

Non c’era nessuno nemmeno lì. La catena del cibo era ferma e vuota, l’olo-terminale spento. Il caffè non era stato distrutto. Era solamente stato evacuato, come il resto del paese. Il governo voleva che tutti gli estranei venissero allontanati per qualche tempo, il che non includeva me. Non ero un’estranea. Dal loro punto di vista ero una delle cinque persone più importanti del mondo: quattro laboratori biologici ambulanti e la loro scienziata pazza prigioniera. Ero io il gestore del laboratorio, così come lo erano probabilmente gli altri tre. Dovevo soltanto aspettare che arrivassero.

Prima che mancasse la luce, camminai in mezzo alla neve fino alla piatta e pietrosa sponda del fiume dove Billy aveva spostato il coniglio marrone zampa bianca con il bastone che Lizzie gli aveva regalato. Il coniglio era sparito. Rimasi seduta a lungo sull’argine, fissando l’acqua fredda, finché il sole non fu tramontato e la pietra mi raggelò il sedere.

Passai la notte nell’appartamento di Annie, sul divano. L’unità di riscaldamento funzionava ancora. Anche se mi svegliai spesso durante la notte, fu soltanto per brevi periodi. Non si trattava di una vera e propria insonnia. Ogni volta, mi misi in attento ascolto, nell’oscurità. Non c’era nulla da sentire.

Una volta, per un impulso semi-conscio, mi toccai le orecchie. I buchi per gli orecchini si erano chiusi. Mi passai un dito sulla coscia, alla ricerca di una cicatrice che mi ero provocata in una caduta durante l’infanzia. La cicatrice era sparita.

Passai la mattina successiva a guardare l’olo-terminale. Bannock Falls, in Ohio, era stata spazzata via dalla pestilenza in ventiquattro ore. I robot con telecamera mostravano i corpi morti lì dove erano caduti, fuori dal Caffè Senatrice Ellen Piercy Devan, stesi gli uni sugli altri con addosso pesanti tute invernali, come vittime della peste bubbonica del Quattordicesimo secolo.

A Jupiter, in Texas, i Vivi si erano scatenati in una rivolta, facendo saltare in aria la loro cittadina con esplosivi nano-tecnologici che non dovevano, non potevano, avere posseduto. La gente del paese aveva promesso di calare su Austin se non fossero stati inviati loro 450.000 cubiti di cibo, apparentemente una unità di misura biblica, nel giro di ventiquattro ore.

L’enclave di Muli di Chevy Chase nel Maryland si era autoimposta una quarantena: nessuno dentro, nessuno fuori.

La maggior parte dell’Europa, del Sud America e dell’Asia aveva imposto l’embargo su qualsiasi cosa provenisse dal Nord America: violazioni punite con la pena capitale. La metà dei paesi sosteneva che gli embargo stessero funzionando e che i proprio confini fossero puliti; l’altra metà reclamava risarcimenti legali per le proprie infrastrutture in rovina e per la morte dei cittadini. Gran parte dell’Africa rivendicava entrambe le cose contemporaneamente.

Washington D.C., all’esterno della Enclave Federale Protetta, era in fiamme. Era difficile capire quanta parte del governo fosse rimasta per poter accogliere ì reclami di risarcimenti legali.

Timonsville in Pennsylvania era scomparsa. L’intero paese di duemila e trecento persone aveva semplicemente fatto le valigie e si era disperso. Questo era il massimo che i notiziari arrivavano ad accennare rispetto agli immensi cambiamenti riguardanti dove la gente andasse o perché o quali microrganismi portasse con sé nelle diaspore.

Nessuno menzionò anche solo lontanamente East Oleanta.

Nel pomeriggio cominciò a nevicare, anche se la temperatura era appena al di sopra dello zero. Avevo pensato di fare una passeggiata fra le montagne, in cerca del luogo in cui Billy ci aveva condotto oltre un mese prima, ma il tempo lo rese impossibile.

Giacqui sveglia tutta la notte, ascoltando il silenzio.

La mattina dopo feci una doccia ai Bagni Pubblici Salvatore John DeSanto che stavano misteriosamente funzionando di nuovo. Ritornai quindi al caffè. East Oleanta era ancora deserta. Sedetti sul bordo di una sedia, come una diligente scolaretta Mulo e guardai l’olo-terminale mentre il mio paese si disintegrava per la carestia, la pestilenza, la morte e la guerra e il resto del mondo mobilitava le sue tecnologie più avanzate per sigillarci all’interno dei nostri confini. Se c’erano altre notizie, gli olo-canali non le riportavano. Alle undici del mattino soltanto tre canali trasmettevano ancora.

A mezzogiorno avvertii un improvviso, sopraffacente bisogno di andarmi a sedere presso il fiume. Questo bisogno mi colpì con la forza di una rivelazione religiosa. Non era appellabile. Dovevo andarmi a sedere presso il fiume.

Una volta lì, tolsi i vestiti, un atto così poco usuale e tuttavia irrefrenabile come un attacco di diarrea in pubblico. C’erano appena due o tre gradi e brillava il sole, ma ebbi la sensazione che non me ne sarebbe importato nemmeno se fossimo stati sotto zero. "Dovevo" togliere i vestiti. Lo feci e mi distesi su una chiazza di fango superficiale.

Giacqui sulla schiena nel fangoallentato dal sole, tremando violentemente per forse sei o sette minuti. Alcuni sassi mi premettero contro le scapole, la parte posteriore delle cosce, il fondo schiena. Il fango del fiume aveva un odore pungente. Era freddo. Non mi ero mai sentita così a disagio in vita mia. Rimasi stesa lì, con un braccio sopra la faccia per schermare gli occhi dalla scintillante luce del mezzogiorno, riluttante a muovermi. Incapace di un gesto. Poi tutto terminò e, ancora rabbrividendo, mi sedetti e mi rivestii.

Era finito.

"Mangiami" diceva la fialetta che Alice aveva trovato sul fondo della tana del coniglio. "Bevimi."

Erano passati due giorni interi da quando avevo divorato il pollo col riso e i genuini piselli novelli nell’ospedale governativo di Albany. Non mi ero sentita affamata: scioccata, ansiosa, depressa. Tutte queste cose possono bloccare l’appetito. Il corpo tuttavia ha bisogno di carburante. Anche quando la fame è assente, i livelli di glucosio crollano. Ci sono depositi nascosti di amido nel fegato e nei muscoli, ma alla fine anche quelli vengono consumati. Il sangue ha bisogno di nuove fonti di glucosio da inviare al corpo.

Il glucosio non è altro che atomi. Carbonio, ossigeno, idrogeno. Combinati in un modo nel cibo, combinanti in un altro modo nel fango, nell’acqua e nell’aria esattamente come l’energia esiste sia sotto forma di legami chimici sia, in un’altra forma, come luce solare.

L’energia-Y ricombinava le forme dell’energia in modo che ce ne fosse sempre un rifornimento disponibile ed economico.

La nano-tecnologia ricombinava gli atomi che potevano essere trovati sempre e ovunque.

Sotto i vestiti, potevo sentire il fango che mi macchiava ancora la parte posteriore delle cosce. Cercai di ricordare come erano chiamate le aperture attraverso le quali le piante assorbivano l’aria, quei minuti orifizi nell’epidermide delle foglie e degli steli. Non mi venne in mente il termine. Avevo il cervello annebbiato.

Il mio corpo si era nutrito.

Presi a camminare attentamente, appoggiando cautamente i piedi a ogni passo, trasferendo il peso lentamente da un piede all’altro. Tenevo le braccia leggermente sollevate rispetto ai fianchi, per potermi sorreggere in caso fossi caduta. Tenevo la testa rigida. Avanzai lentissimamente lungo l’argine e mi sembrò una cosa cruciale. Mi sembrava di non avere scelta. Mi muovevo come se fossi stata qualcosa di raro e fragile. Io ero la risposta al mondo che stava morendo di fame.

No. La risposta era Huevos Verdes.

Non appena avuta quell’idea, riuscii a camminare normalmente. Mi arrampicai su per la collina per giungere in paese. Non ero l’unica. Ormai c’erano centinaia, migliaia di noi. L’Eden esisteva in una stazione della ferrovia a gravità ad Albany, di fianco alla macchinetta distributrice di droga. L’intero paese di Timonsville in Pennsylvania era sparito. Miranda Sharifi aveva mostrato pubblicamente il Depuratore Cellulare, la parte più comprensibile del progetto, oltre tre mesi prima. Durante l’ultimo mese, poi, Huevos Verdes aveva potuto immagazzinare oceani di siero in foreste di sottili siringhe nere. Ecco che cosa stavano facendo in giro per tutto il paese, in quei luoghi in cui la peste "non" stava uccidendo le persone. Non ero l’unica. Ero solamente stata la prima.

Se si eccettuavano gli stessi Insonni.

Il mio corpo si sentiva bene, che è poi come dire che non sentiva proprio nulla. Scomparve dalla mia sensazione conscia, come fanno i corpi sani e sazi. Era semplicemente lì, pronto ad arrampicarsi, correre, lavorare o fare all’amore senza dover dipendere dal Caffè Congressista Janet Carol Land. Senza dover dipendere dagli agro-robot della Concessionaria CanCo, dai sistemi pubblici di distribuzione cibo, dalla Amministrazione Federale Controllo Farmaci, dalla verifica dei mezzi di produzione, dalle mietitrici, dai cartelli e dalle banche a cui erano legati, da quaranta acri e un asino, dalle trebbiature, dagli schiavi dei campi, dalle piogge venute durante l’anno e le locuste che erano rimaste lontane, da Demetra, Indra e gli dei Aztechi del grano. Settemila anni di civiltà costruiti sul bisogno di nutrire la gente.

"Altro nella siringa."

Potevo ancora mangiare normalmente, avevo consumato pollo, riso e piselli nell’ospedale di Albany. Ma non "dovevo" farlo necessariamente. Da adesso in poi il mio corpo avrebbe potuto "mangiare" il fango.

Riflettei sconcertata su tutto il cibo che avevo consumato nella mia esistenza. Manzo alla Wellington, la pasta sfoglia attorno all’arrosto al sangue. Gustosi amaretti con la noce di cocco appena tritata sopra. Patate alla Anna, croccanti e fragranti. Cioccolata svizzera fondente. Cassoulet. Granchi dell’Alaska come li facevano al Fruits de la Mere a Seattle. Torta di mele in teglia…

Mi venne l’acquolina in bocca, quindi si bloccò. Una controrisposta biologica programmata? Probabilmente non lo avrei mai scoperto.

Biscotti che gocciolavano burro. Avrei ancora potuto mangiarli. Agnello alla Gaston. Rucola fresca. Se fossero stati disponibili. Fragole con la panna. Ma ci sarebbe stato ancora qualcuno a coltivare o allevare gli ingredienti senza un mercato obbligato?

Un’improvvisa ondata di vertigini mi assalì. Dovevo essere sotto shock, o sotto una specie di tranquilla isteria. Era una sorta di offuscamento cerebrale dovuto alla semplice portata della cosa, all’audacia. Miranda Sharifi e i suoi ventisei Super-geni inumani, che pensavano in modo fondamentalmente diverso dal nostro, aiutati da una tecnologia che avevano costruito loro stessi in modo tale che ogni passo avanti aprisse ulteriori vie. Avevano programmato, probabilmente, per anni, e avevano eseguito piani complessi in modo inimmaginabile che avrebbero cambiato tutto per tutti.

E io che avevo un tempo pensato che i Muli fossero perennemente insoddisfatti e che non si sarebbero mai accontentati di nulla.

Abbacinata, camminai oltre la stazione. Si fermò un treno e Annie, Billy e Lizzie scesero da una carrozza, portando dei fagotti. Lizzie mi vide, si mise a strillare e mi corse incontro. Rimasi immobile a guardarli, sentendo la testa sempre più leggera, il cranio che si gonfiava come un pallone. Lizzie mi si precipitò fra le braccia. Era più alta, più forte, più pienotta, tutto in poco più di un mese. Il volto di Billy si aprì in un largo sorriso. Balzò verso di me come un uomo con la metà dei suoi anni, Annie nella sua scia.

— Billy — dissi. — Billy…

Egli continuò a sorridere.

— Adesso siamo a casa, noi — disse Billy. — Siamo tutti a casa.

Annie tirò su col naso. Lizzie mi strinse tanto forte da spezzarmi le costole. Sotto la tuta sentii il fango staccarsi a scaglie dalla pelle delle cosce.

— Sbrighiamoci — disse Annie. — Voglio arrivare al caffè, io, prima della trasmissione.

— Quale trasmissione? — chiesi.

Tutti e tre mi fissarono sbalorditi. Lizzie disse: — La "trasmissione", Vicki. Da Huevos Verdes. Quella che ne parlano tutti i canali dei Vivi da giorni. Tutti la guarderanno!

— Io ho visto soltanto canali di Muli. — Ma se veniva davvero da Huevos Verdes, potevano utilizzare tutti i canali contemporaneamente, dei Vivi e dei Muli. Lo avevano già fatto in precedenza, tredici anni prima.

— Ma Vicki, è la "trasmissione" di Huevos Verdes — ripeté Lizzie.

— Non lo sapevo — dissi io umilmente.

— Muli — commentò Annie. — Non sanno mai niente di niente, loro.

19

Miranda Sharifi — Filmato trasmesso da Huevos Verdes via Rifugio

"Sono Miranda Serena Sharifi e vi parlo tramite un olo-filmato non montato registrato sei settimane fa.

"Vorrete tutti sapere ciò che vi è stato fatto.

"Ve lo spiegherò nel modo più semplice possibile. Se la spiegazione non sarà sufficientemente semplice, vi prego di essere pazienti. Questo filmato verrà trasmesso per settimane e settimane in continuazione sul Canale 35. Forse parti di esso diverranno più chiare se lo ascolterete più di una volta. Oppure, forse, visto che sempre più persone addestrate tecnicamente, Muli, stanno usando le siringhe che abbiamo messo a disposizione ovunque, alcuni Muli vi spiegheranno tutto ciò con parole più facili. Nel frattempo, queste sono le parole più semplici che io sono in grado di trovare per questi concetti, senza che si perda in precisione scientifica.

"Il vostro corpo è fatto di cellule. Una cellula, una qualsiasi cellula, è fondamentalmente un complesso di sistemi per trasformare energia. Così come lo è un organismo, incluso un essere umano.

"Gli umani traggono la loro energia di base dalle piante commestibili, sia direttamente, sia indirettamente, attraverso un processo chiamato fosforilazione ossidativa. I vostri corpi distruggono i legami delle molecole contenenti carbonio e una significativa porzione dell’energia potenziale del cibo viene reinclusa nei legami fosfatici dell’adenosin-trifosfato (ATP). Quando le cellule umane hanno bisogno di energia, la traggono dall’ATP.

"Le piante ricevono la loro energia di base dalla luce solare. Utilizzano l’acqua del terreno e l’anidride carbonica dall’aria per formare il glucosio. Il glucosio può quindi venire reincluso sotto forma di ATP. La maggior parte delle piante usa la clorofilla per effettuare questa foto-fosforilazione.

"Alcuni batteri, gli alo-batteri, possono eseguire sia la fosforilazione ossidante sia la foto-fosforilazione. Possono sia ingerire elementi nutritivi sia, nelle giuste condizioni, creare ATP tramite un meccanismo fotosintetico. In altre parole, possono ottenere energia di base sia dal cibo sia dalla luce solare.

"Gli alo-batteri non usano la clorofilla per farlo. Usano piuttosto il retinolo, lo stesso pigmento che reagisce alla luce nell’occhio umano. Il retinolo esiste in unione con molecole proteiche in un complesso chiamato batteriorodopsina.

"I vostri corpi sono stati modificati per includere una forma radicalmente e geneticamente ricreata di batteriorodopsina.

"Essa esiste sotto membrane trasparenti che si sono ora poste ai terminali di piccoli tubuli che si proiettano fra le cellule di pelle morta della vostra epidermide esterna. La batteriorodopsina modificata è ben più efficiente, addirittura di interi ordini di grandezza, nel catturare fotoni rispetto a qualsiasi altro tilacoide che si trova in natura.

"Tubuli aggiuntivi, con un’attiva capacità di trasporto, vanno anch’essi a finire in una membrana permeabile sulla superficie della vostra pelle. Questi possono assorbire selettivamente molecole di carbonio, oltre ad altri elementi addizionali necessari, direttamente dal suolo o da altro materiale organico. Le molecole assorbite vengono trasformate da enzimi modificati geneticamente che lavorano in unione con i vostri tilacoidi umani e con nano-meccanismi che si replicano nelle vostre cellule.

"Non è affatto una cosa strana come può sembrare. L’embrione umano, quando ha soltanto poche cellule, sviluppa uno strato esterno di cellule chiamate trofoblasto. Il trofoblasto possiede l’insolita proprietà di essere in grado di digerire o liquefare i tessuti con cui entra in contatto. È così che l’embrione si impianta nella parete uterina. La vostra pelle riprogettata è ora in grado di liquefare e assorbire altri generi di materia.

"Vi sono anche stati iniettati microorganismi progettati geneticamente che fissano l’azoto.

"Il tessuto umano consiste per il 96.6 per cento di carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto. Il nano-meccanismo che avete ora nelle cellule è stato programmato per combinare questi elementi, oltre a quelli meno concentrati, in tutte le molecole che sono necessarie. Questi processi sono tutti alimentati dalla luce del sole, usata in modo ben più efficiente che non in natura. L’energia della luce del sole è immagazzinata sotto forma di ATP in modo da essere utilizzata quando non c’è luce solare. È sufficiente meno di mezz’ora di esposizione nudi, per un periodo di ventiquattro ore. Un surplus può, come per il cibo, venire immagazzinato come glicogeno o grasso.

"Il Depuratore Cellulare distruggerà qualsiasi cellula cancerogena generata dal risultato di una esposizione agli ultravioletti. Distruggerà altresì, ovviamente, ogni molecola tossica assorbita dal suolo, ricombinandone gli atomi in forme non tossiche.

"Il nano-meccanismo manterrà il vostro sistema gastrointestinale in grado di operare anche se resterà inutilizzato per lunghi periodi continuativi. Gli enzimi modificati geneticamente sono studiati per eliminare, tramite interazioni allosteriche, qualsiasi sensazione soggettiva di fame.

"Quando il cibo sarà disponibile potrete mangiare e immagazzinare energia tramite fosforilazione ossidativa. Quando il cibo non sarà disponibile, potrete stendervi al suolo, alla luce del sole, e immagazzinare energia attraverso foto-fosforilazione.

"Ora capirete.

"Ora siete auto-trofici.

"Ora siete liberi."

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