PARTE SECONDA Agosto 2114

Colui il quale non utilizzerà nuove cure dovrà aspettarsi nuovi mali: il tempo è infatti il più grande innovatore.

Francesco Bacone (Sulle Innovazioni)

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Diana Covington — Washington

La prima persona che vidi salire al Tribunale Scientifico, su per gli ampi e bassi gradini di pietra bianca che avrebbero dovuto evocare Socrate e Aristotele, fu Leisha Camden.

Paul, che era venuto dopo Anthony e prima di Rex, e io eravamo soliti godere di discussioni intellettuali. Egli ne godeva perché vinceva, io ne godevo perché vinceva lui. Questo, ovviamente, avveniva prima che io capissi quanto era profondamente radicato, come un cancro, il mio desiderio di perdere. In quel periodo le discussioni parevano divertenti, ardite. La gente che conoscevamo, Paul e io, considerava una pessima abitudine quella di discutere su questioni astratte. Noi Muli, con la nostra intelligenza modificata geneticamente, eravamo tutti così bravi a farlo, che era come vantarsi del fatto di saper camminare. Nessuno voleva apparire ridicolo. Molto meglio godere pubblicamente del surf, del giardinaggio o perfino, Dio ci aiuti, delle cabine di deprivazione sensoriale. Molto meglio.

Una sera, però, io e Paul, arditi anticonformisti fino alla banalissima fine, dibattemmo su chi dovesse avere il diritto di controllare una tecnologia radicalmente nuova. Il governo? I tecnocrati, nella maggior parte scienziati e tecnici, che erano gli unici che riuscivano realmente a comprenderla? Il mercato libero? Le persone? Non fu una bella serata. Paul voleva vincere ancor più del solito. Io, per qualche motivo connesso a una sgualdrina dagli occhi dorati che si trovava alla festa della sera precedente, non ero bramosa come al solito di perdere. Vennero dette delle cose, il genere di cose imbarazzanti che non se ne vanno più via. Gli umori si infiammarono. La scrivania di teak di mio nonno paterno ebbe bisogno di un nuovo pannello, che non riuscì mai a uguagliare perfettamente gli altri. Il dibattito intellettuale può avere effetti devastanti sul mobilio.

In fondo in fondo, io do la colpa agli Insonni per la mia rottura con Paul. Non direttamente, ma un désastre inoffensif, come il piccolo programma finale che distrugge un sistema sovraccarico. In fondo, poi, durante gli ultimi cento anni, di che cosa non abbiamo dato la colpa agli Insonni?

Hanno perfino provocato la creazione dei Tribunali Scientifici: altro désastre inoffensif. Cento anni fa, nessuno aveva mai stabilito se fosse accettabile creare un embrione umano in modo che fosse Insonne. Le Compagnie di modificazione genetica lo facevano e basta, allo stesso modo in cui avevano creato tutte quelle altre modificazioni genetiche embrionali, ai tempi privi di regolamentazione prima dell’avvento dell’ECGS.

Poi arrivarono gli Insonni. Razionali, svegli, intelligenti. Troppo intelligenti. Dotati di una vita lunghissima, un bonus a sorpresa: nessuno aveva saputo, inizialmente, che il sonno interferisse con la rigenerazione cellulare. A nessuno piacque quando venne scoperto. Troppi vantaggi darwini’ani che si ammassavano in un angolo.

Essendo questi gli Stati Uniti e non qualche monarchia del Sedicesimo secolo o stato totalitario del Ventesimo, il governo non decise di mettere drasticamente fuori legge le modificazioni genetiche radicali. Le condannarono invece a morte.

Il Foro Federale per la Scienza e la Tecnologia segue determinati processi. Ci sono una giuria composta da un gruppo di scienziati, discussioni e repliche, interrogatori incrociati, opinione finale scritta con menzione di opinioni discordanti, l’intero ROM. Il Tribunale Scientifico non ha potere. Può solamente raccomandare, non prendere decisioni.

Tuttavia nessun Congresso, presidente o commissione dell’ECGS ha agito contravvenendo alle raccomandazioni del Tribunale Scientifico. Mai.

Avevo quindi tutta la force majeure dello status quo dalla mia parte, in quella notte di devastazione mobili quando dichiarai che fosse il governo a dover controllare la modificazione genetica umana. Paul voleva che il controllo assoluto fosse dato agli scienziati (lui era uno di loro). Avevamo entrambi ragione, per quanto riguardava la pratica attuale. Ovviamente però la pratica non importava: in realtà non importava nemmeno la teoria. Quello che realmente volevamo, era il litigio.

Leisha Camden non aveva mai distrutto mobili, battuto un pugno contro una parete o scagliato a terra antichi calici da vino? Guardandola camminare nell’edificio del Foro dalle colonne bianche sulla Pennsylvania Avenue, pensai di no. Washington in agosto è caldissima. Leisha indossava un abito bianco senza maniche. I capelli biondo chiaro erano tagliati in corte e scintillanti onde. Appariva composta, bellissima, fredda. Mi ricordò, probabilmente in modo ingiusto, Stephanie Brunell. Tutto quello che mancava era il cagnolino rosa dagli occhi enormi condannato a morte.


— Udite, udite — gridò il cancelliere, quando la commissione scientifica entrò. E poi si arrabbiano quando la stampa lo chiama "tribunale scientifico". Washington è Washington anche quando si alza in piedi davanti a vincitori di premi Nobel.

Questa volta ce n’erano tre in una commissione formata da otto persone: artiglieria pesante. Barbara Poluikis, biologia-chimica, una donna minuta dagli occhi iper-allertati. Elias Maleck, medicina, che irradiava preoccupata integrità. Martin Davis Exford, fisica molecolare, che assomigliava più a un ballerino classico invecchiato. Nessuno, ovviamente, con un premio in genetica. Gli Stati Uniti non hanno vinto in quel campo da sessanta anni. I commissari erano stati accettati dagli avvocati di entrambe le parti. Si presumeva che i commissari fossero imparziali.

Mi sedetti nella zona riservata alla stampa, grazie alle credenziali di Colin Kowalski, credenziali falsificate così malamente che chiunque le avesse controllate avrebbe dovuto concludere che erano state falsificate da me, la persona resa inabile dal morbo di Gravison, e non da un competente ente governativo. C’erano moltissimi rappresentanti della stampa, in carne e ossa e robotici. Il Tribunale Scientifico viene trasmesso su molti canali di Muli.

Dopo che i commissari si furono seduti, io rimasi in piedi per analizzare gli spettatori, alla ricerca di Vivi. Potevano essercene uno o due in sala, la stanza era così grande che era difficile a dirsi. "La preghiamo di sedersi" mi disse il mio sedile con voce ragionevole "altri potrebbero non riuscire a vedere al di là di lei." Facile a credersi. Con la tuta dallo sgargiante color porpora e la bigiotteria di latta-e-plastica ero assolutamente unica nella sezione riservata alla stampa.

Davanti alla olocamera, dietro a una antica ringhiera in legno e un invisibile scudo a energia-Y di massima sicurezza, erano seduti gli avvocati, gli esperti che dovevano testimoniare, i commissari e i VIP. Leisha Camden era seduta accanto all’avvocato amatoriale Miranda Sharifi che era improvvisamente apparsa a Washington da solo Dio sa dove. Non da Huevos Verdes. Per giorni e giorni la stampa aveva controllato l’isola con l’avidità dei residenti di una base lunare che monitoravano eventuali fessure nella cupola. E allora da quale fronte geografico era saltata fuori Miranda Sharifi, armata per dare battaglia in favore del prodotto delle sue industrie?

Aveva rifiutato che un legale professionista dibattesse il suo caso. Aveva rifiutato perfino Leisha Camden, il che aveva provocato parecchie risatine tra la stampa. Apparentemente loro ritenevano che un Super-Insonne non fosse adatto a presentare in modo convincente la tecnologia inventata dal suo stesso genere. Non ho mai smesso di restare stupefatta dalla stupidità dei miei compagni Muli dal QI potenziato.

Studiai attentamente Miranda. Piccola, testa grossa, fronte bassa. Capelli neri, folti e ribelli, legati con un fiocco rosso. A dispetto del severo e costosissimo abito nero, non assomigliava né a un Vivo né a un Mulo. La vidi asciugarsi furtivamente i palmi delle mani sulla camicia: dovevano essere umidi. Avevo visto delle immagini della notissima Jennifer Sharifi, e Miranda non aveva ereditato nulla della freddezza, della altezzosità o della bellezza di sua nonna. Mi chiesi se non le dispiacesse.

— Siamo oggi qui riuniti — cominciò il moderatore dottoressa Senta Yongers, un tipo nonnesco con la perfetta dentatura da stella della OLO-TV — per determinare i fatti concernenti il Caso 1892-A. Vorrei ricordare a chiunque in questa sala che lo scopo dell’inchiesta è triplice. Primo, occorre identificare fatti consolidati concernenti questo progetto scientifico che includano, ma non si limitino, alla sua natura, alle azioni e agli effetti fisici replicabili.

"Secondo, occorre permettere che vengano poste in discussione le opinioni contrarie a questo progetto scientifico, che vengano dibattute e registrate per successivi studi.

"Terzo, occorre soddisfare la richiesta congiunta del Comitato Congressuale sulla Nuova Tecnologia, della Amministrazione Federale sulle Droghe e dell’Ente governativo di Controllo degli Standard Genetici, perché venga creata una segnalazione per ulteriori studi, per la brevettazione all’interno degli Stati Uniti e per il rigetto del Caso 1892-A, che ha già ottenuto il riconoscimento dello stato di brevetto. Un ulteriore studio, devo rammentarvi, consente a coloro i quali hanno sviluppato il brevetto di richiedere a volontari di sottoporsi al test-beta del brevetto stesso. La brevettazione è virtualmente equivalente al permesso federale di accedere al mercato." La Yongers si guardò attorno con espressione seria da sopra la montatura degli occhiali un vezzo di moda del momento per i Muli che avevano una vista perfetta.

Tornai a fissare Miranda Sharifi che teneva in mano una spessa copia stampata rilegata in nero. A me risultava chiarissimo che gli Insonni rappresentavano una specie diversa rispetto ai Muli e ai Vivi. Lo dico solamente a beneficio del gran numero di persone per le quali questo resta, inesplicabilmente, non chiaro. Miranda comprendeva indubbiamente tutto ciò che c’era di importante in ogni campo dello scibile. Per me questo significava appartenere a un’altra specie. I Muli hanno i cervelli completamente adattati ai loro bisogni, ma li avevano anche gli stegosauri. Io stavo guardando un mammifero pluri-adattato.

Sentendomi in imbarazzo, osservai un giornalista degli olo-notiziari davanti a me, schioccare un dito per indirizzare la sua robocamera che zoomava una scritta intagliata attraverso l’impressionante cupola dell’aula: IL POPOLO DEVE CONTROLLARE SCIENZA E TECNOLOGIA. Un grazioso tocco giornalistico. Approvo sempre l’ironia.

— Il principale avvocato difensore del Caso 1892-A — continuò la moderatrice Yongers — è Miranda Sharifi, delle Imprese di Huevos Verdes, proprietarie del brevetto. Il capo della parte avversa è il dottor Lee Chang, Genetico Senior dell’ECGS e detentore della cattedra Geoffrey Sprague Morling di Genetica al Johns Hopkins. I seguenti accordi sono già stati controfirmati da entrambe le parti. Per ulteriori dettagli si prega di fare riferimento alla copia cartacea fornita, allo schermo principale che si trova davanti all’aula oppure al Canale 1640FORUM sulla rete governativa.

La "copia cartacea fornita" erano quattrocento pagine di diagrammi cellulari, equazioni, tavole genegnomiche e processi chimici, il tutto condito da numerose citazioni e annotazioni. Sul frontespizio c’era tuttavia un estratto di una sola pagina che qualcuno aveva preparato per la stampa.

— Il pre-accordo di entrambe le parti si è ottenuto — lesse la moderatrice Yongers — sui seguenti nove punti: "Uno — Il Caso 1892-A descrive un nano-dispositivo progettato per essere iniettato nel flusso sanguigno umano. Il dispositivo è fatto di proteine modificate geneticamente e auto-replicantesi in strutture altamente complesse. Il processo che crea queste strutture appartiene alle Imprese Huevos Verdes. Il dispositivo è stato chiamato dai suoi creatori Depuratore Cellulare. Questo nome è un trademark registrato e deve essere indicato come tale ogni volta che viene utilizzato".

Esaminai le facce dei Premi Nobel. Non mostravano nulla.

— Due — In condizioni di laboratorio, il Depuratore Cellulare ha dimostrato la capacità di lasciare inalterato il flusso sanguigno e di spostarsi attraverso il tessuto umano, come fanno i globuli bianchi del sangue. In condizioni di laboratorio, il Depuratore Cellulare ha altresì dimostrato di avere la capacità di penetrare una parete cellulare, come fanno i virus, senza provocare danni alla cellula.

Fin qui nessun problema. Perfino io sapevo che l’Amministrazione Federale di controllo farmaci aveva già patentato un lotto di farmaci che erano in grado di fare queste cose.

— Tre — In condizioni di laboratorio, il Depuratore Cellulare occupa meno dell’uno per cento del volume tipico di una cellula e ha dimostrato la capacità di essere alimentato da sostanze chimiche presenti naturalmente nelle cellule.

La Yongers fece una pausa e guardò con atteggiamento di sfida tutta l’aula: non ne compresi il motivo. Mi era già chiaro dove avrebbe attaccato l’opposizione, vista la premessa ricorrente in ogni punto.

— Quattro — In condizioni di laboratorio, il Depuratore Cellulare ha dimostrato la capacità di replicarsi a un ritmo leggermente inferiore rispetto a quello con cui si replicano i batteri, circa venti minuti per una divisione completa. In condizioni di laboratorio, questa replica ha dimostrato la capacità di avere luogo per parecchie ore utilizzando soltanto le sostanze chimiche che si trovano comunemente nel tessuto umano più le sostanze chimiche contenute nel fluido dell’iniezione originale. In condizioni di laboratorio, il Depuratore Cellulare ha dimostrato la capacità di smettere di replicarsi dopo svariate ore e di replicarsi quindi soltanto per rimpiazzare unità danneggiate.

Andate e moltiplicatevi, ma solo fino al punto prestabilito.

— Cinque — Il Depuratore Cellulare contiene un dispositivo di proprietà cui ci si riferisce, nel Caso 1892-A, come "tecnologia biomeccanica nano-computerizzata". In condizioni di laboratorio, questa tecnologia ha dimostrato la capacità di identificare sette cellule dello stesso tipo funzionale da una massa di cellule di tipi funzionali diversificati, e di confrontare il DNA di queste sette cellule per determinare che cosa costituisce il codice di DNA standard per quel tipo di cellula. Inoltre il Depuratore Cellulare si dice essere in grado di entrare in determinate cellule e di adeguare la struttura del loro DNA ai suoi standard stabiliti.

Se era vero, la cosa era strabiliante. Nessuna altra impresa biotecnica della Terra era in grado di farlo. Notai tuttavia l’attenta formulazione: "si dice essere in grado di". Le premesse dovevano enunciare i fatti acquisiti. Perché in questo caso venivano ammesse delle semplici rivendicazioni di Huevos Verdes? A meno che esse non formassero i prerequisiti di qualcosa che "era" stato dimostrato.

— Sei — In condizioni di laboratorio, il Depuratore Cellulare ha dimostrato la capacità di distruggere cellule il cui DNA non corrisponda a quello che è la codifica standard determinata.

Bingo. Perfino i giornalisti sembrarono eccitati. A Washington.

— Sette — In condizioni di laboratorio, il Depuratore Cellulare ha dimostrato la capacità di distruggere quindi ognuno dei seguenti tipi di cellule anomale: metastasi cancerogene, displasia precancerogena, depositi sulle pareti arteriose, virus, batteri infettivi, elementi e composti tossici, e cellule il cui DNA è stato alterato da attività virale dando come risultato fratture nel DNA. È stato altresì dimostrato che in condizioni di laboratorio, tali cellule disgregate possono essere gestite dai normali meccanismi di rimozione corporale dei rifiuti.

Cancro, arteriosclerosi, varicella, erpes, avvelenamento da piombo, malaria, cistite e perfino il comune raffreddore. Tutto sparito, disgregato e lavato via dalla nostra stessa squadra di donne delle pulizie interne modificate. Mi sentii un po’ frastornata.

Ma come diavolo erano state quelle "condizioni di laboratorio"?

Gli spettatori emettevano un forte brusio, la moderatrice Yongers ci fissò con espressione truce finché l’aula non si tranquillizzò.

— Otto — In condizioni di laboratorio, il Depuratore Cellulare ha dimostrato la capacità di evitare di distruggere determinate cellule batteriche anche se la loro "impronta genetica" non corrisponde al DNA del tessuto dell’ospite. Queste cellule includono i batteri che si trovano normalmente nel tratto digerente umano, nella vagina e nel tratto respiratorio superiore anche se non si limitano a essi soli. Viene annotato, per la cronaca, che l’Impresa di Huevos Verdes attribuisce questa selettività nel disgregare DNA non-standard alla "pre-programmazione della proteina nano-computerizzata nel riconoscere DNA batterico simbiotico".

Ammazzate i dannosi, risparmiate gli utili. Huevos Verdes stava offrendo il primo potenziatore del sistema immunitario al mondo, dotato di una moralità darwiniana computerizzata.

— Nove — Nessuno studio significativo riguardante la funzionalità o gli effetti del Depuratore Cellulare è stato eseguito su esseri umani completi, viventi e totalmente funzionali.

Eccolo lì: l’inevitabile guastafeste. Senza studi a lungo termine dei suoi effetti su persone reali, Huevos Verdes non aveva maggiori possibilità di mettere sul mercato il Caso 1892-A, di quante non ne avesse di mettere sul mercato polvere di corno di unicorno. Perfino se il Tribunale Scientifico avesse permesso ulteriori studi, non avrei certamente avuto tanto presto a disposizione il mio Depuratore Cellulare privato.

Restai seduta a riflettere su che effetto mi facesse la cosa.

Un alto brusio si alzò dal pubblico: disappunto? Soddisfazione? Rabbia? Sembravano essere tutte e tre le cose insieme.

— I "seguenti punti" — disse alzando la voce la moderatrice Yongers — "sono in discussione". — Calò il silenzio sull’aula.

— Uno — Il Depuratore Cellulare non creerà alcun danno alle cellule, ai tessuti o agli organi umani sani.

Si interruppe. Eccolo l’unico punto in discussione. Quel punto tuttavia, disse chiaramente il suo volto, era tutto. Chi voleva un corpo ripulito, riparato e morto?

— Il primo discorso di apertura verrà presentato dall’opposizione. Dottor Lee?

C’era un’altra copia stampata per sintetizzare i punti del dottor Lee:


In discussione: "Il Depuratore Cellulare non creerà alcun danno alle cellule, ai tessuti o agli organi umani sani".

Confutazione: Non esiste modo per assicurarsi che il Depuratore Cellulare non creerà alcun danno a cellule, organi o tessuti sani.


— I test di laboratorio non predicono necessariamente gli effetti di biosostanze su esseri umani vivi e funzionali. Vedi File CDC HYPERTEXT 68164.


— Nessuno studio su esseri parziali ha incluso l’effetto del Depuratore Cellulare sul cervello. La chimica cerebrale può comportarsi in modo ben diverso rispetto al più grossolano tessuto corporeo. Vedi File CDC HYPERTEXT 68732.


— Gli effetti a lungo termine presi in esame coprono solamente due anni. Molte bio-sostanze rivelano effetti collaterali erratici solo dopo periodi di tempo ben più lunghi. Vedi File CDC HYPERTEXT 88812.


— La lista dei cosiddetti "DNA pre-programmati di batteri simbiotici" che il Depuratore Cellulare non distruggerà potrebbe reggere ma può anche non essere congruente con una lista completa di organismi estranei utili in un essere umano vivente e funzionale. Il corpo umano include qualche decina di miliardi di miliardi di parti proteiche che interagiscono in modi intensamente complessi, incluse le centinaia di migliaia di diversi tipi di molecole, alcune delle quali solo parzialmente comprese. La cosiddetta "lista pre-programmata" potrebbe tralasciare organismi vitali che il Depuratore Cellulare distruggerebbe provocando, possibilmente, tremendi scompensi funzionali, inclusa la morte.


— Nel corso del tempo lo stesso Depuratore Cellulare potrebbe sviluppare problemi nella replicazione. Visto che introduce quello che in essenza organizza il DNA nel corpo, esso mostra il potenziale di divenire un cancro indotto artificialmente. Vedi File CDC HYPERTEXT 4536.


Mi meravigliai per il difetto nel programma di stampa che aveva reso la parola "cancro" più scura del resto.

Il Dottor Lee si prese ciò che mancava della mattinata per la sua discussione di apertura che a me sembrò decisamente ermetica. In nessun momento misi in dubbio la sua sincerità. La discussione sembrava procedere in questo modo: non si può dimostrare la sicurezza del Depuratore Cellulare senza un decennio, almeno, di test su veri esseri umani integri. (Decisi di non indagare sugli "studi su esseri parziali". Non volevo realmente saperne nulla.) Era tuttavia disumano sottoporre veri esseri umani a tali rischi. Non c’era quindi modo di dimostrare che il Depuratore Cellulare fosse sicuro. E se fosse stato pericoloso, il potenziale di un disastro diffuso era catastrofico. Compresi, nel curioso fraseggio della copia cartacea, i "tremendi scompensi funzionali, inclusa la morte".

Di conseguenza, l’opposizione avrebbe raccomandato che il Depuratore Cellulare non venisse patentato, non gli venisse concesso il permesso per ulteriori studi all’interno degli Stati Uniti e venisse inserito nella Lista Vietata del Consiglio Consultivo Internazionale sulla modificazione genetica.

Apparentemente avevamo già lasciato lo stadio riguardante la raccolta dei fatti e ci eravamo ben inoltrati in quello della raccomandazione politica. Washington è Washington. I dati di fatto sono politici; la politica è un dato di fatto.

Era mezzogiorno meno un quarto quando il dottor Lee terminò. La moderatrice Yongers si sporse sopra allo scranno. — Signorina Sharifi, è quasi arrivato il momento dell’interruzione per il pranzo. Preferisce forse posporre il suo discorso di apertura fino a questo pomeriggio?

— No, Signora moderatrice. Sarò breve. — Perché Leisha Camden non aveva detto a Miranda di togliersi quel fiocco rosso dai capelli? Le conferiva un aspetto giovanile da Alice nel paese delle meraviglie, il che era uno svantaggio. La sua voce era calma e impassibile.

— Il brevetto che state prendendo oggi in considerazione è il più grande sviluppo medico salvavita dalla scoperta degli antibiotici. Il dottor Lee parla dei pericoli per il corpo qualora nel Depuratore Cellulare dovesse fallire il nano-meccanismo, oppure fosse malamente programmato o dovesse produrre effetti collaterali sconosciuti. Egli non parla tuttavia delle persone che moriranno prematuramente o con atroci dolori "senza" questa innovazione. Preferite impedire a una persona di morire per merito del Depuratore Cellulare o piuttosto ne lascereste morire centinaia di migliaia senza di esso? Questo è moralmente errato.

"Voi avete moralmente torto, ’tutti voi’. L’intero scopo di questo cosiddetto Foro scientifico è di proteggere i profitti delle industrie farmaceutiche a spese dei malati e dei moribondi. Voi siete i fascisti morali, che utilizzano la forza del governo per danneggiare coloro che sono già deboli e privi di potere, così da mantenere loro impotenti e voi stessi al comando. Non salvo nessuno di voi da queste accuse, nemmeno gli scienziati che cospirano con il profitto e il potere consegnando loro la scienza.

"Con il Depuratore Cellulare, Huevos Verdes vi offre la vita. Anche se non vi meritate di vivere. Huevos Verdes, tuttavia, quando offre un prodotto, non fa distinzioni fra chi lo merita e chi non lo merita. ’Voi’ sì, ogni volta che le vostre regolamentazioni impediscono la ricerca sulla genetica e la nano-tecnologia, ogni volta che quella ricerca perduta priva qualcuno della vita stessa. Voi siete killer, tutti quanti. Mercenari politici ed economici, non migliori nel giudicare la vera scienza rispetto agli animali di cui emulate la morale. Ciò nondimeno, le Imprese di Huevos Verdes vi offrono il Depuratore Cellulare e io vi dimostrerò qui la sua totale sicurezza anche se non sono per niente certa che qualcuno di voi abbia la capacità per capire il concetto scientifico che vi spiegherò."

Miranda Sharifi si risedette.

La commissione sembrò sbalordita, e a ragione. Cosa ancora più interessante, anche Leisha Camden apparve sbalordita. Evidentemente non era questo che si era aspettata di sentir dire dalla sua protetta. Sussurrò freneticamente nell’orecchio di Miranda.

— Non ho mai sentito tante stronzate così poco professionali! — esplose Martin Davis Exford, premio Nobel in fisica molecolare, in piedi dietro alla tavola riservata ai commissari. La sua voce possente superò quella di tutti gli altri. Vene color marroncino gli pulsavano sotto la superficie del collo.

— Sono profondamente offeso, signorina Sharifi, per il suo comportamento nei riguardi di questo Foro. Siamo qui per determinare fatti scientifici, non per indulgere in attacchi contro l’uomo!

Un giornalista che indossava un abito di gran moda a strisce gialle, strillò dalla fila anteriore del banco della stampa: — Signorina Sharifi, sta forse cercando di perdere questo caso?

Lentamente, voltai la testa nella sua direzione.

— Ehi, Miranda, guarda da questa parte! — gridò il reporter di un canale di Vivi, con la robocamera che gli fluttuava accanto. — Un bel sorriso!

— Ordine, per cortesia! Ordine! — esclamò la moderatrice Yongers.

— Miranda, sorridi!

Il pandemonio crebbe. Un uomo balzò in avanti dalla sezione riservata al pubblico e caricò in avanti, lungo il corridoio inclinato, in direzione del fondo del Foro.

Ebbi una chiara visuale della sua faccia. Era distorta dalla maschera dell’odio. L’uomo si catapultò verso Miranda, estraendo qualcosa dalla giacca. Diciassette robocamere e tre robot di sicurezza sfrecciarono verso di lui.

Egli colpì lo scudo invisibile a energia-Y davanti alle tavole dei partecipanti e vi rovinò contro con un udibile schianto del cranio o di qualche altro osso. Un robot addetto alla sicurezza lo trascinò via.

— …riportare ordine in questo procedimento; subito…

Miranda Sharifi non si mosse mai.

Alla fine la moderatrice Yongers, non avendo alcuna altra scelta reale, sospese la seduta per il pranzo.

Io mi feci strada a spintoni verso la parte anteriore della caotica aula del Foro, cercando di adocchiare Miranda Sharifi, cosa ovviamente impossibile. Fra di noi si ergeva lo scudo a energia-Y e alcune guardie del corpo dal fisico spettacolare fecero uscire lei e Leisha Camden da una porta sul retro. Le avvistai nuovamente sul tetto, dopo che le guardie ebbero messo KO quattro persone per arrivarvi. Salirono su un aeromobile. Svariate altre le seguirono per braccarle da vicino, ma io mi convinsi che a nessuno di loro sarebbe servito a nulla. Non avrebbero scoperto più di quanto non avessi fatto io.

Che cosa avevo scoperto?

Il giornalista a strisce gialle aveva ragione. La performance di Miranda Sharifi aveva soltanto assicurato che il Caso 1892-A era morto e sepolto. Non soltanto lei aveva messo in discussione la competenza tecnica e intellettuale di otto scienziati, ma li aveva anche insultati. Avevo effettuato una breve ricerca su tre di quegli scienziati, i premi Nobel, e sapevo che non erano affatto mercenari, ma persone della massima integrità. Doveva saperlo anche Miranda. E allora, perché?

Forse a dispetto di qualsiasi ricerca avesse portato avanti, era realmente convinta che tutti i Dormienti fossero corrotti. Sua nonna, una donna brillante, lo aveva creduto. Non so perché, ma non pensavo che fosse il caso di Miranda.

Forse lei credeva che i cinque scienziati non premiati, mediocrità con ottime connessioni politiche, avrebbero inevitabilmente superato nel voto gli imparziali Nobel. Ma se così era, perché alienarsi tre potenziali alleati? E perché accettare l’insediamento delle cinque mediocrità fin dal principio? Tutti i commissari erano stati accettati da entrambe le parti.

No. Miranda Sharifi "voleva" perdere questa causa. Voleva che venisse espressa una decisione contro il Depuratore Cellulare.

Forse si era alienata i commissari per… perché? Per rendere più difficile l’ottenimento dell’approvazione ufficiale del brevetto. Forse stimava la vittoria soltanto se era conquistata con difficoltà. Forse rendere tutto il più difficile possibile faceva parte di qualche codice d’onore Insonne, derivato dal fatto che per loro era tutto sempre molto facile. Come cazzo facevo a saperlo?

Tutta questa razionalizzazione si tradusse in autodisgusto. A dispetto del caldo, era una magnifica giornata a Washington, uno di quei pomeriggi dal cielo limpido e azzurro e dalla luce dorata che sembrano essere portati dal vento da qualche città più privilegiata. Camminai nel centro commerciale, attirando l’attenzione: il Mulo pazzo che andava vestito come un Vivo ritornato alle origini. Spacciatori di droga, innamorati e ragazzini che stavano per salire sulla ferrovia a gravità mi lasciarono in pace, il che mi andò benissimo. Ero in uno di quei brevi e taglienti momenti di autointerrogazione che ti lasciano in seguito sia esausta sia imbarazzata. Che ci facevo io a gironzolare con quegli stupidi vestiti in plastica, cercando di estrapolare qualche difficile significato personale dal seguire persone che mi erano più che evidentemente superiori?

Perché gli Insonni mi erano superiori e non solo in quanto a intelligenza. In quanto a disciplina, pura visuale d’insieme. In quanto all’invidiabile certezza che accompagna sempre lo scopo, anche se non sapevo di che scopo si trattasse, mentre tutto quello che avevo io era un vago e indefinito senso di allarme su dove fosse diretto il mio paese. Un allarme innescato da un cagnolino rosa senziente che era precipitato oltre la balaustra di un terrazzo. Se ci ripensavo, adesso, mi sembrava sciocco.

Non riuscivo nemmeno a stabilire dove pensavo dovesse dirigersi il mio paese. Sapevo solamente impedire, non spingere, e non ero nemmeno certa di ciò che stavo impedendo. C’era sicuramente sotto molto di più del Caso 1892-A.

Non sapevo che cosa stessero cercando di fare gli Insonni. Nessuno lo sapeva. E allora che cosa mi rendeva così maledettamente sicura che dovessi impedire loro di farlo?

D’altra parte, nulla di quello che avevo fatto io fino a quel momento, o che sembrava probabile potessi fare in un prossimo futuro, aveva avuto il benché minimo effetto sui piani di Miranda Sharifi. Non avevo fatto rapporto su di lei all’ECGS, non l’avevo tenuta sotto costante sorveglianza, non avevo nemmeno raggiunto una coerente conclusione su di lei negli intimi e imperscrutabili recessi della mia mente. Io ero completamente irrilevante. Non avevo quindi nulla da rimpiangere, nulla di cui pentirmi di avere o non avere fatto, nulla da cambiare.

Non so perché, ma questo non riuscì a rallegrarmi.


I successivi quattro giorni furono una delusione. Molto tempo venne riservato alla struttura terziaria e quaternaria delle proteine. Ci fu un acceso e incomprensibile dibattito su come le equazioni di trasferimento di Worthington venivano applicate alla codifica ridondante dell’RNA, durante il quale mi addormentai. Non fui la sola. Sempre meno persone si presentavano ogni giorno. Di quelle che lo facevano, solamente gli scienziati apparivano rapiti.

In qualche modo non mi sembrava giusto. Miranda Sharifi ci aveva detto che avevamo davanti la più grande scoperta scientifica degli ultimi duecento anni e alla maggior parte di noi sembrava soltanto alchimia. IL POPOLO DEVE CONTROLLARE SCIENZA E TECNOLOGIA. Già, giusto. Ma come possono degli ignoranti prendere decisioni su magie che non riescono a comprendere?

Alla fine, respinsero la richiesta.

Due dei premi Nobel, Barbara Poluikis e Martin Exford, scrissero opinioni dissenzienti. Favorirono il permesso di effettuare beta-test su volontari umani e non esclusero la possibilità di futuri brevetti. Volevano la conoscenza scientifica. Lo si poteva vedere anche attraverso le parole formali della loro breve opinione congiunta, che sbavavano per essa. Vidi Miranda Sharifi osservarli attentamente.

L’opinione della maggioranza fece di tutto tranne che stamparsi sulla bandiera americana. Sicurezza per i cittadini statunitensi, sacra fiducia, conservazione dell’identità del genere umano, bla, bla, bla. Tutto quello che, in effetti, mi aveva spinto a unirmi all’ECGS nel giorno in cui Katous si era scaraventato giù dal balcone.

A un livello più profondo, credevo ancora che l’opinione della maggioranza fosse giusta. La biotecnologia non regolamentata possedeva un incredibile potenziale distruttivo. Nessuno poteva realmente regolamentare la biotecnologia di Huevos Verdes perché nessuno riusciva realmente a comprenderla. L’intelligenza dei Super-Insonni e la protezione americana dei brevetti si combinavano per assicurarlo. Se non la si poteva regolamentare, meglio tenerla del tutto fuori dal paese.

Lasciai l’aula del tribunale profondamente depressa. Scoprii immediatamente che la mia ignoranza sulla biologia cellulare non era la mia sola e peggiore ignoranza. Pensavo di essere una cinica. Il cinismo, però, è come il denaro: c’è sempre qualcun altro che ne ha più di te.

Mi sedetti sui gradini del Tribunale Scientifico, con la schiena appoggiata a una colonna dorica dello spessore di una piccola sequoia. Soffiava un debole vento. Due uomini si fermarono al riparo della colonna per accendere pipe di sole, una sostanza stupefacente: avevo notato che alla gente dell’Est piaceva fumarla. In California preferivamo berla. Gli uomini, modificati geneticamente nella bellezza, indossavano i severi abiti neri senza maniche che andavano di moda al Campidoglio. Mi ignorarono entrambi. I Vivi notavano immediatamente che non ero una di loro, ma i Muli guardavano raramente al di là delle tute e dei gioielli di latta. Erano motivi sufficienti per il disinteresse.

— Allora quanto pensi che manchi? — chiese un uomo.

— Tre mesi fino al mercato, forse. Immagino che verrà dalla Germania o dal Brasile.

— E se Huevos Verdes non lo facesse?

— John, perché non "dovrebbero"? Ci si può fare una fortuna e quella Sharifi non è una pazza. Io controllerò con grande attenzione la tendenza degli investimenti.

— Sai, non mi interessa nemmeno troppo del fattore investimenti — la voce di John era mesta. — Lo vorrei soltanto per Jana, me e le bambine. Jana ha quelle cisti che vanno e vengono da anni, quello che abbiamo per adesso riesce soltanto a contenerle.

L’altro uomo appoggiò una mano sul braccio di John. — Controlla il Brasile. Ci scommetterei. Sarà una cosa veloce, più veloce che se non l’avessimo patentata qui. E senza tutte le complicazioni di ogni maledetto paese di Vivi che lo pretende per la propria unità medica a costi impossibili.

Accese le pipe, si allontanarono.

Rimasi lì seduta meravigliandomi della mia stupidità. Era ovvio. Rifiutare il Depuratore Cellulare per lo sviluppo americano, creare un immenso capitale politico per la "protezione" dei Vivi, risparmiare uno sbalorditivo ammontare di crediti non offrendo il farmaco rivoluzionario alla propria giurisdizione politica e, quindi, acquistarlo per se stessi e i propri cari Oltreoceano. Ovvio.

Il popolo deve controllare scienza e tecnologia.

Forse il dottor Lee Chang aveva ragione. Forse il Depuratore Cellulare sarebbe andato a male e li avrebbe uccisi tutti. Tutti meno i Vivi, che a quel punto si sarebbero sollevati per formare uno stato giusto e umano.

Già. Giusto. La madre di Desdemona e gli altri Vivi che avevo visto sul treno, messi a controllare una biotecnologia che potrebbe alla fine alterare la razza umana in qualcosa d’altro. I ciechi geni uniti, alla cieca. Giusto.

L’inerzia, cugina di primo grado della depressione, mi afferrò. Rimasi lì seduta, prendendo freddo, finché il cielo non si scurì e il sedere non cominciò a dolermi per il marmo duro. Il portico era deserto da moltissimo tempo. Lentamente, irrigidita, issai il corpo sulle gambe, ed ebbi il primo colpo di fortuna da settimane.

Miranda Sharifi stava scendendo lungo gli ampi gradini, mantenendosi in ombra. Il volto non era il suo e la tuta marrone non era la sua e io l’avevo vista salire insieme con Leisha Camden su un aeromobile che era partito due ore prima inseguita da mezza Washington. Questa Viva aveva la pelle chiara, il naso largo e corti capelli biondo cenere. E allora perché ero così sicura che si trattasse di Miranda? Forse per la testa grossa e la punta di un nastro rosso che, con le lenti focalizzate a zoom, vidi far capolino dalla sua tasca posteriore. Oppure, forse, era solo che avevo bisogno che fosse lei, e che la "Miranda" che era partita con Leisha Camden fosse una sosia.

Mi infilai la mano in tasca per prendere il sensore a infrarossi a media gittata che mi aveva dato Colin Kowalski e lo puntai furtivamente su di lei. Esso superò la scala. Miranda o no, quella persona aveva il metabolismo accelerato di un Super-Insonne. E non c’era alcun agente dell’ECGS in vista.

Non che avrei potuto vederne.

Mi rifiutai tuttavia di cedere al pessimismo. Miranda era mia. La seguii alla stazione della ferrovia a gravità, soddisfatta di come mi stesse tornando in mente, con facilità, tutto il mio vecchio addestramento. Salimmo su un treno locale diretto a nord. Ci accomodammo in una carrozza affollata e maleodorante con così tanti bambini che sembrava quasi che i Vivi dovessero riprodursi lì sul pavimento sporco.

Ci fermammo ogni venti minuti circa in qualche oscura cittadina di Vivi. Non osai dormire: Miranda poteva scendere da qualche parte senza di me. E se il viaggio fosse durato giorni? Arrivati al mattino mi ero abituata a sonnecchiare fra una fermata e l’altra, il mio inconscio allertato. In una pausa sognai di avere perduto Miranda e che il Tribunale Scientifico mi aveva messo sotto processo per inutilità nei confronti dello stato. Il peggiore fu il sogno in cui mi veniva iniettato il Depuratore Cellulare e mi rendevo conto che in effetti era chimicamente identico al detersivo industriale usato dal mio robot delle pulizie nell’enclave di San Francisco e che ogni cellula del mio corpo si stava dolorosamente sciogliendo in candeggina e ammoniaca. Mi svegliai boccheggiando, il mio volto appariva distorto contro il vetro nero.

In seguito rimasi sveglia. Osservai Miranda Sharifi mentre il treno a gravità, miracolosamente privo di guasti, scivolava attraverso le montagne della Pennsylvania e dentro lo Stato di New York.

7

Drew Arlen — Seattle

C’era una grata nella mia testa. Non riuscivo a farla andare via.

La sua forma vi fluttuava ormai costantemente, assomigliando parzialmente ai graticci su cui si arrampicano le rose. Era del color porpora scuro che assumono gli oggetti nel tardo tramonto quando è difficile distinguere di che colore sia effettivamente qualsiasi cosa. Miri mi ha detto una volta che nulla ha "realmente" un colore, era tutta questione di "lunghezza d’onde riflesse accidentale". Non capii quello che intendeva dire. Per me i colori sono troppo importanti per essere accidentali.

La grata si piegava e si chiudeva su se stessa formando un cerchio. Non riuscivo a vedere che cosa c’era all’interno del cerchio, anche se la grata aveva fori a forma di rombo. Tutto ciò che si trovava all’interno rimaneva completamente nascosto.

Non sapevo che cosa fosse quel segno grafico. Non mi suggeriva assolutamente nulla. Non riuscivo a costringerlo a suggerirmi qualche cosa, a cambiarne la forma o a farlo andare via. Non mi era mai successo in precedenza. Io ero il Sognatore Lucido. Le forme che provenivano dal mio inconscio profondo erano sempre cariche di significato, sempre universali, sempre malleabili. Io le modellavo. Le portavo in superficie, al mondo conscio.


Guardai l’ultimo giorno di Miri al Tribunale Scientifico sull’olo-visore in una camera d’albergo a Seattle, dove avevo in programma di dare il concerto revisionato de Il Guerriero il pomeriggio successivo. Le robo-camere zoomarono su Leisha e Sara mentre le due salivano sull’aeromobile sopra il tetto del Foro. Sara aveva esattamente lo stesso aspetto di Miri. L’olo-maschera sul suo volto, la parrucca, il nastro rosso. Camminava perfino come Miri. Gli occhi di Leisha avevano l’espressione tesa che stava a significare che era furiosa. Aveva già scoperto lo scambio? Forse lo avrebbe saputo in auto. Leisha non l’avrebbe presa bene. Nulla la frustrava di più di quando le si mentiva, forse perché lei era tanto sincera con se stessa. Ero felice di non trovarmi lì.

Forme rosse acuminate, tese di ansia, si misero a sfrecciare attorno alla grata color porpora che non scompariva mai.

Sara/Miri chiuse la portiera. I finestrini, ovviamente, erano opachi. Spensi l’olo-visore. Potevano passare dei mesi prima che vedessi di nuovo Miri. Lei riusciva a scivolare dentro e fuori da East Oleanta, in effetti era arrivata a Washington proprio da lì, ma Drew Arlen, il Sognatore Lucido sulla sua carrozzella ultramoderna, seguito ovunque dall’ECGS, non poteva. Anche se fossi andato a Huevos Verdes, Nikos Demetrios, Toshio Ohmura o Terry Mwakambe potevano decidere che un collegamento schermato con East Oleanta rappresentasse un rischio troppo grande da correre per una semplice comunicazione personale. Avrei potuto non parlare con Miri per mesi.

Le forme rosse acuminate si calmarono un poco.

Mi versai un altro scotch. Quello a volte riusciva ad attutire le forme dell’ansia. Cercavo comunque di stare attento con quella roba.

Il videotelefono trillò con due squilli brevi. Due squilli significavano che chi chiamava non si trovava nella lista approvata, ma che il programma telefonico di Kevin Baker aveva deciso lo stesso che si trattasse di qualcuno che io potevo voler vedere. Non sapevo come facesse a deciderlo. "Logica confusa" aveva detto Kevin, cosa che non mi aveva creato alcuna forma nella mente.

Penso che in quel momento io avrei parlato semplicemente con chiunque. Eliminai tuttavia il video.

— Signor Arlen? È lì? Sono Elias Maleck. So che è molto tardi ma gradirei che mi concedesse qualche minuto del suo tempo, la prego. È estremamente urgente. Preferirei non lasciare un messaggio.

Aveva un aspetto stanco: erano le tre del mattino a Washington. Mi versai un altro scotch. — Video, acceso. Sono qui, dottor Maleck.

— Grazie. Voglio dirle subito che si tratta di una comunicazione schermata e che non viene registrata. Nessuno può sentirla a parte noi due.

Ne dubitavo. Maleck non aveva" la minima idea di che cosa potessero fare Terry Mwakambe o Toshio Ohmura. Anche se Maleck avesse vinto il premio Nobel per la Fisica e non per la Medicina, non lo avrebbe compreso. Maleck era un omone, di circa sessantacinque anni, non modificato in quanto ad aspetto fisico. Capelli grigi che si stavano diradando e stanchi occhi scuri. La pelle gli ricadeva in pieghe sui due lati del volto, ma le spalle erano ben squadrate. Lo avvertii come una serie di solidi cubi azzurro mare, infrangibili e puliti. I cubi si librarono davanti alla grata immobile.

— Non so precisamente da dove cominciare, signor Arlen. — Si passò una mano attraverso i capelli e i cubi azzurri acquistarono una sfumatura rossastra. Maleck era tesissimo. Sorseggiai il mio drink.

— Come ormai indubbiamente saprà, io ho votato contro il permesso di ulteriore sviluppo del brevetto di Huevos Verdes al Foro Federale per la Scienza e la Tecnologia. Le ragioni del mio voto sono chiaramente espresse nel giudizio di maggioranza. Ci sono tuttavia cose che un documento pubblico non può contenere, cose di cui vorrei avere il permesso di informare "lei".

— Perché?

Maleck fu franco. — Perché noi non abbiamo modo di parlare con Huevos Verdes. Accettano messaggi ma nessuna comunicazione a due vie. Lei rappresenta l’unico canale attraverso il quale io possa far pervenire informazioni sulla ricerca genetica direttamente alla signorina Sharifi.

Le forme nella mia mente si incresparono e si contorsero.

Dissi: — Come avete fatto a lasciare messaggi a Huevos Verdes? Come avete ottenuto il codice d’accesso per lasciare messaggi?

— Fa parte di ciò che voglio dirle, signor Arlen. Fra cinque minuti due uomini le chiederanno di entrare nella sua suite. Le vogliono mostrare qualcosa che si trova approssimativamente a una mezz’ora da Seattle in aereo. Lo scopo della mia chiamata è spingerla ad andare con loro. — Egli esitò. — Sono del governo. ECGS.

— No.

— Capisco, signor Arlen. È questo il motivo per cui l’ho chiamata, per dirle che non si tratta di una trappola o di un rapimento o di alcuna delle altre atrocità che io e lei sappiamo che il governo è in grado di fare. Gli agenti dell’ECGS la porteranno fuori città, la tratterranno circa un’ora e poi la riporteranno sano e salvo, senza averle inserito impianti, averla drogata, o averle fatto una qualsiasi altra cosa. Conosco quegli uomini "personalmente" e sono disposto a rischiare su questo la mia reputazione professionale. Sono certo che lei sta registrando la mia chiamata. Invii copie a chiunque voglia prima anche solo di aprire la porta della sua camera d’albergo. Ha la mia parola che verrà riportato sano e senza alterazioni. La prego di considerare che cosa sto mettendo io in gioco.

Ci riflettei. L’uomo mi riempiva di forme che non avevo provato da molto tempo: forme chiare e nitide, prive di implicazioni nascoste. Nulla a che vedere con le forme di Huevos Verdes.

Ovviamente, Maleck poteva essere completamente sincero e tuttavia venire usato.

Non so come il bicchiere di scotch, il quarto, era vuoto.

Maleck disse: — Se vuole ulteriore tempo per chiamare Huevos Verdes e ricevere istruzioni…

— No. — Abbassai la voce. — No. Andrò.

Il volto di Maleck mutò, si aprì, ringiovanendo di parecchi anni e risultando meno stanco di parecchie ore. (Una leggera pioggia pulente che cadeva sui cubi color azzurro.)

— Grazie — disse. — Non se ne pentirà. Ha la mia parola, signor Arlen.

Avrei scommesso qualsiasi cosa che lui, eminente Mulo, non aveva mai visto nessuno dei miei concerti.

Interruppi la comunicazione, ne inviai copie a Leisha, Kevin Baker, un fidato amico Mulo che avevo a Wichita. Il videotelefono squillò. Una volta. Ancora prima che rispondessi Nikos Demetrios apparve sul video. Non sprecò parole.

— Non andare con loro, Drew.

C’era un nuovo bicchiere di scotch nella mia mano. Era mezzo vuoto. — Era una chiamata schermata, Nick. Privata.

Lo ignorò. — Potrebbe essere una trappola, a dispetto di quello che dice Maleck. Potrebbero usarlo. Dovresti saperlo!

Dalla sua voce filtrava impazienza a dispetto di se stesso: lo stupido Dormiente aveva ancora una volta tralasciato l’evidente. Lo vidi come una sagoma scura con mille sfumature di grigio che dondolava in schemi indistinti che non avrei mai compreso.

— Nick, supponi che io voglia parlare a qualcuno in privato, qualcuno che io non voglio che tu stai a sentire, qualcuno che non fa parte, lui, di Huevos Verdes. Qualcun altro.

Nick mi fissò sbalordito. Fu a quel punto che mi sono accorto, io, di come stavo parlando. Linguaggio da Vivi. Avevo nuovamente il bicchiere vuoto. Il sistema dell’albergo disse cortesemente: "Mi scusi, signore. Ci sono due uomini che chiedono accesso alla sua suite. Gradisce un collegamento video?".

— Noo — dissi io. — Fai entrare gli uomini.

— Drew… — cominciò a dire Nick. Spensi la comunicazione. Non funzionò. Una specie di sovrapposizione da Super-Insonni. Ma non c’era niente che non potevano fare, loro?

— Drew! Ascolta, non puoi semplicemente… — staccai il terminale dall’unità di alimentazione a energia-Y.

Gli agenti dell’ECGS non sembravano agenti. Penso che non lo fanno mai, loro. Quarantina inoltrata. Belli come Muli. Cortesi come Muli. Probabilmente svegli come Muli. Ma se pensavano, loro, con parole da Muli, almeno quelle parole se ne uscivano una alla volta, non in gruppi o ammassi e biblioteche di stringhe.

Cadde la neve sulla grata color porpora, fredda e velata.

— Volete un goccetto, ragazzi?

— Sì — disse uno un po’ troppo in fretta. Mi stava assecondando. Mi dava però una sensazione quasi solida e quasi nitida come quella di Maleck. Questo mi confuse. Erano dell’ECGS, loro. Come potevano non sembrare ambigui?

— Ho cambiato idea — dissi io. — Andiamo subito, noi, dovunque mi volete portare. — Azionai la carrozzella verso la porta. Colpii lo stipite e mi feci male alle gambe.

Una volta sul tetto dell’albergo, tuttavia, il freddo mi fece tornare sobrio. Seattle era costruita sulle colline e l’albergo si trovava sulla cima di una delle più grandi. Potevo vedere ben al di là dell’enclave: le acque scure del Pudget Sound a ovest, il Mount Rainier bianco al chiaro di luna. Fredde stelle sopra la mia testa, fredde luci sotto. I quartieri dei Vivi ai piedi delle colline, eccetto lungo il Sound, che era una striscia di terra sul mare preclusa ai Vivi.

L’aeromobile dell’ECGS, armato e corazzato, decollò verso est. Ben presto non ci furono più luci. Nessuno parlava. Potrei essermi addormentato. Spero di non averlo fatto.

"Non dar fastidio a tuo padre, Drew. Sta dormendo."

"È ubriaco, lui."

"Drew!"

La grata si avviluppò nella mia mente fluttuando come il gas di acque stagnanti nella palude dove alla fine mio padre era affogato, lui, morto ubriaco. Qualche ragazzetto lo aveva trovato tanto tempo dopo. Avevano pensato che quella roba nell’acqua era un tronco marcio.

— Siamo arrivati, signor Arlen. La prego, si svegli.

Eravamo atterrati su una piattaforma in un posto selvaggio, imprecisato e scuro, fitto di alberi, con immense sporgenze rocciose che mi resi lentamente conto facevano parte della montagna. Mi pulsavano le tempie. Uno degli agenti accese una lampada portatile a energia-Y e spense i fari dell’aeromobile. Scendemmo. Mi resi conto per la prima volta di non conoscere i loro nomi.

— Dove siamo?

— Cascade Range.

— Ma dove siamo?

— Soltanto qualche altro minuto, signor Arlen.

Distolsero lo sguardo mentre mi issavo sulla carrozzella. Essa fluttuava al di sopra dell’unità a gravità, a venti centimetri di altezza sopra uno stretto sentiero di terra che conduceva dalla piattaforma di atterraggio nel fitto del bosco. Seguii gli agenti, che portavano la lampada. L’oscurità su entrambi i lati del sentiero, sotto agli alberi era come una parete solida, se si eccettuavano i fruscii e i distanti e profondi gridi di civetta. Sentii l’odore di aghi di pino e foglie ammuffite.

Il sentiero terminava davanti a un edificio in pietra spugnosa nascosto dagli alberi, un edificio troppo piccolo per essere importante. Nessuna finestra. Un agente si fece prendere l’impronta della retina e pronunciò un codice davanti alla porta che si aprì. La zona interna si illuminò. L’interno era occupato da un ascensore e anche quello era dotato di analizzatore di retina e codice. Scendemmo sotto terra.

L’ascensore si aprì in un grande laboratorio affollato di strumentazioni, nessuna delle quali funzionante. Le luci erano soffuse. Una donna con un camice bianco da laboratorio arrivò di corsa da una delle molte porte laterali. — È lui?

— Sì — rispose un agente e colsi il suo fugace e involontario sguardo per vedere se al Sognatore Lucido seccasse di non essere riconosciuto. Sorrisi.

— Benvenuto, signor Arlen — disse con espressione grave la donna. — Sono la dottoressa Carmela Clemente-Rice. Grazie per essere venuto.

Era la donna più bella che avessi mai visto, perfino più graziosa di Leisha. Aveva i capelli così neri da sembrare blu, occhi enormi azzurro chiaro, pelle immacolata. Appariva sulla trentina ma, ovviamente, poteva essere molto più vecchia. Modificazioni genetiche da Muli. Era circondata dalle inconsistenti forme del dolore.

Teneva le mani serrate con delicatezza davanti a sé. — Si starà chiedendo perché l’abbiamo portata qui. Questa non è un’installazione dell’ECGS, signor Arlen. È una struttura di modificazione genetica fuorilegge che abbiamo scoperto e conquistato. Per organizzare l’operazione ci è occorso un intero anno. Per il processo degli scienziati e dei tecnici di laboratorio che lavoravano qui è occorso un altro anno. Adesso sono tutti in prigione. In condizioni normali l’ECGS smantella completamente i laboratori fuorilegge, ma esistono motivi per cui questo non è stato messo fuori uso. Comprenderà fra qualche istante.

Aprì le mani e fece uno strano gesto, come se mi stesse attirando a sé. O se stesse attirando la mia mente a sé. Gli occhi azzurri da Mulo non lasciarono mai il mio volto.

— Le… bestie che lavoravano qui stavano creando modificazioni illegali per il mercato clandestino. Uno dei mercati clandestini. Questo genere di strutture esiste in tutti gli Stati Uniti signor Arlen, anche se fortunatamente non tutte hanno lo stesso successo di questa. L’ECGS spende moltissimi soldi, tempo, uomini e talenti legali per buttarli fuori dal commercio. Mi segua, la prego.

Carmela Clemente-Rice fece strada attraverso la stessa porta laterale. La seguimmo. Un lungo corridoio bianco — ma quanto era grande quel luogo sotterraneo? — su cui erano allineate moltissime porte. Mi condusse attraverso la prima e si fece da parte.

Erano due, maschio e femmina, entrambi nudi. Avevano un’espressione sognante, sfocata, da consumatori di droghe pesanti ma, in qualche modo, seppi che non ne facevano uso. Esistevano e basta. Si stavano entrambi masturbando con una trasognata mancanza di urgenza che corrispondeva alle loro espressioni. La donna teneva una mano nella vagina fra le gambe e l’altra, in quella fra il seno. Le altre vagine, tuttavia, fra gli occhi, su ogni palmo delle mani, si erano anche aperte leggermente, mostrando tessuti gonfi e irrorati di sangue. L’uomo si accarezzava i suoi due peni eretti giganti e la propria vagina e mi accorsi che aveva inserito quello che assomigliava a una specie di posata su per uno dei fori del sedere.

— Per il commercio sessuale — disse tranquillamente Carmela Clemente-Rice alle mie spalle. — Ingegneria genetica embrionale clandestina. Non abbiamo alcun modo per tornare indietro, non abbiamo modo per sollevare i loro QI che si aggirano sul 60. Tutto quello che possiamo fare è alloggiarli e tenerli fuori dal mercato per cui erano stati progettati.

Feci uscire la carrozzella dalla camera. — Non mi sta mostrando niente di cui non fossi già a conoscenza, signora — dissi più duramente di quanto non avessi intenzione di fare. Gli schiavi del sesso mi crearono forme dolenti ed escoriate nella mente. — Questa roba è in giro da anni, ben prima che esistesse Huevos Verdes. Huevos Verdes non ha niente in contrario con il fatto che l’ECGS li metta fuorilegge e li chiuda. Nessuna persona sana di mente si dichiara a favore di questo tipo di ingegneria genetica.

Lei non rispose, mi condusse semplicemente lungo il corridoio, verso un’altra porta.

Ce n’erano quattro questa volta, in una stanza molto più grande, con le stesse espressioni sognanti. Questi non erano nudi, anche se indossavano degli strani abiti: tute cucite a mano goffamente per adeguarsi agli arti extra e alle deformità. Uno aveva otto braccia, uno quattro gambe, un altro tre paia di seni. A giudicare dalla forma del corpo, gli organi extra del quarto dovevano essere interni. Pancreas, fegati oppure cuori? L geni potevano venire programmati in modo da far crescere cuori extra?

— Per il mercato dei trapianti — disse Carmela. — Ma, forse, aveva sentito parlare anche di questo, no?

Era vero, ma non lo dissi.

— Questi sono più fortunati — continuò lei. — Possiamo rimuovere gli arti in eccesso e ridare loro dei corpi normali. In effetti Jessie dovrà sottoporsi all’operazione martedì.

Non chiesi quale fosse Jessie. Lo scotch mi stava creando bolle di nausea nello stomaco.

Nella camera successiva le due persone apparivano normali. In pigiama, giacevano addormentati su un letto coperto di una graziosa distesa di chintz. Carmela non abbassò la voce.

— Non stanno dormendo, signor Arlen. Sono sotto sedativi, pesanti, e lo resteranno per il resto della loro vita. Quando non lo sono, avvertono un intenso e costante dolore. Esso è causato da un piccolo virus modificato geneticamente, progettato per stimolare il tessuto nervoso a un grado intollerabile. Il virus viene iniettato e si riproduce quindi nel corpo, una specie del Depuratore Cellulare di Huevos Verdes. Il dolore è lancinante, ma non esiste alcun reale danno ai tessuti, quindi, in teoria, potrebbe continuare per anni. Decenni. È stato studiato per il mercato internazionale della tortura e ci sarebbe dovuto essere un antidoto da somministrare. O da rifiutare. Sfortunatamente, gli ingegneri genetici che ci lavoravano sono arrivati soltanto fino al nano-torturatore, non all’antidoto.

Uno della coppia di narcotizzati — mi accorsi che si trattava di una ragazzina, appena superata la pubertà — si agitò a disagio e mugolò.

— Sogna — disse brevemente Carmela. — Non sappiamo che cosa. Non sappiamo chi sia. Forse una messicana, rapita o venduta sul mercato nero.

— Se pensa che la ricerca di Huevos Verdes assomigli…

— No. Lo sappiamo. Ma…

— Tutto quello su cui si effettuano ricerche e che si crea a Huevos Verdes con la nano-tecnologia è fatto soltanto con il pensiero rivolto al beneficio pubblico. "Tutto." Come il Depuratore Cellulare.

— Ci credo — disse la dottoressa Clemente-Rice. Mantenne la voce bassa e controllata: riuscivo ad avvertire quale sforzo le costasse. — Le applicazioni di Huevos Verdes sono completamente differenti. Ma la scienza di base, le scoperte rivoluzionarie, sono simili. Solo che Huevos Verdes è andato molto più avanti, molto più velocemente. Altri sarebbero tuttavia in grado di chiudere il varco se avessero a disposizione, per esempio, il Depuratore Cellulare da analizzare e studiare.

Fissai la ragazzina addormentata. Aveva le palpebre corrugate. Lo erano state anche le palpebre di mia madre, verso la fine della sua vita, quando il cancro alle ossa l’aveva ghermita.

Dissi: — Ho visto abbastanza.

— Ancora una cosa, signor Arlen. Per favore. Non glielo chiederei se non fosse davvero urgente.

Voltai la carrozzella e la esaminai. Formava nella mia mente una serie di nitidi ovali pallidi, caratterizzati dalla stessa chiara sincerità di Maleck e degli agenti dell’ECGS. Erano stati probabilmente scelti proprio per quella qualità. Mi resi quindi improvvisamente conto chi mi ricordava Carmela: Leisha Camden. Un bizzarro dolore mi trafisse, come una lancia sottilissima.

La seguii attraverso l’ultima porta del corridoio.

Non c’erano persone modificate geneticamente in quella stanza. Tre scudi massicci scintillavano dal pavimento al soffitto, quelli del tipo che riesce a trattenere qualsiasi cosa non sia nucleare. Dietro di essi cresceva dell’erba alta.

Carmela disse con un filo di voce: — Lei ha detto che Huevos Verdes lavora solamente su modificazioni genetiche e nano-tecnologie che sono destinate a un pubblico beneficio. Lo era anche questa. È stata commissionata da una nazione del Terzo Mondo che aveva tremende carestie ricorrenti. Le foglie dell’erba sono commestibili. A differenza della maggior parte delle piante, le loro pareti cellulari non sono fatte di cellulosa, ma di una sostanza artificiale che il sistema umano è in grado di convertire in monosaccaridi. L’erba è anche sorprendentemente forte, ha una crescita velocissima, si autosemina, ed è capace di recuperare nutrimento da terreni poveri e acqua da quelli aridi. Gli ingegneri che l’hanno creata hanno calcolato che potesse moltiplicare di sei volte il cibo fornito dalle attuali colture più intensive.

— Fornire cibo — ripetei io come un idiota. — Cibo…

— L’abbiamo piantata in un’ecosfera, controllata e schermata, di cinquanta acri di terreni diversi ecologicamente parlando — continuò Carmela, con le mani infilate nelle tasche del camice da laboratorio — e nel giro di tre mesi essa aveva spazzato via qualsiasi altra pianta nell’ecosfera. È così bene adattata a crescere rigogliosa che ha superato tutti i concorrenti. Gli umani e alcuni mammiferi sono in grado di digerirla, altri animali no. Gli altri vegetariani sono morti tutti, inclusi così tanti insetti larvali che la popolazione di insetti è sparita. Le popolazioni di anfibi, rettili e uccelli sono svanite con essi, quindi i mammiferi carnivori. I nostri computer calcolano che, date le giuste condizioni di vento, a questa erba occorrerebbero circa diciotto mesi per restare l’unica cosa vivente sulla faccia della terra, inclusi o esclusi pochi alberi immensi con un sistema di radici così esteso che non permetterebbe loro di morire facilmente.

L’erba frusciava dolcemente dietro il suo triplo scudo. Avvertii qualcosa alle mie spalle. Le mani di Carmela. Voltò la mia carrozzella perché la guardassi in volto, quindi sollevò immediatamente le mani.

— Vede, signor Arlen, non pensiamo che Huevos Verdes sia malvagio. Niente affatto. Sappiamo che la signorina Sharifi e i suoi amici Super-Insonni non credono solamente nel bene della loro ricerca, ma nel bene per il resto di tutti noi. Sappiamo che lei crede che gli Stati Uniti, per come sono definiti dalla Costituzione, siano il migliore organismo politico in un mondo imperfetto. Esattamente come Leisha Camden prima di lei. Sono sempre stata una grande ammiratrice della signorina Camden. La Costituzione, però, funziona perché ci sono moltissimi controlli ed equilibri per limitare il potere.

Si passò la lingua sulle labbra. Non era un gesto civettuolo: era così mortalmente seria che riuscivo a sentire il suo intero corpo asciugarsi e tendersi nello sforzo.

— Controlli ed equilibri per limitare il potere. Già. Ma "non" ci sono controlli su Huevos Verdes. Nessun limite. Nessun equilibrio, perché il resto di noi non può semplicemente fare ciò che sanno fare i Super-Insonni. A meno che non lo facciano prima loro. Allora qualcuno di noi potrebbe copiare delle loro tecniche, forse, e adattarle. Alcuni di noi come le persone che lavoravano qui.

Non dissi nulla. La mortale erba carica di nutrimento frusciava.

— Non so che cosa lei stia pensando, signor Arlen. E non posso dirle io cosa pensare. Ma io… noi volevamo soltanto che lei vedesse tutti i lati della situazione, con la speranza che lei ripensasse a ciò che aveva visto e ne parlasse con Huevos Verdes. Tutto qui. Gli agenti la riporteranno a Seattle, adesso.

Le chiesi: — Che cosa succederà a questa erba?

— La distruggeremo con le radiazioni. Domani. Non verrà lasciato nemmeno un filo di DNA e neanche una traccia della documentazione relativa. È esistita così a lungo solo perché potessimo mostrarla alla signorina Sharifi o, fallendo, a lei.

Mi accompagnò nuovamente all’ascensore e io guardai il suo corpo, teso per l’infelicità e la speranza, camminare con grazia fra le strette pareti bianche.

Appena prima che si aprisse la porta dell’ascensore le dissi, o forse lo dissi a tutti e tre: — Non potete bloccare il progresso tecnologico. Lo potete rallentare, ma verrà fuori comunque.

Carmela Clemente-Rice disse: — Soltanto due bombe nucleari sono state lanciate sulla Terra come atto di aggressione in tempo di guerra. La scienza c’era ma le applicazioni sono rimaste inutilizzate. Tramite cooperazione o limitazione dovute alla paura o alla forza le applicazioni sono state fermate. — Mi tese la mano. Era umida e appiccicosa ma qualcosa di elettrico scorse dal suo tocco al mio. Gli occhi azzurro mare mi supplicarono.

Come se io avessi un reale potere su ciò che veniva fatto a Huevos Verdes.

— Addio, signor Arlen.

— Addio, dottoressa Clemente-Rice.

Gli agenti mantennero la parola e mi riportarono nella mia stanza d’albergo a Seattle. Mi sedetti per vedere chi sarebbe arrivato da Huevos Verdes e quanto ci avrebbe messo.


Fu Jonathan Markowitz, alle cinque del mattino. Avevo dormito solo tre ore. Jonathan era perfetto. Il suo tono di voce era educato e interessato. Mi chiese cosa avessi visto e io glielo descrissi. Mi pose moltissime altre domande: avevo avvertito cambiamenti di temperatura, anche lievi, in un qualsiasi punto del corridoio? Avevo sentito un odore simile a quello della cannella? La luce aveva una sfumatura verdastra? Qualcuno mi aveva mai toccato? Non discusse contro ciò che la dottoressa Carmela Clemente-Rice mi aveva detto. Mi trattò come un membro della squadra la cui lealtà era fuori dubbio, ma che poteva essere stato manipolato in modi che non potevo nemmeno capire. Lui era perfetto.

Durante tutta la discussione riuscii a percepire le forme che creava nella mia mente e un’immagine: un uomo che sollevava rocce pesantissime, rocce prive di coscienza e di un grigio smorto.

Quando Jonathan stava per andarsene gli dissi brutalmente: — Avrebbero dovuto mandare Nick. Non te. Nick non si preoccupa di nasconderlo.

Jonathan mi guardò fisso. Per un minuto non disse nulla, poi sorrise stancamente. — Lo so. Ma Nick aveva da fare.

— Quando potrò vedere Miranda? Ha già lasciato Washington diretta a East Oleanta?

— Non so, Drew — rispose lui e le forme nella mia mente esplosero, macchiando di rosso la grata.

— Non sai se se n’è andata o non sai quando la potrò vedere? Perché no, Jon? Perché adesso sono infetto? Perché non sai che cosa potrebbe avermi fatto Carmela Clemente-Rice quando mi ha appoggiato le mani sulle spalle o quando io le ho stretto la mano? O perché non puoi controllare quello che sto realmente pensando del progetto?

Jonathan disse tranquillamente: — Avevo avuto l’impressione che avessi accettato di non vedere Miri. E senza grande rammarico.

Questo mi bloccò.

Jonathan proseguì: — Hai un ruolo importante, Drew. Abbiamo bisogno di te. Il computer proietta una curva che si alza a picco nel generale disfacimento sociale dovuta alla inaspettata situazione del duragem. Dobbiamo accelerare il progetto. Le equazioni di Kevorkel. La regressione dei mitocondri. L’ingegneria urbana DiLazial.

Fu lì che terminò la mia rabbia. In una manciata di parole a disposizione dei Super-Insonni. Non capivo le parole, non capivo come si combinassero, e non capivo perché mi venissero dette. Non potevo rispondere e quindi rimasi fermo lì, muto e con lo sguardo annebbiato per la mancanza di sonno, mentre Jonathan se ne andava tranquillamente.

Dovevo assolutamente dormire. Avevo il concerto fra meno di cinque ore. Mi rotolai sul letto ancora vestito e cercai di prendere sonno.


Durante il tragitto verso la KingDome di Seattle, l’aeromobile si guastò.

Avevamo lasciato l’enclave e ci trovavamo sopra la città dei Vivi che, dall’alto, assomigliava a una quantità di piccole cittadine di Vivi, organizzate in quartieri che ruotavano attorno a caffè, depositi ed edifici di logge. La KingDome Senatore Gilbert Tory Bridewell aveva vent’anni: qualcuno mi aveva detto che era stata chiamata così in ricordo di qualche luogo storico. Si trovava ben al di fuori dell’enclave, ovviamente, un immenso emisfero in pietra spugnosa con una piattaforma di atterraggio schermata che ormai non avremmo più raggiunto.

L’aeromobile si impennò bruscamente e sbandò a sinistra. Un transatlantico che rollava, una depressione tossica che si gonfiava in nauseanti bolle rosa. Mi si rivoltò lo stomaco.

— Gesù Cristo — disse il pilota e cominciò a digitare codici di sovrapposizione. Non sapevo quanto potesse effettivamente fare: gli aeromobili sono robo-macchinari. Forse però lui lo sapeva. Era un Mulo.

L’aeromobile rollò e io caddi contro la portiera sinistra. La carrozzella, piegata in posizione da viaggio, mi sbatté contro. Poi si impennò ancora e io pensai: "Sto per morire".

Forme calde e rosso sangue mi riempirono la mente. La grata scomparve.

— Cristo, Cristo, Cristo — disse il pilota digitando freneticamente. L’aeromobile si impennò ancora, quindi si stabilizzò. Chiusi gli occhi. La grata nella mia mente era sparita. "Non era lì."

— Bene bene bene — disse il pilota con un tono di voce differente e l’aeromobile si adagiò sobbalzando sulla piattaforma di atterraggio.

Restammo lì, sani e salvi, mentre alcune persone correvano verso di noi, arrivando dalla KingDome. La grata mi riapparve nella mente. Era scomparsa quando avevo pensato di stare per morire e adesso era tornata, ancora saldamente chiusa attorno a quello che vi era nascosto dentro, qualsiasi cosa fosse.

— È stata la pidocchiosa unità gravitazionale — disse il pilota. Si girò sul sedile per fissarmi direttamente negli occhi. — Tagliano i costi dei materiali. Tagliano i costi dei robo-collaudi. Tagliano i costi della manutenzione perché quelle maledette robo-unità si rompono. Tutta la concessionaria sta andando a rotoli. Due schianti in California la settimana scorsa e la stampa è stata pagata per mantenere il silenzio. Non guiderò mai più uno di questi trabiccoli. Mi ha sentito? Mai più. — Il tutto detto con voce bassa e lamentosa.

Nella mia mente lui era una forma ripiegata, nera e schiacciata davanti alla grata color porpora.

— Signor Arlen! — gridò una donna, spalancando la portiera dell’aeromobile. — State tutti bene lì dentro?

Il suo accento del sud era forte. Sallie Edith Gardiner, congressista cadetta dello Stato di Washington, che stava pagando questo concerto per i suoi elettori Vivi. Perché una dello Stato di Washington suonava come una del Mississippi?

— Bene — dissi io. — Nessun danno.

— Be’, è semplicemente scioccante, ecco cos’è. Siamo veramente arrivati a tanto? Non riusciamo più nemmeno a fare un aeromobile decente? Vuole posporre di un attimo il concerto?

— No, no, sto bene — risposi. L’accento non era del Mississippi, dopotutto: era un falso Mississippi. Lei rappresentava nella mia mente tutta una serie di cerchi di lustrini dorati. Pensai improvvisamente a Carmela Clemente-Rice, pallidi e nitidi ovali.

Perché la grata che avevo nella mente era scomparsa quando avevo creduto di stare per morire?

— Be’, la verità è, signor Arlen — disse la Congressista Gardiner, mordicchiandosi il perfetto labbro inferiore — che un piccolo ritardo potrebbe essere comunque una buona idea. C’è stato un problemino con la ferrovia a gravità in arrivo da Seattle Sud. E un altro problemuccio con il sistema di robot della sicurezza. Abbiamo dei tecnici che se ne stanno occupando ora, naturalmente. Quindi se vuole venire da questa parte andremo in un posto dove lei potrà aspettare…

— Il mio sistema è stato installato sul palco ieri — dissi — se non ne può garantire la sicurezza…

— Oh, ma "certo" che possiamo! — esclamò lei e mi accorsi che stava mentendo. Il pilota dell’aeromobile scese e si appoggiò contro la fiancata, bofonchiando sottovoce. La sua implorante preghiera si era trasformata finalmente in rabbia. La Congressista Gardiner gli lanciò un’occhiata che avrebbe fatto marcire la sintoplastica. Lei non aveva chiesto se lui fosse rimasto ferito. Era un tecnico.

— La sua magnifica strumentazione starà "benissimo" — disse la Congressista Gardiner. — E non vediamo davvero l’ora di assistere alla sua rappresentazione. Venga da questa parte, la prego.

Azionai la carrozzella per seguirla. Lei non avrebbe visto la rappresentazione. Se ne sarebbe andata appena dopo avere presentato me e riempito completamente le telecamere. I Muli se ne andavano sempre a quel punto.

Ma non andò così.

Restai seduto sulla carrozzella in un’anticamera della KingDome per due ore. Avrei potuto dormire. La gente andava e veniva e tutti mi dicevano che ogni cosa andava benone. La grata che avevo nella mente serpeggiava in lunghe e lente ondulazioni. Alla fine entrò la congressista.

— Signor Arlen, temo che ci sia una sgradevole complicazione. C’è appena stato un incidente proprio "terribile".

— Un incidente?

— È deragliato un treno a gravità che arrivava da Portland. Ci sono parecchi morti. La folla ha sentito la notizia ed è sconvolta. Naturalmente. — La voce della donna suonava sconvolta, ma il suo sguardo era carico di risentimento. Il primo grande evento che aveva sponsorizzato da quando era stata eletta, e un bel po’ di Vivi sconsiderati doveva andare a morire e rovinare tutto. — Andremo comunque avanti con il concerto, sempre che lei non abbia nulla da obbiettare. La presenterò fra circa cinque minuti.

— Cerchi di trascinare un po’ meno le vocali — le dissi. — Suonerebbe almeno un po’ più autentico.

L’avevo sottovalutata. Il suo sorriso non ondeggiò. — Allora, cinque minuti?

— Come vuole lei. — Adesso la grata nella mia mente stava tremando come se fosse preda di un forte vento.

Avevano costruito un palco gravitazionale fluttuante a una estremità dell’arena, con un’ampia passerella che conduceva nella stanza superiore in cui stavo aspettando. Il treno a gravità era deragliato, l’aeromobile si era guastato. Sapevo che i dispositivi a gravità non manipolavano realmente la gravità ma il magnetismo: non capivo come. Quali erano le probabilità che ben tre dispositivi magnetici mi si rompessero in una sola serata? Jonathan Markowitz lo avrebbe saputo, fino al ventesimo decimale.

— …uno dei principali artisti dei nostri tempi… — la trasmissione della Congressista Gardiner dal palco.

Ovviamente, poteva anche non essere stata proprio l’unità a gravità a rompersi nel treno. Un treno a gravità poteva avere centinaia di parti mobili diverse, migliaia per quel che ne sapevo io. Di che cosa erano esattamente fatte?

— …con profonda gratitudine per l’opportunità di mostrare a voi tutti il Sognatore Lucido, io…

"Io. Io. Io." La parola preferita dei Muli. A Huevos Verdes almeno dicevano "noi". E intendevano ben più dei soli Super-Insonni.

Una pallida erba verde si increspò davanti alla grata color porpora. Vi crebbe sopra, attraverso, attorno. La inghiottì. Inghiottì il mondo.

Mi serrai con forza le mani davanti. Dovevo andare in scena in due minuti. Dovevo controllare le immagini nella mente. Io ero il Sognatore Lucido.

— …comprensibilmente afflitti per la tragedia ma il cordoglio è una delle emozioni che il Sognatore Lucido…

— Che cazzo ne sai tu del lutto, tu? — gridò così forte una persona fra la folla che io sobbalzai. Qualcuno fra il pubblico aveva un amplificatore vocale potente quasi quanto i miei apparecchi acustici. Dal punto in cui ero seduto non riuscivo a vedere il pubblico, ma soltanto la Congressista Gardiner. Udii tuttavia un vasto e crescente brontolio, quasi come il Delta quando straripa.

— …lieta di presentarvi…

— Vattene, stronza! — La stessa voce amplificata. Portai in avanti la carrozzella. A metà della passerella la congressista mi superò a testa alta, con le labbra sorridenti e gli occhi ardenti di rabbia. Non ci fu applauso.

Portai la carrozzella fino al centro della piattaforma fluttuante e puntai le mie lenti sullo zoom. La KingDome era piena per metà. Le persone mi fissarono, alcune con espressione vacua, altre incerta, altre ancora con occhi sbarrati, ma nessuno sorrise. Non mi ero mai trovato ad affrontare nulla di simile. Erano in equilibrio su un margine che stava esattamente fra un pubblico e una folla sediziosa.

— È una sedia da Mulo quella dove stai seduto, Arlen, tu? — gridò la voce amplificata e io ne identificai il proprietario quando svariate persone si voltarono verso di lui. Un uomo gli dette uno spintone, un altro lo fissò in modo truce, un terzo si mosse con atteggiamento protettivo di fronte al disturbatore e fissò con un’occhiata dura il palcoscenico. Qualcuno nelle prime file gridò debolmente, privo di amplificazione: — Il Sognatore Lucido non è un Mulo, lui. Chiudi il becco!

Io dissi, così piano che tutti dovettero zittirsi per potermi sentire: — Non sono un Mulo, io.

Un altro gorgoglio si alzò dal pubblico e nella mente vidi l’acqua inondare il Delta dove ero nato, acqua non veloce ma implacabile che si alzava a picco, come una qualsiasi curva di Huevos Verdes sullo sfascio sociale.

— Sono morte delle persone, loro, nel pidocchioso treno di Muli che nessuno si preoccupa di mantenere funzionante! — gridò la voce amplificata. — Morti!

— Lo so — dissi io, ancora a bassa voce e la grata smise di tremare mentre la mia mente si riempiva di lente e ampie forme che si muovevano con grazia maestosa, del colore della terra umida. Premetti un pulsante che avevo sulla carrozzella e i macchinari del concerto cominciarono ad affievolire le luci sul palco.

Dovevo rappresentare Il Guerriero, studiato e ristudiato e ristudiato ancora per incoraggiare un’indipendente disposizione a correre rischi, all’azione, alla autonomia. Nella strumentazione del concerto erano in memoria anche i nastri, gli ologrammi e i subliminali per Cielo, il più popolare dei miei concerti. Esso conduceva le persone in un luogo calmo all’interno della loro stessa mente, il luogo che tutti noi eravamo in grado di raggiungere da bambini, dove il mondo è in equilibrio perfetto e noi insieme con esso, e la calda luce del sole non inonda solamente la nostra pelle, ma penetra fin dentro l’anima e ci trascina in un luogo benedetto. Era un concerto di riconciliazione, di riposo, di accettazione. Potevo dare quello. Nel giro di dieci minuti la massa sarebbe stata un comodo cuscino.

Iniziai Il Guerriero.

— C’era una volta un uomo di grande speranza e nessun potere. Quando era giovane voleva tutto…

Le parole li quietarono. Le parole, tuttavia, erano il meno, erano realmente poco importanti. Erano le forme quelle che contavano, il modo in cui le forme si muovevano e i corridoi che le forme aprivano verso i luoghi più nascosti della mente, differenti in ogni persona. Io ero l’unico al mondo che poteva programmare quelle forme, recuperandole dalla mia stessa mente i cui sentieri neurali verso l’inconscio erano stati aperti da una bizzarra operazione illegale. Io ero il Sognatore Lucido.

— Voleva la forza, lui, che avrebbe costretto tutti gli altri uomini a rispettarlo.

Nessuno a Huevos Verdes era in grado di farlo: afferrare le menti e le anime dell’ottanta per cento delle persone. Guidarle anche se solo più profondamente in loro stessi. Modellarli. No… dare forme loro proprie.

"Tu comprendi che cos’è quello che fai alle menti delle altre persone?" mi aveva chiesto Miri con la sua parlata leggermente troppo lenta, poco tempo dopo che ci eravamo conosciuti. Mi ero fatto coraggio, già allora, preparandomi per equazioni, formule di conversione di Lawson e diagrammi complessi. Lei però mi aveva sorpreso. "Tu porti le persone nella diversità."

"La…"

"Diversità, La realtà che sta sotto la realtà. Tu trafiggi il mondo delle relatività così che la mente riesce a cogliere che esiste un assoluto più vero al di sotto delle fragili strutture della vita di tutti i giorni. Solo cogliere fugacemente, ovviamente. È tutto ciò che la scienza possa realmente darci: occhiate fugaci. Tu riesci tuttavia a portarci persone che non potrebbero mai essere scienziati."

L’avevo fissata, stranamente impaurito. Non era quella la Miri che ero abituato a vedere. Si era scostata dal volto i capelli scompigliati e avevo visto che i suoi occhi scuri apparivano raddolciti e distanti. "Lo fai davvero, Drew. Per noi Super così come per i Vivi. Scosti il velo perché possiamo dare una fugace occhiata al resto che siamo."

La mia paura scese in profondità. Non era da lei.

"Ovviamente" aveva aggiunto "a differenza della scienza, il sogno lucido non ricade sotto il controllo di nessuno. Nemmeno sotto il tuo. Manca della cardinale qualità della ripetibilità."

Miri aveva a quel punto notato la mia espressione e si era accorta che le sue ultime parole erano state uno sbaglio. Aveva declassato quello che io facevo come di seconda categoria, ancora una volta. La sua cocciuta fede nella verità, tuttavia, non le avrebbe permesso di recedere da quello in cui in effetti credeva. Il sogno lucido mancava di una qualità cardinale. Aveva distolto lo sguardo.

Non avevamo mai più discusso della diversità.

Adesso i volti dei Vivi mi fissavano, aperti. Vecchi con profonde rughe e spalle incurvate. Giovanotti con le mascelle serrate che mostravano gli stessi occhi sbarrati dei bambini. Donne che tenevano in braccio piccini, con la stanchezza che scompariva dalle loro facce quando le labbra si incurvavano debolmente, trasognate. Visi orrendi, bellezze naturali, visi infuriati, visi in lutto e visi sconcertati di persone che avevano ritenuto di essere padroni delle proprie vite e stavano scoprendo in quel momento di non fare nemmeno parte del Consiglio di Amministrazione.

— Voleva il sesso, lui, che gli avrebbe fatto squagliare le ossa per la soddisfazione. Voleva l’amore.

Miri si trovava probabilmente già nella struttura clandestina di East Oleanta e io ero stato troppo codardo da ammettere che ne ero contento. Be’, lo avrei ammesso in quel momento. Era più al sicuro lì che a Huevos Verdes e io non avrei necessariamente dovuto vederla. Eden. Gli impulsi subliminali accuratamente programmati nelle OLO-TV dei caffè nelle Montagne Adirondack dello Stato di New York lo chiamavano "Eden". Non che i Vivi sapessero che cosa significasse questo nuovo Eden. In realtà non lo sapevo esattamente nemmeno io. Sapevo che cosa il progetto avrebbe dovuto fare, ma non che cosa significasse profondamente. Ero stato troppo codardo da ammettere le domande o di ammettere che anche la sicurezza di sé dei Super-Insonni poteva non avere come risultato automatico la giustizia.

Una pallida e mortale erba ondeggiava nella mia mente.

— Oooohhh — sospirò un uomo da un punto abbastanza vicino da permettermi di sentirlo al di sopra della musica profonda.

— Voleva eccitazione, lui.

Un uomo nella sesta o settima fila non mi stava guardando. Fissava i volti rapiti di tutti gli altri. Inizialmente restò sconcertato, quindi si mostrò a disagio. Un elemento naturalmente immune all’ipnosi. Ce n’erano sempre alcuni. Huevos Verdes aveva isolato la sostanza chimica cerebrale necessaria per una reazione al sogno lucido, solo che non si trattava di un’unica sostanza, ma di una combinazione di quello che Sara Cerelli chiamava "condizioni pre-requisito necessarie", alcune delle quali dipendevano da enzimi innescati da altre condizioni. Effettivamente non avevo capito. Ma non ne avevo alcun bisogno. Io ero il Sognatore Lucido.

L’uomo immune continuò ad agitarsi. Si mise quindi tranquillo per stare comunque a sentire. In seguito, lo sapevo perfettamente, non avrebbe detto un gran che ai suoi amici. Era troppo sgradevole essere lasciati fuori.

Sapevo tutto al proposito. I miei concerti contavano su quello.

— Voleva che ogni giorno fosse pieno di sfide che soltanto lui sapeva affrontare.

Miri mi amava in un modo in cui io non avrei mai potuto ricambiarla. Quell’amore bruciava profondamente come la sua intelligenza. Era l’amore, non l’intelligenza che non mi aveva mai fatto chiedere direttamente a lei: — Sei sicura che dobbiamo andare avanti col progetto? Che prova abbiamo che sia questa la cosa giusta da fare? — Ovviamente lei mi avrebbe risposto che era impossibile avere una prova e la sua spiegazione del perché avrebbe contenuto equazioni, precedenti e condizioni che io non avrei capito comunque.

Non era tuttavia quella la vera ragione per cui non le avevo mai sottoposto i miei dubbi. Il vero motivo era che lei mi amava in un modo in cui io non avrei mai potuto amarla e io avevo voluto il Rifugio da quando avevo sei anni e avevo scoperto che mio nonno era morto durante la sua costruzione, un povero lavoratore prima che dei Vivi si occupasse un governo affamato di voti. Ecco perché avevo consegnato la mia mente, così più debole di quella di lei, a Huevos Verdes.

Adesso però c’era la pallida erba che cresceva sulla grata nella mia mente, inghiottendo il mondo.

— Voleva…

Voleva appartenere di nuovo a se stesso.

Le forme scivolavano attorno alla mia carrozzella: gli stimoli subliminali balenavano dentro e fuori la coscienza del mio pubblico. I volti avevano abbassato completamente la guardia, dimentichi gli uni degli altri e perfino di me. Questo era il migliore concerto del Guerriero che avessi dato fino a quel momento. Lo sentivo.

Alla fine, quasi un’ora dopo, sollevai le mani. Avvertii il solito sfogo di sacro affetto per tutti loro. "Come un papa o un lama?" aveva chiesto una volta Miri, ma non era così. "Come un fratello" avevo risposto io e avevo visto farsi strada, nei suoi occhi scuri, il dolore. Suo fratello era stato ucciso al Rifugio. Avevo saputo che la mia risposta l’avrebbe ferita. Anche quella era una forma di potere e adesso ne provavo vergogna.

Era tuttavia anche la verità. In un momento, quando il concerto fosse terminato, quei Vivi sarebbero tornati a essere le stesse persone piagnucolanti, lamentose, inette e ignoranti di prima. Nel breve istante appena prima della fine del concerto, però, provavo una fratellanza che non aveva nulla a che fare con l’uguaglianza.

E non sarebbero tornati a essere esattamente quello che erano stati. Non completamente. I programmi informatici di Huevos Verdes lo avevano verificato.

— …indietro al suo regno.

La musica terminò. Le forme si fermarono. Le luci si accesero. Lentamente, i volti attorno a me si dissolsero in se stessi, prima strizzando gli occhi sbarrati, quindi ridendo, piangendo e abbracciandosi. Iniziò l’applauso.

Cercai l’uomo con l’amplificatore vocale. Non si trovava più nello stesso posto fra la folla. Non dovetti aspettare tuttavia a lungo per ritrovarlo.

— Andiamo dove è deragliato il treno, è solo a settecento metri di distanza. Lì c’è ancora più gente ferita che unità mediche, l’ho visto io! E non hanno abbastanza coperte! Possiamo aiutare a portare qui i feriti… Noi!

Noi. Noi. Noi.

Ci fu confusione nella folla. Tuttavia un numero sorprendente di Vivi seguì il nuovo capo, smaniosi di fare qualcosa. Di essere eroi, che è il vero impulso nascosto della mente umana. Alcuni cominciarono a organizzare un angolo-ospedale. Altri se ne andarono ma, da dietro lo scudo ora reso opaco che mi permetteva di guardarli senza essere visto, notai che perfino i Vivi in partenza donavano giacche, camicie e coperte a favore dei feriti. La Congressista Sallie Edith Gardiner arrivò di fretta lungo la passerella per venirmi incontro.

— Be’, signor Arlen, è stato semplicemente meraviglioso…

— Lei non lo ha visto.

Non mi stava ascoltando. Fissava l’attività nella KingDome. — Che cos’è adesso "questo"?

Dissi: — Si stanno preparando ad aiutare i sopravvissuti del deragliamento.

— Loro? Aiutare come?

Non risposi. Mi sentii improvvisamente stanchissimo. Avevo dormito solamente poche ore e avevo passato la notte precedente a visionare orrori fatti dall’uomo.

Come quella donna.

— Be’, possono anche smetterla subito con queste sciocchezze!

Si allontanò in tutta fretta. Restai a guardare ancora per qualche istante e poi andai a cercare il pilota, che aveva ovviamente giurato che non avrebbe mai più guidato un aeromobile. Questo era tuttavia successo prima che il deragliamento mostrasse che non c’era nulla che funzionasse bene. Avrei trovato comunque un modo per tornarmene a Seattle. All’aeroporto. A Huevos Verdes. E da lì a East Oleanta. C’erano delle cose che dovevo chiedere a Miranda, cose importantissime, cose che avrei dovuto chiedere molto tempo prima. E le avrei dette, io, Drew Arlen. Che ero stato il Sognatore Lucido molto prima di conoscere Miranda Sharifi.

8

Billy Washington — East Oleanta

Il pavimento dell’Albergo Rappresentante di Stato Anita Clara Taguchi era ricoperto di foglie. Era agosto inoltrato, le foglie non cadevano ancora. Questo voleva dire che quelle foglie erano un rimasuglio dell’anno prima e che nessun robot era passato a scoparle via. In tutti quei mesi io non mi ero mai avvicinato all’albergo. Adesso ero lì.

La cosa buffa era che per qualche giorno non ho nemmeno notato le foglie, io. Non ho notato niente. Avevo la testa annebbiata, barcollavo verso l’Olo-terminale dell’albergo che stava sul bancone rosso e non vedevo niente altro. Lizzie era troppo malata.

L’Olo-terminale si è acceso appena mi sono avvicinato, come aveva fatto per gli ultimi quattro giorni. "Posso esserle di aiuto?"

Ho appoggiato tutte e due la mani sul bancone, io. Come se poteva servire a qualcosa. — Ho bisogno dell’unità medica. È un’emergenza.

"Mi dispiace, signore, l’Unità Medica del Legislatore della Contea Thomas Scott Drinkwater è temporaneamente fuori servizio. È stato comunicato ad Albany è a breve termine verrà un tecnico…"

— Non voglio Albany, io! Voglio un’unità medica! La mia bambina è gravemente malata!

"Mi dispiace, signore, l’Unità Medica del Legislatore della Contea Thomas Scott Drinkwater è temporaneamente fuori servizio. È stato comunicato ad Albany…"

— Allora fammi avere un’altra unità medica, tu! È un’emergenza! Lizzie si sta tossendo fuori le budella!

"Mi dispiace, signore non ci sono unità mediche disponibili immediatamente a causa della temporanea inagibilità della Ferrovia Magnetica Senatore Walker Vance Morehouse. Non appena la ferrovia sarà stata riparata verrà inviata prontamente un’altra unità medica da…"

— La ferrovia a gravità non è inagibile è rotta! — ho gridato io all’Olo-terminale. L’avrei fatto a pezzi a mani nude se mi serviva a qualche cosa. — Fammi parlare con un essere umano!

"Mi dispiace, i rappresentanti ufficiali da voi eletti non sono temporaneamente disponibili. Se vuole lasciare un messaggio la prego di specificare se è indirizzato al Senatore degli Stati Uniti Mark Todd Ingalls, al Senatore degli Stati Uniti Walker Vance…"

— Spegni! Maledizione, spegniti!

Lizzie stava male da tre giorni. La ferrovia a gravità si era rotta da cinque. L’unità medica era guasta da chissà quanto tempo; nessuno si era più ammalato dopo l’attacco di cuore di Doug Kane. I politici erano teste di cavolo da quanto chiunque poteva ricordare.

Lizzie era gravemente malata. Oh, Gesù, Lizzie era gravemente malata.

Ho stretto forte gli occhi, io, e mi è crollata giù la testa e quando ho riaperto gli occhi che cosa ho visto? Foglie che nessun robot pulitore aveva spazzato via da quasi un anno e di cui non si occupava nessun altro. Foglie morte, fragili come le mie vecchie ossa.

— C’è un Olo-terminale con un codice di priorità al caffè — ha detto una voce. — Il sindaco può contattare direttamente il vostro legislatore della contea.

— Pensi che non ci ho già provato? Sembro così stupido? — Mi sentivo sollevato per poter strillare contro qualcuno, indipendentemente da chi era. Ho visto poi che si trattava della ragazza Mulo vestita come una Viva, quella che era arrivata col treno una settimana prima. Era l’unica persona, lei, che si trovava nell’Albergo Rappresentante di Stato Anita Clara Taguchi. Visto che i guasti alla ferrovia a gravità diventano sempre peggio, non ci sono un gran che di viaggiatori. Nessuno sapeva perché quel Mulo si trovava a East Oleanta e nessuno sapeva perché era vestita come una Viva. A qualcuno non piace proprio.

Non avevo per niente tempo per parlare con un Mulo pazzo. Lizzie era gravemente malata. Ho strascicato i piedi attraverso le foglie sul pavimento, ma dove potevo andare. Senza un’unità medica…

— Aspetta — mi ha detto il Mulo. — Io ti ho sentito, io. Hai detto…

— Non cercare di parlare come una Viva, che non lo sei! Mi hai sentito, tu! — Non so dove che ho preso la rabbia per strillarle contro in quel modo. Sì che lo so. Lizzie era gravemente malata e quel Mulo era semplicemente lì.

— Hai ragione. Non c’è motivo per fare inutili sotterfugi, vero? Mi chiamo Victoria Turner.

A me non me ne fregava niente di come si chiamava, anche se mi ricordavo che aveva detto a qualcun altro che si chiamava Darla Jones. Stavo lasciando Lizzie ansimare e rantolare per prendere fiato, col visino bruciante come un falò. Mi sono messo a correre, io. Le foglie sotto ai miei stivali sussurravano come fantasmi.

— Forse ti posso aiutare — ha detto il Mulo,

— Vai all’inferno! — ho risposto io, ma poi mi sono fermato e l’ho guardata. Dopo tutto era un Mulo. Doveva essere qui per qualche motivo, proprio come quell’altra ragazzina nei boschi la scorsa estate, quella che aveva salvato la vita a Doug Kane, doveva essere lì per qualche motivo. Non riuscivo a immaginare il perché ma, dopotutto, non sono un Mulo. Eppure a volte i Muli sanno fare cose che non ti aspetti.

La ragazza si è alzata. Aveva uno strappo sulla tuta gialla, come tutti gli altri da quando il deposito aveva semplicemente smesso di aprire per le distribuzioni, ma era pulita. Le tute non si sporcano e non si spiegazzano, non si sa come lo sporco non ci si attacca sopra oppure si lava via senza fatica. Ma quella ragazzina non era proprio una ragazzina, lei. Quando l’ho guardata meglio mi sono accorto che era una donna, forse dell’età di Annie. Erano gli occhi viola modificati geneticamente e il fisico che mi aveva fatto pensare che era una ragazza.

Le ho detto: — Come mi potresti aiutare, "tu"?

— Non lo saprò finché non avrò visto il paziente, giusto? — ha risposto lei seccamente e non erano sciocchezze. Quanto meno era una cosa sensata. Io l’ho portata nell’appartamento di Annie sulla Jay Street.

Annie ha aperto la porta. Riuscivo a sentire Lizzie che tossiva, facendo un rumore che quasi mi si strappavano via anche le mie di budella. Annie ha spinto il suo grosso corpo in corridoio e si è chiusa la porta alle spalle.

— Chi è questa? Perché l’hai portata qui, Billy Washington? Sei impazzito! Abbiamo già visto quanto aiuto ci potete dare voi Muli quando va tutto storto!

Non avevo mai visto Annie così arrabbiata. Aveva le labbra premute strette come se erano cementate e le dita curve in artigli quasi che voleva sfregiare quella Victoria Turner sul suo bel faccino da Mulo modificato geneticamente. Victoria Turner ha fissato Annie freddamente, lei, e non è indietreggiata di nemmeno un centimetro.

— Mi ha portato qui perché io potrei essere in grado di aiutare la bambina malata. Sei sua madre? Per favore spostati così che possa provarci.

Io sono indietreggiato ma poi sono avanzato di nuovo perché la faccia di Annie aveva un’espressione che mi faceva male. Era furente, terrorizzata ed esausta. Annie non aveva abbandonato Lizzie né per lavarsi né per dormire in due interi giorni.

Annie ha allungato una mano alle sue spalle e ha aperto la porta.

Lizzie stava sdraiata sul divano dove di solito dormivo io. Stava bruciando ma Annie cercava di tenerle addosso una coperta. Lizzie continuava a scalciarla via. C’erano acqua e cibo presi al caffè ma Lizzie non aveva toccato niente, lei. Si agitava e gridava e a volte le sue grida non avevano senso. Aveva vomitato solo una volta ma tossiva in continuazione, forti colpi di tosse devastanti che mi spezzavano il cuore.

Victoria Turner ha appoggiato una mano sulla fronte di Lizzie e gli occhi viola le si sono spalancati. Lizzie non sembrava rendersi conto, lei, che lì c’era qualcun altro. Ha tossito un’altra volta, un piccolo colpo, e ha cominciato a gemere. Ho sentito la disperazione iniziare a salire su dalle budella, del genere che si prova quando non c’è speranza e non sai come farai a sopportarlo. Non avevo più provato quel genere di disperazione da quando era morta mia moglie Rosie, dodici anni prima. Non avevo mai pensato di doverla provare di nuovo.

Victoria Turner ha tirato fuori una specie di sciarpa dalla tasca e si è inginocchiata accanto a Lizzie. Non sembrava affatto avere paura, lei. Uno dei pensieri che avevo avuto quella notte, che Dio mi perdoni, era stato: la malattia è contagiosa? Potrebbe prenderla anche Annie e morire? Annie…

— Tossisci per me, tesoro — ha detto Victoria Turner. — Forza, tossisci nella sciarpa.

Nel giro di qualche minuto Lizzie lo ha fatto ma non perché glielo avevano chiesto. Grossi grumi viscidi sono venuti fuori dai polmoni torturati, grigio verdastri. Victoria Turner li ha presi, nella sciarpa e li ha esaminati attentamente. Io ho dovuto guardare da un’altra parte. Quelli erano i polmoni di Lizzie che se ne venivano via a pezzi, i polmoni di Lizzie che stavano marcendo.

— Eccellente — ha detto Victoria Turner — verde. È di origine batterica. Adesso lo sappiamo. Sei fortunata, Lizzie.

Fortunata! Ho visto Annie incurvare di nuovo le unghie e ho capito anche perché: quel Mulo si stava "divertendo". Era una specie di eccitazione. Come una storia all’Olo-visione.

— L’origine batterica è positiva — ha detto Victoria Turner guardando me — perché la medicazione può essere molto meno specifica. Bisogna adeguare gli antivirali, quanto meno grossolanamente. Ma gli antibiotici a largo spettro sono facili da produrre.

Annie ha detto in modo duro: — Che cosa ha Lizzie?

— Non ne ho la più pallida idea. Ma questo se ne occuperà quasi certamente. — Da un’altra tasca ha tirato fuori un pezzo di plastica piatto, l’ha aperto e ha appiccicato un cerotto azzurro e rotondo sul collo di Lizzie. — Dovreste però costringerla a ingerire più acqua. Non bisogna rischiare la disidratazione.

Annie fissava, lei, il cerotto azzurro sul collo di Lizzie. Sembrava uno di quelli che metteva l’unità medica, ma come facevamo noi a sapere di preciso che cosa c’era dentro? In realtà non sapevamo proprio niente.

Lizzie ha sospirato e si è tranquillizzata. Nessuno ha detto niente. Dopo qualche minuto Lizzie si è addormentata.

— È la cosa migliore per lei — ha detto in modo sicuro Victoria Turner. Mi sono accorto un’altra volta che la cosa le piaceva. — Nemmeno Miranda Sharifi in persona potrebbe pareggiare i benefici del sonno.

Io mi ricordavo di avere sentito quel nome, ma non mi veniva in mente dove.

Annie sembrava una donna diversa, lei. Ha guardato Lizzie, che dormiva pacificamente, e il cerotto e si è come rimpicciolita e calmata, come una vela che crolla. Ha fissato il pavimento, lei. — Grazie, dottoressa. Non avevo capito.

La dottoressa Turner è parsa sorpresa, lei, e poi ha sorrìso. Come se c’era qualcosa di divertente. — Prego. Forse, in cambio, potete fare qualcosa per me.

Annie l’ha guardata con circospezione: i Muli non chiedono mai favori ai Vivi. I Muli pagano le tasse per noi e noi gli diamo i voti. Non ci diciamo però più del necessario e non ci chiediamo favori a vicenda. Non è così che vanno le cose.

— Sto cercando una persona — ha detto la dottoressa Turner. — Avrei dovuto incontrarla qui ma apparentemente abbiamo confuso i dati. Una donna, una ragazza a dire il vero, alta più o meno così, capelli scuri, una testa un po’ grossa.

Ho pensato subito alla ragazza dei boschi e ho cercato velocemente di apparire come uno che non sta pensando a niente. Quella ragazza veniva dall’Eden, ne ero certo, io e l’Eden non aveva niente a che fare con i Muli, È per i "Vivi". La dottoressa Turner mi stava osservando attentamente, lei. Annie ha scosso la testa, fredda come il ghiaccio, anche se io sapevo che probabilmente si ricordava quell’altra ragazzina, quella con la testa grossa che lei aveva detto di avere visto alla riunione in paese quando Jack Sawicki aveva chiamato il supervisore distrettuale per i procioni con la rabbia.

Annie ha detto, cortese ma non troppo: — Come mai non hai trovato la tua amica? Lei non lo sa dove sei?

— Mi sono addormentata — ha detto la dottoressa Turner, il che non spiegava niente. Lo ha detto anche in modo un po’ buffo. — Mi sono addormentata sul treno a gravità. Penso però che potrebbe essere qui in giro da qualche parte.

— Non ho mai visto nessuno fatto così — ha detto con fermezza Annie.

— E tu, Billy? — ha chiesto la dottoressa Turner. Probabilmente conosceva il mio nome anche prima che Annie lo diceva. Si trovava a East Oleanta da una settimana, mangiava al caffè, parlava con tutti quelli che volevano parlare con lei, che non erano tanti.

— Non ho mai visto nessuno del genere, io — ho detto. Mi ha fissato duramente. Non mi ha creduto.

— Allora permettetemi di chiedervi un’altra cosa. Il nome "Eden" vi dice qualcosa?

Una folata di vento avrebbe potuto farmi ribaltare.

Annie ha detto, però, fredda come il gennaio: — Si trova nella Bibbia. Era dove vivevano Adamo ed Eva.

— Giusto — ha detto la dottoressa Turner. — Prima della Cacciata. — Si è alzata in piedi e si è stiracchiata. Il corpo sotto la tuta era troppo ossuto, quanto meno per me. Una donna doveva avere qualcosa di morbido sopra le ossa.

— Tornerò a visitare Lizzie domani — ha detto la dottoressa Turner e io ho visto che Annie non voleva che lei ritornava, e poi invece sì. Era una dottoressa. Lizzie adesso dormiva tranquillamente. Perfino dalla porta mi sembrava un po’ più fresca.

Quando la dottoressa se n’è andata, Annie e io ci siamo guardati a vicenda. Poi il volto di Annie si è trasformato semplicemente e ha cominciato a piangere. Prima ancora di pensarci l’ho abbracciata. Annie mi ha abbracciato a sua volta e al tocco dei suoi seni morbidi contro il petto, sono diventato un po’ matto. Non ho pensato. Ho semplicemente alzato la sua faccia verso la mia e l’ho baciata.

E Annie Francy ha ricambiato il mio bacio.

E non si trattava di quelle stronzate stile figlia grata. Piangeva, indicava Lizzie e mi baciava con le morbide labbra da bacca spingendo il seno contro di me. Annie Francy. lo l’ho baciata ancora, la mente non mi funzionava nemmeno — le parole mi sono venute solo in seguito — e poi era come se ci eravamo appena visti invece di conoscerci da anni, invece di avere io sessantotto anni e Annie trentacinque, invece di vedere tutte le cose che si rompevano a East Oleanta come stavano facendo. Annie Francy mi ha baciato e io ero come un giovanotto, io, e lo ero. Le ho passato le mani sul corpo e l’ho portata in camera da letto, lasciando Lizzie a dormire in pace come un angelo, poi ho chiuso la porta. Annie stava ridendo e piangendo, nel modo che mi ero dimenticato che sanno fare le donne, e ha steso il grosso e magnifico corpo sul letto con me, come se anche io avevo trentacinque anni.


Abbiamo dormito fino alla mattina. Io mi sono svegliato prima di Annie. La luce era grigio pallida, debole. Per lungo tempo me ne sono stato seduto sul bordo del letto a guardare Annie. Sapevo che era una storia di una volta sola. Me lo sentivo anche prima che lei si addormentava in quel breve spazio di tempo quando ci siamo stretti forte, dopo. Me lo sentivo, io, dalla sue braccia, dalla posizione del suo collo e dal suo respiro. Quello che avevo bisogno io erano le parole per dirle che andava bene così. Che era stato più di quanto non mi ero mai aspettato anche se meno di quello che avevo sognato. Quello non glielo avrei detto. Si sogna sempre di più.

Annie però non si svegliava e così io sono andato a controllare Lizzie. Era seduta e aveva un’espressione stordita. — Billy, ho fame.

— È un buon segno, Lizzie. Cosa vuoi mangiare?

— Qualcosa di caldo. Ho freddo. Qualcosa di caldo dal caffè.

Aveva una voce piagnucolosa e puzzava terribilmente ma a me non mi importava. Ero così contento che aveva freddo quando soltanto ieri bruciava dalla febbre. Quella dottoressa Mulo era davvero in gamba, come un’unità medica.

— Non andare a svegliare tua madre. Resta seduta qui finché non ti porto da mangiare. Dov’è il tuo gettone-pasto, Lizzie?

— Non lo so. lo ho fame.

Annie doveva avere preso il gettone-pasto di Lizzie. Potevo ottenere cibo a sufficienza con il mio. Non mangio più tanto, io e quella mattina mi sentivo di potere vivere d’aria.

Non c’era nessuno al caffè, eccetto la dottoressa Turner. Stava seduta a mangiare la colazione e a guardare un canale da Muli sulla Olo-visione. Sembrava stanca.

— In piedi presto — le ho detto. Mi sono preso una tazza di caffè e una ciambella e per Lizzie uova, succo di frutta, latte e un’altra ciambellina. Io o Annie avremmo riscaldato le uova sull’unità a energia-Y. Mi sono seduto vicino alla dottoressa Turner, solo per essere socievole per qualche minuto. O forse per pensare a cosa dire ad Annie. La dottoressa Turner ha guardato le uova come se erano una marmotta morta da tre giorni.

— Riuscite davvero a mangiarle, Billy?

— Le uova?

— "Uova". Soia sintetica modellata e colorata, come tutto il resto. Non hai mai assaggiato un vero uovo naturale?

E la cosa strana è stata che proprio nel momento che lei lo ha detto, mi sono ricordato che sapore avevano le uova vere. Fresche di gallina, cotte dalla nonna per due minuti e servite con fette di pane tostato caldo e vero burro. Si inzuppava il pane nell’uovo e il rosso lo ricopriva e poi si mangiava tutto quanto caldissimo. Tutti quegli anni e in un minuto me lo sono ricordato, io, e mai prima di allora. Mi si è riempita la bocca di acquolina dolciastra.

— Guarda lì — ha detto la dottoressa Turner e ho pensato che si riferiva ancora all’uovo ma non era così, guardava verso l’OLO-TV. Un Mulo di bell’aspetto stava seduta davanti a una grossa scrivania di legno, parlando, come fanno sempre. Non capivo le parole:

"…anche se c’è una possibilità di un disgregatore autoreplicante sfuggito… non verificata… duragem… il governo dovrebbe sottoporci il fatto…"

Ho detto: — Mi sembra sempre la solita vecchia roba.

La dottoressa Turner ha fatto un rumore, lei, in fondo alla gola, un rumore così strano e inaspettato che io ho smesso di mangiare, bloccando la forchetta in sintoplastica a mezza via dalla bocca. Devo avere avuto l’aspetto di un perfetto imbecille. Lei ha ripetuto nuovamente quel rumore e poi si è messa a ridere e poi si è coperta la faccia con una mano e poi si è messa a ridere ancora una volta. Non avevo mai visto un Mulo comportarsi in quel modo prima di allora, mai.

— No, Billy, non è la solita vecchia roba. Decisamente no. Potrebbe però molto facilmente diventare la solita nuova roba, nel qual caso ci dovremmo preoccupare tutti.

— Di che? — Ho cominciato a mangiare più velocemente, io, per portare a Lizzie il cibo ancora caldo. Lizzie aveva fame. Un buon segno.

— Che diavolo è questa merdaccia? — ha chiesto un delinquentello nello stesso istante che è entrato dalla porta del caffè. — Chi ha acceso questo schifo da Muli? — Ha visto la dottoressa Turner, e ha guardato da un’altra parte. Avrei potuto giurare che non voleva averci niente a che fare con lei, il che era parecchio strano: i delinquenti non si tirano mai indietro quando devono dar fastidio a qualcuno, loro. Ho smesso di mangiare, per la seconda volta, e me ne sono restato a occhi sbarrati. Il delinquentello ha detto a voce alta: — Canale 17 — e l’olovisore ha voltato su un qualche canale sportivo, ma il ragazzotto ha continuato a non guardare la dottoressa Turner. Ha preso il cibo dal nastro trasportatore, lui, e si è andato a sedere a un lontano tavolinetto in un angolo.

La dottoressa Turner ha sorriso debolmente: — Ho litigato con lui due sere fa. Si stava facendo un po’ troppo egoista. Non vuole che succeda di nuovo.

— Le ha fatto male, a lei?

— Non come pensi. Forza, andiamo a vedere come sta Lizzie questa mattina.

— Sta abbastanza bene, lei — ho detto, ma la dottoressa Turner si stava già alzando in piedi ed era chiaro che se ne veniva con me. Non riuscivo a pensare a un motivo perché non lo doveva fare, eccetto che io ancora non sapevo quali parole dovevo dire ad Annie rispetto a quello che era successo la notte prima. Mi stava crescendo dentro un piccolo groppo gelido che magari Annie pensava che io non mi dovevo più fare vedere in giro. Per non essere in imbarazzo, lei, io, o tutti e due. Se succedeva una cosa simile non avrei avuto più motivo per andare avanti a trascinare attorno questo vecchio corpo con questa vecchia testa da pazzo.

Lizzie era seduta sul divano e giocava con una bambola. — La mamma è andata a prendere dell’acqua per lavarmi — ha detto. — Ha detto che io ancora non posso andare ai bagni, io. Che cosa mi hai portato da mangiare, Billy?

— Uova, una ciambellina e succo di frutta. Non esagerare, tu.

— Chi è lei? — Gli occhi neri erano di nuovo scintillanti ma il viso di Lizzie appariva magro e tirato. Mi sono spaventato un’altra volta.

— Io sono la dottoressa Turner. Ma mi puoi chiamare Vicki. La notte scorsa ti ho dato una medicina.

Lizzie ha studiato la situazione. Riuscivo a vedere quella piccola e svelta mente lavorare. — Vieni da Albany, tu?

— No, da San Francisco.

— Sull’Oceano Pacifico?

La dottoressa Turner è sembrata sorpresa, lei. — Sì. Come fai a sapere dove è?

— Lizzie va molto a scuola — ho detto io in fretta in caso che Annie entrava e mi sentiva — ma sua madre ci si arrabbia.

— Io ho lavorato su tutto il software della scuola media. Non è stato difficile.

— Probabilmente no — ha detto seccamente la dottoressa Turner. — E adesso? Software delle superiori? Con l’indicazione di dove sta l’Oceano Indiano?

Ho detto: — Sua mamma non…

— Non c’è software delle superiori a East Oleanta — ha detto Lizzie — ma io lo so già dove sta l’Oceano Indiano.

— Sua mamma non vuole davvero…

— Mi puoi procurare il software delle superiori? — ha detto Lizzie, con voce bassa ma per niente spaventata, proprio come se era una cosa da tutti i giorni chiedere a un Mulo di fare un lavoro che non è tenuto a fare per noi. O qualsiasi altra cosa. Ultimamente non ero più sicuro io di sapere chi stava studiando e lavorando per chi.

— Forse — ha detto la dottoressa Turner. La sua voce era cambiata e stava fissando molto attentamente Lizzie. — Come ti senti questa mattina?

— Meglio. — Io mi sono accorto però che Lizzie si stava stancando.

Le ho detto: — Adesso mangi e poi ti metti di nuovo giù. Sei stata molto ammalata, tu. Se quella medicina… — La porta si è aperta alle mie spalle ed è entrata Annie.

Io non riuscivo a vederla, però la potevo avvertire. Era calda, morbida e grossa fra le mie braccia. Solo che non sarebbe mai più successo. La dottoressa Turner stava guardando lei, con quello sguardo tagliente da Mulo. Ho stabilizzato la faccia e mi sono voltato. — Buon giorno, Annie. Lascia che ti aiuto con quei secchi.

Annie mi ha guardato, poi ha guardato Lizzie e poi la dottoressa Turner. Mi sono accorto che non sapeva con chi irrigidirsi per primo. Ha scelto Lizzie. — Mangia quella roba e poi mettiti giù, Lizzie. Sei stata malata.

— Adesso sto meglio — ha detto Lizzie imbronciata,

— Adesso sta meglio, lei — ha detto Annie alla dottoressa Turner. — Se ne può andare. — Non era da Annie essere così scortese. Lei era quella che credeva che anche i Muli avevano dei diritti.

— Non ancora — ha detto la dottoressa Turner. — Prima devo parlare con Lizzie.

— Questa è casa mia! — ha esclamato Annie a labbra serrate.

Io volevo dire alla dottoressa Turner: "Non è arrabbiata con lei, è confusa per me", ma non c’era modo di dire una cosa simile a un dottore Mulo, vestito con una tuta gialla strappata in un salottino che non è nemmeno tuo e dal quale hai paura di stare per essere cacciato fuori anche tu per avere amato nella maniera sbagliata. Non c’era modo.

Lizzie ha detto: — Ti prego lascia restare Vicki, mamma. Ti prego. Mi sento meglio quando lei è qui.

Annie ha appoggiato a terra i due secchi d’acqua che stava portando. È sembrata pronta a esplodere, lei. Ma poi la dottoressa Turner ha detto: — Ho bisogno di esaminarla, Annie. Per essere sicura che la medicina sia quella giusta. Sai che se l’unità medica funzionasse la verrebbe a visitare ogni giorno cambiando a volte il dosaggio. Un dottore vivente non è diverso.

Pareva che Annie stava per gridare ma tutto quello che ha detto è stato: — Prima la devo lavare. Billy, porta quest’acqua in camera di Lizzie.

Annie ha sollevato Lizzie e l’ha mezza trascinata nella sua camera da letto ignorando gli strilli di Lizzie: — So camminare, io! — Io le ho seguite con l’acqua, ho appoggiato il secchio a terra e sono uscito fuori. La dottoressa Turner aveva preso in mano la bambola di Lizzie. Era di sintoplastica, veniva dal deposito, aveva riccioli neri, occhi verdi e una faccia modificata geneticamente, ma Annie le aveva cucito una tuta prendendo la stoffa da una vecchia tuta strappata e Lizzie le aveva fatto dei gioielli con le lattine da bibita.

— Annie non mi vuole qui.

— Be’ — ho detto io — non siamo molto abituati ai Muli, noi.

— No, penso di no.

Siamo rimasti fermi in silenzio. Io non avevo niente da dire a lei e lei niente a me. Eccetto una sola cosa. — Dottoressa Turner…

— Chiamami Vicki.

Io sapevo che non sarei riuscito a farlo. — Quello che stava guardando, su quel canale da Muli, quella roba che ha detto che non era ancora la vecchia merdaccia governativa… che cosa era? Che sta succedendo?

Lei ha sollevato lo sguardo dalla bambola, a quel punto, più tagliente di prima: — Che pensi che significasse?

— Io non lo so, io. Non conosco quelle parole. Mi sembravano altre preoccupazioni sull’economia, altre scuse del perché il governo non riesce a fare funzionare bene le cose.

— Questa volta non si tratta di scuse. Forse. Sai che cosa è un disgregatore?

— No.

— Una molecola?

— No.

— Un atomo?

— No.

La dottoressa Turner ha scosso la bambola di Lizzie. — Questa è fatta di atomi. Ogni cosa è fatta di atomi. Sono piccolissimi pezzi di materia. Gli atomi si saldano insieme in molecole come… come la neve che si appiccica insieme per fare una palla di neve. Solo che esistono moltissimi tipi di atomi che si uniscono insieme in modo diverso così che si ottengono i diversi tipi di materia. Legno oppure pelle o ancora plastica.

Mi ha guardato duramente, lei, cercando di vedere se io capivo. Io ho annuito.

— Quello che tiene insieme le molecole sono i legami molecolari. Una specie di… colla elettrica. Ebbene, i disgregatori sciolgono questo tipo di legami. Diversi tipi di disgregatori sciolgono diversi tipi di legami molecolari. Per esempio gli enzimi nel tuo stomaco rompono i legami del cibo così che tu lo puoi digerire.

Ho sentito Lizzie ridere, lei, dietro la porta della camera da letto. Era una risata stanca e la preoccupazione per lei ha ripreso a crescermi nelle budella. Nel giro di pochi altri minuti Annie se ne sarebbe uscita fuori. Non sapevo ancora, io, che cosa dire ad Annie. Sapevo però che quello che stava dicendo la dottoressa Turner era importante — riuscivo a vederlo sulla sua faccia da Mulo — e mi sono sforzato di starla a sentire. Di capire.

— Possiamo creare disgregatori e averli per anni. Li usiamo per ogni genere di cosa: per distruggere rifiuti tossici, riciclare, pulire. I disgregatori che creiamo sono abbastanza semplici e ognuno di essi può rompere un solo tipo di legame. Sono creati dai virus, nella maggior parte dei casi, il che significa che sono modificati geneticamente.

— Un disgregatore potrebbe… rompere i legami che causano la rabbia?

— Rabbia? No, quella è una condizione organica complessa. Perché me lo chiedi, Billy? — Aveva di nuovo lo sguardo tagliente.

— Nessuno motivo.

— Nessun motivo?

— No. — L’ho fissata intensamente.

— Comunque — ha detto lei — la produzione dei disgregatori è controllata molto attentamente dall’ECGS. L’Ente governativo per il Controllo degli Standard Genetici. Naturalmente devono controllare ogni cosa che se ne può andare in giro a disgregare la roba. L’ECGS tuttavia, scopre e blocca costantemente operazioni di modificazione genetica illegale, eseguite al di fuori della legge, per profitto o anche per pura ricerca, che creano cose prive di reale controllo. Inclusi i disgregatori. Moltissimi di essi sono autoreplicanti il che significa che si possono riprodurre come piccoli animali…

— Animali? Sesso? — riuscivo a sentire la sorpresa che avevo sul volto.

Lei ha sorriso. — No. Come… alghe in uno stagno. I disgregatori approvati dall’ECGS però hanno inseriti dei meccanismi di controllo a orologeria. Dopo un determinato numero di repliche, smettono di riprodursi. Quelli illegali a volte non ne hanno. Adesso ci sono voci che un replicatore illegale privò di meccanismo a orologeria sia stato diffuso. Attacca i legami molecolari di una lega chiamata duragem che viene utilizzata in moltissimi macchinari. "Moltissimi" macchinari. Questo…

Improvvisamente ho capito. — Sta creando tutti questi guasti. La ferrovia a gravità, la catena del cibo, il robot di guardia e l’unità medica. Mio Dio, qualche pazzo germe da Muli sta distruggendo tutto!

— Non esattamente. Nessuno lo sa ancora. Forse però è così.

— Ce lo state facendo di nuovo!

Lei mi ha fissato. Io le ho detto: — Ci portate via tutto, voi e la chiamate Vita da aristo e poi distruggete quello che resta!

— "Non" io — ha detto lei duramente. — "Non" il governo. Il governo è ciò che vi ha mantenuti tutti in vita dopo che siete divenuti estremamente inutili per l’economia. Invece di eliminare il settanta per cento della popolazione nel modo in cui hanno fatto in Cile e in Kenya. La scienza della modificazione genetica dei Muli potrebbe fare anche questo. Ma non lo abbiamo fatto.

La porta della camera da letto si è aperta ed è uscita fuori Lizzie, pulita, appoggiandosi ad Annie. Lizzie si è sdraiata sul divano e ha detto: — Raccontami qualcosa, Vicki.

— Raccontarti cosa? — ha chiesto la dottoressa Turner. Era ancora infuriata, lei.

— Qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa che io non so, io. Qualsiasi cosa nuova.

L’espressione della dottoressa Turner è cambiata ancora una volta. Per qualche istante è quasi sembrata impaurita. Annie ha detto: — Posso parlarti un minuto, Billy?

C’eravamo, allora. Annie era pronta, lei, a cacciarmi via. L’ho seguita nella camera da letto di Lizzie. Lei ha chiuso la porta.

— Billy, quello che abbiamo fatto la notte scorsa… — non mi stava guardando. Io non potevo aiutarla anche se avessi voluto farlo. Avevo la gola completamente serrata. E non volevo.

— Billy, mi dispiace. Mi sono comportata come una pazza. Era solo passato troppo tempo. Io non volevo farti … non posso… Non possiamo semplicemente tornare come eravamo prima? Amici? Una specie di compagni, ma non… — Ha sollevato su di me i suoi magnifici occhi color cioccolato.

Mi sono sentito leggero, io, pieno di luce, come se potevo svolazzare dal pavimento. Non aveva intenzione di cacciarmi via. Io me ne potevo restare, io, con lei e Lizzie. Proprio come eravamo prima.

— Certo, Annie. Capisco. Non ne parleremo mai più.

Lei ha emesso un lungo sospiro, lei, come se l’aveva trattenuto dalla notte scorsa. Forse era così. — Grazie, Billy. Sei un buon amico.

Siamo tornati da Lizzie che stava ascoltando attentamente la dottoressa Turner parlare in quel suo modo da Mulo. Ecco altri guai.

— … non è così, Lizzie. Il principio basilare del computer è binario, che significa semplicemente "due". Piccoli interruttori, troppo piccoli da potersi vedere, con due posizioni: acceso e spento. Creano un codice.

— Come la base due in matematica — ha detto con eccitazione Lizzie, ma sotto l’eccitazione era così stanca da essere a malapena in grado di tenere gli occhi aperti.

Annie ha detto bruscamente: — Adesso deve dormire. La visita è finita, dottoressa?

— Sì — ha detto la dottoressa Turner alzandosi. Sembrava sconcertata: non riuscivo proprio a capire il perché. — Ma tornerò questo pomeriggio.

— L’unità medica non va a trovare la gente due volte al giorno — ha detto Annie.

— No — ha risposto la dottoressa Turner ancora sconcertata. Ha fissato Lizzie che si era già addormentata. — È una bambina rimarchevole.

— Addio, dottoressa — ha detto Annie.

La dottoressa Turner l’ha ignorata. Era silenziosa, lei, ma tesa dentro, come una che sta prendendo una specie di importante decisione. — Billy, ascolta bene quello che sto per dirti. Ammassa tutto quello che puoi dalla catena del cibo in questo appartamento. Se riapre il deposito, recupera coperte, tute e… carta igienica, sapone e tutto quello che vi occorre. E secchi per l’acqua, moltissimi secchi. Fallo. — Lo ha detto come se nessun altro oltre lei avesse mai potuto pensare a tutto quello. Come se "io" non ci avessi potuto pensare.

Annie ha detto: — Se la gente si mette ad ammassare non ci sarà abbastanza per tutti gli altri.

La dottoressa Turner ha fissato Annie con espressione vacua. — Lo so, Annie.

— Non è giusto.

La dottoressa ha detto con un filo di voce: — Moltissime cose non sono giuste.

— E così vuole dirci di fare le cose ancora meno giuste?

La dottoressa Turner non ha risposto. Ho avuto la strana sensazione, io, che non aveva una risposta. Un Mulo senza una risposta.

Lanciando un’ultima occhiata a Lizzie, la dottoressa Turner se n’è andata. Annie ha detto: — Non la voglio più vedere qui attorno! Deve semplicemente lasciare Lizzie in pace!

Avrei potuto dire ad Annie che non sarebbe successo. Non dallo sguardo negli occhi malati e stanchi di Lizzie mentre la dottoressa Mulo le raccontava del codice del computer. Era quello che Lizzie aveva sempre cercato, per tutta la vita. Guardando nel software scolastico che la dottoressa Turner aveva disprezzato e nella biblioteca di East Oleanta quando ancora ne avevamo una e riducendo in pezzi il robot per pelare le mele nella cucina del Caffè Congressista Janet Carol Land. Questo. Qualcuno che le poteva raccontare quello che una piccola e sveglia mente con ritorno atavico voleva sapere. E Annie non sarebbe riuscita a fermarla. Annie non lo sapeva, lei, ma io sì. Lizzie aveva già quasi dodici anni e non c’era mai stato nessuno capace di fermarla veramente dal fare qualsiasi cosa da quando aveva otto anni.

Io però non ho detto niente ad Annie, io. Non allora. Annie guardava Lizzie che dormiva mostrando tutto il cuore negli occhi e io non riuscivo a dire proprio niente, io, perché ero troppo occupato a guardarle tutte e due.


Quel pomeriggio, però, sono andato a cercare Jack Sawicki, io, e gli ho chiesto la parola chiave del terminale. Me l’ha data, senza farmi troppe domande. Ci conosciamo da un sacco di tempo io e Jack e inoltre lui ne ha le tasche piene. È effettivamente arrivata una donna, un tecnico, per riparare l’unità medica. E ci doveva anche essere una grossa festa da ballo di tutte le logge quella sera al caffè. Tre logge insieme per dare la festa. C’era il ballo, giochi d’azzardo, una specie di gara di bellezza per seni nudi e la maggior parte dei giovani del paese ci sarebbe andata, il che significava mettere alla prova tutti i robot di polizia. Specialmente visto che la ferrovia a gravità stava funzionando di nuovo e poteva essersi sparsa la voce della festa da ballo anche in altri paesi. Jack non mi ha nemmeno chiesto, lui, perché volevo la parola chiave.

Io sono andato a piedi fino all’albergo. La dottoressa Turner non era in giro. Si era fatto freddo per essere agosto: forse se n’era andata a fare un’altra passeggiata nei boschi, in cerca dell’Eden. Non lo avrebbe trovato. Io avevo cercato e non avevo visto proprio niente vicino al posto dove Doug Kane era svenuto di fianco al procione con la rabbia. Nessun posto da dove poteva essere venuta la ragazzina dalla testa grossa.

Ho detto all’olo-terminale dell’albergo: — Modalità notiziari. Parola chiave Thomas Alva Edison. — Jack non vuole che tutto il paese sa che l’olo-terminale dell’albergo si può inserire nei canali dei notiziari: ci sarebbero lì una serie di Tom, Dick e Harry che vorrebbero guardare un diverso canale rispetto a quelli dell’olo-visore del caffè o delle logge.

"Modalità notiziari" ha detto allegramente l’olo-terminale. È sempre allegro. "Quale canale, per favore?"

— Qualche canale da Muli.

"Quale canale per favore?"

Ho tentato con diversi numeri, io, finché non ho trovato un notiziario di Muli. Poi mi sono seduto, io, e ho guardato per un’ora cercando di ricordare le parole che mi aveva spiegato la dottoressa Turner. Legami molecolari. Disgregatori. Lega. Duragem. Soltanto che il notiziario non usava quelle parole, eccetto "duragem". Utilizzava invece parole come "epicentro proposto", "equazione del tasso di replica", "equazioni Stoddard sulla curva di fallimento del campo" e "sforzi di sostituzione manuale in caduta al di sotto del tasso di incidenti". Io ho guardato comunque. Un’ora dopo mi sono alzato e ho detto: — Modalità informazioni.

Sono tornato a casa e ho preso i gettoni-pasto di Annie e di Lizzie. Quando al caffè non c’è più stato nessuno vicino alla catena del cibo ho preso tutto quello che ì gettoni mi potevano dare, ho infilato la roba in un secchio pulito con coperchio e l’ho portata a casa. Lizzie era ancora addormentata, stringendo la bambola. Sono andato al deposito che era stato di nuovo aperto dopo che era arrivato un nuovo carico con la ferrovia a gravità e mi sono preso altri due secchi, tre coperte e tre paia di tute con tutti i nostri gettoni. Ho preso anche una nuova serratura per la porta, vasi da fiori e una valigia. Il tecnico mi ha guardato in modo buffo, lui, ma non ha detto niente. Ho riempito tutti i secchi con acqua pulita, uno alla volta, e li ho trascinati su per le scale fino all’appartamento di Annie. Alla fine mi faceva male la schiena e boccheggiavo.

Ma non mi sono fermato, io. Ho riposato per dieci minuti e poi ho chiesto in prestito la scopa di Annie. L’ho portata all’albergo. C’era gente che stava portando bandierine di stoffa sintetica al caffè per decorarlo per il ballo. Ridevano e scherzavano: una ragazzina metteva in mostra il seno. Si stava preparando per la gara della serata. Qualche straniero ha preso alloggio all’albergo usando i gettoni dello Stato di New York. Chiacchieravano sul ballo. La dottoressa era ancora via, lei.

Ho preso la scopa di Annie, io, e ho scopato via tutte le foglie morte dall’atrio dell’albergo, tutte le foglie lasciate dal robot pulitore che non sarebbe più stato riparato ormai perché non era più così importante rispetto agli altri guasti, tutte le foglie che erano morte l’anno precedente, prima che iniziavano tutti i guasti e arrivavano per la prima volta i procioni con la rabbia a East Oleanta.

9

Drew Arlen — Florida

Quando lasciai Seattle diretto a Huevos Verdes, fu su un aereo della flotta aziendale di Kevin Baker. Il motivo di Kevin per non seguire il resto degli Insonni al Rifugio, a differenza di quello di Leisha, non era stato idealistico. Egli rappresentava il collegamento finanziario del Rifugio con il resto del pianeta. Immaginai che un aereo di Insonni fosse in tutto il mondo il mezzo con meno possibilità di schiantarsi a causa di un danno dovuto al disgregatore di duragem. L’aereo doveva essere stato controllato e ricontrollato freneticamente: gli Insonni erano abilissimi nella sicurezza. "Perché ne abbiamo avuta così poca" mi aveva detto con voce grave Kevin quando gli avevo telefonato pregandolo di potere utilizzare aereo e pilota. In quel momento non ero particolarmente interessato ai problemi sociali degli Insonni. Kevin non mi aveva mai apprezzato e io non gli avevo mai chiesto dei favori in precedenza. Lo feci allora. Avrei costretto Huevos Verdes a darmi un chiarimento, avrei scoperto importanti risposte. Forse Kevin ne era al corrente. Non si poteva mai essere certi di quanto loro sapessero.

L’onnipresente grata, chiusa saldamente, mi ondeggiava nella mente.

— Soltanto una cosa, Drew — disse Kevin e io pensai di scorgere le tonalità e le forme dell’apologia passargli sul volto al videotelefono. Come tutti gli Insonni della sua generazione ha l’aspetto di un bel trentacinquenne. — Leisha insiste nel voler venire con te.

— Come fa Leisha a sapere che io sto per andare a Huevos Verdes? Per quello che ne sa lei, io sono in tournée!

— Non so — rispose Kevin, il che poteva anche essere vero. Forse Leisha aveva piazzato delle spie elettroniche nella mia stanza d’albergo oppure al concerto di Seattle. Era comunque difficile immaginare che lei e Kevin potessero averlo fatto senza che Huevos Verdes lo venisse a sapere. Forse i Super conoscevano e tolleravano il sistema informativo di Leisha. Forse Leisha mi conosceva così bene da avere immaginato quello che stavo provando. Forse aveva un qualche tipo di programma sulle probabilità che prediceva che cosa io avrei fatto, che cosa avrebbe fatto qualunque Normale. Non si può mai essere certi di quello che sanno.

— E se dico no a Leisha? — chiesi.

— Allora niente aereo — rispose Kevin. Non incrociò il mio sguardo. Mi accorsi che lui riteneva di doverle questo, per vecchi debiti, cose che erano accadute prima ancora che io fossi nato. Kevin non avrebbe cambiato idea.

Prima di Huevos Verdes, l’aereo di fermò ad Atlanta per scaricare qualcosa di molto segreto e industriale a cui io non ero affatto interessato. Prima ancora, era atterrato a Chicago per prendere a bordo Leisha. Non c’erano giornalisti. Gli agenti dell’ECGS dovevano essere presenti, ovviamente, da qualche parte, ma io non li vidi. Leisha salì a bordo con una cartella da avvocato e una ventiquattrore verde, con i capelli dorati che svolazzavano al vento teso del Lago Michigan. Indossava pantaloni bianchi, sandali e una sottile camicetta gialla. Fissai dritto davanti a me.

— Devo assolutamente venire con te, Drew — disse Leisha senza accennare minimamente a scusarsi. Era la sua voce diretta, ragionevole. Mi fece immediatamente sentire di nuovo un bambino che veniva rimproverato per essere stato sbattuto fuori dalle costose scuole per Muli a cui lei mi aveva inviato. Scuole che nessun Vivo avrebbe mai potuto superare, quanto meno era ciò che mi ero detto ai tempi. — Anch’io voglio bene a Miranda, sai. Devo assolutamente sapere che cosa state progettando tu, lei e gli altri Super. Perché se fosse quello che penso io…

Una sfumatura di rabbia le era serpeggiata nella voce. Leisha si sentiva autorizzata ad arrabbiarsi per il solo fatto di essere stata esclusa dalla conoscenza dei fatti. Non le risposi.

Miri mi aveva detto una volta che esistevano solamente quattro domande importanti che si potevano porre su qualsiasi essere umano: come riempie il proprio tempo? Che sensazioni ha riguardo al modo in cui riempie il proprio tempo? Che cosa ama? Come reagisce rispetto a coloro che ritiene inferiori oppure superiori?

— Se fai sentire le persone inferiori, anche non intenzionalmente — aveva detto con un intenso sguardo negli occhi scuri — loro si sentiranno a disagio in tua presenza. In questa situazione, alcune persone attaccheranno. Alcune cercheranno di ridicolizzarti per "ridurre la tua dimensione". Alcune tuttavia ti ammireranno e impareranno da te. Se tu fai sentire le persone superiori, alcune reagiranno licenziandoti. Alcune eserciteranno il loro potere in modo maggiore o minore. Alcune, tuttavia, si sentiranno portate a proteggere e aiutare. Tutto questo si applica ad appartenenti a una piccola loggia così come a un gruppo di governi.

Mi ero chiesto come potesse sapere qualcosa sulle piccole logge. Ammirandola e volendo imparare, tuttavia, non avevo detto nulla.

— Voglio solamente proteggere te e Miranda, Drew — disse Leisha — e aiutarvi per quello che posso.

Guardai fuori dal finestrino dell’aereo la luce del sole che si rifletteva, accecante, sulle ali metalliche, finché le forme dietro alle mie palpebre cancellarono quelle nella mia mente.


L’aereo, che era stato così accuratamente controllato contro un’eventuale contaminazione da disgregatore di duragem a Seattle, doveva essersi contaminato ad Atlanta. Cadde sopra la campagna della Georgia settentrionale.

Fu di nuovo tutto come alla KingDome eccetto che questo pilota non pregò, maledisse o gemette e noi stavamo volando a cinquemila e seicento metri di altitudine. Il cielo era di un azzurro abbacinante con nuvole sottostanti che impedivano qualsiasi veduta del terreno. L’aereo sbandò sulla sinistra, appena un pochino, e io vidi il colore della pelle sul collo del pilota cambiare da un bronzo chiaro a un marrone a chiazze. Leisha sollevò lo sguardo dalla propria valigetta. A quel punto l’aereo si raddrizzò e io riuscii a sentire la mente, che si era serrata in una forma dura e bloccata simile a una stipsi, aprirsi di nuovo.

L’istante dopo, tuttavia, l’aereo sobbalzò ancora una volta e cominciò a procedere a scossoni. Il pilota inserì nella consolle ordini vocali e urgenti, digitando simultaneamente comandi manuali. L’aereo scese in picchiata.

Il pilota lo fece risollevare così duramente che venni sbattuto contro Leisha. I suoi capelli chiari mi riempirono la bocca. La valigetta rotolò in avanti cozzando contro lo schienale del sedile anteriore. La valigetta disse: "Per ottenere la massima efficienza, vi preghiamo di mantenere stabile questa unità". Un lungo e sottile filamento mi si avvolse nella mente.

Leisha afferrò lo schienale del sedile anteriore e mi liberò, — Drew! Stai bene?

L’aereo cadde. Il pilota vi restò incollato, trasmettendo ordini con una controllata voce monotona da macchina, manipolando i comandi. La valigetta di Leisha disse: "Questa unità si sta disattivando" con una voce chiara e squillante da soprano esercitato. La mano di Leisha avanzò a tastoni per controllare le mie cinture di sicurezza. — Drew!

— Sto bene — dissi, pensando. "Questo non va affatto bene." Il filo cominciò a svolgersi, tendendosi sempre di più.

Ci tuffammo attraverso le nuvole. Si udì uno stridio acuto nell’aria risuonare quasi sopra di noi, come se stesse provenendo da una macchina completamente differente. L’aereo picchiò quindi di piatto il ventre sul terreno paludoso. Sentii il colpo nei denti, nelle ossa. Leisha, scagliata ancora una volta contro di me disse qualcosa a voce bassissima, una singola parola: sarebbe potuta essere "Papà".

Nell’istante in cui l’aereo si schiantò al suolo, i portelloni si sollevarono. Non poteva essere tuttavia proprio nello stesso secondo, pensai successivamente, perché nessuno avrebbe progettato un equipaggiamento da schianto in quel modo. Sembrò fosse passato però solamente un secondo quando i portelloni si alzarono e le cinture di sicurezza dei passeggeri si sganciarono. Leisha mi buttò fuori dall’aereo e nello stesso momento io colsi l’acre odore del fumo.

Caddi sul ventre nei venti centimetri di acqua che ricoprivano il terreno viscido. Leisha si tuffò di fianco a me, cadendo sulle ginocchia. Senza la carrozzella mi sembrava di avere le convulsioni, un pesce disperato che cercava di tenersi fuori dall’acqua appoggiandosi sui gomiti. Strisciai in avanti, procedendo con le braccia attraverso la melma, lontano dall’aereo e trascinandomi dietro le gambe inutilizzabili.

Leisha barcollò in piedi e cercò di sollevarmi. — No, scappa! — le gridai come se il fumo che spiraleggiava dall’aereo bloccasse il rumore ma non la vista. — Non senza di te — disse lei. Riuscivo ad avvertire la presenza dell’aereo alle mie spalle, una bomba. Gridai: — Riesco ad andare più veloce per cónto mio! — Forse era vero.

Lei continuò a tirarmi il corpo, anche se ero decisamente troppo pesante per lei. Il fumo si addensò. Non sentii il pilota scendere, era rimasto ferito? Il palmo della mano sinistra mi scivolò sul fango e caddi faccia a terra dentro di esso. Freneticamente, cercai di riappoggiarmi sulle mani e di trascinarmi in avanti. — Corri! — gridai ancora una volta a Leisha che non voleva andarsene. Senza speranza, senza speranza. Non era forte abbastanza da portarmi e l’aereo stava per esplodere.

Il filo si spezzò. La grata nella mia mente, come a Seattle, scomparve.

Qualcuno corse verso Leisha provenendo dall’altra parte dell’aereo. Il pilota? Non lo era. L’uomo placcò Leisha e lei mi cadde sopra. Ancora una volta venni spinto con la faccia nel fango. Udii quindi un debole puff! Quando liberai gli occhi dal fango, vidi che l’aria attorno a noi tre scintillava. Un campo di forza. Energia-Y. Quanto era resistente? Poteva reggere a…

L’aereo esplose.

Ricaddi nella melma, bloccato da Leisha. Il mondo tremò e io vidi una piccola e nera biscia d’acqua, terrorizzata per l’intrusione nella sua palude, sfrecciare verso di me e mordermi su una guancia. La biscia cominciò come un sottile filo, divenne quindi un movimento ravvicinato indistinto e poi il mondo scomparve nel nero delle sue scaglie luccicanti e io non seppi se il filo avrebbe retto o no.


Era un agente dell’ECGS. Quando rinvenni, ce n’erano altri tre che mi stavano attorno in cerchio, come l’anello di dottori attorno al mio letto decenni addietro, quando ero rimasto menomato. Giacevo sulla schiena su un tratto di terreno relativamente asciutto e spugnoso al margine del basso laghetto. Leisha era seduta a breve distanza con la schiena appoggiata a un albero di anona, con la testa china sulle ginocchia. Dall’altra parte della palude, l’aereo di Kevin Baker bruciava e il fumo si alzava in nuvole gonfie.

— Leisha? — mi sentii gracchiare. La mia voce mi appariva aliena come tutto il resto. Soltanto che non c’era proprio niente di alieno. Riconobbi la pesantezza dell’aria afosa, il ronzare degli insetti, le pozze melmose e le orchidee fantasma bianche come la cera. E sopra tutto le barbe grige e gocciolanti del muschio epifita. Ero stato allevato nell’interno della Louisiana. Questa doveva essere la Georgia, ma gran parte del terreno paludoso è esattamente identico. Ero stato io a diventare l’alieno.

— La signorina Camden si riprenderà in un momento — rispose un agente. — Probabilmente è soltanto un forte colpo. Sta arrivando aiuto. Noi siamo dell’ECGS, signor Arlen. Non si muova… ha una gamba rotta.

Ancora. Questa volta però non provavo alcun dolore. Non erano rimasti nervi per poter provare dolore. Sollevai leggermente il mento avvertendo la tensione nei muscoli dello stomaco. La gamba sinistra era piegata a una angolazione acuta, innaturale. Abbassai il mento.

Le forme che mi strisciavano nella mente erano grige e indistinte esternamente, spezzate all’interno. Avevano una voce. "Non riesci a fare niente bene, vero, ragazzo? Chi ti credi di essere, un maledetto Mulo?"

Dissi a voce alta come un bambinetto: — Una biscia mi ha morso sulla guancia.

Un secondo uomo si chinò per esaminarmi il volto. Era ricoperto di fango. Disse, ma non bruscamente: — È in arrivo un dottore. Non la muoveremo da qui finché non sarà arrivato. Resti fermo e cerchi di non pensare.

Non pensare. Non sognare. Io però ero il Sognatore Lucido. Lo ero. Dovevo esserlo.

La voce impastata di Leisha disse da dietro le mie spalle: — Siamo in arresto? Con quali accuse?

— No, ovviamente no, signorina Camden. Siamo felici di essere stati in grado di aiutarvi — disse l’uomo che mi aveva scrutato la guancia. Gli altri due agenti restavano immobili con espressioni impassibili, anche se vidi uno dei due strizzare gli occhi. Si può dimostrare disprezzo strizzando gli occhi. Leisha e io eravamo in combutta e sostenevamo Huevos Verdes. Manipolatori genetici. Distruttori del genoma umano.

Vidi Carmela Clemente-Rice in piedi accanto alla grata nella mia mente, una forma nitida e fresca che vibrava dolcemente.

— Voi "siete" dell’Ente governativo per il Controllo degli Standard Genetici — disse Leisha. — Non si trattava di una domanda. Era un avvocato: aspettava una risposta.

— Sì, signora. Agente Thackeray.

— Io e il signor Arlen vi siamo grati per il vostro aiuto. Ma con quale diritto…

Non scoprii mai quale fosse la questione legale che Leisha aveva intenzione di discutere.

Da dietro gli alberi, attraverso rampicanti aggrovigliati, dallo stesso terreno paludoso, eruppero uomini vestiti di stracci. Non c’erano e un istante dopo eccoli lì: questa fu l’impressione. Strillarono, urlarono e schiamazzarono. L’agente Thackeray e i suoi due sprezzanti sottoposti non ebbero nemmeno il tempo di estrarre le pistole. Giacendo sulla schiena, vidi gli straccioni di scorcio mentre sollevavano le pistole e sparavano in un modo che sembrava, ma non poteva essere, a bruciapelo. Thackeray e i due agenti crollarono a terra, i corpi che si contorcevano. Sentii qualcuno dire: — Diavolo, sì, lei è un abominio, questa qui è Leisha Camden — e una pistola sparò ancora, una volta, due volte. La prima volta, Leisha gridò.

Io sollevai di scatto la testa verso di lei. Era ancora seduta con la schiena appoggiata contro l’albero di anona, ma adesso la parte superiore del corpo era china in avanti, con grazia, come se si fosse addormentata. Aveva due punti rossi sulla fronte, uno sotto l’altro e quello superiore macchiava una ciocca di capelli biondo chiari che era in qualche modo sfuggita al fango. Udii un lungo e profondo lamento e pensai: "È viva!". Finché non mi resi conto che il lamento era il mio.

L’uomo che aveva detto "Diavolo, sì" si chinò su di me. Il suo alito mi soffiò in faccia: puzzava di menta e tabacco. — Non si preoccupi, signor Arlen. Noi sappiamo che lei non è un abominio contro natura. È al sicuro come a casa.

— Jimmy — disse tagliente una voce di donna: — Eccoli che arrivano!

— Be’, Abigail, sei pronta per loro, no? — disse Jimmy in tono ragionevole. Cercai di strisciare verso Leisha. Era morta.

Leisha era morta.

Un aereo ronzò sopra le nostre teste. La squadra medica. Avrebbero potuto aiutare Leisha. Ma Leisha era morta. Ma Leisha era un’Insonne. Gli Insonni non morivano. Vivevano, continuavano a vivere, Kevin Baker aveva 110 anni. Leisha non poteva essere "morta"…

La donna che si chiamava Abigail balzò giù dal terrapieno verso la palude. Indossava stivaloni alti fino alla vita, pantaloni e camicia rattoppati e portava un lanciarazzi montato sulla spalla, vecchio di progettazione, ma scintillante per olio di gomito e lucidante. Abigail puntò, sparò e fece esplodere l’aereo in un secondo falò nella palude.

— Okay — disse allegramente Jimmy. — Ben fatto. Venite, andiamocene via, saranno qui in un batter d’occhio. Signor Arlen, mi dispiace che per lei sarà un viaggio scomodo, signore.

— No! Non posso lasciare Leisha! — non sapevo quello che stavo dicendo.

— Certo che può — disse Jimmy. — Non potrà diventare più morta di così. E lei non è comunque uno della sua razza. Adesso sta con James Francis Marion Hubbley. Campbell? Dove sei? Portalo in spalla.

— No! Leisha! Leisha!

— Cerchi di avere un po’ di dignità, figliolo. Non è un moccioso che piagnucola dietro alla mamma.

Un omone alto due metri mi sollevò e mi gettò sopra una spalla. Non provavo dolore alla gamba, ma non appena il mio corpo colpì il suo, una fiammata rossa mi sfrecciò lungo la spina dorsale fino al collo e gridai. Il fuoco mi riempì la testa e l’ultima immagine che ebbi di Leisha Camden fu quella del suo corpo accasciato con grazia contro l’albero di anona, avvolto nel fuoco rosso della mia mente, che sembrava si fosse appena addormentata serenamente.


Mi risvegliai in una stanzetta priva di finestre con pareti lisce. Troppo lisce, non una singola nano-deviazione dal liscio, dal perpendicolare, dall’immacolato. Non mi resi conto, allora, di averlo notato. Avevo la mente stipata di cordoglio che affiorava in spruzzi, in geyser, in fiumi di lava incandescente dello stesso colore dei due punti sulla fronte di Leisha.

Lei era davvero morta. Lo era davvero.

Chiusi gli occhi. La lava incandescente era ancora lì. Picchiai i pugni per terra e maledissi il mio corpo inutile. Se mi fossi potuto muovere per farle da scudo, se avessi potuto frappormi fra lei e gli straccioni assassini…

Nemmeno gli addestrati agenti dell’ECGS erano stati in grado di proteggerla. O di proteggere se stessi.

Non riuscivo a trattenere le lacrime e la cosa mi imbarazzava. La lava aveva travolto la grata chiusa nella mia mente, l’aveva seppellita come stava seppellendo me. Leisha…

— Adesso la smetta, ragazzo. Un po’ di dignità. Non c’è nessuna donna generata dall’uomo che vale questo tipo di piagnisteo.

La voce era gentile. Aprii gli occhi e l’odio sostituì la lava incandescente. Ne fui contento. L’odio aveva una forma migliore: tagliente, fredda e molto compatta. Quella forma non mi avrebbe seppellito. Guardai la faccia preoccupata di James Francis Marion Hubbley che si profilava sopra di me; lasciai che le forme compatte mi scorressero dentro e seppi che sarei rimasto in vita, in allerta e col controllo di me stesso perché altrimenti non sarei stato in grado di ucciderlo. E seppi che l’avrei ucciso. Anche se avesse significato che la sua faccia sarebbe stata l’ultima cosa che avrei visto.

— Così va meglio — disse allegramente Hubbley e si sedette su un ceppo di albero, con le mani sulle ginocchia, annuendo con espressione di incoraggiamento.

Si trattava proprio di un ceppo d’albero. Le pareti si focalizzarono improvvisamente, a quel punto, e capii in che genere di posto mi trovavo. Avevo visto lo stesso tipo di pareti con Carmela Clemente-Rice e a Huevos Verdes. Si trattava di un bunker sotterraneo, scavato nella terra dai piccoli e precisi macchinari della nano-tecnologia, intonacato con una lega prodotta da altre piccole e precisissime macchine. Mangiare il terreno e stendere un sottile strato di lega non era difficile, mi aveva detto una volta Miri. Qualsiasi nano-scienziato competente era in grado di creare meccanismi nano-organici che potessero farlo. Le imprese lo facevano costantemente a dispetto delle regolamentazioni governative. Era soltanto la nano-tecnologia a base organica replicantesi che era difficile da ottenere. Chiunque era in grado di scavare una buca, ma solamente Huevos Verdes poteva costruire un’isola.

Hubbley però non sembrava affatto uno scienziato. Si chinò in avanti e mi sorrise. Aveva i denti marci. Ciuffi di capelli ingrigiti gli pendevano su entrambi i lati di una faccia lunga e ossuta con una pelle profondamente bruciata dal sole e con occhi azzurro chiari. Uno strano bozzo sotto la pelle gli deturpava il lato destro del collo. Poteva avere quaranta o sessant’anni. Indossava stracci di tela, non una tuta, di un marrone opaco e screziato ma gli stivali, alti e in buono stato, venivano quasi certamente da qualche deposito di merce di consumo. Non lo avevo mai visto prima di allora ma lo riconobbi. Apparteneva allo stagnante Sud.

Nella maggior parte del paese il "Deposito Supervisore Distrettuale Tizio o il Caffè Congressista Caio gestiti da Muli avevano abbattuto qualsiasi commercio indipendente. I Vivi potevano ottenere gratis tutto quello di cui avevano bisogno e allora perché pagare? Nell’agricolo Sud, tuttavia, e in qualche caso nell’Ovest, si trovavano ancora attività commerciali messe su alla meglio, motel malconci, case di tolleranza e pollai che da quarant’anni si facevano sempre più poveri, ma che tenevano duro perché, maledizione "il governo non ha nessun fottuto diritto di organizzarci la nostra vita". A tali persone non importava eccessivamente di essere povere. Erano abituate a essere povere. Era meglio che essere posseduti dai Muli. Mettevano in commercio oggetti artigianali, polli, fagioli o altri servizi. Disprezzavano le tute, le unità mediche e il software scolastico. Ovunque andassero avanti questi patetici commerci lì c’erano anche i criminali come Hubbley. Anche rubare era fuorilegge per il governo e quindi segno di orgoglio.

Hubbley e la sua banda rubavano sicuramente nei depositi, negli appartamenti e perfino nelle carrozze della ferrovia a gravità per prendere ciò di cui avevano assolutamente bisogno. Cacciavano nelle profonde paludi e pescavano; forse coltivavano anche un po’ di questo e un po’ di quello. Doveva esserci una distilleria da qualche parte. Oh, conoscevo benissimo Jimmy Hubbley. Lo conoscevo da una vita, prima che Leisha mi prendesse con sé. Mio padre era un Jimmy Hubbley privo dell’indipendenza per liberarsi dal sistema che aveva maledetto fino al giorno in cui il whisky gratis del governo, nemmeno distillato in casa, lo aveva ucciso.

E quello era l’uomo che aveva ucciso Leisha Camden.

Le forme dell’odio hanno una grande energia, come pugnali robotici.

Dissi: — Questo è un laboratorio illegale di modificazione genetica.

Il volto di Hubbley si aprì in un immenso sorriso. — Perfettamente giusto! È sveglio, il ragazzo. Solo che questa è solamente una piccola stazione decentrata dove Abigail si può controllare il suo equipaggiamento e possiamo recuperare rifornimenti. Questo posto non è più usato da "abominatori genetici". Sta visitando l’Avamposto di Liberazione Francis Marion, signor Arlen. E mi permetta di dirle che siamo molto onorati di averla qui. Abbiamo visto tutti i suoi concerti. Lei è decisamente un Vivo. Avere vissuto con i Muli e gli Insonni non le ha fatto nessun danno. Ma in fondo è così che succede al buon sangue, no?

C’era qualcosa di storto nel suo modo di parlare. Rimuginai e quindi compresi. Non si esprimeva come un Vivo — nessuno di quelli che Miri chiamava "pronomi personali rafforzativi" — ma non parlava neanche come un Mulo. C’era qualcosa di artificiale nelle sue frasi. Avevo già sentito prima di allora quel tipo di linguaggio, ma non riuscivo a ricordare dove.

Dissi per farlo continuare a parlare: — L’Avamposto di Liberazione Francis Marion? Chi era Francis Marion?

Hubbley mi guardò in tralice. Si sfregò il bozzo sul lato del collo. — Non ha mai sentito parlare di Francis Marion, signor Arlen? Davvero? Un uomo istruito come lei? Era un eroe, forse il più grande eroe che questo paese ha mai avuto. Non ha davvero mai sentito parlare di lui, signore?

Scossi la testa. Non mi faceva male. Mi accorsi allora che la mia gamba era stata aggiustata. Ero sotto effetto di antidolorifici. Doveva avermi curato un dottore o quanto meno un’unità medica.

— Adesso non voglio proprio avvilirla — disse con espressione seria Hubbley. Il suo volto ossuto irradiava rammarico. — Lei è nostro ospite e non è giusto fare avvilire un ospite per la sua ignoranza. Soprattutto per un’ignoranza per cui non ci può fare niente. La colpa, in questo caso, è tutta quanta del sistema scolastico, una brutta disgrazia per la democrazia.

Aveva ucciso Leisha. Aveva ucciso gli agenti dell’ECGS. Mi aveva rapito. E stava lì seduto a preoccuparsi perché potevo sentirmi a disagio per non sapere chi fosse Francis Marion.

Per la prima volta mi resi conto che potevo avere a che fare con un pazzo.

— Francis Marion era un grande eroe della Rivoluzione Americana, figliolo. Il nemico lo chiamava la "Volpe della palude.". Si nascondeva nelle paludi della Carolina del Nord e della Georgia e piombava sugli inglesi, li colpiva quando meno se lo aspettavano e poi scompariva di nuovo nella palude. Non lo hanno mai beccato. Combatteva per la libertà e la giustizia e usava la natura come aiuto, non come ostacolo.

Adesso avevo inquadrato il suo modo di parlare.

Una volta Leisha aveva passato un’intera notte a guardare antichi film su un movimento di diritti civili. Non diritti civili per gli Insonni, un movimento precedente a quello — di cento anni prima? — sui negri e le donne. O forse sugli asiatici. Non ero mai stato molto bravo in storia. Dovevo però fare un compito per una delle scuole che Leisha continuava a cercare di farmi frequentare. Non ricordo l’avvenimento, ma ricordo che Leisha aveva effettuato una ricerca fra i vecchi film adattati a una tecnologia decente perché pensava che non avrei letto i libri assegnatimi. Aveva ragione e io ne ero rimasto risentito. Avevo sedici anni, ma i film mi piacevano. Ero stato seduto sulla carrozzella, compiaciuto perché erano le tre del mattino e non avevo sonno, stavo tenendo il passo con Leisha. A sedici anni pensavo ancora di poterlo fare.

Avevamo guardato tutta la notte sceriffi su veicoli da terra che facevano saltare in aria i luoghi in cui gli elettori si recavano di persona a votare: era un periodo perfino precedente a quello dei computer. Avevamo guardato vecchie sedute in fondo agli autobus. Avevamo guardato Vivi neri a cui era negato di sedersi ai caffè anche se avevano a disposizione gettoni-pasto. Parlavano tutti come James Francis Marion Hubbley. O meglio, lui parlava come loro. Il suo linguaggio era una creazione deliberata, una recitazione di un tempo antico: storia ben precedente a quella disponibile a livello elettronico. Forse pensava che durante la Rivoluzione Americana avessero parlato così. Forse aveva maggior buon senso. In entrambi i casi il suo linguaggio era disciplinato e deliberato.

Era un artista.

Hubbley disse: — Marion era malaticcio e non aveva avuto un gran che di istruzione, aveva un carattere orrendo ed era di umore nero. Aveva le ginocchia storte proprio dal giorno che sua madre lo aveva partorito. Gli inglesi gli avevano bruciato la piantagione, i suoi uomini lo piantavano in asso tutte le volte che sentivano la nostalgia delle famiglie e il suo stesso ufficiale comandante, il generale maggiore Nathanael Greene, non lo apprezzava troppo. Niente di tutto questo però ha mai trattenuto Francis Marion. Ha fatto il suo dovere nei confronti del suo paese, il suo dovere per come la vedeva lui, scoppiasse pure un pandemonio.

Dissi, tirando fuori a forza le parole: — E lei, quale immagina sia il "suo" dovere rispetto al suo paese?

Gli occhi di Hubbley scintillarono. — L’avevo detto che era sveglio, figliolo, e lo è. Ha centrato subito la questione. Abbiamo lo stesso dovere della "Volpe della palude", cioè cacciare via gli stranieri oppressori.

— E questa volta gli stranieri oppressori sono tutti quelli modificati geneticamente.

— Ha fatto centro, signor Arlen. I Vivi sono il vero popolo di questo paese, proprio come lo era l’esercito di Marion. Avevano la volontà di decidere per se stessi in quale tipo di paese volevano vivere e anche noi abbiamo la volontà di decidere per nostro conto. Abbiamo la volontà e abbiamo l’ideale di come dovrebbe essere questa gloriosa nazione, anche se adesso non lo è ancora. Noi I Vivi. E se non ci crede, caspiterina, guardi che casino hanno fatto i Muli di questo grande paese. Debiti nei confronti di nazioni straniere, alleanze capestro che ci risucchiano ogni risorsa, l’infrastruttura che ci si sgretola in faccia, la tecnologia mal utilizzata. Proprio come gli inglesi utilizzavano male i cannoni e i fucili ai loro tempi.

Cominciò a pulsarmi l’anca, debolmente. L’antidolorifico non era forte abbastanza. Avevo già sentito tutta questa roba. Non era altro che odio antiricerca, travestito da patriottismo. Alla fine avevano beccato Leisha, quegli elementi carichi d’odio. Non riuscivo a sopportare la vista di Hubbley e voltai la testa.

— Ovviamente — disse lui — non si può fermare l’ingegneria genetica. Nessuno dovrebbe fermarla. Di certo noi non lo stiamo facendo, altrimenti non avremmo liberato questo disgregatore di duragem qui.

Girai lentamente la testa per fissarlo. Egli sogghignò. I suoi occhi azzurro chiaro scintillavano nel volto bruciato dal sole.

— Non mi deve guardare in quel modo, figliolo. Non intendo dire io personalmente, Jimmy Hubbley. E nemmeno questa brigata. Ma non avrà pensato che questo disgregatore di duragem è stato liberato accidentalmente, vero?

Fu in quel momento che notai le pareti, dalla perfezione nano-tecnologica. E vidi nuovamente le stampe di Miri, incapaci di evidenziare una singola fonte per la fuoriuscita del disgregatore.

Hubbley disse, nuovamente serio: — Siamo moltissimi. Ci vogliono moltissime persone per fare una rivoluzione. Abbiamo la volontà per decidere in che genere di paese vogliamo vivere e abbiamo l’ideale. La tecnologia.

Sputai fuori: — Quale tecnologia?

— Tutta. Be’, forse non proprio tutta. Ma moltissima. Qualche nano-dispositivo non organico, qualche nano-dispositivo organico a basso livello.

— Il disgregatore di duragem… Come avete fatto…

— Be’, scoprirà tutto al momento giusto. Per oggi deve solo sapere che lo abbiamo fatto e che finirà con l’abbattere il falso governo, proprio come la Rivoluzione ha abbattuto gli inglesi. Rubiamo la tecnologia di cui abbiamo bisogno proprio come Marion rubava i fucili direttamente al nemico. Caspita nel 1781, proprio sul Santee Ri ver…

— Ma avete ucciso gli agenti dell’ECGS.

— Modificati geneticamente — tagliò corto Hubbley. — Abomini contro natura. Caspiterina, usare la nano-tecnologia per combattere una giusta battaglia, non è diverso dall’usare i cannoni del tempo del generale Marion. Ma usarla su esseri umani… quella è una guerra del tutto diversa, figliolo. Quello non è giusto. Le persone non sono cose e non devono essere trattate come cose, con le parti alterate, migliorate e riaggiustate. Non sono veicoli, industrie o robot. I Muli hanno trattato la gente come cose anche troppo a lungo in questo paese. La gente Viva.

— Ma non si può consentire l’uso dell’ingegneria genetica organica sui microorganismi e aspettarsi che non agirà anche sulle persone. Se si consente una…

— Che diamine, no. — Hubbley si alzò e flesse le gambe. — Non è per niente la stessa cosa. È giusto uccidere i germi, vero? Anche uccidere animali da mangiare? Ma non è giusto uccidere gli esseri umani. Questa distinzione è molto chiara nelle nostre leggi sull’uccidere, no? Chi diavolo pensa che non possiamo farlo anche nelle nostre leggi sull’ingegneria a modificazione genetica?

Dissi prima ancora di rendermi conto che l’avrei fatto: — Non potete nascondervi all’ECGS!

Hubbley mi fissò pacificamente con i suoi occhi azzurri acquosi. — Huevos Verdes lo fa, no?

— È diverso. Loro sono Super…

— Non sono dèi. E nemmeno angeli. — Si stiracchiò la schiena. — Il fatto è, signor Arlen, che ci nascondiamo all’ECGS da quasi cinque anni, ormai. Oh, non tutti. Il nemico ha ucciso parecchi buoni soldati finora. E anche noi abbiamo fatto vittime. Però siamo ancora qui. E il disgregatore di duragem è là fuori a portare l’intera guerra a una conclusione più veloce.

— Ma non vi potete nascondere da Huevos Verdes!

— Be’, è più difficile. Ma il fatto è che sospetto che sanno di noi. Sospetto che Huevos Verdes sa ben di più su di noi dell’ECGS. È evidente.

Miranda non me lo aveva mai detto. Non a me. Jonathan non lo aveva mai detto e nemmeno Nikos o Christy. Non a me. Non a me.

— Finora non siamo stati forti abbastanza da poter rubare a Huevos Verdes e quindi è un bene che, per così dire, ci hanno ignorato. Ma adesso è tutto diverso. Nemmeno Huevos Verdes può fermare il modo in cui questo governo sta perdendo il controllo, adesso che il disgregatore di duragem non può più essere bloccato.

— Ma…

— Basta così, per adesso — disse Hubbley, fermo, ma non scortese. — Adesso ci dobbiamo muovere. Le morti di quegli agenti faranno scoppiare un gran casino. La compagnia dovrebbe quasi essere pronta per andare e lei verrà con noi. Ma non si preoccupi, signor Arlen, avremo un sacco di tempo per parlare insieme. So che tutto questo è nuovo per lei, perché la sua istruzione è stata sbagliata. Lei ha passato un sacco di tempo con gli Insonni che non sono nemmeno più umani. Ma imparerà il giusto. Non potrà farne a meno quando vedrà avvicinarsi la vera guerra. Glielo dobbiamo. Lei è stato un vero aiuto per noi.

Lo fissai con espressione vacua. Una nauseabonda ondata di forme mi arrivò al limite della mente, un’onda si sollevò per riversarmisi sopra, per sommergermi.

— Sono stato…

— Be’, ovviamente — disse Hubbley con quello che sembrava genuino sbalordimento. — Non lo aveva già immaginato? Il suo ultimo concerto Il guerriero ha permesso alla gente di sentirsi ben più indipendente e pronta a combattere con volontà e per un ideale. Lo ha fatto lei, signor Arlen. Probabilmente non era quello che intendeva, ma è successo proprio così. Da quando ha cominciato a dare Il guerriero, il nostro reclutamento è salito del trecento per cento.

Non riuscivo a parlare. Si aprì una porta e Campbell torreggiò su di me.

— Diavolo — disse Hubbley — due mesi fa abbiamo perfino avuto un gruppo di scienziati che effettuavano modificazioni genetiche che si sono uniti a noi volontariamente senza essere torturati, niente. Lei ha realmente fatto la differenza più grande del mondo, figliolo.

"E adesso ci dobbiamo proprio muovere. La porterà Campbell. Se quell’anca comincerà a farle troppo male mi raccomando di farsi sentire. Abbiamo altri antidolorifici e dove stiamo andando c’è anche un dottore. Non vogliamo per niente che lei soffra, non dopo tutto l’aiuto che ci ha dato, signor Arlen. Lei sta dalla giusta parte. Solo che a certe persone ci vuole più tempo che ad altre per capirlo.

"Portalo con attenzione, Campbell. Andiamo."


Campbell mi portò in spalla attraverso la palude per circa due ore, per l’impressione che ne ebbi. Mi è difficile essere sicuro sul tempo perché continuavo a svenire. Mi aveva caricato in spalla come un sacco di soia, ma capivo che stava cercando di essere delicato. La cosa non mi aiutò.

Procedemmo in fila indiana, circa dieci persone, condotti da Jimmy Hubbley. Hubbley conosceva le paludi. I suoi camminavano a volte su strettissimi crinali di terreno semisolido con pozze melmose su entrambi i lati, il genere di sabbie mobili che, da piccolo, avevo visto inghiottire un uomo in meno di tre minuti. In altre occasioni avanzammo a fatica attraverso acque salmastre pullulanti di tartarughe e serpenti. Tutti indossavano stivaloni alti fino all’anca. Si tenevano vicini a fitti grovigli di rampicanti, sotto il muschio grigio che scendeva gocciolante dagli alberi. Non sarebbe comunque servito a nulla, non appena l’ECGS avesse portato un robot da rintracciamento che è dieci volte migliore del miglior cane da fiuto nel cogliere i feromoni, non soltanto seguendone la traccia, ma anche analizzandone il contenuto. Mi aspettavo di essere nuovamente con l’ECGS nel giro di due ore.

Vidi quindi che l’ultima persona della fila era la donna, Abigail, che aveva mandato in fumo l’aereo di salvataggio con un lanciarazzi che aveva poi lasciato all’avamposto. Portava al suo posto un macchinario curvo, dal colore opaco che assomigliava a un arco metallico, tenendolo sopra la testa, parallelo al terreno. Sapevo che cos’era: un Cancellatore di Feromoni Harrison. Rilasciava molecole che si attaccavano a qualsiasi traccia molecolare umana e la neutralizzavano. Era uno strumento militare segretissimo che avevo avuto modo di conoscere soltanto attraverso Huevos Verdes e non era assolutamente possibile che l’Avamposto di Liberazione Francis Marion ne possedesse uno. Tuttavia lo avevano.

Per la prima volta cominciai a credere a Jimmy Hubbley quando aveva detto che il suo movimento non era costituito da fanatici isolati.

Abigail era incinta. Con le braccia sollevate sopra la testa, riuscivo chiaramente a scorgere la curva del suo ventre sotto la tuta, forse era al quinto mese. Mentre camminava, canticchiava fra sé, una canzoncina allegra priva di ritornello. I suoi pensieri sembravano distanti interi chilometri e interi paesaggi.

La palude si fece più densa e soffocante. I rami mi graffiarono il volto mentre pendevo, impotente, da sopra la spalla di Campbell. Serpenti grossi quanto il polso di un uomo strisciavano in pozze poco profonde. Un tronco affiorò, scivolò sotto l’acqua nera e scomparve in una fila di sibilanti bollicine. Alligatore.

Chiusi gli occhi. L’aria umida era carica della fragranza cerea delle orchidee fantasma che crescevano sui tronchi di strani alberi. Non erano parassiti. Vivevano d’aria.

Gli insetti ronzavano e pungevano, in una nuvola costante.

— Be’, eccoci arrivati — disse Jimmy Hubbley. — Signor Arlen, signore, come vanno le cose?

Non risposi. Ogni volta che lo guardavo la mente mi si riempiva delle forme dell’odio, fredde e ruotanti come lame. Leisha era morta. Jimmy Hubbley aveva ucciso Leisha Camden. Lei era morta. Io l’avrei distrutto.

Non sembrò importargli che non gli avessi risposto. Si era fermato sotto una enorme farnia carica di muschio grigiastro. Altri alberi si infittivano nelle vicinanze. Un antico cipresso caduto si era mezzo disfatto in poltiglia, coperta dai risucchianti viticci di un fico strangolatore. Nell’opaca mezza luce vidi una lucertola a strisce scendere velocemente lungo un viticcio. Dall’altra parte della farnia c’era una distesa verde scuro di muschio, soffice e livellato come il prato di un’enclave. Quel luogo puzzava pesantemente di marciume da giungla.

— Ora, figliolo, la prossima parte potrà sembrarle un po’ sconcertante. È davvero importante che si ricordi che non corre nessunissimo pericolo. Ecco, faccia un bel respiro, chiuda la bocca e si tappi il naso. Sa che le dico, andrò prima io per rassicurarla. Solitamente, va prima Abby, ma questa volta andrò io. In parte per rispetto alla sposa.

Sogghignò verso Abigail, facendo scintillare i denti rotti. Lei gli sorrise di rimando e abbassò gli occhi, ma un attimo dopo la colsi lanciare un’occhiata furtiva a uno degli altri uomini, un’occhiata dura e significativa come una granata. Jimmy Hubbley non la vide. Lanciò un grido da ribelle e balzò nella distesa di muschio.

Ansimai, il che mi inviò un inaspettato dolore lungo il fianco sinistro. Jimmy sprofondò immediatamente fino alla vita in una melma nera e gelatinosa che giaceva sotto al muschio. La sua unica speranza ora era di rimanere assolutamente immobile e lasciare che Campbell lo tirasse fuori. Scosse invece leggermente la parte superiore delle spalle, tenendosi tappato il naso con una mano e mantenendo l’altro braccio serrato lungo il fianco, con disinvoltura. Rimase immobile forse per circa dieci secondi e por qualcosa lo risucchiò dentro la fanghiglia. Il suo petto scomparve, quindi sparirono le sue spalle e infine la testa. Il muschio, con qualche macchietta di malta, gli si chiuse sopra.

Il cuore mi martellò contro i polmoni.

Abigail fu la successiva. Infilò il Cancellatore di Feromoni Harrison in una sacca di sintoplastica e la sigillò. Balzò quindi nel muschio e scomparve.

— Tappati il naso, tu — disse Campbell, le prime parole che avesse pronunciato.

— Aspetta. Aspetta. Io…

— Tappati il naso, tu. — Mi scagliò nella fanghiglia.

Il mio fianco sinistro provò un dolore lancinante. I piedi colpirono il muschio, ma lì non provavo alcuna sensazione, non la provavo da decenni. Soltanto quando fui sprofondato fino alla vita avvertii l’appiccicosa melma, incollata addosso come feci, fresca dopo l’aria afosa. Puzzava di marcio, di morte. Forme nere mi fluttuarono nella mente e mi divincolai, anche se una parte di me sapeva che dovevo rimanere assolutamente immobile, che non ci sarebbe stato alcun aiuto a meno che non fossi rimasto assolutamente immobile, "Leisha"… Qualcuno ridacchiò.

Qualcosa mi afferrò da sotto, qualcosa di incorporeo ma potente, come un vento. Mi risucchiò verso il basso. La fanghiglia mi salì sopra le spalle e quindi fino alla bocca. Mi coprì gli occhi riempiendo il mondo delle stesse forme fecali che avevo nella mente. Sprofondai.

Per la terza volta, aspettandomi di morire, la grata color porpora scomparve.

Mi trovai quindi steso sul pavimento di una stanza sotterranea mentre mani guantate mi afferravano e trascinavano me e il mio corpo carico di melma. Il dolore mi attanagliava il fianco sinistro. Qualcuno mi ripulì il volto. Le mani mi tolsero i vestiti e mi infilarono, nudo, sotto una doccia sonar e la melma mi cadde dalla testa e dagli abiti in scaglie secche che vennero a loro volta risucchiate da una specie di aspirapolvere che si trovava sul pavimento della doccia. Qualcuno mi applicò un cerotto medico sulla spina dorsale e il dolore scomparve.

— Potrà anche farsi una doccia vera se vuole — disse gentilmente Jimmy Hubbley. — Alcuni ne hanno bisogno. Quanto meno pensano di averne bisogno. — Era in piedi davanti a me già vestito con una tuta pulita, niente affatto rattoppata, indistinguibile da qualsiasi altro Vivo se si eccettuavano i denti così poco curati.

Abigail emerse dalla doccia ad acqua, disinvoltamente nuda, asciugandosi i capelli. Il suo ventre gravido ondeggiava leggermente. Suonò un campanello, dolce e acuto e Campbell venne risucchiato sulla piattaforma di atterraggio che, mi accorsi in quel momento, si estendeva a sole poche spanne sotto una bassa sporgenza. Due uomini tirarono subito via Campbell dalla piattaforma, ripulendogli gli occhi e il naso. Campbell si alzò, ricoperto di melma lucida e barcollò nella doccia a sonar.

— Toglietevi quei guanti lì, ragazzi, e aiutate il signor Arlen. Joncey, devi proprio togliere gli occhi dalla tua graziosa promessa sposa.

Uno dei due uomini arrossì leggermente. Hubbley sembrò pensare che fosse buffo e scoppiò in una risata ma io avvertii nella mente le forme della rabbia di Joncey. Egli non disse nulla. Abigail continuò, freddamente, ad asciugarsi i capelli, con il volto inespressivo. Joncey e l’altro uomo mi afferrarono sotto le ascelle e mi portarono, fra di loro, fuori dalla doccia sonar sistemandomi al centro della stanza. Joncey mi consegnò una tuta pulita.

— Che numero di scarpe porti? — Era più giovane di Abigail e aveva capelli scuri e occhi azzurri, bello in un modo selvaggio che non aveva nulla a che vedere con l’ingegneria genetica.

Dissi: — Vorrei indietro i miei vecchi stivali. — Erano di pelle italiana. Me li aveva regalati Leisha. — Mettili nella doccia sonar.

— È meglio che ti metti i nostri di stivali, tu. Che numero porti?

— Quarantatré.

Lasciò la stanza. Mi vestii. La grata mi era tornata nella mente, serrata come una delle piante esotiche di Leisha.

Lei era davvero morta.

Joncey tornò con un paio di stivali e una sedia a rotelle. Non era nemmeno a gravità: era dotata di vere e proprie ruote che si dovevano, apparentemente, girare a mano.

— Un pezzo di antiquariato — disse Jimmy Hubbley. — Mi dispiace signor Arlen, questa cosa qui è il massimo che possiamo fare così all’improvviso. Ci deve dare solamente un po’ di tempo.

Mi guardò sfolgorante, aspettandosi ovviamente un segno di sorpresa per il fatto che quel bunker sotterraneo fosse equipaggiato abbastanza bene da poter fornire a un inaspettato prigioniero menomato una sedia a rotelle. Non reagii. Un lieve disappunto gli balenò sul volto.

A quel punto avevo la sua forma. Voleva essere ammirato. James Francis Marion Hubbley. Non sapeva neanche che almeno due dei suoi seguaci, Abigail e Joncey, lo disprezzavano già.

Quanto?

Lo avrei scoperto.

Joncey e l’altro uomo mi issarono sulla sedia a rotelle. Infilai gli stivali da Vivo. Vestito, seduto invece che sballottato a terra come un pesce, mi sentii meno impotente. Leisha era morta. Io però avrei distrutto i bastardi che l’avevano uccisa.

Esaminai la stanza. Era bassa, non più di due metri in altezza: Campbell doveva rimanere chinato. I corridoi si irradiavano in cinque direzioni. Le pareti erano lisce come quelle di nano-tecnologia. Sapevo da Miranda che il punto debole di qualsiasi bunker sotterraneo schermato era l’entrata: quella che era più facilmente individuabile dagli esperti dell’ECGS. Il laboratorio di East Oleanta aveva un complesso scudo d’entrata creato da Terry Mwakambe: non c’era possibilità che l’ECGS potesse superarlo. Queste persone però non erano Super. Non potevano godere di una tecnologia più avanzata di quella che aveva il governo. Immaginai, tuttavia, che l’entrata a pozza paludosa rappresentasse un uso della tecnologia cui il governo non aveva ancora pensato, adattato da qualche scienziato pazzo che era cresciuto in una zona paludosa, e che fosse virtualmente non individuabile. Per il momento.

Quanto si estendeva il sistema di tunnel sotterraneo? Con nano-scavatori, una costruzione aggiuntiva poteva proseguire perfino in quel momento, a chilometri e chilometri di distanza da lì, senza che si notasse alcun movimento in superficie. Hubbley aveva detto che la sua "rivoluzione" andava avanti da oltre cinque anni.

Quella gente aveva liberato sul paese il disgregatore di duragem senza che l’ECGS si fosse neanche reso conto che esso non proveniva da Huevos Verdes.

Oppure l’ECGS lo sapeva e, nonostante tutto, aveva fatto trapelare la notizia alla stampa che i responsabili erano i Super? Andava infatti benissimo dare la colpa agli Insonni, ma era imbarazzante ammettere che non si riusciva ad acciuffare una banda di Vivi che aveva dalla propria parte nano-scienziati rapiti o rinnegati.

Non lo sapevo. Sapevo tuttavia che in una guerra così avanzata questi tunnel dovevano contenere terminali. Miri mi aveva fatto memorizzare codici di sovrapposizione per la maggior parte delle programmazioni standard. Anche se poi la programmazione non fosse stata standard, Jonathan Markowitz mi aveva fatto memorizzare, a ripetizione, trucchetti di accesso che potevano giungere fino a Huevos Verdes. Huevos Verdes monitorava ogni cosa. Doveva esserci un modo per raggiungerli. Tutto quello di cui avevo bisogno era un terminale.

Se Huevos Verdes monitorava ogni cosa, non doveva anche sapere del movimento clandestino?

Dovevano saperlo. Ricordavo Miranda china su carte stampate a Huevos Verdes: — Non riusciamo a localizzare l’epicentro del problema del duragem. — I Super dovevano per lo meno essersi resi conto del fatto che il disgregatore era stato liberato da qualche gruppo organizzato che copriva l’intera nazione. Il loro sistema informativo era troppo buono per non saperlo.

E Miranda non me lo aveva detto.

— Hai fame, tu? — chiese Joncey. Aveva parlato con Abigail, vestita ora con una tuta verde, ma gli rispose Hubbley.

— Che diavolo, sì. Andiamo a mangiare, ragazzi.

Spinse personalmente la mia sedia a rotelle. Glielo lasciai fare, passivo, sentendo le forme nella mia mente rigide come corde al carbonio. Percorremmo tutti il tunnel che si trovava sulla sinistra, passando davanti a parecchie porte chiuse. Alla fine tutti gli altri passarono attraverso una porta mentre io e Hubbley entrammo in un’altra. Una stanzetta bianca arredata in legno, non sintoplastica, tavolo e sedie. Sulla parete era appeso un grande olo-ritratto di un soldato dal naso grosso e gli occhi scuri che indossava una specie di antica uniforme.

— Il brigadiere generale Francis Marion in persona — disse Hubbley, con soddisfazione. — Mangio sempre separato dai soldati, signor Arlen. Serve a mantenere alto il morale. Lo sapeva che il generale Marion era un fanatico della pulizia? Vero come l’oro. Faceva radere a secco ogni soldato che non si presentava pulito e a posto in parata e lui stesso si beveva acqua e aceto tutti i giorni della sua vita, quasi tutti, per la salute. La bevanda dei soldati romani. Lo sapeva, signore?

— Non lo sapevo — dissi io. Il mio odio per lui bruciava freddo formando sagome lisce e levigate nella mia mente. Nella stanza non c’erano terminali.

— Già nel 1775 un generale inglese scrisse: "Il nostro esercitò verrà distrutto col contagocce" e Francis Marion è stata la più maledetta goccia che quelle povere giubbe rosse hanno mai visto. Proprio come questa guerra sarà vinta da maledette goccioline, signore. — Hubbley scoppiò a ridere, mettendo in mostra i denti giallastri. Strizzò leggermente gli occhi chiari. Non me li tolse mai di dosso.

— Volontà e ideale, figliolo. Noi li abbiamo tutti e due. Volontà e ideale. Sa cos’è che fa così grande la Costituzione?

— No — risposi io. Entrò un ragazzino che indossava una tuta turchese e aveva i capelli lunghi legati con un nastro. Portava due ciotole di uno stufato fumante. Hubbley gli rivolse la scarsa attenzione che si rivolge a un robot.

— Quello che fa così grande la Costituzione è che porta l’uomo comune nel processo decisionale. Lascia decidere a "noi" che genere di paese vogliamo. Noi, l’uomo comune. La nostra volontà e il nostro ideale.

Leisha aveva sempre sostenuto che ciò che rendeva così grande la Costituzione erano i suoi controlli e i suoi equilibri.

Lei era morta. Era davvero morta.

— Ecco perché, signore — continuò Hubbley — è così maledettamente necessario che ci riprendiamo questo grande paese dai padroni Muli che ci renderebbero schiavi. Col contagocce, se necessario. Sì, per Dio, col contagocce. — Attaccò con gusto lo stufato.

— In effetti, preferibilmente col contagocce — dissi io. — Non vi piacerebbe affatto altrettanto questa guerra se combatteste in campo aperto, nei tribunali.

Mi ero aspettato di farlo infuriare. Egli invece appoggiò il cucchiaio e mi guardò in tralice con espressione pensosa.

— Già, ha proprio ragione, signor Arlen. Credo proprio che ha ragione. Ognuno di noi ha il temperamento che gli ha dato il buon Dio e il mio è portato per il combattimento col contagocce. Proprio come il generale Marion. Questa sì che è un’intuizione interessante. — Tornò a ingurgitare stufato a cucchiaiate.

Assaggiai il mio. Soia base standard per Vivi ma con pezzi di carne vera aggiunta, filacciosa e un po’ dura. Scoiattolo? Coniglio? Erano passati decenni da quando ero stato costretto a mangiare entrambi.

— Non che la Costituzione non abbia i suoi limiti — continuò Hubbley. — Prenda per esempio Abigail e Joncey. Loro sanno perfettamente quali devono essere questi limiti. Stanno manipolando la combinazione genetica nel giusto modo: tramite procreazione umana. — Trascinò le ultime due parole assaporandone ogni sillaba. — Alcuni dei geni di Joncey, alcuni di Abby e il miscuglio finale nelle mani di Dio. Loro rispettano la chiara delimitazione nella Costituzione fra quello che spetta a Dio di manipolare e quello che spetta all’uomo.

Avevo bisogno di sapere tutto il possibile sul suo conto, indipendentemente da quanto fosse pazzo, perché non sapevo ancora di che cosa avrei avuto bisogno per ucciderlo. — Dov’è il punto della Costituzione in cui si traccia questo limite?

— Oh, figliolo, ma non vi insegnano proprio niente in quelle vostre scuole alla moda? Non dovrebbe essere permesso, no, non dovrebbe proprio. Caspita, proprio qui nel Preambolo, c’è scritto chiaro come il sole che "Noi, il Popolo" stiamo scrivendo questa cosa "così da formare un’Unione più perfetta, amministrare la Giustizia, assicurare Tranquillità domestica, fornire la difesa comune" eccetera. Dove sta la perfetta unione se si lascia che i Muli controllino il genoma umano? Questo non fa altro che separare ancora di più le persone. Dove sta la Giustizia nel non permettere al bimbo di Abby e Joncey di partire dalla stessa base di un bambino Mulo? Come può creare tranquillità domestica? Che diavolo, crea invidia e risentimento ecco cosa crea. E che caspita può essere, sulla verde terra del buon Dio, la "difesa comune" se non la difesa della gente comune, i Vivi, in modo che possano avere dei figli che contano esattamente come un bimbo modificato geneticamente? Abby e Joncey stanno combattendo per loro stessi, proprio come i genitori naturali di ogni posto, e la Costituzione dà loro il diritto di farlo, proprio lì, in quel sacro paragrafo.

Non avevo mai sentito nessuno, prima di allora, usare la parola "bimbo". Egli continuò a ingollare a cucchiaiate il suo pessimo stufato, Jimmy Hubbley, la persona più artificiale e insincera che io avessi mai conosciuto.

Le discussioni intellettuali mi confondono. Lo hanno sempre fatto. Avvertii il sentimento di impotenza crescere in me, quello che avevo sempre sentito quando avevo discusso con Leisha, con Miranda, con Jonathan, Terry e Christy. La cosa migliore che riuscii a rispondere in preda a rabbia e confusione, fu: — Che cosa dà a "te" il diritto di decidere che cosa sia meglio per 175 milioni di persone?

Egli mi guardò nuovamente in tralice. Gli tornò la voce apologetica. — Caspita, figliolo, non è esattamente quello che sta facendo il suo Huevos Verdes?

Lo fissai duramente.

— Certo che lo è. Solo che loro non possono decidere per la gente comune perché "loro" non lo sono. Chiaro. Non sono come noi. Non come "lui". — Agitò il cucchiaio in direzione del ritratto di Francis Marion. Il sugo di stufato gocciolò dal cucchiaio sulla tavola.

— Ma…

— Ha bisogno di esaminare le premesse, figliolo — disse con grande gentilezza. — Volontà e ideale. — Tornò a mangiare.

Il ragazzo rientrò, portando due boccali. Whisky mezzo fermentato e mezzo distillato. Non toccai il mio, ma mi costrinsi a mangiare lo stufato. Avrei potuto avere bisogno della mia forza. L’odio brillava in me come molti soli.

Hubbley parlò ancora di Francis Marion: del suo coraggio, della sua strategia militare, del suo modo di sopravvivere con i frutti della terra. — Caspita, scrìsse al generale Horatio Gates che gli mandasse rifornimenti perché "noi siamo tutti poveri Continentali senza soldi". Poveri Continentali! Non è forte? Poveri Continentali! Lo siamo anche noi. — Scolò il whisky. Alla faccia di acqua e aceto.

Sputai fuori: — L’ECGS vi fermerà. Oppure lo farà Huevos Verdes.

Egli sogghignò. — Sa che cosa diceva il tenente colonnello Banastre Tarleton dell’esercito di Sua Maestà riguardo a Francis Marion? "Per quanto attiene a quella maledetta vecchia volpe, il Diavolo in persona non riuscirebbe a catturarla."

Dissi: — Hubbley, lei "non è" Francis Marion.

Egli si fece immediatamente serio. — Be’, certo che no, figliolo. Chiunque se ne accorge così chiaramente che non c’è nemmeno bisogno di dirlo, se non sei un pazzo. È chiaro come il sole che non sono Francis Marion. Io sono Jimmy Hubbley. Cosa c’è che non va, signor Arlen? Si sente bene?

Si sporse sulla tavola, col volto ossuto carico di preoccupazione.

Riuscivo a sentire il cuore battermi in petto. Quell’uomo era impenetrabile, impenetrabile come Huevos Verdes. Un istante dopo mi dette una pacca su un braccio.

— Va bene così, signor Arlen, signore, è soltanto un po’ scioccato dagli eventi, tutto qui. Starà bene per domani mattina. E solo molto sconvolgente scoprire la verità dopo avere creduto per tutto questo tempo nelle falsità. Perfettamente naturale. Non si preoccupi per niente: starà bene domani mattina. Deve cercare di dormire e, mi scusi, ma devo partecipare a un consiglio di guerra.

Mi dette nuovamente una pacca sul braccio, sorrise e se ne andò. Il ragazzino spinse la mia sedia a rotelle fino a una camera da letto con un lettino singolo, un gabinetto chimico e una serratura alla porta che poteva essere aperta solamente dall’esterno.


La mattina dopo venne a visitarmi un dottore. Si rivelò essere l’ometto che aveva aiutato Joncey alla piattaforma di atterraggio. Joncey era con lui e mi accorsi che lo stava controllando: apparentemente il dottore non si trovava lì per propria Volontà e Ideale. Gli veniva tuttavia concesso di vagare per la tenuta sotterranea, il che significava che probabilmente sapeva dove si trovavano i terminali.

— La gamba sembra a posto — disse. — Dolori al collo?

— No. — Joncey si appoggiò allo stipite della porta, sorridendo. Il sorriso si fece più profondo e io colsi un’occhiata di Abigail che passava nel corridoio. Joncey si staccò dalla porta. Qualche risatina e uno scherzo.

Dissi velocemente e a voce molto bassa: — Dottore, io posso fare in modo di farci uscire entrambi da qui se lei mi porta a un terminale. Conosco modi per chiedere aiuto che possono sovrapporsi a qualsiasi programma loro possano avere…

Il volto piccino si contrasse allarmato. Mi resi conto troppo tardi, ovviamente, che era monitorato. La gente di Hubbley avrebbe origliato qualunque cosa lui avesse detto o sentito.

Joncey tornò e il dottore si affrettò ad affiancarglisi, interessato solamente a restare in vita.

La grata nella mia mente si era fatta più serrata che mai, una forma chiusa e raggomitolata che nascondeva tutto ciò che c’era all’interno. Perfino la struttura a rombi sulla sua superficie esterna sembrava più piccola. Forme infuriate, inefficaci, vi ballonzolavano attorno con un movimento lento, come pesci arenati.

Hubbley mi lasciò alle mie amare forme fino a metà mattina. Quando aprì la porta notai che aveva un’espressione grave. — Signor Arlen, signore, mi è stato detto che lei vuole arrivare a un terminale e mettere i suoi amici di Huevos Verdes sulle nostre tracce.

Lo fissai con odio aperto dalla sedia a rotelle.

Egli sospirò e si sedette sul bordo della brandina, appoggiando le mani sulle magre ginocchia, tenendo il corpo chino in avanti in atteggiamento confidenziale. — È importante che "comprenda", figliolo. Contattare il nemico in tempo di guerra è tradimento. Ora, so che lei non è un soldato regolare, almeno per il momento, è più una specie di prigioniero di guerra, ma ugualmente…

— Sa bene che Francis Marion non ha mai parlato in quel modo, vero? — dissi brutalmente. — Questo genere di linguaggio data al massimo centocinquanta anni, viene dai film. È fasullo. Fasullo come tutta la tua guerra.

Egli non cambiò espressione. — Caspita, è ovvio che il generale Marion non parlasse in questo modo, signor Arlen. Pensa che non lo sappia? Ma è diverso da come parlano i miei soldati, è vecchio stile e non è né parlare da Mulo né da Vivo. È sufficiente. Non importa quanta verità esprime, finché ne esprime.

Mi fissò con occhi gentili e pazienti.

Dissi: — Mi permetta di andare in giro per il campo. Non imparerò le sue verità se me ne resto serrato in questa camera. Mi dia una guardia come ce l’ha il dottore.

Hubbley si sfregò il bozzo sul collo. — Be’, si può fare, immagino. Non che lei possa sopraffare nessuno, seduto su quella sedia.

Le forme nella mia mente cambiarono repentinamente. Rosso scuro, spruzzate di argento. La gente di Hubbley non effettuava controlli particolarmente approfonditi. Egli non si era reso conto del fatto che io avevo allenato la parte superiore del corpo con i migliori maestri di arti marziali che i soldi di Leisha avevano potuto procurare. Lei aveva voluto fornire uno sfogo alla mia rabbia giovanile.

Che cos’altro non sapeva? Leisha, incapace di alterare il mìo DNA non Insonne, aveva tuttavia fatto il possibile per me. I miei occhi avevano cornee impiantate con un ingrandimento bifocale a zoom: i muscoli della braccia mi erano stati potenziati. Probabilmente quelle cose rappresentavano abomini, crimini contro la comune umanità citata nella Costituzione.

Cercai di apparire mesto. — Posso avere Abigail come guardia?

Hubbley si mise a ridere. — Non le servirà a niente, figliolo. Abby sposerà Joncey fra un paio di mesi. Darà al bambino un vero papà. Abby tiene un sacco di pizzo da qualche parte per l’abito nuziale.

Vidi Abigail con gli stivaloni di gomma fino alla coscia e la camicia strappata che sparava con un lanciamissili contro l’aereo di salvataggio. Non riuscivo a immaginarla con l’abito da sposa. Mi venne quindi in mente che non riuscivo a immaginare nemmeno Miranda in abito da sposa.

Miranda. Avevo a malapena pensato a lei da quando era morta Leisha.

— Sa che le dico, però? — disse Hubbley — visto che smania tanto per una compagnia femminile, le assegnerò una donna come guardia. Ma, signor Arlen, signore…

— Sì?

I suoi occhi apparvero più grigi, più duri. — Deve tenere a mente che questa è una guerra, signore. E per quanto le siamo grati per l’aiuto che ci ha dato con i suoi concerti, è sacrificabile. Lo deve tenere a mente e basta.

Non risposi. Nel giro di un’altra ora la porta si aprì di nuovo ed entrò una donna. Era, doveva essere, la gemella di Campbell. Alta quasi due metri, muscolosa quasi quanto lui. I capelli color marrone-cacca le stavano appiccicati attorno a una faccia astiosa dalle mascelle sporgenti come quelle di Campbell.

— Io sono la guardia, io. — Aveva una voce stridula e seccata.

— Salve. Sono Drew Arlen. Tu sei…

— Peg. Comportati bene, tu. — Mi fissò con evidente disprezzo.

— Giusto — dissi io. — E quale combinazione naturale di geni ha prodotto te?

Il suo disprezzo non si approfondì, non oscillò. La vidi nella mente come un solido monolito, granitico, simile a una pietra tombale.

— Portami dove è il vostro caffè, Peg.

Lei afferrò la sedia a rotelle e la spinse sgraziatamente. Sotto la tuta verde le sporgevano i muscoli delle cosce. Mi superava in peso di almeno quindici chili: aveva un allungo migliore ed era in forma smagliante.

Vidi il corpo di Leisha, leggero e slanciato, accasciato contro l’albero di anona con due buchi rossi sulla fronte.

Il caffè era una grande stanza in cui convergevano svariati tunnel. C’erano tavolini, sedie e un olo-terminale del tipo più semplice adatto soltanto alla ricezione. Mostrava una gara di scooter. Nessuna catena alimentare, tuttavia molte persone stavano mangiando ciotole di stufato di soia. Mi fissarono con franchezza quando Peg mi fece entrare. Almeno una mezza dozzina di facce mostrò un’espressione chiaramente ostile.

Abigail e Joncey erano seduti a un tavolino distante. Lei stava effettivamente cucendo insieme teli di pizzo, a mano. Era come osservare qualcuno fare candele o scavare una buca con una pala. Abigail mi lanciò una sola occhiata e quindi mi ignorò.

Peg accostò la mia sedia a rotelle a un tavolino, mi portò una ciotola di stufato e si accomodò per vedere la corsa di scooter.

Guardai la corsa, osservando intanto tutto il resto tramite lo zoom nelle cornee. Il pizzo di Abby era coperto da un complesso disegno di piccoli rombi, tutti diversi gli uni dagli altri, come fiocchi di neve. Tagliò un rombo e lo mostrò ridendo a Joncey. Tre uomini stavano giocando a carte: quello di cui potevo vedere la mano aveva una coppia di re. Dopo un po’ dissi a Peg. — È così che passate le giornate? Contribuendo alla rivoluzione?

— Chiudi il becco, tu.

— Voglio vedere altre parti della tenuta. Hubbley ha detto che avrei potuto farlo se mi portavi tu.

— Di’ colonnello Hubbley, tu!

— Colonnello Hubbley, allora.

Afferrò la mia sedia con una tale violenza da farmi sbattere i denti e la spinse lungo il corridoio più vicino. — Ehi! Rallenta!

Lei rallentò fino a un insolente strisciare. Non mi misi a discutere. Cercai di memorizzare ogni cosa.

Non era facile. I tunnel apparivano tutti uguali: bianchi e privi di caratterizzazioni, nano-perfetti, punteggiati di porte bianche identiche, prive di segni e fatte di una lega resistente allo sporco. Cercai di tenere a mente pezzettini di cibo lasciati cadere, impronte di scarpe. In un’occasione vidi un piccolo rombo di pizzo mezzo impigliato sotto a una porta e seppi che Abigail doveva essere passata da quella parte. Peg mi spingeva come un robot, impassibile e instancabile. Stavo perdendo il conto di quello che avevo cercato di memorizzare.

Dopo tre ore passammo davanti a un robot pulitore che ramazzava le cose che io avevo utilizzato come contrassegni.

Durante l’intero giro vidi solamente due porte aperte. Una dava su un bagno comune. L’altra restò aperta solamente un istante, quindi si chiuse, permettendomi solo la più fugace delle occhiate su casse ad alta sicurezza, una fila dopo l’altra. Disgregatori di duragem? O qualche altro distruttore di genomi non umani che Jimmy Hubbley riteneva dovesse essere riversato sui suoi nemici?

— Che cos’era quello? — chiesi a Peg.

— Chiudi il becco, tu.

Un’ora dopo tornammo alle aree comuni. C’era ancora gente che pranzava. Peg mi spinse verso un tavolino vuoto e mi sbatté davanti un’altra ciotola di stufato. Non avevo fame.

Qualche minuto più tardi Jimmy Hubbley si sedette vicino a me. — Ebbene, figliolo, sarà rimasto soddisfatto del suo giro, spero.

— Oh, è stato fantastico — dissi io. — Ho visto ogni genere di contributo alla rivoluzione.

Si mise a ridere. — Oh, sta avvenendo, sul serio. Ma non riuscirà a provocarmi e a costringermi a mostrarle delle cose prima che io sia pronto. C’è tempo, c’è tempo.

— Non ha paura che i suoi soldati si facciano irrequieti a non far nulla così? Che cosa faceva il generale Marion con i suoi uomini fra una battaglia e l’altra? — Appoggiai il cucchiaio: lo odiavo troppo per riuscire anche solo a fingere di mangiare in sua presenza. Dio, come volevo un drink!

Egli sembrò sorpreso. — Caspita, signor Arlen, signore, non è che generalmente non fanno niente. Oggi è domenica, il Sabbath. Già domani saremo tornati all’addestramento regolare. Il generale Marion conosceva il valore di un giorno di riposo e il recupero dello spirito umano.

Si guardò attorno soddisfatto per l’indolente gioco d’azzardo, per le persone che guardavano la corsa degli scooter, per le sagome mezzo accasciate probabilmente sotto l’effetto di stupefacenti. Solo tre facce in quella intera maledetta stanza mostravano un’autentica animazione. Quelle di Joncey e Abigail che si sorridevano a vicenda, mentre Abby continuava a cucire il pizzo ondeggiante e disegnato, e quella di Peg.

— Deve mangiare lo stufato, figliolo — disse con gentilezza Hubbley. — Avrà bisogno di cibo per mantenersi in forze.

Lasciai il cucchiaio dov’era. — No — dissi. — Non è vero.

Ovviamente non capì. Peg, invece, con il tipico atteggiamento di allerta di un animale, colse qualcosa nel mio tono di voce. Mi fissò duramente prima di tornare a guardare Jimmy Hubbley con il volto arcigno trasformato dal rispetto, dalla adorazione e dall’amore languido e senza speranza di una persona comune per un’altra che lei ritiene chiaramente superiore rispetto a sé, quanto una divinità.

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