PARTE III Il sentiero per Gulf City

CAPITOLO VENTITREESIMO

Peron stava sonnecchiando quando suonò l’allarme. Per un paio di minuti lottò contro il risveglio, cercando di fondere quei toni sommessi e confusi con la trama dei suoi sogni.

Rumb… rumb… rumb… rumb…

Era tornato su Pentecoste, indietro nel tempo, quando l’idea della competizione del Plantfest era anch’essa un sogno. Dodicenne; i primi test, parte della valutazione d’ogni adolescente che veniva effettuata in tutto lo stato. Il labirinto ne! quale si entrava bendati era stato loro presentato soltanto come un gioco, qualcosa da cui tutti avrebbero tratto divertimento. Lui aveva obbedito scrupolosamente alle regole, tracciando il proprio percorso soltanto a orecchio, seguendo il sommesso, inafferrabile ronfare della campana in sordina.

C’erano voluti altri sette anni prima che capisse lo scopo nascosto nel labirinto. Il senso dell’orientamento, sì. Ma molto di più. La memoria, il coraggio, l’onestà, e la disponibilità a cooperare con altri concorrenti quando il talento dei singoli non era in grado di fornire una soluzione. Era un preparativo diretto per il Planetfest, anche se nessuno l’aveva mai ammesso.

Perciò, come se la cavava Sy nel labirinto? Quello era un mistero. Sy era un solitario. Non cercava compagni, anche quando l’impresa pareva impossibile per un contendente isolato.

Peron, nuovamente trascinato alla completa coscienza, si rese conto di aver confuso il passato con il presente. Adesso Sy era là, sulla nave. Quando Peron aveva fatto il test del labirinto, non aveva mai sentito parlare di Sy.

Ma era pur sempre una buona domanda: come aveva fatto Sy a superare i preliminari del Planetfest? Quello era un enigma da archiviare e da richiamare più tardi. Nel frattempo quei toni insistenti continuavano, chiamando Peron all’azione.

Rumb… rumb… rumb…

Peron sospirò. Addio sonno. Aveva cercato di spingere ai limiti minimi l’esigenza di dormire nell’S-Spazio, fino a meno di un’ora ogni ventiquattro. Ma aveva ecceduto. Si alzò in piedi con passo incerto, notando che Elissa aveva già lasciato il loro alloggio, e si diresse verso la sala centrale di controllo.

Olivia Ferranti era già là, e guardava fuori dall’oblò. Elissa e Sy erano al suo fianco, intenti a fissare quell’informe mare bianco latteo che si trovava fuori della nave nell’S-Spazio.

Soltanto… non era più informe. Là fuori c’erano forme scure e complesse che stavano passando davanti all’oblò. Peron vide un merletto di sottili rettangoli, congiunti da linee d’argento intrecciate. Ad essi si accompagnava, anche se non erano collegati, un farsetto d’ali venate simili a giganteschi semi di sicomoro.

Olivia Ferranti salutò Peron con un breve cenno del capo.

— Ricordi quello che ti ho detto quando eravamo diretti verso il Quartier Generale di Settore? — chiese. — Non sono sicura che allora tu mi abbia creduto. È una delle ragioni per cui Rinker non voleva che pasticciaste con la sua nave. Guardate il consumo d’energia.

Sulla consolle principale ogni read-out mostrava un consumo d’energia prossimo al livello di pericolo. Peron lanciò un’occhiata agli indicatori solo per un attimo, poi la sua attenzione fu attirata di nuovo, in maniera irresistibile, dalle forme fuori dell’oblò.

— Cosa sono? — domandò. — Stanno assorbendo la nostra energia?

Olivia Ferranti stava battendo un segnale per il modulo di comunicazione. — È certo che lo stanno facendo — rispose. — Quella forma a reticolo è un garzaiolo, una delle sorprese dello spazio interstellare. Non si trovano mai entro il raggio di un anno-luce da una stella. La cosa strana è che sono del tutto invisibili nello spazio normale, ma così facili da vedere qui nell’S-Spazio. — Indicò lo schermo a sinistra dell’oblò dov’era proiettata un’immagine a frequenza alterata, che consentiva loro di vedere fuori della nave alle lunghezze d’onda della normale radiazione visibile. Mostrava soltanto il campo stellare dello spazio profondo. Adesso Sol era la stella più vicina, a soli tre anni-luce scarsi davanti a loro, ma ancora niente più che un debole punto luminoso.

— Non sappiamo come i garzaioli riescano a farlo — proseguì Olivia Ferranti. — Ma si mantengono a meno d’un grado dallo zero assoluto, molto al di sotto della temepratura cosmica di fondo, senza emettere radiazioni su nessuna frequenza da noi individuabile. E succhiano tutta l’energia che una nave può emettere. Senza sapere della loro esistenza, trovandovi alla direzione d’una nave, potevate capitare all’improvviso in un guaio tremendo.

— Ma cosa sono? — ripeté Peron. — Voglio dire, sono intelligenti?

— Non lo sappiamo — rispose la dottoressa. — Certamente reagiscono agli stimoli. Sembrano interpretare i segnali che gli mandiamo, e smettono di drenare la nostra energia non appena ricevono un appropriato messaggio non casuale. La nostra migliore ipotesi è che i garzaioli non sono intelligenti, ma soltanto una combinazione di energia e di sistemi di propulsione. Ma i pipistrelli, quelle forme vampiresche che potevate vedere accanto ai garzaioli, quelli sono un’altra faccenda. Cavalcano i campi magnetici e gravitazionali della Galassia, e lo fanno in maniera molto complessa. Non siamo mai riusciti a stabilire uno scambio d’informazioni bilaterale con loro. Non emettono mai, ma si comportano in maniera intelligente. Utilizzano i campi in maniera davvero efficace per attuare i movimenti con un consumo d’energia e di tempo al minimo possibile. Potrebbe trattarsi d’un istinto evoluto, allo stesso modo in cui un uccello prende quota cavalcando le correnti termiche in un’atmosfera. Ma osservateli adesso. Cosa significa? Ci stanno forse salutando? Non ne siamo mai del tutto sicuri.

Aveva completato la sequenza del segnale. Dopo un breve ritardo, uno dei pipistrelli scese in picchiata verso la nave. Vi fu un frullare d’ali ricurve, un tuffo a destra e a sinistra, e un ultimo impetuoso risucchio di energia segnalato dai contatori. Poi i pannelli e i filamenti dei garzaioli cominciarono ad allontanarsi. Le linee argentee di collegamento divennero più brillanti, mentre tutto l’insieme svaniva a poco a poco. Dopo qualche minuto, le forme alate dei pipistrelli si chiusero in formazione serrata e seguirono i garzaioli.

— Abbiamo avuto navi alla deriva, del tutto impotenti, con l’energia interrotta per mesi, fino a quando non abbiamo imparato come risolvere questo problema — disse la Ferranti. — Abbiamo perfino tentato di aggredirli, ma niente aveva effetto sui garzaioli. Adesso abbiamo imparato come vivere con loro.

— Puoi richiamarli indietro? — chiese Sy.

— Non abbiamo mai trovato un modo per farlo. Compaiono a caso. E adesso li incontriamo assai meno spesso di quando le nostre navi sono uscite per la prima volta. Riteniamo che il «guasto della centrale elettrica» su Helena, quando le arcologie partirono per la prima volta, sia stato causato dall’incontro con un garzaiolo. Quando i coloni spensero la centrale per ripararla, non trovarono niente di guasto. È il tipico modo di succhiare energia di un garzaiolo. Certo, non sembrano aver bisogno della nostra energia, ma a loro piace. Il gruppo scientifico del Quartier Generale del Settore Giada sostiene che noi siamo un piatto prelibato per i pipistrelli, una fonte d’energia compatta, mentre loro sono abituati a trovarla molto diluita. Per loro noi siamo come le caramelle, e forse hanno imparato che troppe caramelle non sono una buona cosa.

Spense la proiezione sullo schermo e si alzò dal suo sedile davanti all’oblò. — Rimanete qui, se volete, e divertitevi col sistema di comunicazione. Può darsi che riusciate a trovare un modo per attirarli e farli tornare. Ciò farebbe di sicuro piacere ai nostri esobiologi e agli esperti delle comunicazioni. Volevo che tutti voi vedeste e assimilaste il mio messaggio: non si può apprendere tutto sull’universo standosene rannicchiati vicino a una stella. Dovete sapere quello che succede là fuori nello spazio profondo.

— Che altro succede? — domandò Elissa. Stava ancora scrutando le profondità lattee dell’S-Spazio, osservando le ultime tracce dei pipistrelli che lentamente svanivano alla vista.

— Qui? — rispose la dottoressa Ferranti. — Non molto. D’altro canto, qui non siamo nello spazio profondo. Sol si trova a meno di tre anni-luce da qui… ci arriveremo in meno d’una settimana. Ora, se ci trovassimo nello spazio profondo, senza nessuna stella più vicina di dieci anni-luce…

Olivia Ferranti s’interruppe di colpo. Era parsa sul punto di dire di più, ma ci ripensò. Rivolgendo un cenno del capo agli altri, si girò e lasciò la sala di controllo.


— Allora, cosa ne pensate? — chiese Elissa.

Sy si limitò a scuotere la testa e non offrì nessun commento.

— Ci sta dicendo che ci sono altre sorprese lungo la strada — dichiarò Peron. — Olivia mi piace, e credo che stia facendo del suo meglio per noi. Sa che ci sono ancora cose che non è autorizzata a rivelarci, e così ci porge degli accenni, e lascia che li elaboriamo da soli. Quello era appunto un altro di questi accenni, ma non so come interpretarlo. Maledizione, però, vorrei che gli altri fossero qui. Vorrei sentire i commenti di Kallen sui garzaioli. Pensate che abbiamo commesso un grave errore a dividerci così?

Peron aveva posto a se stesso e agli altri due quella domanda sin da quando avevano lasciato il Quartier Generale di Settore. Allora era parsa una piccola cosa. Vista la loro esperienza, dopo che avevano lasciato Whirlygig, le istruzioni ricevute dagli Immortali erano state noiose più che eccitanti. Avevano imparato da soli cos’era l’S-Spazio, alla maniera dura, e ciò che avrebbe dovuto essere per loro una rivelazione era giunto, invece, come la pura conferma di fatti conosciuti. Il personale del Quartier Generale di Settore era minimo, poco più di un gruppo addetto alle comunicazioni, e un altro incaricato dell’amministrazione, e quasi tutte le informazioni erano state fornite attraverso robot educativi e corsi computerizzati, nessuno dei quali era stato programmato con l’interesse come elemento dominante. Come aveva detto Rosanne, dopo una lunga e noiosa serie di ammonimenti impartiti dal computer senza un minimo di umorismo sui pericoli fisiologici in caso di passaggi troppo frequenti da e per l’S-Spazio: — Vuoi dire che hanno dovuto farci percorrere un intero anno-luce per questo? Forse, quando si è Immortali non si vive più a lungo, è soltanto che sembra più lungo.

Una delle condizioni che avevano negoziato col capitano Rinker per restituirgli il controllo della nave, era stata la libertà di poter viaggiare dopo il loro addestramento e relativo indottrinamento. Dapprima il capitano si era rifiutato, indignato, anche soltanto di prendere in considerazione una cosa del genere. Senza precedenti! Ma alla fine, sia pure con riluttanza, aveva acconsentito, dopo che Kallen aveva mandato parecchie migliaia di robot di servizio nell’alloggio di Rinker. Avevano intasato ogni centimetro quadrato di spazio disponibile, muovendosi in giro a caso, rifiutandosi di obbedire a qualunque suo ordine, e rendendogli impossibile mangiare, camminare, o anche soltanto dormire.

Quando l’indottrinamento si fu infine concluso, ognuno di loro era annoiato e scalpitante. Quando avevano saputo che due navi sarebbero arrivate al Quartier Generale di Settore a un giorno d’S-Spazio l’una dall’altra, una in viaggio direttamente per la Terra, e l’altra diretta pure alla Terra via Paradiso, si erano divisi in due gruppi: Kallen voleva far visita al gruppo d’Immortali intenti a far ricerche in orbita intorno a Paradiso, mentre Lum e Rosanne avevano un vivo desiderio di fare un viaggio giù sulla superficie del pianeta. Il computer conteneva una breve descrizione degli eventi che avevano condotto all’estinzione della colonia su Paradiso, ma come Lum aveva fatto a notare, quella nuda e cruda esposizione di fatti non era soddisfacente. Una popolazione sana e prospera di più d’un milione di esseri umani era morta nel giro di pochi giorni senza nessun documento scritto, o naturale, che mostrasse come, e perché. Se poteva essere successo con tanta facilità su Paradiso, perché non avrebbe potuto verificarsi su Pentecoste o in qualunque altre mondo?

Dal momento che l’intera deviazione non avrebbe comportato più di una settimana di viaggio in S-Spazio, Elissa, Peron e Sy avevan preso la nave che faceva direttamente rotta per Sol. Kallen, Rosanne e Lum erano andati su Paradiso. E, come Lum aveva fatto allegramente notare mentre partivano, non si sarebbero mai trovati separati da più d’un S-giorno attraverso le comunicazioni radio. Potevano parlarsi in qualunque momento. Soltanto che l’equipaggiamento della loro nave pareva essere perennemente impegnato per questioni di alta priorità…

Adesso Peron cominciava finalmente a rincrescersi di quella loro decisione di separarsi. E Sy appariva insolitamente pensieroso e riservato, perfino per lui.

— Forse ho capito tutto alla rovescia — dichiarò alla fine. — Quando ha detto che volevo visitare il centro galattico, presumevo che fosse il luogo in cui trovare nuovi misteri. Forse non è così. Forse il vero ignoto è altrove. Dovrei forse cercare il nulla, quelle regioni che si stendono fra le Galassie?

Si alzò di scatto e seguì Olivia Ferranti fuori della sala di comando, lasciando Peron ed Elissa a guardarsi incerti.

— Altre domande — commentò Elissa.

— Lo so. E nessuno è disposto a fornirci le risposte. Ti dirò qual è il mistero più grande di tutti. La società degli Immortali ha una struttura complicata. Hanno una rete di navi che collega tutti i mondi abitati, hanno un elaborato sistema di reclutamento per portare gente come noi nell’S-Spazio, e hanno regole ben precise su come incontrare le altre società, perfino quelle umane. Lo sa Iddio quello che farebbero se incontrassero degli alieni che fossero, è ovvio, intelligenti e vivessero vicino a una stella. Ma malgrado tutto questo, non sembra che riusciamo ad avvicinarci neanche un po’ a quegli Immortali che si trovano a capo dell’intera organizzazione.

— Forse la loro società non funziona così. Forse è una vera democrazia.

— Non ci credo. — Peron si sporse in avanti e passò un braccio intorno alle spalle di Elissa. — Pensaci per un momento. Qualcuno deve sviluppare regole e procedure. Qualcuno deve controllarle. Qualcuno deve pensare ai rifornimenti alimentari, all’energia, ai viaggi, e all’edilizia. Ci vogliono dei capi. Senza questo non c’è democrazia, c’è l’anarchia, e il caos completo. Dov’è il loro governo?

Elissa stava accarezzando con fare assente il dorso della mano destra di Peron appoggiata sulla sua spalla. — Non abbiamo forse concluso che si trova sulla Terra, o per lo meno in orbita in qualche punto del sistema di Sol?

— Sì, abbiamo concluso questo. Ma non ci credo più. Ho detto a Olivia Ferranti che vogliamo incontrare i capi degli Immortali. Non ne vuole parlare, ma insiste a dire che ci godremo davvero la visita sulla Terra. Come potrebbe dire una cosa simile, se laggiù dovessimo trovarci a uno scontro con i suoi capi?

Elissa scosse la testa. Non parlò, e dopo un paio di minuti lasciò l’abbraccio di Peron e uscì in silenzio dalla sala di comando.

Peron rimase solo a fissare malinconico il vuoto perlaceo del cielo dell’S-Spazio. Pareva che fossero passate soltanto poche settimane da quando aveva camminato attraverso le paludi appiccicose di Glug, o valutato i pericoli dell’atterraggio su Whirlygig. Per lui, per Sy e per Elissa erano settimane.

Ma su Pentecoste nuove generazioni di contendenti avevano vinto e perso al Planetfest. Ormai il nome di Peron, insieme a quello di Kallen, Lum e gli altri, non erano altro che una nota a piè di pagina in un antico registro. E Wilmer, o qualche altro Immortale addestrato da poco, si sarebbe trovato giù dalla superficie del pianeta ad osservare i nuovi concorrenti per riferire del loro comportamento.

E tutti quelli che avevano conosciuto su Pentecoste, salvo Wilmer, adesso erano morti da tempo. Peron si chiese come fosse finito il grande progetto, della durata di secoli, per la bonifica delle paludi meridionali della provincia di Turcanta. Era finito, adesso, con un vero sviluppo della vita agricola, al posto dei progetti futuristici di qualche disegnatore che illustravano le lezioni di geografia, quando andava ancora a scuola? E quali altri progetti di planetoformazione erano stati sviluppati da allora?

Lui ed Elissa avevano parlato della loro decisione, e non c’erano stati rimpianti. Dopo tutto quello che avevano appreso, non avrebbe potuto esserci un ritorno alla vita «normale» planetaria su Pentecoste. L’idea di visitare la Terra li aveva colmati tutti di energia ed entusiasmo; e lui ed Elissa erano quasi ridicolmente felici insieme. Eppure…

Peron ebbe la premonizione che altri viaggi e altri problemi li aspettassero, prima che il vero segreto degli Immortali venisse loro rivelato.

CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

Decelerazione: procedure, Parte I.

La fase di decelerazione di un viaggio interstellare viene di norma trascorsa nel sonno freddo. Mentre i passeggeri umani sono privi di sensi, i computer di bordo svolgono il compito di uguagliare la velocità e la posizione con la meta del viaggio. Svegliano i dormienti soltanto all’arrivo finale.

Le alternative al sonno freddo sono limitate: un trasferimento nello spazio normale durante la lunga decelerazione e le manovre finali; oppure una cavalcata nell’S-Spazio, storditi ed immobilizzati. Ma nessuna delle due soluzioni è raccomandabile.

Senza discutere, Sy aveva scelto il sonno freddo durante il loro avvicinamento a Sol. Aveva in progetto di usare ampiamente le più svariate tecniche durante i loro futuri viaggi, e desiderava acquisire altre esperienze in questo campo non appena possibile.

Peron ed Elissa avevano assai più difficoltà a prendere una decisione. Dopo aver sognato per tanto tempo un ritorno a Sol e alla Terra, l’idea di chiudere gli occhi per poi trovarsi all’improvviso non era affatto attraente. Significava perdere tutto lo scopo del viaggio. La Terra era una leggenda, e ogni esperienza collegata ad essa avrebbe dovuto venir assaporata. Avevano studiato il Sistema Solare durante il viaggio dal Quartier Generale di Settore, e adesso volevano essere testimoni coscienti di tutto l’avvicinamento. Ma questo significava più di un mese di tempo di viaggio soggettivo durante la decelerazione, oppure una nauseante ora di rallentamento e aggiustamento in orbita, saldamente legati e incapaci di muovere un solo muscolo…

Ne avevano già discusso più e più volte, e alla fine avevano preso la loro decisione. Adesso giacevano fianco a fianco, saldamente imbozzolati in una rete di frenaggio. Come favore speciale, Olivia Ferranti aveva installato degli schermi, in modo che Peron ed Elissa potessero avere, a frequenza modificata, delle panoramiche dello spazio antistante e retrostante, a mano a mano che la nave si avvicinava a Sol. Erano entrati nelle reti prima che cominciasse la decelerazione, quando si trovavano ancora a quasi cinquanta miliardi di chilometri da Sol, e Sol non era niente più di una stella di eccezionale luminosità sulle proiezioni.

Dapprima ebbero l’impressione che tutti i loro studi sarebbero andati sprecati. Il Sole era diventato sempre più grande e brillante, girando attraverso il cielo a mano a mano che la loro traiettoria reagiva al sistema di controllo della navigazione. Ma, cosa deludente, appariva come qualunque altra stella. Durante gli ultimi cinque minuti di viaggio, intravidero per un attimo Saturno, e riuscirono a lanciare qualche occhiata agli anelli; ma era molto lontano ed erano visibili pochissimi particolari della superficie e dei satelliti. Tutti gli altri pianeti erano rimasti invisibili.

Non potevano parlarsi, ma avevano deciso indipendentemente che la nausea e il disagio non valevano affatto la candela. Fino a quando, tutt’a un tratto, la Terra comparve su un lato dello schermo. Rapidamente, il pianeta fluttuò fino a profilarsi davanti a loro per gli ultimi stadi dell’avvicinamento.

E le loro sofferenze, da quel preciso istante, non ebbero più importanza.

Erano stati condizionati dai nastri videoregistrati immagazzinati a bordo della nave ad aspettarsi una pallina azzurro-verde coperta di nubi, in compagnia di una luna, sospesa isolata nello spazio: invece l’intera sfera della Terra risplendeva cinta da una collana di punti luminosi che turbinava intorno al globo centrale come una nube di elettroni intorno al nucleo d’un atomo. Ce n’erano tanti, infatti, da creare l’illusione d’una nube luminosa e continua, un alone lucente intorno all’equatore del pianeta. Mentre guardavano, delle unità più piccole schizzarono come lucciole fra la Terra e le strutture orbitanti.

Le stazioni spaziali. Si trovavano a tutte le altezze, qualcuna quasi sfiorava l’atmosfera, un intero, fitto anello si trovava ad altitudine sincrona, altre vagavano più all’esterno, fin oltre la Luna. E per essere visibili a quella distanza, molte di esse dovevano avere un diametro di chilometri. Peron ed Elissa stavano contemplando il risultato di venticinquemila anni di continuo sviluppo dello spazio orbitale della Terra. Le operazioni di spostamento e di sfruttamento degli asteroidi che avevano avuto inizio all’alba dell’era spaziale della Terra avevano prodotto un ricco raccolto.

Prima che Peron ed Elissa avessero avuto anche soltanto un paio di minuti per assimilare quella scena, stavano già puntando verso una delle strutture più grandi. Si trovava in orbita sincrona, sospesa sopra una grande massa continentale dal profilo di un’ampia punta di freccia. Un filamento scintillante si stendeva giù dalla stazione verso la Terra, per poi sparire alla vista all’interno dell’atmosfera.

Il loro avvicinamento finale fu compresso in pochi S-secondi di movimento confuso. Serpeggiarono in mezzo a un labirinto di altre navi spaziali, di cavi e gallerie di collegamento. Tutt’a un tratto si trovarono ormeggiati, la nave immobilizzata. Stavano cercando di liberarsi dai bozzoli, quando un uomo si materializzò nella cabina e abbassò lo sguardo su di loro.

Era basso, grassoccio, i capelli grigi, e vestito a puntino, con degli elaborati anelli incastonati di gioielli sulla maggior parte delle sue dita. Portava un fiore all’occhiello, il primo bocciolo di qualsiasi tipo che vedevano da quando avevano lasciato Pentecoste. Lo sguardo severo sulla faccia era contraddetto da una fitta trama di sottili rughe ridenti intorno ai suoi occhi simili a bottoni e alla sua piccola bocca.

— Bene — disse in tono spigliato, dopo un’accurata ispezione a Peron ad Elissa. — Sembrate normali quel che basta. Aspettavo il vostro arrivo con un certo interesse. Nessuno di voi due assomiglia al mostro degenerato che i rapporti di settore suggerivano. E Olivia Ferranti parla bene di voi. Perciò, procediamo sulla base di questa supposizione. Ordine: togliete i bozzoli.

Le reti di frenaggio scomparvero, e l’ometto tese con calma una mano per aiutare Elissa ad alzarsi.

— Mi chiamo Jan de Vries — disse. — È mio malinconico dovere approvare, o proibire, tutti i viaggi per e dalla Terra da parte di certe persone che vivono nell’S-Spazio. Suppongo che vogliate ancora visitare la Terra, come avevate richiesto.

— Certo che vogliamo farlo — esclamò Elissa. — Scenderà laggiù con noi?

De Vries parve addolorato. — Ben difficilmente. Mia cara giovin signora, i miei doveri sono vari e talvolta strani, ma fino ad oggi non hanno compreso la funzione di guida turistica. Posso, però, eliminare per voi alcune formalità che di norma sarebbero svolte in maniera diversa. Quand’è stata l’ultima volta che vi siete trovati nello spazio normale?

— Non più da quando siamo partiti per il Quartier Generale di Settore — rispose Peron. Cominciava a sentirsi sempre più inquieto. Si era preparato a un violento scontro con i governanti segreti degli Immortali, invece era là, intento a parlare con quello che aveva tutte le apparenze d’un burocrate.

— Molto bene — disse de Vries. — Allora potete venir preparati subito per la vostra visita sulla Terra. A proposito, scoprirete che il servizio robotico ignorerà i vostri ordini fino a quando non avremo inserito i profili delle vostre voci nel computer della situazione. Questo fa parte di un più ampio trasferimento dati. Verrà completato al vostro ritorno quassù, e allora parleremo di nuovo. Ma per il momento avrete bisogno della mia assistenza. Ordine: preparateli per la visita standard alla Terra.

— Ma noi non… — Peron si fermò. De Vries era scomparso. Poi le pareti ruotarono intorno a lui e intravide un lungo corridoio. Quando la scena tornò a stabilizzarsi, sentì un forte dolore alla coscia. D’un tratto fu come se fosse tornato su Whirlygig, avvertendo quella familiare e inquietante caduta nella tenebra.

Il suo ultimo pensiero fu di rabbia. Aveva giurato che non sarebbe più successo, ma stava succedendo adesso! Le cose erano sfuggite al suo controllo. E non aveva nessuna idea di cosa sarebbe successo dopo.


Peron ed Elissa emersero insieme dai serbatoi dell’animazione sospesa, dentro una stanza piena di una folla rumorosa ed eccitata. Seppero subito che si trovavano di nuovo nello spazio normale, l’S-Spazio non avrebbe potuto offrire una visione così nitida o dei colori così vivaci. Nell’aria c’era un sentore esilarante, e una sensazione di benessere scorreva nelle loro vene. Si guardarono intorno incuriositi.

Una rimbombante voce metallica stava tuonando istruzioni: — In fila per uno nelle cabine, per favore. Sedetevi al vostro posto e non sovraccaricatele. Ne arriverà un’altra ogni dieci minuti.

La folla gli diede scarsissima retta, spingendo e venendo avanti come un’onda di marea lungo un ampio corridoio verso la zona di carico.

— Peron! — Elissa allungò una mano e gli afferrò il braccio. — Tienti stretto, non vogliamo trovarci separati proprio adesso.

Era come trovarsi in un fiume e venir trascinati dalla corrente. Senza nessuno sforzo da parte loro, si trovarono trasportati avanti fino ad una stanza semicircolare, e poi seduti su morbide panchine coperte da un tessuto caldo e vellutato. Su entrambi i lati la gente li guardava sogghignando, e puntava gli occhi fuori dei semicerchi degli oblò.

— Guarda giù! — esclamò una donna accanto a Elissa. Il suo accento dava un suono curioso alle vocali, ma era facile da capire. — Ti fa venire i brividi. Non c’è da meravigliarsi che lo chiamano Skydown.

Elissa seguì il gesto dell’altra, e scoprì che il pavimento sotto i suoi piedi era trasparente. Stava guardando direttamente giù verso la Terra, seguendo la linea d’un immenso cilindro d’argento. Mentre guardava, le porte della camera si chiusero ed ebbe inizio una discesa liscia e accelerata: la loro cabina cavalcava un sentiero invisibile su un lato del cilindro.

— Peron. — Elissa si protese verso di lui in modo che potesse sentirla sopra il frastuono. — Cos’è che succede qui? Guardali, sono come la folla alla fine del Planetfest. E dove stiamo andando?

Peron scosse la testa. — È colpa nostra. Me ne sono reso conto non appena siamo usciti dai serbatoi lassù, avremmo dovuto sapere che non siamo diversi da tutti gli altri. Non capisci? Tutti quelli che arrivano dalle colonie planetarie e dalle arcologie hanno sentito parlare della Terra da quand’erano bambini. Tutti vogliono visitarla. Non c’è da stupirsi che de Vries sia rimasto sorpreso quando gli hai chiesto se veniva con noi, scommetto che la gente che vive nel sistema di Sol sia stanca di spiegare le cose ai visitatori sempliciotti che arrivano qui. Meglio guardare in faccia la realtà, amore, noi facciamo parte della folla dei turisti, niente più.

Elissa guardò intorno a sé quei viaggiatori irrequieti ed esuberanti. — Hai ragione, ma si stanno tutti divertendo. Sai una cosa? Mi sento meravigliosamente. Rimanderò la soluzione dei misteri dell’universo fino a quando non saremo ritornati in orbita. — Afferrò il braccio di Peron e l’attirò più vicino a sé. — Suvvia, infelicità. Entriamo nello spirito della cosa. Ricordati che una settimana sulla Terra corrisponde a cinque minuti soltanto nell’S-Spazio. Non si accorgeranno neppure che ce ne siamo andati.

Si sporsero in avanti per guardar fuori attraverso il pavimento. Malgrado il cilindro scorresse davanti a loro come una macchina in fulmineo movimento, la Terra non sembrava percettibilmente avvicinarsi. Era sospesa sotto di loro, una luminosa palla bianca che si stendeva per quindici gradi sullo sfondo del cielo.

— Mi chiedo quanto tempo durerà il viaggio — disse ancora Elissa. Allungò una mano verso la piccola griglia delle informazioni incorporata nel bracciolo della sua poltroncina, e l’accese. — Velocità, per favore, e l’ora dell’arrivo.

— Velocità attuale, quarantaquattromila chilometri all’ora — esclamò una voce allegra. Il sistema vocalizzante di risposta era stato scelto con un timbro quanto più piacevole e calmante possibile. — L’arrivo avverrà fra tre ore e quarantun minuti da adesso. Siamo ancora in fase di accelerazione. Mancano trentamila e quattrocento chilometri all’atterraggio.

— Dove atterreremo?

— Mezzo grado a sud dell’equatore, su uno dei continenti maggiori.

Peron stava ancora fissando il globo sotto di loro. — Non assomiglia a quello che rni aspettavo, è troppo luminosa. Perché mai ci sono tante coltri di nubi?

Vi fu silenzio per una frazione di secondo, mentre il computer di bordo faceva appello alla stazione sincrona sopra di loro per chiedere assistenza, onde poter dare la risposta. — Oggi c’è una coltre di nubi inferiore al solito. È probabile che lei scambi la coltre di neve per una coltre di nubi.

— Ma questo vorrebbe dire che c’è neve su due terzi della superficie!

— Esattamente. — Ancora una volta la cabina esitò. — Non è insolito.

— La Terra non era coperta di neve ai vecchi tempi… è una conseguenza dell’antica guerra?

— Niente affatto. È il risultato della riduzione dell’attività solare. — Il sistema d’informazione esitò per un attimo, poi proseguì: — La quantità di radiazioni ricevute dal Sole è scesa di un mezzo per cento durante gli ultimi quindicimila anni. L’aumento della glaciazione è evidente perfino a questa distanza. È previsto che questa era glaciale si prolunghi per almeno altri diecimila anni, per essere poi seguita da un periodo insolitamente caldo. Nel giro di quindicimila anni vi sarà uno scioglimento parziale delle calotte polari, e la maggior parte dei territori costieri verranno sommersi.

Elissa allungò una mano e spense l’apparecchio. Guardò Peron. — Non ti dispiace, vero? Ho avuto la sensazione che stesse perdendo slancio. Odio che mi si spiattellino addosso le cose, chiunque abbia programmato quella sequenza necessita di una lezione di brevità da parte di Kallen.

Peron annuì il suo assenso. Lo spettacolo sottostante era più che efficace per impegnare tutta la loro attenzione. Dai poli fin quasi ai tropici i ghiacci biancoazzurri rivestivano le terre emerse. L’antico profilo delle masse continentali maggiori era immutato. Ben presto Peron poté vedere dove lo Skyhook era impastoiato. Incontrava la superficie della costa occidentale d’un continente che era stato conosciuto col nome di Africa. Stavano scendendo rapidamente verso il punto di attracco, a un paio di centinaia di chilometri dal punto in cui il più poderoso fiume della regione si riversava nell’oceano Atlantico.

— Dovremmo decidere quello che intendiamo davvero vedere — disse Elissa. — Se ci sarà possibile scegliere, vorrei tanto non essere costretta ad andare in giro in mezzo ad una calca di turisti.

— Allora, vediamo quali sono le scelte possibili. Ce la fai a sorbirti un’altra volta il servizio informazioni, per un paio di minuti?

Peron attivò l’interruttore e parlò nel minuscolo microfono: — Saremo liberi di muoverci come vogliamo, quando raggiugeremo la superficie?

— Certamente — rispose subito quella voce allegra ma impersonale. — Ci saranno veicoli di superficie e aerei a vostra disposizione, e dei servizi personali d’informazione vi accompagneranno e risponderanno a tutte le domande. I servizi elargiti verranno addebitati automaticamente sul vostro conto.

Elissa guardò Peron. Per quanto ne sapevano, loro due non godevano di nessun conto personale. Forse avrebbero dovuto litigare con Jan de Vries su questo punto, quando fossero ritornati dalla Terra.

— Avete scelto una località? — proseguì sempre allegro il computer di servizio. — Se è così, possiamo predisporre un mezzo subito disponibile all’atterraggio.

— Aspetta un momento. — Peron girò le spalle al microfono. — Elissa? Lasciamo perdere tutto, per un po’. Forse potremmo dare un’occhiata ad una tipica città della Terra, e poi visitare un territorio vergine.

Al suo cenno di consenso, Peron si affrettò a trasmettere la loro richiesta alla cabina. Seguì il silenzio più lungo che vi fosse stato finora.

— Mi spiace — rispose la voce alla fine. — Non possiamo soddisfare la vostra richiesta.

— Non è permesso? — domandò Elissa.

— Sarebbe permesso, ma l’ambiente che avete descritto non esiste più.

Elissa mostrò il più vivo stupore. — Vuol dire che non c’è più nessun paesaggio naturale in nessun punto della Terra?

— No — rispose la voce. Peron immaginò di percepire un elemento di sorpresa nella dominante giovialità dei toni della cabina. — Ci sono paesaggi naturali, in abbondanza. Ma non ci sono città o villaggi sulla Terra.

CAPITOLO VENTICINQUESIMO

Terra

La marcia costante dei ghiacciai era stata più efficace nell’emisfero settentrionale. In Africa, Australia e Sudamerica, i grandi oceani avevano temperature moderate, e ne frenavano la diffusione dalle regioni polari. Si potevano trovare delle sacche prive di neve fino a quaranta gradi a sud dell’equatore. Ma a nord i ghiacciai dominavano dovunque oltre la latitudine trentacinque.

Perfino a Skydown la temperatura era gelida. Peron ed Elissa emersero dalla cabina ai piedi del Gambo in un cielo limpido e con un sole sfavillante, ma si trovarono in mezzo ad un furioso vento di levante che incoraggiava ad avvolgersi in più strati d’indumenti caldi. Mentre la maggior parte dei visitatori andò ad ascoltare un discorso illustrativo sui luoghi da visitare sulla terra, Peron ed Elissa presero un’aviomacchina e volarono verso nord.

Passarono la prima sera sulla lussureggiante sponda del Mediterraneo, vicino all’antico sito di Tripoli. Il servizio d’informazione del computer li informò che avevano raggiunto il confine del territorio dove esisteva ancora una vera foresta. Più a nord, in quella che un tempo era stata l’Europa, sopravvivevano soltanto macchie rachitiche di abeti rossi e ginepri, abbarbicati ai pendii rivolti a sud.

La notte arrivò in fretta, calando fulminea con la sua odorosa oscurità sulla bianca riva sabbiosa. L’aviomacchina conteneva due cuccette, ma erano sui lati opposti della cabina. Peron ed Elissa scelsero di dormire all’aperto, protetti dai sensori automatici e dal sistema di allarme della macchina, tenendosi stretti sotto un cielo senza luna, osservando il lento ruotare delle costellazioni ignote. Contro quel fondale in lento movimento, le stazioni spaziali scorrevano in continuazione sopra le loro teste, con una o più di esse sempre visibili. Il sonno non volle venire facilmente. Bisbigliarono a lungo di Pentecoste, del Planetfest, e di Whirlygig, e dell’incidente capitato a Peron che li aveva proiettati attraverso gli anni-luce e i secoli.

La notte era piena di rumori sconosciuti. C’era il vento che frusciava fra gli alti alberi, e il costante battito delle onde sulla sponda del mare. Da qualche parte, a sud, un gruppo di animali si lanciava reciproci richiami, come quelle di esseri umani che singhiozzassero e piangessero in una lingua straniera. Infine, quando Peron si addormentò, i sogni furono sgradevoli. Le voci continuarono a chiamarlo nella notte; ma adesso lui immaginava di capire il loro lamentoso messaggio.

La vostra visita sulla Terra è un’illusione. Vi state nascondendo la verità, cercate di rimandare delle azioni spiacevoli. Ma non possono venir accantonate. Dovete tornare nell’S-Spazio… e andare più lontani ancora.

Il mattino seguente ripresero il volo, puntando a nord e a est e inoltrandosi nel continente asiatico. Due giorni di viaggio convinsero Peron ed Elissa di due cose. A parte la collocazione generale delle masse continentali, la Terra non aveva nessuna somiglianza col favoloso pianeta descritto negli antichi documenti di Pentecoste e da quelli della biblioteca a bordo della nave. E non c’era nessuna possibilità che scegliessero di vivere sulla Terra, anche se fosse stata nuovamente colonizzata in un prossimo futuro. Pentecoste era più bello sotto ogni aspetto.

Lasciarono il servizio informazioni acceso per tutto il tempo. Così poterono ascoltare una descrizione che metteva a confronto l’antica e fertile Terra della leggenda e l’attuale desolazione.

L’inverno postnucleare era stato la prima causa del problema. Come agente del cambiamento, aveva avuto un’influenza ben maggiore dell’era glaciale che adesso serrava la Terra nella sua morsa gelida. Immediatamente dopo le esplosioni termonucleari, le temperature sotto le dense nubi della polvere radioattiva erano scese in modo drastico. Le piante e gli animali che avevano combattuto per la sopravvivenza nell’oscurità senza sole della superficie l’avevano fatto in un ambiente avvelenato che li aveva costretti a rapide mutazioni o all’estinzione.

Gli uccelli non avevano potuto trovare cibo sufficiente al suolo. Le poche specie sopravvissute avevano sorvolato a volo radente la superficie dei mari tropicali, contendendo ai mammiferi marini la ridotta disponibilità di pesce. L’alto fabbisogno di energia li aveva sterminati. L’ultimo uccello volante sulla Terra era caduto dal cielo nel giro di due anni dall’esplosione termonucleare che aveva cancellato Washington. Soltanto i pinguini erano sopravvissuti, migrando verso nord dall’Antartico per andare ad abitare le linee costiere del Sudamerica e dell’Africa. Piccole colonie di pinguini imperatori erano ancora abbarbicate alle sponde del Mare di Giava e dell’Indonesia.

Gli animali di superficie più grandi, compresi tutti gli esemplari sopravvissuti dell’homo sapiens, erano stati le prime vittime. Il loro più lungo arco di vita aveva permesso l’accumulo di dosi letali di radiazioni nei tessuti dei loro corpi. I piccoli roditori, spintisi nelle profondità del sottosuolo per vivere di radici e di tuberi, se l’erano cavata molto meglio.

Una circostanza aveva contribuito alla loro sopravvivenza. L’ora dell’Armageddon era giunta in prossimità del solstizio d’inverno, nell’emisfero settentrionale, in un periodo in cui molti animali erano grassi per l’inverno e si stavano preparando per l’ibernazione. Avevano scavato le loro tane ancora più in profondità e si erano sistemati per il sonno dell’ibernazione. Quelli troppo a nord non si erano mai più svegliati. Altri, tornando alla vita cosciente durante una primavera fredda e buia, avevano cercato cibo in lungo e in largo. Quelli fortunati si erano trasferiti sempre più a sud, in una zona in cui la luce solare pallida e malata permetteva ancora la crescita di alcune piante. Di tutti i mammiferi che abitavano la terraferma, soltanto pochi roditori, topi, criceti, scoiattoli terricoli e marmotte, erano sopravvissuti per ereditare la Terra.

I loro contendenti erano stati formidabili. Gli invertebrati combattevano per la propria sopravvivenza. Dapprima gli insetti erano diminuiti, poi si erano adattati, ed erano mutati, cresciuti, e si erano moltiplicati. Avevano sempre dominato le regioni tropicali della Terra; adesso le formiche e i ragni più grandi, aiutati da formidabili mandibole e pungiglioni, lottavano per diventare i signori della creazione.

I mammiferi avevano scelto gli unici sentieri rimasti liberi per loro. Gli invertebrati erano limitati nelle dimensioni massime a causa del loro meccanismo repiratorio passivo e della loro mancanza di uno scheletro interno, ed erano a sangue freddo. I roditori erano cresciuti di dimensioni per migliorare la loro conservazione del calore, sviluppando folte pellicce e zampe pelose, ed erano migrati lontano dall’equatore, verso regioni in cui non c’era la concorrenza degli insetti. Alcuni di loro erano del tutto vegetariani: brucavano la scarsa vita vegetale clorotica che ancora cresceva alla luce crepuscolare filtrata dalla polvere. Avevano sviluppato spessi strati di grasso sia come isolante che per immagazzinare il cibo. Gli altri sopravvissuti erano diventati predatori superefficienti, cibandosi dei loro parenti erbivori.

A mano a mano che l’inverno nucleare si era lentamente dissolto, gli insetti si erano trasferiti di nuovo a nord e a sud, lontano dai tropici. Ma i topi e le marmotte erano pronti ad accoglierli. Erano aumentati di dimensioni e di ferocia, fino a diventare equivalenti ai lupi pre-civiltà; e adesso avevano folte pellicce e grasso protettivo che rendevano impotenti le fameliche mandibole e i pungiglioni velenosi. Gli insetti erano una nuova e conveniente fonte di proteine. I carnivori li seguirono fin negli habitat dei tropici, proseguendo poi verso le regioni equatoriali.

I cambiamenti subiti dalla vita animale sulla Terra erano i più facili a vedersi, ma i mutamenti della vegetazione erano sotto certi aspetti più fondamentali. Le erbe erano scomparse; al loro posto una forma nana di eucalipto copriva milioni di chilometri quadrati con foglie piatte azzurro-verdastre. Mai più sulla Terra si sarebbero visti ondeggiare i campi di granoturco e di frumento. I loro semi nutrienti erano stati sostituiti da grossi grappoli di bacche che pendevano da ogni stelo di eucalipto. Dopo che le fu garantito che non c’era nessun pericolo, Elissa ne assaggiò un paio. Erano piene di uno sciroppo grasso, e al loro centro c’era un seme ovale impenetrabile. I semi, le bacche e le radici degli eucaliptus sostentavano una prospera comunità animale sotto il baldacchino alto un piede delle loro foglie, dove nell’oscurità azzurro-verdastra i topi evoluti combattevano contro formiche giganti lunghe un dito per assicurarsi il cibo migliore e uno spazio per vivere.


Mentre continuavano il loro viaggio attraverso la faccia della Terra in cui non rimaneva nessun vestigio di lavoro umano, Peron a poco a poco divenne sempre più silenzioso e chiuso in se stesso.

Elissa suppose che si trattasse d’una reazione all’ambiente. Era riluttante a interferire con i suoi pensieri. Ma mentre costeggiavano lo spoglio litorale occidentale dell’America del Sud, dove la linea continua dei ghiacciai si stendeva fino al pacifico, il bisogno di Peron di discutere le proprie preoccupazioni divenne sopraffacente.

Erano atterrati sulle pendici delle Ande per contemplare il tramonto sopra il Pacifico. Nessuno dei due parlò mentre l’ampia faccia di Sol, rossa alla luce serale del crepuscolo, affondava con costante velocità dietro ad una sottile linea di nuvole, lontane sopra l’oceano occidentale. Anche quando l’ultimo bagliore fu scomparso, poterono voltarsi verso est e vedere i raggi del sole ancora intrappolati dalle sommità delle alte vette coperte di neve.

— Non possiamo rimanere qui — disse Peron alla fine. — Anche se ci piacesse di più che su Pentecoste, anche se pensassimo che la Terra è perfetta, dovremmo ritornare indietro nell’S-Spazio.

Elissa rimase silenziosa. Conosceva Peron. Bisognava concedergli il tempo di addentrarsi in un argomento ed elaborarlo, senza insistere e con un minimo di blandizie. Era quello il modo in cui era riuscito a parlarle la prima volta, quando si erano conosciuti, e il modo in cui lei aveva appreso quanto fosse stato tormentato in continuazione dai dubbi quando aveva dovuto decidere se lasciare o no la famiglia per partecipare al Planetfest.

L’ultima luce scomparve, lasciandoli seduti fianco a fianco sul suolo soffice accanto aH’aviomacchina. Le stelle comparivano una ad una, ammiccando vivide nella frizzante aria della notte.

— Abbiamo passato uno splendido periodo quaggiù — commentò infine Peron. — Ma negli ultimi due giorni ho avuto problemi a farmi uscire un pensiero dal cervello. Ricordi la colonia di tipo-scimmie, quelle nere con la coda grassa?

Elissa aumentò la stretta sulla sua mano senza parlare.

— Mi avevi chiesto come mai il capo della colonia poteva controllare gli altri con tanta facilità — continuò. — Non pareva combattere contro di loro o fare il prepotente con loro, e neppure cercare di dominarli in qualsiasi altro modo. Ma gli altri si arrampicavano ugualmente sugli alberi e gli portavano il cibo, e lo strigliavano: non doveva neppure muoversi per vivere comodo… Insomma, per qualche ragione mi ha ricordato qualcosa che mio padre mi disse quando avevo soltanto dieci anni. Mi chiese: chi controlla Pentecoste? Mi disse che quella era la terza domanda importante alla quale si doveva rispondere in una società. Le altre due domande importanti erano: come lo controllavano? E perché lo controllavano? Se conoscevi tutte e tre le risposte, i padroni, i meccanismi, e i motivi, eri nella posizione di attuare dei cambiamenti.

— Ti ha mai detto quali erano le risposte?

— No. Non le ha mai sapute. Ho passato la sua vita a cercarle. Le risposte non erano su Pentecoste. Adesso noi sappiamo che coloro che controllavano veramente Pentecoste sono gli Immortali, con la collaborazione d’un nervoso governo planetario. Lo controllano grazie alle loro conoscenze superiori, e usano il pianeta, così dicono, come fonte di altri Immortali. Queste idee erano al di là dell’immaginazione di mio padre. Ma lui aveva ragione a proposito delle domande importanti.

Elissa si mosse al suo fianco. Era vestita leggera, e l’aria era fredda sulle sue braccia nude, ma era riluttante a suggerire di muoversi.

— Alia fine ho cercato anch’io di pormi le domande importanti — riprese Peron dopo un po’. — Non su Pentecoste, ma sugli Immortali stessi. Hanno una società ben sviluppata; ma chi la dirige? Come, e soprattutto, perché? All’inizio, pensavo che avessimo una risposta alla prima domanda: gli Immortali venivano diretti dalla Nave. Ma non appena mi sono trovato nell’S-Spazio, scoprii che non era vero. Poi ho pensato che avremmo trovato la risposta nel Quartier Generale di Settore. Ma abbiamo appreso che non era così. Il Quartier Generale di Settore non è altro che un centro amministrativo con una stazione di cambio e un punto di raccolta e di smaltimento merci per le navi stellari in transito. Perciò, cosa ci sarebbe stato dopo? Decidemmo che il controllo doveva trovarsi su Sol, e siamo venuti fin qui. Ma non abbiamo nessuna risposta in più. Chi dirige lo spettacolo nel sistema di Sol? Non Jan de Vries, sono pronto a scommetterci la pelle. È un buon seguace, ma non è il capo. E anche se scoprissimo chi, ci rimangono sempre il come e il perché.

— Allora, cosa vuoi fare?

— Non lo so. Cercare più a fondo, suppongo. Elissa, sono quasi cinque giorni che ti trovi sulla Terra. Come ti senti?

— Fisicamente? Mi sento assolutamente meravigliosa. Tu no?

— Sì. E sai perché?

— Me lo stavo chiedendo. Penso che forse parte della ragione sia dovuta alla nostra ascendenza. Veniamo da milioni di anni di adattamento alla Terra come ambiente naturale: gravità, pressione atmosferica, luce del sole. Dovremmo sentirci bene qui.

— So tutto questo. Ma, Elissa, penso ci sia un’altra ragione. Penso che tutto sia relativo, e abbiamo passato un mese nell’S-Spazio prima di venire qui. Ti dirò la mia teoria, ed è qualcosa che mi fa sentire a disagio. Credo che l’S-Spazio non vada bene per gli esseri umani, per motivi che ancora non ci sono stati detti.

— Anche se nell’S-Spazio viviamo molto più a lungo? E non intendo soltanto a lungo nell’S-Tempo, voglio dire soggettivamente più a lungo. Questo non suggerisce forse che l’S-Spazio va bene per il nostro corpo?

Peron sospirò. Elissa non lo sapeva, ma gli stava enunciando dei ragionamenti con i quali lui si era dibattuto per giorni, senza trovare nessuna risposta soddisfacente.

— Così sembra. Pare logico: lì viviamo più a lungo, perciò dev’essere buono per noi. Ma non ci credo. Pensa a come ti senti. L’S-Spazio non ti dà la stessa sensazione di vitalità. Pensa a come abbiamo fatto l’amore. Non era meraviglioso su Pentecoste, e non è stato perfino meglio, durante gli ultimi giorni, qui sulla Terra?

Elissa allungò la mano e fece scorrere con delicatezza le dita su per la coscia di Peron. — Tu conosci la risposta senza bisogno di chiederlo. Adesso stai attento, altrimenti mi farai venire delle idee.

Peron appoggiò gentilmente la mano su quella di lei, ma la sua voce rimase pensierosa ed infelice. — Così, sei d’accordo; ci sono delle cose che nell’S-Spazio semplicemente non danno la giusta sensazione. L’abbiamo saputo dentro di noi, ma supponevo che facesse tutto parte del processo di adattamento. Adesso mi sento altrettanto sicuro che questo non è il caso, e tutti quelli che sono vissuti nell’S-Spazio per un qualunque periodo di tempo devono ugualmente saperlo.

Si alzò lentamente in piedi. Elissa lo imitò, e rimasero là tutti e due per alcuni istanti, rabbrividendo al vento della notte che spirava in direzione del mare scendendo impetuoso dalle innevate vette a oriente.

— Supponi di aver ragione — riprese Elissa. — E sei riuscito a convincermi abbastanza bene. Cosa possiamo fare in proposito?

Peron la strinse a sé, in modo che condividessero il calore dei propri corpi. Ma quando parlò, la sua voce era fredda come il vento: — Amore, sono stanco di essere manipolato. Sono stanco di continuare a tirare a indovinare alla cieca. Adesso dobbiamo tornare in orbita. Dobbiamo smettere di lasciare che ci prendano in giro con la loro dolce ragionevolezza e le blande risposte, siano Olivia, o Jan de Vries, o chiunque altro. E dobbiamo fare quanta più pressione possibile per ottenere le vere risposte sulla civiltà dell’S-Spazio: chi, come e perché.

CAPITOLO VENTISEIESIMO

Dietro insistenza di Elissa organizzarono un incontro con Sy come priorità assoluta al loro ritorno in orbita e all’S-Spazio. Lei era d’accordo con le idee di Peron, ma voleva su di esse la prospettiva insostituibile di Sy.

Il loro ritorno su per il Gambo aveva avuto luogo in un’atmosfera del tutto diversa da quella della discesa. La cabina era più affollata che mai, ma i viaggiatori erano calmi, l’umore più cupo. Dopo qualche giorno trascorso in superficie, tutti avevano sentito, in qualche punto del loro intimo, che adesso la Terra era aliena, un mondo talmente influenzato dalle guerre dell’uomo e dai mutamenti di clima che un ritorno permanente era inimmaginabile. L’umanità aveva lasciato la propria casa originaria. Non ci sarebbe stato nessun ritorno. I viaggiatori guardarono giù verso le vivide nuvole del pianeta e la coltre di neve, e pronunciarono mentalmente i lóro addii.

Olivia Ferranti aveva accennato al fatto che poche persone facevano più di una visita alla Terra. Adesso Peron ed Elissa sapevano perché.

Quando arrivarono alla serie di stazioni che formavano il punto superiore di sbarco del Gambo, Elissa chiese al sistema d’informazione dove si trovasse Sy. Mentre lo faceva, Peron preparò il loro ritrasferimento nell’S-Spazio. La cosa si dimostrò d’una facilità sorprendente. Poiché quasi tutti quelli che tornavano da una visita sulla Terra tornavano subito all’S-Spazio, la procedura era stata svelata fino a diventare niente di più d’una routine. Peron fornì i loro codici d’identificazione, e gli venne subito offerto accesso a un paio di serbatoi per l’animazione sospesa.

— Pronta? — chiese a Elissa.

Lei era ancora seduta al terminale delle informazioni. Scosse la testa e parve perplessa. — No. Non sono affatto pronta. Posponi questa prenotazione dentro i serbatoi.

— Qual è il problema? Non riesci a trovare Sy?

— L’ho trovato, ma non è più nell’S-Spazio. Si è trasferito nello spazio normale ancora prima che lo facessimo noi.

— Vuoi dire che è sceso anche lui sulla Terra?

— No, stando al servizio d’informazione. È stato qui durante tutto il tempo che noi abbiamo passato sulla Terra. E ha lasciato l’S-Spazio un quarto d’ora prima che lo facessimo noi, perciò significa che si trova nello spazio da più di venti giorni.

— Cos’ha fatto?

Elissa scosse un’altra volta la testa. — Lo sa Iddio. Questa informazione non è nella banca dati del computer. Ma l’ultima volta la sua presenza è stata riferita qui, in una delle stazioni del complesso sincrono. Se vogliamo unire le nostre teste alla sua, non serve andare nell’S-Spazio, almeno per ora.

Peron annullò la richiesta per i serbatoi dell’animazione sospesa. — Vieni, allora. Non so come farlo, ma dobbiamo trovare un modo per rintracciarlo.

Il compito si dimostrò assai più facile di quanto Peron avesse immaginato. Sy non aveva fatto nessun tentativo per nascondere il luogo dov’era andato. Era vissuto in una singola stanza per tutto il tempo, con un collegamento quasi continuo con le banche dati in orbita e la rete centrale del computer. Era seduto davanti a un terminale quando Elissa e Peron aprirono la porta della sua stanza.

Distolse gii occhi dallo schermo per un attimo, e li salutò con un distratto cenno del capo. — Vi stavo aspettando da un paio di giorni. Datemi un momento per finire quello che sto facendo.

Elissa fece passare con curiosità lo sguardo tutt’intorno per la piccola stanza. Era una camera da un quinto di G, con pochi segni materiali della presenza di Sy. I robot di servizio l’avevano sgombrata dagli avanzi dei cibo e dai piatti, e non c’erano oggetti di lusso o di divertimento. Sembrava che il letto non fosse mai stato usato; e la superficie della piccola scrivania era del tutto vuota. Sy era ben curato, sbarbato e abbigliato con indumenti neri, aderenti.

— Non c’è fretta — gli disse Elissa. Si sedette senza affrettarsi sul letto.

— Ho un messaggio da parte di Kallen — disse Sy, senza togliere gli occhi dallo schermo. — Lum e Rosanne hanno subito un ritardo. Non saranno qui tanto presto come avevano pensato. Com’era la Terra?

— Stimolante — disse Peron. Si sedette accanto a Elissa e aspettò fino a quando Sy non ebbe completato l’immagazzinamento dei dati e datò il segnale di cessazione. Quando Sy si fu girato verso di loro, Peron riprese: — Dovresti proprio fare un viaggio laggiù, Sy. È qualcosa che non dimenticherai mai.

— Ci ho pensato — annuì Sy. — Poi ho deciso che avevo delle priorità maggiori. Ci sarà tempo in abbondanza più tardi per la Terra, non scapperà.

— Ma cosa stai facendo qui, nello spazio normale? — chiese Elissa. — Stando al servizio informazioni sei qui da sempre.

— Ventisei giorni. — Sy sogghignò. — Sapete cosa c’è di sbagliato nell’S-Spazio? Là non si può fare niente in fretta. C’erano cose che volevo fare, e cose che volevo conoscere, e presto, e non ero sicuro che i nostri amici Immortali me ne avrebbero dato il permesso. Perciò sono venuto qui. Sono qui soltanto da diciannove minuti di S-Spazio. Quando registreranno il fatto che me ne sono andato, avrò finito tutto.

— Avevo la stessa sensazione — disse Peron. — Siamo troppo lenti. Abbiamo assai meno controllo su ciò che ci accade qui. Ma… finito di far che cosa?

— Parecchie cose. Ho incominciato saggiando la Legge di Kallen… l’ho chiamata io così, non lui. Non ricordate quello che ha detto? «Qualunque cosa può esser méssa dentro una banca dati da una persona, può esser “tirata fuori” da un’altra, se si è scaltri abbastanza e si ha tempo a sufficienza». È uno dei problemi d’una società basata sul computer, e una delle ragioni perché ì computer erano così strettamente controllati su Pentecoste; è quasi impossibile impedire l’accesso alle informazioni immagazzinate nei computer. Ho deciso che se c’era un altro Quarlier Generale per gli Immortali del quale preferivano non parlare, dovevano esserci indizi sulla sua ubicazione in qualche punto delle banche dati. Ben nascosti, certo, ma dovrebbero essere là. Esiste un’installazione segreta? Se esiste, dove si trova? Queste sono le due domande alle quali ho cercato la risposta. E c’era un’altra cosa che mi preoccupava. Quando abbiamo incontrato i garzaioli e i pipistrelli, la Ferranti ci ha detto che gli Immortali non erano in grado di comunicare realmente con loro. Ma lei ha comunicato, anche se loro non hanno risposto con un messaggio. E non mi sentivo sicuro che anche questo fosse vero. Supponete che, invece, abbiano mandato un messaggio? Noi non sappiamo quello che la nave riceveva. Temo di non aver ancora una risposta a questa domanda. Qui ho lavorato senza soste, ma ci vuole tempo.

— Vuoi dire che hai le risposte alle altre domande?

— Credo di sì. — Pensieroso, Sy fece dondolare il gomito sinistro appoggiato sulla mano destra. — Non è stato facile. C’è un’intensa azione di copertura in corso. Nessuno dei dati reperibili nelle solite biblioteche delle navi stellari dirà niente. Ho dovuto arrivarci controllando la loro consistenza interna. Cosa risulta dai fatti riportati in questi data-base? Primo: i manifesti ufficiali dei voli mostrano centosessanta viaggi verso l’esterno con partenza da Sol, durante l’ultimo S-Spazio. La massima capacità di combustibile d’una qualunque singola nave è di 4, 4 miliardi di tonnellate. Capito il problema? Vi risparmio il fastidio di eseguire il calcolo. Viene usato troppo combustibile, abbastanza per un minimo di ventisei voli verso l’esterno che non compaiono sui manifesti.

— Hai controllato altri periodi? — chiese Peron.

Sy lo fissò sdegnato. — Cosa pensi? Proseguiamo. Questo dà da pensare, ma non è conclusivo. La rete di navigazione intorno al sistema di Sol è tutta controllata dal computer, e si autoadatta in continuazione al cambiamento delle esigenze. Parlando in generale, le rotte più viaggiate per l’approccio a Sol sono quelle con il maggior numero di monitoraggi radar e controlli navigazionali. Le informazioni sulla collocazione dei radar sono reperibili sulle banche dati, perciò si possono utilizzare per formulare il problema inverso: vista la collocazione dell’equipaggiamento, quale direzione nello spazio è la rotta di approccio più viaggiata da e per Sol? Ho impostato il problema e ho lasciato che i computer macinassero la risposta. Quando l’ho ricevuta, sono rimasto perplesso per parecchi giorni. La soluzione indicava un vettore rivolto da Sol verso l’esterno che pareva non condurre da nessuna parte: nessuna stella o altri oggetti significativi. Puntava verso il niente. Ero incastrato.

«Ho accantonato questo problema e ho seguito un altro pensiero. Supponiamo che ci sia un Quartier Generale nascosto in qualche punto dello spazio. Questo comunicherebbe con il Sistema Solare non soltanto tramite le navi (viaggiano soltanto a un decimo della velocità della luce) ma anche con i segnali radio. Ci sono migliaia di grosse antenne, singole e in batteria sincrona, sparpagliate tutt’intorno al sistema solare, e i computer registrano istantaneamente i loro puntamenti. Perciò ho chiesto accesso ai data base di quei puntamenti, e ho posto al computer una domanda: in quale direzione le antenne vengono puntate più spesso? Volete indovinare la risposta?

— La stessa che hai avuto dall’ispezione al sistema di navigazione — rispose Peron. — È pazzesco. Ma, dannazione, come può esserci di aiuto? Di nuovo lo stesso mistero.

— Non proprio. — Sy si mostrò insolitamente soddisfatto di sé. Per la prima volta Peron si rese conto che perfino a Sy piaceva avere un pubblico che apprezzasse le sue deduzioni.

— In un certo senso hai ragione — proseguì Sy. — Ho ottenuto la stessa risposta che avevo ottenuto dal sistema di navigazione. Avevo un vettore puntato verso il nulla. Ma c’è un’altra cosa, circa le antenne. Il computer le punta tutte con gran cura, ma, naturalmente, sono sparse in tutto il Sistema Solare, dall’interno dell’orbita di Mercurio fino a oltre quella di Saturno. Perciò, se si vuole irradiare un messaggio verso un punto preciso nello spazio, piuttosto che soltanto in una direzione specifica, ogni antenna dovrebbe essere puntata lungo un vettore leggermente diverso. In altre parole, il puntamento del computer deve tener conto della parallasse del bersaglio. Perciò, ho fatto il passo successivo. Ho chiesto se la soluzione precedente aveva una parallasse, per i puntamenti più comuni delle antenne, e se era così, qual era il punto di convergenza? Ho ottenuto una risposta sorprendente. C’è, sì, una parallasse, ed è molto piccola: complessivamente, un secondo di arco. E il punto di convergenza è a ventotto anni-luce di distanza da Sol, proprio nella direzione che avevo determinato in precedenza. Ma quando andate a controllare le mappe stellari e la posizione dei corpi collassati caldi o simili, là non c’è nulla. Nulla. Le antenne sono puntate nel bel mezzo del nulla. Ho chiamato quel sito Punto di Convergenza, in mancanza d’un nome migliore. Ma che posto è? Questa era la domanda. Ed è qui che mi sono incastrato di nuovo a lungo. Sapete cosa alla fine mi ha dato la risposta?

Elissa sedeva sul letto con espressione sognante. — Olivia Ferranti. Ricordate quello che ci ha detto? «Non potete imparare tutto sull’universo standovene rannicchiati accanto a una stella». E tu, Sy, hai detto che forse avresti dovuto guardare il nulla per scoprire nuovi misteri, piuttosto che il centro della Galassia. Il Punto di Convergenza è un punto di nulla.

Sy la stava fissando stupito. — Elissa, stavo facendo una domanda retorica. Non dovresti darmi la risposta giusta. Come diavolo sei riuscita ad arrivarci?

Elissa sorrise. — Non l’ho fatto io. L’hai rivelato tu stesso. Non sarai mai un buon bugiardo, Sy, anche se la tua faccia non ti tradisce. È stata la scelta delle parole che hai fatto. Ancora prima che tu arrivassi alla distanza, ventotto anni-luce, hai detto parecchie volte che le antenne erano puntate «sul nulla». Ma non potevi sapere che là fuori non avresti trovato un oggetto scuro, se ti fossi avvicinato a sufficienza. Ma dal tono della tua voce, era il «nulla» ad avere importanza, non le coordinate del punto-bersaglio.

Sy guardò Peron. — È una strega. Se riesce a leggerti così, non riuscirai mai a tenerle nascosto nessun segreto. D’accordo, Elissa. Facciamo ancora un passo. Sai dirmi cosa c’è di tanto speciale a proposito di quel particolare nulla?

Elissa rifletté per alcuni istanti, poi scosse la testa. — Nessun dato.

— È quello che ho pensato anch’io. Come può essere «speciale» il nulla? Ma poi mi sono ricordato di cos’altro aveva detto Olivia Ferranti: «Devi sapere quello che succede fuori nello spazio profondo». Perciò rni sono chiesto: cos’è lo spazio profondo? Sono tornato alle mappe stellari e alle coordinate degli altri oggetti, e ho posto al computer un’altra domanda: Dammi le coordinate del punto di spazio aperto, entro cento anni-luce da Sol, che si trova più lontano da qualunque altro corpo materiale conosciuto. L’incertezza nella nostra conoscenza delle distanze esatte rende la risposta un po’ ambigua, ma il computer ha offerto soltanto due candidati. Uno si trova a novantun anni-luce di distanza, mezz’anno di viaggio perfino nell’S-Spazio. L’altro è… niente premi se indovinate… a soli ventotto anni-luce da Sol, nella giusta direzione. Il Punto di Convergenza è un vero punto di nulla. Il tempo di comunicazine: cinque S-giorni.

Sy richiamò la proiezione d’un paesaggio stellare olografico nella porzione di stanza davanti a loro. Spostò il puntatore tridimensionale su una zona vuota all’interno del campo stellare. — Vi piacerebbe visitare il vero centro di potere degli Immortali? Allora io dico che è là che bisogna andare. La Stazione Nessun Luogo. La durata del viaggio in S-Spazio? Meno di due mesi.

Elissa parve perplessa. — Ma Sy, perché mai qualcuno dovrebbe voler costruire un Quartier Generale là fuori, nel mezzo del nulla?

Sy scosse la testa. — A questo non posso rispondere.

Peron stava ancora fissando la proiezione. — Forse dovremo andare là e scoprirlo. E non sarà facile. Puoi esser certo che gli Immortali non ci vogliono laggiù, non vogliono neppure che sappiamo che quel posto esiste. Hai risolto l’enigma del «dove», Sy, di questo sono sicuro. Ma rimane proprio il problema più grosso: come possiamo trovare un modo per compiere questo viaggio quando l’intero sistema è predisposto per impedirlo?

Sy parve compiaciuto. — Vi ho detto che ho lavorato duro. Se vogliamo compiere un viaggio nell’S-Spazio fino al Punto di Convergenza, ho identificato i problemi più importanti che dobbiamo risolvere. Come risolverli adesso, subito, questo è un altro paio di maniche, e ho bisogno di aiuto.

Richiamò una lista numerata sulla proiezione. — Per prima cosa dobbiamo scoprire l’ora e il luogo di partenza della prossima nave spaziale diretta al Punto di Convergenza. Secondo, dobbiamo trovare il modo di salire a bordo di quella nave stellare in partenza, preferibilmente senza che nessun altro se ne accorga. Terzo, dovremo spiegare la nostra assenza, in modo che nessuno si chieda dove siamo andati. Quarto, dovremo far qualcosa con l’equipaggio della nave. Quinto, prima di arrivare laggiù, ci servirà un piano d’azione relativo a ciò che faremo una volta che avremo raggiunto il Punto di Convergenza. Da dove volete cominciare?

— Non possiamo mettere l’equipaggio in sonno freddo e portarli con noi? — chiese Elissa.

— È quello che penso anch’io. Non gli farà alcun male ed è assai meglio che abbandonarli in qualche punto del sistema di Sol. Ho fiducia che si sia in grado di districarci con la meccanica della nave: in effetti, i robot di servizio fanno quasi ogni cosa, e il resto lo abbiamo imparato durante il nostro viaggio da Cassay. Gli altri problemi non sono così facili. Vorrei sentire i vostri pensieri.

— Il terzo, spiegare la nostra assenza — intervenne Elissa. — Tutto quello che ci serve è tempo sufficiente per essere già bene avanti verso la nostra vera destinazione. Una volta che ce ne saremo andati, non ci prenderanno mai.

— È vero. Ma non vogliamo che sappiano dove stiamo andando. Se dovessero scoprirlo, manderebbero un segnale radio per avvertire il Quartier Generale del nostro arrivo.

— Perché dovrebbero voler sapere dove siamo diretti? Jan de Vries ci ha già fatto capire che per lui siamo più un fastidio che altro. Se potremmo dimostrare che siamo partiti per un luogo plausibile, non credo che s’interesserà molto della cosa. Pentecoste sarebbe una destinazione naturale, era la nostra casa. Il massimo che mi aspetto da lui è che avverta Pentecoste che si tenga pronto ad accoglierci. Sapresti immettere una falsa registrazione nella banca dati che indichi che siamo partiti per Pentecoste?

Sy scrollò le spalle. — Posso provare. Questo sistema d’informazioni ha una bella caratteristica, non si aspetta il tipo di cambiamenti che faremo. La sua logica è protetta dai soliti pasticci e da eventuali intrusioni nei programmi, ma non contro il sabotaggio sistematico. Lo farò. Ho imparato il software molto bene durante le ultime settimane.

— Abbastanza da rispondere alla tua prima domanda? — chiese Peron. — Lo hai detto, Sy: le informazioni sulla partenza della nave stellare devono trovarsi da qualche parte nelle banche dati. È soltanto questione di scovarle. Ma se c’è qualcuno che può estrarle, quello sei tu.

Sy fece una smorfia. — Non senza una lunga e orrenda sgobbata.

— Lo sarebbe per me o Elissa, ma tu salterai fuori con un approccio intelligente alla cosa.

— Taglia con le lusinghe.

— Parlo seriamente. E se tu sei in grado di farlo, scopri quando e dove… Da parte mia, credo di avere la soluzione al problema di salire a bordo della nave stellare.

Sy corrugò la fronte. — Davvero? Cos’è che ho saltato?

— Ti manca un pezzo d’informazione. Elissa ed io l’abbiamo imparato alla maniera dura, e possiamo garantirlo: per nessuna ragione l’equipaggio rimarrà nell’S-Spazio durante la fase di accelerazione del loro viaggio. È troppo maledettamente disagevole. Verranno immersi nel sonno freddo all’inizio del viaggio. Capisci cosa vuol dire? — Tirò a sé il blocco d’immissione del terminale. — Lascia che abbozzi un approccio, poi potremo dare un’occhiata ai tempi.


— T MENO QUATTRO MINUTI, CONTO ALLA ROVESCIA IN CORSO — disse una voce disincarnata.

— … CONTROLLO DELLA MASSA DEL CARBURANTE IN CORSO.

— … PROTOCOLLO DI LANCIO COMPLETO.

— … CONTROLLO DEL CARICO IN CORSO.

— … TRAIETTORIA VERSO L’ESTERNO CONFERMATE ED APPROVATA.

Le voci meccaniche risuonarono una dopo l’altra. Ward Lunga, il pilota della nave, giaceva silenzioso nel serbatoio dell’animazione sospesa. Stava sorvegliando le proiezioni, chiacchierando con il co-pilota Celia Deveny e ascoltando con mezzo orecchio l’elenco robotizzato. Una completa attenzione era inutile. Le anomalie sarebbero state segnalate singolarmente e riferite a loro.

— T MENO 180 SECONDI, CONTO ALLA ROVESCIA IN CORSO — disse la voce.

— … CONTROLLO DEL SISTEMA MECCANICO COMPLETATO.

La nave stellare Manta galleggiava in orbita stabile intorno a Sol, sospesa in un Punto Troiano Saturniano. Il conto alla rovescia finale per la partenza era stato quasi completato. Le proiezioni navigazionali mostravano il tracciato della spinta che avrebbe portato la Manta dalla parte mediana del Sistema Solare direttamente fino a Gulf City, a ventotto anni luce di distanza. La nave fluttuava ancora in caduta libera, ma nel giro di tre S-minuti questa sarebbe cambiata diventando una traiettoria accelerata verso l’esterno.

— CONTROLLO DEI SISTEMI ELETTRICI ED ELETTRONICI COMPLETATO.

— … CONTROLLO DELLA MASSA DEL COMBUSTIBILE COMPLETATO.

Le ultime poche centinaia di milioni di tonnellate di combustibile adesso erano state trasferite; il serbatoio mobile stava sfrecciando via verso Sol sotto controllo robotico.

— ANOMALIA! ANOMALIA AL BOCCAPORTO DELLA STIVA — disse una voce voce all’improvviso. — BOCCAPORTO SETTE DELLA STIVA APERTO.

Lunga grugnì per la sorpresa. — Maledizione, a quest’ora tutto quel carico avrebbe potuto essere già dentro e assicurato. Ordine: proietta il Boccaporto Sette.

Due vedute del Boccaporto Sette della stiva comparvero sulla proiezione. Lunga le studiò con attenzione. — A me quel maledetto affare pare chiuso. Qualunque altra cosa risulta normale, ci vedi niente di strano, Celia?

— Proprio niente. — La donna attivò un paio d’interruttori. — Ordine: ripetere il controllo della situazione, Boccaporto Sette della stiva.

CONDIZIONE DEL BOCCAPORTO SETTE DELLA STIVA: CHIUSO E NORMALE. TUTTE LE CAPSULE PER IL TRASPORTO DEL CARICO ADESSO SI STANNO PORTANDO A DISTANZA DI SICUREZZA. TUTTO IL CARICO È SICURO E BILANCIATO.

— … T MENO 120 SECONDI. IL CONTO ALLA ROVESCIA PROCEDE.

— … LA TRANSIZIONE AL SONNO FREDDO COMINCIA FRA TRENTA SECONDI A MENO CHE UN SEGNALE ALTERNATIVO NON VENGA TRASMESSO AL CONTROLLO CENTRALE.

Il dito di Ward Lunga rimase sospeso sopra il pulsante. Esitò. A meno che non avesse agito nel prossimo mezzo minuto, il sistema avrebbe iniziato a calare l’equipaggio dall’S-Spazio al sonno freddo. — Ordine: ripetere tutti i controlli e riferire qualunque anomalia delle condizioni.

Passò una frazione di secondo. — TUTTI I CONTROLLI RIPETUTI. NESSUNA ANOMALIA OSSERVATA, TUTTI I SISTEMI SONO PRONTI PER L’INIZIO DEL VOLO.

— … T MENO 100 SECONDI, CONTO ALLA ROVESCIA IN CORSO.

Lunga tolse la mano dal pulsante dell’aborto. Lanciò un’ultima occhiata alle proiezioni, poi si abbandonò lungo disteso nella camera dell’animazione sospesa. Fece poi per rizzarsi un’altra volta, poi cambiò idea e lasciò che il suo corpo si rilassasse nel serbatorio. Il lieve sibilo dei vapori che avrebbero dato inizio alla prima fase del sonno freddo stava già cominciando. Era giunto il momento di lasciare che i computer e i robot prendessero il controllo, per risvegliarsi di nuovo a Gulf City.

Fuori dal serbatoio, tre figure guizzarono all’interno della Manta. Peron, Sy ed Elissa si muovevano con cautela, ma per un osservatore che si trovasse nell’S-Spazio si muovevano troppo in fretta perché l’occhio potesse seguirli: i seicento metri di lunghezza della nave, dalla stiva alla cabina di comando, vennero percorsi in meno di un ottavo di S-secondo, in un lampo confuso troppo rapido per essere afferrato. L’ostacolo più grande ad una velocità ancora maggiore era costituito dai robot di servizio, che rotolavano qua e là in apparenza a casaccio per i corridoi, svolgendo con passo lento i compiti loro assegnati. Novantanove S-secondi prima del lancio, arrivarono fuori della camera dell’animazione sospesa. Come prima cosa importante, dovevano esserci abbastanza serbatoi di riserva da accogliere tre viaggiatori extra nel sonno freddo. Se così non fosse stato, c’era ancora tempo per richiamare una capsula di carico e uscire dalla Manta.

T MENO NOVANTA SECONDI… — Adesso i tre intrusi si erano familiarizzati con tutti i comandi principali della nave, avevano verificato la sua immediata destinazione e confermato il tempo di viaggio fino a una frazione di secondo.

— T MENO OTTANTA SECONDI… — Dopo un pasto e un periodo di riposo di quattro ore, Sy, Elissa e Peron modificarono le regolazioni del sonno freddo dell’equipaggio della nave e prepararono tre serbatoi per l’animazione sospesa rimasti liberi.

— T MENO SETTANTA SECONDI… — Sy inviò dei messaggi in codice a Kallen, Lum e Rosanne, uno sulla Terra e uno su Paradiso, spiegando loro quello che stava accadendo.

— Fino a che punto sei fiducioso che sappiano che c’è un segnale nascosto? — aveva chiesto Peron.

— Se sarà Kallen a riceverlo, non ho dubbi — aveva sorriso, cupo, Sy. — Talvolta penso che sia scaltro quanto me. Se non riusciranno a trovare un modo per seguirci, mi aspetto che mi mandino un messaggio. Volete scommettere con me?

— Non oggi.

— T MENO SESSANTA SECONDI… — Ogni eventualità era stata controllata. Adesso era giunto il momento di sistemarsi nelle loro camere del sonno freddo, accanto ai membri dell’equipaggio.

— Questi serbatoi sono regolati per svegliarci un S-minuto prima dell’arrivo a Gulf City — spiegò Peron. — Loro saranno ancora addormentati. Sy, sei sicura di aver cambiato il diagramma di decelerazione, in modo da trovarsi in caduta libera quando ci sveglieremo?

— Fidati di me.

Peron si distese nel suo serbatoio. Per la millesima volta la sua mente ripassò sulla stessa sequenza di eventi. Tutti e tre l’avevano rivista insieme fino a quando era diventata una routine del tutto familiare ed automatica.

Tempo di arrivo, meno un S-minuto… Si sarebbero svegliati nello spazio normale durante le ultime fasi di avvicinamento della nave a Gulf City. Un S-minuto avrebbe concesso loro poco più di un giorno normale per attuare possibili cambiamenti al piano definitivo. Gli Immortali a Gulf City avrebbero dovuto trovarsi nell’S-Spazio, e incapaci di attuare una reazione tempestiva.

Arrivo a Gulf City. Poi sarebbe venuto il controllo dei robot di servizio. Sarebbe seguito il controllo della stessa Gulf City…

I vapori del sonno freddo sibilavano tutt’intorno a lui, e Peron poteva sentire il tocco freddo e sgradevole dei cateteri sulle sue braccia e sul suo petto. Non c’era più niente da fare, adesso; salvo dormire e risvegliarsi a Gulf City.

Peron chiuse gli occhi…

CAPITOLO VENTISETTESIMO

Gulf City

… e aprì gli occhi con l’immediata consapevolezza che qualcosa era andato terribilmente storto.

Avrebbe dovuto trovarsi nello spazio normale. Invece non era così. I contorni confusi degli oggetti intorno a lui, e i loro colori mutati, gli dissero subito che si trovava nell’S-Spazio. E non si trovava più entro i confortevoli confini del serbatoio per l’animazione sospesa della Manta.

Cercò di rizzarsi a sedere, ma non ci riuscì. Era legato con larghe cinghie al letto che lo sorreggeva. Cosa ancora peggiore, sembrava che non avesse nessun controllo sui muscoli al di sotto del collo. Girò disperato la testa su un lato e l’altro, e vide che Elissa giaceva alla sua destra, con Sy subito oltre. Sy si era già completamente riavuto e si stava guardando intorno perplesso. Gli occhi di Elissa si stavano aprendo proprio in quel momento.

In nome del cielo, dove si trovavano? Allungò il collo, e mentre lo faceva udì un sommesso ronzio di macchinari. Il letto sul quale giaceva si stava inclinando in posizione semieretta. Così, un po’ per volta, fu in grado di vedere qualcosa di più dell’ambiente in cui si trovava.

Era in una lunga stanza dalle pareti grige, priva di finestre. Scaffali nudi rivestivano le pareti, gli unici altri mobili erano tre sedie dallo schienale duro, disposte davanti ai letti. Tutta la stanza aveva un aspetto squallido, rivelando una scarsa manutenzione. Sulle sedie, intenti a guardarlo con curiosità, sedevano tre persone: un uomo basso, dalla corporatura poderosa, con occhi bronzei, brucianti, e due donne: una dalla pelle nera, alta e angolosa, ma allo stesso tempo graziosa, l’altra minuscola, grassoccia e bionda. Peron valutò che le due donne fossero sulla trentina, l’uomo un po’ più giovane.

— Molto bene — disse, inaspettatamente, la donna più minuta. — Tutti presenti e a posto. Credo che possiamo cominciare.

Peron intravide per la prima volta i suoi occhi, e fu come un tuffo nell’acqua fredda. Erano castani e ben distanziati, e irradiavano una forza e un’intensità sconcertanti. Peron ebbe l’impressione che la donna fosse in grado di guardargli attraverso il corpo. La fronte sopra quegli occhi vigili mostrava un disegno appena visibile ma esteso di sottili cicatrici bianche, che correvano fin dentro la linea dei capelli.

— È probabile che vi sentiate molto sorpresi — proseguì la donna. Rivolse la sua attenzione a Sy, e lo fissò con intensità. Sy le restituì lo sguardo, con la sua consueta espressione di astratto cinismo.

— O forse no — concluse la donna alla fine. — Ma forse un po’ disorientati. Perciò lasciatemi cominciare col dirvi che vi trovate proprio dove volevate essere. Questa è Gulf City, il vostro «Punto di Convergenza», che mi piace e giudico un nome adatto per questo luogo. Questo è anche il nostro Quartier Generale principale. Ci siete arrivati. Non dovete più immaginare altre porte attraverso le quali dovete ancora passare.

Peron guardò Sy, ma l’altro rimase silenzioso. Avrebbe eseguito le sue valutazioni, e fino a quando non le avesse completate, era improbabile che parlasse.

— Cos’è successo? — finì per chiedere Peron. Come sempre, parlare, nell’S-Spazio era un problema. E c’era qualcosa d’irritante nel tono di voce supersicuro di sé della donna. — Come abbiamo fatto ad arrivare qui?

— Avete trovato da soli la strada per arrivarci — rispose la donna. — Tutto il resto ha assai meno importanza. Jan de Vries ci ha parlato di voi tre, e ha detto che avevate le potenzialità; ma siamo rimasti tutti sorpresi, e compiaciuti, nel constatare con quanta rapidità siete arrivati. Soltanto una o due persone in un anno terrestre riescono ad arrangiarsi e a trovare la strada fino a Gulf City. Tre in un colpo… un’eccezionale abbondanza.

— Vuol dire che volevate che venissimo?

— Tutti quelli che riescono a trovare la strada per Gulf City sono i benvenuti. È operante un sistema di selezione naturale: se vi mancano le qualità necessarie, non riuscirete mai a superare le barriere fisiche e intellettuali, e non arriverete mai in questo luogo.

— Giocavate con noi — commentò Peron in tono amaro. La sensazione di aver fallito lo faceva sentir male. — Osservavate tutte le nostre mosse. Mentre noi pensavamo di essere stati estremamente abili ad intrufolarci a bordo della Manta, avete sempre saputo che eravamo là.

— Non lo sapevamo. — La voce della donna suonò convinta. — L’equipaggio della Manta si trova ancora in sonno sospeso, in attesa del ricupero. Non sanno ancora nulla della vostra presenza a bordo della loro nave. Anche la vostra partenza da Sol è passata inosservata. E laggiù voi avete costretto una squadra di tecnici a lavorar duro per molte settimane, per eliminare dal sistema dei dati i punti deboli che voi avete scoperto e ingegnosamente sfruttato. Per voi passare attraverso i punti di controllo e i meccanismi di sicurezza del sistema di Sol è stata una passeggiata. Jan de Vries è rimasto sgomento nel vedere come li avete fatti apparire inadeguati. Una cosa è certa: non dovete provare nessuna vergogna. Ma noi troviamo conveniente impiegare un nostro supplementare sistema di sicurezza qui a Gulf City. Come sono certa che voi sapete, gli abitanti dell’S-Spazio sono molto vulnerabili a qualunque azione compiuta nello spazio normale. Perciò, ispezioniamo noi stessi tutte le navi in avvicinamento durante la decelerazione, molto tempo prima che venga ad esse consentito di attraccare qui.

Peron si rese conto che adesso, accanto a lui, Elissa aveva ripreso completamente i sensi e stava ascoltando con attenzione. — Ma voi chi siete? — domandò. — E cosa intendete, quando dite che ci volete qui? Perché ci volete?

— Una domanda alla volta. — La donna sorrise, e il sorriso trasformò il suo viso. Adesso non sembrava più austera e indifferente. — Prima le presentazioni voi siete Peron di Turcanta, Elissa Morimar, e Sy Day di Burgon. — Girò di nuovo gli occhi su Sy, e vi fu un altro lungo momento in cui i loro sguardi si rinserrarono. — I piantagrane di Pentecoste, ma anche i primi del vostro pianeta che abbiano mai raggiunto Gulf City. Le mie congratulazioni. In quanto a noi — toccò leggermente l’uomo tarchiato alla spalla, — questo è Wolfgang Gibbs, direttore di Gulf City. Questa è Charlene Bloom, la mia assistente speciale. E io sono Judith Niles. — Sorrise di nuovo. — Io sono il direttore generale di Gulf City, e delle operazioni degli Immortali. Statevene distesi tranquilli ancora per un momento.

Venne avanti ed esaminò i loro volti. Poi studiò i quadranti incassati nelle testate dei tre letti, per un secondo o due, e annuì. — Penso che possiamo restituirvi la libertà di movimento. Le precauzioni sono state prese per il vostro bene, oltre che per il nostro. — Le cinghie intorno al corpo di Peron subito si sciolsero: un istante dopo avvertì un pizzicore doloroso alle braccia e alle gambe, mentre ritornavano alla completa sensibilità. Scivolò in avanti e si alzò in piedi, accertandosi di essere in grado di mantenere l’equilibrio.

— Siete impazienti di ricevere delle risposte — proseguì Judith Niles. — Come lo sarei io. Molto bene, non vi deluderemo. Wolfgang, vuoi cominciare con le spiegazioni e le visite? Per favore, chiamami nel momento più adatto.

Regolò qualcosa alla sua cintura e scomparve. Un momento più tardi anche Charlene Bloom non c’era più. Wolfgang Gibbs rimase invece là a fissare con espressione beffarda Sy, Elissa e Peron.

— Be’, è davvero carino. — Tirò su col naso. — Già. JN dice che potete andare in giro liberi, poi lei e Charlene se ne tornano al lavoro, perciò io devo districarmi con voi da solo, quando vi verrà l’istinto omicida. D’accordo, allora, mi fiderò di voi. Se ve la sentite di fare una passeggiatina, faremo il vecchio giro guidato.

Wolfgang Gibbs si girò con noncuranza e s’incamminò lentamente verso la porta della stanza. Dopo essersi scambiati una singola occhiata, gli altri tre lo seguirono.

— Potremmo usare i robot di servizio per farci portare in giro — disse Wolfgang Gibbs senza voltarsi. — Di solito io faccio così. Ma se ci facessimo portare adesso dai robot, voi non percepireste la disposizione di Gulf City. Meglio farlo sulle vostre gambe, così saprete dove si trova ogni cosa come futuro riferimento. Cominceremo con l’esterno.

— Dove ci sta portando? — chiese Elissa, mettendosi al passo al suo fianco, mentre Peron e Sy si accodavano.

Wolfgang Gibbs la gratificò d’una occhiata di apprezzamento. Con una punta di fastidio da parte di Peron, parve compiere un’ispezione molto attenta del suo viso e della sua figura. — Il Punto di Vedetta. È il luogo in cui vengono compiute tutte le osservazioni galattiche: di tutta la nostra Galassia, e anche oltre. Ascoltiamo e guardiamo molto, a Gulf City. È per questo che ci troviamo qui, a molti anni-luce da qualunque altro punto dove abbiate mai scelto di essere. Qui noterete parecchi robot di servizio in meno rispetto al solito, e un numero minore di congegni meccanici. Siamo rassegnati al disordine. Quando si è fatta tutta questa strada per cercare un posto tranquillo in cui ascoltare, non è proprio il caso d’intasare i segnali osservati con la propria spazzatura elettronica.

Fece loro strada lungo un corridoio radiale che si prolungava per più d’un chilometro verso l’esterno. Le dimensioni di Gulf City cominciavano a fare impressione sugli altre tre. Quando infine raggiunsero il Punto di Vedetta, si muovevano nel più totale silenzio, prendendo appunti mentali di tutto ciò che vedevano. Tutta Gulf City era cinta di antenne, telescopi, interferometri, e congegni di segnalazione. Dozzine di oblò esterni mostravano la stessa bianca vacuità dell’S-Spazio, ma gli schermi delle pareti interne eseguivano conversioni di frequenza e proiezioni. Potevano osservare lo spazio interstellare aperto come appariva su ogni banda di lunghezza d’onda, dai raggi X duri alle onde radio di milioni di chilometri.

Wolfgang Gibbs si soffermò molto a lungo davanti a uno schermo. — Vedete quello? — chiese infine. Batté una mano sulla proiezione, dove una fievole forma simile ad un granchio appariva scura contro uno sfondo più chiaro. — Quel grumo scuro a spirale? È uno dei motivi principali per cui ci troviamo qui a Gulf City. Sono quindicimila anni che li osserviamo. Li ho studiati io stesso per una buona metà di questo periodo, sono venuto qui quattro S-anni fa, insieme a Charlene Bloom.

— Cosa sono? — domandò Sy. I suoi modi taciturni erano scomparsi, e la sua voce tradiva un’eccitazione febbrile. — Questo schermo rivela segnali radio di lunghezze d’onda ultralunghe. Non sapevo che là ci fosse qualcosa che irradiava, oltre ai garzaioli ed ai pipistrelli che abbiamo visto mentre viaggiavamo verso la Terra.

Wolfgang Gibbs perse i suoi modi distaccati e indifferenti. Guardò intensamente Sy. — Esatto. Abbiamo incominciato con la stessa idea. Ma adesso pensiamo che metà dell’universo comunichi su quelle onde lunghissime. Come il nostro amico lì presente. Lo chiamiamo un Oggetto Kermel, ma è soltanto un nome. È ancora uno dei maggiori misteri. Pensiamo che sia una specie di fratello maggiore dei garzaioli. S’inviano tutti messaggi su lunghezza d’onda multichilometriche.

Le proiezioni mostravano un campo visivo di trecentosessanta gradi. Sy si spostò rapidamente dall’una all’altra, controllando la presenza di quelle forme scure simili a ragnatele. — Gli schermi mostrano Oggetti Kermel in tutte le direzioni — constatò. — Quanto sono distanti?

— Buona domanda — rispose Wolfgang. — Parecchio. Dannatamente parecchio. Stimiamo che il più vicino si trovi a duemila anni-luce, e perfino quello più vicino si trova fuori del piano della nostra Galassia. Generalmente parlando, non sono oggetti galattici, sono oggetti intergalattici. A meno di non trovarsi in un luogo tranquillo come questo, non si può affatto sperare d’individuarli. Venite. Avrete un sacco di occasioni di scoprire altre cose sui Kermel, ma per ora voglio che vi facciate il giro da dieci centesimi. Però, vi dirò ancora una cosa: là, state guardando una possibile forma d’intelligenza, ed è un’intelligenza che sembra più antica di questa galassia.

Proseguì intorno all’esterno di Gulf City, compiendo un giro che era più lungo di tre miglia. Sy ripiombò nel silenzio, mentre Elissa fece a Gibbs domande su tutto, e lui fece del suo meglio per rispondere. Una volta all’interno di Gulf City, ogni segretezza nei confronti delle domande fatte da qualcuno giunto dall’esterno parve scomparire.

Videro miliardi di piedi cubici di apparecchiature per generare energia, ed enormi propulsori sufficienti a consentire a Gulf City di navigare dovunque volesse nello spazio interstellare. C’erano impianti per produrre generi alimentari sufficienti a nutrire decine di migliaia di persone, impianti che si trovavano vicino al centro della struttura. Per la maggior parte erano inattivi. Stando a Wolfgang Gibbs, l’attuale popolazione di Gulf City si avvicinava alle settecento unità, anche se la capacità originaria era dieci volte maggiore.

Alla fine, dopo aver mostrato loro corridoi dopo corridoi, dove si trovavano gli alloggi, Gibbs si fermò e scrollò le spalle. — Impiegherete un mese per vedere tutto, ma questo dovrebbe essere abbastanza per una prima impressione. Ora, fate un intervallo e mettetevi a vostro agio. Tutti questi appartamenti sono completamente equipaggiati. Il sistema d’informazioni vi dirà la maggior parte delle cose relative alla città, che io non ho descritto. Mi accerterò che i robot di servizio accettino i comandi impartiti dalle vostre voci, ma non aspettatevi una reazione immediata, siamo sempre a corto di robot di servizio. Abbiamo un appuntamento nell’ufficio di JN fra tre ore. Ci vediamo là.

— Dove si trova? — chiese Elissa.

— Chiedetelo all’info-sistema, se volete andarci a piedi. Se vi sentite pigri, basterà che diate l’ordine. Se cercate me, usate il sistema di comunicazione. — Wolfgang Gibbs strizzò l’occhio a Elissa, maneggiò un comando alla sua cintura, e scomparve.


— Allora, cosa ne pensi? — chiese Peron.

Elissa sollevò lo sguardo al soffitto. Finalmente erano soli. Sy li aveva lasciati qualche istante dopo Wolfgang Gibbs, dicendo di aver bisogno d’un po’ di tempo per riflettere. Peron ed Elissa avevano vagato un po’ lungo quegli interminabili corridoi, ficcando la testa dentro le cucine, le aree ricreative e le palestre. Tutte erano deserte. Alla fine avevano trovato un alloggio di loro gradimento, e avevano deciso che tanto valeva occuparlo. Adesso erano distesi fianco a fianco su una vastissima area del pavimento soffice come una nuvola.

— Pensi che ci stiano controllando? — disse Elissa alla fine.

— Nel dubbio, supponi di sì. Ma fa forse differenza?

— Immagino di no. Ma sembra che vedremo volare scintille al prossimo incontro. Hai osservato come si sono guardati Sy e il Direttore Generale?

— Judith Niles? Era difficile non accorgersene. È probabile che sia abituata ad essere rispettata parecchio qua dentro. Conosci il vecchio Sy, sarebbe sgarbato anche’con il diavolo.

— Gli ho detto di andarci piano. — Elissa scoppiò a ridere. — Ha risposto che era lei l’arrogante.

— Detto da Sy, è un po’ troppo. Lui, cosa crede di essere?

— Gliel’ho detto. Lui ha risposto che forse lui ha il «naturale sospetto dei giovani verso l’età matura», ma che lei ha l’«intollerabile arroganza dell’autorità incontrollata». Stando a Sy, è circondata da uomini-sì e donne-sì, e crede di conoscere tutte le risposte.

— Quando in realtà è lui a conoscerle? — Peron era irritato. Era ancora un po’ geloso di Sy, in particolar modo quando Elissa pareva ammirarlo.

— No. Dice che lui ha cento domande senza risposta, ma non voleva addentrarcisi con Gibbs. Sta aspettando di spararle tutte a Judith Niles.

— Anch’io. Ma in sostanza c’è una sola domanda da fare: perché mai Gulf City esiste?

— Hai sentito quello che ha detto Wolfgang: per studiare gli Oggetti Kermel.

— Sicuro, ma è una sciocchezza. — Peron si rotolò sul fianco per guardare in faccia Elissa. — Ascolta, posso immaginare un gruppo di scienziati puri che sostengano la validità dell’enorme sforzo fatto per installare una stazione di ricerca qua fuori nel profondo dell’abisso cosmico, per decidere quale sia la natura degli Oggetti Kermel. Ma tu hai incontrato Judith Niles. Riesci ad immaginare che sia disposta a mandar giù una simile argomentazione? Li avrebbe buttati fuori dal suo ufficio in due minuti. Credo che Sy le farà la domanda principale, e preferisco che sia lui a farla al posto mio. Ma se non lo farà, toccherà a noi due.

Peron pareva infelice, ma deciso. Elissa non aggiunse altro, ma si strinse ancora di più a lui e lo prese tra le braccia.


Quasi ad un miglio di distanza, in una zona appartata sull’altro lato di Gulf City, Wolfgang Gibbs era impegnato nel proprio incontro segreto con Charlene Bloom. Giacevano fianco a fianco in una stanza vuota, nel buio e con tutti i monitor spenti.

— Hai notato la differenza, vero? — disse Wolfgang con voce sommessa. — Questa volta credo che abbiamo catturato una nuova razza di pesci. Squali, forse, non pesciolini.

— Sono d’accordo. E certamente JN lo sta pensando anche lei. Potevi sentire la tensione fra loro quattro. Specialmente con quel ragazzo dai capelli scuri, Sy… Non le ha concesso neanche un dito. Non sono sicuro di voler essere presente al prossimo incontro. JN avrà le mani piene.

— Spero proprio così, per l’inferno. — Wolfgang Gibbs sorrise con amarezza nel buio. — Sai qual è il guaio in noi due, Charlene? Siamo superati. JN è il capo, e noi lo sappiamo, tutti e tre. Non possiamo discutere con lei, anche quando siamo dalla parte giusta della questione. Lei ha troppa potenza di fuoco. Sono stanco di questo posto e comincio a odiare la vita nell’S-Spazio, ma non riesco ancora a dirle che voglio andarmene.

— Vuoi dire, andar via? Lasciare Gulf City e JN, completamente? — Charlene Bloom si staccò da lui. — Non potremmo farlo. Siamo rimasti tutti insieme sin dall’inizio.

— Già. Ed è troppo tempo: più di quindici anni, per la maggior parte nell’S-Spazio. Santo Iddio, Charlene, non pensi che qui le cose avrebbero bisogno di un nuovo aspetto? E non credo che noi possiamo darglielo. Forse quei tre ragazzi potrebbero. Tu ed io dovremmo esser via di qua, fuori, ad occuparci di altri pascoli, a dirigere un gruppo di contatto con un pianeta, o un Quartier Generale di Settore. Forse dovremmo andare su Pentecoste, il pianeta dal quale loro sono venuti.

— Gli hai detto dei loro tre amici?

Wolfgang Gibbs corrugò la fronte e scosse la testa. — Non ancora. Non ce l’ho fatta. Si aspettano di vederli comparire qui a Gulf City. Lascio che sia JN a dar loro la notizia. La sentiranno anche troppo presto. Sarà dura per loro.

Vi fu un lungo silenzio.

— Wolfgang — disse Charlene, alla fine.

— Sì?

— Mi spiace che tu ti senta così. — La sua voce era infelice ed esitante. — So che qui talvolta è frustrante, ma sono stata molto felice durante tutti questi anni. Conosco i miei limiti. Non avrei mai potuto fare quello che Judith ha fatto, metterci insieme e tenerci insieme. E neppure avresti potuto farlo tu. E puoi dire tutto quello che vuoi sulla vita a Gulf City, ma stiamo lavorando al problema più grosso dell’umanità. Se non troveremo una soluzione, credo che sarà, per l’Homo sapiens, la fine della strada. E se tu ti stai sacrificando, JN si sta sacrificando molto di più.

— Lo so. Ma è lei che decide. Supponi che stiamo seguendo la linea sbagliata? JN pensa che stiamo facendo progressi, ma per quello che mi riguarda siamo esattamente nella stessa posizione in cui ci trovavamo quando Gulf City è stata creata, vale a dire quindicimila anni terrestri or sono. Cosa abbiamo compiuto durante tutto questo tempo? E quanto tempo abbiamo prima che tutto sia finito?

Charlene non rispose. Altre volte Wolfgang aveva parlato di andarsene da Gulf City, ma mai prima di allora in termini così perentori. Se Wolfgang se ne fosse andato, lei cosa avrebbe fatto? Non poteva sopportare l’idea di perdere Wolfgang, ma non poteva neanche disertare il proprio lavoro e abbandonare Judith Niles.

Era lieta del buio. E più che mai temeva i risultati dell’imminente incontro.

CAPITOLO VENTOTTESIMO

Sy esitò, forse per un minuto, dopo aver lasciato Peron ed Elissa. Poi si mosse in fretta. Durante il loro giro attraverso Gulf City avevano visto una dozzina di camere per l’animazione sospesa, per i trasferimenti da e per l’S-Spazio. Adesso si diresse verso la più vicina di esse e senza esitazione si calò dentro uno dei serbatoi. Eseguì un ultimo controllo dei monitor per avere la conferma di essere solo e inosservato, poi si distese nella bara, e diede inizio alla procedura che l’avrebbe portato nello spazio normale. Chiuse gli occhi…

… e li aprì, e trovò Judith Niles che lo scrutava con calma attraverso il coperchio trasparente del serbatoio. Aveva un sorriso indecifrabile sul viso. E quando lui fu completamente sveglio, aprì il portello e lo aiutò ad uscire. Lui la fissò, guardingo.

— Vieni — lei gli disse. — Tu ed io dobbiamo parlare, noi due soltanto. Credo che il mio ufficio ti farà sentire più a tuo agio di questa camera. — E senza guardarlo si girò e gli fece strada.

Lo condusse verso il laboratorio principale di Gulf City, al centro vero e proprio della stazione. Ben presto Sy si trovò in una serie di stanze ben ammobiliate, con fotografie alle pareti, scaffali di veri libri, e file serrate di monitor. Lei li indicò con un gesto della mano.

— Prima lezione. Ti impartirò moltissime lezioni. Non supporre mai di non essere osservato, a Gulf City. Ho imparato l’arte del monitoraggio da un maestro, il solo maestro che abbia mai conosciuto. Da qui puoi osservare qualunque cosa. — Attivò la rotazione dell’appartamento per dargli una gravità effettiva di circa la metà di quella della Terra, poi si lasciò sprofondare in una poltrona e piegò le gambe sotto di sé. Fece cenno a Sy di sedersi davanti a lei. Vi fu un lungo silenzio durante il quale si esaminarono a fondo l’un l’altro.

— Vuoi che parli io? — disse lei, alla fine.

Sy mosse la testa. — Tu per prima, io per secondo. Sai che ho delle domande.

— Certo che ne hai. — JN si abbandonò sullo schienale e sospirò. — Non mi interesseresti, se non ne avessi. E credo di avere alcune risposte. Ma dev’essere una strada a due direzioni.

— Cosa vuoi da me?

— Tutto. Collaborazione, comprensione, la forza del tuo cervello, nuove idee, forse un’associazione alla pari. — Lo stava fissando con singolare intensità, con i grandi occhi immobili sotto la fronte coperta di cicatrici. — È qualcosa che non ho mai avuto durante tutti gli anni trascorsi da quando ho lasciato la Terra. Credo che tu possa essere un partner completo. Dio sa se non ne abbiamo bisogno, qui stiamo morendo per mancanza di pensieri freschi. Tutte le volte che qualcuno ha trovato la strada per arrivare a Gulf City, ho aspettato e sperato. — La sua espressione era cambiata, era diventata quasi supplichevole. — Credo che tu sia diverso. Possiamo leggerci a vicenda, tu ed io. È più raro di quanto tu non immagini. Voglio che tu mi aiuti a reclutare i tuoi compagni, poiché io non sono sicura di poterlo fare. Sono una coppia ostinata. Ma tu, pensi alla mia maniera. Sospettavo che tu saresti venuto qua, nello spazio normale, perché è proprio quello che faccio io, quando ho bisogno d’un momento di tranquillità, il tempo per pensare. Hai sentito dire che fa male andare dallo spazio normale all’S-Spazio e viceversa troppo spesso?

Sy annuì. — È quello che Olivia Ferranti ci ha detto. Lei ci crede, ma io non sono sicuro di crederci. Non ho visto nessuna prova.

— Non credo che la vedrai. Se ci sono effetti nocivi, sono molto sottili. — Judith Niles sorrise di nuovo, un sorriso aperto che le illuminò il volto. — Ma un sistema nel quale la gente rientra nello spazio normale per pensare troppo è difficile da controllare. Tu non prendi troppo in considerazione le parole degli altri, non è vero?

— Dovrei? — La faccia di Sy era priva d’espressione. — Ascolta, se questa dev’essere qualcosa di più d’una perdita di tempo, scendiamo allo specifico. Hai ragione, sono venuto qui per pensare prima che c’incontrassimo di nuovo con te. Avevo bisogno di tempo. Gulf City mi pareva simile ad una grande sciarada, un luogo senza nessuno scopo plausibile. Se vuoi la mia collaborazione, la collaborazione di Peron ed Elissa, comincia dicendomi cosa veramente succede qui, dimmi perché esiste Gulf City.

— Farò di meglio. — Judith Niles si alzò in piedi. — Te lo farò vedere. Potrai vederlo con i tuoi stessi occhi. Non mi capita spesso l’occasione di vantarmi del lavoro che abbiamo fatto qui, ma questo non significa che io non ne vada orgogliosa. Indossa questa tuta, visiteremo alcuni luoghi freddi.


Lo condusse per un lungo corridoio. La prima stanza conteneva una mezza dozzina di persone, tutte congelate in atteggiamenti di grande attenzione intorno a due letti occupati da forme supine.

— Un laboratorio standard nell’S-Spazio. — Judith Niles scrollò le spalle. — Qui non ci sono grandi misteri, e nessuna giustificazione per Gulf City. Conduciamo ancora esperimenti sul sonno nell’S-Spazio, ma non c’è nessuna ragione, se non il mio interesse personale, perché ciò debba aver luogo qui. Questo è il mio laboratorio. Ho cominciato la ricerca sul sonno quand’ero ancora sulla Terra… ci ha condotto alla scoperta dell’S-Spazio. Il centro principale per la ricerca sul sonno si trova ancora nel Sistema Solare, sotto la direzione di Jan de Vries. La miglior procedura che conosciamo riduce il sonno a un’ora ogni trenta. Il nostro obiettivo finale è sempre lo stesso: sonno zero.

Chiuse la porta. Un altro corridoio, un altro laboratorio, a questo si accedeva attraverso una porta isolante doppia. Prima di entrare, chiusero le loro tute.

— Qui la temperatura è molto al di sotto del punto di congelamento — disse Judith Niles attraverso la radio della tuta. — Questo dovrebbe essere più interessante. L’abbiamo scoperto all’incirca settemila anni terrestri or sono. Wolfgang Gibbs si è imbattuto in questa condizione mentre stavamo esplorando gli effetti fisiologici del sonno freddo. Lui lo chiama T-stato.

La stanza conteneva quattro persone, ognuna seduta su una sedia, e sorretta alla testa, ai polsi, alla cintura e alle cosce. Indossavano delle cuffie che coprivano loro gli occhi e gli orecchi, e non si muovevano.

Sy venne avanti e scrutò ognuno di loro da vicino. Toccò la punta congelata di un dito, e sollevò il davanti d’una cuffia per sbirciare dentro un occhio aperto. — Non possono trovarsi nell’S-Spazio — disse infine. — Questa stanza è troppo fredda. Sono coscienti?

— Completamente. Questi quattro sono volontari. Si trovano nel T-stato da quasi mille anni terrestri, ma per loro è come se vi fossero entrati cinque ore fa. La velocità della loro esperienza soggettiva è all’incirca due milionesimi del normale, all’incirca un millesimo della velocità dell’S-Spazio.

Sy rimase silenzioso, ma per la prima volta parve sorpreso.

— Impressionato? — annuì Judith Niles. — Abbiamo tutti provato la stessa cosa quando Wolfgang ce l’ha fatto vedere. Ma il vero significato del T-stato non ti apparirà ovvio ancora per un po’. È difficile afferrare con quanta lentezza il tempo passi qua dentro. Lascia che ti dica come l’ha descritto Charlene Bloom quando lei ed io abbiamo avuto la prima esperienza di un minuto in T-stato: nel tempo che un orologio in T-stato impiega a suonare i rintocchi della mezzanotte, la Terra passerebbe attraverso due intere stagioni, dall’inverno alla primavera, e di qui all’estate. Un’intera vita sulla Terra scorrerebbe via in mezz’ora T. Non abbiamo nessuna idea di quale possa essere l’arco di vita per qualcuno che rimane in T-stato, ma presumiamo siano milioni di anni terrestri.

— Perché le cuffie?

— Percezione sensoriale. Gli uomini in T-stato sono ciechi, sordi e muti senza l’assistenza del computer. I nostri organi sensoriali non sono concepiti per le onde luminose e sonore di lunghezze d’onda come quelle. Le cuffie modificano le frequenze. Vuoi provare il T-stato?

— Senz’altro.

— Ti metterò in lista per passarci qualche minuto. È più che sufficiente. Ricorda la differenza nelle velocità del tempo, un minuto T vale la maggior parte d’un giorno in S-Spazio, e quasi quattro anni terrestri. — Ancora una volta Judith Niles si voltò per lasciare la stanza. Sy, dopo aver lanciato un’ultima occhiata alle quattro figure in cuffia e immobili, la seguì fuori e per un altro corridoio lungo e fiocamente illuminato. Notò, approvando, che l’energia e la concentrazione non erano diminuite.

Infine si avvicinarono ad una massiccia porta metallica protetta contro gli ingressi non autorizzati da serrature codificate su impronte digitali, vocali e retiniche. Quando Sy venne finalmente approvato dal sistema ed entrò, si guardò intorno sorpreso. Si era aspettato qualcosa di nuovo e di esotico, forse un altro laboratorio congelato, pieno di strani esperimenti sul rallentamento del tempo o sulla sospensione della consapevolezza; ma questa stanza non pareva niente più di un normale complesso per le comunicazioni. E per giunta polveroso e mal tenuto.

— Non giudicare dalle apparenze. — Judith Niles aveva visto la sua espressione. — Questa è la stanza più importante di Gulf City. Se ci sono dei segreti, questi si trovano qui. E non pensare che la natura umana cambi quando la gente si trasferisce sull’S-Spazio. Non cambia. E la maggior parte degli individui non mette mai in discussione il perché le cose vengono fatte nella maniera in cui sono fatte nel nostro sistema. Se le mettono in discussione, gli viene mostrato quello che stai per vedere. Questo è il luogo in cui i documenti più antichi sono accessibili.

Judith Niles si sedette alla consolle ed eseguì una lunga procedura per immettere il codice. — Dovresti provare a sbrogliare questo, se davvero sei convinto di essere tanto in gamba nel trovare spiragli nel nostro software. Ha sei livelli di protezione nel momento dell’immissione. Procediamo con gradualità nel data base. Questo è un buon posto in cui incominciare.

Inserì un’altra sequenza. Lo schermo s’illuminò del chiarore bianco, morbido e uniforme, dell’S-Spazio. Qualche istante dopo comparve su di esso un tracciato scuro di reticoli poliedrici, pannelli congiunti di filamenti d’argento. — Uno di questi l’hai visto anche tu, mi è stato detto. Garzaioli e pipistrelli, probabilmente la prima intelligenza aliena scoperta dall’uomo. Ci siamo imbattuti in loro ventimila anni terrestri or sono, non appena le sonde dello spazio profondo cominciarono a viaggiare con gli equipaggi nell’S-Spazio. Ma in verità non siamo ancora sicuri se abbiamo incontrato o no un’intelligenza… È interessante?

Sy scrollò le spalle senza impegnarsi.

— Ma non talmente interessante? — Judith Niles toccò di nuovo la consolle di controllo. — Sono d’accordo. È interessante in maniera astratta, ma niente di più, a meno che gli esseri umani non imparino a instaurare un vero dialogo con loro. Bene, noi ci abbiamo provato. Abbiamo localizzato le loro frequenze preferite di emissione, e abbiamo scoperto che un semplice segnale in sequenza li fa allontanare, dissuadendoli dal drenare le nostre riserve d’energia. Ma non si tratta di un grande messaggio, e non si è mai andati oltre. I garzaioli e i pipistrelli si sono dimostrati una sorta di vicolo cieco. Ma hanno svolto una funzione d’enorme importanza. Ci hanno messo sull’avviso, permettendoci d’individuare una particolare banda di frequenze. Abbiamo cominciato ad ascoltare su quelle frequenze tutte le volte che eravamo nello spazio profondo e pensavamo che potesse esserci un garzaiolo lì intorno. Ed è stato allora che abbiamo cominciato a intercettare altri segnali sulla stessa banda di frequenza: regolari pulsazioni codificate a bassa frequenza, con uno schema come questo.

Sullo schermo comparve una serie di curve altalenanti, la ripetizione costante d’un complicato tracciato sinusoidale, inframmezzato a intervalli regolari da sprazzi più intensi d’energia pulsante.

— Ci convincemmo che si trattava di segnali, non di semplici emissioni naturali. Ma erano deboli e intermittenti, e non riuscivamo a localizzare le loro fonti. Talvolta una nave interstellare in transito captava un segnale sul ricevitore, abbastanza a lungo perché l’equipaggio riuscisse a puntare un’antenna nella direzione della sorgente del segnale, nel tentativo di captare un’immagine. Ed effettivamente un’immagine compariva, ma debole e incerta, che veniva persa quando la nave passava oltre. Era un tormento, ma nel corso degli anni riuscimmo a mettere insieme un’intera biblioteca di queste immagini parziali e sfocate. Alla fine ne raccogliemmo abbastanza da immettere il tutto in un computer, cercando uno schema. Ne trovammo uno: gli «avvistamenti» avevano luogo soltanto vicino ai punti medii dei viaggi, e soltanto quando le navi erano maggiormente lontane da qualunque corpo materiale e da altre fonti di segnali. I segnali, in altre parole, venivano ricevuti soltanto quand’eravamo nello spazio profondo, e quanto più profondo era, tanto meglio.

«A questo punto sapevamo di vedere qualcosa di diverso dai garzaioli e dai pipistrelli. Le nuove fonti erano molto deboli e distanti, e il profilo ricostruito dell’immagine mostrava l’accento di una struttura a spirale, niente di simile a quei pannelli poliedrici. Ma avevamo ancora troppo poche informazioni. Sembrava un affascinante mistero scientifico, ma non molto di più. Fu allora che Otto Kermel propose una serie di missioni per una ricerca a lungo termine e uno studio di quegli oggetti.

«Io non merito proprio nessun credito per ciò che accadde dopo. Pensavo che la sua idea non ci avrebbe condotto da nessuna parte e gli concessi il minimo delle risorse e del sostegno indispensabili. Lui fece tutto il lavoro pionieristico da solo. Gli demmo l’uso di una nave monoposto, e lui se ne andò, raggiungendo un luogo tranquillo a circa sette anni-luce da Sol. Aveva dedotto che l’assenza di campi elettromagnetici e gravitazionali era essenziale per studiare quegli oggetti. Malgrado il suo primo obbiettivo fosse quello di comunicare, scoprì che un messaggio di andata e ritorno spedito anche al più vicino di loro impiegava due S-anni. Ciò gli impose dei limiti, ma durante i suoi studi scoprì un mucchio di altre cose.

«Primo: scoprì molti Oggetti Kermel in giro per la Galassia. I segnali che intercettiamo non sono diretti a noi. Noi stavamo origliando alle trasmissioni fra i Kermel, e quei segnali che si scambiano tra loro sono numerosi. Basandosi sulla lunghezza di quelle trasmissioni, Otto concluse che gli Oggetti Kermel sono immensamente vecchi, con un ritmo biologico naturale così lento che l’S-Spazio è del tutto inadeguato per studiarli: durante migliaia di anni terrestri ricevette soltanto segnali parziali. Otto sostenne di essere in grado di decodificare in parte i loro messaggi, e si convinse che esistevano sin dalla formazione dell’universo, da prima del Big Bang, stando a uno dei suoi rapporti più inverosimili. Ha suggerito che si riproducano non scambiandosi materiale genetico, ma scambiandosi via radio informazioni genetiche. Non siamo stati in grado di verificare nessuna di queste ipotesi, e Otto non è stato in grado di fornire abbastanza dati come prova convincente. Quello che gli serviva era il T-stato, e una possibilità per dei periodi di studio più estesi, in una scala temporale più adeguata agli Oggetti Kermel. Ma il caso ha voluto che partisse per una seconda spedizione appena prima che venisse scoperto il T-stato. E non è mai più tornato.

«Però, all’epoca in cui partì, avevamo cambiato le nostre idee sull’utilità pratica di studiare gli Oggetti Kermel. Decidemmo che si trattava di qualcosa d’importanza cruciale per il futuro della razza umana. Abbiamo continuato il suo lavoro, ma senza buona parte del suo data-base. Guarda questo.

Judith Niles proiettò un’altra scena. — Ti sembra familiare?

Sy la studiò per un secondo o due, poi scrollò le spalle. — È l’immagine d’una galassia a spirale, vista dall’alto, guardando giù verso il disco. Non so proprio quale sia.

— Giusto. Non c’è nessun modo per riconoscerla, ma è questa Galassia, vista dall’esterno. Questo segnale è stato registrato da Otto Kermel, proveniente da uno degli Oggetti situato in alto, sopra il piano galattico. Questa immagine è arrivata come parte del segnale, insieme ad esso. — A un ordine battuto sulla tastiera, un’altra immagine comparve accanto alla precedente sullo schermo diviso in due, fianco a fianco con la prima. Era la stessa galassia, ma adesso l’intrinseca struttura stellare veniva mostrata in colori diversi. — Continua a guardare con attenzione. Sto per zoomare.

I campi stellari presero ad allargarsi in maniera costante a mano a mano che il campo visivo si avvicinava per mettere a fuoco uno dei bracci a spirale. Ben presto fu possibile distinguere sullo schermo le singole stelle.

Judith Niles fermò la zoomata. — Una volta che sei in grado di vedere le singole stelle, puoi apprezzarne l’evoluzione nel tempo. Le stelle nell’immagine di destra sono state codificate con i colori a seconda del tipo spettrale. E guardando le stelle nel nostro circondario è stato facile per noi leggere i codici di colore. Per esempio, Sol è una stella G-2V, e i tipi G compaiono qui in verde pallido. Le giganti rosse appaiono col magenta, quelle di tipo O, supergiganti, sono violacee, le nane rosse, giallo-arancio. C’era un altro importante frammento d’informazione nell’immagine. Osservando la distribuzione delle stelle in qualcuno dei principali ammassi stellari, siamo stati in grado di determinare la data. Tutte le prove coincidevano fra loro, e ci hanno detto che l’immagine rappresentava la situazione di settemila anni terrestri or sono. Quando Otto Kermel ricevette un altro segnale dello stesso tipo, pensò che fosse soltanto una copia, ma non lo era. Eccolo qua.

Judith fece comparire un’altra immagine sullo schermo, sovrapponendola alla prima. — Tanto per cominciare, la distribuzione stellare indica una data diversa. Questa immagine mostra il nostro braccio della Galassia come sarà fra circa quarantamila anni terrestri. Dacci una buona occhiata, è la fotografia più importante di tutta la storia umana.

Sy fissò lo schermo in silenzio per un paio di minuti. — Puoi mostrare il codice di colore per il tipo spettrale? — disse alla fine.

Senza parlare, Judith Niles fece balenare un codice colorato sulla testata dello schermo. Sy rimase di nuovo silenzioso per un periodo perfino più lungo.

— Dov’è Sol? — chiese, infine.

Judith Niles esibì un sinistro sorriso, e mosse il cursore sullo schermo per indicare una stella nel campo visivo. — Quello è Sol, quarantamila anni nel futuro. Adeso capisci perché ci troviamo qui a Gulf City.

— Una nana rossa. Tipo spettrale sbagliato. Tutto quel braccio della spirale è pieno di nane rosse, sono in percentuale troppo alta. — Sy rivolse di nuovo la sua attenzione alla prima immagine. — È impossibile. Non era così settemila anni fa, stando all’immagine. E non c’è nessun modo perché i tipi stellari possano cambiare tanto radicalmente e in un tempo così breve. Dovete aver interpretato male i dati.

— È quello che abbiamo pensato, sulle prime. Poi abbiamo cominciato a confrontare i cataloghi stellari più recenti con quelli realizzati durante i primi tempi dell’astronomia stellare. Non ci sono errori. Le stelle della sequenza principale accentrate su questa regione del braccio a spirale — spostò il cursore su un punto tremila anni-luce più vicino al centro galattico, — si sono trasformate. Quelle che appartenevano alle classi spettrali G e K stanno diventando di classe M.

— Impossibile! — Sy scosse vigorosamente la testa. — A meno che tutta l’astrofisica che abbiamo imparato su Pentecoste non sia stata un mucchio di sciocchezze. Ci vogliono come minimo centinaia di milioni di anni per spostarsi da una classe spettrale ad un’altra, a meno che non ci sia un cambiamento catastrofico come una nova.

— Tu conosci la nostra stessa astrofisica. E noi possiamo pensare ad un solo meccanismo che possa attuare il cambiamento. Le stelle di classe G e di classe K hanno temperature di superficie che vanno all’incirca dai quattromila ai seimila gradi. Quelle di classe M molto probabilmente vanno dai duemila ai tremila. Questi cambiamenti de! tipo stellare potrebbero ottenersi se in qualche modo si potesse attenuare artificialmente la reazione di fusione nucleare all’interno della stella. Diminuisci la produzione di energia interna, e diminuiresti la temperatura complessiva.

Sy pareva frustrato. — Forse, ma puoi suggerire un qualunque processo in grado di far questo? Io non ne conosco nessuno.

— Neppure noi. Nessun processo naturale. Questo continua a ricondurci a una spiacevole conclusione. Le informazioni che abbiamo ricevuto dagli Oggetti Kermel sono vere, abbiamo compiuto altri controlli sui cambiamenti dei tipi stellari. E non esiste nessun mezzo naturale perché questi cambiamenti possano accadere. Allora: o sono gli Oggetti Kermel a indurre i cambiamenti, oppure qualche altra entità che abita nel nostro braccio a spirale della Galassia preferisce stelle con temperatura e luminosità più basse.

— Vuoi dire che qualcosa o qualcuno sta inducendo reazioni di fusione ridotte in tutto il braccio a spirale, in modo intenzionale?

— Voglio dire proprio questo. — La fronte di Judith Niles si riempì di rughe, e d’un tratto parve più vecchia d’una dozzina di anni. — È una conclusione che fa paura, ma è la sola. Non credo che siano gli Oggetti Kermel a far questo, anche se sembrano sapere parecchio in proposito. Abbiamo delle prove che suggeriscono che essi capiscono l’intero processo, e senza alcun dubbio sono in grado di prevedere la velocità del cambiamento nel braccio a spirale. Ma credo che l’azione non abbia origine da loro. Quello che vediamo è opera di un’altra specie, una molto più simile a noi, una specie alla quale non serve lo spazio profondo preferito dai garzaioli o dagli Oggetti Kermel. Queste altre creature vogliono vivere vicino a una stella. Una stella rossa a bassa luminosità. — Svuotò la proiezione, si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi. — Moltissimo tempo fa gli umani parlavano di terraformare Marte e Venere, ma non l’hanno mai fatto. Erano troppo impegnati a farsi saltare reciprocamente in aria, immagino, per riuscire a trovare il tempo di occuparsene. Adesso, forse, abbiamo trovato qualcuno più razionale e ambizioso di quanto eravamo noi. Quella che vediamo è stellaformazione. E se continuerà, e non riusciremo a capirla e a scoprire un modo per fermarla, fra altri centomila anni tutto questo braccio a spirale non avrà più stelle di tipo G. E quella sarà al fine delle colonie planetarie umane. Giù il sipario.

Judith Niles fece una pausa. Spense tutte le proiezioni.

— E noi pensiamo che gli Oggetti Kermel abbiano la chiave — continuò poi con voce sommessa. — Adesso capisci perché viviamo qui fuori, in mezzo al nulla, e perché l’S-Spazio e il T-stato sono così importanti? Nello spazio normale, centomila anni sembrano un’eternità. Ma io mi aspetto di vivere ancora mille secoli della Terra a partire da adesso.

Sy aveva assunto un’espressione che Peron ed Elissa avrebbero trovato familiare. Pareva a disagio e privo di fiducia in se stesso. — Ho interpretato male. Pensavo che l’unica ragione per essere qui a Gulf City fosse quella di trovarsi al sicuro dalle interferenze esterne e avere il controllo dell’S-Spazio. Ci era stato detto che il vantaggio di essere un «Immortale» era soprattutto costituito da un arco di vita soggettivo accresciuto, ma adesso mi chiedo se sia poi vero.

— Hai ragione di chiedertelo. Abbiamo disponibili metodi per il prolungamento della vita che sono il risultato delle ricerche fatte sull’S-Spazio, i quali consentono un aumento dell’arco della vita anche nello spazio normale. E con ogni probabilità consentono al soggetto anche di godersi meglio la vita. Ma non puoi risolvere il problema che gli Oggetti Kermel ci hanno proposto a meno che non ci si possa lavorare sopra a lungo. Questo significa Gulf City e significa l’S-Spazio. — Si alzò in piedi. — Sei disposto a lavorare insieme a me a questo problema? E mi aiuterai a persuadere i tuoi amici a fare lo stesso?

— Ci proverò. — Sy esitò. — Ma ho ancora bisogno di riflettere. Non ho avuto tutto il tempo per pensare che avrei desiderato quando mi sono diretto verso i serbatoi.

Judith Niles annuì. — Lo so. Ma volevo che tu elaborassi i tuoi pensieri con una completa conoscenza di quello che accadeva qui. Ora l’hai. Io, adesso, tornerò indietro. Questa camera si chiuderà da sola quando anche tu te ne andrai. E non appena sarai pronto a farlo, c’incontreremo di nuovo con i tuoi amici. — A questo punto esitò, la sua espressione eguagliò quella di Sy quanto a disagio. — C’è qualcos’altro da discutere, ma si tratta d’un diverso argomento. E voglio farlo quando tutti voi sarete insieme.

Gli rivolse un sorriso preoccupato e si avviò verso la porta. Per la prima volta Sy la vide con una figura solitaria e vulnerabile. La forza e l’intensità della sua personalità c’erano ancora, inequivocabili. Ma erano come ammutolite: ad esse si era sovrapposta la consapevolezza d’un mostruoso problema irrisolto. Sy riandò col pensiero alla splendida sicurezza con cui i vincitori del Planetfest erano decollati da Pentecoste. Avevano avuto la brillante convinzione che ogni problema della Galassia avrebbe ceduto davanti al loro attacco combinato. E adesso? Sy si sentiva più vecchio, con un grande bisogno di tempo per pensare. Judith Niles aveva sopportato un micidiale carico di responsabilità per lunghissimo tempo. Aveva bisogno di aiuto, ma lui era in grado di fornirglielo? C’era qualcuno che potesse farlo? Voleva tentare. Per la prima volta nella sua vita aveva incontrato qualcuno il cui intelletto percorreva i suoi stessi sentieri, qualcuno alla cui presenza si sentiva completamente a suo agio.

Sy si lasciò andare sullo schienale della sua poltrona. Sarebbe stata una bella ironia se la soddisfazione derivante da quell’incontro di cervelli fosse giunta allo stesso tempo d’un problema troppo grosso per tutti e due.


Un’ora più tardi Sy era ancora nell’identica posizione. Malgrado tutti gli sforzi fatti, la sua mente era tornata inesorabilmente a un solo punto focale: gli Oggetti Kermel. Cominciò a vedere l’universo come dovevano vederlo loro, da quel punto di vista unico offerto ad essi da una lunghissima prospettiva evolutiva nel tempo. Con la disponibilità del T-stato, gli esseri umani avevano ora la possibilità di sperimentare l’altra visione del mondo.

Qui c’era un cosmo che era esploso da un punto di singolarità iniziale di calore e luce incomprensibili, nel quale delle grandi galassie si erano formate, si erano avvolte a spirale, e avevano ruotato intorno al proprio asse centrale come immense girandole. Si erano ammassate insieme in approssimative famiglie galattiche, avevano emesso getti di gas e radiazioni superenergetiche, erano entrate in collisione ed erano passate le une attraverso le altre, e avevano generato al loro interno immense nebulose gassose. I soli si erano rapidamente formati da nubi oscure di polvere e di gas, sbocciando dal rosso più cupo al biancoazzurro più fiammeggiante.

Mentre Sy guardava con l’occhio della sua mente, le stelle s’illuminarono, si espansero, esplosero, divennero più fioche, scagliarono fuori sfilze di pianeti, oppure rotearono vertiginosamente le une intorno alle altre. Una miriade di frammenti planetari si raffreddarono, si creparono, e alitarono le loro guaine protettive di gas. Catturarono la scintilla della vita dentro i loro oceani d’acqua e d’aria, l’alimentarono, la nutrirono, e alla fine la scagliarono in alto spazio circostante. Poi vi fu un ribollente tremolio di vita intorno alle stelle, una danza browniana d’incessante attività umana contro il mutevole sfondo stellare. Lo spazio vicino alle stelle si riempì del battito d’ali del colibrì e del luccichio della vita organica intelligente. L’intero universo giaceva aperto davanti ad essa.

E adesso il T-stato era diventato essenziale. Pianeti usati come base dagli umani, meno di effimere, guizzarono attraverso la loro breve esistenza in una minuscola frazione del giorno cosmico. L’intera storia umana aveva fatto il suo corso in una singola T-settimana, mentre l’umanità usciva dal turbinare da dervisci dei pianeti nello spazio intorno a Sol. Poi l’S-Spazio aveva dato loro le stelle più vicine; ma l’intera Galassia e le immensità beanti dello spazio intergalattico li chiamavano ancora. E in quello spazio, nel T-stato, gli esseri umani sarebbero stati liberi di prosperare per sempre.

Sy si abbandonò sullo schienale, inebriato dalla sua nuova visione. Poteva vedere un sentiero luminoso che nasceva dai primordi dell’umanità, stendendosi ininterrotto fino al più lontano futuro. Era la strada per l’eternità. Ed era una strada che lui voleva intraprendere, qualsiasi fossero state le conseguenze.

CAPITOLO VENTINOVESIMO

Elissa fu l’ultima ad arrivare alla riunione. Mentre si affrettava a entrare nella sala conferenze per prendere posto, lanciò uno sguardo intorno al tavolo, e rimase subito colpita dalla strana disposizione delle sedie. Judith Niles sedeva sola a capotavola, la testa china in avanti, gli occhi fissi sulla consolle di controllo incorporata nel tavolo davanti a lei. Sy sedeva subito alla sua destra, e Peron accanto a lui, con una sedia vuota fra loro. Peron pareva un po’ a disagio, mentre era ovvio che Sy si trovava ad un milione di miglia di distanza, immerso in qualche sua preoccupazione privata. Wolfgang Gibbs e Charlene Bloom occupavano sedie ai lati opposti del tavolo. Sedevano molto vicini l’uno all’altra, ma alquanto discosti dagli altri. Wolfgang aggrottava la fronte, chiaramente di cattivo umore, e si masticava un’unghia, mentre Charlene Bloom lanciava occhiate all’uno e all’altro dei presenti, con le palpebre che le sbattevano rapide. Elissa la fissò con molta attenzione. Un nervosismo al livello estremo? Certo, sembrava di sì, ma senza nessun motivo ovvio. E su tutta la stanza gravava una tranquillità innaturale, senza il normale, casuale chiacchierio che precedeva anche le riunioni più serie. Nel suo insieme, l’atmosfera era tesa, glaciale.

Elissa ristette, rimanendo in piedi. Aveva una scelta: sedersi davanti a Sy, nel posto libero tra Wolfgang e il Direttore… oppure accanto a Sy e a Peron; o addirittura all’altra estremità del tavolo, proprio davanti al Direttore. Judith Niles sollevò la testa. Elissa subì una breve occhiata scrutatrice da parte di quegli occhi intensi, poi il Direttore accennò brevemente col capo in segno di saluto. Pareva remota e preoccupata almeno quanto Sy.

— Al lavoro — disse finalmente Judith Niles. — A quanto so, Sy vi ha informato tutti e due del nostro incontro e della conversazione che abbiamo avuto… non è così?

Peron ed Elissa si guardarono. — Nei dettagli — disse Elissa. Aspettò una reazione da Peron, ma lui non parlò. — Comunque, abbiamo ancora delle domande — aggiunse.

Judith Niles annuì. — Sono convinta che ne avete. Forse è meglio, però, che per prima cosa ascoltiate quello che ho da proporre. Questo potrebbe già rispondere a molte delle vostre domande. Se così non fosse, le prenderemo in considerazione più tardi.

Le sue parole erano state espresse come un suggerimento, ma il tono della sua voce mostrava che non si aspettava nessuna obiezione.

Nessuno replicò, infatti. Wolfgang chinò la testa e parve studiare la plastica granulosa della superficie del tavolo trasformata in una macchia vellutata dalle stranezze dell’ottica dell’S-Spazio. Charlene fissò con ansia gli altri, seduti intorno al tavolo, poi riportò lo sguardo sul Direttore.

— È interessante che l’arrivo, qui, di voi tre, debba coincidere con un punto culminante delle mie decisioni — proseguì Judith Niles. — Anche se potrei precisare che è stata proprio la vostra presenza qui a Gulf City ad affrettare il punto. Ormai conoscete qualcosa della nostra storia, qui. Per quindicimila anni terrestri il lavoro di ricerca, qui, ha continuato a controllare, senza interruzioni, i messaggi provenienti dagli Oggetti Kermel, a sviluppare nuove tecniche per il rallentamento della consapevolezza, concepite per consentirci di uguagliare con più efficacia la velocità di trasmissione dei Kermel; e a compiere molti tentativi di comunicare direttamente con loro. Adesso siamo sicuri dell’estrema antichità dei Kermel, e abbiamo imparato come presentare in maniera affidabile i segnali ricevuti da essi, come schemi ad una, due o tre dimensioni. Abbiamo avuto conferma attraverso procedure indipendenti che i mutamenti dei tipi stellari in questo braccio a spirale della nostra galassia sono reali. E finalmente cominciamo a cogliere degli spiragli sul modo di rallentare ancora di più le velocità dell’esperienza soggettiva, al di là anche del T-stato.

«Questi sono programmi importanti. Però non c’è. bisogno che vi faccia notare che saranno tutti privi di valore a meno che non riusciamo a imparare il modo d’inibire la stellaformazione delle stelle di tipo G. Ci troviamo davanti alla possibilità di archi di vita enormemente estesi, senza nessun luogo in cui vivere se non lontano dalle nostre stelle native. Se ciò dovesse accadere, ci troveremmo anche ad affrontare l’estinzione di tutte le nostre colonie planetarie. E questo è un pensiero intollerabile, anche dimenticando la necessità di reclutare gente dallo spazio normale per l’S-Spazio.

«Prima che voi arrivaste, il personale anziano di Gulf City, e in particolare Wolfgang, Charlene ed io, ci eravamo preoccupati a lungo e seriamente della lentezza dei nostri progressi. Ho deciso, qualche tempo fa, che la velocità dei nostri sforzi andava accelerata, in qualunque modo. Questa è un’assoluta necessità. E per farlo, ho deciso di compiere un passo senza precedenti. Voi… voi tre siete, in modo unico, il fulcro di questo passo.

Elissa e Peron si guardarono, poi entrambi si voltarono verso Sy. Questi era impassibile. Il solito, gelido se stesso.

— Ascoltatemi bene — proseguì Judith Niles. — Perché voi? Perché non siete ancora bloccati nel nostro modo di pensare al problema. Dobbiamo trovare delle strade completamente nuove, creare nuovi modelli di pensiero, e esplorare scelte diverse; ma noi non possiamo farlo, siamo troppo legati alle nostre esplorazioni presenti e troppo fissati al modello delle analisi passate. Rimanete qui per qualche mese, e avrete lo stesso problema. È per questo che propongo subito un cambiamento, prima che v’irrigidiate sulle nostre idee e sul nostro modo di pensare.

«Quello che sto suggerendo è rivoluzionario. Mi propongo d’insediare un’installazione completamente nuova, simile a quella di Gulf City, ma in un luogo separato. Avrà una direzione indipendente e uno staff di ricerca indipendente. L’ubicazione che ho in mente come prima scelta si trova a diciotto anni-luce da qui. Non ha proprio lo stesso livello d’isolamento dalle interferenze di questo sito, ma ovviamente i segnali ricevuti qui dagli Oggetti Kermel saranno disponibili alla nuova installazione. Ci sarà collaborazione, ma lo scambio d’informazioni sarà rigorosamente limitato. Non possiamo permetterci d’inibire la nostra reciproca ricerca.

«Ed ora, ecco la mia proposta specifica: voi tre siete invitati a raggiungere quell’installazione, con il miglior supporto che possiamo offrirvi attingendo ovunque dalla nostra rete di colonie e di stazioni. Non sarete soltanto dei partecipanti alle ricerche svolte nell’installazione; in pratica sarete voi a dirigerla, indicando le direzioni da seguire, e destinando le risorse. — Sorrise. — Sono certa che siete sospettosi. Perché mai io, senza essere impazzita, dovrei affidare una nuova impresa, così gigantesca, a tre persone quasi estranee? Ve lo dirò. Fino ad oggi il vostro rendimento è stato altamente efficiente, ma la mia vera ragione è assai più impellente: qui, stiamo cominciando a disperare. Qualcosa va fatto, e qualcosa di nuovo va tentato.

Fece passare il suo sguardo lungo il tavolo. — Ve ne state in silenzio. Non sono sorpresa. Resterei silenziosa anch’io. Ma non appena avrete delle domande, farò del mio meglio per rispondere a tutte.

Sy non si mosse. Aveva annuito con la testa d’una frazione di centimetro mentre lei parlava, ma adesso era immobile. Wolfgang e Charlene stavano fissando Peron ed Elissa, evitando gli occhi di Judith Niles. Charlene pareva più tesa che mai.

— Perché noi? — chiese Peron, infine. — Perché non l’avete fatto con l’ultimo gruppo di persone che ha trovato la strada per arrivare a Gulf City?

— Per due semplici ragioni. Primo, sentivo che non potevano farlo, mentre sento che voi potete. E, secondo, non avevo ancora aggiunto al mio punto critico. Adesso sento un grande bisogno di agire. Il nostro attuale approccio è troppo lento, e dobbiamo avere almeno due installazioni che lavorino in parallelo.

Peron fissò a turno ognuno dei presenti, prendendo tempo. Poi alla fine tornò a voltarsi verso Judith Niles. — Quand’è che proponi che questo debba cominciare?

Judith sorrise con la bocca, ma i suoi occhi rimasero tesi. — Adesso sto per fallire un test che dovrebbe dimostrare come io sia una brava manipolatrice. Prendetelo, se volete, come prova della profondità della mia preoccupazione per ciò di cui stiamo parlando. La procedura per la creazione della seconda installazione è già cominciata. Adesso una stazione è in viaggio da Sol per formare il nucleo dell’installazione, e altro equipaggiamento sta per essere spedito da tre Quartier Generali di settore. Sarà pronta a divenire operativa non appena arriverete là. Se siete d’accordo, spero che vorrete cominciare subito il vostro viaggio. Potete familiarizzarvi con i particolari dell’equipaggiamento durante il percorso fin laggiù.

Peron annuì. — E che esperimenti faremo?

— Me lo direte voi, non ricordate? Troppe direttive impartite da qui, e la seconda installazione diverrebbe inutile. — Sorrise di nuovo, e questa volta c’era dell’autentica allegria. — Parlate con Wolfgang e Charlene, se volete sapere quanto mi costi escludermi dalla direzione della nuova impresa. Durante tutta la mia vita lavorativa ho sempre insistito per avere le mani in pasta in qualunque esperimento sotto il mio controllo. Adesso vi prometto di voltarvi la schiena.

Judith Niles azionò i comandi sulla superficie del tavolo e la stanza cominciò ad oscurarsi. Alle sue spalle i pannelli scivolarono via rivelando il grande schermo, che proiettava un vago disegno tremolante.

— Avrete bisogno di tempo per prendere una decisione. Me l’aspetto. Ma vi sollecito anche a ridurre quel tempo al minimo. Vi sta aspettando il lavoro più importante dall’inizio della civiltà. Ed è per questo motivo che non esito ad usare tattiche sleali di persuasione. Ho ancora un argomento da presentarvi. Se siete le persone che penso che siate, non potrà mancare di far pendere le vostre decisioni.

«Qualche giorno fa abbiamo ricevuto un messaggio video dal nostro Quartier Generale di Settore, in relativa prossimità del pianeta Paradiso. È stato mandato via Terra ed è indirizzato a voi. Sembra un messaggio in forma chiara, anche se conosco la vostra tendenza a nascondere messaggi codificati in mezzo a quelli palesi. Il messaggio palese è più che sufficiente. Guardate con attenzione.

Adesso lo schermo alle spalle di Judith Niles mostrava l’immagine di un uomo. Per Elissa era un estraneo, dalla barba grigia e quasi calvo, con un naso sporgente, occhi grigio pallido, e un volto scavato e rugoso. Una cicatrice appena accennata gli correva lungo la fronte, in diagonale da un punto in alto a destra giù fino al suo sopracciglio sinistro. L’uomo sogghignò, guardò direttamente la telecamera, e sollevò una mano per salutare.

— Ehi, di nuovo. Saluti da Paradiso, o lì vicino.

Elissa sentì Peron cacciare un rantolo, nel preciso istante in cui lei stessa veniva folgorata dal riconoscimento. Non era possibile sbagliarsi su quella voce tesa e roca, dalla puntigliosa dizione. — È Kallen! — esclamò Peron. — Mio Dio, Sy, è Kallen!

— Sì, proprio così — disse il volto sullo schermo, proprio come se avesse potuto in qualche modo udire in commenti nella sala conferenze. Sogghignò un’altra volta. — Sono Kallen, il solo e unico. Tanto tempo che non ci vediamo, ma adesso preparatevi a uno shock ancora più grande.

Il campo visivo della telecamera passò lentamente da lui ad una grande fotografia, poi zumò ingrandendo un gruppo di otto persone. In primo piano, sedute a gambe incrociate su dei cuscini, c’erano due ragazzine. Dietro di loro, su una panca, c’erano due uomini e due donne sulla prima mezza età, e una coppia più anziana se ne stava sul fondo, al centro della fotografia. Il vecchio aveva i capelli bianchi ed era curvo, con le spalle pesanti e una pancia consistente. La donna, anche lei con i capelli bianchi, era magra e vigorosa. Tutti sorridevano.

— Altri saluti — riprese Kallen con voce sottile. — E anche un addio. Da Lum e Rosanne, i loro figli, e le loro nipoti più vecchie. Ci sono altri quattro nipoti più piccoli che non compaiono nella fotografia. All’epoca in cui vi mando questo messaggio, vivono ancora tutti su Paradiso. Quando lo ricevereste, si aspettano di esser morti da tempo. — Scrollò le spalle. — Mi spiace, amici. So che vi avevamo detto che vi avremmo seguiti sulla Terra entro pochi S-giorni. Come potete vedere, non è andata proprio così.

«Mi aspetto che questo messaggio impieghi un bel po’ di tempo per raggiungervi. So che non siete sulla Terra, anche se questo messaggio passerà per di là. Ma ho sentito più di quanto non possiate immaginare a proposito di quello che avete fatto. Sy vi dirà che niente nell’universo può viaggiare più veloce della luce, ma lasciate che gli dica che questo non si applica alle voci che corrono. Si dicono grandi cose di voi tre, e di quello che avete fatto al data base di Sol e alla sua rete di computer. Vorrei essermi trovato là a darvi una mano a imbrogliare il sistema. Non datemi per perso, comunque. Un giorno mi aspetto di rivedervi tutti e tre.

«Rosanne e Lum mi hanno chiesto di trasmettervi il loro affetto, e di dirvi di non addolorarvi per loro. Vi passo il loro messaggio, e sono d’accordo col loro sentimento. — Kallen sorrise. — Scommetto che avete provato orrore per come Lum e Rosanne appaiono in questa foto, e probabilmente anche per il mio aspetto. Ma non commettete l’errore di dispiacervi per loro o per me. La loro vita è stata più gratificante di quella di chiunque altro io abbia conosciuto, e adesso sono felici. E se pensate a noi come a dei vecchi, ricordate che noi pensiamo a voi come a dei bambini. Bambini scaltri e intelligenti, certo, e vi amiamo come i nostri figli e le nostre figlie; ma pur sempre bambini. Non confondete il tempo del calendario e l’esperienza. Quando due o trecento anni di Pentecoste scorrono via fulminei in un mese di S-Spazio, non potete imparare a conoscere la vita com’è, anno dopo anno. Tutti voi avete ancora un mucchio di vita vera da vivere.

«Ho promesso a Lum e a Rosanne che vi avrei detto cos’è successo qui. Sono tornato nell’S-Spazio in orbita intorno a Paradiso. Sono qui da venticinque anni terrestri. Ma non sono riuscito a persuaderli a raggiungermi. Sy, ricordi le discussioni che abbiamo fatto dopo la fine del Planetfest, sulla forza più forte dell’universo? Bene, adesso posso dirtelo: non è la gravità, o la forza che governa le interazioni adroniche. È una forza che è una caratteristica unica degli organismi viventi. Quando Lum e Rosanne scesero su Paradiso, questo era un mondo che faceva paura, dove tutti gli esseri umani erano morti. Vollero rimanere là per studiare il problema in modo completo. E dopo qualche mese Rosanne rimase incinta. Volevano il bambino, ma sapevano che non avrebbero potuto allevare un neonato nell’S-Spazio. E l’idea di abbandonare i loro figli era impensabile per loro. Rimasero, per allevare la famiglia. È quella la forza più forte. Dopo un po’, li raggiunsi giù sulla superficie. Ero là, quando nacque ognuno dei bambini.

«Non vi annoierò con i particolari. Ci sono voluti quasi trent’anni, e almeno una dozzma di volte siamo stati sul punto di arrenderci. Ma trovammo la risposta. Paradiso possiede una forma di vita parassitaria protozoica, parte integrante della flora e nella fauna intestinale, che ha aiutato gli animali di laggiù a digerire la cellulosa. Di solito, questa forma di vita rimane confinata nei canali digestivi, ma alcune cellule s’inoltrano nel flusso sanguigno. Nessun problema: gli animali rimangono sani, e non sanno neppure che i protozoi si trovano là. I coloni umani scoprirono che questi protozoi erano dentro di loro subito dopo il loro arrivo, ma tutti i test dimostrarono che erano innocui per gli umani, come lo erano per gli animali nativi. Paradiso ha un clima meraviglioso, e terreni fertili. La colonia umana se la stava cavando benissimo, prosperava e cresceva. Fino a quando non decisero che lo sforzo sarebbe stato minore se avessero importato i sintetizzatori alimentari, producendo con essi la maggior parte del proprio cibo invece che coltivarlo.

«E dal momento che gli organismi umani non possono digerire la cellulosa, gli alimenti sintetici non ne contenevano. Una sostanza alternativa, indigeribile, fu usata per dare massa agli alimenti. La maggior parte degli abitanti di Paradiso, compresi tutti quelli che abitavano le città, passarono all’uso dei cibi sintetici. Tutto ancora sembrò andar bene e tutti godevano buona salute, ma i parassiti interni si erano trovati all’improvviso privi di cibo, e quando ciò accadde molti di essi migrarono fuori dai canali digestivi, dentro il flusso sanguigno. Là, soffrirono la fame e morirono. Quelle morti non parvero produrre nessun effetto nocivo sugli ospiti umani; questi non ne erano neppure consapevoli. Ma uno dei sottoprodotti della decomposizione dei parassiti ha una struttura molto simile a quella d’un neurotrasmettitore umano. Da quello che abbiamo potuto dedurre, dovunque su Paradiso l’intelligenza umana subì un crollo improvviso dai cinquanta ai cento punti, dalla gamma normale a quella d’un sub-idiota. E accadde molto in fretta. Gli abitanti delle città divennero animali feroci, non abbastanza intelligenti da far funzionare i propri sistemi di segnalazione per chiedere consiglio e assistenza. E si avventarono contro i pochi individui che abitavano fuori delle città, uccidendoli non appena li trovavano. Quando la nave successiva atterrò su Paradiso, non trovò più nessun sopravvissuto. E poiché la causa del problema era ancora sconosciuta, la nave non rimase a lungo.

«Be’, ho detto abbastanza per chiarire l’essenziale. Paradiso è di nuovo un pianeta sicuro e abitabile. Io ho prestato un po’ di aiuto, ma in realtà sono stati Lum e Rosanne a risolvere il problema, e a indicare la semplice soluzione: un’adeguata quantità di cellulosa nella dieta. E questo è collegato al messaggio che vogliono mandarvi. Su Pentecoste, e più tardi quando abbiamo dato un’occhiata ai Cinquanta Mondi, abbiamo avuto dei lunghi dibattiti sull’utilità della nostra vita. Lum e Rosanne pensano di aver trovato la risposta. Loro non sono disposti a dirlo in questo modo, ma in realtà hanno salvato un mondo. Non sprecate la vostra vita per dei piccoli problemi, dicono. Trovate la sfida più grande possibile, quella più difficile, la più frustrante, e aggreditela con tutto quello che avete.

Kallen fece una pausa. Poi: — Vedete, sono cambiato anch’io. Trent’anni fa il discorso che vi ho appena fatto sarebbe stata la scorta di parole di un mese, per me. Ma adesso ho finito. Vi ho detto di non addolorarvi per Lum e Rosanne. E parlo sul serio. Se mai avrete la soddisfazione di trovare un problema grosso come quello che hanno trovato loro, e di risolverlo, avrete risposto alla nostra vecchia domanda sul significato della nostra vita.

Il volto di Kallen divenne solenne, e guardò molto a lungo dentro lo schermo senza parlare. — Vorrei potervi rivedere tutti — disse alla fine. — Ma la cosa strana è che io so esattamente che aspetto avete. Non siete cambiati una virgola da quando ci siamo detti addio al Quartier Generale di Settore del Sistema di Cass. Mentre io… — Scrollò le spalle e si passò la mano sulla testa quasi calva. — Addio, vecchi amici, e buona fortuna. E puntate al massimo, qualunque cosa facciate.

L’immagine sullo schermo si dissolse in un informe tremolio bianco, poi anche quello svanì, lasciando la stanza al buio.

— Dio li benedica — disse Judith Niles con voce sommessa. — Non ho mai conosciuto Lum e Rosanne, ma mi addoloro con voi nel sapere che sono morti. Erano proprio le menti e gli spiriti di cui abbiamo bisogno per i nostri problemi di qui. Puntate al massimo, al più difficile, al più frustrante. Se volevate una descrizione degli Oggetti Kermel e della stellaformazione in una sola frase, queste vanno tutte bene. Vorrei che avessimo Rosanne e Lum con noi, ma ce ne saranno altri. Kallen potrebbe trovare la strada per arrivare fin qui, e da quello che ho sentito dire su di lui da quelli della Stazione di Paradiso, sarà difficile fermarlo una volta che abbia deciso di arrivare qua.

— Impossibile fermarlo — annuì Peron con voce sommessa. — Vorrei che fosse qui con noi adesso.

— Ma non è qui. — Le luci della sala conferenze tornarono a poco a poco alla normale intensità, e Judith Niles rivolse tutta la sua attenzione a Peron e a Elissa. Fece passare lo sguardo dall’uno all’altra, incontrando i loro occhi. — Avete sentito i vostri amici. Non vedo come possiate resistere a quel messaggio. Loro hanno salvato un mondo. Voi avete la possibilità di salvare ogni pianeta in grado di sostenere la vita umana. Non avete l’impressione che avrebbero potuto riferirsi giusto al problema che abbiamo qui, dicendovi di affrontarlo e risolverlo?

Elissa si guardò intorno. Sy annuiva. Si rese conto che la sua decisione era stata presa ancora prima che udisse il messaggio di Kallen, forse prima che cominciasse quella riunione. Si girò verso Peron. Lui esitava, mezzo convinto ma ancora a disagio. Elissa era sola.

— NO! — La parola parve esploderle dalla bocca, sorprendendola per la forza e l’intensità. — No, non è quella la risposta. Non avete afferrato l’essenziale.

Vi fu un silenzio sgomento. Tutti la fissarono stupefatti, perfino Peron, mentre lei aveva sperato che capisse subito. — Non riuscite a capire? — proseguì. — Non avete afferrato il vero significato del loro messaggio.

— Ne dubito molto — replicò Judith Niles seccamente. Il suo volto era calmo, ma le cicatrici risaltavano sulla sua fronte. — Era più che chiaro. Lavorate ai problemi più importanti, e non lasciatevi distrarre dalle banalità.

— Sì, certo, aggredite quelli più grossi, non ci sono dubbi in proposito. Ma guardate dietro il messaggio, guardate i fatti. Il problema su Paradiso era noto da cinquemila anni terrestri, e nessuno si è mai avvicinato ad una soluzione. Fino all’arrivo dei nostri amici, la gente lo studiava dall’S-Spazio, e lo sforzo risolutivo di Lum e Rosanne è durato invece soltanto un paio d’anni. Adesso, considerate la nostra situazione. Abbiamo cinquantamila anni terrestri per imparare a controllare il cambiamento di tipo stellare, forse centomila anni se siamo fortunati. Con tutto questo tempo a disposizione la razza umana dovrebbe essere in grado di risolvere qualunque cosa, qualunque problema che le venga proposto. Ma non se lavorate nell’S-Spazio. L’S-Spazio si muove a passo di lumaca, e a noi serve un’azione veloce.

— Ma i messaggi degli Oggetti Kermel sono d’importanza assoluta — obiettò Judith Niles, che si era appoggiata allo schienale, con un’espressione perplessa sulla faccia. — Sono del tutto inaccessibili dallo spazio normale. Dovete cambiare il vostro sistema, cambiarlo completamente. Esporre il problema agli abitanti dei pianeti, e fare di essi la chiave della soluzione. È questo il resto del messaggio di Kallen e degli altri, la parte che tu hai ignorato.

Elissa si sporse sopra il tavolo, tutta la sua attenzione era concentrata su Judith Niles. — Vuoi che lavoriamo al problema centrale? Mi piacerebbe farlo, non c’è niente nell’universo che mi piaccia di più. Ma nello spazio normale. So che forse non vedrò mai la soluzione, se lo farò in questo modo. Ma correrò i miei rischi, perché mi sento sicura che i miei discendenti troveranno la risposta, forse mille anni dopo la mia morte. Per me è abbastanza perché ne valga la pena. — Guardò Peron, e trasse incoraggiamento dalla sua espressione. Stava annuendo con vigore, la sua precedente incertezza era scomparsa.

— Sono in tutto e per tutto d’accordo con Elissa — dichiarò. — Anche se non avevo colto la verità finché lei non ce l’ha fatta notare. Procediamo proprio come tu hai proposto e attiviamo la seconda installazione. Ma nello spazio normale. Ci passerete le migliori informazioni che riuscirete a raccogliere a Gulf City a mano a mano che le raccoglierete. Noi le trasformeremo in nuove teorie duemila volte più velocemente di quanto riuscirete mai a fare nell’S-Spazio.

Judith Niles aveva ascoltato con attenzione, ma adesso corrugava la fronte e scuoteva la testa. — Sembra buono, ma non funzionerebbe mai. Tutti e due, ascoltate cos’altro ha detto il vostro amico Kallen: «Vi manca l’esperienza». Ci vorranno molti anni per acquisirla. Avete bisogno dell’interazione con noi, qui a Gulf City, e non potreste mai conseguire i vantaggi della nostra esperienza se vi trovaste nello spazio normale e noi rimanessimo nell’S-Spazio. I problemi dello scambio d’informazioni sono enormi. Ho detto che vi lasceremo liberi d’intraprendere esperimenti nella seconda installazione, ma avreste sempre accesso a noi, per parlarci e scambiare idee. No. — Judith Niles scosse la testa. — Sembra buono, ma non funzionerebbe.

— Sono d’accordo con Elissa — esclamò Wolfgang Gibbs all’improvviso dall’altro lato del tavolo. Ristette, come se fosse rimasto sorpreso da quel suo scatto. Quando riprese, rivolse le sue parole a Judith Niles, ma tenne gli occhi puntati su Elissa e Peron, come per trarre sostegno da loro. — Ha ragione. Saremo in grado di progredire migliaia di volte più veloci nello spazio normale che nell’S-Spazio, per non parlare del T-stato, e tu sai che è il mio pargolo prediletto. Ho tentato di risolvere il problema per mesi e per anni, chiedendomi in qual modo avremmo potuto fare progressi migliori. Ma non ho mai pensato a due installazioni, una nell’S-Spazio e una nello spazio normale. Per noi, abituati a come vanno qui le cose, lo spazio normale è quasi una prospettiva impensabile. Un arco di vita più breve, in totale dipendenza dai pianeti, probabilmente senza mai vedere la soluzione… ma scommetto che funzionerà.

Fece una pausa, esitò, guardò Charlene ed Elissa, e di nuovo Judith Niles. Il suo volto era pallido, ma c’era soltanto convinzione nella sua voce. — Il tuo punto sull’esperienza è valido. Non ci sono sostituti per gli anni d’esperienza pratica fatti qui con il nostro lavoro. Ma ho una risposta. Se procederete e insedierete una seconda installazione nello spazio normale, allora mi offro volontario per venire con voi in quella seconda installazione.

— Wolfgang! — esclamò Charlene Bloom. La parola le era sfuggita spontanea. Si morse il labbro e abbassò lo sguardo. Stavano rivelando troppo, c’era troppa nuova speranza nella voce di lui, e troppo vivo dolore nella propria.

Judith Niles si era raddrizzata sulla sua sedia. Il sostegno ad Elissa era arrivato dalla direzione che meno si era aspettata. — E tu, Charlene? — chiese con calma. — Dal momento che, a quanto pare, ci siamo formati tutti la nostra opinione.

Peron fissò il Direttore e si stupì. Come Sy, sembrava capace di spostarsi all’istante da una posizione all’altra, ed essere subito pronta per lo stadio successivo della discussione. Era come se la sua analisi delle osservazioni sue e di Elissa fossero state fatte in maniera automatica, nel subconscio, senza bisogno di tempo per l’assimilazione e una riflessione completa.

— Rimarrò qui — disse Charlene dopo qualche istante. Si voltò per guardare Wolfgang e la sua voce era disperata. — Il mio lavoro è qui, a Gulf City. Non potrei farlo in un’altra installazione. Ma Wolfgang, se tu te ne vai, chi potrà continuare il tuo lavoro sul T-stato?

Judith Niles fissò Sy, il quale fece un impercettibile cenno col capo. — Abbiamo un volontario per questo — lei annunciò. — Sy ha il desiderio di esplorare il T-stato e oltre. Perciò, adesso…

Si abbandonò sullo schienale della sedia e chiuse di nuovo gli occhi. — Adesso viene la domanda difficile. Voi proponete un approccio radicalmente diverso. Sono convinta che funzionerà?

Domanda sbagliata — replicò Peron.

Judith Niles aprì gli occhi e gli sorrise. — È vero. Mi correggo: non possiamo conoscere in anticipo quello che funzionerà e quello che non funzionerà. Quindi, ecco la domanda corretta: penso che una seconda installazione nello spazio normale abbia una miglior possibilità di successo che una nell’S-Spazio? La risposta è: forse. Sì, forse. Ho pensato a molte possibilità, ma non avevo mai preso in considerazione la soluzione dell’effimera.

— Non puoi permetterti di non tentarla — disse Peron. — Anche se tu la respingerai, noi la tenteremo.

— Lo so. Brutta posizione per un capo. Giusto? — Sorrise, poi si voltò verso Wolfgang. — E sai per cosa ti stai offrendo volontario? Possiamo darti un arco di vita prolungato nello spazio normale, ma sarai pur sempre morto in meno di un S-anno.

— Dammi credito per qualcosa, JN. — Quel momento di sfida aveva dato a Wolfgang una nuova fiducia. — So esattamente quello che mi sono offerto di fare. Andrò nello spazio normale, e mi aspetto di morirci. E allora? Anch’io ho visto quel messaggio da Paradiso. E adesso che ci penso, non ho mai voluto vivere per sempre. Voglio soltanto vivere bene. Qui, Sy può fare il mio lavoro almeno altrettanto bene, maledettamente meglio, magari. Io dico: procediamo.

Non aspettò una risposta da Judith Niles. Invece si voltò verso Charlene e le strinse una mano fra le sue. Sulla stanza scese il silenzio. Tutti guardavano con attenzione. La mente di Charlene spaziò in un lampo attraverso i secoli, fino all’epoca in cui sulla Terra Wolfgang l’aveva fatta inorridire accarezzandole in segreto la coscia alla presenza di JN. Ma questa volta non sussultò quando Wolfgang la toccò con delicatezza alla spalla. La sua vista era offuscata dalle lacrime. Si mosse verso di lui quando Wolfgang si sporse in avanti per baciarla, e gli mise le braccia intorno al collo. Le parole finali non erano state dette, ma lei sapeva che la decisione era irrevocabile.

Ma la partenza per la seconda installazione non poteva avvenire subito. Lei e Wolfgang si sarebbero visti molte altre volte prima che ci fosse un altro commiato, formale e definitivo.

Ma quel momento era unico. Quello era il loro primo addio.

EPILOGO

Cinque minuti. Rimangono cinque minuti. E dopo? Se fossi sicuro della risposta, avrei potuto evitare un viaggio di quaranta miliardi di anni.

Cinque minuti… al momento del monoblocco.

Gli Oggetti Kermel sono tutt’intorno a me, sempre più stipati a mano a mano che l’universo si rimpicciolisce. Infine, sono silenziosi. Perfino le transizioni a bassa frequenza sono ridotte a niente. E i Kermel hanno cambiato aspetto durante le ultime due ore. Adesso al loro centro c’è una pulsazione, come un lento battito di cuore che si stia rafforzando; e i viticci esterni si sono costantemente contratti, per rinserrarsi intorno al centro più scuro. Mi sento come se stessi assistendo a una parodia dell’evoluzione galattica, braccia a spirale nere come l’inchiostro che si avvicinano sempre più, annodandosi intorno ai nuclei. Le regioni più interne sono di un nero totale. Sembrano buchi nell’universo.

Al di là di essi, ogni cosa diventa sempre più luminosa. Lo vedo soltanto come viene filtrato attraverso gli strati protettivi dei Kermel, ma ogni pochi secondi c’è un lampo azzurro, poi una scintillazione così violenta che non posso neanche guardarla. È una bellezza che l’universo, forse, vede soltanto una volta…

Quattro minuti. Ci stiamo avvicinando alla singolarità finale. Il raggio totale dell’universo adesso è meno di ottanta milioni di chilometri. Altri duecento secondi e arriverà il punto di compressione finale.

Cinque secondi prima di quel punto l’universo avrà una dimensione inferiore a un Oggetto Kermel. E poi?

La fine del viaggio: sempre più veloce.

Se vi sarà una singolarità, il momento dell’annichilimento dovrà occupare un tempo zero.

E la mia mente s’interroga. Insiste a spingere avanti un fatto, una nozione matematica appresa molto tempo fa e che pensavo di aver dimenticato da tempo. Nelle vicinanze d’una singolarità sostanziale, una variabile complessa assume tutti i valori possibili. Se qui, questo ha rilevanza, nell’avvicinarsi alla suprema singolarità del nostro universo, allora fra tre minuti da adesso ogni cosa sarà possibile. A mano a mano che il caos cresce dall’ordine, niente è proibito.

I miei tre compagni sono silenziosi, sopraffatti dallo spettacolo intorno a noi. Si accontentano di guardare le proiezioni, mentre io registro quest’ultimo messaggio. Per chi?

C’è un altro cambiamento. Le stelle sono scomparse già da molto tempo, svanite nella bolla ardente intorno a me. Adesso non dovrebbe più esistere nessuna struttura residua dello spazio. Ma gli Oggetti Kermel persistono. Assumono delle sfumature sempre più scure, risaltando solidi contro il bagliore azzurro-dorato del collasso cosmico.

Assisto all’anomalia. Lo splendore aumenta. L’universo si restringe verso il suo punto finale; ma l’oscurità dei Kermel non è diminuita.

Le spirali nere che mi circondano si stringono ancora di più, squarciando buchi d’ombra dagli orli taglienti, smorzando l’inferno, inghiottendo energia. Mi offrono uno scudo contro quell’intollerabile bagliore. Senza la loro protezione, sarei da tempo bruciato vivo. Invece la temperatura a bordo della nave rimane costante. La temperatura dell’universo, sempre che la temperatura abbia ancora un significato, è di trilioni di gradi.

So cosa la scienza e la logica mi dicono di aspettarmi. All’ultimo mini-microsecondo, dell’istante terminale della decreazione, ogni cosa si disintegra. Niente può sopravvivere alla temperatura infinita, alla pressione infinita, alla densità infinita. Tutto sarà scomparso, consumato…

… a meno che, forse, la coscienza non possa trascendere i limiti della fisica?

Non lo so. Meno di un minuto alla fine, la natura della realtà mi sfugge ancora.

Adesso, il cielo è un contrasto infinito, un turgore nero d’una radiosità impossibile. Venti secondi al punto. Non rimane tempo per il tempo. Quindici secondi.

Questo è il Giorno di Sy, un tempo di Pentecoste e adesso di dovunque. Nell’istante finale di luce infinita, io proclamo la mia fede:

Non ho commesso errori. Ho interpretato correttamente il messaggio degli Oggetti Kermel.

La fine è l’inizio. Ci sarà un domani.


FINE
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