PARTE SECONDA Marzo — Aprile 2121

L’affiliazione richiede limiti di demarcazione: è necessario definire su una qualche base il concetto di "noi", se ci saranno poi obblighi nei confronti di questi "noi"; e non appena esisterà un "noi" ci sarà un "loro".

James Q. Wilson, The Moral Sense, 1993

10

Jennifer era seduta alla scrivania nel Rifugio, e stava disegnando con una penna stilografica nera. Era sbalorditivo quanto trovasse rilassante quella semplice arte, evitando di usare un programma di disegno ma vero inchiostro su carta. Si concedeva venti minuti due volte al giorno per disegnare tutto quello che desiderava, tutto quello che le saltava in mente. "Un mezzo per focalizzare la tua attenzione?" aveva chiesto il responsabile delle comunicazioni del Rifugio, Caroline Renleigh, il che dimostrava quanto poco la capisse Caroline. L’attenzione di Jennifer non aveva bisogno di essere focalizzata. Disegnare era un’interruzione rinfrescante della ferrea attenzione.

Il suo studio, posto all’estremità della stazione orbitale cilindrica arbitrariamente designata come "sud", condivideva lo spazio nella cupola con la camera del Consiglio del Rifugio. A "nord" le zone gricole, i quartieri abitativi, i laboratori e i parchi creavano una vista piacevole e serena che si incurvava dolcemente nel cielo. A "sud", lo studio dava sulla plastica trasparente e super resistente che sigillava la stazione orbitale. La scrivania di Jennifer fronteggiava lo spazio.

Quando era stata più giovane, aveva tenuto la sua consolle lontana da quella oscurità. Nel suo studio, durante le riunioni del Consiglio, Jennifer aveva sempre guardato il Rifugio e il suo delicato sole artificiale. Nei lunghi anni di prigionia sulla Terra, aveva compreso che quella era una debolezza inaccettabile. Quindi aveva sistemato la sedia per fronteggiare il vuoto, con le sue stelle troppo lontane anche per la tecnologia degli Insonni: la fuga irraggiungibile. A volte guardava verso la Terra, che riempiva la finestra, oppressiva, e ricordava perché la sua gente doveva fuggire. Jennifer contemplava le due visuali. Per disciplina.

Non avrebbe portato il suo popolo più lontano di così dal nemico. La Luna, sì, ma c’era andata Miranda con i suoi traditori: la generazione modificata geneticamente che sarebbe dovuta essere il mezzo per evitare la regressione genetica verso la norma, assicurando che gli Insonni continuassero a espandere la propria superiorità sui Dormienti e che invece aveva tradito i propri amorevoli creatori e genitori, mandandoli in prigione per tradimento.

Marte era colonizzato da svariate nazioni e, in maniera più ambiziosa, dal Nuovo Impero della Cina, potente e pericoloso. Lì agli Insonni era stata piantata una pallottola nella nuca.

Titano apparteneva ai giapponesi che si stavano espandendo anche sulle altre Lune del sistema solare. Più ragionevoli rispetto al Nuovo Impero, anche loro non avevano mai accettato di buon grado gli outsider etnici. In una generazione, o due o tre, si sarebbero potuti rivoltare contro un eventuale Rifugio nell’orbita di Saturno o di Giove proprio come gli Stati Uniti si erano rivoltati contro il Rifugio originario, sulla Terra. A quel punto i bis-bisnipoti di Jennifer avrebbero dovuto ricominciare a eseguire l’intera danza sanguinaria.

No, non poteva portare la sua gente in nessun altro posto se non in quella stazione orbitale, quel fragile porto di titanio e acciaio, costruito prima della nanotecnologia. Non avrebbe nemmeno sfidato direttamente la Terra. Ci aveva provato, aveva fallito, e aveva trascorso ventisette anni in prigione. Quando si aveva un nemico che ossessionava, insultava e uccideva il proprio popolo, un nemico che non si poteva combattere e al quale non si poteva scappare, allora bisognava operare in modo sotterraneo: usare l’astuzia, essere subdoli, sfruttare le debolezze del nemico e fare in modo che non si accorgesse mai di chi lo aveva privato della sua capacità. Così non si otteneva un aperto trionfo, ma Jennifer aveva imparato a vivere anche senza. Sempre che ottenesse la cosa più importante: sicurezza per il suo popolo. Era sua responsabilità.

Responsabilità, autocontrollo, dovere. Le virtù morali, senza le quali non erano possibili realizzazioni né grandezza. Sulla Terra avevano dimenticato tali virtù. Strukov, il classico mercenario, tradiva la sua gente ogni volta che produceva virus patologici per denaro. Gli aristocratici del Nuovo Impero di Cina avevano conquistato Marte, ma lasciato i propri poveri a combattere in quell’inferno di virus modificati geneticamente in cui le fazioni in guerra avevano trasformato la Cina Occidentale. I Muli americani, che tenevano legato finanziariamente e legalmente il Rifugio agli Stati Uniti per le tasse immense che pagava la stazione orbitale, avevano abbandonato la propria morale per inseguire vuoti piaceri nelle enclavi rinchiuse all’interno di scudi a energia-Y.

Restava lo spazio.

La stazione orbitale, ultimo bastione di responsabilità rispetto alla sua gente. Ultimo bastione di responsabilità, di autocontrollo, di dovere. Di una moralità in grado di guardare oltre il piacere del momento o i bisogni individuali di una singola persona, a favore dei bisogni della comunità. Il resto del mondo aveva dimenticato che una "comunità" aveva una base biologica oltre che sociale. Un essere umano non apparteneva soltanto alle comunità che sceglieva, professionalmente e geograficamente, ma a quella in cui era nato. Il suo primo obbligo era verso la comunità che lo aveva nutrito, altrimenti l’intera catena delle generazioni che lo avevano prodotto si sarebbe interrotta. Quella lealtà doveva essere frutto di una scelta, non di un dogma insignificante. Ecco, alla fine, che cosa significava essere completamente umani: non si trattava della lealtà dei lupi rispetto al branco ma del fatto che le persone "potessero" scegliere altro rispetto al loro branco e scegliessero di non farlo. La scelta morale.

I Dormienti, abbacinati dalla tecnologia che doveva essere serva e non padrona, avevano dimenticato quel genere di morale. Peggio per i Dormienti. Avrebbero distrutto se stessi. Era compito di Jennifer assicurarsi che non fossero in grado di distruggere prima il Rifugio.

Completò il suo disegno a penna. Una complessa figura geometrica, con linee e angoli così precisi da sembrare tracciati con un righello. Disegnava sempre figure geometriche. Le restavano ancora quattro minuti per disegnare. Iniziò un’altra figura in fondo alla pagina.

— Jennifer? C’è qualcosa che devi vedere. — Paul Aleone, vicepresidente delle Imprese Sharifi, era in piedi sull’arco della porta. Paul, come Caroline Renleigh, era stato uno dei dodici Insonni che avevano partecipato al piano per costringere gli Stati Uniti ad accettare la secessione del Rifugio. Anche lui era stato tradito dai suoi nipoti, era stato imprigionato e aveva trascorso dieci anni nella prigione federale di Allendale. Di lui ci si poteva fidare. Jennifer ruotò la sedia per guardarlo in faccia e sorrise.

— Guarda — disse Paul, consegnandole una pila di carta stampata. Modificato geneticamente nella bellezza, si muoveva ancora con la leggerezza di un giovanotto. In fondo, però, aveva soltanto settant’anni. — Il programma di controllo notiziari di Caroline ha evidenziato questo sui canali terrestri. Il nome da segnalare era "Billy Washington". È il Vivo che…

— Ricordo chi era — interruppe Jennifer. Il Rifugio aveva sempre monitorato le banche dati dell’Ente per il Controllo degli Standard Genetici, ovviamente, e della maggior parte degli altri Enti governativi. Billy Washington, sua moglie Annie Francy, e la figlia di lei erano stati le prime cavie degli esperimenti biologici di Miranda. Insieme a un Mulo, agente dell’ECSG, con una copertura talmente profonda che nemmeno il Rifugio era stato in grado di scoprire chi fosse.

Paul riprese: — Il programma doveva evidenziare anche "Lizzie Francy", la figliastra di Washington. Adesso ha diciassette anni. Lei e la sua cosiddetta tribù stanno tentando di fare eleggere un candidato a una carica governativa.

— Un candidato Vivo? — Jennifer analizzò le stampe. Anche se riflettevano il solito sensazionalismo tipico dei Dormienti, riuscì a estrapolare i fatti dalle ampollosità. I Vivi nella Contea di Willoughby in Pennsylvania si erano iscritti per votare. Cosa che i Vivi solevano fare fedelmente, ma non facevano più da quando Miranda Sharifi aveva trasformato l’ottanta per cento della civiltà in nomadi che non seguivano né selvaggina né mandrie, ma soltanto il sole. Quei votanti in Pennsylvania programmavano di eleggere un loro candidato a una carica governativa in una speciale elezione che si sarebbe tenuta il primo aprile. Un candidato Vivo.

Jennifer restò seduta immobile, riflettendo. Paul proseguì: — Per quanto riguarda i nostri interessi, ci sono due modi di considerare la situazione. Uno è che più lotta ci sarà fra i Dormienti, più attenzione punteranno a combattersi e meno ne rivolgeranno a noi, indipendentemente da ciò che decideremo di fare. L’altra, negativa, è che alcuni Vivi al potere creeranno una seconda entità dalla quale dovremo proteggerci, di tipo sconosciuto e meno prevedibile dell’aristocrazia dei Dormienti. Queste notizie presumono che i Vivi al potere siano una possibilità reale. Anche facendo una cresta sulle loro isteriche esagerazioni.

Jennifer lanciò un’altra occhiata ai titoli:


LA MINACCIA CONTRO IL GOVERNO IN CARICA: "VOGLIAMO FARE LE COSE AL MODO DEI VIVI, TANTO PER CAMBIARE" DICE CANDIDATO DELLA PENNSYLVANIA A SUPERVISORE DISTRETTUALE

LASCIARE CHE I BAMBINI GESTISCANO L’ORFANOTROFIO: INVERSIONE DELLE PRIORITÀ DEL QUATTORDICESIMO EMENDAMENTO

OLIGARCHIA LEGALE: UN GOVERNO IL CUI TEMPO BIOLOGICO È FINALMENTE SCADUTO?

COM’È POTUTO ACCADERE? COMMISSIONE INDIPENDENTE PER INVESTIGARE L’INDECENTE CAMPAGNA ELETTORALE IN PENNSYLVANIA

"LASCIATE ANDARE LA MIA GENTE" — L’INAPPROPRIATA FORMULA CHE MASCHERA UN DISASTRO GOVERNATIVO

"È ARRIVATO IL MOMENTO PER RIVEDERE I TEST DI ISCRIZIONE DEI VOTANTI" DICHIARA IL CAPO DELLA MAGGIORANZA BENNETT


Paul disse: — Ho fatto calcolare le probabilità con un programma significativo Eisler. Se questo candidato Vivo dovesse vincere le elezioni, gli effetti sul sistema si allargano ben più che a un singolo stato. Ha un indice-evento pari al 4,71. La vittoria di un Vivo fornisce un ottantasette per cento di probabilità di diventare il nucleo di un sistema profondamente trasformato.

— Può vincere? — chiese Jennifer.

— No.

— Soldi?

— Ovviamente. I candidati Muli compreranno i voti.

— Allora la nostra preoccupazione…

— Un sito per il test. — Paul si passò una mano fra i capelli, ancora folti e di un marrone lucido. Gli uomini al Rifugio portavano i capelli corti, dal taglio semplice, come le donne. I lunghi capelli neri di Jennifer rappresentavano l’anomalia. Li teneva legati con un nodo appena sopra il collo; Will diceva che la faceva assomigliare a una matrona romana. Era una delle poche cose di suo gradimento che Will le aveva detto. Paul continuò: — So che avevamo pianificato di testare il composto di Strukov su una enclave di Muli. Dopo tutto sono loro la popolazione bersaglio. Ma utilizzarlo su questa tribù di Vivi potrebbe essere anche meglio. Non abbiamo avuto nulla a che fare con le elezioni, né come titolari né come sfidanti. Nessuno avrebbe motivo di pensare a un nostro coinvolgimento.

— Ma i votanti Vivi non passano l’inverno in luoghi distanti fra loro? Diffondere il composto sarebbe molto più difficile.

— Non proprio — spiegò Paul. — La Contea di Willoughby è formata principalmente da colline e basse montagne. Il clima invernale è odioso. Ci sono soltanto ventuno accampamenti di Vivi nella contea. Hanno tutti terreni di alimentazione ricoperti da tende, facilmente penetrabili da sistemi aerei telecomandati. Nessuno è dotato di alcun tipo di radar, cosa che invece hanno le enclavi di Muli. C’è una mappa sull’ultima pagina delle stampe.

Jennifer esaminò la cartina e poi la pagina con le equazioni di Esile. Annuì. — Sì. Capisco. Se i Vivi perderanno queste elezioni, gli effetti sul sistema sono annullati?

— Tutto rimane come era prima. A quel punto potremo procedere con le enclavi.

— Sì. Andate avanti. Questo ci offrirà un interessante piccolo pre-test e nello stesso tempo impedirà un cambiamento del sistema su larga scala.

Paul annuì. — Vogliamo il minor numero di variabili possibile per la grossa campagna. Avviserò Robert. È lui che sta gestendo i negoziati con i produttori dei mezzi di diffusione. Ti porterà un rapporto per la fine della settimana.

— Nessun arabo, russo, francese o cinese. E nessuno che abbia lavorato anche solo alla lontana con Strukov.

— Questi uomini sono peruviani.

— Bene. La Guerra de Dios?

— No. Liberi imprenditori.

— E Strukov si è dichiarato d’accordo a lavorare con loro?

— Sì. Ma soltanto con le sue procedure, nei suoi luoghi e con la sua squadra di sicurezza.

— Naturalmente — fece Jennifer. — Programma una riunione con Robert.

— Per me, te e Caroline?

— Anche Barbara, Raymond, Charles e Eileen. Voglio che tutti sappiano quello che fanno gli altri.

Paul annuì, un po’ meno contento, e uscì. Non capiva il modo di pensare di Jennifer. Paul avrebbe preferito distribuire le informazioni secondo il contributo individuale di ognuno, come se fossero denaro. Perché per alcuni di loro, Paul, perfino Will, era così difficile afferrare il principio morale che c’era dietro? Il Rifugio era una comunità. Quelli che governavano la comunità dovevano agire secondo responsabilità, dovere, lealtà. Nessuno poteva mostrare meno lealtà o responsabilità degli altri. Di conseguenza tutte e dodici le persone che avrebbero reso sicuro il Rifugio dagli Stati Uniti dovevano condividere in parti uguali i rischi, la programmazione e le informazioni. Fare altrimenti non sarebbe stato un atto di moralità ma desiderio di rango. Era ciò che facevano i Dormienti. Gli immorali.

Jennifer ruotò nuovamente la sedia per guardare dalla finestra dello studio. Era piena di stelle: Rigel, Aldebaran, le Pleiadi. Ricordò all’improvviso una cosa che aveva detto a Miranda, tanto tempo addietro, quando Miri era ancora una bambina. Jennifer aveva sollevato Miri davanti alla finestra del Consiglio del Rifugio ed era passata una meteora. Miri si era messa a ridere e aveva allungato le braccine paffute per toccare le belle luci del cielo. — Sono troppo lontane per la tua mano, Miri. Ma non per la tua mente. Ricordalo sempre, Miranda.

Miranda non aveva ricordato. Aveva utilizzato sì la sua mente, ma non per puntare al largo o più in alto. Piuttosto aveva usato la sua intelligenza potenziata, quella che le aveva dato Jennifer Sharifi, per sprofondare nel fango e nel sudiciume della biologia dei Dormienti. A beneficio dei Dormienti che avevano tradito il Rifugio, come aveva fatto la stessa Miranda.

— L’amico del mio nemico è anche mio nemico — recitò ad alta voce Jennifer. Al di là della finestra, apparve alla vista la Terra. Il Rifugio stava orbitando sull’Africa, un altro luogo che i Dormienti avevano rovinato.

Il suo schermo si illuminò. Di nuovo Caroline. Quella volta, però, il responsabile delle comunicazioni sembrava scosso. — Jennifer?

— Sì, Caroline?

— Abbiamo qualche nuovo dato.

— Sì? Dimmi pure.

— Non in linea — disse Caroline. — Verrò io da te. Immediatamente.

Jennifer non permise alla propria compostezza di sfaldarsi. — Come desideri. Mi puoi dire che cosa riguardano i dati?

— Riguardano Selene.

Lo schermo si spense. Mentre aspettava Caroline, Jennifer ripulì il pennino della stilografica. I suoi venti minuti erano scaduti da tempo. Abbassando lo sguardo si accorse che, mentre pensava a Miranda, aveva continuato a disegnare, nemmeno consapevole dei tratti prodotti dalla penna. Sulla spessa carta bianca, profilati e ombreggiati, c’erano i lobi frontali, parietali e temporali di un cervello umano.

Interludio

DATA TRASMISSIONE: 12 Febbraio 2121

A: Base Selene, Luna

VIA: Stazione Terrestre di Lione, Satellite E-398 (Francia), satellite GLO 62 (USA)

TIPO MESSAGGIO: Non codificato

CLASSE MESSAGGIO: Non applicabile, Trasmissione Straniera

GRUPPO DI ORIGINE: Gruppo senza nome, Ste. Jeanne, Francia

MESSAGGIO:


Nous sommes les gens d’une petite ville en France qui s’appelle Ste. Jeanne. Nous n’avons plus de seringues de la santé. Maintenant, ici, il n’y a pas beaucoup d’enfants qui ne sont pas changés, mais que ferons-nous demain? S’il vous plaît, Mademoiselle Sharifi, donnez-nous plus de seringues de la santé. Que somme-nous obligés faire pour vous persuader? Nous sommes pauvres, mais vous aurez les remerclements. Commes les riches, nous aimons les enfants, and nous avons peur de l’avenir.

S’il vous plaît, n’oubliez-nous pas!


CONFERMA RICEZIONE: Nessuna

11

— Non "puoi" — disse Lizzie al Vivo che appariva risentito. Jackson, che si trovava a settantacinque metri di distanza in un gabbiotto di appostamento di fronde di quercia che mostravano ancora le foglie avvizzite dell’anno precedente, guardava in uno zoom e ascoltava da un ricevitore della dimensione di un pisello. Osservò il volto di Lizzie lottare per non assumere un’espressione di disappunto. La ragazza mostrò il sorriso più cupo che lui avesse mai visto.

L’uomo, ancora più risentito, disse: — Shockey ha detto, lui, che posso.

— "Shockey" ha detto che puoi?

— Già.

— Aspetta soltanto un minuto — fece Lizzie. Si allontanò dall’uomo, che si trovava all’esterno dell’area di alimentazione della tribù, la solita tenda di plastica. Dentro, venti Vivi nudi consumavano il pranzo. A Jackson sembrò che, tutte le volte che controllava la tribù di Lizzie, finiva col guardare dei Vivi nudi che pranzavano. Quella volta, però, tre reporter Muli dotati di telecamere si trovavano fuori dal recinto completamente vestiti e filmavano il pasto. Altre robocamere si libravano all’interno. Quel gruppo di Vivi, a differenza di altre tribù della Contea di Willoughby, stava godendo di un momento di notorietà temporanea. Jackson notò che due donne portavano fermagli d’oro sui capelli. Un’altra, vide improvvisamente, indossava una collana con una pietra che, ingrandita dallo zoom, appariva come un diamante. Altri guai.

Lizzie si avvicinò a Jackson, travestito da Vivo. Durante le ultime tre settimane si era fatto crescere una barba incolta. Indossava pantaloni larghi e azzurri, un cappello malconcio calzato sulla fronte e gli stivali più pesanti che avesse mai avuto in vita sua. Il terreno era un mare di fango: aveva piovuto per due giorni di fila, una pioggia di marzo tardiva e sferzante che minacciava di riprendere a cadere. Gli stivali di Jackson erano appesantiti di fango. Aveva accompagnato Lizzie a piedi attraverso una montagna fino a quella tribù: i Vivi non utilizzavano aeromobili, e lui era in incognito come Vivo. Al momento, nessuno dei numerosi reporter lo aveva notato. Si sentiva ridicolo.

Lizzie gli si sporse vicino, disperata, e sussurrò: — Dice che è stato "Shockey" a dirgli che potevano accettare gli scooter!

— Be’, pensi che Shockey gliel’abbia detto sul serio? — chiese Jackson. Secondo lui sì. Shockey sembrava non avere afferrato l’idea di Lizzie che, se i Vivi erano intenzionati a votare per il loro candidato il primo aprile, non potevano accettare doni o denaro dagli altri due candidati il 25 marzo. — Risarcimenti — li aveva chiamati Shockey, e dove diavolo aveva imparato quella parola? — Bustarelle — diceva Lizzie, e aveva ragione.

Lizzie si mordicchiò il labbro inferiore. — Harry Jenner dice che Shockey gli ha detto di accettare i regali, di non fare vere e proprie promesse e poi di votare comunque per lui.

Era quello il modo in cui i Muli avevano gestito le cose per decenni. Jackson lo disse a Lizzie.

— Ma "non è giusto" — ribatté Lizzie, improvvisamente impaziente. Per lei, coinvolta in quella rivoluzione legale innocente e destinata a fallire. Anche per lui, nascosto lì in piedi all’ombra degli alberi che non ne offrivano molta perché era soltanto marzo, che si sentiva prudere tutto con quella tuta sintetica non traspirante macchiata di fango montano.

— La cosa importante è se Harry e la sua tribù voteranno davvero per Shockey dopo avere accettato scooter, vestiti alla moda, saponi profumati e collane di diamanti — disse lui. — Non voteranno piuttosto per un candidato che ha donato loro tutto questo bottino?

— Collane di diamanti? — chiese Lizzie, allibita.

— La ragazza più vicina alla plastica, quella con i capelli lunghi e scuri, ha addosso una collana di diamanti. Credo che sia di Tiffany.

— Oh, santo Iddio!

Jackson sorrise. Lizzie sarebbe rimasta male se avesse saputo che nei momenti di stress, anche se non parlava da Viva, sembrava proprio sua madre, la formidabile Annie. Jackson non glielo disse. Durante gli ultimi tre mesi, occupandosi marginalmente di quella ridicola campagna elettorale, aveva cominciato a stimare Lizzie. La ragazza era una strana combinazione di durezza e vulnerabilità. A volte, gli rammentava perfino Theresa.

Ma quello non era un motivo sufficiente per essersi lasciato coinvolgere in quel progetto donchisciottesco. E allora perché lo aveva fatto?

— Ascolta, Lizzie. Mancano sei giorni alle elezioni. Dovrai fidarti semplicemente del fatto che Harry Jenner e il resto di loro voteranno per Shockey nonostante i… regali. — Regali. Bustarelle. Ricompense.

— Lei pensa "davvero" che voteranno per Shockey? — I suoi occhi neri lo stavano implorando.

— A dire il vero sì — rispose lui lentamente. — Penso che l’odio rimasto dalle Guerre del Cambiamento sia più forte dell’avidità dei Vivi. — O della gratitudine dei Vivi. I Vivi erano esattamente gli opportunisti che i Muli avevano plasmato.

— È quello che dice anche Vicki — commentò Lizzie.

Jackson non voleva parlare di Vicki. Lei era rimasta indietro per mantenere il più possibile l’ordine nel "quartier generale elettorale", e faceva talmente parte della tribù di Shockey da non essere costretta a restare lì nel fango, travestita da qualcosa che non era. "Non abbiamo bisogno dell’effetto negativo della tua presenza esplicita" aveva detto a Jackson "e tu non hai alcun bisogno di un effetto negativo sulla tua, ehm, carriera medica." Già. Giusto.

— D’accordo — capitolò Lizzie. — Non dirò loro di restituire gli scooter e gli altri oggetti. Ma dirò nuovamente loro quanto hanno bisogno di votare per Shockey!

— Be’, fallo subito, allora. Quel reporter sta ricominciando a guardarti con interesse. E sta guardando anche me.

— Ci rivediamo all’accampamento.

— Bene — concluse Jackson e riprese ad arrancare attraverso i boschi.

Dopo qualche chilometro, sentì abbastanza caldo da aprire la giacca e poi da toglierla. Tenne in testa il cappello: molti giornalisti privi di notizie migliori da seguire avevano utilizzato aeromobili e telecamere dotate di zoom per filmare quella campagna elettorale. Essa rappresentava, secondo il canale dei notiziari, un insulto al buon senso, una minaccia a quello che restava dell’ordine civile, un’insignificante nota a piè di pagina della storia politica oppure una barzelletta cosmica. A volte, tutte quelle cose insieme.

Perfino per Susannah Wells Livingston e Donald Thomas Serrano. La settimana precedente Jackson, spia in campo nemico, aveva partecipato a una festa per la raccolta di fondi a favore di Don Serrano. Aveva scoperto che il candidato Mulo non era realmente preoccupato. — Ho dispensato in giro ogni genere di "benefit" al mio elettorato — gli aveva confidato Serrano. — Da quando in qua non si può comperare un Vivo? — Jackson si era limitato ad annuire. Non era esattamente quello che aveva creduto anche lui, finché Lizzie Francy non era precipitata nella sua vita da due metri e mezzo di altezza dalla parete di una fabbrica?

L’elezione, comunque, non era una barzelletta cosmica per Cazie. Per evitarla, Jackson aveva traslocato temporaneamente dal suo appartamento e, usando un altro nome, si era sistemato in un albergo nella enclave di Pittsburgh. Non un albergo di lusso, quel luogo ospitava soprattutto tecnici, i Muli al limite della loro classe sociale i cui genitori avevano potuto acquistare soltanto modificazioni genetiche parziali, di solito di tipo estetico. I tecnici lavoravano per mantenersi e raramente possedevano un’impresa. Jackson si muoveva fra loro con una certa disinvoltura. Parlava quotidianamente con Theresa, l’unica persona che avesse il suo indirizzo, su una linea di comunicazione che sperava sufficientemente schermata. Che Cazie non riuscisse a trovarlo dava a Jackson una strana soddisfazione, forte come sapere che lei lo stava cercando.

Gli occorsero tre ore per tornare a piedi alla tribù di Lizzie. Il sole del tardo pomeriggio proiettava raggi inclinati da sopra le cime delle montagne verde scuro per i pini e bianche per le ultime chiazze di neve. Le altre "squadre di controllo votanti" rientravano anche loro, faticosamente, dopo viaggi stremanti per verificare la lealtà di altri elettori.

Ma perché si era fatto coinvolgere? Perché Cazie odiava la cosa? Non era un motivo sufficiente, non lo era proprio.

Perché era stufo marcio della sua vita, della sua classe sociale, delle sue inutili attività? Non era un motivo sufficiente.

Perché i neonati senza le siringhe del Cambiamento morivano in tutto il paese? Le elezioni non avrebbero aiutato i bambini che soffrivano. Anche se i Vivi avessero vinto ogni maledetta elezione per i successivi sei anni e avessero controllato ogni carica politica, da Presidente a guardacaccia, non si sarebbero create nuove siringhe del Cambiamento. Soltanto Miranda Sharifi e i Super potevano farlo e non lo avevano fatto. Non rispondevano nemmeno alle trasmissioni inviate a Selene, città di esilio sotto la superficie lunare.

Jackson si fermò all’ombra di un pino immenso e fragrante, si asciugò il sudore dalla fronte e cercò il coraggio per affrontare la realtà allucinogeno-olografica del "quartier generale elettorale".

Essa iniziava quattrocento metri prima dell’accampamento, con il candidato in persona.

— Chi diavolo sei tu? — chiese la ragazza. Sollevò il volto da quello di Shockey che aveva scelto cavallerescamente di giacere sotto, protetto dal fango da una sgargiante coperta arancione. La ragazza, nuda dalla vita ai costosi stivali, gli stava sopra a cavalcioni. Non si spostò quando Jackson arrivò arrancando da una salita in mezzo agli alberi e finì nella loro valletta appena nascosta.

Jackson abbassò lo sguardo, non per evitare di guardarla, ma per evitare che lei lo guardasse. L’aveva già vista. Aveva forse diciassette anni, occhi verdi modificati geneticamente e lunghi capelli neri. Una ragazza Mulo, che scorrazzava da quelle parti. Jackson fingeva di essere un Vivo: come doveva reagire? Jackson trascinò i piedi, come se fosse imbarazzato, e mantenne lo sguardo sugli stivali di lei. Le arrivavano al polpaccio, erano di cuoio italiano, nanorivestiti perché i suoi piedi non li consumassero, e sporchi di fango. Più in alto, le perfette cosce della ragazza mostravano la pelle d’oca. L’aria di marzo era fredda.

Lei chiese con malizia: — Sei un reporter?

Chiaramente il suo QI non era modificato geneticamente. Jackson bofonchiò: — No, io no, io.

Shockey lo aveva riconosciuto. Attirò a sé la ragazza. — È solo un guardone, lui, Alexandra. Tu vieni a guardare un po’ me.

Lei fece un risolino. — In questa posizione? — Ma lo baciò. Shockey tenne bene aperti gli occhi e lanciò un’occhiataccia a Jackson: "Vattene via".

Se ne andò, chiedendosi se Alexandra fosse una alla ricerca del brivido, una distrazione politica, un’esca professionista o un tentativo di scandalo. Jackson non aveva notato robocamere. Eppure, Vicki Turner aveva ammonito Shockey. I suoi elettori non avrebbero gradito vedere il loro candidato Vivo, l’antidoto alla corruzione dei Muli, rotolarsi concupiscente nel fango con un Mulo come Alexandra.

Jackson si voltò, mise le mani a coppa attorno alla bocca e strillò: — Shockey! Arriva compagnia, tu! Sharon e la bambina! — Forse quello sarebbe bastato.

All’accampamento c’erano in giro soltanto due giornalisti. Uno stava intervistando Scott Morrison, un amico di Shockey. — Noi vinceremo questa elezione qui. E l’anno prossimo prenderemo la fottuta presidenza!

— Vedo che hai addosso una catenina d’oro — disse serenamente il giornalista. — Un contributo da parte dei Cittadini per Serrano, forse?

— È un’eredità — rispose solennemente Morrison. — Della mia bisnonna, lei. Era un’attrice dello schermo piatto.

— E lo scooter? — La robocamera ronzava: il giornalista non si preoccupò nemmeno di nascondere la smorfia di scherno.

— Anche quello ereditato dalla bisnonna.

Che cosa era successo a Vicki?

Un gruppo di Vivi che Jackson non aveva mai visto prima vagava oziosamente oltre il terreno di alimentazione protetto dalla tenda di plastica. Erano sporchi, sudici per il viaggio. La tribù riceveva gruppi del genere ogni settimana. Arrivavano da luoghi al di là della Contea di Willoughby, avendo visto tutto il gran casino ai notiziari. Alcuni gruppi erano interessati e pensosi. Alcuni erano disgustati dall’idea che i Vivi si sporcassero le mani con il lavoro da Muli della politica. Alcuni avevano semplicemente sentito parlare degli scooter, dei gioielli e del vino dei "gruppi cittadini non affiliati al candidato Serrano". Era già stato rubato uno scooter. I membri della tribù si riunivano in capannelli, e si trovavano sempre all’interno del campo filmabile dal terreno di alimentazione. Eccetto, ovviamente, il candidato, che stava godendo dei benefici della sua fama, steso sulla schiena, nel bosco.

Dove diavolo era Vicki?

Annie uscì affaccendata dall’edificio, tenendo Dirk in braccio. Vide Jackson, si rabbuiò, quindi ricordò che ufficialmente non lo doveva conoscere. Guardò subito da un’altra parte con espressione disgustata, come una duchessa infastidita che ignora un pesce morto. Il suo sguardo atterrò su un altro gruppo di ragazzini Muli curiosi che ridacchiavano maliziosamente all’ombra sicura di una velocissima aeromobile. Due ragazzi avevano inalatori. Il secondo reporter li stava intervistando: per fortuna Jackson si trovava a una tale distanza da non poter sentire la conversazione.

A quel punto, atterrò un’altra aeromobile e ne scese Cazie con il nuovo responsabile tecnico della TenTech.

Jackson voltò la schiena. Si diresse verso l’edificio con passo deciso e vi entrò.

Che ci faceva lei lì? Dopo la riunione di qualche mese prima sui legami politici della TenTech, di cui Jackson aveva capito più o meno la metà, aveva chiesto a Caroline, il suo sistema personale, di effettuare qualche ricerca. La TenTech aveva un portafoglio diversificato, ma Caroline non era riuscita a rintracciare gran parte degli investimenti tramite database legali, sebbene avesse a disposizione i codici personali di accesso di Jackson. Lui non aveva mai degnato di particolare attenzione la TenTech. Lo aveva fatto suo padre, finché non era morto, poi l’avvocato di suo padre l’aveva gestita finché Jackson si era trovato all’università di medicina: quando aveva sposato Cazie, lei aveva preso in mano la situazione e Jackson era stato felice di lasciarglielo fare. Dov’erano i soldi della TenTech e perché ce ne erano tanti legati allo stato della Pennsylvania, se la TenTech aveva sede legale a New York? Cazie aveva molti amici personali in varie imprese ed enti governativi della Pennsylvania. Alla fine Jackson, senza dir nulla a Cazie, aveva assunto un contabile indipendente che gli doveva ancora fare rapporto. Forse Cazie si era accorta delle ricerche svolte dal contabile.

Oppure, semplicemente, era venuta a cercarlo.

Aprì la porta di uno spiraglio, sbirciando fuori dall’oscurità alla luce del sole. Cazie stava parlando con Billy Washington, il patrigno di Lizzie. Quanto meno si trattava di Billy, la persona più sana di mente di tutta la tribù. Cazie non poteva seguire Jackson all’interno dell’edificio: Vicki aveva insistito perché nessun estraneo, in alcun caso, entrasse. Aveva installato un primitivo sistema a scanner: se qualcuno senza chip sensibilizzato cercava di oltrepassare la porta, scattava un allarme. Era un sistema facile da ingannare, ma fino a quel momento nessuno si era dato la pena di farlo. Jackson toccò il chip che teneva in tasca.

I riccioli scuri di Cazie scintillavano al sole primaverile. Gli alti stivali bianchi e il severo abito nero apparivano freschi e ordinati. Gesticolando con Billy, sollevò di scatto un braccio e il suo seno destro si alzò, vibrò e ricadde.

Che ci faceva lei lì? E "lui" che ci faceva? Attraverso lo spiraglio della porta, Jackson vide Shockey arrivare trotterellando dal bosco. La bellezza Mulo non era con lui. Sharon si precipitò verso Shockey attraverso l’erba avvizzita, col volto infuriato. Annie strillò qualcosa a un giornalista. Billy lasciò Cazie, si diresse verso Annie e venne bloccato da un ragazzetto Mulo sogghignante che si era avventurato lontano dall’aeromobile quel tanto da poter infilare il proprio inalatore sotto il naso di Billy. Billy ondeggiò. Scott Morrison si tuffò contro il ragazzino Mulo, buttandolo per terra. Le due robocamere zoomarono sulla lotta. Il candidato balzò addosso a un altro giovane Mulo e Sharon gridò. Annie, che teneva ancora in braccio Dirk, corse verso Billy che sorrideva con espressione vacua. Dirk cominciò a piangere. Sharon continuò a gridare. Cazie tirò indietro la testa e scoppiò a ridere, emettendo un suono terrificante che, non si sa come, superò di intensità perfino quel trambusto. La donna disse qualcosa al responsabile della TenTech, e Jackson riuscì a leggere il movimento delle labbra: — Il processo politico americano in azione.

Chiuse la porta malconcia dell’edificio.

Erano tutti pazzi. Jackson era rimasto un po’ sorpreso nello scoprire che così tanti Vivi restavano attaccati cocciutamente all’idea di votare per Shockey: nonostante avessero accettato bustarelle dall’altra fazione, Shockey avrebbe vinto chiaramente le elezioni. Alla lunga, tuttavia, lui temeva che non avrebbe fatto alcuna differenza. Shockey non avrebbe vinto perché i Vivi erano in ascesa politica ma perché i Muli avevano preso sottogamba quella campagna elettorale. Avevano usato la carota ma non il bastone, diffondendo beni di consumo e presumendo che il problema fosse risolto. Quando, il giorno delle elezioni, avessero scoperto che le cose non stavano così, avrebbero ritirato le carote. Gli accampamenti dei Vivi non erano protetti, erano privi di tecnologia e non erano armati. Il successivo candidato Vivo per una qualsiasi carica pubblica avrebbe perduto. Jackson stava assistendo a un insospettabile colpo fortunato, un irripetibile avvenimento improbabile per il quale stava rischiando il suo stato sociale all’interno del suo popolo. Ciò lo fece sentire il più pazzo di tutti.

Da qualche parte nell’edificio, qualcuno stava piangendo.

Jackson si fece strada attraverso l’oscurità, oltre i decrepiti mobili dello spazio comune, in mezzo al dedalo di pareti di assi di legno, divani ribaltati, scaffalature rotte, tende appese fatte a mano. Il singhiozzare si fece più forte. Superò anche il robot tessitore della tribù che produceva pazientemente metri e metri di orribile tela grezza con chissà quale materiale organico infilatogli nel serbatoio. Il robot ronzava piano. Nell’ultimo loculo di fortuna posto contro una parete priva di finestre, Jackson li vide.

C’era un ragazzino, che dava le spalle a Jackson, quasi ripiegato in due. La sua schiena era sottile e, attraverso i buchi del vestito, si notava che era piena di lentiggini. Vicki gli stava accanto e gli teneva un braccio attorno alle spalle ossute, quasi sorreggendolo. Quando i due si voltarono, Jackson vide che il ragazzino era chino su un neonato che stringeva fra le braccia.

Vicki disse con espressione seria: — Stavo giusto venendo a cercarti.

Jackson allungò le mani verso il neonato. Vide che stava morendo, forse a causa di qualche microrganismo mutato che aveva già distrutto il sistema immunitario. La bocca del bimbo era chiazzata di candida, la pelle macchiata di ematomi sottocutanei. Le guance devastate erano tese sul piccolo cranio. Jackson sentì i polmoni del piccolo faticare per continuare a respirare. Sul collo aveva due cerotti, uno blu e uno giallo: antibiotici e antivirali ad ampio spettro. Vicki li portava sempre con sé. Non l’avrebbero aiutato: era decisamente troppo tardi.

Il ragazzo ansimò: — Sei tu il dottore? Questa è mia figlia, lei. Le puoi dare una siringa del Cambiamento? Non ne abbiamo più nella mia tribù e non ne ho trovate da nessuna altra parte. Io ho sentito parlare di questo posto, io…

— No — rispose Jackson — non ho più siringhe. — Vicki lo fissò, sbalordita. Si era aspettata una risposta diversa, non sapendo che Theresa aveva ripulito la magra scorta di Jackson.

— Non hai più siringhe, tu? Davvero? — chiese il ragazzo.

— Davvero — rispose Jackson.

— Ma non sei un dottore… un dottore Mulo?

Jackson non rispose. Nessun altro parlò. Il silenzio si prolungò, doloroso. Alla fine Jackson annuì, penosamente, e scosse la testa. Non riuscì a fissare il giovane padre negli occhi.

Il ragazzo non si mise a discutere, né esplose, né ricominciò a singhiozzare. Nella postura afflosciata delle sue spalle, Jackson lesse rassegnazione: il ragazzo non si era veramente aspettato aiuto. Non lo aveva mai fatto. Era giunto lì perché non sapeva cosa altro fare.

Vicki disse a denti stretti: — Farai tutto quello che potrai, Jackson?

Era già andata a prendere la sua valigetta in una sacca fra il ciarpame della tribù. Jackson eseguì futili mosse. Quando ebbe finito il ragazzo gli disse: — Grazie, dottore — e l’umiliazione di Jackson fu completa.

— Vieni con me — disse Vicki, e lui la seguì, senza che gli importasse dove, fondamentalmente contento di andarsene. Erano entrati dei Vivi dall’esterno e si erano seduti a parlare animatamente sulle sedie comuni. Vicki lo condusse attraverso un labirinto di loculi, oltre una tenda tirata fra una parete e una lunga tavola ribaltata.

— Qui non verrà nessuno, Jackson.

— Dov’è la madre della bambina?

Vicki alzò le spalle. — Sai come vanno le cose. Restano incinte facilmente, nel loro corpo nulla può andare storto e tutti allevano i piccoli collettivamente. Chiunque non voglia prendersi cura del neonato può anche non farlo.

— Allora è sbagliato. Questa nuova organizzazione creata dal Cambiamento è tutta sbagliata.

— Lo so.

— Lo "sai"? Pensavo che tu fossi il più strenuo difensore di ciò che Miranda Sharifi ha dato al mondo!

— Difendo la necessità di adeguarsi alla situazione. Al momento, non lo abbiamo fatto.

Non l’aveva mai vista in quel modo: seria, diretta, non barricata dietro un distacco divertito. Non gli piaceva: così lo prendeva in contropiede. Per sfuggire allo sguardo di lei, si girò attorno nel loculo e si rese conto che era il suo. Il loculo non aveva nulla di diverso da quello di qualsiasi altro membro della tribù: pagliericcio a terra, una scrivania tutta intaccata e stipata di bigiotteria fatta a mano, vestiti appesi a ganci. Nulla di costoso e incongruo come il terminale Jansen-Sagura o la biblioteca di cristallo del loculo di Lizzie. Eppure quello spazio angusto sapeva di Mulo, non di Vivo. Per i colori, tenui e ben armonizzati, per la sistemazione dei mobili, per il singolo ramoscello di salice, sistemato in una boccia nera di coccio con un’essenzialità e una grazia quasi orientali.

Lei disse: — Ti sei accorto che stavi piangendo, mentre tenevi in braccio la bambina?

Non se n’era reso conto. Si asciugò le guance umide, disprezzandola per averlo notato e, allo stesso tempo, grato perché non aveva esposto le sue lacrime allo scherno dei Vivi nel bel mezzo dell’edificio.

Visto che doveva per forza dire qualcosa, spiegò: — Soffrono. Non qui, in questa tribù, ma in altri posti dove non ci sono queste risorse vivono così…

— I poveri hanno sempre vissuto in un paese diverso rispetto ai ricchi. In ogni epoca, indipendentemente da quanto fossero vicine fisicamente le loro case.

— Ti prego, non darmi lezioni su…

— Guarda questo, Jackson. — Aprì il cassetto superiore della scrivania e tirò fuori un oloregistratore, poi disse: — Invia registrazione numero tre. — Quando lo consegnò a Jackson, lui lo prese.

Lo schermo in miniatura mandò un servizio giornalistico di un canale di Muli: il tono oscillava fra lo scherno e il disprezzo. Il pezzo, non più di due minuti, era un’intervista a un gruppo di medici che aveva appena allestito in Texas una clinica protetta da uno scudo a energia-Y subito fuori dall’Enclave di Austin per curare bambini Vivi nonCambiati. — È necessario — diceva un giovane medico dall’aspetto stanchissimo che aveva un gran bisogno di tagliarsi i capelli. — Soffrono. Quello che Miranda Sharifi permette che accada qui è criminale. — L’oloschermo si spense.

Vicki sbuffò: — "Quello che Miranda permette che accada". Noi non vogliamo ancora prenderci la responsabilità.

— Chi sarebbe "noi"? — ribatté lui con violenza.

— A volte tu usi "noi" per intendere Vivi, a volte Muli.

— E allora? Jackson, c’è un numero sempre crescente di bambini nonCambiati. Hanno bisogno di medici.

Ripensò alla faccia stanca del medico nell’ologramma, allo scudo di sicurezza attorno alla clinica, ai Vivi che avevano assaltato il suo appartamento quando c’era Theresa. A dispetto della sua ammirazione per l’irrefrenabile Lizzie, lui non voleva prestare il suo servizio presso i Vivi. Non era quello per cui aveva studiato.

— È molto più facile provare compassione che agire per causa sua, vero? — disse Vicki. — Ma non altrettanto soddisfacente, alla lunga. Credimi, io lo so.

Lui le disse con espressione secca: — Non ti ho mai sentita dire qualcosa di diverso.

Vicki rise. — Hai ragione. — Si sporse in avanti e lo baciò.

La cosa colse Jackson di sorpresa. Che stava facendo? Di certo non lo stava baciando soltanto perché lo aveva visto piangere per un bambino Vivo, no? Non sembrava il tipo da… ma poi ogni pensiero lo abbandonò. Le labbra di lei erano morbide, più sottili di quelle di Cazie, il suo corpo più alto e meno arrotondato. La bocca della donna indugiò sulla sua, si allontanò brevemente, quindi vi tornò. Jackson la attirò a sé e sentì una scossa che gli arrivava dalle labbra percorrergli il busto e, passando attraverso il petto, terminargli con una scarica forte e gradevole nel pene. La abbracciò.

Vicki si allontanò. — Prova a pensare all’idea di una clinica — gli disse. — Fra tutte le tue altre preoccupazioni, ovviamente. Ecco che ne arriva una.

All’improvviso Jackson si accorse che stava suonando l’allarme, che stava suonando già da tempo, ma al margine della sua attenzione. Al di sopra, sentì Cazie gridare: — Jackson! So che sei qui dentro da qualche parte! Jack, maledizione, voglio parlare con te!

Vicki sorrise. Deliberatamente, tirò indietro la tenda e chiamò: — Quaggiù, Cazie. Siamo qui.

Cazie si mosse con passo deciso attraverso il ridicolo dedalo di mobili trasandati. Recepì la scena tutta insieme: Jackson accanto al letto di Vicki, Vicki in piedi che tratteneva con grazia la tenda con una mano, il volto di Jackson paonazzo e quello di Vicki malizioso. Cazie restò immobile.

— Noi abbiamo finito qui — disse Vicki con una moina. — Ci vediamo dopo, Jackson. — Gli fece l’occhiolino.

Lui ebbe paura di guardare Cazie negli occhi.


Il primo aprile, giorno delle elezioni, pioveva. Quando Jackson si svegliò in un loculo soffocante all’interno dell’edificio della tribù nella Contea di Willoughby, sentì la pioggia battere contro il tetto.

Non aveva pianificato di trovarsi lì. Il giorno precedente, però, si era imbattuto in uno sbarramento di robocamere e reporter che avevano cercato di bloccarlo contro il muro dell’edificio per identificarlo. Per poco non avevano visto i suoi occhi modificati geneticamente. Li aveva allontanati ed era scappato all’interno, dove Lizzie aveva insistito che, se non voleva essere riconosciuto, doveva restare per tutta la notte. Vicki era andata in un’altra tribù. Jackson ne fu fondamentalmente contento.

Rimase steso sul duro pagliericcio di tessuto non consumabile e fissò nell’oscurità due pareti di cemespugna, una che pareva lamiera malconcia sostenuta da traverse di sedie rotte e una di tenda tessuta a mano color grigio. Appeso sulla lamiera c’era un ricamo a mano con filo color cremisi e lavanda: BENVENUTO STRANIERO. Dedusse di essere alloggiato nella stanza degli ospiti della tribù.

Si alzò, si stiracchiò, infilò i pantaloni e seguì il generale baccano mattutino fino al centro dell’edificio cavernoso.

— Buon giorno! — cinguettò Lizzie. Gli occhi neri le scintillavano. Indossava abiti da esterno e stivali. Dirk giaceva in uno scatolone di plastica turchese, e agitava i pugnetti paffuti cercando di catturarsi le dita dei piedi. — Oggi è il gran giorno!

— Dov’è Shockey? — chiese Jackson. Desiderava maledettamente una tazza di caffè che non avrebbe ottenuto.

— A colazione. Così come quasi tutti gli altri che vogliono finire nudi sui notiziari. Ha fame?

— No — mentì Jackson.

— Bene. Questo è un ottimo momento per allontanarsi prima dell’arrivo dei giornalisti. La maggior parte è andata a casa per la notte e il resto è al campo di alimentazione. I seggi sono aperti dalle nove a mezzogiorno. Io uscirò dal retro per incontrare Vicki alla sua aeromobile e poi andremo insieme a controllare la tribù di Wellsville. Vuole venire?

— Se vi incontrerete alla mia aeromobile, penso che ti accompagnerò fino a lì. Hai mangiato, Lizzie?

— Non ci riesco. Sono troppo agitata. Oh, mamma, ecco Dirk… l’ho già allattato.

Annie emerse dal suo loculo, lanciò un’occhiataccia a Jackson e prese in braccio il nipotino. L’occhiataccia non era seria. Annie si sentiva a disagio se aveva attorno dei Muli, ma si era addolcita nei confronti di Jackson quando aveva capito che a lui non piaceva Vicki. A lui non piaceva Vicki? Non l’aveva più vista durante l’ultima settimana, da quando l’aveva baciato. Non voleva nemmeno vederla. Né lei, né Cazie e nemmeno Lizzie. Voleva trovare la sua aeromobile, volare a casa e bere una tazza di caffè.

Sapeva che stava mentendo a se stesso.

— Buon giorno, Annie — disse. — Diretta fuori a colazione?

— Non con tutte quelle telecamere, io — sbuffò lei. — Billy è andato a prendere del terreno buono e lo ha portato dentro. Noi mangeremo, noi, in privato, decentemente, grazie tante.

Lizzie nascose un sorriso. Prese Jackson per mano e lo condusse verso una porticina, che non era stata ancora scoperta dalle robocamere, aperta da Billy sul retro dell’edificio e nascosta da erbacce e cespugli. La porta era così bassa che Lizzie e Jackson dovettero uscire carponi. La cemespugna non si tagliava con facilità.

— Lizzie, dove ha preso Billy una sega laser per tagliare questa porta?

Lizzie fece un sogghigno, guardandolo da sopra una spalla. — Ho trovato un modo per trafugarne una. Appena il mese scorso. Ma non le dirò come ho fatto.

Fuggirono nella pioggia che si era ridotta a qualche goccia. Nonostante tutto, Jackson era inzuppato e infreddolito quando raggiunsero l’aeromobile, che era nascosta dietro a uno scudo a energia-Y opaco. Vicki stava seduta sullo scudo, sporcandolo di fango con il sedere infilato nella tuta.

— Buongiorno, Lizzie, Jackson!

— Vicki! Come vanno le cose all’accampamento di Max e Farla?

— Bene. Sono tutti alzati, vestiti con gli abiti migliori e i gioielli più belli, riuniti attorno al terminale e pronti per l’immortalità politica. — Sorrise a Jackson che le rispose con un debole sorriso.

— Quindici minuti all’apertura dei seggi — fece Lizzie. — Penso che voterò a Wellville.

Vicki disse: — Facciamolo qui.

— Qui? Come?

— Sono sicura che Jackson ha una linea nell’aeromobile per collegarsi con i canali ufficiali. Vero, Jackson? Possiamo starcene sedute comodamente in un veicolo da Muli ed eleggere il primo politico Vivo da decenni.

Lizzie si mise a ridere. — Facciamolo!

— Jackson? — chiese Vicki.

Lui guardò i loro abiti macchiati di fango, inzuppati di pioggia e decise di essere impazzito. — Certo, perché no?

— Oh, sono così agitata! — sospirò Lizzie.

Aprì l’aeromobile e vi si pigiarono dentro. Attivò la linea, chiese il collegamento con il canale governativo ufficiale ed entrò nel programma elettorale. Alle nove, guardò Lizzie.

Lei si sporse solennemente in avanti. — Lizzie Francy, ID Cittadino CLM-03-9645-957 per votare nell’elezione straordinaria per il supervisore distrettuale della Contea di Willoughby in Pennsylvania.

— Numero Cittadinanza verificato. Prego appoggiare l’occhio sinistro contro l’icona della scansione retina. — Eseguì. — Verificato. I candidati iscritti per la carica di supervisore distrettuale della Contea di Willoughby sono Susannah Wells Livingston, Donald Thomas Serrano e Shockey Toor. Per chi vota?

Lizzie scandì chiaramente: — Per Shockey Toor.

— Un voto per Shockey Toor. Ufficialmente registrato.

— L’ho fatto! — sospirò Lizzie con un sospiro. — Vicki, adesso tu.

Vicki votò. Jackson, non iscritto alla lista dei votanti della Contea di Willoughby sentì il petto serrarsi. Lizzie avrebbe avuto la sua vittoria, ma era l’unica che avrebbero ottenuto i Vivi. Lei non aveva idea delle forze che la struttura del potere in carica avrebbe messo in gioco appena avesse affrontato seriamente quella minaccia. Guardò i tristi boschi inzuppati di pioggia. Un chipmunk arruffato sfrecciò davanti a loro.

— Svelto! — disse Lizzie. — Richieda un totale aggiornato!

— Lizzie, sono soltanto le nove e tre minuti!

— D’accordo, allora, richiami un canale di notiziari.

Lo fece Vicki. Il Canale 14 si stava interessando della storia. Jackson vide l’immagine di una robocamera del familiare campo di alimentazione della tribù, vuoto. Erano entrati tutti per votare.

Una voce disse: — Qui, nel giorno delle elezioni straordinarie nella Contea di Willoughby in Pennsylvania, i cittadini stanno votando per la carica di supervisore distrettuale in un’insolita elezione. Uno dei tre candidati non è abituato a cariche pubbliche, e forse è anche inadeguato. Queste sono le elezioni che hanno acceso un dibattito nazionale su chi sia più adatto a servire il pubblico, su come vengono compilate le liste elettorali e su quali salvaguardie abbiano diritto di aspettarsi i politicamente innocenti contro i politicamente opportunisti. Per la prima volta, alla nostra telecamera è stato concesso di affacciarsi alla porta aperta di questa "comunità"per vederne i membri votare.

La robocamera zoomò verso la porta dell’edificio e si regolò per la scarsa luce all’interno. Lenti grandangolari mostrarono il terminale della tribù in un lato del grande spazio comune, appoggiato su una tavola coperta con un telo bianco, rosso e blu. Dall’altra parte c’era la tribù allineata per avanzare, uno alla volta, e votare. Centosessantadue Vivi si trascinavano in avanti, tenendo in braccio bambini, dandosi la mano.

— Ecco la mamma con Dirk! — squittì Lizzie. — E Billy. E Sharon con Callie. Shockey deve avere già votato, voleva andare per primo. — Passò un istante. — Ma perché sono così?

Jackson si sporse in avanti per guardare lo schermo.

Lizzie disse: — Perché sembrano tutti così strani?

La robocamera zoomò in avanti. Sharon Nugent, Franklin Caterino, Norma Kroll, Scott Morrison: un volto dopo l’altro appariva teso, insicuro. Fronti aggrottate, sguardi abbassati, respiro accelerato quando gli occhi si sollevavano verso la telecamera. Sharon stava aggrappata alla madre anziana e poi Sam Webster si avvicinò a tutt’e due.

— Ma che sta succedendo? — gridò Lizzie. — Dov’è Shockey?

La robocamera lo individuò, raggomitolato su una vecchia sedia da giardino, in un angolo buio. Shockey teneva le mani serrate in grembo. Quando alzò gli occhi sui votanti il suo viso si tese. Jackson avrebbe giurato che Shockey stesse tremando.

Qualcuno chiuse di scatto la porta dell’edificio dall’interno.

— In violazione agli accordi presi precedentemente, i Vivi hanno appena escluso la nostra robocamera — disse il giornalista fortemente dispiaciuto. — Adesso passiamo a un altro seggio tribale nella contea… No, anche questo edificio pare chiuso.

— Spegni. Passa ai totali — disse Vicki.

Erano le 9:17. Jackson trovò la tabella sul canale governativo, un diagramma silenzioso e spoglio:


VOTO POPOLARE

SUPERVISORE DISTRETTUALE CONTEA DI WILLOUGHBY

ELEZIONI STRAORDINARIE

SUSANNAH WELLS LIVINGSTON: 3

DONALD THOMAS SERRANO: 192

SHOCKEY TOOR: 2


Mentre guardavano vennero registrati altri due voti a favore di Donald Thomas Serrano.

— Stanno barando, loro! — gridò Lizzie. — Abbiamo visto la gente votare per Shockey.

— Abbiamo visto delle persone votare — la corresse Vicki. — Non possiamo sapere realmente per chi.

— Dev’essere un broglio!

Jackson rifletté rapidamente. I risultati non avevano alcun senso. Però Vicki aveva ragione, probabilmente, e il sistema non stava barando: nessuno avrebbe osato tanto. Un sistema truccato contro un candidato Vivo quel giorno poteva essere truccato a sfavore di un candidato Mulo in futuro. I notiziari avrebbero assoldato fantastici pirati informatici per portare a galla l’imbroglio. No. Stava succedendo qualcos’altro. Che cosa? Perché?

— Voli verso casa — ordinò Lizzie. — Forza, in fretta!

Jackson scambiò un’occhiata con Vicki, fece decollare il veicolo e tornò indietro. Durante il breve percorso, videro Donald Thomas Serrano catturare virtualmente ogni voto. Tutti votavano presto, come cittadini seri. Jackson fece atterrare l’aeromobile di fianco ai veicoli della stampa: nessuno lo degnò di attenzione finché non emerse Lizzie. Lei ignorò domande e commenti, correndo verso la porta principale. Jackson e Vicki la seguirono, mostrandosi di pietra.

La porta era bloccata.

Lizzie pronunciò i codici di sovrapposizione e si lanciò all’interno.

— Lizzie! — esclamò Annie. — Perché corri, tu? Che cos’è successo? — Annie strinse forte Dirk che cominciò a piangere.

— Cosa è "successo"? — gridò Lizzie. — Shockey sta perdendo! Nessuno vota per lui!

Annie indietreggiò di un passo e abbassò lo sguardo. "Annie" che rispondeva sempre all’insubordinazione con espressioni accigliate e ordini. Sollevò Dirk fino alle spalle. Il piccolo vide la madre e Vicki e si quietò, finché non notò Jackson. Immediatamente riprese a piangere, nascondendo la testa contro la spalla di Annie.

Vicki chiese con voce piatta: — Annie, hai votato?

Annie si fece piccola piccola e mormorò: — Sì.

— Hai votato per Shockey?

Muta, a disagio, Annie scosse la testa in un no.

Lizzie gridò: — Perché no? — Intanto Dirk continuava a piangere ogni volta che sollevava la testa dalla spalla della nonna e coglieva una nuova occhiata di Jackson.

Annie serrò la presa sul piccolo. — Io non… Shockey non è, lui… Mi dispiace, tesoro, ma è solo che… stiamo messi meglio, noi, con qualcuno che sa, lui, quello che sta facendo.

Jackson restò immobile. I modi di Annie gli rammentavano qualcosa che lui, così confuso, non riusciva a focalizzare. In un attimo avrebbe ricordato. Dall’altra parte della vasta zona comune, ora vuota di votanti, Billy Washington uscì dal loculo suo e di Annie. Il vecchio ben piazzato fece qualche passo esitante, si fermò, guardò Annie, avanzò di qualche altro passo e abbassò lo sguardo. Jackson vide che gli tremavano le mani, vide che si sforzava di avanzare.

"Theresa." Erano tutti… Billy, Annie e perfino Dirk… agivano come Theresa.

Perfino Shockey. Accucciato sulla sedia da giardino, nervoso e impaurito, fino al giorno prima ammalato di spavalda innocente corruzione che scopava la ragazza Mulo nel bosco…

La ragazzina che sniffava dall’inalatore.

— Uscite — disse in fretta a Vicki e Lizzie. — Adesso. Uscite dall’edificio all’istante. Vicki, porta Annie.

Vicki apparve sbalordita ma non protestò forse per il tono che aveva usato; afferrò Annie per un braccio e la trascinò verso la porta. — No, no — implorò Annie. — No, per favore. Non voglio uscire lì fuori, per favore…

— Forza — incoraggiò Jackson, afferrando l’altro braccio di Annie e aiutando Vicki a trascinarla via.

Lizzie chiedeva: — Cosa? Cosa succede? — ma li seguì.

Una volta fuori, Dirk guardò da sopra la spalla di Annie la zona aperta e si mise a gridare più forte. Lizzie lo prese in braccio. Jackson li fece affrettare, Annie senza nemmeno il cappotto, sotto la pioggia verso l’aeromobile. Scesero delle robocamere, e i reporter, chiusi nei veicoli in cui stavano consultando i risultati delle elezioni, sollevarono lo sguardo. Jackson fece infilare Annie sull’aeromobile e decollò.

— Va bene — disse Vicki. — Che cos’è?

— Non ne sono ancora sicuro — rispose Jackson. — Un neurofarmaco, penso. Gassoso. Soltanto… — Soltanto che il Depuratore Cellulare di Annie avrebbe dovuto fare effetto, ripulendo il suo corpo da molecole estranee non appena aveva smesso di respirarne. Annie, invece, continuava a farsi piccola piccola e a tremare, e Dirk a gridare e ad attaccarsi a sua madre. Se poi il neurofarmaco era stato diffuso all’interno dell’edificio, dovevano averlo respirato anche lui, Vicki e Lizzie. Lizzie invece appariva furiosa, Vicki allertata e lo stesso Jackson non si sentiva né tremante né ansioso. Quindi, se non era nell’edificio…

Atterrò con l’aeromobile e si girò per dare un’occhiata al sedile posteriore. — Annie, hai fatto colazione nell’area di alimentazione?

Annie scosse la testa e strinse insieme le mani con forza. Lo sguardo le dardeggiava da una parte all’altra e il petto le si alzava e abbassava rapidamente.

— Billy ha fatto colazione nella zona di alimentazione?

— Lui… lui è andato lì, lui, per prendere del terreno fresco per noi, privatamente…

— Ma non siete andati alla zona di alimentazione questa mattina?

Annie trasse un profondo respiro. — Io… dopo. Quando non c’erano più giornalisti e tutti gli altri erano andati dentro, loro… è uscito un po’ di sole e… Dirk ha bisogno di sole, lui. Siamo stati soltanto un po’ seduti lì, noi, con i vestiti addosso… non abbiamo… — Lasciò la frase a metà e guardò fuori dal finestrino, il bel volto florido terrorizzato. — La prego, dottore, mi porti… mi porti a casa…

Come Theresa. — Respiri profondamente, Annie. Ecco, metta questo cerotto — ordinò Jackson.

— No. Io… che cos’è? — Annie scosse la testa.

Jackson si rivolse a Vicki: — Applicale il cerotto.

La osservò attentamente. Annie… Annie! Non lottò.

Si ritrasse contro il finestrino dell’aeromobile e sollevò una mano in un flebile tentativo di schermarsi che Vicki, a occhi sbarrati, ignorò. Vicki applicò il cerotto sul collo di Annie. Annie si mise a piagnucolare.

Dopo qualche minuto, si mise a sedere più eretta, ma le mani rimasero serrate, il corpo teso. — Possiamo tornare a casa? Che sta succedendo qui, dottore? Per favore, ci riporti a casa!

Jackson chiuse gli occhi. Il cerotto era uno di quelli che si portava dietro per Theresa, che non lo avrebbe mai usato. Innescava il rilascio di ammine biogeniche che stimolavano il corpo a creare dieci neurotrasmettitori differenti. Quei neurotrasmettitori calmavano l’ansia e abbassavano le inibizioni verso stimoli percepiti come minacciosi. Il cerotto alleviava un po’ i sintomi di Annie, ma non li eliminava.

— Vicki, applica un cerotto anche a Dirk — ordinò. — No, aspetta, non farlo. — Il sangue e il cervello di Dirk ormai dovevano essere liberi da qualsiasi cosa avesse respirato all’accampamento, ma nonostante tutto lui continuava ad agire come un bambino gravemente inibito in preda a una forte crisi di ansia da estranei. Dirk, di solito, non era timido. Perché il neurofarmaco non perdeva il suo effetto?

— Era nel campo di alimentazione, vero? — chiese Vicki. — Lìzzie, ci sei andata questa mattina?

Lizzie domandò imperiosamente: — Di che state parlando, voi? Qualcuno ha fatto qualcosa a Dirk?

— Neanch’io mi sono alimentata nell’altra tribù — continuò Vicki. — Ero troppo agitata. Perché il Depuratore Cellulare non sta eliminando gli effetti su Dirk?

— Non so — rispose Jackson nello stesso momento in cui Lizzie si metteva a gridare: — Quali effetti? Che cos’è successo al mio bambino? — e Annie allungava una mano sopra il sedile per bussare sulla spalla di Jackson e dire con voce tremula: — Se qualcuno ha fatto del male a questo bambino, lui…

Vicki li ignorò tutti e digitò qualcosa sul terminale.


VOTO POPOLARE

SUPERVISORE DISTRETTUALE CONTEA DI WILLOUGHBY

ELEZIONI STRAORDINARIE

SUSANNAH WELLS LIVINGSTON: 104

DONALD THOMAS SERRANO: 1.681

SHOCKEY TOOR: 32


— Donald Serrano — disse Vicki. — Ha trovato un modo per vincere le elezioni, e nessuno ha pensato a qualcosa di diverso dalle bustarelle che ha diffuso in giro.

— No — commentò Jackson. — Non sappiamo come produrre una cosa simile.

— Produrre cosa? — gridò Lizzie.

Jackson alzò la voce per rispondere al di sopra della paura di Annie, dell’allarmismo di Lizzie, del piagnucolio di Dirk. — Come creare neurofarmaci che non vengano spazzati via immediatamente dal Depuratore Cellulare. Le riviste mediche, i miei amici medici che sono entrati nel campo della ricerca, tutti stanno cercando un prodotto simile. Un allucinogeno brevettabile, un’endorfina sintetica o un’altra droga di piacere che non debba essere inalata ogni pochi minuti. Per l’amor di Dio, scendi dall’aeromobile Vicki. Non posso sentirmi pensare.

Jackson e Vicki scesero dal veicolo. Jackson bloccò le portiere per evitare le domande impaurite di Annie e i tentativi di Lizzie di seguirli. Restò in piedi sotto la pioggia, mentre l’acqua gli colava nel collo, e cercò di riorganizzare i pensieri. — Nessuno nel campo della medicina è nemmeno vicino a questa scoperta straordinaria. Se qualcuno lo fosse, poi, un tale farmaco non sarebbe usato in un’elezione da quattro soldi come questa. Varrebbe miliardi.

— Allora chi è stato? — chiese Vicki. — Miranda Sharifi?

— Ma "perché"? Perché i Super avrebbero fatto una cosa simile?

— Non lo so.

L’aeromobile si scosse. Jackson guardò Lizzie che picchiava infuriata dall’interno del finestrino rigato di pioggia. Guardò una Annie solo parzialmente messa in condizione di tollerare la nuova situazione, e comunque solo per la durata del neurofarmaco presente nel cerotto. Guardò il neonato che agiva come una piccola Theresa, con la stessa timidezza di Theresa e la paura invasiva per tutto quello che era nuovo, tutto quello che era rischioso, tutto quello che era allontanamento da ciò che aveva sempre fatto.

Come fare elevare un Vivo a una carica politica.

— Chi è stato, Jackson? — chiese Vicky. — Chi è in grado di fare una cosa simile in più luoghi diversi? E come?

— Non so — rispose Jackson. Doveva essere Miranda, nessun altro possedeva una conoscenza neurobiologica così avanzata. E non poteva essere Miranda. Lei non rendeva le persone "meno" capaci!!

Non era così?

Doveva essere Miranda. Non poteva essere Miranda.

"Un’intera popolazione di Theresa."

— No lo so.

12

Lizzie strinse Dirk al petto con forza, fingendo di farlo per il bene del piccolo. Lei non aveva mai visto nulla del genere. Il dottor Aranow li aveva portati in volo nell’Enclave di Manhattan Est, attraverso lo schermo a energia-Y semplicemente come se non fosse esistito, ed era atterrato sul tetto del suo condominio. Soltanto che non si trattava di un condominio che Lizzie, cresciuta nel paese di Vivi di East Oleanta e da allora restata sempre per la strada, avrebbe riconosciuto come tale. Non avrebbe riconosciuto nemmeno il tetto. Era magnifico. Erba modificata geneticamente verde brillante, aiole di fiori delicati, panchine, strane statue e robot ancor più strani che lei avrebbe smaniato per poter ridurre in pezzi. Ma non l’avrebbe fatto. Non li avrebbe nemmeno toccati. Non era abbastanza sveglia. Era solo una sciocca Viva che aveva toppato: aveva perduto le elezioni, deluso la tribù e, in qualche modo, prodotto a suo figlio un danno che non capiva.

— Da questa parte — invitò Aranow, conducendoli attraverso il tetto che non era un tetto. L’aria era calda e priva di nuvole.

— "Oh, cosa c’è di raro come un giorno di giugno" — disse Vicki, cosa che non aveva senso perché erano in aprile. Vicki non sorrideva, ma non sembrava nemmeno confusa come si sentiva Lizzie. Be’, era ovvio, un tempo Vicki aveva vissuto in quel modo. Come aveva potuto lasciare tutto per andare a vivere a East Oleanta? Lizzie provò una vergogna oscura: non aveva mai immaginato che Vicki avesse lasciato "quello". Lizzie ricordava le volte in cui aveva tenuto a Vicki lezioni sul mondo, e il ricordo la fece rimpicciolire. Non sapeva abbastanza per dare lezioni ai Muli. Non sapeva proprio nulla.

E pensare che aveva saputo tutto, fino al giorno prima.

Il dottor Aranow aveva riportato Annie all’accampamento. In quel momento stava conducendo Lizzie, Dirk e Vicki in un ascensore che disse: — Salve, dottor Aranow.

— Salve. Al mio appartamento, per favore. Mia sorella è in casa?

— Sì — rispose l’ascensore. — La signorina Aranow è in casa. — Si fermò e la porta si aprì sulla stanza più bella che Lizzie avesse mai visto. Lunga e stretta, con lisce pareti bianche, pavimenti di pietra lucida grigio-argentata cosparsi di tappeti, un tavolino perfetto con delle rose (solo che non erano proprio rose, avevano strane foglie grigio-argento e un profumo incantevole) e un dipinto illuminato da una fonte di luce invisibile. Lizzie non sapeva cosa pensare del dipinto: due donne nude si alimentavano sull’erba e due uomini indossavano abiti inamidati vecchio stile di tessuto non consumabile. Gli uomini non dovevano avere fame.

— Il Manet originale, ovviamente — commentò Vicki, ma Aranow non rispose. Proseguì e quando loro lo seguirono, Lizzie si accorse che la magnifica sala dalle pareti bianche con le rose era solo un corridoio.

All’interno dell’appartamento c’era un altro corridoio e poi una stanza vera. Quella la lasciò impietrita. Una parete era costituita da uno schermo a energia-Y e dava su un parco verdissimo. Le altre pareti scintillavano di bianchi e grigi che si spostavano leggermente: dovevano essere schermi programmati. Forse anche il parco era un programma? Le sedie erano bianche e comode, i tavoli lucidati a specchio, c’erano strane piante sopra i tavoli e… una ragazza seduta su una dura sedia in legno che stava mangiando cibo per bocca, portato da una specie di robot che aveva una superficie piatta come se fosse un altro tavolo lucente.

— Theresa — disse il dottor Aranow e perfino attraverso la mortificata analisi di ciò che la circondava lei non sapeva niente, assolutamente niente! Lizzie si accorse della particolare gentilezza della voce di lui. — Theresa, non ti allarmare, ho portato soltanto delle persone per una riunione di affari.

La ragazza si ritrasse sulla sedia. Non era più vecchia della stessa Lizzie ma appariva impaurita e a disagio: per Vicki e Lizzie? Non aveva alcun senso. La ragazza aveva una nuvola di capelli biondo argentato ed era magrissima, vestita con uno strano e ampio abito a fiori che Lizzie avrebbe giurato fosse di tessuto consumabile. Come era possibile? Il vestito non mostrava buchi.

— Questa è Vicki Turner — presentò Aranow — Lizzie Francy e il figlio di Lizzie, Dirk. Questa è mia sorella, Theresa Aranow.

Theresa non rispose. A Lizzie sembrò che tremasse e respirasse a ritmo accelerato. Quella era un Mulo eppure a differenza di Vicki, a differenza dei reporter, a differenza delle ragazze Mulo a cui era piaciuto scopare con Shockey quando era candidato, Theresa sembrava…

Theresa sembrava quello che ormai sembravano anche Shockey, Annie e Billy.

Vicki e il dottor Aranow scambiarono uno sguardo, qualcosa che Lizzie non riuscì a interpretare, e Vicki disse delicatamente: — Signorina Aranow, le piacerebbe vedere il bambino?

La bizzarra paura di Theresa sembrò attenuarsi un poco. — Oh, un bambino. Sì, grazie…

Il dottor Aranow prese Dirk da Lizzie, fortunatamente adesso stava dormendo, e lo mise fra le braccia di Theresa. Theresa lo guardò assolutamente deliziata e poi, lasciando Lizzie sbalordita, cominciò a piangere. Niente singhiozzi, soltanto pallide lacrime che le scendevano lungo le pallide guance.

— Potrei… Jackson, potrei tenerlo io mentre fate la vostra riunione?

— Certamente — rispose Vicki, e Lizzie provò una fitta di risentimento. Dirk era "suo" figlio, quella ragazza, quella Mulo Theresa che viveva circondata da tutto e in più voleva anche il figlio di Lizzie, quella Theresa non aveva nemmeno "chiesto" a Lizzie se poteva tenere Dirk. E, a vederla, Theresa era una debole. "Lei" non sarebbe durata tre minuti se avesse dovuto usare il cervello per mantenere un’intera tribù trafugando beni con mezzi informatici.

— Saremo qui in camera da pranzo, Theresa — disse Jackson e prese per un braccio sia Vicki, sia Lizzie.

La sala da pranzo non era un terreno di alimentazione, ma una sala dotata di una tavola con dodici alte sedie, immobili robot-domestici e altre immense piante dallo strano aspetto che dovevano essere modificate geneticamente. Da una parete scendeva a cascata dell’acqua: non una programmazione, acqua vera. Il tavolo lucido era spoglio. A Lizzie brontolò improvvisamente lo stomaco.

Disse, e per qualche stano motivo le parole le uscirono dalla bocca in modo violento: — Non avete nemmeno un terreno di alimentazione?

— Sì — rispose distrattamente il dottor Aranow — ma sarebbe meglio che noi… hai fame? Jones, colazione per tre, per favore. Quello che sta prendendo Theresa.

— Certamente, dottor Aranow — rispose la stanza.

— Caroline, attivati, per favore.

Lizzie non vide alcun terminale, ma una voce diversa disse: — Sì, dottor Aranow.

— Hai un sistema personale Caroline VIII — commentò Vicki. — Sono davvero impressionata.

— Caroline, chiama Thurmond Rogers alla Kelvin-Castner. Digli che si tratta di una chiamata prioritaria.

— Sì, dottor Aranow.

Lui si rivolse a Vicki. — Thurmond è un vecchio amico. Ci siamo diplomati insieme all’università di medicina. È ricercatore nello staff della Kelvin-Castner Pharmaceutical, il suo dipartimento è una magnificenza. Ci aiuterà.

— Aiuterà a fare che cosa? — chiese Vicki, ma Lizzie non sentì la risposta. Nell’altra stanza, Dirk cominciò a piangere. Lizzie corse da lui. Theresa teneva in braccio il piccolo senza sapere cosa fare, cullandolo dolcemente e cantilenando, mentre Dirk piangeva in preda alla paura e cercava di scapparle dal grembo.

Lizzie lo prese. Improvvisamente provò un sentimento di minore avversione nei confronti di Theresa. Dirk nascose il volto contro la spalla della madre e la strinse forte. — Non ci resti male — disse Lizzie. — Fa così soltanto perché non la conosce.

— È… è timido con gli estranei?

— Fino a questa mattina no!

Le due ragazze si fissarono. Lizzie si rese conto improvvisamente di quale effetto dovessero fare a un osservatore esterno: Theresa modificata geneticamente, bella ed elegante col suo grazioso abito, Lizzie con fango e foglie bagnate appiccicate sulla tuta sporca, nei capelli e incollate sulla faccia di suo figlio. Tuttavia era Theresa che aveva paura. Lizzie tirò via un ramoscello dai capelli di Dirk.

— Stamattina è successo qualcosa — disse impulsivamente a Theresa. — Il dottor Aranow dice che potrebbe essere un neurofarmaco sparso nel nostro terreno di alimentazione. Ha impaurito tutti sulle cose nuove. Perfino di votare per Shockey! E avevamo lavorato così sodo! Maledetto e fottutissimo inferno!

Theresa si contrasse ma chiese: — Impauriti di tutte le cose nuove? Vuole dire come… come me?

Ecco che cosa c’era di storto in quella ragazza. Aveva respirato un neurofarmaco come quello che avevano respirato Annie, Billy e Dirk. Ma il dottor Aranow aveva detto che non sapeva di che farmaco si trattasse, era qualcosa che nessun Dormiente avrebbe potuto inventare, e quindi come aveva potuto Theresa…

— Devo tornare indietro — disse repentinamente. — Il dottor Aranow sta chiamando un posto dove si fanno ricerche. — Portò Dirk con sé nella sala da pranzo.

La tavola mostrava piatti di cibo per bocca, anche se Lizzie non aveva visto passare alcun robot. Fragole, grosse e succulente, pane con frutta e noci cotte, soffici uova strapazzate: Lizzie non aveva più mangiato un uovo dall’estate precedente. Le venne l’acquolina in bocca. L’istante dopo, aveva già dimenticato il cibo.

Una sezione della parete programmata era sprofondata in una nicchia da olopalco. Lizzie non aveva mai visto una tecnologia simile. Un uomo della stessa età del dottor Aranow, con un bel volto e lucidi capelli color nocciola disse: — Sembra incredibile, Jackson.

— Lo so, Thurmond, lo so. Ma credimi, conoscevo quelle persone da prima, il cambio di comportamento è stato radicale e improvviso…

— Come facevi a conoscere così bene dei Vivi? Non sono tuoi pazienti, no? Non sono Cambiati?

— Sì. Non ha alcuna importanza come faccio a conoscerli. Ti assicuro che il cambiamento appare di tipo neuro farmaceutico, non diminuisce dopo che è terminata l’inspirazione e non è accompagnato da disturbi gastrointestinali o da svenimenti. Dovresti vederlo, Thurmond. E io ho bisogno che tu lo veda.

L’ologramma tamburellò con le dita su un computer. — Va bene. Cercherò di interessare Castner, se ci riesco. Portami qui due campioni, il bambino e un adulto.

Campioni?

— Quando? — chiese il dottor Aranow.

— Be’, non posso… oh, che diavolo, questo pomeriggio. Sei sicuro, Jackson, che l’effetto comportamentale non si attenui con il cessare dell’inalazione? Senza questo particolare, non ho tempo da sprecare con…

— Sono sicuro. Potrebbe avere un grande valore per te, Thurmond.

— Vuoi stilare un contratto a percentuale, se le possibilità commerciali dovessero rendere? Il nostro tasso standard è…

— Può aspettare. Saremo lì fra qualche ora. Allerta il tuo sistema di sicurezza. Io e tre Vivi che…

— Tre?

— La madre del bambino deve venire e non ha respirato il neurofarmaco, quindi ci saranno due adulti.

— D’accordo. Fagli fare un bagno, prima.

Jackson lanciò un’occhiata in tralice a Vicki. Quel Thurmond Rogers, quel fottuto stupido Mulo che pensava che i Vivi non si lavassero nemmeno, disse tagliente: — Sono lì con te adesso, Jackson? In casa "tua"?

Vicki si pose davanti all’olopalco. Sollevò delicatamente una fragola con due dita. Aveva una tuta sporca di fango come quella di Lizzie, ma più vecchia. I suoi occhi viola modificati geneticamente sfavillarono. — Sì, Thurmond, siamo qui, adesso. Ma non c’è problema, ci siamo spulciati.

— Lei chi è? — chiese Thurmond.

Vicki gli sorrise dolcemente e mordicchiò la fragola. — Non ti ricordi di me, Thurmond? Alla festa in giardino da Cazie Sanders? L’anno scorso?

— Jackson, che sta succedendo lì? Lei è un Mulo, perché…

— Saremo in cinque a venire alla Kelvin-Castner — disse Vicki. — Io sono la balia del bambino. Ci vediamo dopo, Thurmond. — Si spostò.

Thurmond cominciò: — Jackson…

— Allora a mezzogiorno — terminò in tutta fretta il dottor Aranow. — Grazie, Thurmond. Caroline, è tutto.

L’olopalco si spense. Lizzie guardò il dottor Aranow e Vicki squadrarsi a vicenda. Spostando Dirk sull’altra spalla, si stava facendo pesante, Lizzie aspettò di sentire Vicki strillare contro il dottor Aranow per avere permesso a Thurmond Rogers di chiamarli "campioni", o di sentire il dottor Aranow strillare contro Vicki per essersi intromessa nella sua chiamata. Invece, tutto quello che disse il dottor Aranow fu: — Hai incontrato Thurmond Rogers con Cazie?

— No — rispose Vicki. — Non l’ho mai visto prima in vita mia. Ma adesso scandaglierà il suo cervello chiedendosi dove fosse quella festa in giardino.

— Ne dubito.

— Io no — commentò Vicki. — Non sai davvero come si giocano queste partite, eh, Jackson?

— Non pensavo che stessimo giocando.

— Be’, di certo non sul neurofarmaco. A proposito, chi sarà il nostro campione adulto? Lizzie, non stare lì come una beota a guardare e sbavare. Se hai fame mangia delle fragole. Modificate geneticamente e squisite.

Lizzie voleva dire no: come era possibile che Vicki stesse spadroneggiando con tutti lì intorno, perfino in casa del dottor Aranow? Aveva troppa fame, però. Si sedette stancamente su una delle magnifiche sedie intagliate, con Dirk appoggiato alla spalla, e si servì tutto quello che era in grado di raggiungere.

— Torneremo in volo all’accampamento e prenderemo Shockey — annunciò il dottor Aramow.

— Perché Shockey? — chiese Vicki. — Anche Billy ha respirato il neurofarmaco e sarà molto più disponibile. Oppure Annie.

— No. Billy è troppo anziano e su Annie ho applicato un cerotto, cambiando le condizioni originali. Thurmond non li considererà soggetti ideali. Inoltre i cambiamenti comportamentali di Shockey mi sono sembrati i più pronunciati: deve esserci un’influenza sulle amigdale.

— Le cosa? — chiese Lizzie, per rammentare loro che c’era anche lei. Dirk si agitò e Lizzie lo spostò in grembo per dargli una fragola.

Il dottor Aranow le rispose: — È una parte del cervello che agisce sulla paura e sull’ansia. Che c’è che non va con Dirk?

Dirk si mise a strillare in braccio a Lizzie. Spinse coi piedi e ritirò le braccia al corpo. Contrasse il volto. Si divincolò fra le sue braccia, cercando di scendere, cercando freneticamente di scappare. Nel suo pianto si notò il tono della pura paura animale quando Lizzie lo aveva esposto a qualcosa di nuovo nella sua esperienza, qualcosa che non aveva mai visto prima: una fragola rossa e perfettamente matura.


— Sta dormendo — disse Vicki. — Vieni, Lizzie.

— Venire dove? — Lei non voleva lasciare Dirk. Il piccolo era steso sul pavimento del salottino del dottor Aranow su una soffice coperta multicolore che Vicki aveva preso da uno dei divani bianchi. Dirk aveva strillato e si era agitato talmente che il dottor Aranow alla fine gli aveva applicato un piccolo cerotto sul collo. Solo per farlo dormire, aveva detto. Lizzie era seduta sul divano che le si era modellato attorno al fondoschiena in modo confortevole e lanciò un’occhiataccia a Vicki. Il dottor Aranow, inizialmente, non era disposto ad andare da solo a prendere Shockey. Lizzie non sapeva che cosa gli avesse detto Vicki per convincerlo, o perché Vicki era rimasta lì, o come avrebbe fatto lei stessa ad adattarsi, per il resto della vita, a un bambino che si terrorizzava per una fragola. Era sfinita.

— Voglio parlare con Theresa — disse Vicki. — Non vuoi approfittare per curiosare nei sistemi di qui? Aranow ha un Caroline VIII.

Un Caroline VIII. Lizzie ne aveva solo sentito parlare. All’improvviso desiderò entrare in quel sistema più di qualsiasi altra cosa in vita sua. Poteva trafugare dati da quel sistema. Quel sistema, a differenza di tutto quello che ultimamente le era esploso nella vita, avrebbe potuto capirlo.

— Dirk sta bene e il cerotto durerà per ore. Vieni, Lizzie. Stabiliamo una testa di ponte.

Lizzie non aveva la minima idea di cosa fosse una testa di ponte e non lo chiese. Tuttavia seguì Vicki fino alla sala da pranzo, tanto vicino a Dirk da poterlo sentire. Il cibo per bocca ricopriva ancora la tavola.

— Il sistema di Jackson sarà regolato sulla sua voce — disse Vicki e Lizzie rise, allungando la mano verso un piatto.

— Pensi davvero che questo possa fermarmi?

— Apparentemente no. Ci vediamo dopo. Vado a cercare Theresa.

Lizzie mangiò affamata. Era tutto così buono! Perfino i piatti erano belli, di un materiale strano e sottile e orlati d’oro. E i bicchieri. E le posate d’argento. Dopo che Lizzie ebbe mangiato tutto quello che poteva, lanciò furtivamente un’occhiata attorno. In tutta fretta fece scivolare un cucchiaino d’argento nella tasca della tuta.

Poi cominciò con il sistema di casa, Jones. Come previsto, prevedeva un accesso diretto al sistema privato di Jackson, protetto in maniera ridicola. Dilettanti. Tutto quanto riguardava Jackson era a disposizione di Lizzie.

A Lizzie scintillarono gli occhi. Se Vicki non fosse riuscita a trovare Theresa, o non fosse riuscita a farla parlare, Lizzie avrebbe saputo tutto su Theresa dal sistema personale di lei. Poi, quando Vicki avesse detto che non era stata in grado di scoprire qualcosa, Lizzie avrebbe potuto rivelare casualmente le informazioni. Ne avrebbe saputo effettivamente più di Vicki.

Il sistema personale di Theresa, Thomas, conteneva file a calendario, file medici (Theresa aveva preso davvero preso tutte quelle medicine quando era piccola? e che cos’erano?), conti correnti. Lizzie annotò i loro numeri e i codici di ingresso. Selezioni di programmazione delle pareti, richieste di libri, comunicazioni vocali (quasi nessuna: Theresa non aveva amici?). Ordini a Jones, schizzi di vestiti, ma non aveva un file-diario? No, però c’era un libro che stava dettando.

Lizzie sbuffò. Le reti dei Muli erano sempre stipate di libri. Fra tutti gli usi di un sistema, quello le sembrava il più stupido. Chi voleva sentire cose mai successe o successe tanto tempo prima e ormai morte e sepolte? Il presente così come era offriva anche troppo da assimilare. Lizzie esaminò velocemente il file, finché notò le parole "Siringa del Cambiamento".

Si fermò a quel punto. — Thomas, leggimi quella sezione.

Il sistema disse: — "Leisha Camden non vide mai le siringhe del Cambiamento che creò Miranda. Leisha era già morta. Tutti pensano che Leisha avrebbe apprezzato le siringhe del Cambiamento, perché aveva detto a Tony Indivino che avrebbe dato molti soldi ai poveri mendicanti di Spagna. Tutti pensano che Leisha avrebbe apprezzato ogni cosa che avesse dato ai poveri mendicanti come i Vivi un modo per ottenere il cibo. Io però non penso che Leisha avrebbe apprezzato le siringhe del Cambiamento. Lei sapeva che le persone hanno bisogno del cibo ma che hanno ancora più bisogno di altre cose come un significato nella vita."

"Poveri mendicanti come i Vivi?" Lizzie non aveva mai mendicato in vita sua! Se voleva qualcosa, usciva e se lo prendeva oppure lo trafugava dalla Rete. — Thomas, riassumi i contenuti del file.

— Questo file contiene un libro dettato da Theresa Aranow. È stato iniziato il 19 Agosto 2118. Si tratta di una biografia di Leisha Camden, 2008-2114, una dei primi ventuno Insonni creati tramite modificazione genetica negli Stati Uniti. Il libro ripercorre l’intera vita di Leisha Camden, a iniziare dalla sua nascita a Chicago in Illinois, e…

— Mi basta. Collegamenti del file?

— Uno. Al notiziario file 65. Con accesso limitato.

Accesso limitato. Un file su un notiziario? Ma se erano pubblici. — A quale accesso è limitato il file?

— Alla stampante nello studio di Theresa Aranow.

A Lizzie occorsero tre minuti per accedere al file.

— Mostra immagini sullo schermo più vicino.

I colori della parete della camera da pranzo si dissolsero. Al loro posto apparvero delle immagini con didascalie. Immagini orribili, una dopo l’altra, ognuna esibita per trenta secondi prima di dissolversi nella successiva. Lizzie non fu in grado di leggere le didascalie ma riconobbe le immagini. Però non ne aveva mai viste così tante in un singolo posto.

Bambini con ventri gonfi e chiazzati. Bambini con gli occhi che lacrimavano sangue. Bambini stesi con gli occhi vacui e gli arti ossuti afflosciati. Bambini raggrinziti come mele rinsecchite, le bocche aperte su gengive gonfie e prive di denti. Bambini nonCambiati, non protetti contro la malattia o la carestia. "Tanti" bambini nonCambiati.

Lizzie si precipitò in salotto. Dirk giaceva addormentato sulla coperta a colori vivaci che, Lizzie notò a quel punto, le sue gambette paffute stavano consumando. La boccuccia rosata si muoveva come se succhiasse, mentre dormiva.

Tornò nella sala da pranzo e guardò altre immagini. Bambini nonCambiati ammalati. Bambini non-Cambiati morenti. Bambini nonCambiati morti: tutti bambini Vivi. Lizzie chiuse gli occhi. Quanti bambini nonCambiati c’erano già negli Stati Uniti? Se lei non avesse avuto una siringa per Dirk… Perché nessuno faceva qualcosa in proposito?

E perché Theresa Aranow, ricca, modificata geneticamente, protetta, al sicuro, si preoccupava di quei bambini Vivi?

Lizzie comprese la risposta a quell’ultima domanda. La paura di Theresa per ogni novità. I suoi scarsi amici. Il cibo per bocca. La coperta che Dirk stava consumando. Theresa era nonCambiata.

Ma com’era possibile? Theresa era un Mulo. E aveva l’età di Lizzie. C’erano state moltissime siringhe del Cambiamento in giro anche solo due anni prima. Ce ne erano ancora molte per i Muli? Forse in determinati posti. Lizzie non lo sapeva per certo. Nulla di tutto ciò aveva alcun senso.

Il sistema disse con la rigida voce di Jones: — Signorina Aranow, il dottor Aranow è in ascensore. — Nello stesso istante, Lizzie sentì Vicki che tornava dalla sala da pranzo.

Lizzie spense immediatamente il sistema. Non sapeva perché, però Vicki non doveva vedere quelle immagini. Era una cosa stupida perché Vicki era l’amica più cara che aveva al mondo, Lizzie doveva tutto a Vicki, e inoltre Vicki era sempre al corrente delle ultime notizie e probabilmente sapeva già tutto. Vicki era sempre un Mulo, comunque. Lizzie non voleva che vedesse quei patetici, orribili bambini Vivi nonCambiati. Non in quella ricca casa di Muli.

— Non sono riuscita a trovare Theresa — annunciò Vicki contrariata. — O meglio, suppongo di averla trovata, nascosta in una stanza al piano superiore, ma non sono riuscita a sbloccare la serratura. Perché non sei venuta con me? E cos’è tutto questo rumore?

— Il dottor Aranow è tornato.

— Da solo? Dov’è Shockey? Hai trovato i codici di accesso?

— Sì.

— Allora andiamo a salutare le truppe sui comodi bastioni.

— Fra un minuto — rispose Lizzie. — Io vorrei… vorrei ancora un pezzo di pane.

— Ghiottona metabolicamente versatile — disse Vicki e lasciò la stanza.

— Thomas — fece Lizzie a voce bassa — modalità messaggio personale per Theresa Aranow. Urgente.

— Parli pure.

— Ho visto le immagini dei bambini Vivi. Lei deve trovare Miranda Sharifi e fare sì che ci fornisca altre siringhe del Cambiamento. Lei è un Mulo, ha tutti questi soldi, può arrivare a Miranda, lei, in modi che noi non possiamo, noi… — Lizzie lasciò spegnere le parole. Come lo avrebbe firmato? Perché firmare? Che diavolo pensava di fare, mendicare l’aiuto di una ragazza Mulo tanto codarda che non riusciva nemmeno a lasciare il proprio appartamento?

— Thomas, cancella messaggio personale urgente.

— Codice di cancellazione personale, per favore?

Non c’era tempo. Jackson e Vicki si avvicinavano alla porta.

— Thomas, chiudere. — La parete si spense.

— Andiamo, Lizzie — disse stancamente il dottor Aranow. — Non sarà pesante, te lo prometto. Qualche registrazione del comportamento, una scansione cerebrale, poi vi addormenteranno brevemente per prelevare campioni di tessuto. Non farà alcun male.

— Dov’è Shockey?

— Nell’aeromobile. Non ha voluto lasciarla nemmeno con un cerotto tranquillante addosso. Prendi il piccolo e andiamo.

— Billy e mia madre stanno bene?

— Sì. No. Sono come quando li hai visti tu.

— Come hai fatto a convincere Shockey a venire con te? — chiese Vicki.

— Non è stato facile. Si è messo a piangere.

Lizzie cercò di immaginare Shockey che piangeva. Il grosso, rude e baldanzoso Shockey. — Nessuno ha cercato di fermarla?

— Sì. Più o meno. Billy ci ha provato, insieme a qualcun altro. Io però ho cominciato semplicemente a comportarmi in modo strano e tutti si sono spaventati molto, indietreggiando. Ho afferrato Shockey, gli ho applicato un tranquillante e me lo sono trascinato dietro. In lacrime. — Il dottor Aranow si passò una mano fra i capelli. Lizzie non aveva mai immaginato che un Mulo potesse apparire così stremato e "sconvolto".

Con il tono di voce più gentile che Lizzie le avesse mai sentito usare con chiunque, a parte Dirk e lei stessa, Vicki disse: — Dovresti dormire, Jackson.

Lui scoppiò a ridere brevemente. — Oh, sì. Risolverebbe ogni cosa. Forza, Lizzie, Thurmond Rogers sta aspettando.

Prima ancora di rendersi conto di parlare, Lizzie disse: — Prima però devo fare un bagno, e anche Dirk.

— Non puoi…

— Oh sì che posso, io, e lo farò.

Vicki le sorrise. A Lizzie occorse qualche istante per capire il motivo. Vicki aveva pensato che lei volesse fare il bagno per dare al dottor Aranow il tempo per riposare. Col cazzo. Lei voleva fare il bagno prima di affrontare Thurmond Rogers e la sua società di snob. Lei e Dirk. Vicki poteva presentarsi anche come un pezzo di bosco, ma era una cosa diversa. Vicki era un Mulo.

A Lizzie sembrò di non essersi mai resa conto, fino a quel momento, di cosa significasse davvero quella differenza.

— D’accordo, d’accordo — concesse il dottor Aranow. — Fai un bel bagno. Però sbrigati.

— Lo farò — promise Lizzie. E lo avrebbe fatto. Era preoccupata per Annie e Billy. Si sarebbe lavata e avrebbe lavato Dirk più in fretta possibile.

E forse, intanto, si sarebbe inserita in tutte le parti del sistema a cui poteva accedere dal bagno.

Interludio

DATA TRASMISSIONE: 3 Aprile 2121

A: Base Selene, Luna

VIA: stazione Terrestre di Chicago N°2, Satellite CEO 342 (Old Charter) (USA)

TIPO MESSAGGIO: Non codificato

CLASSE MESSAGGIO: Classe D, Accesso Servizio Pubblico, in accordo con la Legge Congressuale 4892-18, Maggio 2118

GRUPPO DI ORIGINE: Associazione Medica Americana

MESSAGGIO:


Lettera aperta a Miranda Sharifi,

noi, medici dell’Associazione Medica Americana, vorremmo chiederle ancora una volta tutti insieme che, come atto umanitario, lei renda disponibile alle popolazioni del mondo la sostanza medica di sua proprietà, il Depuratore Cellulare™. In quanto medici, tutti noi assistiamo quotidianamente alla sofferenza personale e al disordine sociale creati dall’improvvisa mancanza di tale farmaco. Siamo ai limiti della tragedia. Le conseguenze a lungo termine per il nostro paese, che è anche il suo, sono le più gravi immaginabili.

La preghiamo di riconsiderare la sua decisione di non elargire i mezzi per alleviare cosi grandi sofferenze.

Margaret Ruth Streibel

Presidentessa AMA

Ryan Arthur Anderson

Vicepresidente AMA

Theodore George Milgate

Segretario AMA

e i 114.822 membri dell’Associazione Medica Americana.

CONFERMA RICEZIONE: Nessuna

13

Il mezzo telecomandato si abbassò sopra gli alberi, non più veloce di un uccello e di massa non maggiore. La piccola videocamera mostrava l’enclave sottostante, sempre più grande. Jennifer Sharifi, nel suo studio al Rifugio, si sporse verso lo schermo.

Aveva reso opaca la parete dello studio che dava sullo spazio profondo. Per il momento, non voleva competizione con le stelle. Esattamente come non voleva compagnia, nemmeno di suo marito Will. Soprattutto non di Will. Il resto della squadra impegnato nel progetto osservava il test dai Laboratori Sharifi. A Jennifer sembrò di essersi meritata quella soddisfazione personale.

L’enclave di California si avvicinò sempre di più. Fino a quel momento si erano occupati di sedici accampamenti di Vivi, ma erano stati soltanto tentativi preliminari. Quella era la prima enclave di Muli che sarebbe stata penetrata dal virus di Strukov, e la prima su cui testare il veicolo telecomandato, il mezzo di diffusione, decisamente più sofisticato, creato dal fornitore peruviano di Jennifer. Per infettare i Vivi era stato necessario trafiggere solo una tenda di plastica. Le enclavi protette dagli scudi a energia-Y erano tutt’altra questione. L’enclave California era, fondamentalmente, un primo passo abbastanza facile.

— Cinquantotto minuti — annunciò una voce priva di inflessione da un differente terminale inserito in un angolo, dall’altra parte della stanza. Jennifer non si voltò.

L’enclave al nord della California era piccola, originariamente soltanto una colonia per le vacanze arroccata sulla costa del Pacifico. Quattrocentosettanta Muli vivevano sotto uno scudo a energia-Y che si estendeva per quattrocento metri al di sopra dell’oceano, fissandosi poi profondamente nel fondale. Sotto la cupola invisibile c’erano lussureggianti giardini modificati geneticamente, una spettacolare spiaggia artificiale, case nanocostruite di fantastiche dimensioni e lusso e soltanto armamenti di secondaria importanza. Durante le Guerre del Cambiamento, la sicurezza era stata potenziata, ma la difesa no. Perché mai doveva verificarsi un attacco in forza contro una piccola enclave di vacanza formata per la maggior parte da anziani in pensione? I ladri non erano in grado di penetrare oltre uno scudo a energia-Y. Non era necessario altro.

Alle enclavi, tuttavia, piacevano gli uccellini. Gabbiani, condor, picchi, passerotti e altri uccelli marini esotici modificati. Non c’era alcun motivo per temere gli uccelli. I Vivi non possedevano la tecnologia necessaria per una guerra batteriologica, non erano in grado di rubarla e, semmai ci fossero riusciti, nemmeno di comprenderla. Tutti lo sapevano. A diciassette metri dal suolo, lo scudo permetteva l’ingresso agli uccelli.

Il mezzo telecomandato attraversò lo scudo, lento quanto un uccello. Nessuno lo notò. Lentamente, il veicolo scese, mentre il suo zoom mostrava un numero crescente di dettagli. L’ultima immagine venne trasmessa da dodici metri sopra un giardino elegante, color porpora: piscina dall’acqua violetta, cespugli di fiori viola, di cui perfino gli steli riprendevano sfumature lavanda, malva, lilla, orchidea o eliotropo. Un coniglio color prugna, modificato geneticamente, sollevò gli occhi violetti verso il cielo. Le lenti mostrarono le pupille scure e dolci degli occhi, inchiostro su seta dipinta.

Il mezzo telecomandato esplose senza rumore. Una sottile nebbiolina ricoprì un’area molto più vasta di quanto si sarebbe immaginato. Nello stesso istante, tutti i resti della sonda si dissolsero negli atomi che li componevano. Le brezze artificiali dell’enclave, unite a quelle naturali provenienti dall’oceano, diffusero ulteriormente la nebbiolina. Nell’enclave c’erano costantemente ventotto gradi: le finestre delle ville lussuose erano aperte per consentire all’aria profumata di fiori di entrare. Su uno schermo alla destra di Jennifer, suonò un campanello.

— Signora Sharifi, una chiamata da parte del dottor Strukov.

Jennifer si voltò verso lo schermo. Prima ancora di accettare la chiamata, l’ologramma di Strukov era lì, dimostrando, senza bisogno di parole, la superiorità dei codici di sovrapposizione dello scienziato. Jennifer non si permise di lasciar trapelare reazioni.

— Buon giorno, signora Sharifi. Ovviamente, ha visto la trasmissione.

— Sì.

— Senza alcun problema, vero? Confido che il pagamento sia stato accreditato a Singapore.

— Sì.

— Bene, bene. E il programma di consegna rimane inalterato?

— Sì. — Altre enclavi da usare come test, meglio protette, per arrivare fino ai bersagli militari e governativi. Quelli erano i più difficili da penetrare e i più cruciali. Se Strukov fosse riuscito a infettare le enclavi federali di Brookhaven, Cold Harbor, Bethesda, New York, e Washington Mall, e le basi militari in California, Colorado, Texas e Florida, avrebbe infettato qualunque cosa.

La porta dello studio si aprì e si chiuse. Contro i suoi espressi desideri. Will si rivolse all’immagine di Strukov: — Al momento procede tutto benissimo ma ovviamente non abbiamo ancora alcuna prova che questa versione del suo virus funzioni.

Lei non era mai riuscita a insegnare a Will il vantaggio tattico che si otteneva non mostrando rivalità.

— Ma certo che funzionerà — rispose Strukov. Sorrise mostrando una dentatura perfetta. — Dubita forse del meccanismo di diffusione? Quella è una responsabilità che non riguarda me, ma i vostri tecnici peruviani. Forse dovreste sottoporre i dubbi su quella tecnologia alla vostra brillantissima nipote, Miranda Sharifi.

— Questo è quanto, dottor Strukov — concluse Jennifer.

A bientôt, madame.

— Non mi fido di lui — commentò Will quando la comunicazione si interruppe.

— Non c’è alcun motivo per non farlo — rispose calma Jennifer. Avrebbe dovuto riconsiderare la posizione di Will Sandaleros come socio e come marito. Se non riusciva a trattenere il suo disprezzo e la sua gelosia…

— Non vuole ancora consegnare un campione del virus ai Laboratori Sharifi per un’analisi. I nostri esperti genetici non riescono a produrre alcun modello ipotetico congruente. La biochimica del prodotto e così maledettamente indiretta…

— Abbiamo chiesto noi che avesse effetti indiretti — commentò Jennifer. Parlò allo schermo. — Modalità notiziari. Canale 164. — Era una delle stazioni di Muli più affidabili e trasmetteva da New York.

— Io continuo a non fidarmi di lui — ripeté Will.

— Cinquanta minuti — annunciò il terminale nell’angolo.

— Scontri fra i Vivi dell’Iowa — iniziò il giornalista. — La polizia ha assicurato tutti i canali che non c’è pericolo per l’enclave di Peoria o per le agri-aree protette dell’Illinois meridionale. Le robocamere che controllano gli scontri mostrano il coinvolgimento di vari accampamenti dei Vivi, forse anche alleati. La causa, come in ogni parte nel paese, sembra essere la carenza di siringhe del Cambiamento negli sfortunati accampamenti dei Vivi…

Jennifer si concentrò sulle immagini, trasmesse senza tagli se si eccettuava la selezione a rotazione rapida fra diverse telecamere. Un attacco durante il giorno da parte di trenta o quaranta Vivi in uno dei loro squallidi piccoli "accampamenti". I Vivi residenti erano seduti nudi sotto il telo di plastica trasparente del loro terreno di alimentazione. Perché non si erano trasferiti a sud per l’inverno, come tanti altri? Non importava. Il secondo gruppo di Vivi, vestiti di vecchi abiti sintetici un tempo forniti dal governo e di bizzarri assortimenti di stoffe consumabili tessute a mano, arrivarono di corsa e aprirono il fuoco. La gente prese a gridare, il sangue zampillò in schizzi rossi contro il basso telo di plastica. Un bambino strillò prima di venire ammazzato.

Jennifer bloccò l’immagine e la esaminò. Gli attaccanti erano armati con AL-72, armi d’assalto militari. Ciò significava che avevano alleati Muli oppure che avevano trafugato le armi da arsenali federali o statali, più probabilmente da quelli statali. I loro pirati informatici diventavano sempre più arditi e, mentre acquisivano più conoscenze e più armi, divenivano potenzialmente più pericolosi non solo per i Muli ma anche per le finanziarie del Rifugio con sede negli Stati Uniti e, in fondo, per lo stesso Rifugio.

— …un altro gruppo di Medici per Aiuti Umanitari sono già partiti per la zona delle tre contee da…

— Quaranta minuti — scandì il terminale nell’angolo.

Jennifer cambiava i canali dei notiziari con regolarità da metronomo, due minuti per uno. Ovviamente, determinati programmi-scandaglio le presentavano ogni ora dei riassunti. Tuttavia era importante tenersi aggiornati personalmente per cogliere quelle sfumature di toni che i riassunti non potevano evidenziare.

Un’incursione di Vivi nell’Enclave di Miami: trenta siringhe del Cambiamento rubate, cinquantadue persone morte. Altre immagini di bambini nonCambiati in Texas che morivano per un virus o una tossina sconosciuti. Il Presidente Garrison dichiarava lo stato di emergenza che le enclavi, che si governavano praticamente da sole, avrebbero ignorato. Nuove trasmissioni verso Selene che scongiuravano Miranda di inviare altre siringhe del Cambiamento. Un nuovo bizzarro culto religioso in Virginia, particolare in quanto formato da Muli e non da Vivi: credevano che Gesù Cristo preparasse la Terra per il ritorno di angeli dalla Nebulosa di Orione.

Jennifer guardò tutto con compostezza, senza permettere alle proprie emozioni di trapelare. Cosa faceva Miranda? Miranda aveva dato al nemico il Cambiamento perché lo stava ritirando?

Le persone incostanti erano pericolose. Non si poteva prevedere come bloccare le loro azioni.

— Trenta minuti — fece il terminale nell’angolo.

— Jennifer, è il momento della seconda penetrazione — disse Will. La sua voce era tesa e squillante. Jennifer spense il notiziario.

Quella volta il bersaglio era un’enclave meno ricca, all’esterno della cupola principale di St. Paul in Minnesota. L’enclave ospitava soprattutto tecnici che si occupavano del funzionamento e della programmazione dei macchinari della città. I tecnici, abili e modificati geneticamente, facevano parte dell’economia dei Muli, anche se non prendevano mai decisioni. La telecamera del mezzo telecomandato mostrò file di piccole case graziose poste sotto una cupola a energia, prati e fiori modificati geneticamente, un campo giochi, una chiesa e un centro comunale. Lo scudo a energia-Y non consentiva l’ingresso agli uccelli. Ai tecnici gli uccelli non interessavano.

Nonostante tutto, il secondo mezzo telecomandato volò attraverso lo scudo con la stessa facilità con cui il primo era volato all’interno dell’opulenta enclave di pensionati presso il Pacifico. Senza provocare rumore, il mezzo si dissolse e la foschia virale si abbassò senza rumore fluttuando sulle case e sul campo giochi.

I tecnici lavoravano per guadagnarsi da vivere. Non potevano essere trasformati in persone terrorizzate come i Vivi, altrimenti si sarebbero rifiutati di uscire dalla loro piccola enclave e non si sarebbero presentati al lavoro. Strukov tuttavia, imparando dai sedici beta-test effettuati sui Vivi, aveva raffinato il proprio prodotto: quella versione era più blanda.

Altrettanto difficile, però, da identificare con un’analisi biochimica. Non c’erano riusciti nemmeno i Laboratori Sharifi. Il virus innescava la produzione e la diffusione di un’ammina biogenica che si trovava allo stato naturale nel cervello e, a sua volta, provocava la produzione e la diffusione di un’altra che agiva su diversi recettori e causava ulteriori reazioni elettrochimiche: si trattava di una lunga e complessa catena di eventi cerebrali. Il risultato finale sarebbe stato che i tecnici, senza rendersene conto, avrebbero preferito semplicemente le cose familiari: routine che conoscevano già, facce che vedevano ogni giorno, compiti abituali, il vecchio amico, la linea di pensiero conosciuta, l’attitudine convenzionale, il politico del momento. Sarebbe sembrato loro sconvolgente iniziare qualcosa di nuovo, imparare o cambiare.

A quel punto Jennifer Sharifi e il suo popolo sarebbero stati al sicuro. "Meglio il diavolo che conosci che quello che ti è ignoto."

Sicuri. Era davvero possibile? A volte, nella prigione federale di Allendale, lei aveva disperato di potersi sentire di nuovo al sicuro, o di riuscire a rendere sicuro il suo popolo. I suoi sforzi precedenti di salvaguardare gli Insonni erano stati grezzi e ingenui. La creazione del Rifugio, staccato dalla Terra ma vulnerabile, come tutte le stazioni orbitanti. L’acquisizione del potere finanziario, necessario ma non sufficiente per essere protetti. Alla fine il tentativo di secessione da un governo corrotto, con un atto di terrorismo che aveva attirato su di sé un’attenzione esasperata, condannato a fallire.

Quella volta sarebbe stato diverso. Nessuna minaccia di guerra batteriologica. Nessuna rivendicazione di libertà. Nessuna trasmissione al mondo intero per cercare di far capire al nemico ciò che era incapace di capire. No. Quella volta, azioni subdole e stasi. Avrebbe congelato il mondo con un’inibizione biologica, ma in modo così raffinato che il mondo non se ne sarebbe nemmeno accorto. Will aveva ragione: non avrebbero mai saputo cosa li aveva colpiti.

Eccetto ventisette persone.

Quei ventisette, se lo avessero deciso, probabilmente avrebbero potuto fermarla. Come avevano già fatto in passato. Se non avevano ancora interferito significava forse che le loro mete complesse e deviate si incastravano a coda di rondine con le sue in un determinato punto. Poteva essere così? "Cosa stava facendo Miranda?"

Di qualunque cosa si trattasse, Jennifer non le avrebbe permesso di distruggere i suoi progetti. Non poteva permetterglielo.

Quella era la parte più penosa: la vera e propria mancanza di possibilità di scelta per Jennifer. Miranda era sua nipote, Nikos e Christina i nipoti del suo più vecchio amico, Toshio Ohmura suo nipote acquisito. Non poteva voltare semplicemente le spalle, senza provare dolore. Quello era ciò che facevano i Dormienti: distruggevano i legami familiari, distruggevano la comunità senza provare alcuna sensazione di perdita. Quell’uccisione del sé era ciò contro cui Jennifer lottava.

Eppure, se voleva rendere sicuro il suo popolo non c’era scelta.

Sentì le mani di Will sulle spalle. — Jenny, è il momento. — Pensò che il marito avesse già pronunciato quelle parole ma che lei, all’improvviso, non riuscisse a ricordarle. Non aveva sentito il terminale. Per un momento la stanza si offuscò. Chiuse gli occhi.

— Trenta secondi — contò il terminale nell’angolo. Jennifer si costrinse ad aprire gli occhi. Lo schermo si era illuminato. Nessuna telecamera montata su mezzi telecomandati, quella volta. Il monitor nascosto si trovava a un chilometro e mezzo di distanza e mostrava soltanto un paesaggio desolato e vuoto, e, zoomando, il debole scintillio di uno scudo a energia-Y. No, non uno scudo a energia-Y ma qualcosa di completamente diverso, progettato da geni, mai duplicato da nessuno, da nessuna parte. Qualcosa in cui nessun mezzo telecomandato sarebbe mai riuscito a penetrare.

— Venti secondi.

Le mani di Will le si serrarono sulle spalle. Lei pensò di togliersele di dosso ma, per qualche motivo, non riuscì a muoversi. Non riusciva a pensare. La sua mente, quel meccanismo di precisione, era soffocata dalla confusione, vaporizzata dai nuovi dati che Caroline Renleigh le aveva riferito su Selene. Selene, dove la traditrice Miranda si nascondeva al mondo.

Sua nipote Miranda. La figlia di Richard. Richard, suo figlio, che aveva scelto di sostenere il tradimento di Miranda contro sua madre. Richard, che era lì con Miranda.

— Dieci secondi.

Non ricordava Richard da piccolo. Lei era molto giovane, coinvolta nella creazione del Rifugio e non ancora addestrata a ricordare ogni cosa. Ricordava l’infanzia di Miranda. Miranda, con gli occhi scuri e i capelli neri, scompigliati, che rideva alle stelle mentre lei la teneva in braccio davanti alla finestra di quella stessa stanza. Miranda.

"Miri…"

— No! — urlò Jennifer, e il suo grido annullò la voce calma del terminale nell’angolo.

— È finita, Jenny — disse dolcemente Will. — È finita. — Jennifer, però, piangeva, singhiozzva così violentemente da riuscire a sentire a mala pena il sistema aggiungere: — Operazione Nuovo Messico completata. — In seguito, si sarebbe rammaricata di avere singhiozzato e di essersi fatta vedere da Will. Era una disgrazia per la sua disciplina, ma ormai piangeva come una piccola di due anni perché le cose non dovevano essere così, le scelte non dovevano essere tanto dure. Le terribili scelte di guerra.

"Miri…"

Will l’abbracciò come se fosse una bambina impaurita e nonostante i singhiozzi, il rammarico e la sua imperdonabile debolezza si rese conto che quell’uomo, con la sua odiata delicatezza, poteva ancora fare molto per lei, che se lo sarebbe tenuto ancora vicino.

14

La luce sul volto svegliò Theresa che gridò.

Un momento dopo ricordò dove si trovava. Afflosciata sul sedile presso la finestra, in fondo all’atrio del piano superiore. Dalla notte precedente? Da tutta la notte? Aveva voluto sedersi soltanto un minuto, guardare il parco, fuggire dal suo studio per un po’.

Dolorosamente, cercò di sbloccare il corpo dal sedile angusto. Le faceva male la schiena, sentiva il collo irrigidito, provava un terribile sapore in bocca. Da quanto tempo non dormiva, prima della sera precedente? Da quanto tempo non mangiava? Aveva perso il conto. Jackson non tornava a casa da giorni. Theresa era rimasta da sola, chiusa a chiave nello studio, a guardare i notiziari e stampare immagini da appendere alle pareti. Immagini di bambini nonCambiati morenti, di adulti che combattevano selvaggiamente gli uni contro gli altri per inesistenti siringhe del Cambiamento, di incursioni per saccheggiare coni-Y, mobili e terminali, di enclavi violate in Oregon, New Jersey, Wisconsin. Theresa aveva guardato tutto.

"Sono venuto a portare testimonianza della distruzione dei mondi." La citazione era stata trovata da Thomas. Theresa l’aveva fissata finché la vista non le si era annebbiata. Poi aveva guardato ancora un po’ i notiziari. Quindi aveva fissato il messaggio sul suo sistema, il messaggio che non sarebbe dovuto essere lì:


HO VISTO LE IMMAGINI DEI BAMBINI VIVI. LEI DEVE TROVARE MIRANDA SHARIFI E FARE SÌ CHE CI FORNISCA ALTRE SIRINGHE DEL CAMBIAMENTO. LEI È UN MULO, HA TUTTI QUESTI SOLDI, LEI, E PUÒ ARRIVARE A MIRANDA IN MODI CHE NOI NON POSSIAMO, NOI…


Il messaggio era stato dettato, ovviamente, ma Theresa aveva chiesto a Thomas di scriverlo. Poi era rimasta a fissarlo, senza dormire, per tutti i giorni passati da quando Jackson non era più rientrato a casa. Inizialmente aveva finto che il messaggio fosse un errore, un’interferenza, uno delle migliaia di messaggi che le persone preparavano in tutto il mondo da trasmettere a Selene e finito nel suo sistema personale per qualche bizzarro errore nella Rete. Ma anche se poteva cercare di convincersene, Theresa sapeva di non essere tanto pazza da crederci veramente.

Peccato.

Il messaggio era di quella ragazza che Jackson aveva portato a casa, la ragazza Viva con il bambino reso timido dai neurofarmaci, ed era indirizzato proprio a Theresa. Jackson voleva sempre che lei affrontasse i fatti: quelli erano i fatti. Il messaggio era per lei.

Ovviamente non significava che lei dovesse farne qualcosa.

Aveva fissato il messaggio e distolto lo sguardo, gli ologrammi dei notiziari con i bambini morenti e aveva distolto lo sguardo, le pareti del suo studio e aveva distolto lo sguardo, per due giorni. O tre. Finché la notte precedente aveva pensato improvvisamente che se non fosse uscita da quella stanza sarebbe impazzita "sul serio". Sarebbe diventata ancora più pazza. Era arrancata fino al sedile presso la finestra e aveva guardato giù, verso il parco illuminato per la notte, e su, verso la cupola dell’enclave e le stelle, quindi aveva cominciato a singhiozzare fino a non riuscire più a fermarsi. Per nessun motivo, nessun motivo al mondo.

"Prendi un neurofarmaco" disse Jackson nella sua mente. "Tessie, è una questione biochimica, non sei obbligata a sentirti così."

— Fottiti — disse Tessie a voce alta, per la prima volta in vita sua, e ricominciò a piangere.

No. Anche quello bastava. Doveva riprendersi, fare un bagno, mangiare qualcosa. Doveva tornare nello studio. I bambini stavano morendo, i neonati venivano martoriati e sfigurati da orribili malattie, le madri come quella Lizzie tenevano in braccio i figli che si contorcevano dal dolore. Perché non riusciva a dimenticarsene? Altre persone lo facevano! Toglierselo dalla testa, soltanto, restare fuori da quello stupido studio.

"Prendi un neurofarmaco, Tessie."

— Signorina Aranow — fece Jones — ha un messaggio a priorità assoluta.

— Di’ che sono morta.

— Signorina Aranow?

Poteva trattarsi soltanto di Jackson. Non doveva preoccuparlo. Lei non doveva… non poteva…

— Signorina Aranow?

— Di’ che sto arrivando, Jones.

Theresa scese dal sedile presso la finestra. Le girava la testa. Si appoggiò contro la parete finché la vista non le si schiarì, sentì le ginocchia tremare. Cercò di stabilizzarle e accettò la chiamata in bagno, dove non avrebbe dovuto inviare la sua immagine. Non era Jackson.

— Tess? Dov’è il video? — Cazie, dall’aspetto fresco e austero con il suo vestito nero.

— Sono appena uscita dalla doccia. — Cazie sapeva che a Theresa non piaceva mostrare il proprio corpo.

— Oh, mi dispiace. Ascolta, dov’è Jackson?

— Non è con te? — chiese Theresa.

— Sai benissimo che non è con me: lo sento dal tuo tono di voce. Non giocare con me, Tess. Dove ha portato quei Vivi?

— Io non… quali Vivi?

Il volto di Cazie mutò. Quella, pensò Theresa, doveva essere la faccia che vedeva Jackson quando lui e Cazie litigavano: zigomi alti e pronunciati che sporgevano dalla pelle, sguardo duro quanto il pavimento di marmo che Theresa aveva sotto i piedi nudi: la ragazza indietreggiò leggermente verso il lavandino.

— Theresa. Dimmi. Dove. Si. Trova. Jackson.

Theresa chiuse gli occhi serrandoli stretti.

— Non vuoi dirmelo. Benissimo, vengo immediatamente lì da te.

— No! Io… io stavo uscendo!

— Oh, certo. Quando è stata l’ultima volta che sei uscita? Sarò lì fra dieci minuti, Tess. — Lo schermo si spense.

Theresa si sentì assalire dal panico. Cazie le avrebbe estorto le risposte, Cazie poteva farle tirare fuori tutto; lei le avrebbe riferito che Jackson aveva portato Lizzie e gli altri alla Kelvin-Castner a Boston. Jackson si era raccomandato di non dire niente. A nessuno. Specialmente a Cazie. Ma Cazie stava arrivando. Theresa avrebbe ordinato a Jones di non lasciarla entrare.

Cazie conosceva i codici di sovrapposizione. Per l’appartamento, per l’edificio. Per la mente di Theresa.

Benissimo, allora. Theresa non sarebbe stata lì quando Cazie fosse arrivata.

Nel momento in cui le venne in mente quel pensiero, Theresa seppe che era quello giusto. Doveva uscire prima che arrivasse Cazie. Aveva bisogno di fare quello che il messaggio sul suo sistema le aveva detto di fare: giungere fino a Miranda Sharifi e farsi consegnare altre siringhe del Cambiamento. "Lei è un Mulo, ha tutti questi soldi, lei, e può arrivare a Miranda in modi che noi non possiamo, noi…" Theresa aveva passato due giorni (tre?), comprese in quel momento, a cercare di allontanare dalla mente il pensiero di quello che doveva fare. E non aveva funzionato, non funzionava mai.

Ignorare il richiamo del dolore non faceva altro che rendere il dolore peggiore. Quella chiamata era un dono. Lei, in qualche modo, lo aveva trascurato e non reagire a quel dono l’aveva soltanto fatta diventare pazza.

Più pazza.

Ormai non più.

In fretta, con una disinvoltura che la sorprese, Theresa sfrecciò fuori dal bagno. Non aveva tempo per fare la doccia, in quel momento. Le scarpe… avrebbe avuto bisogno di scarpe. E di un cappotto. Era aprile fuori dall’enclave. In aprile non faceva freddo? Afferrò scarpe e cappotto. — Al tetto — ordinò all’ascensore. — Per favore.

Non erano soltanto i suoi muscoli ad agire all’improvviso con disinvoltura. Anche la sua mente lo faceva, lavorando su progetti autonomi che la sbalordirono. Per arrivare a Miranda Sharifi, Theresa aveva bisogno di iniziare dall’ultimo posto in cui Miranda era stata vista sulla Terra. Si trattava dell’accampamento di Vivi dove le persone si legavano tre a tre, dove Patty, Josh e Mike non avrebbero mai più potuto vivere da soli perché ormai erano costretti a restare insieme. Miranda era stata lì e aveva lasciato una olocassetta dove forniva la spiegazione delle nuove siringhe rosse. Per usare le nuove siringhe bisognava essere Cambiati. Ecco cosa aveva detto Josh. Miranda poteva avere lasciato lì più siringhe del Cambiamento che in qualsiasi altro posto. Oppure, sarebbe anche potuta tornarci, o avrebbe mandato qualcuno, per portarne altre, dopo che erano scoppiate le lotte per le siringhe del Cambiamento. Se il legame era l’ultimo progetto di Miranda sulle persone, allora di certo Miranda avrebbe monitorato il luogo (i luoghi?) dove lo stava testando. Perfino Theresa sapeva quelle cose sul funzionamento della scienza.

Sul tetto, dovette socchiudere gli occhi per la luce del sole calda e brillante. Il battito cardiaco le accelerò, e sentì il fiato mozzarsi in gola. L’ultima volta che aveva provato a uscire dall’enclave era svenuta, la crisi di panico era stata molto violenta, un attacco dopo l’altro…

Ma stava per arrivare Cazie. Se Theresa non fosse uscita, avrebbe dovuto vedere Cazie.

Theresa chiuse gli occhi, si piegò in due per appoggiare la testa fra le ginocchia e respirò profondamente. Dopo qualche istante, il panico si attenuò. O forse no: forse le sembrò soltanto, perché trovarsi davanti a un accampamento di Vivi selvaggi e legati la impauriva meno che trovarsi davanti a Cazie Sanders infuriata.

Forse era quello il modo in cui le persone si convincevano ad affrontare cose pericolose: scappando da cose ancor più pericolose.

Nella brillante luce del sole, camminando attraverso il giardino sul tetto in direzione delle aeromobili, Theresa si mise a piagnucolare. Poi salì su un’aeromobile e recuperò dalla memoria del veicolo le coordinate per arrivare all’accampamento dei Vivi legati biochimicamente, cercò di respirare profondamente e in maniera regolare, cercò di non cedere alla biochimica della sua stessa mente.


I Vivi non avevano spostato l’accampamento. Theresa aveva temuto che fossero andati altrove, i Vivi lo facevano, ma già dall’alto fu in grado di scorgere piccole figure umane che si muovevano in gruppi di tre. Quanto potevano allontanarsi gli uni dagli altri prima di morire? Theresa non riuscì a ricordare la distanza esatta.

Atterrò, sempre respirando profondamente e in maniera regolare, ma quella volta nessuno arrivò di corsa verso l’aeromobile. Tutte le triadi scomparvero all’interno dell’edificio e chiusero la porta.

Lei si costrinse a uscire dal veicolo e a incamminarsi verso l’edificio, quindi a girarvi attorno. Sotto il tendone di plastica del campo di alimentazione, erano sedute tre persone nude che non avevano notato l’aeromobile di Theresa: due donne e un uomo. Quando scorsero Theresa, i loro volti si raggelarono e lei vi notò il tipo di sguardo che generalmente vedeva soltanto nello specchio.

Erano terrorizzati. Di "lei". Come lo era stato il bambino di Lizzie. Quell’accampamento era stato infettato proprio come quello di Lizzie.

— Salve! C’è Josh? — Josh era stato gentile con lei, allora.

Le tre persone si alzarono in piedi, si rannicchiarono l’una accanto all’altra, e si strinsero forte per mano. In un groviglio di corpi nudi, avanzarono di un centimetro alla volta verso il lembo di plastica che fungeva da porta del terreno di alimentazione. Theresa si spostò davanti all’apertura e loro si bloccarono.

— Voglio parlare con Josh, Patty e Mike.

I nomi sembrarono rassicurare almeno in parte uno della triade. La donna più anziana avanzò di un passo, tenendo sempre per mano i due compagni, e chiese impaurita: — Conosci Jomp, tu?

Jomp. A Theresa occorse un minuto per comprendere che si trattava di Josh-Mike-Patty. Provò una fitta di disgusto.

— Sì. Conosco Josh e sono venuta qui per vederlo. Portatemi da lui, per favore.

A dispetto delle forti pulsazioni che provava nel petto, Theresa si meravigliò di se stessa. Sembrava Cazie. Be’, forse non proprio, ma quanto meno Jackson.

La donna esitò. Era sulla trentina, piccola e pallida, con un viso ossuto e capelli corti e chiari come quelli di Theresa. — Jomp sono dentro, loro. Io andrò dentro, e te li chiamerò.

— Potreste non tornare — fece Theresa. — Vengo con voi.

— No! No, no. Tu resti qui, tu.

Theresa si scansò. La triade si strinse per passare oltre. Quando lasciarono il calore potenziato del sole del luogo chiuso, i loro corpi nudi rabbrividirono, mostrando la pelle d’oca. Theresa li osservò infilarsi le tute ammassate su una scansia di legno, prima di avvicinarsi alla donna dai capelli chiari che indietreggiò.

— Va tutto bene. Non vi farò del male, a nessuno di voi. Io voglio… soltanto vedere Josh. Si ricorderà di me. Era vero? — Come ti chiami?

— Noi siamo Peranla, noi — rispose quella in un sussurro.

Peranla. Percy-Anne-Laura. Oppure Pearl-Andy-Lateesha. Oppure… non aveva alcuna importanza. Avrebbe dovuto averne.

— Peranla, verrò con voi a cercare Josh.

La triade smise di muoversi. Smise quasi di respirare. E se fossero stati colti da un attacco, come succedeva a Theresa quando si spaventava troppo? Che avrebbe fatto lei a quel punto? Non accadde. Un minuto dopo, si mossero stretti nel loro gruppetto, superando Theresa: si misero a correre insieme, goffamente, sfrecciando attorno all’angolo dello stabilimento. Theresa corse loro dietro.

— Aprite la porta! Siamo Peranla, noi! Aprite!

La porta si aprì e Peranla si precipitarono dentro. Theresa, attonita per la propria reazione, si intrufolò all’interno con loro.

Ai suoi occhi occorse un minuto per abituarsi all’oscurità. Oltre un centinaio di persone, raggruppate a tre a tre, la fissò. Le triadi si strinsero insieme, apparendo a disagio, ma nessuno sembrò terrorizzato. Perfino il gruppo di Peranla dava l’impressione di essere meno ansioso che non all’esterno. Era ovvio. Anche Theresa quando si trovava a casa con persone familiari in mezzo a cose familiari era meno ansiosa. Più sicura.

Il battito cardiaco le accelerò e sentì la gola serrarsi attorno alla carotide. — C’è… c’è Josh? Josh?

— Faresti meglio ad andartene, tu — disse un vecchio. Svariate altre persone annuirono.

— Josh? Jomp?

Lui avanzò lentamente, trascinando Patty e Mike per mano. Mike aveva la fronte leggermente aggrottata ma Patty, che Theresa ricordava come una spaventosa megera, tremava e nascondeva la testa contro la spalla di Mike. Quel fatto calmò il respiro di Theresa.

Forse essere la persona meno spaventata all’interno di un gruppo era come non essere spaventati affatto.

— Josh, io sono Theresa Aranow. Sono venuta qui l’autunno scorso. Vi ho portato vestiti e coni a energia-Y. Mi hai raccontato del vostro legame e delle siringhe rosse.

Josh annuì, senza guardarla negli occhi.

— E poi l’ologramma, Josh. Mi hai mostrato un ologramma di Miranda Sharifi. Vi spiegava l’uso delle nuove siringhe, quelle che ha lasciato qui da voi per creare il legame.

Mike latrò: — Non ha niente a che fare con te.

— Voglio rivedere l’ologramma, Josh. Ti prego. Voi lo avete visto un sacco di volte, no?

Josh annuì ancora. Patty sollevò lo sguardo dalla spalla di Mike.

— Benissimo, allora — continuò Theresa il più fermamente possibile. — Potrete vederlo ancora. Proprio come fate sempre. E lo guarderò anch’io.

— D’accordo — disse Josh. — Per tutti quanti… è il momento di Miranda. Noi siamo la vita e il sangue, noi.

— Noi siamo la vita e il sangue — rispose disordinatamente la folla e Theresa riuscì quasi a percepire il sollievo che li pervadeva, cristallino come l’acqua di una cascata. Quella era una routine conosciuta, confortante, sicura. Le triadi si mossero a piccoli scatti, sistemandosi davanti a un antico olopalco in quelli che, Theresa avrebbe potuto scommetterci, erano abitualmente i rispettivi posti. Un minuto dopo, lei si sedette accanto a Josh, il più vicino alla porta.

— Attivazione — disse Mike. — Tempo di Miranda.

L’olopalco si animò. Un grazioso turbinio di colori privo di significato, poi apparve Miranda, testa e spalle, lo sfondo una semplice cabina di registrazione scura, studiata appositamente per risultare anonima. Miranda indossava un abito bianco senza maniche; un nastro rosso le teneva indietro i capelli neri e crespi.

— Sono Miranda Sharifi e vi parlo da Selene. Vorrete sapere cos’è questa nuova siringa. È un meraviglioso, nuovo dono, studiato apposta per voi. Un dono migliore delle siringhe del Cambiamento. Quelle vi hanno liberato a livello biologico, ma vi hanno anche condotto a un forte isolamento quando non avete più avuto bisogno degli altri per il cibo e per la sopravvivenza. Per l’uomo non è bene essere solo. Questa siringa, questo magnifico dono…

C’era qualcosa che non andava in quell’ologramma.

Dal giorno della prima visita a quell’accampamento, cinque mesi prima, Theresa aveva passato settimane, mesi interi a guardare ologrammi di notiziari. Le si ripetevano di notte dietro le palpebre chiuse. Quello lì aveva qualcosa di sottilmente sbagliato. La voce era di Miranda e le parole erano sincronizzate con il movimento delle labbra di Miranda, ma non col suo corpo. No, non era quello. Il corpo di lei non si muoveva molto. Ecco cos’era. La rigidità del corpo di Miranda rispetto a certe parole, più i suoi movimenti rispetto ad altre; il ritmo era sbagliato. E anche i ritmi delle parole. Theresa aveva un ottimo orecchio. Notava anche la più leggera flessione nei posti sbagliati. L’ologramma era stato creato, non registrato.

Il che significava che non era stata Miranda a fornire quel messaggio. E nemmeno le siringhe rosse.

Theresa si guardò attorno. I volti dei Vivi erano rapiti, come se assistessero a un concerto del Sognatore Lucido. Dovevano esserci messaggi subliminali nell’ologramma. Lei abbassò gli occhi e ascoltò il resto del messaggio senza guardare la parte video.

Se le siringhe del legame non provenivano da Miranda, da chi arrivavano?

Forse dalle stesse persone che avevano creato il neurofarmaco respirato da quei Vivi. Il neurofarmaco che rendeva la gente spaventata delle cose nuove. Ma perché?

Jackson aveva detto che nessuno, eccetto i Super-Insonni, poteva creare simili neurofarmaci. Nessuno, a parte Miranda Sharifi, sapeva abbastanza sul Depuratore Cellulare da creare qualcosa che non fosse distrutto dai nanomeccanismi del Cambiamento inseriti nel corpo di tutti. Di tutti a parte che in quello di Theresa.

— …siate insieme in un nuovo modo, un modo che crea comunità, che abbia le radici di tale comunità nella biologia stessa…

Theresa venne assalita da un dubbio. Che ne sapeva lei della "biologia stessa", della comunità o dei Super-Insonni? Chi era lei per decidere che quell’ologramma non era realmente di Miranda? Theresa era una pazza, nonCambiata, impaurita, che aveva attacchi ogni volta che le situazioni si facevano poco familiari, che aveva lasciato il proprio appartamento soltanto tre volte durante l’anno precedente, che aveva paura di tornare a casa perché la sua ex cognata, che era anche sua amica, la stava cercando. Theresa non sapeva proprio niente.

Eccetto ogni dettaglio documentato sulla vita di Leisha Camden.

Con quella consapevolezza, Theresa capì che cosa avrebbe fatto.

Si alzò proprio mentre la registrazione stava terminando; attorno a lei i Vivi guardavano con occhi annebbiati le loro triadi legate, sorridendo. Senza quelle sarebbero morte. Una malvagità, una malvagità. Quello non era legame, era schiavitù.

— Dammi la cassetta dell’ologramma, Josh — disse Theresa nel modo più deciso possibile. Cercò di sembrare Leisha Camden quando impartiva ordini. Nessuno conosceva la vita di Leisha meglio di Theresa: nessuno conosceva meglio di lei Leisha stessa.

Un centinaio di volti annebbiati la fissarono.

— La prendo io. Ne ho bisogno. La riporterò. — Leisha, che diceva con decisione a Jennifer Sharifi che l’idea del Rifugio era errata. Oppure Leisha che diceva a Calvin Hawke che il suo movimento anti-Insonni era finito. Leisha: calma, decisa, fredda. Theresa si avviò, con le ginocchia tremanti, verso l’olopalco.

— Tu devi lasciare l’ologramma del tempo di Miranda dove sta, tu! — disse qualcuno.

— Mi dispiace ma non posso. Ne ho bisogno. — Theresa raggiunse il terminale. Ma non era più Theresa, era Leisha. Un bel trucco. Essere Leisha, sentirsi come lei. Se Theresa poteva guardare un notiziario e sentirsi come la madre del bambino morente non-Cambiato, poteva sentirsi "lei" la madre, allora poteva anche essere Leisha Camden. Non era diverso. Non era diverso…

Le persone cominciarono ad alzarsi, alcune agitandosi impaurite in serrati gruppi di tre, alcune dirigendosi verso di lei. Mike esitò, quindi lui e Josh le si avvicinarono, trascinandosi dietro Patty. La testa di Mike era incassata nel collo, i suoi occhi erano terrorizzati. Per un secondo, attraverso la propria vista tremante, Theresa vide la scena come doveva apparire dall’esterno: quattro disgraziati a occhi sbarrati si muovevano a scatti l’uno attorno all’altro, puzzando di paura. "No, non pensare in quel modo, non vederti dall’esterno, vediti come Leisha." Lei era Leisha Camden.

— Non mi fermate — intimò con voce tremante Theresa. Mike si bloccò per un istante, quindi riprese ad avvicinarsi.

— Dico sul serio!

— Mike — piagnucolò Patty — non… non puoi…

Mike sussurrò: — Non può prendersi il nostro ologramma, lei non può averlo. — Afferrò Theresa per un braccio.

Lei provò un senso di vertigine, sentì il buio assalirle il cervello. Theresa cercò di allontanare le vertigini, Leisha non era mai svenuta!, e anche la mano di Mike. Non poteva. Lei non era Leisha, calma, decisa e fredda, non sarebbe mai stata Leisha, avrebbe dovuto mostrare più autocontrollo di quanto ne avesse mai avuto. Anche se lo stratagemma di pensare di essere Leisha aveva funzionato per qualche minuto, Theresa non era Leisha…

"Allora vedi di essere una persona non calma e fredda."

— Lasciatemi subito quel fottuto ologramma o vi legherò con dei nodi da marinaio! — strillò Theresa, e le parole erano quelle di Cazie.

Mike le lasciò subito il braccio e la fissò sbalordito.

— Levatevi dai fottutissimi piedi!

Parte della folla indietreggiò: il resto si fece timidamente avanti. Si alzarono dei mormorii fra le triadi: — Non lasciamoglielo prendere, noi… — Fermatela, voi… — Che diritto ha lei…

In un minuto avrebbero superato la loro paura e l’avrebbero riacciuffata. No, avrebbero riacciuffato "Cazie". Lei era Cazie. E la chimica cerebrale di quelle persone le rendeva impaurite di tutto ciò che non era familiare, di tutto quello cui non erano abituate.

— Mi metterò a piangere! — strillò Theresa a tutto volume. — Farò squagliare il pavimento! C’è una nanotecnologia che voi non avete mai visto che mi permette di farlo, io posso farlo! Tutto quel che devo fare è cantare! — Cominciò a cantare, una canzone che le cantava sempre la sua balia, ma era troppo dolce e così lei cominciò a saltare su e giù e poi a girare intorno, gridando le parole e poi cambiandole nelle oscenità che usava Cazie quando era arrabbiata con Jackson perché non aveva fatto quello che lei voleva. — Povero illuso figlio di puttana, la tua visione della realtà è così limitata che non ne vedi nemmeno una frazione, figuriamoci se vedi una frazione di "me", manchi di ironia, Jackson maledetto inferno dei Vivi, non capisci nemmeno quello! Patetico bambino viziato, pensi forse… "Levatevi dai fottutissimi piedi!"

Lo fecero. La folla si ritirò, e alcuni bambini cominciarono a piangere. Le triadi si strinsero. Strillando, cantando, saltando, imprecando, turbinando, Theresa si avvicinò alla porta, con la cassetta in mano, mentre un centinaio di persone, dovevano essere novantanove oppure centodue, la guardavano con la stessa paura ansiosa che Theresa vedeva quotidianamente allo specchio.

Riuscì ad arrivare all’esterno appena prima che i nervi le cedessero.

Comunque fu in grado di arrancare all’aeromobile. — Decollo! — ansimò. — Casa. — A quel punto sentì mancare il fiato, sentì iniziare l’attacco, e quello che poté fare per tutta la sua durata fu cercare di respirare; intanto l’aeromobile volava per proprio conto lontano dall’accampamento dei Vivi ma nessuna piccola figura, venti metri sotto, uscì dall’edificio per guardarla partire.


Appena prima di raggiungere Manhattan Est, Theresa riprese il controllo di se stessa. Si appoggiò contro il sedile dell’aeromobile e cercò di pensare.

Non poteva tornare a casa. Cazie poteva essere ancora lì. Fece volare l’aeromobile fino al primo spazio ampio e deserto, che si rivelò un circuito abbandonato di scooter, e le ordinò di atterrare in un punto da dove si vedesse in ogni direzione. Restò seduta, stringendo in mano la cassetta di Miranda e respirando più profondamente e regolarmente possibile.

Che cosa era appena accaduto?

Era stata Cazie. Si era trattato solo di una finzione, ovviamente, ma era stata in grado di fingere con potenza sufficiente per allontanare da sé la paura per qualche istante, e per comportarsi come, altrimenti, non sarebbe mai riuscita. Ma come era potuto accadere? Gli attori degli ologrammi, ovviamente, fingevano costantemente di essere altre persone, per risultare convincenti nella storia, ma Theresa non era una oloattrice. E certo non assomigliava a Cazie. La sua chimica cerebrale era diversa, in qualche modo era danneggiata e lei aveva sempre paura, provava ansia ed era quello che Jackson chiamava "gravemente inibita davanti alla novità". Fingere di essere qualcun altro aveva davvero cambiato la sua chimica cerebrale per qualche minuto? Ma come era possibile?

Avrebbe chiesto a Thomas di scoprirlo.

Al momento, tuttavia, se non tornava a casa, doveva decidere dove andare. Soltanto che lei voleva tornare a casa. Non sapeva quanto a lungo sarebbe durata quella bizzarra chimica cerebrale presa in prestito e voleva trovarsi attorno le proprie cose, la camera rosa, la coperta all’uncinetto e Thomas. Ma se c’era ancora Cazie…

Se Cazie era ancora lì, Theresa sarebbe diventata qualcun altro in grado di dire a Cazie che quello non era il momento buono per parlare. Qualcuno che potesse dire: — Mi dispiace ma sono stanca e ho bisogno di riposare, adesso. — Anche se Theresa fosse riuscita a fingersi una persona così soltanto per un minuto. Forse un minuto le sarebbe bastato. Certo, sarebbe potuta diventare qualcun altro per un minuto: Leisha Camden. Leisha era stata sempre calma e decisa. Theresa sarebbe diventata Leisha Camden, che discuteva con tranquillità il caso sui diritti degli Insonni con altri avvocati, e Cazie sarebbe…

Cazie sarebbe saltata addosso a Theresa e l’avrebbe ridotta in brandelli.

Theresa non poteva fingersi Leisha Camden davanti a Cazie. Sarebbe stato come proteggersi da un uragano usando cannucce da bibita. Forse, però, poteva essere Leisha Camden con se stessa. Fingere di avere le capacità di Leisha per un solo minuto, mentre pensava a cosa fare e dove andare. Leisha, che affrontava i problemi di petto, usando la razionalità per risolverli…

Se Leisha avesse voluto scoprire cosa si nascondeva dietro il falso ologramma di Miranda, sarebbe andata nel posto in cui era più probabile che si sapesse qualcosa. Ovunque fosse. Perfino a Selene. Ma Selene non rispondeva ai messaggi, e anche se Theresa fosse riuscita a mettere insieme tanto coraggio da affrontare un viaggio spaziale… no, non ci sarebbe mai riuscita. Lo sapeva. Forse, però, non doveva arrivare tanto lontano come a Selene.

Theresa serrò la presa sulla cassetta olografica. Ci sarebbe riuscita davvero, anche se fingendo di essere Leisha? Avrebbe dovuto volare fino a un aeroporto, noleggiare un aereo per suo conto. No, era troppo difficile. Le si mozzò il fiato al solo pensiero.

Quindi pensò a tornare a casa e a cercare di evitare di dire a Cazie dove si trovava Jackson.

Theresa si portò le mani sul volto, quindi si raddrizzò. Non era più Theresa Aranow, lei era Leisha Camden. Pensarlo l’avrebbe fatta sentire differente, quindi la sua chimica cerebrale sarebbe variata un po’… Lei era Leisha Camden. Lo "era".

— Aeroporto Manhattan Est. Coordinate automatiche — ordinò all’aeromobile, e la voce le suonò diversa alle orecchie terrorizzate.

Mentre il veicolo decollava, a Theresa venne in mente un altro pensiero. "Prendi un neurofarmaco", le diceva sempre Jackson. E Theresa non lo faceva mai perché aveva sempre paura di perdere il suo dono speciale del dolore e quindi il luogo in cui esso l’avrebbe condotta. Aveva sempre avuto paura di prendere neurofarmaci temendo di diventare qualcun altro.

A dispetto di se stessa, Theresa scoppiò a ridere. La risata le uscì come un piagnucolio.

Si chiese chi avrebbe trovato effettivamente, in Nuovo Messico, comportandosi come se fosse un’altra persona.


La parte più difficile risultò quella di ingaggiare un pilota.

Theresa si incamminò nell’edificio dell’aeroporto di Manhattan Est sulla Lexington Avenue. Era una costruzione regolare e vecchio stile con la programmazione delle pareti a metalli cangianti. Le persone le sfrecciavano davanti dirigendosi verso alcuni terminali o uscite differenti: un gruppo di uomini e donne, vestiti con sarong tradizionali, che stava ridendo e scherzando, un uomo con un oloabito nero che portava un’unità mobile e una pila di carte stampate, una donna anziana dal volto gradevole che viaggiava da sola. Theresa aveva appena recuperato il coraggio sufficiente per rivolgersi alla donna, quando una robocamera rotonda e priva di connotati, delle dimensioni di una testa umana, fluttuò fino a lei.

— È rimasta ferma per due minuti, signora. Posso esserle di aiuto?

— Oh, sì — disse subito Theresa al fluttuante. — Ho bisogno… voglio noleggiare un aereo privato. Con un pilota. Per arrivare in Nuovo Messico.

— Il nostro servizio noleggio di aerei charter può essere contattato da qualsiasi terminale per la clientela, signora. Se posso aiutarla per qualcos’altro…

— Ma non so come si fa!

— Mi scusi, signora, ma devo attivare un programma di autodiagnosi. — La robocamera ronzò dolcemente. — La mia programmazione non mostra alcun errore nel funzionamento sensoriale. Lei è un adulto modificato geneticamente?

— Sì. Io… io sono adulta. Ma non so comunque come usare un terminale per la clientela. — Riuscì a sentire il rossore che le infiammava il volto.

— Vuole che le proponga una dimostrazione del sistema?

— Oh, sì, grazie.

La robocamera la condusse a una fila di terminali. Theresa fu in grado di riconoscere un analizzatore di retina. Si avvicinò docilmente contro lo schermo finché una voce profonda e gradevole le disse: — Benvenuta all’aeroporto di Manhattan Est, signorina Aranow. Numero di volo desiderato?

La robocamera chiese: — Servizio noleggio aerei, per favore.

— Certo — rispose il sistema.

Sul terminale apparve una fila di scritte. Theresa si sentì arrossire di nuovo: leggeva lentamente. La robocamera domandò ancora: — Dove desidera andare, signorina Aranow? E quando desidera partire?

— In Nuovo Messico. Vicino a Taos. E voglio partire subito. Con… con un… — Come si faceva a chiedere un pilota che non incutesse troppa paura? Theresa indietreggiò di un passo.

— Il terzo requisito di volo non è stato compreso. Ripetere prego — invitò il terminale per la clientela.

— Volare con qualcuno di sicuro!

— Tre piloti con patente di sicurezza tripla-A sono disponibili nei prossimi trenta minuti per voli interni. Si applica tariffa d’urgenza. Le mostriamo i curriculum di volo. Desidera mettersi in comunicazione verbale con uno dei tre?

I curriculum di volo consistevano in altre scritte dai caratteri piccolissimi. Però c’erano anche le foto: tre volti attraenti, modificati geneticamente. Ma, chissà perché, non sembravano Muli. No, ovviamente non potevano esserlo, quelli erano tecnici. — Quella. La donna. Una comunicazione verbale, sì.

Il pilota apparve subito in linea. Sembrava sulla trentina, un volto forte, senza trucco, tutta la sua bellezza nei tratti decisi e austeri. Anche la sua voce era ferma e austera. — Signorina Aranow? Desidera un pilota per un volo immediato nel Nuovo Messico?

— Sì. No. Io… non so.

L’immagine del pilota si sporse in avanti, esaminando l’immagine di Theresa. — Lei non lo sa?

— No. Sì, voglio dire, lo so. Non devo andare, non ho bisogno di un pilota. È stato un errore. — Si allontanò dal terminale indietreggiando. La voce forte e calma la fermò.

— Signorina Aranow, il fluttuante che si trova accanto a lei la condurrà direttamente al mio aereo. Possiamo decollare subito. Se non si sente bene, le invierò un robot-accompagnatore.

— No, io… sto bene. Arrivo.

Fissò lo sguardo sul fluttuante, costringendosi a guardare quello e niente altro. Soltanto una palla grigia, non faceva paura, doveva solo seguirla senza pensare, come avrebbe fatto Cazie.

No, Cazie non l’avrebbe fatto. Cazie sarebbe volata per conto suo fino al Nuovo Messico.

Benissimo, basta Cazie, non poteva essere Cazie, ma aveva bisogno di essere qualcun altro perché lei, Theresa, non sarebbe riuscita a fare tutto da sola, si sentiva già scivolare nel panico. Chi poteva essere? Conosceva a mala pena altre persone oltre Leisha e Cazie.

E Jackson. "Prendi un neurofarmaco, Tessie." Benissimo, era Theresa sotto l’effetto di un neurofarmaco. Era una persona chimicamente calma, una persona che credeva che il mondo avesse un senso.

— Salve, signorina Aranow. Io sono il pilota di prima classe Jane Martha Olivetti.

Theresa era già arrivata. L’aereo le si profilava di fianco, anche se lei non ricordava di avere preso la carrozza magnetica dell’aeroporto da Manhattan Est o di avere attraversato il campo di volo. Solo in quel momento si accorse che quello non era protetto o, quanto meno, lo era soltanto parzialmente: quel clima era autentico. Un freddo vento di aprile. Rabbrividì mentre saliva sull’aereo del pilota Olivetti.

— Ci sono cerotti tranquillanti nella scatola verde in quella reticella — disse il pilota con voce calma. — Endorbacio nella rossa, HalluFun nella gialla, DormiBen nella marrone.

Theresa guardò con struggimento la scatoletta marrone. Tuttavia la maggior parte dei cerotti, le aveva detto Jackson, erano preparati per corpi Cambiati. L’aveva ammonita a non usare mai niente che non fosse adattato alla sua chimica nonCambiata.

— No, grazie. Soltanto… soltanto una coperta. — Stava tremando anche se l’aereo era riscaldato.

Da qualche parte, sopra le colline ancora ricoperte di neve, Theresa si addormentò naturalmente. Si svegliò quando il pilota le disse: — Signorina Aranow, ci troviamo a Taos. Vuole atterrare qui o in un campo di atterraggio privato?

— Lei sa dove si trova il campo di atterraggio per… per La Solana? Dove viveva un tempo Leisha Camden?

Il pilota Olivetti si voltò sul sedile e fissò Theresa. — Ovvio. Molti turisti e reporter ci andavano in continuazione. E poi, persone che vogliono parlare con Richard Sharifi perché invii dei messaggi a sua figlia. Ma non le servirà a nulla andare lì: Richard Sharifi non esce mai. Al massimo otterrà il solito messaggio registrato.

Theresa chiuse gli occhi. Cosa si era messa in testa? Era logico che non fosse la prima a cercare di contattare Miranda tramite La Solana. Ci aveva già provato tutto il mondo: politici, persone importanti e via dicendo. Se Richard Sharifi non aveva parlato con loro, perché doveva farlo con Theresa Aranow? Era proprio pazza.

Cosa avrebbe fatto Cazie?

— Ormai siamo qui — disse al pilota. — Vada a La Solana.

Il pilota scrollò le spalle e diede le coordinate all’aereo.

Theresa vide la tenuta ben prima che la raggiungessero. Un pallido semi-ovoide azzurro che brillava nel deserto, privo di tratti caratteristici e perfetto come un uovo di pettirosso. Terry Mwakambe, il più dotato dei fisici applicativi di Miranda Sharifi, aveva programmato quello scudo per Leisha. Non c’era nulla di simile da alcuna altra parte della Terra, se non all’isola abbandonata di Huevos Verdes, dove Miranda aveva creato le siringhe del Cambiamento.

Lo scudo non era di energia-Y, ma di qualcos’altro. Theresa non sapeva di cosa si trattasse. Si estendeva sotto terra come nell’aria. Nulla che avesse un contenuto di DNA non registrato nelle banche dati della sicurezza poteva attraversare la cupola azzurra: niente uccelli, niente vermi, niente microbi. Né ci passava nulla che non fosse accompagnato da un DNA che "fosse" registrato nelle banche dati: niente missili, robot o rocce. Lo scudo teneva fuori anche tutte le radiazioni, a parte qualcuna: nulla se non un’arma nucleare poteva distruggere quello scudo.

Theresa si incamminò dall’aereo verso l’uovo di pettirosso semisepolto. Il sole del deserto le colpì il capo scoperto. Un debole vento agitava l’incredibile ammasso di oggetti accumulati contro lo scintillante azzurro. Pile di olocassette. Una bambola. Una bandiera americana a brandelli. Fiori di plastica, fazzoletti insanguinati, il cranio sbiancato dal sole di un animale, strumenti da scasso contorti e piegati. E una piccola bara sigillata. Theresa sentì lo stomaco rivoltarsi. Era soltanto simbolica o la cassa conteneva il corpo di un bambino nonCambiato, morto di una malattia che poteva essere curata da altre siringhe del Cambiamento?

Una sezione della parete azzurra scintillava: era uno schermo enorme, un quadrato di tre metri. Mostrava l’immagine di un uomo sulla quarantina ma che Theresa sapeva avere settantasette anni. Gli occhi scuri sopra la folta barba nera apparivano stanchi.

— Sono Richard Sharifi, il padre di Miranda Sharifi. Non è concesso l’ingresso a La Solana in nessuna circostanza. Se volete lasciare un messaggio per Miranda Sharifi, dite al registratore quando intendete iniziare a parlare. Tutti i messaggi per Miranda verranno trasmessi quotidianamente a Selene. Nessun oggetto che lascerete fuori da queste mura verrà mai recuperato o esaminato. Grazie. — L’immagine scomparve.

Tutto lì. Theresa serrò le mani. — Registratore, avvio.

— Registratore attivato.

— Mi chiamo Theresa Aranow. Lei non mi conosce. Io… io non sono nessuno. Tuttavia ci sono dei bambini che muoiono perché non sono Cambiati…

Si interruppe. Richard e Miranda Sharifi lo sapevano già. Che cosa poteva dire loro per interessarli, convincerli… che cosa? Che la gente aveva bisogno di aiuto? Chi era lei per pensare di potere aiutare qualcuno? Certe mattine non riusciva nemmeno a scendere dal letto.

Non quel giorno. Tentò di nuovo.

— Io non sono nessuno. Non sono nemmeno Cambiata. Volevo… ho bisogno di restare quello che sono perché non sono normale, come Mulo, e se lo perdo, allora perdo anche Theresa. Perdo… il modo in cui sono devo essere, il modo per trovare quello che sto cercando.

Le stava succedendo qualcosa, dentro. La sensazione di competenza che aveva provato quando si era finta Cazie le tornò, ma non perché si stava fingendo qualcun altro. Perché in quel momento lei era la Theresa più vera e solida. Le parole le sgorgarono fuori, come le era accaduto quando aveva parlato con Sorella Anne al convento delle Sorelle del Cielo Misericordioso.

— Potrei essere Cambiata e forse non ha importanza. Sono costosa, per come sono adesso, lo so. Devo mangiare cibo vero. Devo tenere una casa libera da germi. Devo avere sempre acqua potabile. Tutte queste cose costano denaro e se io non ne avessi così tanto, e se mio fratello non fosse medico, sarebbe ingiusto che non fossi Cambiata, perché risulterei un fardello terribile per tutti gli altri. Ma io "ho" i soldi e "ho" Jackson e quindi per me sarebbe ingiusto cambiare le cose per non soffrire. Io devo soffrire. Tutti hanno bisogno di soffrire, in un modo o nell’altro, altrimenti diventano… trascurati. No, non è quella la parola giusta. Miranda…

Stava parlando direttamente con Miranda che non era neppure sulla Terra, ma non importava. Theresa proseguì.

— Miranda, non conosco la parola giusta per descrivere come diventa la gente quando non si sente più ferita e sola. Però le accade qualcosa. Quando continua a prendere quel genere di neurofarmaci per non sentirsi "se stessa", presto non riesce più a sentire nemmeno l’altra gente. Diventano tutti come gli amici di Cazie, e forse come la stessa Cazie, non so. Cazie è buona, in fondo, ma ha inalato tanta roba per coprire la propria sofferenza che non si è più accorta nemmeno della sofferenza di Jackson e, dopo, non si è più accorta nemmeno di Jackson. Lui è solo un altro mobile nella sua vita, un altro robot.

"Le persone devono soffrire. Devono permettersi di sentire la sofferenza. Devono sopportarla e non cercare di eliminarla con l’Endorbacio, i neurofarmaci, il sesso, i soldi: è l’unico motivo per cui sappiamo che dovremmo fare qualcosa di diverso, che dovremmo continuare a cercare con più impegno dentro di noi e dentro gli altri. Non si può solo aggirare il dolore, bisogna passarci attraverso per arrivare dall’altra parte, dove l’anima è… Oh, non lo so! Non sono abbastanza intelligente per sapere! Nella mia modificazione genetica embrionale è andato storto qualcosa, non sono intelligente come Cazie o Jackson, ma so che dovresti darci altre siringhe del Cambiamento perché i bambini vivano abbastanza a lungo da sentire il proprio dolore e cominciare a imparare. Forse non avresti dovuto darci le siringhe. Però lo hai fatto e ora i Vivi non possono sopravvivere senza perché noi Muli li abbiamo lasciati in asso e controlliamo tutte le risorse. Ci devi dare altre siringhe del Cambiamento perché quei bambini possano vivere abbastanza da cercare quello che importa davvero.

"Però c’è anche qualcos’altro che non va. C’è un accampamento a New York, lo stato, non la città, che ha un nuovo tipo di siringhe del Cambiamento. Sono rosse e hanno uno strano effetto su quei Vivi. Quelli che vengono iniettati restano legati da feromoni o da qualche altra cosa in gruppi di tre, e non si possono mai allontanare a vicenda, altrimenti muoiono. Muoiono sul serio. Le siringhe sono arrivate con una cassetta che mostra proprio te che spieghi che le siringhe sono un altro dono da parte tua. I Vivi ci credono. Però è sbagliato. Quell’ologramma è falso e le nuove siringhe rendono solo più difficile provare il dolore individuale e accorgersi l’uno dell’altro. Le triadi sono confuse in una specie di bolla, non sono più persone vere, hanno il conforto di non sentirsi mai sole ma, se non si possono sentire sole, come possono provare il proprio dolore e poi cominciare a superarlo verso…"

— Quali nuove siringhe? — chiese Richard Sharifi.

Theresa strizzò gli occhi. L’immagine sulla parete azzurra e scintillante era in diretta. I tristi occhi di Richard Sharifi la fissavano, in attesa di una risposta.

— Le… le nuove siringhe che qualcuno ha lasciato all’accampamento nelle montagne dello stato di New York, a… — Non riusciva a ricordarne le coordinate. — Siringhe rosse, e c’era un ologramma di Miranda che non era realmente Miranda…

Richard Sharifi voltò la testa. Corrugò la fronte e disse: — No… — La sua immagine enorme rimpicciolì improvvisamente, e Theresa si trovò a guardare uno schermo non più grosso di dieci centimetri. Su di esso, Richard Sharifi venne sostituito da una donna non bella, con i capelli scuri e crespi tenuti indietro da un nastro rosso.

— Theresa. Sono Miranda Sharifi.

Theresa boccheggiò: — Stai… stai parlando da Selene?

— Ti prego, dimmi tutto quello che sai su queste nuove siringhe e sulla cassetta olografica lasciate alla tribù dei Vivi. Comincia dall’inizio, vai piano, e non tralasciare nulla. È molto importante.

Apparve una seconda immagine da dieci centimetri, di nuovo Richard Sharifi, con un’espressione truce in volto. Avvertì: — Deve sapere che abbiamo analizzato lei, il suo aereo e tutta la zona in cerca di materiale da registrazione. Il suo pilota non la sta osservando e, anche se lo stesse facendo, questo schermo a tale distanza risulta troppo piccolo per essere visto dagli zoom più potenti dei Dormienti. Se lei parlasse di questa conversazione con qualcuno, le sue possibilità di essere creduta sarebbero molto basse. La sua cartella medica indica…

— Non è necessario, papà — interruppe Miranda e, a quel punto, anche lei assunse un’espressione truce. La piccola immagine di Richard Sharifi scomparve.

Theresa spifferò subito: — Tu non sei affatto a Selene, vero? Tu sei "qui"…

— Dimmi tutto sulle nuove siringhe, Theresa. Comincia col dirmi come mai ti trovavi in un accampamento di Vivi. No, non farti prendere dal panico, non posso mandarti aiuto lì fuori. Respira profondamente, guarda questo schermo, Theresa, "guardalo".

Lei lo fece, boccheggiando, attraverso ondate di oscurità provocata dal panico. Attorno a Miranda scintillavano impalpabili forme e colori, e lei si sentì un po’ più calma. Stimoli subliminali. Theresa respirò meglio.

— Quelle… sono come un concerto di Drew Arlen!

Un’espressione di dolore, complesso e profondo, passò sul volto di Miranda. — Parlami delle nuove siringhe.

Theresa lo fece, diventando sempre più calma mentre parlava. Miranda la ascoltò senza mai battere ciglio sopra gli occhi scuri. Scuri come quelli di suo padre, troppo scuri per essere quelli di Cazie. Ma Theresa non stava fingendo di essere Cazie. Non stava fingendo nemmeno di essere Leisha Camden. Lei era Theresa Aranow.

— Miranda… spegni gli effetti subliminali. Ti prego. Io posso… posso farcela. Penso.

Per la prima e ultima volta, Theresa vide sorridere Miranda Sharifi.

Quando finì di parlare, Theresa aggiunse: — Ma se non hai fatto tu le nuove siringhe, allora chi è stato? Jackson ha detto che noi Muli non abbiamo conoscenze biotecniche così sofisticate…

— Ecco cosa voglio che tu faccia, Theresa. Ascoltami attentamente. Voglio che tu torni a casa e che non parli a nessuno della tua visita qui, né delle nuove siringhe. Nemmeno a Jackson. Inoltre, è molto importante, non parlarne a nessuno tramite nessun terminale. Nemmeno se pensi che sia completamente indipendente.

Theresa stese una mano ma si fermò a pochi centimetri dalla piccola immagine sulla parete azzurra. Le sue dita restarono sospese. Il vento caldo muoveva l’ammasso di offerte invecchiate dal tempo che aveva ai piedi.

— Miranda… perché hai smesso di fornire le siringhe del Cambiamento?

— Abbiamo commesso un errore. Non volevamo. La nostra meta era rendere i Vivi liberi dalla dominazione dei Muli. Autotropici. Non sapevamo che loro, voi, sareste regrediti così in fretta a una forma di dipendenza infantile. Adesso nessuno di noi sa più quale dovrebbe essere il prossimo passo, perché non troviamo le equazioni per prevedere risultati con un tasso discreto di precisione. Siamo tutti qui a lavorare duramente… — L’immagine olografica tremò. Miranda sollevò le mani e le lasciò cadere, impotente. — Un errore enorme. Quando vedo ai notiziari i bambini che muoiono, le sofferenze dei neonati nonCambiati, quando le preghiere vengono ritrasmesse da Selene… Pensavamo di controllare tutto per voi! Come fossimo vostri "dei". Pensavamo… abbiamo dimenticato…

Theresa terminò la frase per lei: — Avete dimenticato di guardare profondamente dentro voi stessi.

— Sì — sussurrò Miranda. — Proprio così. E abbiamo provocato il caos.

— Ma intendevate soltanto…

— E adesso stiamo cercando disperatamente una via d’uscita da quel caos, una soluzione scientifica che possiate sintetizzare da soli, senza di noi, la sostanza giusta. Una soluzione che voi possiate controllare e non pervertire. Ma, Theresa, noi non pensiamo come voi, non reagiamo come voi e non sentiamo come voi.

Era una preghiera. Theresa si accorse che Miranda. "Miranda Sharifi!" soffriva con una profondità di dolore che Theresa poteva solo immaginare. Trattenne il fiato. Le due donne si fissarono e qualcosa passò fra loro, sembrò a Theresa, che lei non aveva mai condiviso con nessuno in vita sua, nemmeno con Jackson.

Disse dolcemente: — Sì invece. Tu provi esattamente quello che provo io.

Miranda non sorrise. — Forse. Adesso vai, Theresa. Ci occuperemo noi delle nuove siringhe che distruggono la libertà più di quanto l’abbiamo distrutta noi.

La parete azzurra scintillante si spense.

Abbacinata, Theresa tornò all’aereo. Il pilota la stava aspettando, guardando un notiziario. Spense lo schermo quando Theresa salì. La Solana era già fuori dal campo visivo e Theresa parlò per la prima volta.

— Lei sa quanto occorre a un messaggio per arrivare alla Luna e tornare indietro? Per la via più breve?

Il pilota la guardò con espressione interrogativa. — Vuole dire se lei trasmettesse a Luna City e loro rispondessero subito?

— Sì. Non c’è un… un tempo di attesa quando le persone si parlano? Almeno di qualche secondo?

— Sì.

— Grazie. — Ovviamente quello valeva per la tecnologia umana. Jackson diceva che i Super avevano una tecnologia che gli umani non possedevano. "Non pensiamo come voi, né reagiamo come voi…"

— Oh, mio Dio! — fece il pilota Olivetti.

— Cosa? Che c’è?

L’aereo sobbalzò improvvisamente in avanti con una accelerazione che schiacciò Theresa contro lo schienale del sedile. Il cielo si riempì di una luce accecante. Il pilota gridò.

La luce si affievolì: qualche istante dopo, l’aereo vibrò come se dovesse andare in pezzi. Le orecchie di Theresa vennero assalite da un gran fragore. L’aereo si raddrizzò e proseguì.

La luce brillante era alle sue spalle. Il sole, però, le stava davanti, a sud-est: come poteva esserci quella luce dove non c’era il sole? Theresa si voltò per guardare dal finestrino posteriore e vide il cappello di una nuvola a fungo che si alzava all’orizzonte.

— Abbiamo preso duecentoquaranta rad — annunciò col fiato mozzo il pilota Olivetti, controllando i suoi schermi. — Signorina Aranow, si prepari a stare molto male.

— Ma… che cosa è successo?

— Qualcuno ha fatto esplodere la Solana. Con un’arma nucleare. Qualche minuto prima, saremmo morte.

— Ma… "perché"?

— Come faccio a saperlo? Dio, se Selene reagisce… — Si collegò immediatamente su un notiziario.

Theresa si mise la testa fra le mani. Selene non poteva reagire. Non c’era nessuno a Selene. Miranda Sharifi e tutti i suoi Super-Insonni erano a La Solana "stiamo cercando", "disperatamente di trovare una soluzione" ed erano tutti morti. Non avrebbero più fornito siringhe del Cambiamento per salvare i bambini morenti né avrebbero trovato una soluzione per gli esseri umani dipendenti dalle siringhe, né avrebbero fermato chi stava rendendo Jomp e le altre triadi ancora più dipendenti e terrorizzate. Qualcuno aveva bombardato La Solana per uccidere Richard Sharifi, per distruggere la vecchia casa di Miranda, per attirare l’attenzione su una propria causa. I Super-Insonni erano morti.

E Theresa era l’unica persona sulla Terra a saperlo.

Interludio

DATA TRASMISSIONE: 4 aprile 2121

A: Base Selene, Luna

VIA: Stazione Terrestre Enclave Lubbock, Satellite S-65 (Israele)

TIPO MESSAGGIO: Non codificato

CLASSE MESSAGGIO: Classe D, Accesso Servizio Pubblico, in accordo con la Legge Congressuale 4892-18, Maggio 2118

GRUPPO DI ORIGINE: "La Tribù Carter" Texas

MESSAGGIO:


La famiglia Carter ha diretto ranch nel Texas Occidentale da 250 anni. Siamo abituati a sostenerci a vicenda. Adesso non ci sono più ranch da dirigere, ma ci sosteniamo ancora a vicenda. Io sono Molly Carter, io. Ho sei figli, diciassette nipoti, venti bisnipoti e altri ancora in arrivo. Ma non abbiamo più siringhe del Cambiamento per i nuovi bisnipoti. Io le chiedo di mandarcene, per favore, delle altre.

Mio figlio Ray Junior, lui, porterà questo messaggio in un posto dove c’è la radio a Lubbock, per spedirglielo nello spazio.

CONFERMA RICEZIONE: Nessuna

15

Nulla era mai quello che ci si aspettava, pensò Jackson.

Quando aveva accompagnato Shockey, Lizzie, Dirk e Vicki alla Kelvin-Castner Pharmaceuticals, si era aspettato di affrontare un’impresa difficile. Si era aspettato una crisi di panico dopo l’altra dei Vivi di fronte a un ambiente estraneo e sconvolgente perfino "prima" di inalare il neurofarmaco che li aveva resi così carichi di ansia e di paura verso tutto ciò che era nuovo. Aveva immaginato lotte fisiche con Shockey perché fornisse campioni di tessuto e proteste isteriche da parte di Lizzie quando fossero stati prelevati dei campioni da Dirk. Aveva contato sul fatto che Vicki lo avrebbe aiutato in quelle ipotetiche lotte. Aveva immaginato che lui e Thurmond Rogers avrebbero avuto una lunga e intensa conversazione sulle implicazioni di un farmaco che non era soggetto al Depuratore Cellulare. Le analisi dei tessuti sarebbero state una priorità assoluta, per Rogers, quindi il referto sarebbe stato preparato in fretta.

Non era accaduto niente di tutto ciò.

La sua aeromobile era stata accolta sul tetto della Kelvin-Castner, all’interno dell’Enclave di Boston Harborside, da due robot della sicurezza di alta qualità. I robot avevano afferrato con efficienza tutti, tranne Jackson, e avevano applicato loro maschere che li avevano resi immediatamente inoffensivi. Perfino Vicki. Poi, i robot avevano caricato su fluttuanti le quattro persone in stato di incoscienza e, ignorando le proteste di Jackson, le avevano portate giù con un ascensore fino a un laboratorio. Lì, altri robot avevano spogliato Shockey, Lizzie e il piccolo e avevano prelevato campioni: saliva, fluido cerebrospinale, sangue, urina, feci e cellule di ogni organo. I campioni erano stati estratti con lunghi aghi nanocostruiti, le loro pareti spesse soltanto qualche atomo, usati di solito per le biopsie. Quindi erano seguite tutte le scansioni, dalla conduttanza della pelle fino alla TAC cerebrale, sotto svariati stimoli. Non apparve mai nessuno in carne e ossa. A Jackson risultò chiaro che quella procedura era già sperimentata.

Da quanto tempo la Kelvin-Castner rapiva, come cavie da esperimento, Vivi che non potevano protestare, o che non l’avrebbero fatto comunque?

Era stato Jackson a protestare. — Thurmond, voglio parlare con te! — Ma aveva ottenuto in risposta solo uno sciocco ologramma preregistrato. — Salve, Jack. Mi dispiace di non essere lì personalmente, ma sono nel bel mezzo di una riunione che non posso lasciare. Se vuoi qualcosa da mangiare o da bere, mentre vengono presi i campioni, devi solo chiedere al sistema della stanza. Ti chiamerò quando avrò qualcosa da riferirti. Saluti cari a tua sorella.

— Thurmond, maledizione… Attivare sistema della stanza!

— Sistema della stanza attivato — annunciò la stanza. Aghi così sottili da risultare a mala pena visibili scesero simultaneamente nei ventri nudi di Shockey, Lizzie e Dirk. Vicki, ancora vestita, giaceva in un angolo sul suo fluttuante, respirando dalla maschera.

— Aprire una comunicazione prioritaria con Thurmond Rogers!

— Mi dispiace. Questo sistema può fornire solamente registrazioni e vettovaglie.

— Questa è un’emergenza medica. Comunicazione per il sistema di emergenza.

— Mi dispiace… questo sistema…

— Disattivare sistema!

Avrebbe registrato un messaggio incandescente per Rogers. Avrebbe tolto il respiratore a Vicki e visto se lei era in grado di inserirsi nel sistema. Però era Lizzie il pirata informatico, non Vicki, e Lizzie al momento aveva una sonda flessibile infilata nella gola che prelevava campioni di cellule dai suoi bronchi. Quindi Jackson non fece nulla, oltre fumare e camminare per un’ora, rifiutando di sedersi sull’unica poltrona confortevole della stanza, per rabbia o per ridicola autoflagellazione.

Quando la Kelvin-Castner ebbe preso tutti i pezzi umani che desiderava, i robot della sicurezza portarono Shockey, Lizzie, Vicki e il piccolo al tetto, li caricarono con efficienza sull’aeromobile di Jackson, tolsero loro i respiratori e fluttuarono via. Un minuto dopo, liberati i polmoni, loro si svegliarono.

— Bene che cosa stiamo aspettando? — chiese Lizzie. — Non entriamo? — Dirk si era accucciato contro il collo di sua madre, piagnucolando impaurito perché il mondo era più grande di Lizzie.

Jackson tornò all’accampamento e i tre Vivi scomparvero all’interno. — Non sono affatto contenta, Jackson — disse Vicki. — Dovevi svegliarmi. Anch’io avevo delle domande da porre.

— Non avresti ottenuto alcuna risposta.

— Non fa niente. — La donna gli lanciò un’occhiataccia. — Promettimi che non tornerai alla Kelvin-Castner e non parlerai con Rogers senza che ci sia anch’io. Il sistema di Lizzie ci può mettere in collegamento multiplo.

— Non penso…

— Io sì. Promettimelo.

E Jackson, per stanchezza o rassegnazione o riguardo o qualcos’altro, aveva promesso.

Da allora non era più accaduto nulla. Erano passati quattro giorni e Thurmond Rogers non aveva contattato Jackson né aveva risposto alle sue chiamate. Theresa passava tutto il tempo nello studio al piano superiore, di cui Jackson non doveva sapere nulla, senza presentarsi nemmeno per i pasti. Lasciava periodicamente a Jackson dei messaggi dicendo che stava bene. Jackson camminò avanti e indietro, si gingillò e si dimenticò di mangiare finché il suo fisico si ribellò. Lui si addormentò nudo nella sala di alimentazione mentre il suo corpo assorbiva le sostanze nutrienti di cui aveva bisogno.

Il quarto giorno, di mattina presto, lo chiamò Cazie. Jackson non rispose. Si rotolò su un fianco, nella camera da letto oscurata, dando la schiena alla parete schermo e lasciando che il messaggio venisse registrato.

— Jackson, rispondi. So che sei lì.

Tutto a un tratto Jackson si sentì infastidito. Perché Cazie presumeva sempre di sapere tutto su di lui?

— Ascolta abbiamo bisogno di parlare — fece Cazie. — Ho appena ricevuto un messaggio privato da un mio vecchio amico, Alexander Castner della Kelvin-Castner Pharmaceuticals. Penso di avertelo presentato una volta a una festa. Ti ricordi di lui?

Lentamente Jackson si voltò sul letto per fissare lo schermo. Nell’angolo in basso, sotto il volto di Cazie, scintillava il segnale di chiamata criptata. Stava trasmettendo su una linea fortemente schermata.

— Alex sta contattando alcuni importanti investitori, in modo molto riservato. La Kelvin-Castner ha per le mani qualcosa di veramente grosso. Qualcosa che vogliono sviluppare molto in fretta. Alex pensa di portare un prodotto farmaceutico completamente nuovo allo stadio di brevetto prima di chiunque altro. Senti questa: "riesce a superare il Depuratore Cellulare producendo effetti farmacodinamici permanenti". Le applicazioni nel mercato delle sole droghe del piacere sono sbalorditive. Si potrebbero eliminare gli inalatori!

"Alex però non sa chi altri ci stia lavorando sopra o quanto sia vicino a presentare un brevetto, quindi si deve muovere il più in fretta possibile. Ha bisogno di afflussi ingenti di capitali, talenti e tempo informatico. Jack, la TenTech dovrebbe buttarsi nell’impresa, presto e in modo massiccio. È il genere di opportunità che ci farebbe arrivare negli International Fifty. Ho messo insieme qualche dato preliminare per te. E ovviamente anche per Theresa. Però abbiamo bisogno di impegnarci presto, oggi stesso se possibile. Maledizione, Jackson, rispondi alla chiamata!

Jackson scese lentamente dal letto. Al buio, infilò gli abiti del giorno prima.

— Benissimo, forse non sei lì — continuò Cazie. — Ma dove sei? Ho già chiamato quella ridicola donna al suo accampamento di Vivi preferito, Vicki Come-cavolo-si-chiama, e ha detto che non c’eri. Se passi la notte con qualcuno, quando chiamerai per avere i tuoi messaggi, ti prego di contattarmi su una linea protetta nel mio ufficio alla TenTech. Altrimenti…

— Mi correrai dietro in capo al mondo — Jackson terminò per lei la frase.

— …ti correrò dietro in capo al mondo comunque, tesoro. È un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare.

Jackson uscì dall’appartamento. A est, il sole cominciava appena a tingere di rosa il cielo. Il sole vero, reale: al momento la cupola di Manhattan Est era trasparente. Passò per il giardino sul tetto, con le sue belle di giorno e i suoi gigli che si stavano aprendo, dirigendosi verso la propria aeromobile. Non riusciva a ricordare di essere mai stato così infuriato in vita sua.

Vicki lo aspettava all’esterno dell’edificio della tribù, una figura solitaria nel perlaceo freddo di aprile.

— L’affascinante Cazie ha chiamato prima qui — disse mentre saliva sull’aeromobile. — Ho immaginato che stesse succedendo qualcosa e sapevo che ti saresti ricordato della promessa di portarmi con te alla Kelvin-Castner.

— Come facevi a saperlo? — chiese Jackson cupo.

— Perché sapevo che, fondamentalmente, eri capace di avere l’aspetto che hai in questo momento. Vuoi dirmi cosa sta succedendo?

— Quelli della Kelvin-Castner si stanno preparando a creare un sistema di trasmissione per farmaci brevettabile, sfruttando quello che hanno scoperto dalle analisi cerebrali e dai campioni di tessuto di Shockey e di Dirk. Non gli interessa un accidente di trovare un antidoto per l’inibizione da ansia, ma sono interessatissimi alle possibilità commerciali nel mercato delle droghe di piacere offerte da un mezzo che riesce a sfuggire al Depuratore Cellulare. Hanno chiesto alla TenTech investimenti massicci.

— Gesù Cristo — fece Vicki, quasi ammirata. — La tua ex moglie ha un fiuto favoloso, eh? Per caso ha del sangue di segugio nelle vene?

— Pensi che dovremmo portare con noi anche Lizzie? — chiese Jackson. — Se ci impediscono di entrare, io non posso intrufolarmi nei sistemi informatici, e nemmeno tu.

— Non ci riuscirebbe nemmeno Lizzie, nel mezzo secondo che avrebbe a disposizione prima di essere colpita da un robot della sicurezza. Sii realistico, Jackson. Non è una Super-Insonne.

Jackson decollò. Vicki domandò: — Non vuoi sapere cos’ho detto a Cazie quando mi ha chiamata qui?

— No.

— Le ho detto che, per quanto ne sapevo io, stavi scopando Jennifer Sharifi adesso che quella è fuori di galera e visto che si da il caso che abbia i suoi stessi colori.

A dispetto di se stesso, Jackson sorrise.

Nulla impedì all’aeromobile di atterrare sul tetto della Kelvin-Castner. Con grande sorpresa di Jackson, nulla impedì nemmeno a lui e Vicki di scendere con l’ascensore fino all’ingresso superiore della Kelvin-Castner. L’atrio era formato da infinite variazioni barocche di un motivo a doppia spirale, un centimetro preciso al di sopra del limite dell’ordinario. Jackson ricordò Ellie Lester.

L’ologramma di una receptionist scintillò al suo posto a un metro da lui. Si trattava di una bionda di mezz’età con la pelle color caffè, attraente ma abbastanza seria da risultare rassicurante. — Benvenuti alla Kelvin-Castner. Posso esservi d’aiuto?

— Sono Jackson Aranow e voglio vedere Thurmond Rogers.

— Temo che il dottor Rogers sia fuori sede, oggi. Vuole registrare un messaggio?

— Allora mi faccia parlare con Alexander Castner.

— Ha un appuntamento?

— No.

— Temo che l’agenda del signor Castner non gli conceda tempo per visite senza appuntamento. Vuole registrare un messaggio?

— Avremmo dovuto portare Lizzie, dopo tutto — disse Jackson a Vicki.

— Non sarebbe servito. Nel momento stesso in cui fosse arrivata a qualcosa, il sistema di sicurezza ci avrebbe gasati tutti. Voglio dire, questa è una compagnia dove si fabbricano neurofarmaci, no?

Era ovvio che fosse così. Jackson non stava pensando con lucidità. La rabbia aveva quell’effetto. Doveva essere più attento.

Vicki disse cortesemente all’ologramma: — Io vorrei registrare un messaggio per il signor Castner. O forse preferirebbe riceverlo in diretta. La prego di dire al signor Castner che qui c’è il dottor Jackson Aranow della TenTech. La ditta di Cazie Sanders. Ripeto "Aranow", "TenTech", "Sanders": sono certa che uno di questi nomi compaia, come compariva ieri, nel programma dei termini da segnalare con priorità assoluta. Dica al signor Castner che il dottor Aranow ha richiesto un consiglio di tipo legale per citarlo in giudizio per i campioni di tessuto, oltre che per tutti i brevetti risultanti, presi dai cittadini Shockey Toor e Dirk Francy mentre erano privi dei loro avvocati. Il legale ha già ricevuto deposizioni giurate di tutti gli eventi, ed è stato informato di questa nostra visita. È possibile che venga emessa un’ingiunzione da parte di un giudice federale affinché la K-C interrompa immediatamente i lavori in corso, così come è possibile che si sviluppi una considerevole attenzione industriale sulla ricerca in atto, che il signor Castner potrebbe trovare prematura. Dica inoltre al signor Castner che il dottor Aranow e sua sorella controllano la maggioranza azionaria della TenTech e che non è possibile ottenere alcun impegno di investimento di capitali senza la loro approvazione. Ho stimolato i suoi programmi di priorità assoluta?

L’ologramma rispose raggiante a Vicki. — Sì, le mie priorità sono state attivate e sto trasmettendo. Gradireste del caffè?

— No, grazie. Aspetteremo qui la risposta del signor Castner. O forse quella del dottor Rogers.

— Il dottor Rogers è fuori sede oggi — ripeté la receptionist. Stava ancora trasmettendo.

— Certamente — commentò Vicki. Sprofondò su un divano coperto da una stoffa stampata con la doppia spirale e batté una mano sul sedile accanto al suo. — Siediti, Jackson. Dobbiamo concedere loro un po’ di tempo per un consiglio di guerra per stabilire chi abbia fatto la coglionata di contattare Cazie mentre Rogers ti stava fottendo i dati.

— Probabilmente ci stanno ascoltando.

— Lo spero proprio.

Jackson si sedette e chiese a voce molto bassa: — Dove hai imparato a comportarti così?

Il volto di Vicki assunse all’improvviso un’espressione stanca. — Meglio che tu non lo sappia mai.

— Sì, invece.

— Un’altra volta. Oh, una risposta così pronta. Cinque punti per l’efficienza.

Si accese uno schermo a parete e apparve l’immagine di Thurmond Rogers, che sorrideva con affettazione. — Jackson. Come stai? Sono appena entrato e il sistema del complesso mi ha informato che ti trovavi qui e che c’era una specie di equivoco sul fatto che io non volessi parlarti. Mi dispiace.

— Oh, questi buchi nei computer — mormorò Vicki.

— Ti avrei chiamato questa mattina — continuò Rogers. Un nodo di muscoli all’altezza del colletto del camice da laboratorio continuava a sollevarsi e ad abbassarsi. — Abbiamo un rapporto preliminare sui cambiamenti nei cervelli dei tuoi soggetti.

— Allora vieni fuori a consegnarmelo — intimò Jackson. — Di persona. Non ti salterò addosso, Thurmond.

L’immagine si mise a ridere, a disagio. — Certo che no. Mi sono stirato dei muscoli della schiena uscendo dall’auto e, finché il depuratore Cellulare non si sarà occupato della faccenda, non mi posso assolutamente muovere.

— Allora verremo noi da te — replicò pacatamente Jackson.

— Lascia che cominci col dirti che genere di esami abbiamo effettuato sui tuoi soggetti e quali sono stati i risultati. Abbiamo trovato… ma è necessario?

Vicki aveva estratto dalla tasca della tuta un registratore e lo stava puntando contro l’immagine di Rogers. Disse: — Assolutamente. Cominciamo col documentare che il dottor Rogers si è sigillato nei laboratori bioprotetti della K-C perché ha scoperto qualcosa di veramente allarmante su questo nuovo neurofarmaco e che non ha alcuna intenzione di correre il benché minimo rischio che questo possa raggiungere in qualche modo il suo colto e costosissimo cervello. Dico bene, dottor Rogers?

Rogers la fissò con disprezzo. — Come avevo iniziato a dire, abbiamo effettuato analisi esaustive sulle scansioni mediche dei soggetti e sui campioni di tessuto. Quello che abbiamo trovato, Jackson, è soltanto allo stadio preliminare, ma è stupefacente. I soggetti hanno inspirato una molecola modificata geneticamente trasmessa per via aerea, probabilmente un virus costruito. La molecola in sé non è disponibile per essere analizzata, essendosi scissa appena raggiunto il cervello. Siamo stati in grado di seguirne il passaggio e di formulare ipotesi grossolane sulla sua parziale composizione partendo dai suoi effetti farmacodinamici.

Rogers trasse un profondo respiro. La cosa sembrò calmarlo, anche se il muscolo continuava a contrarsi appena sopra il colletto. Jackson si chiese che cosa avesse mischiato all’aria del suo ufficio. — La molecola, qualsiasi cosa fosse, era apparentemente studiata per agire su molteplici siti neurali agonisti e antagonisti, puntati…

Vicki lo interruppe: — E in parole comprensibili per gli avvocati questi termini significherebbero…

— Jackson, è "necessario"?

— Pare di sì — rispose Jackson.

Rogers fissò Vicki con espressione impassibile. — Un "agonista" attiva recettori neurali specifici, facendo sì che essi cambino la loro biochimica. Un "antagonista" blocca altri sottotipi di recettori.

— Grazie — disse Vicki con dolcezza. All’improvviso Jackson ebbe l’impressione che lei sapesse già quelle cose e che stesse soltanto cercando di rendere la vita difficile a Rogers.

Rogers continuò. — La molecola pare avere una forte affinità di legame per il recettore o i recettori posti nel complesso amigdaloide. Scansioni JEM mostrano proprio lì un’elevata attività recente di afflusso di sangue, sia nelle aree limbiche sia in quella temporale destra della corteccia cerebrale. Apparentemente la molecola ha provocato un effetto a cascata molto complesso, in cui il rilascio di determinate ammine biogene ha provocato il rilascio di altre sostanze chimiche e così via. Abbiamo già identificato dei cambiamenti nello sviluppo di dodici peptidi diversi e probabilmente si tratta soltanto del principio. Ci sono anche cambiamenti nella sincronia dell’innesco neurale.

— La somma di tali cambiamenti porta forse a mutazioni permanenti nei recettori NMDA? — chiese Jackson.

— Temo di sì. I cambiamenti sembrano includere l’alterazione di creazione di ammina e la presenza di ammine che compaiono soltanto in condizioni patologiche. Inoltre ci sono cambiamenti nella composizione dei recettori, nei processi dei neurotrasmettitori, nelle sinapsi e perfino nella reazione cellulare interna. Anche se queste scoperte in particolare risultano decisamente preliminari. Si riscontra anche una significativa morte cellulare del genere provocato da traumi o da stress prolungati. La stessa architettura neurale è stata reimpastata.

Jackson si trovava in piedi e stava camminando avanti e indietro prima ancora di rendersene conto. — Che corrispondenze di dati hai ottenuto dalle mappe neurali?

— Ci sto arrivando. I soggetti hanno mostrato un aumento forte e costante del battito cardiaco, anche durante il sonno. Alta conduttanza della pelle. Marcato stress a livello cellulare. Fluido cerebrospinale, urina, saliva, sangue: tutto mostra un forte tasso di prodotti da degenerazione di neurotrasmettitori. La mappa corrisponde a quella di una bassa soglia di eccitazione limbico-ipotalamica, alto stress cronicizzato, forte inibizione radicata in cambiamenti permanenti nel tracciato efferente primario delle amigdale.

Vicki disse di nuovo: — In parole povere, per favore?

Fu Jackson a risponderle. — Il neurofarmaco, qualsiasi cosa sia, ha prodotto in Shockey e in Dirk la biochimica di persone fortemente inibite, terrorizzate da qualsiasi novità, cariche di paura di distacco da persone familiari, incapaci di alterare la routine conosciuta in quanto farlo provocherebbe un’ansia dolorosa.

— La bambina di Sharon… la piccola Callie — ricordò Vicki.

— Sì. È normale che i bambini avvertano una forte ansia rispetto agli estranei e inibizione rispetto alle novità fra i sei e i nove mesi d’età. A quel punto, però, la maturazione attenua la paura dell’estraneo quando le funzioni complesse del cervello sopprimono quelle più primitive. Questa però… questa è una regressione all’inibizione provata dai piccoli che soffrono delle forme inibitorie più gravi. "Permanentemente". E senza alterare il DNA o affidandosi alla presenza di sostanze chimiche estranee: infatti le due cose verrebbero distrutte dal Depuratore Cellulare. Si è creata una paura naturale di tutto ciò che è nuovo o diverso.

"Come Theresa" pensò Jackson senza dirlo a voce alta. Un accampamento pieno di Theresa. Una nazione piena di Theresa? Erano state infettate altre tribù?

— Ma "perché"? — chiese Vicki.

Rogers la squadrò con disgusto. — Il ruolo del sistema nervoso è quello di generare comportamenti. Ovviamente c’è qualcuno che sta effettuando esperimenti su questo tipo di comportamento.

— Non è una risposta.

— Non ho una risposta — replicò Rogers. — Cosa vi aspettavate in quattro giorni? Ogni neurone del cervello è in grado di ricevere fino a centomila contatti dagli altri neuroni con i quali è collegato a piramide. Inoltre, esistono siti recettori in altri organi che non sono il cervello: ci sono immense variazioni individuali nell’architettura neurale e nella reazione ai farmaci; ci sono…

— Va bene, va bene — troncò Vicki. — La vera domanda è: cosa potete fare? Potete creare un neurofarmaco che inverta gli effetti?

— Jackson — fece Rogers — di’ alla tua amica che è maledettamente più facile danneggiare organismi viventi che non ripristinare il danno. Dille…

— …che tu non hai avuto alcun problema nello scoprire un modo rapido per sfruttare il cosiddetto danno — intervenne Vicki. — Bisogna solo studiare come può essere alterata permanentemente l’architettura neurale per svicolare al Depuratore Cellulare, quindi adattare la scoperta al redditizio mercato delle droghe del piacere. Non è quello che hai detto a Cazie Sanders? Quindi devi avere intravisto almeno una possibilità di trovare delle scappatoie in quella biochimica che si presupponeva inalterabile.

— Ha ragione, Thurmond, e tu lo sai bene — rincarò Jackson. — La Kelvin-Castner dovrebbe impegnarsi a combattere questa cosa.

— Lo faremo, ovviamente — disse Rogers. — Ma le enclavi hanno difese contro i missili a testata biologica e i singoli edifici possono attivare un riciclaggio interno di aria. Possono farlo anche le maschere antigas. Potremmo non essere troppo precipitosi nella creazione di un antidoto. Per il bene civico comune.

A Jackson si mozzò il fiato. Rogers stava affermando che i Muli probabilmente non sarebbero stati esposti al contagio del neurofarmaco inibitore, se fossero stati attenti. Soltanto i Vivi. E i Vivi inibiti, terrorizzati dalle novità, impauriti dalla separazione dal familiare, Vivi simili avrebbero costituito una minaccia di ben minore entità. Non avrebbero attaccato le enclavi alla ricerca di siringhe del Cambiamento. Non avrebbero affatto attaccato le enclavi. Avrebbero continuato semplicemente a vivere le loro vite inibite e impaurite in una tranquilla disperazione, lontani dagli occhi e dal cuore dei Muli, finché la vulnerabilità alla malattia della successiva generazione di nonCambiati ne avrebbe ucciso la maggior parte.

Vicki mormorò con un filo di voce: — Che figlio di puttana.

Rogers sogghignò; Jackson immaginò che si fosse lasciato prendere la mano dalla rabbia e che ora se ne stesse pentendo. — Ovviamente non sto parlando ufficialmente per la Kelvin-Castner — aggiunse Rogers. — Non ho questa autorità.

Vicki aggiunse nello stesso tono sereno ma letale: — E sono anche sicura che la Kelvin-Castner…

— Aspetta — l’interruppe Jackson. — "Aspetta".

A quel punto lo fissarono tutt’e due: una persona vera, un’immagine olografica. Lui cercò di riflettere. — La vera domanda è "chi". Chi ha creato questo neurofarmaco? Per quale motivo?

— Dovrebbe essere ovvio — rispose Rogers. — Si tratta di biochimica estremamente raffinata e avanzata. I candidati più probabili sono i Super-Insonni. Miranda Sharifi ha già rifatto i corpi umani: adesso è alla caccia delle menti.

— Per quale motivo?

Rogers sbottò, infuriato: — Ma come facciamo a saperlo? Non sono umani!

Jackson ignorò la sfuriata. — Aspetta. Hai detto che si tratta di biochimica estremamente avanzata. Così avanzata che devono esserci dietro "per forza" i Super-Insonni? O è soltanto avanzata rispetto alle conoscenze scientifiche che noi siamo in grado di ottenere adesso, senza essere assolutamente al di là della normale capacità umana?

L’immagine olografica restò in silenzio.

— Rispondi con attenzione, Thurmond. È di importanza vitale.

Rogers ammise con riluttanza: — Non è assolutamente al di là di normali umani, per quello che già sappiamo sul cervello. Tuttavia occorrerebbe una combinazione di genio, fortuna e imponenti risorse. La spiegazione più facile resta Miranda Sharifi. Il rasoio di Occam.

— …non è l’unico modo per farsi la barba — commentò Vicki. — D’accordo, hai fornito le premesse. Adesso dacci le stampe con i dati effettivi.

— Sono proprietà della Kelvin-Castner — disse Rogers.

— Se noi…

Jackson l’interruppe. — No. Va bene, Thurmond. Non abbiamo bisogno dei tuoi dati. Sono replicabili prendendoli da chiunque nella tribù di Lizzie. O forse, ormai, anche da altre tribù.

Tribù intere di Theresa. Spaventati da ciò che non era familiare, riluttanti ad affrontare gli estranei, restii a fare le cose diversamente da come le avevano fatte fino a quando avevano respirato il neurofarmaco. Non disposte a cambiare. Chi poteva desiderare l’esistenza di un simile neurofarmaco? Un gruppo qualsiasi di Muli potenti, governativo o privato, con un finto interesse a proteggere lo status quo. Cioè, qualsiasi gruppo di Muli. La tribù di Lizzie era stata la prima solo per il suo folle tentativo vincere delle elezioni. Non sarebbe stata l’ultima.

L’immagine di Thurmond Rogers fissò Jackson con ironia. — Hai ragione, Jackson. Tutti possono replicare i nostri dati. Ecco perché dobbiamo muoverci in fretta per ottenere una molecola brevettabile. Cazie incontrerà Alex Castner alle 8:30 con qualche altro potenziale forte azionista. Posso fornirti una suite per ripulirti e un abito in prestito per…

— Sì, grazie — fece Jackson. Al suo fianco, Vicki restò in silenzio. Jackson la prese per mano. — Voglio anche qualcosa per la mia… amica. Anche se lei aspetterà nella suite.

— Ovviamente — concesse Rogers. Aveva un aspetto più felice. Si era liberato di Vicki. Jackson riuscì quasi a leggere nel pensiero di Rogers: "Non è di mio gusto ma deve essere abbastanza carina sotto i vestiti e a Jackson sono sempre piaciute le donne un po’ acide, dopo tutto, ha sposato Cazie Sanders". Vicki, pietosamente, non disse nulla finché l’ologramma della receptionist non li ebbe portati in una sala riunioni appartata con una camera da letto con bagno, dietro a una porta discreta.

— Non è nella zona protetta dalle armi chimiche in cui si trovava Rogers — commentò lei, aprendo a caso gli armadi. All’interno erano appesi sia abiti da ufficio, sia accappatoi. — Quanto ci facciamo che Rogers parteciperà alla riunione soltanto via ologramma?

— Potrebbe essere.

— Comunque questa suite è abbastanza carina. — Si strinse a Jackson e gli sussurrò così piano che nessuna spia acustica avrebbe potuto captarla: — Cos’hai intenzione di fare?

Non importava se non scorgeva le telecamere: c’erano di sicuro. Lui l’abbracciò e le sussurrò a sua volta: — Lasciamo che Cazie investa dei fondi.

— Perché?

— È l’unico modo per essere al corrente di quello che fanno.

Lei annuì contro la spalla di lui. Lo turbava tenerla fra le braccia. Non dava la stessa sensazione di Cazie: era più alta, meno arrotondata, aveva una pelle più fredda, aveva un odore diverso. Jackson ebbe un’erezione.

Lasciò Vicki e si voltò, fingendosi indaffarato nell’esaminare gli abiti dell’armadio. Quando si girò nuovamente, si aspettava di vederla sorridere in modo sardonico, pronta a un commento tagliente. Non fu così. La donna era in piedi, afflitta, al centro della stanza e il suo volto si era addolcito in un’espressione che chiunque altro avrebbe definito malinconica.

— Vicki…?

— Sì, Jackson? — Lei sollevò lo sguardo e lui notò sbalordito che era carico di bisogno.

— Vicki… io…

La sua unità mobile disse: — Tempesta lunare da Theresa Aranow. Ripeto. Tempesta lunare da Theresa Aranow.

"Tempesta lunare" era il codice di famiglia, rimasto invariato dall’infanzia, per una chiamata della massima urgenza. Theresa non l’aveva mai usato prima. Jackson attivò l’unità. Apparve l’immagine di lei, in una specie di piccola cabina aperta. Sembrava un aereo. Era impossibile. Theresa non sapeva pilotare aerei.

— J-Jackson! — boccheggiò lei. — Sono morti!

— Chi? Chi è morto, Theresa?

— Tutti quelli a La Solana! Richard Sharifi! — All’improvviso, Theresa si ricompose. — Richard Sharifi. Lui era nella tenuta, quanto meno c’era ancora la sua immagine registrata… La Solana…

Alle sue spalle, Vicki ordinò brusca: — Attivare terminale! Notiziari! Canale 35! — Si accese subito uno schermo a parete.

— …deflagrazione nucleare a La Solana, la tenuta dagli scudi massicci del Nuovo Messico, dimora del padre di Miranda Sharifi, Richard Keller Sharifi. Nessun gruppo ha rivendicato l’attentato che viola i trattati nazionali e internazionali sull’uso delle armi nucleari. La Casa Bianca ha emesso una dichiarazione di sdegno, e ha disposto l’invio immediato da parte del Pentagono di robot della difesa programmati per un’attenta analisi delle scorie radioattive in cerca di indizi che portino all’identificazione della composizione, dell’origine o del vettore della bomba. Lo scudo a energia attorno a La Solana era stato sviluppato da…

— Sto tornando a casa, Jackson — annunciò Theresa.

— Tess, aspetta, sembri strana, non sembri tu…

— Non lo sono — rispose Theresa. Spalancò gli occhi e per un momento "sorrise". Era la cosa più sconcertante che Jackson avesse visto in quella sconcertante giornata.

Theresa aggiunse con una voce che non sembrava completamente sua: — Il pilota ha detto che abbiamo preso duecentoquaranta rad. — A quel punto lo schermo si spense.

— Gesù Cristo — disse piano Vicki. — Sarà sufficiente a ucciderla?

— Forse no, ma starà malissimo. Devo andare.

— E Cazie?

— Che vada al diavolo — sbottò Jackson e vide Vicki sorridere, rendendosi conto, proprio come Vicki, che non parlava sul serio. Forse, però, un giorno sarebbe stato così. Nel frattempo, Cazie avrebbe investito un forte capitale senza il consenso suo o di Theresa. Il che, quanto meno, era meglio di niente.

Anche se non era abbastanza.

16

Quando Lizzie si svegliò, Vicki non era ancora tornata.

Era facile sapere chi si trovava nell’accampamento e chi no. Tutti si raggruppavano nello stesso momento per la colazione sotto la tenda del campo di alimentazione e tutti giacevano o sedevano nello stesso posto. Alcuni, Norma Kroll, Nonna Seifert, Sam Webster… si mettevano perfino nella stessa posizione. Un giorno dopo l’altro. Nella tribù si parlava piano mentre ci si nutriva e poi tutti lasciavano il terreno di alimentazione nello stesso ordine, accingendosi alle stesse faccende: recuperare suolo nuovo con nutrienti non sfruttati; ripulire l’edificio; occuparsi dei bambini che giocavano agli stessi giochi negli stessi luoghi; creare oggetti di legno o di stoffa oppure recuperare il legno dalla foresta e la stoffa dal robot tessitore. Un giorno dopo l’altro.

Pranzo alla stessa ora, negli stessi posti.

Fare appisolare i bambini, eseguire lavoretti, guardare ologrammi, prendere acqua, giocare a carte o fare ginnastica. Cena negli stessi posti, sotto la tenda. Gli stessi racconti alla sera, quando l’aprile insolitamente freddo costringeva a restare all’interno. Sarebbero rimasti dentro anche in giugno o in agosto vista la routine di aprile?

— Non lo sopporto più — aveva detto Lizzie a sua madre. Annie le aveva risposto: — Sei sempre stata troppo impaziente, tu. Goditi il tempo, Lizzie. Tutto è sicuro e tranquillo. Non vuoi pace, tu, per il tuo bambino?

— Non così! — aveva gridato Lizzie, ma Annie aveva solo scosso la testa ed era tornata all’arazzo che stava preparando con stoffa tessuta, sassolini e fiori secchi. Quando fosse finito, pensò Lizzie con disperazione, ne avrebbe iniziato un altro. Alle dieci lei e Billy sarebbero andati a letto perché quello era il loro orario. Probabilmente facevano l’amore le stesse sere ogni settimana. Di certo era quello che facevano Shockey e Sharon nel loculo accanto al suo. Martedì e sabato sera e domenica pomeriggio.

Quando c’era stata Vicki nell’accampamento, quanto meno, lei aveva avuto qualcuno con cui parlare. Vicki era tesa, agitata, frustrata, imprevedibile. Vicki era vera. Camminava sui sentieri dei boschi, col fango attaccato agli stivali, parlando delle proprie paure e della propria speranza. A volte a Lizzie sembrava che Vicki non fosse in grado di distinguere le une dall’altra.

— Dobbiamo aspettare Jackson — aveva detto Vicki, picchiando un pugno sul palmo dell’altra mano. — Per quanto mi secchi, lui e il detestabile suo amico ricercatore, Thurmond Rogers, sono la sola via per andare alle radici mediche del problema, Lizzie. Si tratta di un problema medico e può essere combattuto meglio con un modello medico. Non so come, la chimica del cervello si è modificata e noi…

— Aspetta — aveva detto Lizzie. — "Aspetta!"

Vicki l’aveva guardata.

— Non è soltanto un problema medico, lui. — Sentiva il proprio linguaggio scivolare in quello dei Vivi e le dava un fastidio d’inferno. Non avrebbe mai imparato? — È anche una questione politica. "Qualcuno" lo sta facendo! Non è successo spontaneamente!

— Già è ovvio, hai ragione. Ma non possiamo agire direttamente sulla causa. Ci abbiamo provato con le elezioni, ricordi? Il massimo che possiamo sperare è riuscire a manipolare i risultati. Forza Jackson… "chiama!"

E apparentemente, alla fine, Jackson doveva avere chiamato visto che Vicki era sparita. Era nella magnifica casa di Jackson a Manhattan Est? Alla Kelvin-Castner a Boston? Lizzie non lo sapeva.

La cosa peggiore comunque era Dirk.

— Guarda, Dirk, una tamia!

Quel pomeriggio aveva portato un po’ il piccolo nei boschi selvatici primaverili, vestito con la calda tuta invernale, la frangetta di ciuffi scuri che gli cadeva sulla fronte sotto lo sgargiante cappuccio rosso. Per tutta la durata del breve cammino, Dirk aveva nascosto la testa contro la spalla di Lizzie e si era rifiutato di sollevare lo sguardo. Lei lo aveva costretto con dolcezza ad alzare gli occhi.

— Guarda la tamia! Scappa, scappa!

La creaturina si era fermata a circa sei metri di distanza, li aveva guardati con espressione perplessa e si era seduta sulle zampe posteriori con la coda vaporosa arricciata in alto alle spalle. Aveva preso una noce e aveva cominciato a mordicchiarla, con la testa che ondeggiava comicamente dietro le zampette anteriori sollevate. Dirk l’aveva guardato e aveva cominciato a gridare terrorizzato.

— Smettila! Smettila, maledizione! — aveva gridato a sua volta Lizzie e si era subito avvilita, spaventandosi. Che cosa stava facendo? Dirk non poteva farci nulla! Lo strinse forte e corse in fretta verso l’edificio. Annie sollevò lo sguardo dall’arazzo.

— Lizzie! Dove hai portato quel bambino, lui?

— A fare una fottuta passeggiata! — Lei si era sentita di nuovo furiosa: Dirk, nell’ambiente che gli era familiare, aveva smesso di piangere. Il piccolo vide sul pavimento i blocchi che Billy gli aveva fatto per giocare, i blocchi con cui aveva sempre giocato in quel momento del pomeriggio e si mise a scalciare perché Lizzie lo mettesse a terra.

Annie la ammonì: — Bada a come parli, tu. Vieni dalla nonna, Dirk, è il momento di giocare coi blocchi, vero? Vieni dalla nonna.

Il bimbo smise di piangere. Cominciò allegramente a mettere i blocchi l’uno sull’altro. Annie gli sorrise dalla seggiola.

Lizzie venne colta dalla disperazione.

— Dove vai adesso, piccola mia? — chiese Annie. — Siediti, tu, e parla un po’ con me.

— Torno fuori.

Gli occhi scuri di Annie si allarmarono. — No, resta qui, tu. Lizzie, siediti qui con me e Dirk.

Lizzie sfrecciò verso la porta.

Il sole era uscito da dietro le nuvole grigie. Lei cominciò a camminare senza una meta, sarebbe andata da qualunque parte pur di allontanarsi dalla monotonia placida e sicura che si era lasciata alle spalle, che sarebbe andata avanti un giorno dopo l’altro, finché non fossero morti tutti.

Percorrendo il sentiero sulla montagna, scalciò i rametti fatti cadere dai venti invernali. Quel sentiero sarebbe risultato sempre meno utilizzato, a meno che camminarci sopra non facesse parte dell’abitudine di qualcuno. Il neurofarmaco si sarebbe diffuso? Forse sarebbe stata contagiata anche lei, Lizzie, se fosse stato rilasciato una seconda volta. E non gliene sarebbe importato nulla, quella era la cosa peggiore: sarebbe diventata come Annie, contenta per la sua pace e la sua tranquillità.

Lizzie si fermò e dette un pugno contro un arbusto di betulla. "No." Lei aveva diciotto anni e non poteva semplicemente "cedere". Non lo aveva mai fatto, in tutta la vita. Doveva esserci per forza qualcosa che lei poteva fare. Doveva esserci.

Ma che cosa?

Non poteva cercare un antidoto per il neurofarmaco: lo stavano già facendo Jackson, Vicki e Thurmond Rogers. Non poteva nemmeno impegnarsi in una nuova elezione: visto come erano diventate le persone, c’erano ancora meno possibilità di prima di riuscire a convincere la gente a votare per un candidato Vivo. Tutto era tornato decisamente a favore del candidato Mulo!

Era "quello" il motivo per cui era avvenuto il contagio? Donald Thomas Serrano forse aveva ordinato il neurofarmaco che metteva la sicurezza davanti a tutto perché un Mulo potesse vincere le elezioni? Jackson però aveva detto che quella era una sostanza completamente nuova, che non veniva eliminata dal Depuratore Cellulare perché faceva sì che il corpo mutasse permanentemente le proteine che produceva. Nessuno avrebbe sprecato un neurofarmaco del genere per una sciocca elezione a supervisore distrettuale della Contea di Willoughby.

A meno che lo stessero testando. "Chi" lo stava testando?

Quella linea di pensiero non la portava da nessuna parte! Era troppo stupida per capire qualcosa. Ma chi si credeva di essere, Miranda Sharifi?

Lei era Lizzie Francy, ecco chi era. Il migliore pirata informatico del paese. Forse di tutto il fottutissimo mondo!

Benissimo, disse schernendo se stessa, se era un pirata informatico così in gamba, perché non stava trafugando informazioni? Perché stava lì, nei boschi di aprile a prendere a pugni arbusti quando avrebbe dovuto fare l’unica cosa che sapeva fare sul serio? Tanto per cominciare doveva proteggersi per non restare contagiata dal neurofarmaco, trovare un posto per vivere appartato. C’erano molti gabbiotti abbandonati sulle montagne. Le altre tribù non sarebbero tornate dal sud finché il clima non si fosse riscaldato, qualche mese dopo. Sarebbe stata al sicuro. Avrebbe preso un cono-Y di scorta e il suo terminale e passato diciotto ore al giorno navigando in Rete alla ricerca di risposte.

Senza Dirk?

Lizzie si bloccò. Non poteva portarlo con sé. Se lo avesse fatto, lui avrebbe passato tutto il tempo a piagnucolare terrorizzato per l’ambiente sconosciuto e lei avrebbe passato tutto il tempo a stargli dietro. Nessuno le aveva detto, quando era rimasta incinta così avventatamente, quanto "tempo" occupava la cura di un bambino. Specialmente uno che girellava in continuazione e metteva tutto in bocca. Non avrebbe potuto portare con sé Dirk. Lo avrebbe dovuto lasciare con Annie e con la tribù, a cui lui apparteneva, finché non fosse riuscita a scoprire in qualche modo quello che avrebbe dovuto fare per curarlo.

E lo avrebbe scoperto. Perché lei era Lizzie Francy. Loro… chiunque fossero… non l’avrebbero sconfitta!

Correndo a precipizio, Lizzie tornò all’accampamento.


Trovò un gabbiotto in cemespugna a circa tre chilometri dall’accampamento. Sembrava fosse appartenuto un tempo a una famiglia di Vivi, di quella razza di persone cocciute che, prima delle Guerre del Cambiamento avevano preferito vivere da sole sulle pendici della montagna piuttosto che in una paese mantenuto dal governo. Quando erano partiti si erano portati via, o avevano bruciato per ottenere calore, tutto quello che c’era nel gabbiotto. Non c’erano mobili né impianto idraulico. Lizzie non ne aveva alcun bisogno. La porta si chiudeva ancora bene e le finestre di plastica erano intatte. Nel bosco, poi, passava un corso d’acqua.

Cacciò gli animali selvatici che si erano appropriati degli angoli: un procione, un serpente e ragni appena usciti dalle uova. Portò all’interno un cono a energia Y, il suo letto e una brocca in plastica per l’acqua. Quindi si sedette sul pagliericcio tenendo la schiena contro la liscia parete di cemespugna e parlò al terminale.

Visto che da qualche parte doveva pur cominciare, cominciò da Donald Serrano. Il nuovo supervisore distrettuale della Contea di Willoughby svolgeva il suo mandato come aveva fatto il defunto Harold Winthrop Wayland. Nelle accurate ricerche che Lizzie aveva effettuato sulle finanziarie o sulla documentazione personale di Serrano non c’era nulla che potesse ricondurre, anche indirettamente, a una compagnia farmaceutica. Se quel collegamento esisteva, Serrano l’aveva nascosto meglio di quanto Lizzie non fosse in grado di scoprire. Non pensava che tale collegamento esistesse davvero.

Tentò quindi con le principali compagnie biotecniche. L’impresa fu più complessa. Non voleva che qualcuno risalisse a lei per il furto di dati. Le occorsero settimane di accurato lavoro per procurasi tutti i codici di sicurezza ed entrare nei database. Utilizzò ricercatori fantasma che creò nei sistemi di altre persone scelte a caso. I ricercatori a loro volta costruirono elaborati programmi di cloni, tarli, codici e vicoli ciechi. Poi, Lizzie nascose i file trafugati in altri sistemi scelti anche loro a caso e vi entrò solamente attraverso fantasmi. Fu molto, molto attenta.

Una volta ottenute le informazioni, tuttavia, le si presentò un altro problema: non aveva le conoscenze scientifiche di base per sapere quello che aveva davanti. L’aiutò sapere cosa stava cercando: una qualsiasi linea di sviluppo di neurofarmaci che alteravano le reazioni permanenti del cervello portandolo a provare profonde paure. Qualche compagnia stava lavorando a droghe di piacere a lungo termine che potessero by-passare il Depuratore Cellulare; nessuna, per quel che ne poteva capire Lizzie, aveva successo.

Fu particolarmente attenta nei confronti della Kelvin-Castner. Le loro banche dati erano stipate di rapporti bizzarri su quello che era stato fatto con i campioni di tessuto di Dirk e Shockey. Sembrava che ogni giorno nuovi ricercatori si unissero alla squadra: veniva acquistato sempre più equipaggiamento, venivano archiviati sempre più rapporti, venivano scritte sempre più annotazioni di laboratorio che lei non era in grado di leggere. I ricercatori stavano facendo qualcosa alla Kelvin-Castner, qualcosa di grosso che cresceva in maniera esponenziale. La TenTech finanziava in parte il progetto, ma Lizzie non fu in grado di capire se si trattava di ulteriori ricerche sulle droghe di piacere o se la K-C tentava di trovare un antidoto al neurofarmaco che produceva paura. La ragazza non aveva sufficienti conoscenze scientifiche.

Ogni giorno scendeva dalla montagna e andava a trovare Dirk per qualche minuto. Sul terminale dell’accampamento non c’erano messaggi per lei del dottor Aranow che le dicessero cosa stava succedendo.

Perché mai avrebbe dovuto tenerla informata? Lei non era nessuno.

Poi si occupò di scandagliare altri accampamenti di Vivi: fu allo stesso tempo più facile e più difficile. Gli accampamenti nomadi, costantemente in movimento, avevano sempre un paio di elementi in grado di usare un terminale. Alcuni navigavano in profondità, altri analizzavano solo la localizzazione di ulteriori accampamenti. C’erano pochi schemi da cercare. Però quasi nessun utente Vivo era capace di coprire le proprie tracce elettroniche. I dati erano disorganizzati, imponenti e dispersivi ma mai codificati.

Lizzie scrisse programmi per recuperare e analizzare decine di tipi differenti di dati, cercando… che cosa? Come si poteva usare la Rete per evidenziare un’eventuale paura per le novità? Se le persone erano spaventate da nuove aree, semplicemente non vi accedevano. Come si poteva trovare la mancanza di una sottosezione di popolazione all’interno di un intero continente?

Lentamente, i suoi programmi di probabilità cominciarono a fornire degli schemi.

Un accampamento di Vivi in un posto chiamato Judith Falls nello Iowa, esaminava i conti di depositi adiacenti di Muli esattamente alla stessa ora ogni giorno, per la stessa durata di tempo. Quello schema ripetitivo non era esistito prima di aprile.

Una tribù che vagava per il Texas inviava saluti esattamente alla stessa lista di parenti lontani esattamente nel solito ordine, usando essenzialmente le stesse parole, durante gli stessi giorni della settimana. A partire dal 3 aprile.

Un paese, apparentemente pre Guerre del Cambiamento e ancora occupato dalle stesse persone nell’Oregon del nord, navigava in rete soltanto di martedì pomeriggio. Ogni martedì, qualche pirata informatico, la cui tecnica non era malvagia, notò Lizzie con piacere, si introduceva nelle stesse banche dati biotecniche. Per quello che Lizzie comprese seguendo le tracce del pirata, lui o lei controllava svariati inventari alla ricerca di siringhe del Cambiamento. Non ce ne erano mai.

Seduta a gambe incrociate sul suo pagliericcio, Lizzie si tirava i capelli. La porta del gabbiotto era spalancata: la primavera aveva ceduto il passo a un’estate improvvisa e prematura, anche se era soltanto maggio. Il profumo della menta selvatica entrava portato da una brezza calda. Gli uccellini, che si stavano costruendo il nido, cinguettavano sugli alberi che stavano mettendo il fogliame. Lizzie ignorò tutto quanto.

Supponendo che gli accampamenti di Vivi presi in esame fossero stati infettati dal neurofarmaco proprio come quello di Lizzie e che quello fosse il motivo per cui le persone mostravano atteggiamenti ripetitivi, e ancora che fossero stati anch’essi siti di test: che vantaggio ne traeva dal saperlo? Lizzie non poteva viaggiare fino all’Iowa, al Texas o all’Oregon per andare a investigare in quegli accampamenti. E anche se avesse potuto, a che pro? Avrebbe scoperto che altri Vivi fungevano da cavie da laboratorio, come il suo Dirk. Tuttavia, saperlo non l’avrebbe aiutata a cambiare nulla.

Le facevano male il collo e la schiena per essere stata seduta così a lungo, e aveva il piede sinistro addormentato.

Doveva escogitare qualcos’altro. Benissimo, doveva lasciar perdere i Vivi che erano stati infettati e le compagnie farmaceutiche che avrebbero potuto produrre il farmaco. Chi altro c’era? Chi poteva volere che tutto rimanesse esattamente uguale? I politici Muli, certo. La mancata elezione di Shockey lo aveva dimostrato. Ma come scoprire quali politici erano in grado di creare una tale arma politica? Nessun monitoraggio o programma di segnalazione, nessun algoritmo decisionale Leland-Warner e nessun calcolo delle probabilità aveva portato a nulla di significativo. E allora?

"Segui il denaro." Glielo diceva sempre, Vicki. Lei però aveva fatto anche quello, analizzando gli investimenti delle industrie farmaceutiche, ma non era arrivata da nessuna parte, quanto meno da nessuna parte che risultasse comprensibile. E allora?

Non doveva iniziare con il prodotto finale, il neurofarmaco, e risalire fino al denaro. Doveva iniziare dal denaro e seguirlo fino al neurofarmaco.

Ma era impossibile. Lizzie riusciva a inserirsi nella documentazione delle principali banche mondiali, quanto meno nella maggior parte, ma spesso non era in grado di seguire le transazioni che scopriva. Mancava di sofisticate conoscenze finanziarie e non era riuscita nemmeno una volta a cambiare nulla all’interno delle registrazioni bancarie. Be’, non ne aveva alcun bisogno. Il problema era diverso: il massiccio volume dei trasferimenti giornalieri di denaro in tutti i conti bancari della Terra, della Luna, di Marte e delle stazioni orbitali. Come avrebbe stabilito quali avessero qualcosa a che fare con un neurofarmaco segreto sviluppato chissà dove, da chissà chi? Era impossibile.

Non riusciva a seguire lo sviluppo del farmaco. Non riusciva a seguire il denaro. Benissimo, allora… doveva tentare di nuovo. Se quegli accampamenti dell’Iowa, del Texas e dell’Oregon erano effettivamente siti di test del neurofarmaco, le persone che stavano effettuando gli esperimenti dovevano desiderare di conoscerne i risultati. Sarebbero state in osservazione, probabilmente tramite robocamere o potentissimi zoom o satelliti a bassa orbita.

Il che significava che stavano tenendo sotto osservazione anche la sua tribù.

Lizzie venne percorsa da un brivido. C’erano forse delle sonde, schermate da campi a energia-Y, che stavano controllando anche il suo "nascondiglio" nel gabbiotto di montagna? La osservavano forse andare avanti e indietro tutti i giorni per vedere Dirk? Qualcuno forse si stava divertendo all’idea che Lizzie pensasse di sfuggire all’infezione così facilmente, se quello stesso qualcuno avesse deciso di infettare anche lei? Peggio ancora: c’era qualcuno, nonostante tutta la sua attenzione, che stava seguendo i suoi passi elettronici mentre trafugava dati giorno e notte?

Si alzò, picchiò a terra il piede addormentato e si avvicinò alla porta del gabbiotto. Sollevò lo sguardo, con espressione ebete, verso il cielo azzurro brillante. Ovviamente non si vedeva nulla. Il fresco profumo di menta le ricordò che non aveva fatto il bagno né si era lavata i capelli da giorni. Puzzava come se fosse stata investita da un treno a levitazione magnetica.

Tornò dentro e si sedette nuovamente sul pagliericcio sporco, fissando il terminale.

Non aveva le caratteristiche di un radar, soprattutto se le sonde si trovavano in orbita ed erano mimetizzate. Il monitoraggio visivo era oltre le sue possibilità. Però poteva individuare un flusso di dati con una sorgente terrestre entro un raggio di un chilometro e mezzo. Se erano impiantati dei trasmettitori di qualsiasi tipo che monitoravano l’accampamento, li avrebbe trovati solo spostando il terminale in vari punti del bosco. A meno che le potenziali sonde nascoste non trovassero prima lei e smettessero di inviare segnali.

Durante la terza notte, lo trovò: un flusso di dati costante, fortemente criptato, proveniente da una fonte all’interno di un pino a quaranta metri di distanza dall’edificio della tribù. Mostrava una chiara scansione del terreno di alimentazione. Lizzie non era certa di cosa fossero quei dati: non era in grado di inserirsi nel flusso e quello, di per sé, le mise addosso una gran paura.

Ma anche se non era riuscita a decifrare il codice, e ci aveva provato, poteva determinare dove andasse a finire il flusso di dati. Veniva trasmesso verso il cielo, verso un satellite in orbita. Da lì, la sua destinazione era così confusa da risultare ignota. Ma non per Lizzie. Per lei i dati di collegamento erano una vecchia conoscenza.

Lavorò al problema per una mattinata intera, mentre una calda pioggia picchiava sul tetto e lei sentiva il cuore straziarsi dal desiderio di abbracciare Dirk. Alla fine, come aveva immaginato, riuscì a inserirsi nella trasmissione dati.

Restò a bocca aperta e si guardò attorno impaurita, anche se, ovviamente, non c’era nessuno in vista. Quindi, col cuore che le batteva come quello di Dirk quando lei lo allontanava dai suoi blocchi, spense l’intero sistema. Chiuse e sigillò perfino il terminale Jansen-Sagura. Seduta a gambe incrociate, fissò il vuoto, cercò di riflettere sulle implicazioni, i significati e le difese. Non ci riuscì.

Le osservazioni riguardanti la sua tribù venivano effettivamente trasmesse in orbita. Al Rifugio.


— Devo trovare il dottor Aranow — confidò Lizzie a Billy Washington, perché doveva pure dirlo a qualcuno. Aveva trovato Billy dove si recava sempre nel primo pomeriggio, a pescare al ruscello.

— No, meglio che te ne resti qui, tu — rispose Billy, ma con minore convinzione di quella che avrebbe avuto Annie. "Differenze biochimiche individuali" aveva detto il dottor Aranow. Le persone reagivano in maniera diversa, a volte molto diversa, a qualsiasi farmaco.

— Non posso rimanere qui, Billy. "Devo" trovare il dottor Aranow e Vicki.

— Parla più forte, tu. Non riesco quasi a sentirti.

— No, non parlerò più forte, Billy. — Il monitor si trovava a trecento metri di distanza, ma Lizzie non voleva correre rischi. — Come posso arrivare all’Enclave di Manhattan Est?

— Manhattan? Non puoi, tu. Lo sai bene.

— Non ci credo. Tu sai molte più cose di quante ne vuoi dire, Billy. Hai sempre parlato con gli estranei, prima che ci sistemassimo qui per l’inverno. — Notò un barlume di allarme scintillargli negli occhi alla sola menzione della parola estranei. — La ferrovia a gravità non funziona, ho già controllato, ma deve esserci un altro modo!

Qualcosa strattonò la lenza. Billy la tirò fuori dal ruscello ma la lenza era vuota e l’esca era scomparsa. Infilò un nuovo verme sull’amo. — Adesso hai un bambino, Lizzie. Non è cosa per te andare in posti pericolosi quando hai il piccolo Dirk da curare, tu.

— Come posso raggiungere Manhattan Est?

— Non puoi, tu.

Anche prima del neurofarmaco, Billy era stato un testardo.

Visto che Lizzie non riprese a parlare, alla fine il vecchio disse: — Se devi proprio parlare col dottor Aranow, tu, lo puoi chiamare.

— Non posso.

— Perché?

"Perché tutto quello che viene trasmesso da quel terminale è captato dal Rifugio." Non poteva dirlo. A Billy, il Billy colpito dal neurofarmaco, sarebbe venuto un infarto. — Non posso e basta, Billy. Non farmi altre domande.

Ancora una volta l’uomo apparve allarmato. Billy tirò su la lenza, anche se non c’erano stati strattoni e guardò il verme. Quindi fece ricadere in acqua la lenza.

— Billy, so che lo sai. Come posso arrivare a Manhattan Est?

— Non sono cose per te nemmeno…

— Come?

Un leggero strato di sudore si formò sulla superficie delle guance di Billy. Lizzie cercò di trattenere la propria impazienza. A quel punto, Annie sarebbe stata presa ormai da una vera e propria crisi di panico. Sarebbe accaduto anche a Shockey, quello che un tempo era stato uno smargiasso e un gradasso. Differenze chimiche individuali.

Alla fine Billy disse: — L’autunno scorso un uomo mi ha raccontato che i binari della ferrovia a gravità a est del fiume portano direttamente a Manhattan Est. Non puoi superare lo scudo dell’Enclave, Lizzie. Questo lo sai, tu!

— Quale fiume? Dove?

— Quale fiume? Noi ne abbiamo uno solo, noi. Questo ruscello qui ci si butta dentro.

Ne abbiamo uno solo. Quello che non esisteva nel mondo di Billy dal momento dell’assunzione del neurofarmaco non esisteva e basta. Eppure, un tempo, lui era stato forse l’unico all’accampamento a esplorare zone più ampie.

— Quanti giorni di cammino sono? — chiese Lizzie.

Lui cominciò a farsi prendere dal panico. Le appoggiò una mano tremante sul braccio. — Lizzie, non puoi andare, tu! È troppo pericoloso, una ragazzina da sola, e inoltre hai Dirk…

Il respiro dell’uomo accelerò. All’improvviso Lizzie ricordò come era stato Billy quando lei era bambina, prima del Cambiamento, quando il suo cuore era stato vecchio e stanco. Gli sarebbero venute le vertigini e avrebbe ansimato, proprio come in quel momento. Lizzie si sentì pervadere da un sentimento di amore, compassione ed esasperazione. — D’accordo, Billy, d’accordo.

— Promettimi… promettimi che non andrai… da sola, tu!

— Lo prometto — disse Lizzie. Be’, non sarebbe andata da sola. Avrebbe portato con sé il terminale e lo scudo personale che le aveva lasciato Vicki.

— Va bene — concesse Billy. Il respiro si tranquillizzò. Si era sempre fidato della parola di lei. Nel giro di qualche minuto era di nuovo intento a pescare.

Lizzie lo osservò. I suoi occhi scuri, allertati nel volto smunto, fissavano l’acqua. Aveva tolto il cappello e la testa quasi pelata, circondata da riccioli grigi sopra le orecchie, poteva assorbire la dolce luce del sole. Il cappello era appeso a un ramo di un albero. Ogni giorno, in quel momento, prendeva la decisione se tenere il capello in testa o toglierlo. Ogni giorno sistemava il secchiello di plastica per i pesci nello stesso punto sull’erba. Ogni giorno cercava lo stesso numero di vermi, applicandoli all’amo come esca nello stesso modo finché non fossero finiti. Ogni giorno.

Che stava facendo Jennifer Sharifi?

Lizzie non lo sapeva. Lei poteva anche trafugare dati con grande abilità, ma Jennifer Sharifi era un’Insonne. Non una Super come Miranda, ma pur sempre una Insonne. E aveva tutti i soldi del mondo. Stava trasformando le persone che Lizzie amava, bloccandole in un posto e in una routine, come se fossero tanti robot programmati. Lizzie non era così pazza da pensare di sapere il perché o di sapere cosa fare in proposito. Jennifer Sharifi aveva tentato, una volta, di costringere gli Stati Uniti a concedere al Rifugio la secessione e aveva tenuto in ostaggio cinque città con un virus da guerra batteriologica che avrebbe potuto ucciderne tutti gli abitanti, ed era finita in prigione per un periodo di tempo più lungo di tutta la vita di Lizzie. Lizzie si accorgeva quando si trovava in acque così alte da non toccare più. Aveva bisogno di aiuto.

Ammetterlo fu quasi un sollievo, alla fine. Quasi.


Partì quella stessa notte e schivò il trasmettitore nascosto allontanandosi con un ampio giro attorno alla montagna. Restò lontana dalla vecchia strada dissestata: non era là che il Rifugio si sarebbe aspettato che passassero le persone e dove avrebbe logicamente piazzato i proprio monitor? Camminare nei boschi di notte, tenendo sott’occhio il ruscello, non fu facile. Col terminale nello zaino, avanzò con grande lentezza. Non ci sarebbe riuscita affatto se non ci fosse stata una bella luna piena, aiutata da quelle che sembravano milioni di stelle. Arrancando attraverso la sterpaglia, Lizzie cercò di restare coperta dagli alberi, nel caso il Rifugio usasse immagini satellitari ad alta risoluzione.

In seguito, avrebbe indossato lo scudo personale di Vicki e si sarebbe lasciata avvolgere in un campo di energia protettivo e trasparente che le avrebbe impedito di farsi graffiare dai rovi, pungere dagli insetti e spaventare da ogni rumore nel sottobosco. In quel momento, no. Non finché non si fosse allontanata ulteriormente dall’accampamento. Gli scudi personali rappresentavano campi di energia individuabili.

Il Rifugio non poteva monitorare tutto lo stato, no?

La mattina dopo, raggiunse il luogo in cui il ruscello si tuffava nel fiume. Era esausta. Strisciò sotto alcuni rami fatti cadere dal vento che la proteggevano dalla vista dall’alto ma che consentivano alla luce del mattino di penetrare diagonalmente. Togliendosi i vestiti, Lizzie si alimentò. A quel punto attivò lo scudo personale e dormì tutto il giorno.

Quando si svegliò, verso il tramonto, non era sola. Era estate e le tribù di Vivi che avevano passato l’inverno al caldo del sud stavano tornando indietro. Quella tribù sembrava piccola e di tipo familiare: Lizzie sentì piangere alcuni bambini. Cambiati o non-Cambiati? Non emerse dal nascondiglio per controllare. Il pericolo principale per lei non era morire per fame, per malattia o per un incidente. Il pericolo era rappresentato da altri del suo genere: non tutte le tribù erano piccole e a struttura familiare.

Di notte riprese a camminare. Era molto più facile, indossando lo scudo personale. Billy le aveva insegnato moltissime cose su come nascondersi in un bosco o fuori, e anche quello l’avrebbe aiutata.

Si sarebbe preoccupata di Manhattan Est quando ci fosse arrivata.

Interludio

DATA TRASMISSIONE: 20 aprile, 2121

A: Base Selene, Luna

VIA: Stazione Terrestre Enclave Mall, Satellite CEO c-1494 (U.S.)

TIPO MESSAGGIO: Codificato

CLASSE MESSAGGIO: Classe A, Trasmissione Federale

GRUPPO DI ORIGINE: IRS, Fisco

MESSAGGIO:


Gentilissima Signora Sharifi,

il servizio fiscale deve quietanzare il rimborso delle sue tasse federali personali del 2020, che è stato inviato elettronicamente dalla Base Selene sulla Luna. Tuttavia la richiesta di rimborso non è firmata. Per ottenere rimborsi elettronici è necessaria, secondo la legge federale, una firma con penna digitale o con una tecnologia equivalente. Le invio, di conseguenza, un formulario elettronico 1987A perché lei provveda a firmarlo.

Grazie per la sua attenzione.

Distinti saluti,

Madeleine E. Miller

Commissione di Distretto, IRS

CONFERMA RICEZIONE: Nessuna

17

Jennifer Sharifi seguì Chad Manning nella sala conferenze dei Laboratori Sharifi al Rifugio. Un grande tavola a ferro di cavallo si incurvava accanto a tre pareti, circondata da diciotto sedie. Al centro del ferro di cavallo, un pannello di plastica trasparente, infrangibile rispetto a tutto ciò che non fosse almeno un’esplosione nucleare, era inserito sul pavimento della stazione orbitale. Mentre il Rifugio orbitava, la vista sotto il pavimento cambiava dallo spazio punteggiato di stelle brillanti alla immensa palla bianca e azzurra della Terra. Il pannello si oscurava automaticamente ogni volta che il sole era troppo luminoso. Attorno ai margini del pannello girava un bordo decorativo di disegno arabo, intricate figure geometriche a incastro copiate da antichi tessuti di Kashmir. Il bordo era programmato per cambiare colore e adeguarsi al panorama. Trasformava il sistema solare in un tappeto posto ai piedi del Rifugio.

— Chiudere porte — disse il dottor Manning. Nella immensa sala deserta la sua voce riecheggiò debolmente. — Siediti, Jennifer.

— Preferirei restare in piedi, grazie. Cosa desideravi mostrarmi?

Chad estrasse dalla tasca una pila di carte. Quello, in sé, era significativo: le sue informazioni, di qualunque genere fossero, non erano archiviate in linea, nemmeno nei programmi protetti del progetto del neurofarmaco. Tuttavia Chad Manning non era una persona particolarmente sospettosa, come Jennifer sapeva. Lei sapeva tutto ciò che c’era da sapere sul dottor Chad Parker Manning.

Ricercatore capo ai Laboratori Sharifi, era l’unico membro della squadra del progetto che non era finito in prigione insieme a Jennifer per il tentativo originario di rendere sicuro il Rifugio. L’inclusione di un tecnico nella squadra era stata inevitabile. Gli esperti in genetica imprigionati per tradimento avevano perso troppo tempo in carcere, e quello della genetica era un campo che mutava rapidamente, ogni pochi anni. Il progetto, inoltre, doveva essere condotto dai Laboratori Sharifi; i laboratori avevano tutta la strumentazione necessaria per verificare le affermazioni di Strukov e per ottenere analisi dettagliate dei risultati prima che Jennifer consegnasse un’ulteriore grossa fetta del proprio patrimonio al Dormiente rinnegato. Non era possibile evitare che la squadra segreta comprendesse il ricercatore capo dei Laboratori Sharifi.

Robert Day, amministratore delegato del Rifugio e altro eroe imprigionato per il tentativo originario di liberare il Rifugio, aveva scelto Manning fra tutti gli altri scienziati Insonni. Robert era stato rilasciato dieci anni prima di Jennifer. Aveva avuto il tempo per indagare approfonditamente, reclutare lentamente, essere completamente sicuro. Il dottor Chad Manning non era un genio come Serge Strukov. Ogni generazione produceva solo uno di tali geni. Come scienziato, tuttavia, Chad era solido, metodico, perfettamente in grado di seguire passo passo i progressi di Strukov, anche se non si sarebbe mai potuto incamminare per primo su tali sentieri. Cosa altrettanto importante, era disposto a salvaguardare il Rifugio con ogni mezzo fosse necessario. Jennifer si fidava di lui.

— Ho armeggiato un po’ col virus di Strukov — disse Chad. — Tramite una simulazione, ovviamente. Ho trovato qualcosa.

— Davvero? Che cosa? C’è forse un motivo per cui non mi stai mostrando la simulazione?

— Le ho distrutte. Queste sono le stampe. Ma posso ricreare le simulazioni, se le vuoi controllare.

Aprì i fogli di carta. I genitori di Chad Manning gli avevano fatto modificare geneticamente l’aspetto seguendo un modello abbastanza insolito: delicato e fine. Aveva il volto sottile, gli alti zigomi sporgenti, la carnagione pallida e le dita lunghe e sottili di un violinista. Le dita gli tremavano mentre consegnava a Jennifer gli incartamenti.

— Le prime pagine contengono equazioni biochimiche, modelli… Posso riesaminarle singolarmente con te dopo, se vuoi. Adesso, però, guarda l’ultima pagina.

Jennifer lo fece. C’erano due grafici dello sviluppo di proteine. Sotto, un’equazione di probabilità. Le variabili erano state scritte a mano.

— La differenza è davvero sottile — disse Chad, e lei notò la tensione nella voce di lui. — Vedi, lì… nell’ultimo segmento a sinistra. La differenza cromosomica è soltanto di pochi aminoacidi.

Jennifer notò che i due tracciati non erano identici. Una piccola area di una proteina si sviluppava in modo diverso dall’altra.

— La cosa più importante è che, per scoprirlo, bisogna seguire con accuratezza un sentiero simulato altamente improbabile — disse Chad. La sua agitazione cresceva. — Praticamente ci sono inciampato sopra. Non si tratta di una mutazione comune ed è presente su una proteina di Strukov da cui non ci si aspetterebbe un comportamento simile. Ma Jennifer, guarda le equazioni.

Lo sviluppo della proteina diceva ben poco a Jennifer… non era una microbiologa. Tuttavia il calcolo matematico era un’equazione di probabilità standard. La probabilità che la mutazione nello sviluppo della proteina avvenisse spontaneamente nel corso di un anno, date le variabili di replica e il tasso di infezione di Chad, era del 38,72 per cento.

— Quali effetti avrebbe questo sviluppo della proteina sul virus? — chiese lei, compassata.

— Lo renderebbe trasmissibile al di fuori del corpo umano e quindi contagioso.

— In altre parole, invece di dovere respirare il virus che viene distrutto dal Depuratore Cellulare, ma non prima di avere innescato una reazione a catena di animine naturali…

— Invece di doverlo respirare, il virus diventerebbe trasmissibile da persona a persona. Potrebbe sopravvivere sulla pelle, sul vestiario, sui capelli, nelle pieghe del corpo…

— Per quanto tempo? — chiese Jennifer.

— Non si sa. Almeno qualche giorno. E in questa forma potrebbe penetrare nel corpo attraverso punture sulla pelle od orifizi: una persona infettata potrebbe infettarne altre. Per qualche giorno. Questo non avveniva con i precedenti sviluppi. Ogni virus non respirato nel primo attacco moriva nel giro di qualche minuto o, se inspirato, veniva distrutto comunque dal Depuratore Cellulare.

Jennifer non permise al proprio volto di mostrare lo sconcerto che provava. — Ma, Chad, è proprio quello che intendevamo raggiungere fin dal principio, no? La seconda modalità di trasmissione che Strukov dovrebbe fornirci è proprio quella: trasmissione tramite contatto umano. Perché lo consideri un problema?

— Perché se il virus muta naturalmente prima che Strukov sia pronto a rilasciare la sua forma trasmissibile, non saremo più in grado di controllarne la diffusione. Il modello di veicolo di diffusione è stato progettato accuratamente per evitare di attirare l’attenzione scientifica o militare il più a lungo possibile. Noi non saremmo più in grado di controllare la situazione.

— Non lo siamo già più — disse Jennifer. — La Kelvin-Castner Pharmaceuticals si è casualmente imbattuta in un sito di Vivi dove effettuavamo il test. Lo sai.

— Vero. Ma non stanno interessando la CDC o Brookhaven. Quanto meno non ancora. In secondo luogo, non appena il virus diventerà trasmissibile all’esterno del corpo, strutture come la Kelvin-Castner potranno studiarne le proteine originali e non soltanto gli effetti collaterali sul cervello. Quello darà loro una grossa spinta avanti nella ricerca di un vaccino o perfino di un antidoto.

— Ma tu avevi detto che sarebbe stato molto difficile trovarli, perfino dopo che il virus fosse stato reso trasmissibile…

— Oh, lo sarà — confermò Chad. — Ma noi non vogliamo dare nessuna possibilità ai Dormienti. Terzo, se il virus può mutare in questo modo, con un 38,72 per cento di probabilità, e io l’ho scoperto solo accidentalmente, cosa altro è in grado di fare? E Strukov lo sa?

— Tu non dirglielo — rispose in fretta Jennifer. — E non porgli domande in proposito. Non c’è modo di sapere se la sua risposta corrisponderebbe al vero.

Chad annuì. Jennifer, riflettendo, studiò il pannello trasparente che aveva sotto i piedi. Le stelle, fredde, distanti e nitide… ma da vicino, rammentò a se stessa, erano intricate aggregazioni frutto di violente collisioni.

— Voglio che il resto della squadra sia messo al corrente, Chad. Comunque hai fatto bene a dirlo prima a me e a distruggere le simulazioni. — Il Rifugio aveva i propri giovani pirati informatici. Di solito, Jennifer ne era contenta. Rappresentavano la successiva generazione di scienziati informatici e, quanto più ingegnosa era la loro tecnica, tanto meglio. Ma non quella volta. — Dobbiamo studiare un nuovo programma di diffusione. Molto più rapido.

— I peruviani saranno in grado di accelerare la produzione del macchinario?

— Non so. È quella la vera difficoltà. — Strukov, Jennifer ne era sicura, poteva gestire qualsiasi modifica di piani, per quanto lo riguardava. — Ci farò lavorare Robert e Khalid.

— Benissimo — commentò Chad. Jennifer si accorse che l’uomo si era calmato. La calma di lei lo aveva contagiato, proprio come era tenuta a fare.

Chad le tenne aperta la porta della sala conferenze ma Jennifer scosse la testa. — Resterò qui per qualche tempo.

Chad annuì e chiuse la porta.

Jennifer lanciò un’occhiata al pannello bordato sul pavimento. La Terra stava apparendo alla vista. Nuvole sull’Oceano Pacifico. Così bello, così traditore, così moralmente malato. Ma così bello.

Venne colta dall’improvviso desiderio di vedere nuovamente la tomba di Tony Indivino, sui monti Allegheny dello stato di New York. Tony Indivino che lei aveva amato da giovane e che da allora non aveva amato più. Tony, ucciso dai Dormienti, ma non prima di avere concepito l’idea del Rifugio, il porto sicuro per tutti loro.

Jennifer annullò il pensiero. Tony era morto. Ciò che era morto non esisteva più: a quello che non esisteva più non doveva essere concesso controllare i viventi, nemmeno per un momento. Consentirlo significava cadere in sentimenti sdolcinati e improduttivi.

Tony era morto. Nessuna persona morta era importante per Jennifer.

"Nessuno."


— Dovresti leggere i rapporti — disse Will. — Almeno una volta.

— No — rispose Jennifer. Si allontanò di più dal suo corpo, nel letto. — E ti avevo chiesto di non tirare più fuori l’argomento.

— So quello che mi avevi chiesto — rispose Will, pacato.

— Allora ti prego di rispettare la mia richiesta.

Will si sollevò su un gomito e la guardò. — Stai gestendo il progetto del neurofarmaco, Jennifer. Questo significa che dovresti essere al corrente di ogni fattore. Gli effetti dell’operazione a La Solana rappresentano un fattore. La squadra FBI-CIA ha determinato che la bomba proveniva dalle Montagne Rocciose, come ci aspettavamo. Stanno analizzando ogni molecola di materia, lassù. Quanto meno dovresti monitorare i rapporti che ho trafugato.

Jennifer scese dal letto. In un singolo fluido movimento si infilò una vestaglia austera e chiara. Lasciò la stanza.

— Jennifer! — la chiamò Will, e lei sentì la rabbia, quella disdicevole rabbia che indeboliva Will come membro del progetto, come alleato. Come uomo. — Jennifer, non puoi continuare a fingere che l’operazione a La Solana non sia accaduta!

Sì, era accaduta, pensò Jennifer, chiudendo la porta della camera da letto per escludere la voce di Will. Tempo passato. Era superato. Non c’era più alcun motivo per pensarci. Quello che era passato non era più reale, ormai, di quello che non era mai esistito. Non c’era alcuna differenza.

Il piccolo salotto, ogni abitazione personale al Rifugio era piccola… era buio. — Accendere luci — disse Jennifer. Non le piaceva troppo il buio. A volte le sembrava di scorgere una figura ai margini delle stanze buie, un corpo basso e tozzo con un ammasso di ispidi capelli scuri trattenuti da un nastro rosso. La figura non era reale, ovviamente. Non esisteva.

Di conseguenza, non era mai esistita.

18

Theresa stette molto male. Se fosse stata Cambiata, tuttavia, sarebbe stata ancora peggio. Jackson scoprì di non riuscire ad apprezzare l’ironia della cosa.

Theresa era stata esposta a 240 rad. Non appena Jackson era giunto trafelato dalla Kelvin-Castner al loro appartamento, gliene aveva assorbite il più possibile. Non l’aveva mandata in ospedale: le enclavi non avevano più ospedali degni di tale nome. Non erano necessari.

Jackson aveva ordinato la strumentazione di cui aveva bisogno tramite un canale di emergenza: era arrivato tutto all’appartamento insieme con lui. Theresa era in preda a un attacco isterico.

— Sst, Tessie, andrà tutto bene. Tieni duro, tesoro, va tutto bene, devi aiutarci per quanto puoi.

— Morte! — continuava a gridare Theresa. — Morte… morte… morte…

— No, non morirai. Sst, Tessie, calmati… — Ma non riuscì a tranquillizzarla.

— Dalle un sedativo — disse Vicki, faticando per trattenere le braccia di Theresa che mulinavano. — Jackson, è meglio.

Lui lo fece. A quel punto lui e Vicki si misero a lavorare sul corpo inerme di Theresa. Lui le pompò via il contenuto dello stomaco e inviò tubuli robotici specializzati per la pulizia lungo l’esofago e i bronchi, nel retto, nel naso e nelle orecchie, nella vagina e attraverso le retine. Lui e Vicki le sfregarono ogni centimetro di pelle con un composto chimico. Vicki tagliò i lunghi capelli chiari di Theresa e le rasò la peluria. In quel momento, Jackson lasciò la stanza. Si portò nel corridoio e picchiò i pugni contro la parete.

Quando tornò, Vicki fu molto discreta e non lo fissò negli occhi.

Lui inserì un tubo endotracheale: anche la superficie delle vie respiratorie interne si sarebbe squamata, e Theresa avrebbe avuto bisogno di aiuto meccanico per respirare. Quindi le iniettarono una sostanza per farla sudare abbondantemente e inserirono una EV con nutrienti ed elettroliti. Quando lui e Vicki ebbero terminato, si alzarono dalla sagoma di Theresa stesa nel letto, coperta con un lenzuolo di cotone. Alcuni monitor invasivi erano stati collegati con un terminale centrale, coadiuvati da cerotti-monitor di tessuto verde che le punteggiavano la pelle. La ragazza, pensò Jackson disperato, sembrava un ossuto passerotto spennacchiato e ammuffito.

— Resterò qui, Jackson. Non puoi assistere tua sorella da solo — propose Vicki.

— Ho ordinato un roboinfermiere dotato di software per la cura delle radiazioni, arriverà presto. Doveva arrivare da Atlanta.

— Non può sostituire una persona.

— Sai niente tu della malattia da radiazioni? — replicò lui, più duramente di quanto non intendesse.

— Mi dirai tutto tu.

— Ma Lizzie e Dirk…

— …non hanno alcun bisogno di me — terminò lei. — Lizzie se la può cavare bene da sola. E all’accampamento non succederà niente di nuovo, nessun cambiamento.

Jackson non sorrise. L’aveva sentita a mala pena. — Se Theresa fosse stata Cambiata…

— Avevo immaginato che non lo fosse — disse Vicki. — Ma perché non lo è?

Lui ignorò la domanda. — Se fosse stata Cambiata sarebbe stata peggio. Quando Miranda Sharifi ha progettato il Depuratore Cellulare, non ha messo in conto la malattia da radiazioni. Be’, non poteva considerare tutto. Il Depuratore Cellulare sradica il DNA aberrante. Ecco perché coglie immediatamente i tumori. Ma Theresa… — non riuscì a finire.

Lo fece Vicki per lui. — Sarà un ammasso di DNA aberrante mutato. Jackson mi dispiace tanto. Dov’è il tecnico pilota?

— È andata a casa per conto suo, immagino.

— Speriamo che abbia anche lei un parente medico.

Jackson fissò Vicki infuriato. — Non sono un fanatico umanitario, maledizione! Il pilota non è una mia paziente.

Vicki non rispose. Tuttavia gli toccò brevemente una spalla prima di dire: — Io mi riposo un po’. Tu la assisti adesso e io ti darò il cambio fra qualche ora.

— Chiedi al sistema di casa di svegliarti. Si chiama Jones e la parola di ingresso per gli ospiti è "Michelangelo".

— Lo so — rispose Vicki, e Jackson non pensò nemmeno di chiederle come facesse a saperlo.

Un’ora dopo, chiamò l’aeroporto di Manhattan Est e inviò un messaggio al tecnico pilota che aveva volato con Theresa Aranow. Allegò un file su come curare la malattia da radiazioni.

Avvicinò quindi una sedia al letto della sorella e le guardò il volto addormentato mentre era ancora integro.


Vicki entrò piano nella stanza in piena notte e disse dolcemente: — Lascia che stia io un po’ con lei.

Jackson stava sonnecchiando. Aveva fatto sogni agitati. Immense bolle che lo attaccavano, cercando di riempirgli la testa: si rese conto che si era trattato delle cellule cancerogene di Theresa che si erano mobilitate per combattere contro il suo stesso corpo. Si sedette in posizione più eretta e disse con voce impastata: — No… resterò qui.

— Jackson, hai una faccia terribile. Vai a letto. Non cambierà nulla prima di domani mattina.

Ma Theresa stava già cambiando: aveva bruciature da radiazioni sulla pelle chiara, piaghe all’interno della bocca e sulla lingua.

— Jackson…

— Resterò.

Lei avvicinò una sedia e gli si sedette accanto. Qualche minuto… ora?… dopo lui si svegliò per scoprire che stava arrancando lungo il corridoio verso la camera da letto, con Vicki che lo sorreggeva. Non ricordava di essersi addormentato né di essersi svegliato. Vicki lo stese, ancora vestito, sul letto e lui sprofondò immediatamente in un sonno agitato.

La volta successiva in cui si svegliò, Cazie gli stava scuotendo una spalla, incombendo su di lui come una Furia greca.

— Jackson! Ti ho lasciato una decina di messaggi a priorità assoluta dalla K-C. Che diamine ti sta succedendo? Non ti rendi conto di quanto sia importante questo affare? E anche se non lo capisci, potresti farmi almeno la cortesia di rispondermi una sola volta in trentasei ore, anche se mi stai tenendo il broncio? Dio, non riesco a credere che tu…

— Preferirei che tu non disturbassi Jackson — disse dolcemente Vicki dalla porta della camera da letto dell’uomo.

Cazie si voltò lentamente. La sua pelle color miele impallidì, rendendo le pagliuzze degli occhi di un verde ancor più brillante.

— Jackson ha bisogno di dormire — continuò Vicki con la stessa voce di dolce ragionevolezza. — È meglio adesso che tu vada via.

Cazie si era ripresa, sempre di umore pericoloso. — Non penso proprio… Diana, giusto? Oppure Victoria? È vero che Jackson sembra piuttosto fatto, devi averlo stancato per benino. Sono sicura che lui se la sia goduta. Adesso però abbiamo degli argomenti da adulti da trattare quindi, se sei già stata pagata, il sistema della casa ti può chiamare un robotaxi. Adesso, Jackson, se vuoi, ti aspetterò nello studio mentre ti fai una doccia.

Vicki non fece altro che sorridere.

All’improvviso Jackson si sentì nauseato di tutt’e due. Si alzò dal letto. — Non fare la scema, Cazie. Theresa sta male. Non ho tempo di pensare alla Kelvin-Castner finché non sarà fuori pericolo.

Il volto di Cazie cambiò. — Malata? Gravemente? Di che? Jackson, una siringa del Cambiamento…

— Non questa volta. Malattia da radiazioni. — La scansò per passare ed entrò nella camera di Theresa. Cazie gli corse dietro.

La sorella giaceva addormentata serenamente: nessun cambiamento nei dati dei monitor. Cazie vide Theresa e restò a bocca aperta. — Che cosa… Jack!

— Era all’interno del raggio dell’esplosione nucleare che ha distrutto La Solana. — Ormai doveva essere notizia di dominio pubblico. Cazie guardava sempre i notiziari.

— Tess? È andata in Nuovo Messico? Ma è impossibile!

— L’avrei detto anch’io.

— Oh, mio Dio, Jack. Resterò qui e ti aiuterò a curarla.

Quella era Cazie nei momenti di genuinità, nei momenti di amabilità. Guardò Theresa con affetto e addolorata. Jackson disse: — La sta curando benissimo anche Vicki — e si sentì subito troppo afflitto per poter godere della propria crudeltà.

— Bene — disse umilmente Cazie. Appoggiò piano una mano sul bordo del letto di Theresa.

Jackson chiuse gli occhi. — Dimmi che vuoi fare riguardo alla Kelvin-Castner.

— Può aspettare — disse Cazie a voce bassa.

— No, non può. E comunque, in questo momento, non c’è nulla che io possa fare per Theresa. Dimmi tutto.

— Se tu… d’accordo. Voglio impegnare cinquecento milioni di dollari inizialmente, di più in futuro, per il raggiungimento di obbiettivi a circolo chiuso. Ti ho inviato il progetto degli obbiettivi. Possediamo il quindici per cento dei profitti lordi su questo singolo progetto, con attivi e passivi approssimativamente standard. I diritti e le interconnessioni a lungo termine…

— No, non questa roba. Non raccontarmi questa roba. Che cosa farà la Kelvin-Castner?

— Agirà in fretta per ottenere una molecola di diffusione brevettabile basata sui campioni dei tessuti e sulle alterazioni cerebrali dei Vivi. I primi modelli al computer stanno già funzionando. Ci sono centinaia di possibilità da controllare, ovviamente, forse migliaia. Ma se otterremo un modello brevettabile, lo potremo usare come base per un numero incredibile di farmaci resistenti al Depuratore. Il gruppo delle applicazioni preliminari ha già cominciato a tappeto.

"Resistenti al Depuratore." Jackson non aveva mai sentito quel termine. Forse il "gruppo delle applicazioni preliminari" lo aveva appena "creato a tappeto".

Lanciò un’ultima occhiata ai dati di Theresa e poi condusse Cazie fuori dalla stanza. Il roboinfermiere fluttuò più vicino al letto.

Nel corridoio, Jackson disse: — Voterò a favore dell’investimento dei fondi e concederò anche il voto di Theresa ma a una condizione. La prima linea di ricerca, la "prima" Cazie, con un impegno della maggioranza dei talenti e delle risorse, dovrà occuparsi di trovare un antidoto per il neurofarmaco originale che ha infettato i Vivi. Un antidoto che possa invertire la loro biochimica cerebrale riportandola al funzionamento iniziale. Senza l’ansia per le cose estranee e l’inibizione nei confronti delle novità e tutta quella fottuta paura. Siamo d’accordo?

Cazie esitò un solo istante. — D’accordo.

— Puoi convincere anche Alex Castner?

— Sì. — La donna sembrava sicura. Jackson si chiese all’improvviso se lei non andasse a letto con Castner. O con Thurmond Rogers.

Le disse: — Fai redigere un contratto e portamelo. Vorrò rapporti costanti e documentati sui progressi riguardanti l’antidoto, oltre alla documentazione di laboratorio.

— Nessun problema.

— E fai mettere nel contratto che dovrò essere informato ufficialmente nel minuto stesso in cui ci fossero scoperte significative o qualsiasi altra cosa che possa risultare importante, su ogni aspetto dell’intero progetto.

— L’avrai. Il contratto sarà nel tuo appartamento domani mattina. Possiamo ufficializzare l’impegno al voto anche adesso. Il tuo di persona, quello di Theresa, per interposta persona. Ma, Jack… — La sua voce tremò. — Tess si riprenderà. Occorrerà molto tempo ma guarirà.

"A lungo termine…?"

— A lungo termine dovrà venire iniettata con una siringa del Cambiamento. È l’unica cosa che possa proteggerla da eventuali tumori.

— Ma non ci sono più siringhe. A meno che tu…

— Certo che ne ho una per Theresa. Nella cassetta di sicurezza privata di mio padre. Ne ho sempre tenuta una per Theresa.

Il volto di Cazie mostrò improvvisa comprensione per quello che doveva essergli costato, come medico, agire in quel modo, con il crescere della crisi pubblica: guardare morire i bambini e sapere che avrebbe potuto salvare la vita di uno di loro. Cazie avanzò di un passo e lo abbracciò, lui glielo permise. Il suo seno pieno gli dava una sensazione soffice contro il petto, la sua testa gli si adattava in modo familiare sotto il mento. Lui era molto stanco.

Con la coda dell’occhio, scorse Vicki sparire dietro l’angolo del corridoio.


Theresa si riempì di piaghe purulente sul cranio, sul volto e sul corpo. I tessuti le si gonfiarono tanto che, se non fosse stata sotto l’effetto di potenti calmanti, perfino la pressione sul letto soffice le sarebbe risultata insopportabile. I piccoli seni si trasformarono in sacche ulcerose con capezzoli screpolati e sanguinanti.

Non riusciva a parlare. La bocca, la lingua, le gengive divennero un ammasso di ulcere come il resto del corpo bruciato dalle radiazioni. A volte, tornando brevemente allo stato cosciente, cercava di mormorare attorno al tubo endotracheale. Gli occhi gonfi fissavano con urgenza quelli di Jackson. — Ehh… mo-mo — Lui la sedava sempre. Non riusciva a tollerare quella vista.

— Progresso del paziente nei limiti della norma — diceva più volte al giorno il roboinfermiere con voce gradevole. — Desidera dati più dettagliati?

— Per l’amor di Dio, Jackson, vai a dormire — ripeteva Vicki con la stessa frequenza. — Sembri uno scarto di laboratorio di Miranda Sharifi.

— M-M-M-M… mo… mo — cercava di dire Theresa. Lui aumentava la dose di sedativo.

Due volte al giorno, come da contratto, arrivavano dalla Kelvin-Castner dati di laboratorio e risme di dati grezzi. Jackson leggeva soltanto i riassunti, stilati in tutta fretta da Thurmond Rogers. — Jack, abbiamo creato modelli al computer degli sviluppi più probabili delle proteine per la molecola iniziale, basati sulle reazioni più probabili dei siti recettori. Sfortunatamente ci sono seicentoquarantatré sviluppi di livello A possibili, quindi la sperimentazione può durare a lungo e abbiamo pensato di…

— Basta, Caroline — disse Jackson al suo sistema. — Archivia i resoconti per data, mittente e… tutto quello che serve per un protocollo di facile richiamo. "E lasciami in pace."

— Sì, dottor Aranow — rispose Caroline.

— Jack, come sta Tess? — chiedeva quotidianamente, più che quotidianamente, l’immagine di Cazie. Una volta aveva sentito Cazie parlare con Vicki nella stanza accanto. Con Vicki? Lottare, parare, duellare? Non era entrato.

Theresa perse carne che non poteva permettersi di perdere. Il suo corpo già inagrissimo si fece scheletrico, le braccia e le gambe assunsero l’aspetto di stampelle di fil di ferro, ginocchia e gomiti divennero aguzzi come scalpelli. Le ustioni spurgavano e colavano.

I rapporti sui progressi alla Kelvin-Castner, gli riferiva quotidianamente Thurmond Rogers, sembravano non procedere affatto. I modelli al computer non avevano alcun successo. Gli algoritmi, una volta esaminati, non funzionavano. C’erano soltanto possibilità, ipotesi teoriche successivamente smentite, risultati insoddisfacenti di test su animali. Avevano bisogno di una scoperta importante, spiegava Thurmond Rogers in messaggi che Jackson guardava soltanto finché non capiva dove andassero a parare. La scoperta sarebbe arrivata, diceva Rogers. Tuttavia non era ancora accaduto. — Dopo tutto, noi non siamo Miranda Sharifi e Jonathan Markowitz — aggiungeva disgustato Rogers.

— Progresso del paziente entro la norma — diceva il roboinfermiere.

— "Dormi." Il tuo equilibrio mentale è a rischio, sai? — incalzava Vicki.

— Forse un decapeptide, che innesca reazioni cellulari in…

— Mo…mo… mmmmm…

— Come sta, Jack? E "tu" come stai? "Rispondimi", maledizione…

Dopo un mese, Theresa presentava ancora ustioni da radiazioni su corpo e volto. I muscoli le si erano atrofizzati. Le piaghe smisero di spurgare. Jackson voleva che mangiasse anche se non avrebbe avuto appetito ancora per intere settimane. Per mangiare, non doveva essere sotto l’effetto dei sedativi.

Lui e Vicki appoggiarono Theresa ai cuscini. Accanto al letto, Vicki sistemò un ricco mazzo di fiori modificati geneticamente, rosa, gialli e di un arancione carico. Lasciò quindi la stanza, con discrezione. Il roboinfermiere preparò una proteina liquida che sapeva di lamponi, con una cannuccia. A Theresa i lamponi erano sempre piaciuti.

— Jack…

— Non cercare di parlare, Tessie, se ti fa male. Sei stata male, ma guarirai. Sono qui io.

Lei lo fissò senza metterlo a fuoco. Aveva la testa completamente calva, squamata, ustionata. Lentamente, però, gli occhi azzurri le si schiarirono.

— M-M-Mir…

— Ho detto di non parlare, tesoro.

— M-Mir…

Lui cedette. — Lascia che ti aiuti. "Miranda Sharifi". Sei andata a La Solana per effettuare delle ricerche per il tuo libro su Leisha Camden, vero? Per parlare con il padre di Miranda perché lui aveva conosciuto Leisha?

Theresa esitò. La testa pateticamente calva annuì leggermente. Lei si contrasse quando la parte posteriore del cranio sfregò contro il soffice cuscino.

— Mo… rti.

— Richard Sharifi è morto. Qualcuno ha bombardato La Solana e lui è rimasto vaporizzato. — Jackson capì la domanda che lei aveva nello sguardo. — No, il governo non sa chi ha fatto esplodere la bomba. Si è trattato apparentemente di un veicolo telecomandato lanciato dalle montagne del Nuovo Messico. Nessun gruppo ha rivendicato l’azione, nessuno è stato arrestato e, se l’FBI ha qualche indizio, non l’ha reso pubblico. La Base di Selene non ha contrattaccato e non ha emesso comunicati pubblici.

— Non… a… Selene.

— Che cosa non c’è a Selene? Tess, tesoro, non cercare di parlare più, vedo quanto si sta facendo male. Tutto questo può aspettare finché tu…

— Mor-ti. Miranda.

Jackson prese delicatamente la mano di Theresa. — Miranda Sharifi è morta? Non puoi saperlo, tesoro.

— Parlato… con lei. Io. L’ho… vista.

— Hai visto Miranda Sharifi? — Lanciò un’occhiata al monitor. La temperatura di Theresa, la conduttanza della pelle e la scansione cerebrale erano normali: non era in stato di allucinazione. — Tesoro, non è possibile. Miranda è a Selene. Sulla Luna.

— No!

— Non c’è? Era a La Solana? Tess… com’è possibile?

Theresa lo guardò con espressione torva, gli occhi azzurro acquoso in una testa orribilmente deformata. Poi cominciarono a scenderle le lacrime. Jackson la vide contrarsi quando il sale le toccò la pelle. — Morta! Morta!

— Tess, oh, non…

— Se dice che ha visto Miranda e che Miranda è morta, probabilmente è vero — disse la voce di Vicki alle sue spalle. — Sa quello che ha visto. È l’unica spiegazione che dia un senso al bombardamento di La Solana senza che ci siano state rivendicazioni dell’azione.

Theresa guardò oltre Jackson a Vicki, in piedi sull’arco della porta. Theresa annuì con uno sforzo spaventoso. Quindi chiuse gli occhi e si addormentò.

Jackson si voltò di scatto verso Vicki. — Sai quello che stai dicendo?

— Probabilmente meglio di te. — Il volto di Vicki si contorse in una smorfia e lei lasciò la stanza.

Jackson non la seguì. Guardò Theresa che giaceva un po’ rialzata sui cuscini, con la povera bocca mezzo aperta. Con delicatezza, Jackson la adagiò meglio sul letto.

Passò per tutto l’appartamento e superò lo scudo a energia-Y che dava sulla terrazza. Sembrava il tramonto: Jackson aveva perduto il conto delle ore, dei giorni. Gli alberi e le aiuole del parco sottostante rifiorivano in tutta la magnificenza modificata geneticamente della piena estate. Pensò che dovevano essere più o meno a maggio.

Theresa aveva detto che Miranda Sharifi era morta.

E gli altri Super-Insonni? Forse. Di solito erano sempre stati insieme, in un branco della loro razza. Forse perché era l’unico modo per trovare qualcuno che li comprendesse, o forse soltanto per questioni di protezione. Rimanevano insieme, si nascondevano e poi usavano tutta la tecnologia che avevano a disposizione per far credere al mondo di essere nascosti da qualche altra parte, quasi in un’ulteriore forma di protezione.

Se Theresa aveva ragione, non era servito a nulla. Quelli che li odiavano li avevano beccati comunque.

Le cime degli alberi danzarono per una brezza improvvisa. In piedi, proprio al margine della terrazza, Jackson sentiva stormire le foglie, ne inalava la fresca umidità. A sud-est, proprio sotto la Luna, brillava fisso un pianeta. Probabilmente Giove. Oppure un ologramma di Giove, approvato dal comitato climatico dell’enclave. "Aggiungiamo un pianeta alla programmazione della cupola di questo mese. I bambini potranno imparare a usare il software di orientamento nel cielo."

Jackson rivide le stampe appese alla parete dello studio di Theresa dei bambini Vivi nonCambiati che morivano di pustole e putrefazione per la mancanza di misure sanitarie che nessuno aveva più bisogno di adottare, di siringhe del Cambiamento o di cure mediche.

Non ci sarebbero state mai più siringhe del Cambiamento. Persone, gruppi e governi potevano inviare un numero infinito di messaggi o effettuare spedizioni a Selene, ma non sarebbe servito a nulla. A meno che i Super non avessero lasciato un’immensa provvista di siringhe da qualche parte perché venisse scoperta a posteriori, non sarebbe più esistito il Cambiamento per la generazione successiva o quella dopo ancora. Nemmeno per i bambini Muli che studiavano il software per l’orientamento celeste. La biochimica/nanotecnologica era troppo oltre la comprensione della normale umanità, perfino dell’umanità modificata geneticamente. Non si poteva affrontare la rivoluzione industriale se si era appena inventata la ruota.

Jackson appoggiò le mani sulla ringhiera della terrazza e si sporse in avanti. Dalla strada, quattro piani sotto, arrivava il debole suono della risata di una donna, seguita da quella di un uomo, calda e tenorile. Jackson non riuscì a scorgere nessuno dei due. L’aria profumava di menta, erba tagliata di fresco e rose.

"Eden" aveva detto una volta Theresa di Central Park, durante la sua fase religiosa. Aveva avuto dodici anni e aveva desiderato diventare suora.

Eden. Per quanto tempo ancora?

C’erano siringhe nascoste, probabilmente, famiglia per famiglia, in tutte le enclavi, una o due qui, altre lì. I neonati sarebbero stati iniettati, segretamente, prima che gli outsider venissero a conoscenza dell’esistenza delle siringhe per poterle rubare. Quando le siringhe messe da parte fossero finite tutte, il tasso di natalità sarebbe crollato anche più di quanto già non avesse fatto, quando i genitori Cambiati avessero preso in considerazione i problemi relativi a malattie e al bisogno di cibo dei figli nonCambiati. Alla fine la gente avrebbe ricominciato comunque ad avere bambini, perché succedeva sempre così. A quel punto la medicina si sarebbe ripresa dal febbricitante coma di ricerche nel campo delle droghe del piacere e i Muli se la sarebbero cavata bene, più o meno come avevano sempre fatto, dietro i loro scudi a energia-Y, sempre più impenetrabili, che si sarebbero estesi ogni anno a causa della necessità di destinare aree sempre maggiori all’agricoltura, alle industrie casearie e a quelle di sintesi della soia. Le enclavi si sarebbero adattate. Avevano tutta la tecnologia per riuscirci. Non ci sarebbe stata alcuna cacciata dall’Eden.

E i Vivi? Non c’era bisogno di chiedersi cosa sarebbe accaduto loro. Accadeva già. Carestia, morte, malattia, guerra. Alla fine, avrebbero imparato nuovamente le tecniche per la sopravvivenza. Se invece il neurofarmaco che inibiva la tolleranza per le novità avesse continuato a diffondersi, non avrebbero imparato. Sarebbero rimasti attaccati alle vecchie mansioni adatte a corpi Cambiati che la nuova generazione non avrebbe posseduto. I Muli, inaspriti dalle Guerre del Cambiamento e consci che i Vivi non erano più necessari economicamente per almeno tre generazioni, non avrebbero fatto nulla.

Genocidio tramite immobilismo universale. Il Signore non aiuta i cerebrochimicamente incapaci di aiutare se stessi, troppo terrorizzati dai cambiamenti per lasciare che qualcuno si avvicini loro e che hanno perso da poco i loro ultimi paladini extraterrestri.

Jackson inspirò profondamente la dolce aria artificiale e chiuse gli occhi.

— Jackson — disse Vicki alle sue spalle. — Ti vuole Theresa.

— Fra un minuto.

Con sua sorpresa, sentì il braccio di Vicki stringerglisi attorno da dietro. La guancia di lei si appoggiò alla sua schiena. Sentì la camicia bagnarsi. Ricordò che mentre lui aveva pensato ai Super-Insonni morti come a una fonte di siringhe del Cambiamento, Vicki aveva avuto con loro un’inspiegata relazione personale.

Le disse, senza voltarsi: — Tu hai incontrato Miranda Sharifi.

— L’ho incontrata, sì. Due volte.

— Quale pazzo scatenato può averli uccisi?

— Ci sono troppi candidati per poterli enumerare. Il mondo è pieno di amareggiati e scontenti.

— Già. Tutti i perdenti che provano risentimento per i vincitori.

— Non sono sicura che Miranda sia mai stata una vincente — disse Vicki. — Mai. Lei e la sua razza, tuttavia, erano il nostro unico aggancio con un’evoluzione radicale forzata. Soltanto il Rifugio avrebbe potuto crearli e il Rifugio non lo rifarà mai.

A quel punto Jackson comprese. Le mani gli si serrarono sulla ringhiera. L’aria gli risultò improvvisamente pesante. — Li ha uccisi Jennifer Sharifi come rappresaglia per aver mandato lei e i suoi compari cospiratori in prigione circa trent’anni fa.

— Sì — confermò Vicki. — Probabilmente. Ma il Dipartimento di Giustizia non sarà mai in grado di dimostrarlo.

Lasciò andare Jackson e si allontanò da lui. — Adesso dipende da te, Jackson.

Lui si voltò per affrontarla. — Dipende da me? Ma di che diavolo stai parlando?

— Non penserai davvero che la Kelvin-Castner stia puntando la ricerca alla scoperta di una cura per il neurofarmaco, no? Non si aspettano che riesca a filtrare nelle enclavi perché sanno che, originariamente, era stato creato da un altro gruppo di Muli con lo scopo di impedire ai Vivi di rappresentare una minaccia politica o fisica, senza sporcarsi le mani spazzandoli via del tutto. A meno che tu non obblighi la K-C a rispettare il contatto, si tufferanno a capofitto sulle applicazioni commerciali e avanzeranno trascinando i piedi sul versante dell’antidoto per cui hai firmato il contratto.

— La documentazione di laboratorio quotidiana…

— L’hai esaminata con grande attenzione vero? Stronzate. L’hai degnata a mala pena di uno sguardo.

Lui restò in silenzio, cercando di assorbire il colpo.

— "Io" l’ho guardata per quello che mi è potuto servire — riprese Vicki. — Non sono preparata in quel campo: per me non si trattava che di una serie di diagrammi, equazioni confuse e modelli di sostanze incomprensibili. Jackson tu devi stare col fiato sul collo della Kelvin-Castner se ti interessa davvero che venga trovato un antidoto. "Tu."

— Theresa…

— …sta guarendo. Dirk, Billy e Shockey no. Dopo tutto… — sollevò le mani, a palmi in aria, in un umile gesto implorante che Jackson non le aveva mai visto fare e di cui non la credeva capace — dopo tutto, sei un medico, no?

— Non sono un ricercatore medico!

— Adesso lo sei — disse Vicki quindi, all’improvviso, sbalordendolo, gli sorrise. — Benvenuto all’evoluzione personale.


C’erano settimane intere di rapporti. Ogni giorno il numero dei ricercatori primari cresceva: era partito da diciassette per aumentare a uno strabiliante duecentoquarantuno in dieci siti differenti disseminati nel paese. Tutti avevano mandato a Jackson copie di tutto: la registrazione di ogni conferenza, ogni procedura, ogni ipotesi, ogni versione di ogni modello informatico. Variazioni nel tasso di assorbimento, biodisponibilità, legami proteici, meccanismi di sottotipi di recettori, equazioni di efferenze nervose, modelli Meldrum, ionizzazione gangliodea, sintesi di proteine ribosomiche, tassi di interazione con il Depuratore Cellulare. Non era possibile esaminare tutto per una singola persona. Mentre cercava di farlo, Jackson cominciò a sospettare che lo scopo della documentazione inviatagli fosse proprio quello.

Cominciò anche a sospettare che parte di ciò che gli veniva mandato fosse fasullo. Però non aveva il tempo, le conoscenze o la pazienza per determinare esattamente quale parte lo fosse.

Seduto davanti al terminale del proprio studio, analizzando stampe, comprese che l’unico modo per orientarsi in tutta quella roba era usare programmi scritti apposta per ricercare schemi specifici, o specifiche linee di ricerca. O di ricerche possibili. O forse la direzione verso cui una ricerca si poteva orientare. Non esistevano programmi personalizzati simili e Jackson, che non era un esperto di informatica, non era in grado di scriverli. Figuriamoci poi se poteva intrufolarsi nella documentazione che sospettava la Kelvin-Castner non gli fornisse.

— Manda a chiamare Lizzie — disse stancamente a Vicki.

— Lizzie? Non sa nulla di ricerca sulla chimica cerebrale.

— Be’, nemmeno io. Quanto meno non abbastanza. Chiamala e dille che le invierò immediatamente un’aeromobile. Mi dovrà aiutare a scrivere dei software specializzati. Se non riuscirà a farlo, potrà intrufolarsi nella documentazione segreta della K-C. Dio sa se è brava come pirata informatico. Non voglio assumere un esterno che potrebbe rivendere le informazioni. Non ancora.

A Vicki scintillarono gli occhi. — Benissimo. Oh, a titolo informativo, Jones ha detto che Ca/.ie sta venendo a farti visita.

Jackson sollevò lo sguardo dalle pile di stampe traballanti disseminate su tutto il suo antico Aubusson. L’espressione di Vicki era attentamente neutrale. Lui riusciva ancora a sentire le sue braccia attorno al corpo, calde e solide, di fianco alla ringhiera della terrazza.

Forse l’aiuto di Lizzie non era l’unico modo per progredire.

Le disse tranquillamente: — Cazie. È venuta qui regolarmente, vero? Per vedere Theresa.

— Questa volta vuole vedere te.

— Come fai a saperlo?

Vicki fece un sorrisetto storto. — Lo so.

Ed ecco Cazie, che piombava nel suo studio come se ne fosse la proprietaria, con un frusciante abito blu elettrico e i riccioli neri che ondeggiavano: una presenza vivida che infiammò la stanza in penombra con un bagliore pericoloso che sembrò consumare anche le stampe in plastica non consumabile. Cazie lo fissò con espressione truce. — Jack! Se potessi parlare solo con te…

Vicki mormorò: — Sarebbe necessario che tu riuscissi a vedere oltre te stessa — e lasciò la stanza.

Jackson si alzò, cercando di sfruttare il fragile vantaggio della propria altezza.

— Come stai, Jack?

— Bene. — Aspettò. Era arrivato il momento chiave. Davvero. Si chiese se Cazie se ne rendesse conto.

— E Tessie?

— Sta facendo progressi proprio come da programma.

Il sorriso di Cazie era genuino. — Sono così felice! La nostra Tessie. Ti ricordi che pensavamo a lei come al bambino che non avevamo ancora avuto? Un sentimento immeritato ma non completamente falso. — Si avvicinò di un passo. Jackson riusciva a sentire l’odore del profumo di lei, fiori in un calore animale.

— La Kelvin-Castner non sta sviluppando l’antidoto — esordì Jackson. — E io posso dimostrare che tu lo sai.

Era la sua unica vera possibilità: coglierla di sorpresa, contando sul fatto che lei non si aspettava un doppio gioco da parte sua, accuse che non avevano un fondamento o menzogne. Cazie si fidava di lui, anche se gli aveva sempre lasciato capire che lui non poteva fidarsi di lei. Lui era Jackson: solido, onesto, abbagliato da lei. Facile da ingannare. Facile da controllare.

La osservò attentamente. Era brava: appena una leggera dilatazione degli immensi occhi verde dorato, un cambiamento involontario nelle pupille scintillanti. Era abbastanza. All’improvviso Jackson si sentì colpito allo stomaco.

Cazie rispose tranquillamente: — Non è vero, Jack. Ti sono stati inviati rapporti di laboratorio ogni giorno.

— Sono falsi. Tutto lo sforzo di comprensione del fattore permanenza è mirato verso il suo uso in una sostanza base per droghe di piacere.

— Non hai avuto il tempo per formulare questo genere di analisi. Anche se lo avessi avuto, ti sbagli. Vieni alla K-C e guarda coi tuoi occhi. Thurmond ti mostrerà…

— …dei veri esperimenti. Sì, non ne dubito. Qualche ricerca tenuta in piedi come paravento. Cazie, come hai potuto? Sai che cosa ha fatto questo neurofarmaco nell’accampamento di Vivi di Vicki. Cosa potrebbe fare ovunque. Nessuno sarebbe più in grado di adattarsi, di modificare le proprie abitudini quotidiane. Quando le siringhe del Cambiamento saranno finite e i bambini non potranno contare sul Depuratore Cellulare per l’eliminazione di ogni organismo dannoso che li attacca, o su tubuli trofoblastici per nutrirsi, nessuno sarà in grado di innovarsi al punto da riuscire a imparare di nuovo come agire! Nel giro di una generazione…

— Oh, dio, Jack, non cambierai mai, eh? Non fai altro che guardare la tua piccola specializzazione, il sacro modello medico senza mai lanciare un’occhiata al quadro complessivo. Solleva lo sguardo, letteralmente! I Vivi non sopravvivono da soli, come piccole e indifese lucertoline in un deserto abbandonato! Hanno Miranda Sharifi come angelo custode con un intero contingente di serafini e cherubini Super-Insonni. Miranda volerà giù da Selene quando sarà pronta, farà incendiare qualche rovo, consegnerà un antidoto e tutto finirà lì. La K-C non deve fare nulla per i Vivi e non c’è motivo per cui dovremmo farlo noi.

— Be’, c’è il piccolo dettaglio che tu lo avevi promesso "a me".

Cazie lo guardò. Dio come era bella. La donna più desiderabile che avesse mai conosciuto. Bella, intelligente, tenera quando voleva. Sua moglie, un tempo, con tutto quello che Jackson aveva sempre compreso nel termine. Qualcosa sotto le costole gli si torse. Gli provocò un gran dolore fisico sapere che non l’avrebbe mai più stretta fra le braccia.

— Jack…

— Di’ a Thurmond Rogers, il mio vecchio compagno universitario, che mi trasferirò alla Kelvin-Castner. Immediatamente. Con un esperto informatico e un legale. Esaminerò ogni rapporto personalmente, visitando ogni laboratorio nel complesso bio-schermato, "ossessionandolo" con consulenti esperti. E se…

— Non puoi portare degli esterni alla K-C! La riservatezza…

— …se non troverò tracce di un progresso sostanziale, scientificamente valido, "quotidianamente", mirato alla realizzazione di un antidoto per il neurofarmaco inibitorio, citerò la K-C per violazione di contratto, impedendo al buon vecchio Alex di ottenere un brevetto fino alla fine del millennio. Anche se, così facendo, dovessi mandare in bancarotta la TenTech.

Cazie lo fissò sbalordita. A Jackson sembrò improvvisamente che si fosse messa dietro uno scudo a energia-Y, invisibile ma infrangibile. Lo scudo di lui o di lei? Desolato, si rese conto che non aveva più alcuna importanza.

Lei era sempre stata veloce. Gli disse dolcemente: — Questa volta hai chiuso con me, vero, Jack? Per sempre.

— Riferisci a Rogers quello che ho detto.

— In te è cambiato qualcosa. Sacrificheresti davvero la TenTech per questo teatrale gesto donchisciottesco. Perché?

— Perché tu non sei capace di capire che non si tratta di un gesto teatrale.

Lei disse, senza muoversi: — Non ho mai finto di essere qualcosa di diverso da quello che sono, Jack.

— No, non lo hai mai fatto — commentò lui, addolorato.

All’improvviso, Cazie tirò indietro la testa e scoppiò a ridere, una risata acuta e corposa che non mostrava traccia di isteria. Jackson a quel punto provò qualcosa, un breve lampo della antica paura, "non posso lasciarla andare" e avvertì con altrettanta chiarezza il momento in cui l’abbandonò, lasciandolo svuotato.

Cazie concluse allegramente: — Adesso vado a trovare Theresa.

Jackson restò lì, dopo che lei se ne fu andata, in attesa. A quel punto sarebbe entrata Vicki, con qualche commento sardonico e provocatorio. Le cose andavano sempre così: lui litigava con Cazie, Vicki origliava dietro la porta, poi entrava e rigirava il coltello nella piaga. Ecco come andavano le cose.

Quella però non era un’altra solita lite con Cazie, e, qualche minuto dopo Vicki entrò, ma non per rincarare la dose. Stava infilando un golf sopra la testa, i capelli scompigliati dal gesto brusco, e lo sguardo non era diretto su di lui.

— Prendo la tua aeromobile, Jack. Lizzie è partita.

— Lizzie? E dov’è andata?

— Annie non lo sa ma Lizzie ha lasciato l’accampamento una settimana fa e da allora non ha più chiamato. Due stranieri, modificati geneticamente, sono andati a cercarla lì dopo che lei se ne era andata. Annie era terrorizzata, ovviamente.

— Una settimana: ascolta, Vicki, non posso venire con te, devo andare alla Kelvin-Castner.

La notizia la distrasse per un momento: la fredda determinazione sul suo volto si attenuò e i suoi occhi scintillarono. Soltanto per un momento.

Jackson terminò la frase: — Ma ti posso procurare un’arma. Una Larsen-Colt laser che…

— Non hai armi paragonabili a quelle che mi posso procurare io — rispose Vicki con la stessa efficiente freddezza e lasciò Jackson a bocca spalancata, uscendo dallo studio stipato di stampe che lui non aveva ancora letto.

Interludio

DATA MESSAGGIO: 13 maggio 2121

A: Base Selene, Luna

VIA: Stazione Terrestre Enclave Dallas, Satellite GEO C-1867 (U.S.), Satellite E-643 (Brasile)

TIPO MESSAGGIO: Codificato

CLASSE MESSAGGIO: Classe C, Trasmissione Privata a Pagamento

GRUPPO DI ORIGINE: Gregory Ross Elmsworth

MESSAGGIO:


Signora Sharifi,

lei sa indubbiamente chi sono io, non insulterei mai la sua intelligenza suggerendo il contrario. Il popolo degli Stati Uniti ha scelto di rifiutare la mia candidatura alla presidenza, ma questo non significa che io non sia ancora pronto a servire questo nostro grande paese in ogni modo possibile. Per questo sono disposto a offrirle un miliardo di dollari, un terzo del mio capitale privato, in cambio di una completa ricetta scientifica delle sue siringhe del Cambiamento, sufficiente per la loro duplicazione commerciale. Renderò queste informazioni, senza alcun costo, disponibili a tutte le case farmaceutiche degli Stati Uniti. Anche se il suo capitale è sicuramente più imponente, non riesco a credere che lei resterà indifferente davanti alla mia proposta.

Indirizzi e codici per contattare i miei legali sono allegati.

Lasci che la storia si ricordi di tutte due con orgoglio.

Distinti saluti

Gregory Ross Elmsworth

Elmsworth Enterprises International, Inc.

CONFERMA RICEZIONE: Nessuna

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