PARTE PRIMA Novembre 2120 — Gennaio 2121

Se i desideri fossero cavalli, i mendicanti potrebbero cavalcare.

John Ray, Proverbi Inglesi, 1670

1

Eccola lì. Buttata su un marciapiede della Madison Avenue nell’enclave di Manhattan Est. Poteva sembrare un rametto caduto, sfuggito a un robot di manutenzione difettoso. Ma non si trattava di un rametto innaturalmente diritto, né di un coltello laser perduto, né di una linea nera tronca tracciata sull’asfalto nanoricoperto che non portava da nessuna parte. Era una siringa del Cambiamento.

Il dottor Jackson Aranow la prese in mano.

Vuota, nessuna possibilità di stabilire quanto tempo prima fosse stata utilizzata. La lega nera non arrugginiva, non si intaccava e non si rovinava. Jackson non riuscì a ricordare l’ultima volta che ne aveva vista una buttata a terra. Tre o quattro anni prima, forse. La rigirò fra le dita come una bacchetta, vi guardò attraverso come se fosse un telescopio e la puntò contro un edificio dicendo: — Bang.

— Benvenuto — rispose l’edificio. Il braccio esteso di Jackson lo aveva fatto arrivare alla portata del sensore. L’uomo infilò la siringa in tasca e passò nel portico di sicurezza.

— Dottor Jackson Aranow, per Ellie Lester.

— Un minuto, signore. Ecco qui. tutto a posto. Sono felice di poterle essere utile, signore.

— Grazie — rispose Jackson, un po’ irrigidito. Non gradiva proprio gli atteggiamenti affettati negli edifici.

L’ingresso era sfarzoso e grottesco. Il pavimento era programmato con mattoncini gialli che scivolavano ogni trenta secondi per formare un disegno diverso, che terminava contro le pareti vuote. C’era una venere verde neon con un orologio digitale nel ventre, seduta su un magnifico tavolinetto Sheraton di antiquariato posto accanto all’ascensore. L’ascensore parlò con voce musicale e acuta.

— Che tu sia il benvenuto, sahib. Sono molto felice che tu venga a visitare Memsahib Lester. Ti prego, guarda da questa parte, permettimi un’umile analisi di retina… grazie, sahib. Ti auguro ogni bene.

Jackson non pensava che Ellie Lester gli sarebbe piaciuta.

Fuori dalla porta dell’appartamento, si materializzò l’ologramma di un negro a piedi nudi che indossava una camicia a scacchi sbiadita. — Sto felice che tu qui, signore. Signorina Ellie aspettare te dentro, signore. — L’ologramma trascinò i piedi, sogghignò e appoggiò una mano traslucida sulla porta che si stava aprendo.

L’appartamento ricordava l’ingresso: un misto accuratamente composto di costosissimi pezzi di antiquariato e sfrontati kitsch: un ratto di cartapesta che mangiava il suo piccolo, appoggiato sopra una squisita credenza del diciottesimo secolo. Un televisore antico lustrato a specchio sotto una scultura a filamenti di diamante tutta ricoperta di polvere. False sedie, tutte spigoli pericolosi e sporgenze bizzarre, su cui era impossibile sedersi. "Nell’epoca della nanotecnologia, perfino della nanotecnologia primitiva, la presenza materiale degli oggetti diventa volgare, perfino irrilevante, e soltanto il gusto di come vengono combinati è ciò che importa" diceva l’ultimo numero della rivista "Design". I due pesci d’oro nell’ingresso erano artisticamente morti e fluttuavano accanto al piccolo ologramma di un pequod in affondamento.

Ellie Lester uscì da una porta laterale. Era modificata geneticamente in altezza e quello suggerì a Jackson la sua età: le bambine programmate per superare il metro e ottanta erano state di moda per un breve periodo durante i tardi anni Ottanta, quando la prestanza fisica non era ancora diventata irrilevante. Adesso che "Design" aveva stabilito che lo era, Ellie compensava la sua altezza con il gusto. Sopra il seno nudo, indossava una collana che alternava perle al laser rilucenti con escrementi animali nanoricoperti: la gonna drappeggiata era rossa, bianca e blu. Jackson rammentò che quella era la serata delle elezioni.

— Dottore, ma dove diavolo si era "cacciato"? L’ho chiamata dieci minuti fa!

— Mi ci sono voluti quattro minuti per trovare un robotaxi — disse pacatamente Jackson. — E comunque lei mi aveva detto che suo nonno era già morto.

— Bisnonno — lo corresse lei, con espressione truce. — Da questa parte.

Prese a camminare cinque passi avanti a lui, il che concesse a Jackson una bella vista sulle sue lunghe, lunghissime gambe, sul sedere perfetto e sui capelli rossi tagliati asimmetricamente. Pensò di puntarle contro la siringa del Cambiamento e di sussurrare: "Bang". Invece lasciò in tasca la siringa. Gli sfoggi di scadente imitazione non erano poi così di gusto o intriganti come pensava "Design".

"Codardo" lo schernì Cazie nella sua mente.

Passarono attraverso una sala grottesca dopo l’altra. L’appartamento era ancora più grande di quello di Jackson sulla Fifth Avenue. Sulle pareti erano appesi quadri-parodia programmati e incorniciati in maniera elaborata: la Monna Lisa che rideva come una iena, Una domenica pomeriggio sulla Grande Jatte che si agitava freneticamente in punti in dissolvimento.

La camera da letto del morto era molto diversa, dipinta di bianco e priva di arredi, se si eccettuavano alcune piccole fotografie predigitali raggruppate su una parete. Un roboinfermiere sostava silenzioso accanto al letto. I muscoli delle labbra e delle guance del vecchio si erano allentati per la morte. Non era modificato geneticamente, ma doveva essere stato bello, un tempo. La pelle era solcata da rughe profonde ma, nonostante tutto, aveva l’aspetto sano di quelli che erano stati iniettati con la siringa del Cambiamento: era priva di macchie, gonfiori, chiazze indurite o qualsiasi altra cosa fosse provocata da cellule anormali o da tossine nel corpo. Non esistevano più.

Non esisteva più nemmeno la malattia. Se n’era occupato il Depuratore Cellulare, metà della magia del Cambiamento. I nanomeccanismi, composti da proteine geneticamente modificate e autoreplicanti, occupavano l’uno per cento delle cellule di tutti. Come i globuli bianchi, i piccoli biocomputer avevano la capacità di lasciare il flusso sanguigno e di viaggiare liberamente attraverso i tessuti corporei. A differenza dei globuli bianchi, i Depuratori Cellulari avevano la capacità di confrontare il DNA indigeno con variazioni non standard e di distruggere non soltanto le sostanze estranee ma anche le variazioni aberranti del DNA. Virus. Tossine. Cancri. Cellule ossee irregolari. Il Depuratore Cellulare inoltre risparmiava una lunga lista di sostanze preprogrammate che appartenevano al corpo, come minerali essenziali e batteri simbiotici. Dopo il Cambiamento, nessun medico portava più con sé antibiotici o antivirali. Nessun medico monitorava attentamente i pazienti alla ricerca di complicanze infettive. Nessun medico aveva più bisogno di strumenti diagnostici. Jackson, che si era laureato all’università di medicina di Harvard nello stesso anno in cui Miranda Sharifi aveva rifornito il mondo di siringhe del Cambiamento, non era uno specialista. Era un meccanico.

La "professione" di Jackson consisteva nel curare traumi, iniettare siringhe del Cambiamento ai nuovi nati e stilare certificati di morte. In quanto medico, era obsoleto come una venere verde neon. Uno sfoggio parodistico.

Non in quel momento, però.

Jackson tirò fuori alcuni strumenti dalla valigetta e attivò la linea ufficiale medica. Ellie Lester si accomodò sull’unica sedia della stanza.

— Nome del deceduto?

— Harold Winthrop Wayland.

Jackson girò attorno al cranio del morto con il monitor cerebrale. Nessuna attività elettrica, nessuna circolazione sanguigna nel cervello. — Numero di cittadinanza e data di nascita?

— AKM-92-4681-374. 3 Agosto 2026. Aveva "novantaquattro anni". — La ragazza sembrò sputar fuori quell’età.

Jackson piazzò il dermalizzatore sul collo di Wayland. Esso si srotolò immediatamente e si estese in una densa rete di sottili neuroni sintetici sopra il volto dell’uomo, scomparendo sotto il colletto del pigiama di seta per poi riapparire in fondo ai piedi. Un bozzolo che strisciava e sondava. Ellie Lester distolse lo sguardo. I monitor non mostrarono lesioni o altra indicazione di intrusione da nessuna parte sulla pelle, nemmeno la più piccola ferita da puntura. Tutti i tubuli di alimentazione erano perfettamente funzionanti.

— Quando ha scoperto il corpo del signor Wayland?

— Appena prima di chiamare lei. Ero venuta a controllarlo.

— E lo ha trovato come è adesso?

— Sì. Non ho toccato né lui né niente che fosse nella stanza.

La rete del dermalizzatore si ritrasse. Jackson infilò una sonda polmonare nella narice sinistra di Wayland. Non appena toccò la membrana mucosa, la sonda si attivò e scomparve lungo i bronchi per raggiungere i polmoni.

— Ultima espansione polmonare alle 6:42 ora della Costa Est — disse Jackson. — Nessuna traccia di annegamento. Campioni di tessuto prelevati. Adesso, signorina Lester, mi racconti, per la documentazione, tutto quello che riesce a ricordare sul comportamento del defunto durante gli ultimi giorni.

— Nulla di insolito — rispose lei seccamente.

— Non lasciava spesso la sua stanza, eccetto che per essere portato nella stanza di alimentazione. Lei può accedere ai dati del roboinfermiere, può portarselo via, addirittura. Io cercavo di venirlo a trovare ogni tanto. Quando sono entrata questa sera lui era morto e il robot si trovava in pausa.

— Senza avere inviato segnali di malfunzionamento al sistema di casa? È insolito.

— Ha segnalato. Lei può accedere a tutti i dati della casa e verificare per conto suo. Io però non ero in casa e il collegamento alla linea di comunicazione funzionava male. È ancora in quelle condizioni. Io non l’ho toccato, quindi può controllare.

Jackson obiettò: — Ma allora come ha fatto a chiamarmi?

— Dalla mia linea mobile. Ho anche chiamato la ditta di riparazione. Lei può accedere…

— Non voglio nessuno dei suoi dati — rispose Jackson. Si accorse del proprio tono di disprezzo e cercò di modificarlo. Il collegamento ufficiale era ancora aperto. — Ma la polizia potrebbe volerli. Io non faccio altro che certificare la morte, signorina Lester. Non effettuo indagini.

— Ma… significa forse che informerà le autorità? Non capisco. Il mio bisnonno è chiaramente morto di vecchiaia! Aveva "novantaquattro anni"!

— Adesso ci sono molte persone di novantaquattro anni. — Jackson distolse lo sguardo dagli occhi di lei. Un bruno carico, modificato geneticamente, ma piatto e lucido come quello di un uccello. — Signorina Lester, che cosa intendeva quando ha detto che il signor Wayland lasciava la propria camera soltanto quando il roboinfermiere lo portava nell’area di alimentazione?

I suoi occhi scintillanti si spalancarono e lei lanciò un’occhiata di chiaro trionfo all’apparecchio di comunicazione. — Che diamine, dottor Aranow, non ha consultato i dati del suo paziente durante il tragitto fin qui? Le avevo detto che avrei autorizzato il suo accesso.

— La corsa in robotaxi è stata breve. Abito a soli tre isolati di distanza.

— Ma ha avuto quattro minuti di tempo libero mentre aspettava il robotaxi! — Lo fissò dalla sedia con espressione trionfante, inarcando le sopracciglia. Lui avrebbe scommesso qualsiasi cosa che il suo QI non era stato modificato geneticamente.

Le rispose tranquillo: — Non sono entrato nella documentazione medica del signor Wayland. Ma perché il roboinfermiere doveva condurlo nell’area di alimentazione?

— Perché aveva l’Alzheimer, dottor Aranow. L’aveva da quindici anni, ben prima del Cambiamento. Perché il vostro preziosissimo Depuratore Cellulare non può riparare le cellule del cervello danneggiate, vero, dottore? Può soltanto distruggere quelle anormali. Il che gliene lasciava sempre di meno col passare degli anni. Perché lui non era in grado di "trovare" l’area di alimentazione, tanto meno poi di togliersi gli abiti e di nutrirsi. Perché la sua mente era andata e lui era un guscio bavoso, vacuo e vuoto il cui cervello danneggiato alla fine ha ceduto semplicemente, uccidendo il suo corpo, anche se era stato così scioccamente cambiato!

La ragazza ansimava. Jackson sapeva che lo stava pungolando, sfidandolo a dire: "lei lo ha ucciso". A quel punto, probabilmente, gli avrebbe fatto causa.

Non si lasciò provocare. Dopo il matrimonio con Cazie Sanders, e il divorzio, Ellie Lester era soltanto una stupida dilettante. Le disse formalmente: — La causa della morte, ovviamente, verrà stabilita dal medico legale di New York City, dopo l’autopsia. Questo rapporto preliminare si ritiene concluso. Disattivare il collegamento.

Infilò il trasmettitore nella borsa. Ellie Lester si alzò: era più alta di Jackson di quasi tre centimetri. Lui immaginò che l’autopsia avrebbe rivelato uno degli inibitori cinesi o sudamericani che fanno dimenticare al cervello quello che deve fare, inviare segnali al cuore di battere o ai polmoni di respirare. Forse, invece, l’autopsia non avrebbe mostrato nulla, se la droga fosse stata più sofisticata della tecnologia diagnostica. Come gliel’aveva somministrata?

Lei disse: — Forse i nostri sentieri si incroceranno di nuovo, dottore.

Lui ebbe il buon senso di non rispondere. Dall’unità mobile inoltrò una chiamata ai poliziotti, poi lanciò un’ultima occhiata ad Harold Winthrop Wayland. Lo schermo sul muro si accese. Il sistema di casa doveva essere stato programmato in anticipo.

— …risultati elettorali definitivi! Il Presidente Stephen Stanley Garrison è stata rieletto con uno scarto minimo. L’aspetto più inquietante dei risultati, tuttavia, è il numero di americani che ha votato. Su novanta milioni di potenziali elettori, soltanto l’otto per cento ha votato. Questo rappresenta un crollo…

Ellie Lester scoppiò in una secca risata. — "Inquietante". Dio, che deficiente. Ma perché mai qualcuno dovrebbe preoccuparsi "ancora" di votare?

— Forse come atto di parodia di buon gusto — commentò Jackson e si rese conto che, così dicendo, aveva vinto lei dopo tutto. Non lo confortava sapere che la ragazza era troppo stupida per accorgersene.

Non lo accompagnò alla porta. Forse "Design" aveva stabilito che anche le buone maniere erano irrilevanti. Mentre lasciava la stanza del morto, tuttavia, Jackson guardò con attenzione per la prima volta le piccole foto incorniciate appese sulla parete. Tutte meno l’ultima erano copie predigitali, sbiadite e irregolari nel colore. Edward Jenner. Ignaz Semmelweiss. Jonas Salk. Stephen Clarck Andrews. E Miranda Sharifi.

— Sì, era un medico anche lui — disse con malizia Ellie Lester. — Ai tempi in cui la gente come voi era ancora necessaria. E questi sono i suoi eroi: quattro Vivi e una Insonne. Non lo sapeva? — Scoppiò a ridere.

Jackson uscì. L’ologramma del negro era stato sostituito da quello di uno schiavo romano nudo, fortemente muscoloso, bello, ma chiaramente non modificato geneticamente. Un Vivo. Lo schiavo si inchinò mentre Jackson passava, abbassò gli occhi e aprì la bocca. Catene traslucide di oro olografico lo tenevano incatenato al pomolo della porta di Ellie Lester.


— Lei rappresenta l’estremità di una curva a campana, lo so — disse Jackson a sua sorella Theresa. — Quindi la cosa non dovrebbe preoccuparmi. In effetti, non mi preoccupa.

— Sì che ti preoccupa — commentò Theresa con la sua voce gentile. — Ed è giusto che sia così.

Erano seduti nell’atrio del loro appartamento e bevevano qualcosa prima di cena, che sarebbe stata composta di cibo per bocca, vecchio stile. La parete dell’atrio che dava sul parco era costituita da uno schermo trasparente a energia-Y. Quattro piani più giù, il Central Park turbinava di colori autunnali sotto l’invisibile cupola a energia. Le enclavi di Manhattan avevano votato recentemente perché venissero restaurate le stagioni differenziate, anche se il risultato della votazione era stato incerto. Sopra lo scudo, il cielo di novembre pareva color cenere.

Theresa indossava un abito ampio a fiori che le ricadeva in pieghe graziose fino alle caviglie: Jackson aveva la vaga impressione che fosse fuori moda. Il volto di lei, senza trucco, era un pallido ovale sotto i capelli biondo argentato. Aveva dodici anni meno del trentenne Jackson.

Theresa era fragile. Non tanto nel corpo modificato geneticamente per essere slanciato, quanto nella mente. Jackson credeva in cuor suo che durante il procedimento di ingegneria embrionale qualcosa fosse andato storto, come succedeva a volte. La modificazione genetica era un processo complicato e, una volta che lo zigote si trasformava in blastomeri, non era più possibile alcun ulteriore intervento permanente. Non da parte di alcuno sulla Terra, quanto meno.

Da bambina, Theresa aveva odiato andare a scuola, aggrappandosi alla madre sconcertata e piangendo disperata. Non le piaceva giocare con gli altri bambini. Per giorni interi rimaneva chiusa nella sua stanza, disegnando o ascoltando musica. A volte diceva che avrebbe voluto avvolgersi nella musica e sciogliervisi finché non fosse esistita più alcuna Theresa. I test medici avevano mostrato una forte reattività nel suo sistema di risposta agli ormoni dello stress: alti livelli di cortisolo, ghiandole adrenaliniche ingrossate, battito cardiaco, motilità intestinale e morte di cellule nervose associati a depressione presuicida. La sua soglia di risposta limbico ipotalamica era bassissima: trovava intensamente minaccioso tutto ciò che era nuovo.

In un’epoca di ammine biogene tecnologicamente adattate, nessuno doveva essere fragile. Per tutta l’infanzia, Theresa era stata costretta a sottoporsi a trattamenti di neurofarmaci per riequilibrare la sua chimica cerebrale. Il Depuratore Cellulare avrebbe reso problematiche le cure, visto che distruggeva tutto quello che riteneva non appartenere direttamente al corpo, non adeguarsi agli schemi del DNA o alla serie approvata di molecole immagazzinate nei suoi minuscoli, inimmaginabili computer a base proteica piazzati nelle e fra le cellule umane. Quando però il Cambiamento aveva portato il Depuratore Cellulare, non aveva avuto più alcuna importanza. A tredici anni Theresa dichiarò… no, quello era un termine troppo forte per Theresa, lei non "dichiarava" mai nulla… disse che aveva chiuso con i neurofarmaci "per sempre".

A quel punto, i suoi genitori erano morti in un incidente aereo e Jackson era divenuto il tutore di sua sorella. Jackson aveva discusso con lei, aveva cercato di ragionare, l’aveva implorata. Non era servito a nulla. Theresa non voleva essere aiutata. Non ribatté alle discussioni: il dibattito intellettuale la confondeva. Si rifiutò semplicemente di accettare una soluzione medica per i suoi problemi medici.

Quanto meno, comunque, non tentò il suicidio, la più grande paura di Jackson. Si fece sempre più appartata e più elusiva, una di quelle dolci e pallide donne di un secolo completamente diverso. Theresa ricamava. Studiava musica. Stava compilando, impresa del tutto irrilevante, una biografia della martire Insonne, Leisha Camden, altra donna interamente eclissata da una diversa generazione femminile priva di scrupoli.

Quando era avvenuto il Cambiamento, Theresa era stata l’unica persona che Jackson conoscesse ad aver rifiutato l’iniezione. Non poteva nutrirsi del terreno. Si infettava per virus e batteri. Poteva restare avvelenata dalle tossine. Poteva venirle il cancro.

A volte, quando era di cattivo umore, lui pensava che l’elusiva fragilità neurologica di sua sorella, così staccata dalla sua intelligente dolcezza, fosse il motivo per cui lui era diventato medico. Solo negli ultimi tempi si era reso conto che le fragilità di Theresa erano anche il motivo per cui aveva sposato una persona come Cazie.

Osservando sua sorella che si versava dell’altro succo di frutta, non beveva mai allucinogeni, alcolici o bevande a base di endorfine sintetiche come l’Endorbacio, Jackson pensò che fosse sbagliato lasciarsi condizionare la vita in quel modo da una sorella minore dolcemente, cocciutamente e scioccamente pazza. Pensò di essere un debole per aver permesso che ciò accadesse. E che sentirsi forte vicino a Theresa, probabilmente in confronto, era a sua volta un modo da debole di considerare la situazione.

— Le persone come Ellie Lester — disse Theresa — non sono complete.

— Che intendi dire? — Non voleva saperlo realmente, avrebbe potuto portare a un’altra arrancante e tortuosa discussione di Theresa sulla spiritualità, ma l’allucinogeno nel suo drink stava avendo su di lui un effetto gradevole. Le ossa si stavano rilassando, i muscoli si scioglievano, gli alberi sottostanti ronzavano formando uno sfondo armonioso senza pretese. Non voleva parlare. Certo non delle informazioni su Ellie Lester controllate appena tornato a casa, che includevano la scoperta che lei avrebbe ereditato l’immensa fortuna del bisnonno. Che chiacchierasse Tessie. Lui sarebbe rimasto seduto nel ronzante imbrunire senza ascoltare.

Però tutto quello che disse Theresa fu: — Non so cosa voglio dire. So soltanto che non sono completi. Tutti quanti. Tutti noi.

— Ummmmm.

— Qualcosa non va in noi. Io ci credo Jackson. Ci credo davvero.

Non suonava proprio come se ci credesse. Appariva insicura come al solito, col suo modo di parlare esitante e delicato e il suo vestito a fiori. A Jackson venne in mente che, in una enclave dove le feste terminavano spesso con tutti i partecipanti nudi che si nutrivano in comune, lui non aveva più visto la forma del corpo di sua sorella da anni.

A quel punto però Theresa prese a parlare in modo impetuoso. — Ho letto qualcosa di malvagio oggi. Davvero "malvagio". Ho inviato Thomas nei database della biblioteca per il mio libro. Per qualcosa che Leisha Camden scrisse nel 2045.

Jackson si fece forza. Theresa inviava spesso il suo sistema personale, Thomas, a setacciare i database storici e spesso interpretava male quello che quello vi trovava, oppure si indignava, o altrimenti piangeva.

— Thomas mi ha riportato una frase di un medico famoso che conosceva Leisha. Hans Dietrich Lowering. Ha detto: "La mente non esiste. C’è soltanto un insieme di attività elettriche e fisiologiche che tutti chiamiamo cervello." Ha detto una cosa simile!

Jackson si sentì soffocare dalla pietà. Lei appariva così agitata, così inutilmente indignata, davanti a quella non-notizia vecchia e per nulla sconvolgente. La sua pietà, tuttavia, era intrecciata all’inquietudine. Non appena Theresa aveva pronunciato la parola "malvagio", Jackson aveva avuto un flash improvviso di Ellie Lester, più alta di lui, che mostrava i denti in preda alla furia che non poteva permettersi di far trapelare nella linea ufficiale medica. Lei era apparsa malvagia, una malvagia, bella gigantessa e, nella morsa dell’allucinogeno, Jackson poté ammettere quello che aveva negato in precedenza: lui l’aveva voluta. Anche se lei non era stata realmente malvagia ma soltanto avida; non veramente bella ma soltanto ovvia. E non più gigante dell’ologramma in miniatura del Vequod che affondava accanto ai pesci d’oro morti nella vasca dell’atrio.

Spostò a disagio il peso sulla sedia e bevve un altro sorso della bevanda.

— È malvagio negare l’esistenza della mente — stava dicendo Theresa. — Figuriamoci poi l’anima.

— Tessie…

Lei si sporse in avanti, una chiazza pallida e indistinta nell’oscurità, con la voce prossima alle lacrime. — "È malvagio", Jackson. Noi non siamo soltanto sensori, processori e cablaggi, come i robot. Siamo umani, tutti noi.

— Calmati, tesoro. Era soltanto una frase scritta moltissimo tempo fa. Dati ammuffiti in un vecchio file.

— Allora la gente oggi non crede più che sia vero? I medici non ci credono?

Certo che ci credevano. Soltanto Theresa poteva restare così sconvolta per un’affermazione standardizzata vecchia settantacinque anni, basata su altre standardizzazioni vecchie duecento anni.

— Tessie, piccola…

— Noi abbiamo "anime", Jackson!

Un’altra voce: — Oh, Cristo, non un’altra sparata sulle anime!

Lei entrò sorridendo, canzonando, riempiendo la grande sala con la sua ancor più grande presenza da un metro e cinquanta e dall’estrema vitalità. Cazie Sanders. La sua ex moglie che si rifiutava di uscire dalla sua vita, essendo il divorzio che aveva ottenuto da lui soltanto una cosa in più da trascurare con disinvoltura adesso che l’aveva. Con la scusa di essere amica di Theresa, Cazie entrava e usciva dall’appartamento degli Aranow come più le aggradava, prendeva e mollava gli Aranow come più le girava, si gratificava sempre.

Con lei c’erano due uomini che Jackson non conosceva: forse uno dei due era l’amante del momento? Lo erano tutti e due? Un’occhiata al più vecchio e Jackson comprese subito che era sotto l’effetto di qualcosa di più forte degli allucinogeni o dell’Endorbacio. Magro, alto, privo di muscolatura, aveva il corpo modellato in modo deliberatamente androgino da stella della televisione, vestito con una tunica in cotone grezzo e marrone che sembrava una fodera da cuscino, già in parte consumata dai tubuli di alimentazione della sua pelle. L’uomo più giovane, la cui bellezza modificata geneticamente ricordava in modo sgradevole a Jackson lo schiavo olografico di Ellie Lester, indossava un olo-abito opaco che sembrava formato da migliaia di brulicanti api infuriate. Aveva la bocca perennemente incurvata in un ghigno. Cazie andava a letto veramente con uno di quei due disastri? Jackson non lo sapeva.

Era difficile spiegare perché lui avesse sposato Cazie, ma non troppo. Era bellissima, con corti riccioli scuri, una pelle color miele dorato e occhi a mandorla d’oro con piccole pagliuzze verde chiaro. Tutte le donne modificate geneticamente erano belle, però. Di certo Cazie non era delicata, fedele e gentile come Theresa… che, davanti alla ex cognata, sbiadiva, scompariva quasi, tremolando debolmente come un ologramma mal funzionante.

Cazie bruciava di qualche forza vitale non modificata geneticamente: era oscuramente intelligente, primitiva ed erotica come la pioggia battente. Tutte le volte che lo aveva toccato, febbrilmente, languidamente o teneramente, con Cazie non si poteva mai prevedere, Jackson aveva avvertito qualcosa di ferreo e gelido squagliarsi nel proprio centro, qualcosa che di solito non sapeva nemmeno di portare in giro. Si era sentito connesso con desideri innominati, possenti, antichissimi. A volte, facendo sesso con Cazie, mentre le unghie di lei gli graffiavano la schiena e il pene di lui le si muoveva dentro ciecamente, come un ardente missile vivente, si era stupito nel sentire se stesso piagnucolare, gridare o cantilenare: diventava una persona completamente diversa, il cui ricordo lo metteva in imbarazzo. Cazie non era mai imbarazzata. Per nulla al mondo. Dopo due anni di matrimonio, aveva divorziato da Jackson accusandolo di essere "troppo passivo".

Lui aveva avuto paura, durante le settimane di confusione in cui lei aveva traslocato, che nulla nella sua vita sarebbe mai stato bello come quei due anni. E nulla lo era stato.

Guardandola in quel momento, vestita con una tunichetta drappeggiata verde e oro che le lasciava nuda una spalla, Jackson provò il familiare irrigidirsi del collo, del petto, dello scroto, un complesso di desiderio, rabbia, competitività e umiliazione semplicemente per non essere stato abbastanza forte per nuotare nelle oscure correnti del mare interno di lei. Appoggiò il bicchiere. Aveva bisogno di mantenere chiare le idee.

— Come ti senti, Tess? — chiese cortesemente Cazie. Si sedette, senza essere invitata, accanto a Theresa che si ritirò facendosi piccola piccola e tese una mano, quasi per riscaldarsi al fuoco di Cazie. Per Jackson la loro amicizia restava una cosa inesplicabile: erano troppo diverse. Una volta che qualcuno riusciva a entrare nella vita di Theresa, lei gli restava attaccata per sempre. Theresa, poi, tirava fuori il lato protettivo e tenero di Cazie, come se fosse un micino indifeso. Jackson distolse lo sguardo dalla ex moglie, poi si rifiutò di concedersi quella debolezza e la guardò nuovamente.

— Sto bene — sussurrò Theresa. Lanciò un’occhiata alla porta. Gli estranei facevano aumentare la sua apprensione.

— Tess, questi sono miei amici, Landau Carson e Irv Kanzler. Jackson e Theresa Aranow. Stiamo andando a un esorcismo.

— A che cosa? — chiese Jackson. Desiderò subito di non averlo fatto. Irv estrasse un inalatore dalla tasca della tunica consumabile e inalò ancora un po’ di ciò che gli stava rimodellando la chimica neurale. Era quello il problema con le droghe ricreazionali più tossiche: il Depuratore Cellulare le rimuoveva rapidamente non appena quelle entravano nel corpo e quindi chi le usava doveva rinnovarne l’assunzione ogni pochi minuti.

— Un ess-or-ciss-mo — biascicò Landau con accento effeminato. Era quello che indossava le api. — Non ne hai "mai" sentito parlare? "Devi" averne sentito parlare.

— Jackson non sente mai parlare di niente — commentò Cazie. — Non lascia mai l’enclave per scendere a sporcarsi fra i Vivi.

— A volte esco dall’enclave — replicò secco Jackson.

— Sono felice di sentirlo — replicò Cazie, versandosi un bicchiere di allucinogeno. L’unghia del suo anulare sinistro era ricoperta da un ologramma con piccole farfalle concatenate che sbattevano freneticamente le ali.

— Un ess-or-ciss-mo è semplicemente una nova — ripeté Landau con esagerata accondiscendenza. — Uno sballo genuino. Moriresti dal ridere.

— Ne dubito — commentò Jackson e decise che era l’ultima cosa che avrebbe detto a quel tossico. Incrociò le braccia sul petto, si rese conto che quella posa, probabilmente, lo faceva apparire rigido proprio come Cazie aveva alluso e le distese nuovamente.

Landau disse: — Di certo avrai sentito parlare dei culti di Madre Miranda, no? Sono una specie di religione da Vivi… così tipico. Miranda come la Vergine Maria che intercede presso il Divino. E per "che cosa"? Non la salvezza, la grazia, un mondo di pace o una qualsiasi di quelle noiose verità eterne. No. I seguaci di Madre Miranda pregano per "l’immortalità". Un altro Cambiamento. Se i Super-Insonni sono stati in grado di fornire le prime siringhe, sostiene questa risibile teologia, allora potrebbero anche fornire un altro miracolo che faccia vivere per sempre tutti i piccoli e sudici Vivi.

Irv scoppiò a ridere, un latrato improvviso simile al ghiaccio che si crepa, e inspirò di nuovo dall’inalatore. Doveva provocare l’eccitazione diretta di un centro del piacere, immaginò Jackson, con additivi allucinogeni e depressori selettivi per abbassare l’inibizione.

Cazie sbottò: — Dio, Landau, sei uno snob così poco originale. Non ci sono soltanto Vivi coinvolti nel culto di Madre Miranda. Ci sono dentro anche dei Muli.

Theresa si mosse a disagio sulla sedia, un piccolo gesto di agitazione che rappresentava l’equivalente cinestetico di un lamento. Jackson le prese la mano.

Landau proseguì: — Ma per la "maggior" parte sono Vivi. Il nostro nuovo ottanta per cento autosufficiente è privo di diritti. I Vivi, poi, sono gli unici che fanno esorcismi.

Con voce così bassa che inizialmente Jackson pensò che nessun altro fosse riuscito a sentirla, Theresa disse: — Esorcizzare cosa? I Demoni?

— No, certo che no — rispose Landau. Le sue api ronzarono un po’ più forte. — Pensieri impuri.

Cazie scoppiò a ridere. — Non esattamente. Più precisamente pensieri ideologicamente scorretti. In effetti si tratta di un controllo di tipo politico per assicurarsi che tutti i piccoli e buoni "Madre Mirandiani" siano convinti della sua quasi divinità. Lo chiamano esorcismo perché dovrebbe eliminare le idee sbagliate. Quindi preparano tutti insieme una nuova trasmissione da inviare su al Rifugio.

— Un intrattenimento davvero da sballo — commentò Landau.

Jackson non riuscì a frenarsi. — E questo rituale è aperto al pubblico?

— Certo che no — rispose Landau. — Noi siamo infiltrati. Umili novizi in cerca di fede per le nostre inutili vite troppo privilegiate.

La tranquilla agitazione di Theresa aumentò. Cazie domandò: — Cosa c’è, Tess?

Theresa esplose: — Non dovreste farlo! — Poi si rannicchiò nuovamente sulla sedia, e schizzò in piedi. Jackson, che la stava tenendo ancora per mano, sentì che le sue dita tremavano. — Buona notte — sussurrò la ragazza e si liberò.

Cazie la chiamò: — Aspetta, Tess, non andare! — Ma Theresa era già scappata in camera sua.

— Complimenti — fece Jackson.

— Mi dispiace, Jack. Non pensavo che avrebbe reagito in questo modo. Non è una vera religione.

— È religiosa? Le mie condoglianze — commentò Landau. — Ed è anche una parente stretta.

— Chiudi il becco — ordinò Cazie. — Dio, quanto mi annoi a volte, Landau. Non ti stanchi mai di questi atteggiamenti arroganti?

— Mai. Che cosa c’è realmente d’altro? Inoltre posso rammentarti, Cassandra cara, che anche tu stai per recati a un ess-or-ciss-mo, eh?

— No — ribatté secca Cazie. — Non ci vengo. Fuori di qui!

— Un improvviso scoppio di rabbia! Che cosa eccitante!

Jackson si alzò in piedi. Landau si toccò un punto sul petto: le api ronzarono ancora più forte. Per la prima volta Jackson si chiese se fossero davvero tutte ologrammi o se qualche ape non fosse un’arma. Sicuramente Landau indossava uno scudo-Y personale.

— Fuori! — gridò Cazie. — Mi hai sentito, disgraziato? Fuori! — I suoi occhi scuri sfolgorarono: sembrava una caricatura proprio come Landau. Anche lei forse stava solo recitando, divertendosi per la messinscena? Jackson si rese conto di non essere in grado di stabilirlo.

Landau si stiracchiò pigramente, sbadigliò con ostentazione e si alzò. Si avvicinò alla porta, strascicando i piedi. Irv lo seguì, inspirando dall’inalatore. Non aveva detto una sola parola.

Quando Cazie tornò, dopo avere sbattuto la porta dell’appartamento, Jackson commentò serenamente: — Begli amici che hai.

— Non sono miei amici. — La donna stava ansimando.

— Li hai presentati come amici.

— Be’, già. Sai come succede. Mi dispiace per Tessie, Jack. Non sapevo davvero che Landau fosse così stupido.

Se quella umiltà era un atteggiamento, era di tipo nuovo. Jackson non se ne fidava e non si fidava nemmeno di lei. Non le rispose.

Cazie riprese: — Pensi che debba andare da Tess?

— No. Dalle un po’ di tempo. — Alle loro spalle, tuttavia, arrivò la voce debole di Theresa: aveva sentito sbattere la porta ed era sgusciata fuori.

— Se ne sono andati?

— Sì, piccola — confermò Cazie. — Mi dispiace di averli portati qui. Non ci avevo pensato. Sono delle vere facce di culo. No, nemmeno quello: soltanto buchi di culo. Frammenti. Persone parziali.

Theresa disse con eccitazione: — Ma è proprio quello che stavo dicendo prima a Jackson! C’è qualcosa di non completo nelle persone di oggi. Caspita, questo pomeriggio Jackson ha visto…

— Non posso parlare di un caso medico riservato — la interruppe bruscamente Jackson, anche se era ovvio che lo aveva già fatto. Theresa si morse un labbro. Cazie sorrise, l’umiltà già sostituita dallo scherno.

— Un omicidio, Jack? Non riesco a pensare ad altro per cui avrebbero avuto bisogno di te e di cui tu non possa parlare. Un po’ fuori dal seminato rispetto al tuo solito intervento mensile per incidente o al Cambiamento bimestrale per qualche neonato, eh?

Lui rispose pacatamente: — Non mi stuzzicare, Cazie.

— Oh, Jackson, tesoro, perché non ti sei imposto così quando eravamo sposati? Anche se penso davvero che siamo assortiti molto meglio come amici. — Si rivolse nuovamente alla sorella di Jackson, improvvisamente gentile ancora una volta, mentre lui restava lì con la voglia di darle una sberla, di convincerla o di stuprarla: — Tess, cara, hai proprio ragione. Noi Muli stiamo cadendo a pezzi dopo il Cambiamento. Ci uniamo a culti dei Vivi, assumiamo neurofarmaci che uccidono il cervello oppure sposiamo un programma di computer. Ne avevi sentito parlare? Per dipendenza. "La tua Intelligenza Artificiale non ti abbandonerà mai". — Scoppiò a ridere, tirando indietro la testa. I riccioli scuri danzarono, e gli occhi allungati si socchiusero in due fessure.

Theresa disse: — Sì, ma… non dobbiamo essere necessariamente così!

— Sì, invece — ribatté Cazie. — Siamo nati per continuare a essere auto-serventi, perfino i migliori di noi. Jackson, hai votato oggi?

Non lo aveva fatto. Cercò di assumere un atteggiamento accondiscendente.

— E tu, Tess? Non importa, lo sapevo. L’intero sistema politico è morto perché tutti sanno che il potere non è più lì. Se ne è occupato il Cambiamento. I Vivi non hanno più bisogno di noi, se la cavano abbastanza bene nelle loro piccole pseudo enclavi senza legge, nutrendosi del terreno. Quanto meno ritengono che sia così. Il che, accidentalmente, è il motivo per cui mi trovo qui. C’è una crisi.

Gli occhi scuri di Cazie scintillarono: amava le crisi. Theresa si allarmò. Jackson le interruppe: — Theresa, hai già mostrato a Cazie il tuo nuovo uccellino?

— Vado a prenderlo — disse Theresa e scappò via.

— Chi è in crisi? — chiese Jackson.

— Noi. La TenTech. Ci sono state incursioni in una fabbrica.

— È impossibile — commentò Jackson. Poi, visto che Cazie di solito sapeva quello che diceva, domandò: — In quale fabbrica?

— Lo stabilimento di Willoughby, in Pennsylvania. Be’, ancora non si tratta di vere incursioni. Oggi pomeriggio, però, c’era qualcuno all’esterno dello scudo a energia-Y con strumentazioni bioelettroniche e di cristallo. I sensori li hanno captati. Se controllassi la tua rete commerciale, Jack, lo sapresti anche tu. Ma, oh, dimenticavo… eri fuori a investigare su un omicidio.

Jackson cercò di mantenersi calmo. Cazie aveva ricevuto un terzo della TenTech per gli accordi del divorzio, visto che i soldi di lei erano serviti a tenere a galla la compagnia durante il disastroso anno in cui un nanodisgregatore invasivo aveva attaccato l’onnipresente lega duragem e gli affari erano morti come Vivi. Le disse pacatamente: — Non è entrato nessuno, vero? Nessuno è in grado di infrangere la sicurezza di uno scudo a energia-Y. Quanto meno non…

— Non dei Vivi, intendi dire, e chi altri potrebbe trovarsi nei deserti della Pennsylvania centrale? Penso che tu abbia ragione, probabilmente. Ma è proprio questo il motivo per cui dovremmo andare a dare un’occhiata. Se non si tratta di Vivi, chi è? Ragazzi della Carnegie-Mellon che affilano le loro abilità di intrusione informatica? Spionaggio industriale da parte della CanCo? Super-Insonni come… caspita!… Miranda Sharifi, che nutrono oscuri interessi nella nostra piccola ditta a conduzione familiare? Che ne pensi, Jack? Chi sta mettendo il naso nella nostra azienda?

— Forse i biosensori funzionano male. Un altro problema come quello del duragem.

— Forse — convenne Cazie. — Ma ho controllato in giro. Nessun altro ha problemi con i sensori. Soltanto noi. Penso che faremmo meglio a dare un’occhiata. D’accordo, Jackson? Domani mattina?

— Ho da fare.

— Fare che cosa? Non hai da fare: è quello il guaio, nessuno di noi ha abbastanza da fare. Adesso è arrivato qualcosa, qualcosa che ha un impatto sulle nostre finanze, qualcosa che ha una effettiva sostanza. Vieni con me.

Gli sorrise, a pieno voltaggio, coi lunghi occhi dorati carichi dell’astuta preghiera che mancava alle sue parole sfacciate. Jackson sapeva che più tardi, quando si fosse trovato a letto, continuando a ripassare quella conversazione, non sarebbe riuscito a ricreare gli atteggiamenti incalzanti di lei. Dei suoi occhi, del suo linguaggio corporeo, del suo tono di voce. Avrebbe ricordato solamente le parole, prive della grazia o della sottigliezza, e si sarebbe maledetto per il suo sì.

Cazie scoppiò a ridere. — Alle nove, allora. Guido io. Nel frattempo… sto morendo di fame. Oh, Tessie, eccoti qui. Che magnifico uccellino modificato geneticamente. Sai parlare uccellino da gabbia? Sai dire "dissoluzione sociale"?

Theresa sollevò la gabbia a energia-Y e disse: — Sa soltanto cantare.

— Come la maggior parte di noi — commentò Cazie. — Motivi disperatamente discordanti. Jackson, io "ho" fame. E non voglio cibo per bocca, questa sera. Penso che dovremmo tenere compagnia a Tessie finché mangia e che poi mi dovresti invitare a cena nella tua area di alimentazione così gustosa.

— Io devo uscire — ribatté in fretta Jackson. Theresa lo fissò sorpresa, improvvisamente rabbuiata. Jackson non intuiva quanto lei sapesse o immaginasse dei sentimenti che lui provava per Cazie. Theresa era molto sensibile al disagio: intuiva che sarebbe stato impossibile per Jackson andare tranquillamente con Cazie in sala da pranzo, togliersi gran parte dei vestiti e giacere sul terreno ricco di sostanze nutrienti mentre il suo corpo cambiato assorbiva tutto ciò di cui aveva bisogno, in proporzioni perfette, attraverso i tubuli del nutrimento. Jackson non poteva farlo anche se lo stimolo era fortissimo. Giacere lì, sotto le luci calde, le mutanti lunghezze d’onda selezionate attentamente per ottenere un effetto rilassante per la mente, respirare l’aria profumata, voltarsi su un gomito per chiacchierare distrattamente con Cazie, guardare Cazie che si nutriva, stesa sullo stomaco, i piccoli seni sodi sprofondati nella terra…

Impossibile.

Aspettò finché la sua erezione non fosse scemata prima di alzarsi e stiracchiarsi con elaborata noncuranza. — Bene, ci sono delle persone che mi stanno aspettando. Buona notte, Cazie. Theresa, non farò tardi.

— Stai attento, Jackson — disse Theresa come faceva sempre, come se potessero esistere pericoli all’interno dell’Enclave di Manhattan Est, protetta da uno scudo a energia-Y dalle indesiderate intemperie. Theresa non lasciava l’appartamento da oltre un anno.

— Sì, stai attento, Jack — scimmiottò Cazie teneramente, e lui sentì il cuore saltare un battito quando gli sembrò di avvertire del rammarico mischiato con la tenerezza. Quando si voltò, tuttavia, lei stava facendo di nuovo le moine all’uccellino di Theresa e non lo guardò nemmeno.

C’era l’indomani.

Maledetto domani. Si trattava di un viaggio di affari, per scoprire che cosa non andasse nello stabilimento di Willoughby. Lui possedeva quella maledetta compagnia, quanto meno un terzo, e avrebbe dovuto controllare meglio i tabulati della ditta, dare ordini alle Intelligenze Artificiali che la gestivano, collegarsi con il capo tecnico della TenTech, verificare l’andamento dei problemi. Doveva essere più responsabile dei soldi suoi e di Theresa. Doveva…

Avrebbe dovuto fare un sacco di cose.

Uscì nella fredda notte di novembre, che sotto la cupola sembrava una calda notte di settembre, e cercò di pensare a un posto che non fosse casa sua in cui avrebbe potuto effettivamente cenare.

2

Lizzie Francy si fermò sull’erba irregolare del campo buio in Pennsylvania e appoggiò in segno di monito una mano sul braccio di Vicki Turner. Soffiava un vento freddo. A una trentina di metri di distanza lo stabilimento che produceva coni a energia-Y della TenTech si profilava al chiaro di luna, un parallelepipedo di cemespugna privo di finestre, bianco e senza tratti caratteristici, come una prigione.

— Non andare oltre — avvertì Lizzie. — Lo scudo di sicurezza inizia un metro e mezzo più avanti. Vedi la differenza sull’erba?

— Certo che no, non riesco a vedere "niente" — rispose Vicki. — Tu come fai?

— Sono venuta qui alla luce del giorno — disse Lizzie. — Dobbiamo spostarci, un po’ a sinistra, ho lasciato un segno. Stai tremando, Vicki. Hai freddo?

— Sto gelando. Stiamo gelando tutti. È lo scopo di questa incursione notturna illegale, no? Dio, devo essere impazzita per fare una cosa simile… Quanto più a sinistra?

— Proprio qui. Non ti avvicinare oltre, i sensori a infrarossi ci capteranno.

— Non me, sono troppo fredda. Mi scambierebbero per una roccia. No, non voglio la tua mantella, ne hai bisogno.

— Io non ho freddo — ribatté Lizzie. Aprì un sacco di iuta e cominciò a tirare fuori roba.

— È l’esplosione dei tuoi ormoni. I piccoli coni a energia-Y della gravidanza. Va bene, prenderò la mantella. Come mai la tua pelle non consuma i vestiti in fretta come la mia? O è soltanto un’impressione? Lizzie, piccola, non eccitarti troppo. Non funzionerà. Nessuno, per quanto sia un bravo pirata informatico, può entrare in una fabbrica di coni a energia-Y.

— Io sì — rispose Lizzie.

Sogghignò in direzione di Vicki, Vicki non capiva. Vicki era intelligente, era colta, era un Mulo, quelli che prima gestivano il mondo. Vicki aveva regalato a Lizzie il primo terminale e le aveva insegnato a usarlo. Lizzie doveva tutto a Vicki. Ma Vicki "non sapeva". Vicki era vecchia, forse aveva quasi quarant’anni, ed era diventata adulta prima del Cambiamento, quando ogni cosa era differente. Lizzie aveva passato gli ultimi cinque anni sulle reti informatiche e sapeva quanto era brava. Non c’era nulla in cui non potesse introdursi (eccetto ovviamente il Rifugio, ma quello non contava). Quello era il mondo di Lizzie, ormai, e lei poteva fare tutto. Aveva diciassette anni.

Le due donne tirarono fuori la strumentazione di Lizzie da un’altra tela tessuta in modo grezzo. Biblioteca di cristallo, terminale, trasmettitore laser, olotute complete. Parte dell’equipaggiamento era di materiale scadente, parte era rubato, tutto era vecchio. Lizzie, con il pancione che le tendeva la tunica già consumata, montò l’equipaggiamento e lo puntò contro l’edificio. Vicki, avvolta nella mantella di Lizzie, si mise improvvisamente a ridacchiare. — Ho conosciuto Jackson Aranow, una volta.

— Chi sarebbe Jackson Aranow?

— Il proprietario della fabbrica che stai per derubare. Quanto meno lo è la sua famiglia. Io dico sempre, conosci i tuoi ignari e involontari benefattori. Gli Aranow sono una vecchia stirpe di conservatori, altezzosi e noiosi. Ricchi quanto il Rifugio.

Lizzie sollevò lo sguardo dagli schemi di decodifica sullo schermo. — Davvero?

— No, ovviamente non proprio. Dio, non prendere sempre tutto così alla lettera. Nessuno è ricco come il Rifugio.

— D’accordo, siamo pronti — disse Lizzie. Sogghignò, un lampo di denti bianchi nell’oscurità. — Hai il tuo sacco? Ricorda che lo scudo si abbasserà soltanto per dieci secondi prima che il sistema si riprogrammi. Sei armata?

— Se è questo, essere "armati" — commentò Vicki, sollevando il tubo di metallo nella mano destra. — Dovevi proprio farlo così pesante? Se devo morire, preferisco farlo un po’ più leggera.

— Non morirai. E sei quasi completamente nuda, non ti sembra di essere abbastanza leggera? — Lizzie scoppiò a ridere, un profondo ghigno impudente, e le sue dita presero a volare sopra la tastiera. — Va bene… "ora"!

Un raggio laser trafisse l’oscurità, diritto e inflessibile come un bastone di filamenti in diamante. Sfrecciò attraverso lo scudo invisibile a energia verso un punto preciso, virtualmente indistinguibile, posto in alto, sull’edificio. Lo seguì un secondo raggio. Molti siti di dati, eccitate le loro molecole bioelettriche dalla prima scarica del laser, assorbirono l’energia aggiuntiva della seconda in una diversa zona dello spettro. L’energia assorbita attivò una reazione ramificata, un’architettura sequenziale a un fotone. Una serie di chiavi a lunghezza d’onda si inserirono, attraverso l’oscurità, in una serratura cromoforica autoriparante costituita da proteine batteriche. La notte si riempì di informazioni invisibili, alcune inviate a nuovi siti di ricezione, a ulteriori relais, a terminali posti in altri stati. Lizzie non poteva farci nulla: i sistemi di sicurezza, per loro natura, allertavano altri sistemi. Tuttavia, l’aria sfrigolò brevemente e lo scudo di sicurezza a energia-Y si dissolse.

Nel giro di dieci secondi si era già resettato con altri codici, altri schemi. Lizzie e Vicki, portando i loro sacchi, avevano già attraversato l’erba alta, sfruttando l’interruzione nel campo energetico.

Avvenne tutto in silenzio. Non si accesero riflettori e non suonarono allarmi. Le industrie erano integralmente automatizzate, gestite da sistemi che avevano base in enclavi distanti, che i proprietari potevano consultare e dirigere. Oppure no.

Il primo robot della sicurezza passò accanto alle due donne quasi immediatamente, a una velocità terrificante, una sagoma di metallo silenzioso che sfrecciava nel prato. Vicki vi puntò contro il disgregatore EMF e il robot si fermò, cadde a terra e si ribaltò. Vicki scoppiò a ridere, con una foga eccessiva. — Muori, essere impudente venuto dal nulla!

— "Sbrigati!" — la incalzò Lizzie. Disattivò un secondo robot della sicurezza e corse verso le porte dello stabilimento.

Ovviamente si erano bloccate quando lo scudo a energia-Y si era abbassato. Lizzie digitò qualcosa sui terminali a codici di sovrapposizione manuali e trattenne il respiro. Le erano occorsi mesi per intrufolarsi nei dati della sicurezza della TenTech e, anche se poteva fare tutto, non era mai riuscita a trovare i resettaggi per i codici di sovrapposizione manuale nel caso la violazione dello scudo di sicurezza li avesse reimpostati automaticamente. Sperava che non esistessero reimpostazioni, che i progettisti fossero stati così arroganti o così maldestri da aver avuto fiducia che il complesso sistema a energia-Y fosse sufficiente, che nessuno sarebbe mai riuscito a violarlo. Eccetto, forse, quelli del Rifugio, che non avevano alcun motivo per provarci.

Quelli del Rifugio e Lizzie Francy.

Le porte si aprirono, e Lizzie si prese un istante prezioso per chiudere gli occhi e rivolgere una breve preghiera di ringraziamento a un Dio nel quale non credeva. Il Dio di Billy, il Dio di sua madre. Lizzie non aveva bisogno di Lui. Lei ce l’aveva fatta.

Ce l’aveva "proprio fatta": si era introdotta in una fabbrica di coni a energia, per rubarne a sufficienza perché la sua tribù superasse l’inverno. Avevano tutto il resto di cui necessitavano, dopo il Cambiamento: una tela cerata polimerizzata per il campo di alimentazione; acqua che non aveva più bisogno di essere potabile; una fabbrica abbandonata per la lavorazione dei prodotti della soia che forniva uno spazio più che sufficiente per la tribù; un robot tessitore che poteva produrre con facilità abbastanza vestiti e coperte per tutti, anche per i giovani che consumavano in fretta gli abiti. Tuttavia non avevano coni a energia-Y e l’inverno sulle colline della Pennsylvania era freddo. Dato che i Muli non inviavano più materiale, coni e coperte, in cambio di voti, le tribù dovevano prendersi cura da sole di se stesse. Non lo avrebbe fatto nessun altro.

Lizzie riaprì gli occhi. Un altro robot della sicurezza sfrecciò fuori da una alcova e lei lo bloccò col disgregatore. Monitor nascosti stavano filmando l’incursione, ovviamente, ma sia lei sia Vicki erano avvolte dalla testa ai piedi in olotute. Ai monitor, Lizzie appariva una bambinetta bionda di dodici anni, all’ottavo mese di gravidanza. Vicki, invece, era un Mulo maschio dai capelli rossi con un abito elegante. Tutti i sensori a infrarossi avrebbero seguito due fonti di calore di forma umana, genere femminile, di una certa dimensione, massa e metabolismo; ma senza identità sicura.

Era così facile! Sfrecciare dentro, razziare sette o otto coni dalla fine della catena di produzione e infilarli nei sacchi, tornare di nuovo all’esterno e aspettare che la strumentazione sparasse una seconda scarica di laser per far abbassare lo scudo per altri dieci secondi, quindi scappare. Niente male per una marmocchia Viva! Corse lungo il breve corridoio verso il fondo dello stabilimento, col ventre che le ondeggiava da una parte all’altra in un ritmo da bonga.

E si immobilizzò, trovandosi davanti a un luogo impazzito.

Due muletti giravano per tutto il piano. Uno sollevava, ammassava, separava e spostava… nulla. Carichi di aria fina. L’altro portava una singola cassa fino alla fine della catena di montaggio robotizzata, la piazzava lì, riceveva coni a energia vuoti, riportava la stessa cassa al centro dello stabilimento e scaricava i coni; quindi vi passava in mezzo, facendoli schizzare per tutto il pavimento, mentre portava nuovamente la cassa vuota alla fine della catena. La cassa era intaccata in un centinaio di punti, ammaccata su un angolo, mancante delle due alette di chiusura. Sembrava essere passata attraverso una guerra. Sulla catena di montaggio, bracci robotici sollevavano i delicati meccanismi interni dei coni, forniti dalla unità di fusione a freddo sigillata… e sbagliavano a infilare le batterie nei coni, mancandoli di venti centimetri. Le batterie cadevano dalla catena di montaggio, rompendosi. I coni vuoti proseguivano nel loro cammino, verso il muletto demente che li aspettava al fondo, li impacchettava, li trasportava e li scaricava prima di tornare a prenderne altri.

Vicki sbottò: — Che…

— Gli algoritmi spaziali sono tutti incasinati — commentò Lizzie con estremo disgusto. — Dio, che "spreco". I tuoi amici proprietari controllano soltanto i tabulati della produzione, non i rapporti di qualità e nemmeno… Vicki, non è divertente!

— Sì che lo è! — ribatté Vicki. Era piegata in due dalle risate, a mala pena in grado di pronunciare le parole. — È… un’isteria. Il mondo ad alta tecnologia dei Muli… sembra una specie di Guerra Santa robotica all’Endorbacio… e quel pallone gonfiato di Jackson Aranow…

— Abbiamo soltanto pochi minuti ancora e abbiamo bisogno dei coni! Aiutami a trovare quelli imballati prima che impazzisse lo stabilimento, non può andare avanti così da molto tempo.

— No? Guarda, c’è polvere dappertutto! — E Vicki riprese a sghignazzare, tenendosi la pancia, ridendo come l’ologramma di un pazzo in un manicomio. A volte Lizzie aveva l’impressione di essere "lei" l’adulta e Vicki, col suo bizzarro senso dell’umorismo da Mulo, la bambina. Poi, in altre occasioni, Vicki diventava la donna che Lizzie ricordava dalla sua infanzia: terrorizzante, consapevole, posata, un essere che veniva da quell’altro mondo che gestiva il mondo. Ma perché non era facile entrare nella mente delle persone come nei programmi informatici? Lizzie pungolò Vicki sulla spalla.

— Vieni! Aiutami a cercare!

Vicki la seguì. Le due donne corsero verso le cassette confezionate ammassate presso uno dei muletti prima (quando?) che quelli impazzissero. Per fortuna anche il robot addetto alla sigillatura funzionava male: nessuna delle alette delle casse era fissata bene e questo rese più facile aprirle. La prima cassa in cima era vuota. Anche la seconda. La terza era stipata di batterie rotte, schiacciate contro e attorno agli alloggiamenti a cono come tuorli spalmati contro gusci d’uovo incorruttibili. Lizzie si chiese che cosa potesse avere ingarbugliato in quel modo la programmazione.

— Vicki… il tempo sta per esaurirsi! La scarica laser partirà soltanto un’altra volta, i resettaggi sono accoppiati ma la prossima coppia sarà generata a caso, non sono stata in grado di prepararmi per quella…

— Ecco! — disse Vicki, che aveva smesso di ridere. — Questa cassa è buona. Prendi tre o quattro coni… vai! Vai!

Infilarono i coni nei sacchi, quindi corsero verso il corridoio, schivando i coni vuoti che rotolavano giù dai muletti. Alla fine del corridoio, trovarono le porte dello stabilimento chiuse.

— Come… Lizzie! Si sono bloccate automaticamente!

Lizzie digitò furiosamente codici di sovrapposizione manuali, inserendo svariate sequenze per "aprire le porte". Non accadde nulla. Il sistema di sicurezza aveva riprogrammato la chiusura delle porte, non le aperture. Era una cosa sensata. Se lo scudo fosse stato disattivato, che entrasse pure chi era voluto entrare, ma che non uscisse.

Vicki chiese: — Puoi entrare nel sistema e rubare il codice?

— Non prima che sia abbassato lo scudo. E questo accadrà… ora.

Lizzie si appoggiò alla porta. Il suo corpo si accasciò al suolo lentamente, come una bambola di pezza, col sacco di preziosi coni a energia-Y stretto sotto il braccio. Non ce l’aveva fatta. Aveva fallito, lei, Lizzie Francy, e ormai lei e Vicki erano intrappolate all’interno della fabbrica di coni, un edificio impenetrabile in cemespugna. Anche se fossero uscite dallo stabilimento, poi, sarebbero rimaste bloccate, in un passaggio sterrato di tre metri attorno all’edificio, da uno scudo a energia-Y attraverso cui non sarebbe passata una molecola più grossa di quelle dell’aria. Erano in trappola.

— Vicki — sussurrò, e non era più la geniale ragazzina che si intrufolava nelle banche dati, era una diciassettenne impaurita che si aggrappava a un adulto. — Vicki, cosa potremo "fare", noi?

— Aspetteremo — rispose Vicki con espressione risoluta. Si accomodò vicino a Lizzie, appoggiando anche lei la schiena contro la porta. — Finché non comparirà qualcuno.

Lizzie allungò una mano verso un tratto di pavimento appena davanti alla porta. Passò le dita sulla cemespugna. Divennero nere di polvere. — E quanto tempo pensi che è passato, tu, dall’ultima volta che qualcuno è venuto qui? — Si accorse che era tornata al linguaggio tipico dei Vivi, quello che usava sempre quando era agitata. Lo odiava.

— Qualcuno verrà a controllare la causa dell’interruzione nel sistema di sicurezza. — disse Vicki.

— Qualche supervisore tecnico mandato dalla TenTech. La polvere non significa che non viene mai nessuno. L’intero sistema di riciclo dell’aria potrebbe essere saltato nello stesso momento in cui sono impazziti gli altri robot, risputando tutta la polvere accumulata all’interno.

Lizzie corrugò la fronte. Discutere la faceva sentire meno impotente. — Ma i robot ormai non funzionano bene da molto tempo, loro. Guarda quanti coni rovinati…

— Non da così tanto tempo. Abbiamo trovato dei coni funzionanti nello strato più alto di casse, ricordi?

— E come facciamo a sapere, noi, che questi coni funzionano davvero? — chiese Lizzie. Si sedette in posizione eretta, ne tirò fuori uno dal sacco e lo accese. Il cono irradiò immediatamente calore. Lo portò nella posizione per ottenere luce, quindi in quella intermedia che forniva luce e calore insieme. — Funziona.

— Benissimo.

— Forse chi arriverà ci permetterà di tenere questi pochi coni.

Vicki si limitò a guardarla. La sensazione di impotenza si impadronì nuovamente di Lizzie. No, era ovvio che non avrebbero permesso loro di tenere i coni. Erano Muli. Avrebbero arrestato lei e Vicki per effrazione, furto e qualsiasi altra cosa avessero deciso e lei e Vicki sarebbero finite in prigione. Il suo bambino sarebbe nato in prigione. La tribù non avrebbe avuto di che scaldarsi in inverno, e così sarebbe migrata a sud, come aveva già fatto la maggior parte delle altre tribù. Be’, non sarebbe stato così grave: a sud il clima era caldo e non erano rimaste moltissime persone dopo le terribili Guerre del Cambiamento, quindi non è che non ci fosse posto. Ma Billy e la madre di Lizzie non sarebbero partiti. Non se Lizzie si trovava in galera lì a nord. L’avrebbero richiusa lì? A volte mandavano la gente in prigioni lontane. I poliziotti Muli potevano spedirla ovunque.

— Ci controllano ancora, loro, non è vero? — disse in preda alla depressione. — A dispetto del Cambiamento, del Depuratore Cellulare e… di tutto.

Vicki non rispose. Restò semplicemente seduta lì, un Mulo rinnegato lei stessa, che viveva con i Vivi, a guardare il muletto impazzito che sollevava, trasportava e ammassava aria fina mentre i coni danneggiati rotolavano a terra, finendo sbattuti negli angoli.


Aspettarono tutta la notte, dormendo qualche ora sul pavimento della fabbrica. Verso l’alba, un cono rotolò fino a Lizzie facendola passare dai sogni frammentati a un frammentato stato di veglia. Lei scansò il cono e prese in considerazione l’ipotesi di disattivare il muletto. Ma perché darsi tanta pena? Si accucciò attorno alla massa ancora poco familiare del pancione. Il pavimento della fabbrica era freddo. Al suo fianco, Vicki russava delicatamente, ma Lizzie non riuscì a riprendere sonno.

Si sedette. Durante la notte un’altra parte della tunica si era consumata. La cintura che indossava legata sotto e che le correva sulla pancia, era fatta di una sostanza sintetica non organica in uso prima del Cambiamento. Da quella pendeva una sacca dello stesso materiale, che conteneva i suoi attrezzi. Se soltanto avesse avuto una sega laser! Le avrebbe fatte uscire da lì in un istante. Ma soltanto i Muli possedevano seghe al laser. Era così già ai tempi delle Guerre del Cambiamento, quando c’erano stati pesanti saccheggi ai depositi, combattimenti e quella che Vicki chiamava "la monumentale rivolta civile di un ordine morente". I Muli erano rimasti nelle loro impenetrabili enclavi e le seghe laser erano restate esattamente lì con loro. Inoltre, una sega laser non le avrebbe fatte passare attraverso lo scudo di sicurezza esterno. Nulla, a parte un’arma nucleare, era in grado di infrangere uno scudo a energia-Y.

Le luci dello stabilimento erano rimaste accese tutta la notte. Probabilmente erano programmate in quel modo qualora l’edificio evidenziasse la presenza di esseri umani. Nel debole bagliore, i robot continuavano ad affaccendarsi, sbagliando tutto. Stupide macchine.

Ma non più stupide di quanto non fosse stata Lizzie, lei.

Per quello che ricordava, Lizzie si era sempre sentita come due persone separate. Una aveva sempre posto domande, asfissiando sua madre, Billy e poi Vicki, saccheggiando il patetico software educativo a scuola, smontando robot tutte le volte che ne aveva l’occasione, ascoltando, ascoltando, ascoltando. C’erano così tante cose che voleva "sapere". Fino all’arrivo di Vicki e del Cambiamento, non aveva avuto modo di scoprire niente. Così, quando Vicki aveva lasciato le enclavi ed era andata ad abitare con i Vivi, fornendo a Lizzie un buon terminale e una biblioteca di cristallo, lei aveva avuto tutto da imparare. Lizzie, una delle due Lizzie, era diventata quasi frenetica, lavorando al terminale ogni minuto in cui era sveglia, cercando di recuperare il tempo perduto. E quando aveva imparato a usare la Rete, poi a dominarla e alla fine a saccheggiare tutte le informazioni di cui aveva bisogno, da qualunque parte, si era sentita quasi ubriaca: ubriaca di potere, di cose da fare. Lei aveva progettato il robot tessitore per la tribù e saccheggiato tutti i depositi non protetti da scudi alla ricerca delle parti necessarie per costruirlo; lei aveva localizzato la fabbrica abbandonata che sarebbe servita come casa per l’inverno ed era rimasta incinta di un ragazzo che non aveva più visto e di cui non aveva alcun bisogno. Lizzie Francy aveva deciso che voleva un bambino, proprio come aveva deciso che voleva un robot tessitore, quindi lo aveva avuto. Lei poteva farlo, poteva fare qualsiasi cosa, ed era meglio che nessuno glielo impedisse!

Ma in ogni istante, sotto sotto, c’era una Lizzie completamente diversa che nessuno vedeva, che era perennemente impaurita, che sapeva che, alla fine, avrebbe combinato solo dei gran casini: era soltanto questione di tempo. A quel punto tutti avrebbero saputo che lei era soltanto un inganno, che non sapeva fare nulla in modo corretto e che non era adeguata. Quella seconda Lizzie era terrorizzata dal trafugare dati da importanti multinazionali come la TenTech e impaurita, una volta nato il suo bambino, di non essere in grado di prendersene cura, ossessionata dall’idea che Vicki, Billy e sua madre potessero andare via, lasciandola da sola. Da sola con un bambino, cosa che altre due ragazze della sua età nella tribù, Tasha e Sharon, gestivano alla perfezione ma che Lizzie Francy non avrebbe saputo fare. Perché Lizzie, quest’altra Lizzie, voleva soltanto rannicchiarsi, smettere di essere la persona a cui tutta la tribù si riferiva per ottenere risposte rubate da quella Rete che lei, dopo tutto, non possedeva affatto. La possedevano i Muli, come sempre.

Seduta con la schiena appoggiata contro la fredda parete in cemespugna, guardando i robot che distruggevano i coni a energia-Y, improvvisamente lei non fu più in grado di accettare le due Lizzie che aveva dentro. Le stavano serrando la gola e premendo sul cuore. "So fare tutto! Non so fare bene niente!" Le stringevano il petto. Doveva alzarsi, scappare da tutt’e due.

Lasciò Vicki che dormiva. Vicki era bellissima quando dormiva, era sempre bellissima. Modificata geneticamente. Lizzie non sarebbe mai stata così bella: era troppo bassa, aveva un buffo mento e i capelli neri e crespi le sparavano in tutte le direzioni perché lei li tirava sempre quando era intenta a consultare banche dati. Ma Vicki stava dormendo e Lizzie no, quindi stava a lei "fare" qualcosa per la loro situazione. Qualcosa, qualsiasi cosa.

Irrequieta, misurò il perimetro della stanza immensa, dove c’erano meno coni a rotolarle davanti ai piedi. Superò le porte principali, davanti alle quali, la sera prima, aveva sprecato un’intera futile ora tentando di aprirle. Superò il pannello sopra i piccoli condotti dei filtri dell’aria, che Vicki era riuscita ad aprire: il sistema di filtraggio dell’aria era effettivamente saltato insieme al resto della programmazione. I piedi nudi di Lizzie lasciavano impronte sporche sul pavimento.

Sulla parete opposta, notò qualcosa che, in preda alla stanchezza e allo scoraggiamento, le era sfuggito la sera prima. A due metri e mezzo circa dal pavimento c’era un pannello di metallo quadrato, dello stesso identico colore delle pareti in cemespugna.

Non si trattava di uno sgabuzzino, non posto così in alto. Non era nemmeno l’alloggiamento sigillato per la produzione dell’energia-Y: quello era chiaramente etichettato e comunque impenetrabile. Quel pannello non appariva affatto impenetrabile, quanto meno non da lì sotto. Piccole viti assicuravano ogni angolo.

Lizzie seguì il secondo muletto, affaccendato a sollevare, separare e impacchettare aria fina. Quando si fermò alla fine della catena di assemblaggio per prendere un altro carico inesistente, lei salì a bordo sullo squadrato alloggiamento del motore. Le occorsero tre minuti per riprogrammare la macchina in modo che la portasse alla parete, la sollevasse di due metri e restasse immobile mentre lei apriva il pannello quasi invisibile, infilandosi in tasca le viti. Il pannello, in lega leggera, venne appoggiato con grande cura sulla pedana in metallo.

Dietro il pannello si trovava una rientranza di cemespugna a forma di imbuto. Profonda circa un metro e venti, si restringeva sul fondo in un quadrato di soli trenta centimetri. Quella rientranza non era presente sulle piantine dell’edificio che Lizzie aveva saccheggiato mentre pianificava l’incursione. Alla fine dell’imbuto c’era un altro pannello chiuso con altre viti.

Si sporse nella nicchia. Tuttavia non fu in grado di raggiungere il pannello più piccolo, in particolare per la prominenza del suo pancione. Si issò direttamente nell’apertura e cominciò a strisciare in avanti.

Quelle viti non vollero svitarsi. Se soltanto avesse avuto una sega laser! Cocciutamente, continuò a insistere sui fermi, ma quelli non cedettero. Però non erano nanoinseriti: l’edificio aveva sedici anni, troppo vecchio per gran parte della nanotecnologia.

Finalmente, in un impeto di frustrazione, Lizzie colpì il pannello con il manico del cacciavite. — Maledetto inferno puzzolente! — L’imprecazione preferita di Billy.

— Attendo istruzioni — disse il pannello.

Lei sgranò gli occhi. Non aveva nemmeno preso in considerazione che quello fosse uno schermo o qualcosa di attivabile a voce. Stupida, stupida. E se lo avesse danneggiato picchiandoci contro?

— Attendo istruzioni — ripeté il pannello.

— Esegui sequenza test. — Doveva scoprire con che cosa aveva a che fare.

— Eseguo sequenza test.

Le luci dello stabilimento si spensero. Cinque secondi, dieci, quindi si riaccesero. Poi si interruppe il rumore della catena di assemblaggio robotica: un silenzio scioccante come un’esplosione. Prima che il fragore ricominciasse, lei sentì Vicki gridare: — Ehi! Lizzie?

Lizzie, che stava studiando intensamente il piccolo schermo, non rispose. Si sentiva gonfia di entusiasmo. Veniva eseguita l’intera sequenza, compresa quella dello scudo di sicurezza esterno. Lei sapeva di che cosa si trattava. Era una parte del sistema di backup, poco accessibile dall’esterno dell’edificio perché risultasse sicuro ma fisicamente irraggiungibile da qualsiasi robot della catena di assemblaggio… che, come Lizzie aveva appena dimostrato, erano anche troppo facili da riprogrammare. Alcuni dei sistemi di fabbrica vecchio stile avevano studiato ogni genere di bizzarra ridondanza per recuperare fisicamente il controllo alla presenza di disgregatori dispettosi. Se fosse riuscita a entrare in quel sistema ausiliario, avrebbe controllato da lì lo scudo a energia-Y.

E lei "sarebbe riuscita" a entrare nel sistema. Lei era l’imbattibile Lizzie Francy.

— Ripeti sequenza test — ordinò, intenzionata a chiamare Vicki durante il successivo momento di silenzio. Ma proprio alla fine del controllo sulle luci, il piccolo pannello a parete si oscurò. Prese quindi a lampeggiare, senza dare informazioni vocali: SEQUENZA TEST ABORTITA: 65-B.

65-B. Un codice industriale standard per indicare un segnale master a microonde proveniente da una fonte di controllo fisicamente presente, esterna a tutti i sistemi. Era un codice di sicurezza per qualsiasi procedimento che prevedeva radiazioni. L’intera operazione si poteva fermare con il segnale giusto emesso da un telecomando manuale che si trovasse nelle vicinanze. Erano arrivati i Muli allo stabilimento.

Lizzie indietreggiò nella nicchia stipata, due metri e mezzo al di sopra del suolo. Cercò coi piedi la piattaforma in metallo del muletto. Non c’era più.

In preda al panico, ruotò il corpo col pancione finché non si trovò a guardare verso l’esterno. Il muletto si era allontanato di un metro dalla parete, probabilmente a causa dell’attivazione della sequenza test del macchinario. Tenendosi precariamente in equilibrio, Lizzie allungò le braccia. Era appena in grado di afferrare il bordo del pannello di lega appoggiato sulla piattaforma sollevata del muletto. Il pannello, tuttavia, non era fissato alla struttura e lei non poteva usarlo per tirare in avanti il macchinario. Poi, improvvisamente, il muletto si riattivò e cominciò a muoversi verso la catena di assemblaggio, tornando al normale lavoro, e Lizzie restò col pannello di lega che le pendeva dalle mani a due metri e mezzo di altezza dal suolo.

Sotto, il folle non-lavoro continuava: i robot assemblavano meccanismi interni a energia-Y e poi li schiacciavano contro i coni male allineati; i gusci dei coni rotolavano sul pavimento; i muletti ammassavano aria. Da dietro una montagna di cassette da imballaggio arrivò Vicki, strillando qualcosa al di sopra del frastuono. Probabilmente il nome di Lizzie. Quindi, le porte principali, sulla parete adiacente dello stabilimento si spalancarono ed entrarono due Muli, un uomo e una donna, a pistole spianate.

Immediatamente, senza nemmeno pensarci, Lizzie rimise al suo posto il pannello di lega, trattenendolo dall’interno con le unghie. Col cuore che le martellava in petto, si nascose all’interno della parete di cemespugna.

Interludio

DATA TRASMISSIONE: 4 Novembre 2120

A: Base Selene, Luna

VIA: stazione Terrestre Enclave Toledo, Satellite CEO C-1494 (U.S.), Satellite E-398 (Francia)

TIPO MESSAGGIO: Non codificato

CLASSE MESSAGGIO: Classe D, Accesso Servizio Pubblico, in accordo con la Legge Congressuale 4892-18, Maggio 2118

GRUPPO DI ORIGINE: "Tribù Roy L. Spath" Ohio

MESSAGGIO:


Madre Miranda!

Siano benedetti i poveri di spirito, loro, perché loro è il Regno dei Cieli! Noi siamo poveri, noi, e ti preghiamo per la tua pietà! Ci hai dato un dono di Dio, con le siringhe del Cambiamento, e noi ti onoriamo per questo! Che tu sia benedetta fra le donne! Ci hai liberato dai Cavalieri della Carestia e dalla Pestilenza e quindi ti chiediamo, noi, di liberarci dalla Morte! Dacci oggi la vita immortale e mandaci siringhe che ci faranno vivere come te, per i secoli dei secoli, amen! Prega per noi e fai che non arrivi l’ora della morte! Grazie!

CONFERMA RICEZIONE: Nessuna

3

A una settantina di chilometri da Willoughby, Cazie osservò: — Lo scudo di sicurezza dello stabilimento si è abbassato.

Jackson lanciò un’occhiata alla ex moglie, che fissava con espressione intenta lo schermo dell’unità mobile che teneva in mano. L’aeromobile stava volando in automatico e lui era mezzo addormentato, compiaciuto della propria capacità di sonnecchiare alla presenza di lei. Quello significava che l’effetto della donna su di lui stava diminuendo, no? O, forse, significava soltanto che non era abituato a essere sveglio e in volo alle 6:29 del mattino. A est il cielo si stava schiarendo e, nella luce perlacea, il profilo di Cazie appariva puro e luminoso. Theresa avrebbe detto che Cazie sembrava una santa. A quel pensiero, Jackson sbuffò.

Lei disse: — Non mi credi? Guarda tu stesso. — Gli porse l’unità mobile.

Jackson la respinse. — Ti credo. Il programma deve avere qualche difetto di funzionamento. Nessuno può irrompere in uno stabilimento protetto da uno scudo a energia-Y.

— Dio, Jackson, la tua fiducia nella tecnologia è toccante. Soprattutto visto che sei uno scienziato. Il programma "non ha" difetti. Lo scudo si è abbassato per trenta secondi a causa di una sequenza test gestita manualmente. Non solo: lo scudo si è abbassato anche la notte scorsa; in quell’occasione è stato disattivato da un sistema esterno dotato del segnale dell’aeromobile del proprietario. Mi chiedo come mai abbiano abbassato del tutto lo scudo invece di aprirsi soltanto un varco per l’aeromobile.

— Nessuno possiede il segnale del proprietario a parte me, te e il capo tecnico. E quello, me l’hai detto tu, si trova nello stabilimento messicano, questa settimana.

— Vero. Qualcuno deve avere saccheggiato la banca dati. Dio, chi l’ha fatto deve essere un tipo in gamba. Forse potremmo assumerlo. È lì dentro, adesso.

— Dentro "adesso"?

— All’infrarosso si registra la presenza di due esseri umani — confermò Cazie. Sorrideva, presumibilmente per lo scenario melodrammatico. Davanti alla sua soddisfazione, Jackson si vergognò di dire che lui non era affatto entusiasta di affrontare due intrusi potenzialmente armati. Forse erano pazzi. Cosa volevano da una fabbrica di coni a energia? I coni erano di basso costo: la TenTech riforniva l’intero nordest (era quello che gli aveva detto Cazie): nessun Mulo si sarebbe intrufolato dentro solo per il gusto di farlo. Eccetto dei ragazzini, ovviamente. Doveva trattarsi di qualche ragazzino con la testa calda, che contava su un bel colpo di pirateria informatica.

— Che stanno facendo lì dentro? — chiese.

— Jackson, le scansioni all’infrarosso non sono abbastanza dettagliate per mostrare cosa stanno "facendo" le persone. Pensavo che i medici si intendessero di macchinari.

— Io mi intendo dei macchinari di cui ho bisogno di intendermi. Non è compresa la strumentazione robotica di uno stabilimento.

— Bene — fece Cazie dolcemente. — Forse dovresti ampliare i tuoi orizzonti.

Jackson incrociò le braccia e decise che non avrebbe detto più nulla. Cazie lo faceva sentire sempre uno sciocco. Bene, quella era la sua festa, che la gestisse pure.

La donna aprì un passaggio nello scudo per entrare con l’aeromobile. Il suo segnale laser attivò il ricevitore bioelettronico posto in alto, sulla facciata dell’edificio. L’aeromobile atterrò davanti alle porte principali.

— Serrate — disse Cazie, delusa. — C’è una ridondanza di sicurezza riguardante l’uscita. Evidentemente i nostri giovani intrusi non sono poi "così" bravi.

— Ummmm — commentò Jackson con disinteresse.

Lei infilò la mano nella camicia di materiale sintetico non consumabile ed estrasse due pistole. Sogghignando, ne porse una a Jackson che la prese con quella che sperava apparisse come altezzosa indifferenza. Non gli piacevano le armi. Cazie lo ricordava, forse? Certo che sì. Il QI di lei era modificato geneticamente. Dimenticava raramente qualcosa.

— D’accordo — disse lei — riconquistiamo Alamo.

— Se spari contro qualcuno ti denuncerò personalmente. Te lo giuro, Cazie.

— Buon vecchio Jackson. Il paladino dei perdenti. Anche se i perdenti sono ragazzetti super privilegiati colpevoli di violazione di domicilio aggravata. Forza, andiamo.

Sbloccò le porte e percorse il corridoio con passo deciso. Jackson si affrettò per starle al fianco, in modo che non sembrasse che si stava nascondendo dietro. Arrivato allo stabilimento si fermò. Quel luogo era impazzito. Robot che funzionavano male, detriti sparsi per tutto il pavimento: da quanto tempo andava avanti così? Perché mai il capo del servizio tecnico non se n’era accorto?

Cazie scoppiò a ridere. — Gesù Cristo, guarda! Guarda!

— Non è…

— Buffo? Sì che lo è. Aspetta, guarda laggiù.

Un uomo corse verso di loro. La presa di Jackson si serrò sulla pistola finché non vide che l’uomo non era armato. A quel punto si accorse che non era nemmeno un uomo, ma una donna o un ragazzo ccon indosso un’olotuta dalla testa ai piedi che rappresentava un uomo con un vestito marrone elegante. La figura li avvistò e smise di correre.

Cazie sollevò la pistola. — Vieni qui. Lentamente e con le mani bene alzate. Subito.

La figura alzò le mani sopra la testa e camminò lentamente in avanti.

— Adesso disattiva l’olotuta — intimò Cazie. — Con una mano sola, muovendoti lentamente.

Il pulsante era sulla vita. L’olotuta svanì, e Jackson non vide il liceale che si era aspettato, ma una donna di oltre trent’anni, modificata geneticamente, vestita con un trasandato tessuto fatto a mano, consumato in buchi dall’aspetto recente. Alta, occhi viola, naso minuto. Jackson era un fisionomista.

— Ma io ti conosco! Ci siamo incontrati anni fa da qualche parte, a una qualche festa. Diana Qualcosa.

— Non più — rispose la donna con cipiglio. — Ascolta, Jackson, tutto questo è molto carino e simpatico, ma al momento, se vuoi scusarmi, devo affrontare una crisi.

Cazie scoppiò a ridere. I suoi occhi scintillarono di malizioso piacere. — Proprio vero. Violazione di domicilio aggravata. Come hai fatto? Non sembri un pirata informatico.

— Non lo sono. Ma lo è la mia amica e si è persa da qualche parte qui dentro. È soltanto una ragazzina.

— Oh, una ragazzina, dopo tutto — commentò Cazie. — Bene, andiamo a cercarla. — Digitò qualcosa sull’unità mobile e tutta l’attività nello stabilimento si interruppe. I robot si immobilizzarono a metà del loro movimento. Il rumore cessò. Nel silenzio, Cazie gridò: — Iuuu-huuu, amichetta di Diana! Vieni fuori, vieni fuori ovunque tu sia! Vieni a fare tana!

Diana sorrise, Jackson pensò che lo avesse fatto a dispetto di sé. Nessuno rispose.

Cazie domandò distrattamente: — La tua amica è armata?

— Soltanto di arroganza — rispose Diana e, per un mezzo minuto, Jackson non fu certo a quale delle due si stesse riferendo. Era la tipica frase che avrebbe potuto pronunciare Cazie. Poi Diana gridò: — Lizzie! Dove sei? Va tutto bene, Lizzie, vieni fuori. Non guadagneremo niente ritardando l’inevitabile. Lizzie?

Nessuna risposta.

— Lizzie! — gridò di nuovo Diana e, questa volta, Jackson notò il tono di paura. — Sono Vicki! Vieni fuori, tesoro!

Alle loro spalle, qualcosa cadde a terra. Jackson si voltò di scatto. A due metri e mezzo dal pavimento, sulla parete, era apparso un foro, che incorniciava un volto scuro e impaurito e un corpo accovacciato. La ragazzina aveva i capelli crespi e neri che sparavano in tutte le direzioni. Sembrava sui quindici anni. Non era proprio l’intrusa da college di Muli che si era aspettato: era una Viva.

— Santo Iddio — mormorò Cazie.

Diana/Vicki, o come diavolo si chiamava, gridò: — Lizzie? Ma come hai fatto a salire lassù?

— Ho programmato il muletto — rispose la ragazzina. Aveva una voce meno impaurita del volto. Smargiassata? Lanciò un’occhiata ai tre che si trovavano sotto. — Rimandatemelo qui.

Nessuno si mosse. Jackson si rese conto che nessuno di loro sapeva come fare. Perfino Cazie sapeva utilizzare soltanto i comandi che conosceva, non riprogrammare sul posto. Come mai era riuscita a farlo quella ragazzina? Una Viva?

Cazie infilò in tasca l’unità mobile e la pistola, si avvicinò al muletto immobile più vicino e lo spinse. Il volto le divenne paonazzo e la macchina si spostò a malapena. Diana/Vicki e Jackson si unirono a lei. Insieme spinsero l’ingombrante macchinario fin sotto al foro nella parete. Nessuno parlò. Irritato, Jackson cominciò ad avere all’improvviso una strana sensazione: tre Muli che eseguivano un lavoro manuale nello stabilimento silenzioso per salvare una criminale Viva. L’intera situazione era irreale.

Pensò all’improvviso a una cosa che gli aveva detto una volta Theresa: "Io non ho mai la sensazione che un posto sia normale".

— Va bene — disse Diana/Vicki quando il muletto si trovò contro la parete — vieni giù, Lizzie. E, per l’amore del cielo, stai attenta!

La ragazzina era rivolta in avanti. Si girò, con grande cautela, all’interno della nicchia. Quando il suo fondoschiena apparve, Jackson si accorse che in gran parte era nudo. Ovviamente pareva che ai Vivi non importasse che i loro corpi consumassero gli abiti, quanto meno ai Vivi che erano cresciuti dopo il Cambiamento. Quando non indossavano tute sintetiche pre-Cambiamento, andavano in giro mezzi nudi nelle "tribù" vaganti. A volte a Jackson sembrava che Miranda Sharifi avesse invertito l’evoluzione, trasformando una popolazione industriale stanziale in una di nomadi cacciatori o raccoglitori che però non cacciavano e non raccoglievano… non cibo perlomeno.

La ragazzina nella parete allungò le gambe, cercando con i piedi il muletto alle sue spalle. Stese completamente il corpo, srotolandosi dalla nicchia come un foglio di stampa, e Jackson si accorse che era in avanzato stato di gravidanza.

— Attenta — ripeté Diana/Vicki.

Mentre le punte dei piedi della ragazzina toccavano il muletto, quello cominciò ad allontanarsi dalla parete. Nessun altro macchinario dello stabilimento aveva ripreso a operare.

Cazie si lanciò verso il muletto e cercò di spingerlo nuovamente contro la parete. Dopo un momento di terrore, gli altri due balzarono in avanti per aiutarla. Era troppo tardi. Il muletto tornò ai suoi compiti inutili, come se gli umani non fossero nemmeno lì. La ragazzina gridò e cadde da due metri e mezzo di altezza sul pavimento di cemespugna.

Atterrò sul braccio destro. Jackson le si inginocchiò "subito accanto e le impedì di muoversi. Parlò con voce calma e pacata. — Cazie, vai a prendermi la borsa nell’aero. Subito.

Lei andò immediatamente. — Non ti muovere — disse Jackson. — Sono un medico.

— Il braccio — disse la ragazzina e cominciò a piangere.

Jackson le controllò le pupille: tutt’e due rotonde, della stessa dimensione, ugualmente reattive alla luce. Pensò che non avesse battuto la testa. Il braccio mostrava una frattura composta del radio, l’osso si intravedeva biancastro attraverso la pelle.

— Mi fa male…

— Resta ferma e andrà tutto bene — le ordinò Jackson, con tono più sicuro di sé di quanto lui non si sentisse realmente. Le appoggiò una mano sull’addome. Il feto scalciò e lui emise un sospiro di sollievo.

Cazie tornò con la borsa. Jackson applicò un cerotto antidolorifico sul collo della ragazzina e il volto di lei si rilassò quasi all’istante. Il cerotto conteneva un potente miscuglio di inibitori dei nervi del dolore, endorfine e la dose più alta legalmente concessa di stimolatori dei centri del piacere. Lizzie cominciò a sogghignare come un’idiota.

Le tastò il braccio e le chiese di spostare le spalle in una serie di posizioni. Lei fu in grado di farlo. Gli altri arti non avevano subito danni. Lui le bioanalizzò la spina dorsale, il collo e gli organi interni: nessun danno. L’unità traumatologica portatile evidenziò la frattura, guidò i due pezzi di osso in allineamento e spruzzò gesso istantaneo dal gomito al polso e attorno a due dita, come ancoraggio. Jackson si appoggiò sui gomiti.

Ecco fatto. Il gesso, il Depuratore Cellulare e lo stesso corpo della ragazzina avrebbero fatto il resto.

— Lizzie… — chiamò Diana/Vicki, ricordando a Jackson che c’era anche lei. La voce della donna si incrinò. Jackson la guardò. Non aveva idea del tipo di rapporto tra loro due, ma il volto della donna più anziana mostrava amore e paura. La cosa lo sconcertò. Forse la ragazzina era sua figlia, una Viva non modificata geneticamente? Avuta prima del Cambiamento? Non era probabile.

— Lizzie, stai bene?

— Ovvio che non sta bene, ha un braccio rotto — intervenne acida Cazie nello stesso momento in cui Jackson, con tono professionale, la tranquillizzava: — È tutto sotto controllo. — Diana/Vicki lanciò a tutt’e due un’occhiata di disprezzo.

— Lizzie, tesoro?

Cazie la scimmiottò in modo sarcastico: — "Diana, tesoro?" Dovete dare qualche spiegazione, tutt’e due. La documentazione pubblica dice che hai cambiato nome in "Victoria Turner". Non dice però che ci fai qui, entrata di straforo nella mia fabbrica.

Vicki, che era stata inginocchiata accanto alla ragazzina sognante, si alzò e fronteggiò Cazie. Vicki era più alta, più vecchia e aveva un aspetto più selvatico con la tunica da Viva mezzo smangiata e i capelli tagliati corti e scompigliati dal sonno. Irrigidì le mascelle, e Jackson ebbe l’istantanea impressione che avesse affrontato sfide che lui non immaginava nemmeno. Sollevò gli occhi con rabbia mentre squadrava Cazie.

A Jackson apparve un combattimento ad armi pari.

— Cosa ci faccio "entrando di straforo nella tua fabbrica" è provvedere che una tribù intera non muoia di freddo questo inverno — disse Vicki scimmiottando le parole. — Non mi aspetto che la cosa ti preoccupi.

— Non hai la minima idea di quello che mi preoccupa o meno — rispose freddamente Cazie. — Quello di cui dovresti preoccuparti "tu" è una bella denuncia per violazione di domicilio con effrazione.

— Oh, che terrore. Ascolta, Cazie Sanders, per quanto tempo ancora quelli della tua razza…

— "La mia" razza? Diversa dalla tua, immagino?

— …resteranno ciechi di fronte a quello che succede attorno? Le risposte semplici si sono esaurite. Niente più beni di consumo, perline colorate e coni a energia in cambio dei voti che mantengono al potere la vostra razza.

— Oh, mio Dio, marxismo riciclato — commentò Cazie con disprezzo. — Prendete i mezzi di produzione, vero? E voi due fate parte dell’avanguardia dell’esercito.

— Non penso…

— È ovvio. Ma chi sei tu, alla fine? Una specie di Mulo rinnegato che è tornato alla vita primitiva fra i Vivi per alimentare il proprio ego? Una dea bianca in mezzo ai selvaggi, eh? Patetico.

Vicki guardò a lungo Cazie. Il suo volto cambiò. Quindi, in maniera pacata: — Chi sono io? Io sono la persona che ha condotto l’Ente di Controllo per gli Standard Genetici ad arrestare Miranda Sharifi e poi ha portato avanti la battaglia civile legale per la sua liberazione.

Era la prima volta che Jackson vedeva Cazie in svantaggio. Il suo volto piccolo e vivido registrò shock, incredulità, riluttante accettazione. C’era qualcosa in Vicki Turner che intimava di crederle. Il modo di stare con i piedi leggermente divaricati, come se avesse resistito a lungo contro il vento. Oppure il modo di fare la guardia su Lizzie, che giaceva sul pavimento in un illuminato stupore provocato dei sedativi di Jackson. O forse soltanto il volto di Vicki, carico di un complesso rammarico. Non era certo l’espressione che Jackson si sarebbe aspettato.

Vicki continuò tranquillamente: — Abbiamo ancora bisogno dell’energia-Y. È l’unica cosa di cui abbiamo davvero bisogno da voi, voi cercherete di fermarci e per questo si perderanno ancora moltissime vite. Proprio come durante le Guerre del Cambiamento. Vite che avrebbero potuto continuare, a causa del Depuratore Cellulare, fino a cent’anni. Voi avete le armi, le enclavi, i sofisticati sistemi di sicurezza elettronica che non avete mai permesso ai Vivi di imparare a conoscere. Ma loro "stanno" imparando, Cazie Sanders. Non sono stata io a introdurmi nel tuo sistema per trafugare dati, lo ha fatto "Lizzie". Ci sono molte giovani Lizzie là fuori, che imparano ogni giorno di più. Abbiamo il numero dalla nostra parte. Siamo in dieci contro uno di voi.

Lo aveva detto: l’incubo di ogni Mulo. Il timore che giaceva sotto le feste frenetiche, le orribili mode e la stupida competizione sociale per ammazzare il tempo: "Non guardatevi alle spalle. Potrebbero guadagnare terreno. Loro sono molti più di noi".

— E sai la cosa peggiore? — proseguì Vicki con la stessa voce serena come la morte. — Non riuscite nemmeno ad accorgervene. Non per stupidità, figuriamoci. Per volontaria cecità, per la quale meriterete esattamente il prezzo che finirete per pagare.

— Oh Dio, risparmiami almeno la retorica melodrammatica — ribatté Cazie. Si era ripresa dall’inaspettato attacco di Vicki. — La legge è perfettamente chiara. E tu la stai violando.

Con grande sorpresa di Jackson, Vicki sorrise. — La legge funziona soltanto quando la maggioranza le consente di farlo. Non lo sai? Certo che no. Tu sei un semplice codice binario: acceso per tuo interesse proprio, spento per quello di tutti gli altri. Perfino un bambino poteva trafugare i tuoi dati e lo ha fatto.

Cazie reagì furiosamente: — I sofismi ad hominem non sono argomentazioni.

— Tu non sei un hominem. Non sei nemmeno un sinonimo. Sei un codice ridondante nelle informazioni umane, e sei già obsoleta.

La donna stava "giocando". Lì in piedi, quella stracciona rinnegata rideva della sua ex moglie, stava giocando con Cazie, con la situazione. Quanta sicurezza di sé occorreva per riuscire a giocare in quel modo? O invece che sicurezza di sé si trattava forse di autogiustificazione?

All’improvviso Jackson non fu certo di riuscire a distinguere la differenza.

Cazie replicò: — Parole di sfida. Non potere. — Digitò qualcosa sull’unità mobile e un robot della sicurezza si attivò. Si sollevò dal pavimento della fabbrica imbrattato di sporcizia e si affrettò verso di loro. Un debole scintillio demarcò i margini della bolla a energia che gettò su Vicki.

— Lei sta valicando i limiti della proprietà privata della TenTech — cantilenò il robot. — Ora sarà immobilizzata in attesa di ulteriori istruzioni.

Vicki continuò a sorridere. Jackson vide il volto di Cazie rabbuiarsi.

— Sta valicando i limiti della proprietà privata della TenTech. Ora sarà…

— Spegnilo — ordinò Jackson prima ancora di rendersi conto che lo stava facendo. Le due donne lo fissarono: era chiaro che, assorbite nella loro battaglia, si erano dimenticate della sua presenza. Cazie gli sorrise e digitò qualcosa sull’unità mobile: il robot smise di recitare.

— No — disse Jackson. — Volevo dire… spegnilo del tutto. Non la arrestiamo.

— Oh, sì invece — ribatté Cazie.

Jackson si sentì pervadere da una reazione violenta, un flusso di puri ormoni che non seppe etichettare. O non volle farlo. Si riversò in una singola frase e, mentre la pronunciava, lui comprese che non significava soltanto quello che dicevano le parole: — Non sei tu a gestire la TenTech.

— È esattamente quello che faccio — replicò lei.

— Chi altri sennò? Tu? Tu non controlli nemmeno i resoconti finanziari del giorno, figuriamoci poi quelli operativi. Lascia fare a me, Jack. Tu occupati della tue conoscenze mediche.

Le sue obsolete conoscenze mediche, voleva dire. Lo stava stuzzicando di nuovo, ma quella volta senza sortire alcun effetto, il che significava che si sentiva alle corde. Cazie alle corde. All’improvviso, lui si accorse di amare quell’idea.

— Non ho alcuna intenzione di lasciare fare a te, Cazie. Dirigo io, adesso. Spegni la bolla di protezione.

Lei digitò un codice sull’unità mobile. Il robot si mosse verso l’ingresso. Vicki, ingabbiata nel campo di energia scintillante e vuoto come in uno scatolone traslucido, venne trascinata verso le porte dello stabilimento.

— Cazie. Disattiva il robot.

— Prendi quella ragazzina impasticcata e ingessata, Jack. Ce ne andiamo.

— Disattivalo. Sono io il padrone della TenTech, non tu.

— Possediamo ognuno un terzo della TenTech — ribatté lei seccamente. Il robot continuò ad avanzare verso la porta, incapsulando Vicki.

— Gestisco anche il terzo di Theresa — replicò Jackson. E, di punto in bianco, allungò una mano e prese l’unità mobile di Cazie prima che lei si rendesse conto che l’avrebbe fatto, o che potesse farlo.

— Ridammela!

— No — rispose lui e la fissò con espressione decisa, vedendo avvicinarsi la tempesta. Suo malgrado, sentì il sangue ribollirgli. Dio, come era bella, la donna più desiderabile che avesse mai visto. Cazie ghermì l’unità mobile che lui teneva nella mano destra. Jackson le afferrò l’avambraccio con la sinistra e lo scansò con facilità. Perché non aveva mai pensato che era più forte di Cazie? Si sarebbe dovuto imporre fisicamente con lei anni prima. Il suo pene si irrigidì.

— Ho detto dammela. Subito.

— No — rispose Jackson sorridendo. Maledizione, non conosceva i codici, altrimenti l’avrebbe disattivato da solo. Be’, poteva sempre tirare a indovinare. O, pensiero strano, chiederlo a Lizzie. Cazie restò immobile, senza divincolarsi nella sua presa, la pelle dorata arrossita per la rabbia, gli occhi dalle pagliuzze verdi, ardenti.

Jackson non aveva mai provato un tale potere su di lei.

Cazie piegò la testa verso la mano sinistra di lui, ancora stretta sul suo avambraccio. Lui avvertì un dolore penetrante che lo sorprese a tal punto da fargli aprire le dita. C’era del sangue che vi sgorgava sopra. Lei lo aveva morso. Sotto di lui, la ragazzina sul pavimento disse qualcosa.

— Il tuo problema è questo, Jackson — disse Cazie. — Non sei mai pronto per il contrattacco.

Due lunghi tagli gli percorrevano il dorso della mano. Tagli netti, non provocati dai denti, e profondi. Cazie aveva delle lame retrattili impiantate fra i denti.

Il sangue venoso creò una pozza rosso scuro sul pavimento accanto a Lizzie, che ripeté qualcosa. Jackson non capì. Era sotto shock? No, la testa non gli girava e non provava nausea, e la ferita non era grave. Cazie era in grado di controllare la sporgenza delle lame. Il suo shock era totalmente emotivo: nessuno si comportava con coerenza.

Inclusa la ragazza sul pavimento. Lo guardava dal basso, con occhi da drogata, in un obnubilamento sorridente da sedativi, da un’improvvisa pozza d’acqua fra le gambe e ridacchiava. — Sta uscendo il bambino.

— Oh, Cristo — sbottò Cazie. — D’accordo, tu riporti la ragazzina alla sua "tribù" e io resterò qui con la Signorina Paladina-degli-Oppressi finché non sarà arrivata la polizia. Ci sarà pure qualcuno nell’accampamento dei Vivi che sappia fare quello che c’è da fare per un parto.

— Quel qualcuno sono io — rispose Vicki, inginocchiandosi presso Lizzie, tenendole le mani. Qualcosa nel tono della sua voce commosse Jackson. O forse lo era solo dal proprio bisogno di opporsi a Cazie in campo medico, il suo unico terreno sicuro.

— La signorina Turner ha ragione, Cazie. Deve restare con la ragazza.

— Deliziosa sollecitudine materna — commentò Cazie. — Cosa vuoi che faccia, Jackson, che le faccia arrestare tutt’e due?

— Nessuna delle due. Almeno finché non sarà tutto finito.

— E tu farai partorire la ragazza qui, sul pavimento della fabbrica?

— Certamente no. Non partorirà ancora per qualche ora. — Le mani di Jackson tastarono delicatamente il ventre e scoprirono che il bambino era podalico.

Il Cambiamento, rifletté lui tristemente, non aveva mutato alcuni aspetti chiave dell’evoluzione umana. Il canale di nascita era ancora molto più stretto della testa di un bambino e la cervice era ancora adatta solo per un parto a testa in avanti. Lizzie, alla prima gravidanza, era soltanto all’ottavo mese.

Tuttavia, sarebbe potuta andare peggio. Il dermalizzatore fetale di Jackson mostrava una posizione podalica accettabile, prima le natiche, le anche flesse, le ginocchia estese, i piedi accanto alle spalle, piuttosto che quella più pericolosa, la podalica completa, a piedi in avanti. La testa era flessa in avanti, ruotabile nella regione inferiore. Il feto, un maschietto, pesava approssimativamente 2.800 grammi, il battito cardiaco era costante a 160, lo sviluppo normale. Il cordone ombelicale non mostrava prolassi e la placenta non era rovesciata: sarebbe uscita tranquillamente dopo la nascita che, Jackson stimò, sarebbe avvenuta nel giro di qualche ora. Lizzie, tuttavia, aveva già una dilatazione di cinque centimetri. Era a metà strada.

Sarebbe potuta andare molto peggio.

— Lizzie — disse Jackson. — Adesso ti prenderò in braccio. Ti porteremo in un posto più confortevole.

— Che sarebbe? — chiese Cazie. — Non avrai intenzione di portarla… di portarle all’enclave, eh?

Lizzie disse, senza alcuna ansia: — Voglio tornare a casa. — Non sembrava una futura madre: appariva soltanto come una ragazzina sorridente e mezzo addormentata. Jackson sospirò.

— Benissimo. Ti porteremo a casa. Ma, Lizzie, ascoltami, io resterò con te. Il bambino è capovolto, mi capisci? Dovrò restare con te per farlo ruotare al momento giusto.

La ragazzina sollevò lo sguardo su di lui. Negli occhi neri e drogati, Jackson vide sbalordito un lampo di sollievo coerente. Si era aspettato che protestasse, anche se debolmente, all’idea che un medico Mulo si occupasse di lei. Non era cresciuta con le unità mediche, quando i politici ne avevano fornite? Forse, però, Lizzie era diversa dalla maggior parte dei Vivi per quella Vicki Turner. Oppure, forse, Jackson non conosceva i Vivi quanto aveva pensato.

Cazie domandò: — Hai intenzione di entrare in un accampamento di Vivi soltanto con una pistola? Accompagnando una criminale che, puoi giurarci, io farò arrestare?

Jackson si alzò, sollevando Lizzie fra le braccia. La ragazza era in grado di camminare, ma metterla in posizione eretta avrebbe accelerato il parto. Lui non voleva affrontare un parto podalico, seppure semplice, in un’aeromobile. Affrontò Cazie. — Sì. È proprio quello che farò. Tu puoi venire con me o no. A te la scelta.

Cazie esitò. In quel momento di esitazione Jackson provò un impeto di speranza. C’era forse del vero rispetto nel suo sguardo? Per lui? Qualsiasi cosa fosse, svanì.

— È un’aeromobile per due, Jack.

Se n’era dimenticato. — Benissimo, porterò tutt’e due all’accampamento: in tre possiamo anche stringerci nell’aeromobile. Tu resterai qui e ne chiamerai un’altra.

— Io chiamerò i poliziotti, ecco cosa farò.

— Benissimo. Chiama i poliziotti. Possono venire anche loro all’accampamento. Faremo una bella festicciola.

Portò Lizzie attraverso lo stabilimento, dove ormai tutto era immobile se si eccettuava il singolo muletto che Lizzie aveva riprogrammato, che continuava a sollevare il nulla: aveva ripreso a lavorare perché Lizzie aveva commesso un errore? Forse non era poi un pirata informatico bravo come sosteneva Vicki. Oppure il segnale di Cazie dall’aeromobile aveva fatto partire una specie di interferenza o di codice di sovrapposizione. Jackson non sapeva abbastanza di sistemi industriali per tirare a indovinare. Alle sue spalle sentì Cazie parlare in linea. — Emergenza, polizia, codice 655, maledizione, Robert, rispondi.

Vicki si sedette sul sedile del passeggero cullando Lizzie in grembo. Due donne mezze nude con gli abiti stracciati, bagnate dalle acque di Lizzie, coi capelli appiccicosi, che puzzavano di sangue, sudore, sporcizia e liquido amniotico. L’aeromobile era molto stretta.

Vicki aveva una tendenza irritante a cogliere i suoi pensieri. Mentre l’aeromobile decollava chiese: — E quando è stata l’ultima volta che hai giocato al dottore con i Vivi, dottore?

Lui non rispose. L’aeromobile volò attraverso il passaggio che aprì nello scudo di sicurezza. Lizzie disse sognante: — Ne arriva un’altra. È così strano, sento ma non…

Jackson guardò la consolle dell’aeromobile. L’intervallo fra le contrazioni si era accorciato: dieci minuti. Così "in fretta". Accelerò. — Vola a ovest — indicò Vicki. — Seguì quel fiume.

"L’accampamento" si rivelò essere una fabbrica abbandonata per la lavorazione della soia. Soltanto i Vivi avevano mangiato soia: ormai non lo faceva più nessuno e tutte le ditte produttrici di soia erano andate in bancarotta. L’edificio era dotato di finestre e costituito da cemespugna grigia, malridotto e rappezzato in qualche modo. Tutto attorno si estendevano campi che venivano riconquistati da erbacce, cespugli, arbusti di acero e sicomoro. I rami sparuti erano spogli. Jackson aveva dimenticato quanto fosse orribile la natura non modificata geneticamente a novembre, in particolare su quelle alte colline, basse montagne, o qualsiasi cosa fossero.

Fece atterrare l’aeromobile davanti alla porta principale dell’edificio che era caduta, o era stata divelta, dai cardini, e poi riattaccata goffamente con del filo di ferro. All’interno, Jackson lo sapeva perfettamente, i macchinari dovevano essere stati rimossi da lungo tempo per usarne le parti, oppure depredati durante le Guerre del Cambiamento, oppure ancora vandalizzati. Non c’era nulla di più inutile, ormai, dell’agricoltura su vasta scala.

Nel momento stesso in cui l’aeromobile atterrò, furono circondati. L’orda sembrava proprio un’orda, anche se Jackson contò soltanto undici persone, spinse i volti contro i finestrini, sogghignando. Vestiti con abiti più caldi di quelli di Vicki e Lizzie, avevano comunque un aspetto primitivo: vecchie tute sintetiche dai colori sgargianti indossate sopra o sotto tuniche tessute; volti non modificati geneticamente col mento sfuggente, le sopracciglia attaccate, la fronte troppo bassa, gli occhi storti. A un uomo più anziano mancava addirittura un incisivo. E quello spettacolo dopo il Cambiamento! Che aspetto avevano quelle persone prima dell’avvento del Depuratore Cellulare?

— Lizzie!

— Sono Lizzie e Vicki!

— Sono tornate, loro.

— Lizzie e Vicki…

— Apri la portiera, Jackson — disse Vicki. Come aveva fatto a diventare lei quella che comandava?

L’orda minacciò di introdursi direttamente nell’aeromobile. Vicki passò fuori Lizzie: la ragazzina sorrise, mezzo drogata, mentre il pancione quasi completamente nudo si irrigidiva in una nuova contrazione. Jackson scese dall’altra parte. Un giovanotto, grande, grosso, forte, lo fissò con espressione truce. Un ragazzetto lo guardò male e serrò i pugni.

Vicki intervenne: — È un medico. Lascialo in pace, Scott. Shockey, tu prendi Lizzie. Portala con attenzione: è in travaglio.

— Non me ne frega niente a me se lui è un dottore — disse il ragazzo. — Perché mai hai portato qui uno di "quelli", Vicki? E dove sono i coni, loro?

— Perché Lizzie ha bisogno di lui. Non abbiamo preso nessun cono.

La folla produsse un rumore sub-verbale che Jackson non riuscì a interpretare.

L’interno dell’edificio era buio. Jackson si rese conto che le luci non funzionavano più e che l’unica illuminazione proveniva dalle finestre di plastica. Gli occorse qualche minuto per adeguare la vista all’oscurità. La stanza era grande, anche se meno dello stabilimento di Willoughby. Tre lati del perimetro erano divisi in loculi schermati da scaffali, vecchi mobili, sezioni di cemespugna rotta, macchinari inutilizzabili e sventrati, tronchi. In ogni loculo c’erano pagliericci di fortuna e oggetti personali. Attraverso la finestra a sud, Jackson scorse un tendone di plastica trasparente e flessibile, probabilmente rubato, teso a un metro e mezzo di altezza sopra il terreno sfruttato: un campo di alimentazione all’aperto.

Nel centro aperto della stanza erano disseminati divani mezzi rotti, sedie, tavoli, tutti raccolti attorno a un piccolo cono a energia-Y portatile di quelli utilizzati nei campeggi. Quella sala comune era più calda rispetto all’esterno, ma la temperatura non si avvicinava nemmeno lontanamente a quella che Jackson considerava adeguata.

— È il solo cono che funziona ancora nell’accampamento e non è studiato per uno spazio così grande — spiegò Vicky. — I falò sono un problema: è molto difficile ottenere una corretta ventilazione attraverso la cemespugna. Abbiamo elaborato un progetto per una cucina economica, che rappresenta il nostro piano ausiliario ai coni della TenTech. Nel frattempo condividiamo il cono che abbiamo. Da voi, ovviamente, se lo sarebbe accaparrato la famiglia più ricca.

— Potevate migrare a sud — ribatté Jackson.

— Qui è più sicuro. Tutti gli altri stanno migrando a sud per l’inverno. Noi non siamo bene armati.

— Ohhhh — fece Lizzie, intuendo confusamente. — Ooohhhh… ne sento arrivare un’altra…

Una bella donna negra di mezz’età arrivò correndo. — Lizzie! Lizzie!

— È tutto a posto, Annie — disse Vicki. — Dottore, questa è la madre di Lizzie.

La madre di Lizzie non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Afferrò la prima parte di Lizzie che ebbe a portata di mano, la ragazza era ancora in braccio al giovanotto corpulento, e la strinse forte. — Portala qui dentro, Shockey. Attento, tu! Non è mica un sacco di tela, lei! — Jackson notò Vicki sorridere, un sorriso per niente divertito, a bocca storta. Dovevano esserci delle storie fra le due donne. Tre donne. Shockey si concentrò per portare il suo gonfio, inerme e sorridente fardello all’interno di uno dei loculi-dormitorio.

Annie bloccò lo stretto passaggio col suo ampio corpo. — Grazie, dottore, ma adesso può anche andare via, lei. Non abbiamo nessun bisogno di aiuto, noi, per la nostra gente. Addio.

— Sì che avete bisogno, signora. Ne avete bisogno. Sarà un parto podalico. Devo ruotare il feto nel momento giusto per…

— Non è un feto, è un bambino!

Vicki intervenne. — Per l’amor di Dio, Annie, levati di torno. È un medico.

— È un Mulo, lui.

— Se non si sposti, ti sposterò io.

Nonostante tutto, anche se il ragazzetto dallo sguardo truce si era avvicinato, Jackson provò un impeto di impazienza. Era possibile che i Vivi minacciassero "sempre" di ricorrere alla violenza fisica? Era seccante. Intervenne con fermezza: — Signora, "io" sposterò lei se non lascerà che mi occupi della paziente.

— Caspita, Jackson — commentò Vicki — non me lo sarei mai aspettato da te. — Il suo tono, così simile a quello di Cazie, lo fece infuriare. Scansò la madre di Lizzie e si inginocchiò accanto alla ragazza che giaceva sorridendo sul letto. Un sottile materasso di plastica non consumabile, coperto di tute in plastica riciclata. L’unico arredamento era costituito da un cassettone ammaccato e da una sedia in plastica fusa che sembrava essere stata utilizzata, un tempo, per esercitazioni di tiro al bersaglio. Le pareti erano ricoperte dal genere di quadri di metallo su legno finto a colori sgargianti che i Vivi amavano tanto e che riproducevano una gara di scooter su nuvole di bambagia. Sulla scrivania c’era un terminal Jansen-Sagura e una biblioteca di cristallo del tipo utilizzato dagli scienziati che ottenevano i fondi maggiori. Jackson li guardò sbigottito.

Gli occhi scuri di Lizzie erano allegri e cercavano di nascondere il dolore. — Non mi fa per niente male, a me. Quando Sharon ha avuto "il suo" bambino, lei strillava, lei…

— Sharon non aveva assistenza medica — disse Vicki. — Nessun profitto per i Muli.

Jackson commentò: — Non avreste dovuto distruggere i depositi.

— Perché no? Voi avevate smesso di rifornirli.

Non era andato fin lì per discutere di scelte politiche con un Mulo rinnegato. Jackson infilò una mano nella borsa. — Cos’è quello? — chiese Annie. Si profilò sopra il letto come un angelo vendicatore. Emanava un forte odore femminile, muscoso e stranamente erotico. Jackson si chiese come avrebbe fatto in condizioni simili a garantire dell’asetticità. Prima del Depuratore Cellulare.

— È un cerotto per anestesia locale. Per estendere l’apertura vaginale il più possibile e prevenire lacerazioni prima che io esegua l’episiotomia.

— Niente tagli — disse Annie. — Lizzie starà benissimo, lei! Vada fuori!

Jackson la ignorò. Una mano lo prese per le spalle e lo strattonò indietro proprio mentre applicava il cerotto a Lizzie. A quel punto Vicki afferrò Annie, e le due donne si misero a bisticciare finché Jackson non udì una voce alle spalle che diceva: — Annie, adesso smettila, tesoro.

Lizzie continuava a sorridere a Jackson, rasserenata dalla droga, mentre il suo pancione si tirava e allentava, tremando per le possenti contrazioni. Gli strinse la mano. Jackson si voltò e vide un bell’uomo di almeno ottant’anni, forte e sano come erano diventati gli ottantenni in quel periodo, che faceva allontanare Annie dal loculo. Alle spalle di Annie che si ritirava, c’era un’intera folla di Vivi, silenziosa e ostile.

Jackson si voltò di nuovo verso Lizzie.

— Che posso fare? — chiese Vicki in tono deciso.

— Niente. Resta lontano. Lizzie, voltati sul fianco sinistro… bene.

Passò un’altra ora prima che lui dovesse eseguire l’episiotomia. Mentre lui produceva velocemente il lungo taglio, non sarebbe uscita alcuna testa di bambino prima di aprire il passaggio, Lizzie sorrise e mormorò qualcosa. Il vecchio, Billy, era miracolosamente riuscito a tenere zitta Annie. Presente, ma zitta.

— D’accordo, Lizzie, spingi. — Quello era l’inconveniente dei sedativi che aveva in circolo: erano stati scelti per evitare la barriera della placenta, ma riducevano molto il bisogno o il desiderio di Lizzie di concentrarsi su una cosa come spingere. — Forza, spingi. Fa’ finta di dover cagare una zucca!

Lizzie ridacchiò. Attraverso il sangue materno si presentò il piccolo sedere del bambino. Jackson aspettò che l’ombelico del piccolo avesse superato il perineo, quindi lo afferrò per le anche e tirò verso il basso finché non apparvero le scapole. Con grande attenzione, ruotò il bambino finché le spalle furono in posizione antero-posteriore. Quando furono uscite anche le spalle, girò indietro il corpicino, per un parto a testa in giù, quello che probabilmente avrebbe provocato i minori traumi.

— Spingi di nuovo, Lizzie, più forte… "più forte"…

Lei lo fece. Finalmente uscì la testa del piccolo. Nessun trauma cerebrale visibile, buon tono muscolare, edemi ed ecchimosi minimi. Cullando le soffici e umide natiche del bambino nelle mani, Jackson si sentì serrare improvvisamente la gola. Controllò il neonato con il monitor e quindi lo appoggiò, sporco di sangue e fluidi, sul petto della madre. Il loculo era nuovamente pieno di gente: la riservatezza, evidentemente, non era un valore per i Vivi. Estrasse la placenta, tagliò il cordone ombelicale e prese dalla borsa una siringa del Cambiamento.

L’intera folla trasse un sospiro collettivo.

— Aaahhhhh! — Jackson sollevò lo sguardo, sorpreso.

In tono completamente diverso da quello che le aveva sentito usare fino a quel momento, Vicky intervenne: — Ne "hai" una!

— Una siringa del Cambiamento? Ovvio. — Quindi comprese. — Voi non ne avete, fuori dalle enclavi.

— Il nostro tasso di natalità è più alto del vostro — commentò lei con una smorfia. — E le nostre scorte minori. Quando le siringhe hanno smesso di apparire, qualche anno fa, voi Muli le avete ritirate e immagazzinate tutte.

— Quindi i vostri bambini…

— Si ammalano. Alcuni, quanto meno. Potrebbero morire. Non sai che sono state combattute battaglie armate per il possesso delle siringhe restanti?

Lo sapeva, ovviamente. Ma vedere la cosa nei notiziari era diverso dal vedere gli occhi di quella folla che fissavano in modo vorace la siringa, dall’avvertire la loro tensione, dal sentire l’odore della loro disperata avidità. Chiese in fretta: — Quanti bambini non-Cambiati ci sono nella vostra… nella vostra tribù?

— Ancora nessuno. Ma ci era rimasta una sola siringa, per Lizzie. La prossima gravidanza… Quante siringhe hai, Jackson?

— Altre tre… — rischiò di aggiungere "con me", ma si accorse in tempo dell’errore che avrebbe commesso. — Potete tenerle.

Iniettò il neonato che, prevedibilmente, cominciò a piangere. Da qualche parte, fuori dal loculo, la voce di un uomo gridò bruscamente: — Poliziotti Muli, sono qui, loro!

Vicki gli sorrise. Il sorriso lo sorprese: franco, stanco, eppure, in qualche modo, cameratesco, come se aiutare Lizzie a partorire il bambino e aver consegnato le altre siringhe avesse cambiato i rapporti fra Jackson e la tribù di Vivi. Gli occorse qualche istante per accorgersi che il sorriso era finto. Vicki, tuttavia, gli disse dolcemente: — Hai intenzione di permettere che quella strega arresti la tua paziente, Jackson?

Lizzie era stesa e rideva come una pazza stringendo il suo bambino: o la ditta farmaceutica aveva esagerato con la dose di stimolatori del piacere nel cerotto, oppure Lizzie aveva un’indole materna. Il piccolo piangeva forte. La gente gridava e discuteva nello spazio angusto: alcuni si congratulavano con Lizzie, altri minacciavano i poliziotti (un’assurdità, dovevano essere armati e protetti come fortezze), alcuni pretendevano di sapere come mai non ci fossero nuovi coni-Y. L’odore di umanità ammassata era sopraffacente. Jackson fissò il sorriso di Vicki. Pensò alla rabbia di Cazie, a come lo avrebbe schernito.

Vicki riprese, in mezzo al frastuono: — Hai detto a Cazie che tu avevi due terzi delle azioni della TenTech, le tue e quelle di tua sorella. Potresti far cadere le accuse.

— Perché mai dovrei farlo?

Lei si limitò a indicargli tutto quello che aveva attorno: il bambino, la stanza fredda, i Vivi laceri, le discussioni, i poliziotti che lui intuiva dietro la parete di persone biologicamente inattaccabili da malattie e fame ma non dal freddo, dalla violenza o dall’avidità di altra gente. All’improvviso Jackson pensò a Ellie Lester che riteneva i nativi, elementi di seconda classe, schiavi "Vivi" molto divertenti e la mancanza di potere una cosa buffa, a differenza di Cazie invece, che la considerava soltanto noiosa.

— Sì — disse. — Farò cadere le accuse.

— Sì — fece eco Vicki e smise di sorridere, socchiudendo gli occhi e osservandolo accuratamente, come se si stesse chiedendo quale uso avrebbe potuto fare di lui.

4

"Oggi" pensò Theresa. "Oggi è il gran giorno."

Stesa nel letto la mattina presto, avvertì la familiare nuvola nera calarle sulla mente. Pesante, nauseante, senza speranza. "Il cane nero che non molla mai" lo aveva chiamato qualcuno nei tempi antichi. "Gli oscuri boschi di cui la morte è appena più amara". Quello era "Dante": ricordava quel nome. "La bestia che consuma il cervello". Quello invece non lo ricordava. Thomas, il suo sistema personale, le aveva trovato le citazioni in qualche database, e Theresa non riusciva più a dimenticarle. Cani, bestie, boschi, nuvole: aveva vissuto così a lungo con l’oscurità che non aveva più bisogno di darle un nome, anche se ne aveva a disposizione a volontà. Come la stessa paura.

Quel giorno, però, la paura nauseante non l’avrebbe fermata. Lei non le avrebbe "permesso" di fermarla. Quello era il gran giorno.

— Prendi un neurofarmaco — la incalzava sempre Jackson. — Posso prescriverti… Tessie, è uno squilibrio nella chimica cerebrale. Non è diverso dal diabete o dall’anemia. Si regola la chimica. Si "aggiusta". — E Theresa non trovava mai le parole per farlo capire.

Perché le parole non erano importanti, lo era l’azione. Lei lo aveva compreso solo da poco. Quando se n’era resa conto, si era sentita assalire da una profonda vergogna. Come aveva fatto a essere così indulgente con se stessa, così piagnucolante verso la sua stessa debolezza d’anima? Era passato oltre un anno dall’ultima volta che aveva lasciato l’appartamento, e non era mai uscita dall’Enclave di Manhattan Est. Mai, in tutta la sua vita. Non c’era da meravigliarsi che fosse ciò che Jackson definiva "clinicamente depressa".

"Oggi."

Jackson era andato con Cazie, molto presto, per controllare uno stabilimento da qualche parte. Theresa lo aveva sentito uscire. Si sentiva a disagio tutte le volte che lui lasciava l’appartamento, ma cercava strenuamente di non farglielo capire. Non sarebbe stato corretto. Jackson restava già anche troppo in casa per lei. Vegliava su di lei, si preoccupava per lei. "Posso prescriverti"… Si preoccupava per lei ma non capiva. Lui non capiva che cosa fosse realmente ciò che chiamava "squilibrio della chimica cerebrale". Soltanto Theresa sapeva cosa fosse davvero.

Era un dono. Il modo della sua anima di dirle che avrebbe fatto meglio a cambiare abitudini e a fare attenzione a quello che era realmente importante.

Theresa tirò giù i piedi dal bordo del letto e aspettò che l’ansia quotidiana recedesse. Se se lo concedeva, poteva restare a letto tutto il giorno. Era così sicuro lì. Invece si incamminò verso la doccia sonar, si lavò per trenta secondi e ne uscì. Nella camera da letto colse un’occhiata di sé, nuda, nel lungo specchio sulla parete a ovest e si fermò.

Non "assomigliava" nemmeno a tutti gli altri. Il suo corpo era bello, immaginava. Tutti erano belli. Ma in qualche modo lei pareva… non essere lì. Capelli e occhi pallidi, volto pallido e piccolo, pelle pallida. Ma che cosa avevano avuto in mente i suoi genitori? Una fatina. Un fantasma. Un ologramma privo di sostanza, sfuocato ai margini. Non c’era da meravigliarsi se lei non si sentiva mai di appartenere a nessun posto, se non conosceva nessuna persona che potesse comprendere la sua lotta per quello che essa era. Nemmeno Jackson, per quanto fosse un fratello amorevole.

Perfino Jackson pensava che Theresa fosse nata male, che fosse stata danneggiata, non si sa come, durante la modificazione genetica in vitro. Perfino Jackson non riusciva a comprendere la natura del dono che era stato conferito a Theresa: perché era un dono, indipendentemente da quello che dicevano tutti. Il dolore lo era sempre.

Il dolore significava che bisognava cambiare qualcosa, che bisognava imparare a pensare al mondo in modo differente. I semi provavano un dolore tremendo quando, immaginava Theresa, facevano scoppiare il rivestimento nella terra fredda e scura e cominciavano a spingersi alla cieca verso una luce che non avevano mai visto. Il dolore era ciò che faceva crescere. Nessuno sembrava capirlo. Tutti quelli che conosceva, non appena provavano dolore, facevano il possibile per mandarlo via. Medicine. Droghe ricreative. Sesso. Feste frenetiche. Alla fine, si trattava sempre della stessa cosa: distrazioni dal dolore. Come era possibile che nessun altro in quel secolo la pensasse così? Soltanto lei.

— Ogni ambiente premia profili di personalità diversi — le aveva detto una volta Jackson nel modo pacato e attento di parlare con lei. — Il nostro premia la vivacità, l’aggressività accoppiata con l’indifferenza apparente, una certa crudeltà distratta. Tu non sei così, Tess. Sei un tipo di persona differente. Non peggiore, soltanto differente. Va bene essere differenti.

Già, era vero, ma solo perché lei era giunta a credere che la sua differenza aveva un "senso". La nuvola nera nel cervello, la paura di ogni novità, gli attacchi di ansia così forti che a volte non la facevano respirare: il loro senso era di far rompere a Theresa il suo guscio di pigrizia e di spingerla alla cieca verso la luce. Ci credeva, anche se non l’aveva mai vista e non sapeva esattamente verso cosa si stesse spingendo, anche se a volte disperava dell’esistenza della luce. Pure quello era parte del dono: le faceva esaminare attentamente tutto quello che le accadeva attorno, nel caso in cui le sfuggisse una chiave essenziale per quello che avrebbe fatto in seguito.

Non aveva confidato a Jackson quel pensiero: si preoccupava già troppo per lei e non avrebbe capito comunque. Era davvero buffo: Jackson era quello intelligente, Theresa quella la cui modificazione del QI non era riuscita del tutto. Jackson però non capiva, anche se aveva ragione sul discorso delle diverse personalità premiate in culture differenti, che non era andato fino in fondo nell’analisi di quell’idea.

Theresa sì: aveva passato migliaia di ore al terminale, inviando lentamente e faticosamente Thomas alla ricerca attraverso i database storici. Alla fine aveva trovato il luogo che avrebbe premiato ciò che lei era: l’Età della Fede.

Sarebbe dovuta nascere cattolica: nel tardo Medio Evo, quando uomini e donne erano stati onorati per avere dedicato le loro vite al dolore e al servizio della crescita spirituale. Lì sarebbe stata adeguata: entrando in un’abbazia, trovando una ragione di esistere nella vita di clausura, unita con altri in costante preghiera. Invece era nata in un’epoca in cui nessuno di quelli che conosceva credeva in Dio. Lei inclusa.

Theresa sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Le ricacciò indietro con impazienza e si allontanò dalla vista del suo corpo nudo nello specchio. Era stupido piangere. Lei era nata in quell’epoca, non nel passato e anche quello faceva parte del dono. Era destinata a trovare un’altra via, una spinta differente verso la luce che così spesso disperava di trovare. Dopo interi mesi, anni, di meditazione e false partenze, era arrivata a capire cosa fosse.

Doveva uscire.

Fuori dall’appartamento, fuori dall’enclave. Jackson di solito la incalzava a non guardare i notiziari perché la facevano sentire male e, fino a qualche mese prima, Theresa era stata felice di accontentarlo. Negli ultimi tempi, tuttavia, aveva guardato gli olonotiziari tutte le volte in cui Jackson non si trovava in casa e, anche se la maggior parte delle notizie riguardavano solitamente i Muli, c’erano stati anche accenni ai Vivi, in mezzo ai servizi sul mercato azionario, alle notizie politiche dell’enclave e perfino all’occasionale reportage nazionale da Washington, che più nessuno considerava importante quanto gli affari interni dell’enclave. Soltanto qualche accenno ai Vivi, e quei Vivi stavano soffrendo. Non di fame, quello mai più, ma di mancanza di beni come coni a energia, abbigliamento adeguato e parti di ricambio per i terminali, mentre persone come Theresa, Jackson, Cazie e quegli orribili amici che Cazie aveva portato la sera prima, avevano più "cose" di quante potessero usarne. Ecco quando le bruciava dentro la vergogna.

Poi Theresa aveva visto all’oloTV qualcosa che le aveva fatto capire che lei "doveva" andare fuori. C’erano Vivi che cercavano effettivamente di organizzarsi in gruppi spirituali! Il canale dei notiziari aveva indicato dove stava trascorrendo l’inverno uno di quei gruppi. L’oloservizio era stato carico di scherno, ovviamente… ma le aveva fornito le coordinate del distretto.

Si mise uno dei lunghi e ampi vestiti a fiori. Theresa li disegnava personalmente e poi inviava gli schizzi con le misure a una ditta tessile che lavorava ancora il cotone. Trovò un cappotto caldo, non avevano effettuato votazioni per stabilire il clima, fuori, e un vecchio paio di stivali. Quindi esitò.

Che cosa poteva portare da dare loro? Coni a energia, certo: ne aveva già ordinati una decina a spese della TenTech, e il robot della posta glieli aveva consegnati la settimana precedente. Theresa non aveva capito bene come effettuare l’ordinazione. Di solito era Jackson a occuparsi di quelle cose. Aveva utilizzato un "codice chiave del proprietario" che lui le aveva dato una volta, ma doveva essere quello sbagliato perché il sistema aveva capito che lei voleva entrare nella documentazione delia ditta. Aveva vagato un po’ nei dati prima di rendersi conto dell’errore: sperava soltanto di non avere causato disfunzioni in nessun sistema da nessuna parte. Dopo avere trovato il file con le ordinazioni per la casa, comunque, era stata in grado capire come richiedere quello che voleva. La cosa le aveva dato uno strano senso di potere, di cui aveva diffidato immediatamente. "L’orgoglio precede sempre la caduta". Glielo diceva sempre sua madre.

Abiti. Avrebbe portato degli abiti decenti. Negli olovideo i Vivi indossavano quelle cose terribili tessute in casa oppure tute di colori davvero terrificanti, ma tutti i suoi abiti erano in cotone o in seta. Non sarebbero andati bene. I Vivi erano tutti Cambiati. Avevano bisogno di tessuti non consumabili.

Entrò nella camera di Jackson e depredò il suo guardaroba. Camicie, pantaloni, tuniche, giacconi, calze, scarpe. Lui poteva sempre ordinarne degli altri. Il viaggio successivo, avrebbe portato qualche abito non consumabile da donna.

Che altro? Denaro, ovviamente. Ma come funzionavano le cose per i Vivi? Non usavano soldi, non lo avevano fatto prima del Cambiamento. Avevano avuto gettoni pasto e carte di Identificazione e i politici inviavano gratuitamente ogni cosa in cambio di voti. Ormai nessuno votava più, eccetto che per le elezioni delle enclavi. Be’, era evidente: i Vivi si trovavano in quella posizione perché non avevano soldi per comperare i beni di cui avevano bisogno. La maggior parte di loro si spingeva a sud, dove non c’era bisogno di riscaldamento o di vestiti, si nutriva all’aria aperta, si gettava in stupide guerre e si dimenticava completamente della civiltà. Non tutti, però. Quelli che avrebbe visitato Theresa avrebbero trovato un uso per i soldi. Ma come si firmava un accredito per delle persone che non avevano conti correnti?

Avrebbe usato un terminale portatile. Un’unità mobile. Forse loro avevano una specie di conto collettivo intestato all’organizzazione, o qualcosa del genere. Forse avrebbe studiato come aprirne uno a loro nome ma con un accesso parziale al suo denaro. Non doveva essere troppo difficile. La gente apriva conti in Rete di continuo. Avrebbe lasciato loro l’unità mobile.

L’avrebbe fatto. Davvero. Per la prima volta in vita sua, dopo tante false partenze lei, Theresa Katherine Aranow, sarebbe stata di aiuto a qualcosa più grande di lei.

La nuvola nera che aveva nella mente non si dissipò ma si alleggerì un poco, e Theresa sorrise.

Nella via verso l’uscita, passò davanti al terminale principale. Era acceso e mostrava una schermata del libro di Theresa su una delle prime Insonni, Leisha Camden. Un’altra falsa partenza. Sapeva di non essere un gran che come scrittrice: il libro non era molto bello. Tuttavia aveva voluto scrivere su Leisha, quell’outsider rispetto alla sua stessa gente che aveva combattuto strenuamente per evitare che Muli e Insonni si dividessero in due fazioni armate. Leisha aveva cercato di impedire agli Insonni di ritirarsi, armati, nel Rifugio. Aveva cercato di impedire agli Insonni di boicottare le multinazionali in cui avevano investito denaro. Aveva cercato di salvare Miranda Sharifi dall’isolamento che aveva portato al tradimento la nonna di Miranda.

Leisha aveva fallito, su tutti i fronti. Gli Insonni avevano creato i Super-Insonni e tutto era peggiorato. Leisha però aveva tentato. Che cosa aveva spinto Leisha, si chiedeva Theresa, prima che fosse uccisa da Vivi fuorilegge in un desolato acquitrino della Georgia? Qualcosa l’aveva spinta. Una specie di luce forse che Leisha vedeva più chiaramente di Theresa.

Arrivata all’ascensore che portava sul tetto, con le braccia cariche di vestiti di Jackson, costosi e dal taglio perfetto, Theresa esitò. Era difficile uscire. Così tante cose nuove… e se le fosse venuto un attacco? Forse, se prima avesse guardato un concerto di Drew Arlen, quello per affrontare i rischi…

Drew Arlen, il Sognatore Lucido. C’era stato un periodo, lungo svariati mesi, durante il quale Theresa aveva guardato un concerto di Arlen due o tre volte al giorno. Aveva lasciato che Arlen la ipnotizzasse, con le sue forme grafiche subliminali e programmate che afferravano la mente inconscia, portandola a un diverso tipo di sogno: un sogno profondo, personale, creato dall’arte di Drew tramite ipnosi di massa e simboli universali cui lui aveva facile accesso. Il sogno diveniva tutto quello che l’ascoltatore desiderava che fosse, aveva bisogno che fosse, e il sognatore si svegliava più libero e più forte. Come con una qualsiasi droga temporanea.

No. "Oggi no." Non avrebbe guardato un concerto di Drew Arlen, né lo avrebbe utilizzato come un qualsiasi altro neurofarmaco. Avrebbe agito da sola. Poteva farlo. Quello era il gran giorno.

— Buon giorno, signorina Aranow — disse l’ascensore.

Lei si lasciò ingoiare dalla cabina.


— Perché lo stai facendo, tu?

— Io volevo… Vi ho visti al notiziario. Il vostro… i tentativi che state portando avanti… — Theresa trasse un profondo respiro. L’uomo non era alto ma era grosso, aveva la barba, era bruciato dal sole e la guardava con espressione truce. Le stava troppo vicino. Erano in tre, due uomini e una donna, erano corsi all’aeromobile non appena essa era atterrata a una rispettosa distanza dal loro edificio. Il cuore le batteva all’impazzata, il respiro le si bloccava in gola e non voleva uscire. Oh, non adesso, non "adesso". Respirò a fondo. L’aria all’esterno era più fredda di quanto non si fosse aspettata e più grigia. Tutto lì fuori, aria, alberi, facce, pareva freddo, grigio e duro.

Theresa si rivolse alla donna. Forse con una donna sarebbe stato più facile. — So che state cercando di trovare… di fare… il notiziario diceva che era un "esperimento spirituale". — Ciò che il notiziario aveva detto, in effetti, era stato "un esperimento semispirituale che si riferiva a un’allucinazione umana del tutto irrilevante".

Il volto del secondo uomo si addolcì. Era più giovane, forse dell’età di Theresa, più magro, senza barba. — Sei interessata, tu, a quello che facciamo?

— Non farti prendere in giro, Josh — fece tagliente la donna. — È un Mulo, lei!

— Vediamo un po’ chi è — disse il primo uomo. Tirò fuori dalla tasca un’unità mobile: ma i Vivi allora ne avevano? — Attivare. Controllo ID. Numero aeromobile 475-9886 — seguito dai codici di autorizzazione. Ma come faceva a conoscerli?

Il terminale annunciò: — Aeromobile registrata sotto il nome di Jackson William Aranow. Enclave Manhattan Est. — Aggiunse numero di cittadinanza e indirizzo. Theresa non sapeva che fossero pubblici.

— Io sono Theresa Aranow, la sorella di Jackson. — Cercò di respirare normalmente.

— E ci hai portato dei rifornimenti, tu — disse la donna. — Per pura e semplice bontà d’animo.

— Sì — sussurrò Theresa. — Voglio dire, no, non penso di essere… così buona…

— Ma ti senti bene, tu? — chiese quello più giovane, Josh. Theresa si appoggiò all’aeromobile e lui le toccò un braccio. Lei si contrasse.

— Io… sì. Sto bene.

— Josh, scarica i rifornimenti, tu — ordinò l’altro uomo. — Possiamo anche tenerceli.

Theresa si costrinse a respirare normalmente. Era arrivata fino a quel punto. — Potrei… per favore, vedere quello che state facendo qui? Non in cambio dei rifornimenti, ma solo perché mi interessa?

La donna ribatté: — Non abbiamo nessun bisogno di spie, noi — nello stesso momento in cui Josh diceva: — Ti interessa davvero? Il legame?

— Chiudi il becco! — schioccò la donna.

I due si lanciarono un’occhiataccia. Theresa non ricordava di aver sentito nulla al notiziario che riguardasse un "legame". Rabbrividì per un’improvvisa folata di vento. Era molto freddo.

L’uomo più anziano prese repentinamente una decisione. — Può sapere, lei. È il momento che la gente sappia. Noi facciamo quello che è giusto, noi, e funziona e noi lo sappiamo. Dovremmo spargere in giro la voce, noi.

— Mike… — cominciò la donna con voce infuriata.

— No, è il momento. E se un Mulo è davvero interessato, lei… — Osservò Theresa, esaminandola attentamente.

— Io dico di no, io — ripeté la donna.

— Io dico di sì, io — ribatté Josh. — Patty, prendi qualche cono.

Patty li afferrò sgraziatamente. Theresa prese alcuni abiti di Jackson dall’auto e si incamminò con Josh verso l’edificio, cercando di stare il più lontano possibile da Patty e Mike.

L’edificio era un immenso rettangolo basso e privo di finestre. Forse un tempo era stato una specie di deposito. Non la portarono all’interno. Si infilarono dentro soltanto loro, uno alla volta, per lasciare il carico di coni e il vestiario. Poi la condussero sul retro dell’edificio. Li seguirono parecchie altre persone, finché non si fu radunata una piccola folla.

Dietro l’edificio, una tenda di plastica trasparente si stendeva su un terreno smosso. La tenda, sostenuta al centro da pali sottili alti un metro e venti, cadeva rapidamente sui lati ed era fissata a terra con picchetti provvisori. All’interno c’era un cono a energia-Y, un’area di alimentazione e sei persone nude, divise in due gruppetti di tre.

— Vedi? — spiegò Josh con una certa grazia. — Sono gruppi legati, loro. Si alimentano in armonia. Quelli, sei mesi fa, erano nemici, loro.

— Non nemici — corresse Patty tagliente.

— Nemmeno amici — ribatté Josh. — Abbiamo avuto un sacco di lotte, noi. Come la maggior parte delle tribù. Abbiamo rischiato di disperderci, noi, di andarcene via da soli, di essere isolati.

— Il che vuol dire che stavamo negando la nostra umanità, noi — precisò Mike. — Gli umani sono fatti per stare insieme. Isolati, non siamo completi.

— Oh — fece Theresa. Forse aveva ragione quel Vivo sano ma dall’aspetto lacero? Era quello il motivo per cui la sua vita era sembrata così vuota, per cui lei si era isolata? Si sentì pervadere dalla delusione. Le sembrò troppo semplice, troppo facile. Tutti quei mistici eremiti e isolati di cui aveva letto nella biblioteca, che avevano avuto visioni e avevano sofferto per la verità, avevano avuto bisogno di ben altro che non di semplice compagnia! Cercò qualcosa da dire che non offendesse i suoi ospiti.

— Come avete posto fine alle lotte e… siete divenuti così uniti?

— Il legame! — disse trionfante Josh. — Ci è stato dato da Madre Miranda, lei, e noi l’abbiamo preso e adesso guarda!

— Madre Miranda? — chiese Theresa. — Siete gli stessi che chiedono che Miranda Sharifi sviluppi un farmaco dell’immortalità?

— No — rispose Mike. — Noi non chiediamo, noi, per niente. Non chiediamo niente. Però abbiamo preso il dono, noi, quando lo abbiamo trovato.

"Il dono." — Quale dono?

Fu Josh a risponderle, con voce fervente. — All’inizio abbiamo pensato che erano altre siringhe del Cambiamento, noi. Ma le nuove siringhe erano rosse, non nere, e c’era anche un ologramma da vedere sul terminale. C’era Miranda Sharifi che ci diceva, lei, che quello era un dono che cominciava a dare a noi e che poi avrebbe dato a tutti gli altri. Il dono del legame, per bilanciare l’isolamento provocato dal Cambiamento!

— Un olovideo di Miranda Sharifi — ripeté Theresa. Jackson aveva detto che Miranda e i suoi compari Super-Insonni si erano nanocostruiti una base lunare, Selene, dopo che Jennifer Sharifi era uscita di prigione e li aveva cacciati dal Rifugio. Era accaduto oltre un anno prima. Come faceva Miranda a inviare le siringhe dalla Luna?

— Con un "nuovo" Cambiamento — proseguì Mike. — Il legame. Così non possiamo più essere soli, noi. Così "dobbiamo" sviluppare l’aspetto spirituale di noi stessi e andare d’accordo insieme. In tre, come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Theresa lanciò nuovamente un’occhiata verso il campo di alimentazione sotto la tenda. Tre persone in un lato, due donne e un uomo. Tre sull’altro, un uomo, una donna e un ragazzino. Attorno a lei, nella folla, le persone erano raggruppare in tre e alcuni gruppi si tenevano per mano. Patty, Mike e Josh si erano spostati impercettibilmente verso Theresa per formare un gruppetto.

— Una siringa — disse lei. — Conteneva una nuova droga, voi l’avete presa e…

Patty parlò direttamente a Theresa, guardandola in volto, sorridendo in maniera sgradevole. — E la droga ci ha resi uno solo. Non ci "possiamo" muovere, noi, lontani l’uno dall’altro. Siamo la vita l’uno dell’altro!

La folla improvvisamente si mise a intonare: — Siamo la vita e la giusta via. Siamo la vita e il sangue. Siamo la vita e i prescelti.

— Capisci adesso, tu? — disse Josh con entusiasmo. — Siamo una vera comunità. Le siringhe del Cambiamento hanno diviso le persone, tutti sono stati in grado di andarsene per loro conto, di mangiare, essere sani e vivere senza avere nessun bisogno degli altri. Le siringhe del legame uniscono. Se io, Mike o Patty ci allontaniamo l’uno dall’altro, noi, moriamo.

— Morite? — Theresa si sentì mancare. — Morite davvero?

Patty confermò trionfante: — Moriamo davvero. E a un gruppo legato è successo. In un’altra tribù. Li ho "visti" io. Quei pazzi non credevano in Madre Miranda, e lo Spirito Santo se n’è andato e in una notte gli altri due sono morti.

— Ma… e se avete un bambino? Il bambino…

— Abbiamo ancora moltissime siringhe — spiegò Josh. — Un bambino non è un problema. Resta semplicemente con la madre finché non è abbastanza grande da potersi legare con un suo gruppo.

Theresa avvertì un’ondata di nausea. Desideravano strenuamente un motivo per avere bisogno l’uno dell’altro, per essere una comunità… ma "quello" doveva avere a che fare con i feromoni. Jackson le aveva spiegato il meccanismo dei feromoni. Erano sostanze chimiche emanate nell’aria che venivano captate da altre persone, anche se non se ne rendevano conto. Le sostanze chimiche agivano sul comportamento delle persone. Forse, senza quel nuovo odore si liberava del veleno nel corpo delle persone legate. Ma il Depuratore Cellulare non avrebbe distrutto ogni veleno? Non era il motivo per cui era stato "creato" il Depuratore Cellulare? Ovviamente, se li aveva fatti tutti e due Miranda Sharifi… ma Miranda Sharifi lo avrebbe fatto? Perché?

Una parte della mente di Theresa sussurrò: "perché hanno rimodellato i corpi umani a loro immagine. Adesso i Super vogliono possedere le menti degli umani". No. Il cervello di Theresa era suo, la parte che aveva così paura delle nuove esperienze e delle novità, la parte che non voleva mai lasciare l’appartamento. Xenofobia. Inibizione. Agorafobia. Ansia per le novità. Jackson le aveva insegnato quelle parole, era lei che aveva sbagliato, che non riconosceva il sentiero verso la luce quando lo vedeva…

No. Non era lei. Ciò che facevano quelle persone era "sbagliato".

Sentì mancare il respiro, il cuore prese a batterle freneticamente. Sentì arrivare l’attacco, nausea, vertigini, il terrore di non riuscire a respirare, e agitò una mano, come se potesse allontanarlo fisicamente.

Patty equivocò il gesto. — Non mi credi, eh? Allora vieni a vedere l’olovideo!

— No, io… ti prego "non"… — Patty la afferrò per un braccio e la trascinò attorno all’edificio e poi la fece entrare.

Dentro i Vivi, in gruppi di tre, le si affollarono intorno, le respirarono in faccia. Era scuro, si sentì sopraffare e…

— Il momento di Madre Miranda!

L’olopalco si animò. Ci fu un gradevole turbinio di colori privi di significato e poi apparve Miranda Sharifi, soltanto spalle e testa, lo sfondo una semplice e scura cabina di registrazione studiata per risultare anonima. Miranda indossava un abito bianco senza maniche e un nastro rosso le tratteneva i capelli neri e crespi.

— Sono Miranda Sharifi e vi parlo da Selene. Vorrete sapere cos’è questa nuova siringa. È un meraviglioso nuovo dono, studiato apposta per voi. Un dono migliore delle siringhe del Cambiamento. Quelle vi hanno liberato a livello biologico, ma vi hanno anche condotto a un forte isolamento quando non avete più avuto bisogno degli altri per il cibo e per la sopravvivenza. Per l’uomo non è bene essere solo. Questa siringa, questo magnifico dono…

Dietro l’olopalco, in un angolo del deposito, Theresa scorse un bambino non-Cambiato.

Aveva circa due anni e stava seduto in un angolo, con le gambe gracili stese in avanti. Un lato della testa era privo di capelli, la pelle consumata in chiazze circolari da cui spurgava del pus. Dagli occhi velati gli scendeva muco.

La gola di Theresa si serrò del tutto.

— Voi, le persone che ho scelto, le prime che conosceranno la vita e la giusta via…

Il bambino piagnucolò. Una ragazza non più vecchia di Theresa balzò avanti e lo prese in braccio. Una forte, sana ragazza Viva, libera da fame e malattie che poteva camminare con le proprie gambe e vedere da occhi limpidi… Il bambino non-Cambiato forse pativa del "vero dolore"?

— … dono spirituale, la vita e la giusta via…

Non riusciva a respirare. Per quanto si sforzasse, non riusciva a respirare…

— … partendo dal lavoro svolto dalla siringa del Cambiamento che vi ho dato anni fa quando…

…non riusciva a "respirare" e stava per morire, quella volta sarebbe morta davvero…

— Cosa succede alla ragazza Mulo?

— Cosa c’è che non va?

— Fatele spazio!

— Sta morendo!

— Le persone non muoiono, scemo! L’olovideo è finito! Iniettala!

— Non c’è nessuno qui per farci un gruppo…

— Sì! Le due persone nuove! Cathy ed Earl!

— Iniettateli tutti e tre! Iniettateli!

La stanza prese a vorticare e si oscurò in un’ondata profonda che la inghiottì, come se qualcuno avesse divelto la parete opposta e l’onda le stesse precipitando addosso. "Metti la testa fra le ginocchia" le disse la voce di Jackson nella mente. "Respira profondamente. Prendi un neurofarmaco." Si piegò in due. Due persone la tirarono su, una per lato, il suo nuovo gruppo di legame. Nella sala che vorticava apparve una siringa rossa, nella mano di qualcuno.

— No! — gridò Theresa. — No, non fatelo…

— È tutto a posto, Mulo — le disse una voce di donna, cercando di calmarla. Le tolsero la giacca. — Non fa male. È soltanto come un’altra siringa del Cambiamento, non la sentirai nemmeno, tu. Madre Miranda dice che non fa altro che aggiungersi al primo Cambiamento.

La siringa rossa le si avvicinò al braccio. La stanza vorticò e l’onda nera le si rovesciò sopra. Presa dalle vertigini stava per vomitare. All’ultimo momento riuscì in qualche modo a tirar fuori dalla bocca le parole.

— Io… non sono… Cambiata!

L’oscurità la avvolse.


Esterno. Era stesa a terra all’esterno ed era freddo. Non indossava la giacca. Aprì gli occhi, e la luce del sole li colpì, facendoglieli dolere. La gente le stava attorno a gruppi, i volti orribili la fissavano. In un gruppo Cathy, Earl e Theresa. Era legata.

— Sta tornando in sé.

— Fatele spazio, maledizione!

— Non abbiamo dato niente a quella cagna, noi.

— Theresa, non sei legata, tu. Non lo abbiamo fatto. — Josh le stava inginocchiato accanto, senza toccarla. Theresa si concentrò sulla respirazione. A volte gli attacchi le venivano in coppia o perfino tre alla volta. Il solo pensiero le fece aumentare il battito cardiaco e le mozzò il respiro.

— Ti ho detto che non ti abbiamo legata, noi.

Il volto di Josh era gentile. Com’era possibile, ricevere gentilezze da un Vivo? Non poteva capire quello che le era successo, non lo capiva nemmeno Jackson. Theresa cercò di respirare profondamente.

Patty intervenne: — Deve essere vero. Quello che abbiamo sentito. Che nemmeno le enclavi hanno più siringhe del Cambiamento. — Il suo tono di voce era vagamente compiaciuto.

Theresa si sedette. Casa. Doveva tornare a casa. Le avrebbero permesso di tornare a casa? Che cosa le avrebbero fatto? Le si riempirono gli occhi di lacrime.

— Oddio, sta piangendo, lei — disse Patty. — Lasciamo andare questa strega.

— No, aspetta — si intromise Mike. — Ha un’unità mobile. Conosce codici di ingresso che ci potrebbero servire.

— Ma non sa niente, quella. Guardala! Non è nemmeno Cambiata!

— E allora? Ha parecchia roba stipata nel cervello, è un Mulo.

Josh le si avvicinò. Theresa si contrasse. Lui aveva un respiro dolce e caldo ma, in qualche modo, estraneo. Le disse, a voce molto bassa: — Alzati, intanto che stanno discutendo. Entra nell’aeromobile e parti.

Lei lo guardò sconcertata. Lui le fece un cenno di assenso col capo, l’aiutò ad alzarsi e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Mike e Patty avevano cominciato a prendersi a spinte, i volti sconvolti, le parole che uscivano come sputi dagli angoli della bocca. Theresa corse verso l’aeromobile.

— Fermatela! — gridò Mike. — Fermati!

Theresa inciampò e cadde. Aveva il fiatone, il terreno sembrò vacillare e bloccarla: "non di nuovo". Non un altro attacco. Si costrinse ad alzarsi in piedi e si guardò alle spalle.

Patty e Mike cercavano di inseguirla, ma ogni volta che si allontanavano di qualche metro da Josh si fermavano, tornavano indietro e tentavano di trascinarlo con loro. Josh si faceva pesante e floscio come un sacco di stracci. Mike e Patty non potevano inseguire Theresa senza di lui.

Lei arrancò nell’aeromobile e crollò all’interno. — Chiusura portiere. Decollo automatico… Coordinate di casa. — L’aeromobile decollò.

Sotto, vide Patty che trascinava Josh.

Theresa si accasciò sul sedile, cercò di controllare la respirazione, di impedire al mondo di vorticare in un’altra nauseante ondata nera. Casa. Doveva tornare a casa. Non sarebbe dovuta uscire, non sarebbe dovuta partire dall’enclave, non avrebbe dovuto pensare di essere forte o valorosa e di riuscire a scoprire qualcosa sulla luce. Era soltanto un Mulo difettato e privilegiato. No, quelle persone avevano "torto", quella non era la giusta via, corteggiare la morte per costringersi a fare parte di una comunità, no, no, no. Così no. La risposta non era quella.

Chiuse gli occhi. Escluse il mondo che vorticava ma non riuscì a escludere la cosa che più la terrorizzava. La cosa più terribile di un pomeriggio di terrore: il volto di Josh che le sussurrava un’ultima frase. Gentili, cariche di rammarico, orribili, le sue parole.

— "Non sei pronta, tu. Almeno non ancora."

Theresa rabbrividì. Non sarebbe mai stata pronta per una cosa simile. Legata per sempre a tre metri da due Vivi, condannata a morire se li avesse lasciati. No. Era sbagliato. Un vicolo cieco.

Ma che cosa stava "facendo" Miranda Sharifi?

E che cosa avrebbe fatto Theresa?

Era nuovamente sola con la sua vita vuota.

Interludio

DATA TRASMISSIONE: 1 Dicembre 2120

A: Base Selene, Luna

VIA: Stazione Terrestre San Diego, Satellite CEO C-988 (U.S.), Holsat IV (Egitto)

TIPO MESSAGGIO: Non codificato

CLASSE MESSAGGIO: Classe B, Trasmissione Privata a Pagamento

GRUPPO DI ORIGINE: Coalizione Genitori di San Diego

MESSAGGIO:


Dottoressa Miranda Sharifi e Associati,

sapendo, come sappiamo, che lei incarna con fermezza il principio che le persone non sono mai se stesse più di quando compiono scelte per altri, le sottoponiamo una richiesta. Il suo dono delle siringhe del cambiamento ha trasformato le nostre vite. Grazie ai suoi sforzi, i nostri figli sono più sani e forti. Tuttavia la scorta di siringhe del Cambiamento nella nostra enclave, come nelle altre, si sta riducendo. Ben presto sparirà. I bambini nati in seguito saranno vulnerabili alle malattie, all’avvelenamento accidentale, ai pericoli.

Dottoressa Sharifi, la preghiamo, non permetta che ciò accada. I nostri figli ci sono preziosi. Sono tutto il nostro futuro. Lei è stata così compassionevole e benevola con noi esseri umani che noi, i genitori dell’Enclave di San Diego, le chiediamo di esserlo di nuovo. Le chiediamo altre siringhe del Cambiamento per i nostri figli non ancora nati. Faccia che questa rappresenti, partendo dalla sua profonda conoscenza dell’umanità, la sua prima meta scientifica. Non lo chiediamo per noi ma per i bambini.

CONFERMA RICEZIONE: Nessuna

5

Volavano sull’Africa da meno di mezz’ora, quando l’aereo cominciò a scendere. Jennifer Sharifi guardò fuori dal finestrino. Nell’alba rosata i profili di una città risultavano indistinti, come se gli edifici potessero anche non essere effettivamente lì. "Principio di indeterminazione di Heisenberg" pensò lei, e non sorrise.

— Atar — annunciò Will Sandaleros e si stirò come poteva nei limiti angusti del Mitsu-Boeing quattro posti. Due giorni addietro lui e Jennifer erano scesi dal Rifugio, la prima volta in quattro mesi da quando erano tornati dalla Terra alla stazione orbitale degli Insonni. Ogni traccia di Miranda e degli altri Super era eliminata dal Rifugio. Anche gli amici imprigionati con Jennifer erano tornati alla stazione orbitale, le loro condanne più brevi scontate ormai da tempo: Caroline Renleigh, Paul Aleone, Cassie Blumenthal e gli altri. Erano tornati per portare a termine la lotta per la libertà.

Soltanto Jennifer e Will, tuttavia, avevano intrapreso quel viaggio fino allo spazioporto di Madeira. Si erano trasferiti direttamente all’Hotel Machado, costruito e posseduto dal Rifugio attraverso una serie complessa di holding cieche, un lussuoso albergo commerciale che garantiva una sicurezza totale agli emissari esecutivi delle stazioni orbitali e terrestri. Per due giorni erano rimasti nella loro camera dallo scudo a energia-Y mentre il personale dell’albergo, costituito per metà da Insonni e per metà da Normali ben pagati, aveva scoperto l’identità di tutti gli agenti, i reporter, i terroristi e i pazzi che seguivano inevitabilmente a scia Jennifer Sharifi. La notte precedente, Jennifer e Will avevano lasciato il Machado, servendosi di un tunnel sotterraneo costruito con l’albergo e così ben schermato che soltanto dieci persone al mondo ne conoscevano l’esistenza. Un’auto li aveva portati sulla costa e al Mitsu-Boeing. Will, abituato all’esercizio fisico, era irrequieto dopo tre giorni passati all’interno di veicoli e di camere blindate.

Jennifer non era mai irrequieta. Aveva imparato a restare seduta completamente immobile e a ritirarsi nei propri pensieri per ore, per giorni. Per mesi. Anche Will avrebbe dovuto imparare. Era una disciplina necessaria per racchiudere tutto quello che si aveva dentro e ridurlo a un singolo punto, come la luce del sole focalizzata da un’immobile lente di ingrandimento. Un punto incandescente.

— Ci staranno aspettando? — chiese lei al di sopra dello schienale del sedile al pilota. Lui annuì. I suoi capelli scuri, gli occhi grigi e i lineamenti imperturbabili potevano venire da cinque diversi continenti. Non parlava mai. Al suo fianco la guardia del corpo Insonne, Gunnar Gralnick, controllò le proprie armi.

L’aereo si posò su un campo di atterraggio polveroso e non segnalato nel deserto, Atar visibile a mala pena sull’orizzonte orientale. L’unico edificio, un rettangolo di cemespugna senza finestre, stranamente immacolato e privo di polvere sotto lo scudo a energia-Y, si sarebbe potuto trovare in qualsiasi parte del mondo. L’aria era più fredda di quanto Jennifer non ricordasse, così vicino all’equatore. Il sole però non era ancora alto. In seguito, l’aria sarebbe diventata incandescente.

C’erano tre uomini ad aspettarli, vestiti con abiti leggeri stile arabo. Materiali sintetici non consumabili, notò Jennifer. Erano tutti Cambiati. In Africa, non lo si poteva mai sapere per certo. Gli uomini avevano la pelle scura e bruciata dal sole ma gli occhi chiari: due verdi e uno azzurri. Quello con gli occhi azzurri aveva anche i capelli rossi, nessuna delle due caratteristiche era modificata geneticamente per questioni di moda. Berberi.

— Benvenuti in Mauritania — disse a Will il più anziano degli uomini con un inglese quasi privo di accento. Non lanciò nemmeno un’occhiata a Jennifer. Lei se lo era aspettato. Non disse nulla. — Sono Karim. Questi sono Ali e Beshir. Avete fatto un buon volo?

— Sì, grazie — rispose Will.

— Niente complicazioni?

— Non siamo stati seguiti.

— Noi non abbiamo notato nulla, da qui — confermò Karim. — Ma è meglio non indugiare. Vi prego, seguitemi.

Il pilota rimase sull’aereo. Gli altri sei salirono su una grossa aeromobile, Will e Jennifer sul sedile posteriore con Gunnar fra di loro. Volarono basso, inoltrandosi ulteriormente nel Sahara, che si faceva sempre più illuminato dal sole col passare dei minuti. Rocce, vegetazione sparuta, un’oasi occasionale il cui verde si interrompeva repentinamente insieme con il sistema di irrigazione, come se fosse tagliato con le forbici. Quindi nessuna vegetazione: soltanto roccia e sabbia. Atterrarono accanto a un piccolo edificio in cemespugna il cui scudo a cupola era parzialmente sepolto sotto la sabbia mossa dal vento.

Gli arabi atterrarono con l’aeromobile all’interno della cupola, su terreno compatto, libero dalla sabbia. L’edificio si aprì tramite scansione della retina, notò Jennifer. Una compagnia clandestina tedesca aveva sviluppato di recente un software in grado di duplicare la codificazione della retina. I berberi avrebbero dovuto aggiornare il loro sistema di sicurezza.

L’ascensore parlò brevemente in arabo. Will non dette segno di comprendere la lingua. Jennifer capiva l’arabo anche se, pure lei, non lo mostrò. I berberi sapevano quali lingue lei parlasse o capisse. Sapevano tutto su tutti e tre i visitatori Insonni, tutto quello che compariva su ogni banca dati. E quelle non erano mai informazioni cruciali. I Dormienti non lo capivano.

Jennifer rimase accanto a loro, per disciplina, e indirizzò il proprio odio, con calma, in un fuoco controllato. Per disciplina. L’ascensore, "Che la pace di Allah sia con voi", poteva essere parte di una programmazione satirica. Se di satira si trattava, era una debolezza: la satira indicava la capacità di porsi al di fuori delle proprie tradizioni e di sbeffeggiarle. Se non era satira, invece, indicava la forza della tradizione.

La Mauritania aveva moltissime tradizioni. Orgogliosi nomadi berberi. Islamismo. Oppressione coloniale. Crollo, siccità, pestilenze, guerre e brutalità come in tutto il resto dell’Africa, ma anche di più. La Mauritania era stata l’ultimo paese in Africa a dichiarare fuorilegge la schiavitù, meno di duecento anni prima. La schiavitù era rimasta, tuttavia, unitamente ad altre pratiche illegali e a nuovi schiavi genetici e tecnologici. Alla Mauritania non era rimasto un governo di cui valesse la pena di parlare: quello che esisteva si poteva acquistare facilmente.

L’ascensore si fermò in profondità sotto terra. Si aprì direttamente su una sala conferenze tutta scintillanti pareti bianche nano-costruite e fragrante odore di caffè forte. Le porte conducevano, presumibilmente, ai laboratori e agli appartamenti. Sulla lucida tavola in teak circondata da comode sedie c’era un servizio da caffè in argento. Altre sedie erano allineate contro le pareti. Un tavolinetto sorreggeva un olopalco.

Jennifer si accomodò su una sedia al lato della stanza, sedendosi a occhi bassi. Quello era il risultato di negoziati condotti da Will. I berberi, abili uomini di affari nel loro ambiente implacabile per tre millenni, si erano adattati facilmente a fungere da mediatori per imprese clandestine internazionali. Erano meno disponibili ad adattarsi a imprenditori di sesso femminile. Se Jennifer fosse stata una qualsiasi altra donna al mondo, non le sarebbe stato nemmeno concesso di entrare nella stanza.

Qualsiasi altra donna a parte una: Miranda, che aveva tradito il suo popolo rendendo necessaria quell’interazione con la feccia Dormiente.

Will e i berberi si sedettero attorno alla tavola di teak lucido. Gunnar rimase in piedi, contro la parete, fra Jennifer e l’ascensore, per poter sorvegliare ogni cosa.

— Caffè? — chiese Karim.

— Sì, grazie — rispose Will. — Dov’è il dottor Strukov?

— Si unirà a noi fra pochi minuti. Siamo arrivati un po’ in anticipo.

Il caffè aveva un aspetto scuro, ricco, amaro. Jennifer sentì l’acquolina in bocca. Bloccò la saliva. I berberi bevvero con gusto, senza parlare, perfettamente a proprio agio. Anche Karim, però, si irrigidì lievemente quando si aprì una porta ed entrò Serge Mikhailovich Strukov.

Il leggendario genio russo era immenso, chiaramente modificato geneticamente nelle dimensioni. La pelle aveva il caratteristico aspetto salutare di quella di tutti i Cambiati. Le siringhe erano piovute in Ucraina come in ogni altro posto della Terra, ma non si sapeva fino a che punto fossero state usate: non soltanto l’Ucraina aveva serrato tutti i confini, ma vi erano fioriti anche bizzarri culti antitecnologici dopo che le Guerre Nucleari Localizzate avevano rallentato fortemente l’utilizzo della Rete. Quello che non si trovava nella Rete non poteva essere trafugato. Gran parte dell’Europa dell’est e dell’Asia occidentale risultava sconosciuta perfino al Rifugio.

Non Strukov, però. Lui era conosciuto ovunque e altrettanto introvabile.

Era fuggito dall’Ucraina a diciassette anni, ignorante in microbiologia ma, in qualche modo, modificato geneticamente a livello del QI. Non raccontava mai dei suoi genitori, della sua provenienza, della sua adolescenza, di come avesse imparato a parlare, oltre al russo, anche il cinese idiomatico e, con un po’ di accento, il francese. A ventidue anni aveva conseguito una laurea in microbiologia al Centre d’Étude du Polymorphisme Humain di Parigi. A trentuno aveva ottenuto il Premio Nobel in medicina per il suo lavoro sulle eccitotossine modificate geneticamente nei mitocondri neurali. Non si era mai recato a Stoccolma a ritirare il premio. Tre mesi dopo era uscito dal suo laboratorio di Parigi ed era scomparso.

Nel corso del decennio successivo, affiorarono strani rapporti su Strukov nella Rete clandestina: accenni che lavorasse per i cinesi, per gli egiziani, per il Brasile, sempre sulla guerra batteriologica, sempre su progetti di modificazione genetica che però non arrivavano mai ai notiziari mondiali. O che non riuscivano mai ad allontanarsene. Un microbiologo dell’Enclave di San Francisco Bay dichiarò di riconoscere la mano di Strukov in una terribile modificazione genetica virale inviatagli da un medico coinvolto nella guerra cilena: un retrovirus mortale che distruggeva la formazione della memoria nell’ippocampo. Una settimana dopo, quel microbiologo era affogato nella baia.

Strukov sedette a capotavola. Quindi, ignorando volutamente Will, fece ruotare la sedia per fissare direttamente Jennifer. Lei non sollevò lo sguardo ma lui continuò a guardarla comunque: cinque secondi, dieci, quindici. Lei riuscì a sentire la tensione nella sala crescere vorticosamente.

Alla fine Strukov si girò nuovamente verso gli uomini seduti attorno alla tavola. Sorrise debolmente. — Cosa desidera adesso da me il Rifugio? — Il suo inglese aveva un forte accento russo, ma la struttura della frase non era russa: veniva mentalmente tradotta dal francese, immaginò Jennifer.

Will apparve meno composto di Strukov. — È già stato informato di quello che vogliamo.

— Vorrei sentire le sue parole.

— Vogliamo che lei riadatti il virus modificato geneticamente che ha già sviluppato — disse Will, un po’ troppo tagliente. — I campioni che abbiamo ricevuto non sono soddisfacenti.

— E come mai il Rifugio, in possesso dei migliori laboratori scientifici del sistema solare, non può modificare personalmente questo virus?

— Ci sono dei motivi per cui preferiamo non farlo — rispose Will.

— Sono in grado di immaginarlo. Il Rifugio è governato da decisioni comuni, non è così? E molti si oppongono al vostro piano, qualunque sia. Molti non ne saranno nemmeno al corrente. In più, i vostri laboratori al Rifugio sono specializzati per la modificazione genetica di embrioni e per la ricerca nel campo. Non siete specializzati nella creazione e nella diffusione di virus mortali.

Will non commentò. Strukov tirò indietro la testa e rise, una risata possente e aspra che riempì la stanza. Karim sorrise. Jennifer Sharifi e Will Sandaleros erano stati in prigione per aver tenuto in ostaggio cinque grandi città americane con la minaccia di rilasciare un virus mortale modificato geneticamente.

Strukov riprese: — Ventotto anni cambiano molte cose, eh? E non solo in microbiologia. Tuttavia, plus ça change, plus c’est la même chose. Volete tentare ancora l’assalto al governo americano?

— No — rispose Will. — Ma ciò che faremo con il virus sono affari nostri. Suo compito, come da accordi, è di fornircelo.

— Andrà tutto liscio come l’olio — assicurò Strukov, godendo chiaramente del modo di dire. Karim rise.

— Forse no — commentò Will. — Lei non conosce ancora le modificazioni che richiederemo.

— Mi consenta, allora, di mostrarle le modificazioni che ho già creato — disse Strukov. — Angelique, commencez. Le programme de démonstrer.

Oui - rispose il sistema. L’olopalco si animò. Apparve un modello tridimensionale grigio chiaro del cervello umano circondato dal fantasmatico profilo di un cranio. Due aree a forma allungata delle dimensioni dell’unghia del pollice di un neonato, localizzate appena dietro le orecchie, si illuminarono improvvisamente di rosso.

— Le amigdale destra e sinistra — spiegò Strukov. — Si appoggiano sulla parte interna inferiore dei lobi temporali. Le due amigdale sono essenzialmente identiche. Angelique, ga va.

L’amigdala sinistra si allargò improvvisamente, riempiendo l’intero palco e sostituendo il cervello. Divenne un intricato ed elaborato groviglio di neuroni, stipati insieme, con nervi immissari ed emissari che si ramificavano verso l’esterno.

Strukov continuò: — Il neurotrasmettitore dominante nelle amigdale è il glutammato. È un aminoacido interessante. Sottili cambiamenti metabolici possono trasformare il glutammato in un’eccitotossina che uccide i neuroni nell’ipotalamo, la parte del cervello che si utilizza nella formazione della memoria. Uno scarso apporto di glutammato può uccidere i neuroni nel cervello e nel midollo spinale. La sovrastimolazione di produzione del glutammato conduce a svariate malattie croniche di tipo degenerativo.

L’espressione di Jennifer non cambiò. Quelle erano informazioni base molto comuni. Strukov stava sopravvalutando la sua ignoranza. Errore? Insulto?

Will lo interruppe: — Ma qualsiasi cambiamento metabolico che producesse tossine sarebbe attaccato dal Depuratore Cellulare. Distruggerebbe le tossine nel momento in cui fossero create. Una sovrapproduzione darebbe come risultato un codice DNA sbagliato che sarebbe corretto dal Depuratore Cellulare non appena identificato.

— Vero — commentò Strukov. — Ecco perché malattie come il morbo di Huntington e l’ASL sono scomparse, come l’avvelenamento accidentale. Ma l’amigdala fa altro. Angelique, ça va.

L’olomodello cambiò, mostrando un agglomerato di una decina di cellule ingrandite, lunghi assoni e dendriti che si avvinghiavano gli uni attorno agli altri. Le strutture all’interno e attorno alle membrane cellulari brillarono di giallo e arancione.

— I siti recettori gialli si chiamano recettori AMPA. Quelli arancione sono i recettori NMDA. I recettori AMPA si attivano in risposta al glutammato e provocano una reazione di sconcerto.

All’improvviso, l’ologramma della cellula scomparve. Al suo posto comparve un cannone laser che ruotò e sparò direttamente contro Will. Una deflagrazione assordò tutti. Gunnar reagì all’istante, lanciò attorno a Jennifer e Will uno scudo a energia-Y, estrasse la pistola. Il cannone laser era solo un ologramma. Strukov tirò indietro la testa e scoppiò nella sua solita fragorosa risata.

— Così. Avete reagito con la paura: pulsazioni, pressione sanguigna, scarica di adrenalina, non è vero? I vostri recettori AMPA si sono illuminati come alberi di Natale.

— Non mi piace essere parte della sua dimostrazione — disse Will irrigidendosi. Jennifer restò a osservare.

— Ma dimostra il punto, no? Tuttavia, esiste ben altro. I recettori AMPA che hanno creato la sua risposta di paura scompaiono in fretta non appena termina la paura. La reazione neurale risulta temporanea. Non è rimasto impaurito dopo essersi accorto che il cannone non era reale. E i suoi recettori NMDA non si sono attivati. Quei recettori sono differenti. Ciò che li attiva è una risposta di paura relativa a stress forti e prolungati. A quel punto, i recettori NMDA collegano le esperienze. I percorsi neurali creati in questo modo risultano permanenti.

— Che significa "collegano le esperienze"?

— Guardi. Angelique, ça va. Questa è una registrazione in tempo reale.

Il cannone laser venne sostituito da una gabbia a energia-Y grossa e trasparente, profilata da sottili sbarre in plastica nera. La gabbia conteneva due topi. A una estremità, lo scudo si abbassò e sfrecciò dentro un gatto che indossava un brillante collare rosso. Il gatto si gettò su uno dei topi, che emise uno squittio agonizzante. Il gatto affondò i denti. Il sangue sprizzò fuori dal topo che strillò con un tono così acuto che Jennifer sentì dolere le orecchie. Il gatto allungò una zampa e, con indifferenza e quasi con noncuranza, passò gli artigli estesi sul dorso dell’altro topo che si era rifugiato in un angolo.

— Adesso — disse Strukov. — Una settimana dopo.

La stessa gabbia con lo stesso topo. Il dorso mostrava ferite recenti. Entrò lo stesso gatto con lo stesso collare rosso acceso. Il topo mostrò immediatamente intensa paura, rannicchiandosi e allo stesso tempo mostrando i denti. Evidentemente c’era uno scudo a energia-Y che divideva in maniera invisibile la gabbia in due: il gatto non poteva avanzare se non fino a metà strada verso il topo, che continuava a mostrare paura.

— Tre mesi dopo — disse Strukov. Stesso topo, le ferite ulteriormente guarite. Una mano entrò dalla parte superiore della gabbia tenendo un collare color rosso acceso in pelle. Immediatamente il topo mostrò segni di intensa paura.

— Ora, questo è soltanto un riflesso condizionato di Pavlov, vero? Il topo associa il collare con la paura. Avviene anche in un uomo che ha combattuto il quale, venticinque anni dopo, sente un forte rumore e si getta a terra. L’esperienza del rumore assordante e del pericolo mortale sono associate nel suo cervello e l’amigdala è il luogo in cui avviene il collegamento. Adesso, tuttavia, la cosa si fa interessante. Le amigdale del topo sono state rimosse.

Stesso topo. Il gatto entrò. Il topo sollevò lo sguardo, vide il gatto e tornò ad annusare disinteressato la gabbia. Quindi si avvicinò al gatto che gli balzò addosso immediatamente e lo uccise.

Will disse: — Niente amigdala, niente paura.

— Niente paura ricordata — precisò Strukov. — La paura istintiva può ancora essere indotta, come, per esempio, gettando il topo da una grande altezza e monitorandone le biorisposte durante la caduta. La paura di cadere è istintiva. Quella ricordata, invece, dipende dai recettori NMDA posti nelle amigdale. Creano un tracciato neurale permanente, come alcune droghe che si trovano per la strada, che a sua volta altera permanentemente la reazione. L’organismo non può "non" provare paura dato uno stimolo adeguato. Angelique, ça va.

L’agglomerato di neuroni dell’amigdala riapparve. Alcune linee evidenziate collegavano svariati siti recettori gialli e arancione.

— Inoltre — proseguì Strukov — sono in grado di far sviluppare il processo in senso inverso. Innescando le modifiche virali corrette, iniettandole nel sangue o nel fluido cerebrospinale, i trasmettitori naturali di eccitazione come il glutammato, fra molti altri, possono essere trasformati in eccitotossine. Di conseguenza, i tracciati della paura possono essere creati anche senza una precedente esperienza. Ovviamente, non sono specifici della memoria, visto che non ne esiste ricordo. Non c’è alcun input proveniente dall’ippocampo. I tracciati della paura, tuttavia, risultano permanenti, perché non dipendono dalle molecole che rimangono nel cervello. Il Depuratore Cellulare può anche intervenire due minuti dopo l’iniezione, ma voilà! I tracciati NMDA sono già stati formati.

"Inoltre il processo metabolico che muta la struttura neurale è magnificamente complesso e così le variazioni possibili sono meravigliosamente differenziate. Sono in grado di creare le reazioni permanenti per paure abbastanza specifiche, se la risposta istintuale basilare è codificata geneticamente. Angelique, ça va."

Altra registrazione in tempo reale: Jennifer riuscì a stabilirlo dalla qualità dell’ologramma. Un ragazzino arabo, non modificato geneticamente nell’aspetto fisico, trascinava oziosamente i piedi. Si sedette in una stanza indescrivibile, giocando a qualcosa sull’oloterminale. Strukov entrò nella stanza e premette un pulsante. Un’intera parete svanì, aprendo la stanza su un giardino con un ruscello invitante e alte palme da dattero. Il ragazzino impallidì di colpo. Cominciò a respirare affannosamente sollevando e abbassando la cassa toracica. In preda al panico, girò le spalle al giardino e premette la faccia contro la parete opposta, tremando e mugolando. — No, no, no, no…

— Agorafobia — disse Strukov.

— Permanente? — chiese Will.

— Probabilmente. A meno che non si sottoponga a un’intensa modificazione del comportamento personale o non assuma i farmaci correttivi che il suo Depuratore Cellulare distruggerà, ovviamente, a meno che essi non vengano rinnovati costantemente. Occorrerà un altro virus modificato geneticamente oppure molte, molte applicazioni alla settimana.

— Quanto sarebbe difficile creare un tale virus?

Strukov alzò le spalle. — Per chi? Per i soliti medici? Impossibile. Per una buona struttura di ricerca medica? Difficile ma non impossibile. Per vostra nipote Miranda Sharifi e i Super-Insonni? Chi può dirlo? Angelique, ça va.

Il display mostrò una ragazzina di undici o dodici anni, non araba, con i capelli spettinati e le braccia ossute. Con lei una donna sulla sessantina, seduta a leggere tranquillamente. La ragazzina vagava irrequieta per la stanza, toccando le pareti, le finestre, il terminale, i giochi ma senza fermarsi a utilizzare nulla. Ogni pochi secondi, toccava la donna, come per rassicurarsi che quella fosse ancora lì. Il suo volto, non modificato geneticamente ma grazioso, era distorto da un’ansia perenne.

— Paura dell’abbandono — precisò con soddisfazione Strukov. — Non può sopportare di essere lasciata da sola. Guardate.

La donna più anziana si alzò dalla sedia, appoggiò il libro e disse: — Nathalie, je vais à la cabinet de toilette.

Non, non, Emilie… s’il vous plaît!

Un minute, seulement, chérie.

Non! Vous ne sortez pas!

La ragazzina si aggrappò disperatamente a Emilie. Dolcemente, la donna slacciò le braccia che la piccola le aveva serrato attorno. Nathalie allora si strinse attorno alle gambe di Emilie, cominciando a piangere. Emilie si staccò e andò in bagno, chiudendo la porta a chiave. Nathalie scoppiò in singhiozzi violenti e si accucciò in posizione fetale sul pavimento. Jennifer osservò la faccia della ragazzina. Era una maschera di paura e ansia.

Dopo qualche momento, Emilie uscì dal bagno. Nathalie arrancò fino a lei e si strinse di nuovo alle ginocchia della donna più anziana.

Strukov ribadì: — Paura di essere soli.

Will chiese: — La ragazzina deve stare con una persona in particolare?

— Ma no — rispose Strukov, sorridendo. — Si comporta esattamente allo stesso modo con chiunque si trovi nella stanza. Si sente tranquilla e libera da ansia soltanto quando nella stanza ci sono molte persone e tutte sembrano pronte a restare per parecchie ore. Allora, e soltanto allora, la paura dell’abbandono si attenua. Angelique, ça va… ma questa l’avete già vista, no? Avete deciso che non vi andava bene.

Un paese americano di Vivi all’inizio di autunno: gli alberi accesi di colori. Tre persone lacere stavano vicine su una strada nanolastricata. Dai volti distorti e dalle braccia che si agitavano si deduceva che stessero discutendo animatamente. Un uomo dette uno spintone all’altro. La donna si allontanò, gridando qualcosa a tutt’e due da sopra le spalle e si addentrò in un bosco. Ci furono due primi piani del suo volto terrorizzato quando altri due uomini che indossavano olotute la afferrarono e la costrinsero a entrare in una piccola aeromobile.

— L’hanno chiamato "il legame" — fece Strukov in tono di scherno. — Ma voi lo sapete meglio di me, no? Siete stati voi stessi a produrre l’olovideo che i pezzenti hanno guardato. Dopo averlo visto, si sono iniettati con le siringhe rosse e si sono legati. Adesso, questo è stato ripreso tre ore dopo che la donna era stata portata vìa.

La donna rapita era seduta da sola in una stanza confortevole. Improvvisamente ansimò, si serrò il petto con le mani e scivolò giù dalla sedia. I suoi occhi fissi indicavano che era morta. L’ologramma sovrimpresse una ripresa da robocamera degli altri due uomini legati con lei, tutt’e due morti.

— Un evento elettrico nel cuore — disse Strukov. — Un meccanismo davvero pulito, davvero elegante. Mi piace questa tecnica per controllare i vostri pezzenti. Li rende molto dipendenti l’uno dall’altro e le loro azioni risultano soltanto molto limitate, no? Ottima progettazione. Ma non lo volete. Mi dite di lasciar perdere questa linea di ricerca, di darvi qualcosa di diverso.

Will non rispose direttamente. — L’intera gamma di paure che lei può indurre permanentemente… la biochimica prevede che siano tutte così pronunciate come in questi due esempi?

— Ma no. Questi recettori NMDA sono stati fortemente attivati. Hanno creato tracciati neurali di forza imponente. È possibile creare effetti minori.

Will chiese: — È possibile crearne "per lei"?

— Ma è ovvio. Angelique, ça va.

L’olopalco passò a modalità monitor. Balenarono, una schermata dopo l’altra, schemi, equazioni, diagrammi molecolari, formule chimiche, tabelle di variabilità e reazioni schematiche di ioni, malignamente complessi per quanto erano state semplici le dimostrazioni precedenti.

— Gran parte del lavoro sulla paura e l’ansia si è occupata di sinapsi, neurotrasmettitori e sottotipi di recettori — disse Strukov. — Io mi sono occupato maggiormente di processi dello stress cellulare all’interno delle cellule nervose, dove si formano i neuropeptidi. È lì che hanno origine e si concludono le reazioni chimiche. Ogni neurone piramidale riceve oltre centomila contatti dai neuroni con i quali si collega. Si comincia quindi con i modelli della trasmissione nervosa.

"E con un’altra cosa: esistono peptidi che si formano soltanto in condizioni patologiche. È possibile innescare una reazione a catena delle ammine complesse, a cominciare dall’interno di una cellula. Alcune ammine nella catena sono patologiche, altre sono normali, altre ancora sono aminoacidi endogeni eccitanti trasformati in eccitotossine. Questa catena ha il proprio inizio nei tracciati alterati delle amigdale.

"Da lì si estende attraverso il nucleo del nervo centrale all’interno delle cellule in molti altri posti: nel cervello, nei muscoli, nelle ghiandole e negli organi. La catena finisce con l’agire su parecchie bioammine, incluse l’acetilcolina, guardate questo diagramma, la norepinefrina, la CRF, il glutammato, la C gamma critica. Molte, molte ammine.

"Inoltre, la catena continua costantemente, una volta iniziata dal virus di innesco. Visto che poi essa è formata da sostanze interamente create dallo cervello stesso, lo stupido Depuratore Cellulare non le attaccherà. Distruggerà il virus, ma a quel punto sarà troppo tardi. La catena sarà partita. Secondo lo stupido Depuratore Cellulare, inoltre, quella catena apparterrà a quel posto. Secondo lo stupido Depuratore Cellulare, la catena sarà ’indigena’." Strukov scoppiò a ridere. — E lo è.

— E tutti i cervelli umani reagiranno allo stesso modo al virus iniziale? — chiese Will.

Strukov alzò le spalle. — Ovviamente no. Le persone differiscono sempre nelle loro reazioni a qualsiasi cosa agisca sulle loro ammine biogene. Alcuni si ammaleranno. Alcuni reagiranno esageratamente. Pochi non reagiranno affatto. La maggior parte delle persone, tuttavia, diventerà ciò che voi mi avete chiesto di renderla: inibita, timorosa di ogni novità, carica di ansia per ogni separazione da quello che è familiare. Come i bambini con l’ansia da estraneo. In essenza, la mia reazione a catena porterà alla luce, come primaria, una funzione primitiva del cervello, che la crescita umana sopprime in favore di funzioni più complesse. Io invertirò la tendenza.

Strukov fissò direttamente Jennifer e sorrise. — Alla fine, io trasformerò la vostra popolazione bersaglio in una nazione di bambini impauriti.

Jennifer lo fissò di rimando. Dovette combattere per non mostrare la repulsione che provava per l’enorme gigante barbuto totalmente compreso dalla propria genialità, completamente a proprio agio per la dimostrazione offerta sulla pelle della sua stessa gente. Jennifer aveva sempre saputo che i Dormienti non conoscevano lealtà verso i propri simili, che non avevano senso morale. Avrebbero fatto qualsiasi cosa al prossimo, se fosse stato in palio denaro sufficiente. Non erano neanche capaci di distinguere fra la pena scontata in prigione da Jennifer, nata dalla paura che i Dormienti avevano di lei e del suo senso dell’obbligo morale di salvaguardare il suo popolo, e la pena che sarebbe stata comminata a quel brillante disgraziato se i suoi esperimenti sul cervello fossero stati scoperti dalle autorità dei Dormienti. Strukov era una malattia. Avrebbe utilizzato quella malattia per proteggere il suo popolo, se costretta. Ma non avrebbe concesso a una malattia l’attenuante morale della tradizione.

Si alzò, fissando negli occhi Strukov. — E lei ci può fornire il virus modificato geneticamente per l’innesco della catena con un’iniezione, senza che venga individuato?

— L’ho già detto — rispose Strukov, divertito, mentre i tre arabi si alzavano in piedi infuriati. — Il vettore contiene sedici proteine differenti, cinque mai esistite prima d’ora. Tutto verrà distrutto dal Depuratore Cellulare prima che qualsiasi autorità scientifica possa isolarlo e svilupparne una coltura.

Karim disse a Will: — Avevamo stipulato un accordo su chi dovesse parlare in questa riunione!

— L’iniezione non ci va bene — lanciò Jennifer a Strukov.

— Sua nipote ha rimodellato il corpo umano e lei vuole rimodellare la mente umana, vero? — rispose lui, sorridendo.

— Quello che facciamo non sono fatti suoi — ribatté Jennifer mentre Beshir diceva infuriato a Will: — Controlli sua moglie!

— Lei parla sempre alla prima persona plurale, Madame Sharifi? — chiese Strukov. — Che forma di diffusione del virus gradirebbe avere? E a quale scadenza?

— Due modi diversi di diffusione. Uno sviluppato e testato non appena possibile, l’altro a un mese di distanza.

— E i due modi di diffusione sarebbero?

Lei glieli indicò.

6

Jackson si svegliò con l’assoluta convinzione che qualcuno si stesse muovendo in camera sua, al buio.

Un sogno? No. L’intruso era reale e non un robot. Un’indistinta sagoma umana attraverso la stanza, passava brevemente davanti alla finestra semioscurata. Theresa? Non entrava in camera sua di notte e, se lo avesse fatto, avrebbe acceso la luce.

Giacque immobile, simulando il respiro profondo del sonno, e rifletté sulle opzioni che aveva. Poteva chiamare il servizio di sicurezza dell’edificio. Ma il neurofarmaco rilasciato non avrebbe avuto effetto prima che l’intruso sparasse a Jackson, sentendo il suono della sua voce. Poteva rotolare giù dal letto, tenendolo fra sé e la finestra, e poi cercare di raggiungere lo scudo di sicurezza personale che teneva nel cassetto inferiore del comodino. Oppure era nel secondo? Si immaginò ad armeggiare, nudo, in mezzo alle calze e alle mutande alla ricerca del piccolo aggeggio mentre l’intruso aspettava cortesemente. Già, certo. Poteva balzare dal letto e tentare di stendere l’intruso, contando sull’effetto sorpresa per impedirgli di sparare.

Nei secondi che gli occorsero per decidere, l’intruso disse: — Accendere luci — e la stanza si illuminò. — Salve Jackson, tesoro — salutò Cazie.

Era nuda e ricoperta di fango. Era incrostato sul pube, spalmato sul seno sodo e ricadeva in pezzi umidi sul tappeto bianco della stanza. Jackson sentì immediatamente il pene irrigidirsi. Bella figura da idiota avrebbe fatto se avesse chiamato la sicurezza.

— Dio, maledizione Cazie, che diavolo credevi di fare?

— Ti piacerà moltissimo quello che farò, Jack. Andiamo a una festa. Sono venuta via soltanto per venirti a prendere.

Si avvicinò al letto e lui riuscì a vedere gli occhi dalle pagliuzze verdi. Era sotto l’effetto di qualcosa di maledettamente più forte dell’Endorbacio. Lei si accorse del volto accigliato di lui e gli allungò l’inalatore. — Vuoi un tiro?

— No!

— Allora andiamo alla festa. — Lei gli strappò di dosso la coperta. Il fango che aveva sulle mani macchiò il tessuto non consumabile. — Oh, guarda, sei già bello e pronto! Sei sempre riuscito a diventare subito duro, Jack. Mi piace. Vieni, andiamo. Ci stanno aspettando.

Lui le strappò di nuovo la coperta e si sentì un idiota. — Io non vado da nessuna parte.

— Oh, sì, invece — miagolò lei. Lasciò la coperta della disputa e gli si gettò addosso, baciandolo furiosamente.

Lui non poté resistere. Strinse le braccia attorno al suo corpo facendole penetrare subito la lingua nella bocca aperta. Sentì il pene pronto a esplodere. Cazie scoppiò a ridere, la bocca ancora su quella di lui, e lo allontanò: era più forte di quanto ricordasse. Goffamente, ridendo ancora, rotolò giù dal letto e si avviò alla porta.

— Non qui, Jack. Vieni, non vorrai perderti la festa.

— Cazie! Aspetta! — La sentì correre con delicatezza attraverso l’appartamento e dire al portone di ingresso di aprirsi. Jackson afferrò un paio di pantaloni e li infilò. Le corse dietro, a piedi e a torso nudi, sperando di non svegliare Theresa. Cazie era scomparsa. Jackson spalancò la porta di casa.

— Buona serata, dottor Aranow — gli disse la porta. — Devo cancellare la sveglia per domani mattina?

— Sì — disse Jackson. — No. Cazie!

Lei si era già infilata nell’ascensore che si era chiuso. Mentre lui la guardava impotente, la porta si riaprì. Lei era in piedi lì, nuda, infangata e sorridente, e stava abbassando l’inalatore. — Dai, vieni, Jackson. L’acqua è magnifica.

— Devo aspettare, dottor Aranow? — chiese l’ascensore. — O intende rimanere a questo piano?

Jackson entrò in ascensore. Cazie scoppiò a ridere. — Sesto piano, per favore.

— Cazie, sei nuda!

— Tu invece no. Ma si può rimediare. Non è una gran fortuna che la festa si tenga proprio nel tuo condominio? — Allungò una mano, la serrò sulla parte superiore dei suoi pantaloni e lo attirò a sé. Sganciò l’unico fermaglio che lui era riuscito a chiudere quando l’ascensore di bloccò e la porta si aprì.

— Sesto piano, signora Sanders — disse l’ascensore. — Buona serata!

— "Cazie…"

— Forza, Jack! Siamo in ritardo! — Corse lungo il corridoio, dispensando fango. Imprecando, Jackson la seguì.

Doveva tornare a casa immediatamente.

Le natiche di lei, macchiate di fango, si muovevano in alternanza, "destra sinistra destra sinistra". Aveva il sedere sodo ma non tanto da impedire che ballonzolasse un po’ mentre correva. Jackson la seguì.

La festa era da Terry Amory. Jackson conosceva Terry, ma non bene. La porta era aperta. Cazie lo condusse attraverso un arredamento minimalista pseudoasiatico fino alla sala da pranzo. — È arrivato! Diamo inizio ai giochi!

— Appena in tempo — biascicò Terry. — Stavamo per iniziare senza di voi. Salve, Jackson. Benvenuto alla psicobanca.

Sei persone nude, tre uomini e tre donne, stavano oziando in una zona di alimentazione della dimensione della camera da letto di Jackson. Nell’humus organico mischiato secondo i gusti personali era stata versata dell’acqua: il fango che ne risultava era spesso, ricco e delicatamente profumato. Il programma della parete mostrava colori tipici della terra, grigi, marrone e ocra, che si dissolvevano riformando disegni da caverna. Dal soffitto pendevano stalattiti… probabilmente olografiche. Due donne erano sdraiate in atteggiamento disinvolto sopra uno degli uomini; Jackson si accorse che era Landau Carson: quella sera però non indossava api. Landau e Terry erano le uniche due persone che Jackson riconobbe.

La donna che non era stesa su Landau, una rossa slanciata e alta dai brillanti occhi azzurri, disse a Jackson: — Be’, togliti i pantaloni, caro. Non hanno un aspetto molto commestibile.

Jackson prese in considerazione l’ipotesi di andare via. Cazie, però, respirò un’altra boccata di qualsiasi sostanza le stesse strapazzando il cervello. Quella piccola pazza. Sapeva almeno cosa c’era nell’inalatore? Non sapeva che si trovavano droghe, in commercio, che causavano danni permanenti al cervello, alterando i tracciati neurali prima ancora che il Depuratore Cellulare avesse l’opportunità di distruggerle?

— Dammi l’inalatore, Cazie.

Con sua grande sorpresa, lei lo fece, consegnandoglielo con atteggiamento mite. Quando lui allungò la mano per prenderlo, lei lo spinse nel terreno di alimentazione.

Jackson provò un’ondata di furia. Che quella pazza si distruggesse pure il cervello. Che si scopasse ognuno di quei dementi, di tutt’e due i sessi. Era malata, aveva una sanità mentale inferiore a quella di Theresa e con molte meno ragioni. Che andasse all’inferno. Si trascinò in piedi per andarsene quando vide i coltelli.

Erano dodici, infilati ordinatamente in riga a punta in giù su un apposito supporto. Le else erano tutte di forma differente, ornate di crudeli animali intagliati che facevano eco ai dipinti da caverna del programma per la parete. Coltelli da lancio ma non ben equilibrati. Deliberatamente.

— Ho io la pittura — disse la rossa. Dette una sniffata all’inalatore. — Chi è il primo?

— Prima i neofiti — propose Cazie. — Prima io e poi Jackson.

— Ecco qui — cantilenò Terry. — Lascia che ti assista, come disse il Cro-Magnon al Neanderthal. Ummmm, bene. — Infilò una mano nel vaso e passò la pittura del colore del sangue seccato sui capezzoli di Cazie. Quindi, liberamente, sulla peluria macchiata di fango in mezzo alle sue cosce. Cazie sorrise.

La rossa le passò una cintura con un piccolo pulsante scuro davanti. Armeggiando e ridendo, Cazie la fissò attorno alla vita e premette il pulsante. Jackson notò il debole scintillio di uno scudo personale a energia-Y avvolgerla tutta.

Cazie avanzò a fatica nel fango fino alla parte opposta della stanza. Si appoggiò contro la parete, sotto una stalattite, con le braccia distese lungo il corpo dopo avere dato un altro tiro all’inalatore. Terry annunciò: — Diritto di prelazione per chi ospita, signori e signore — e allungò una mano verso il supporto con i coltelli.

Jackson rifletté in fretta. Se lo scudo era di tipo standard, come pareva, un coltello non lo avrebbe trafitto di certo. Terry avrebbe potuto mirare alle zone dipinte del corpo esposto di Cazie, che non erano realmente vulnerabili. Era solo un gioco, un brivido fasullo, una simulazione di pericolo.

— Piacere o dolore? — rifletté Terry in maniera teatrale. La sua mano passò sopra un coltello dopo l’altro. — Dolore o piacere? E per un corpo così bello, così pieno e maturo, piacere o dolore? — scelse un coltello.

Mentre Terry lo liberava dal supporto, Jackson notò che anche la lama del coltello era avvolta dallo scintillio di uno scudo a energia-Y. Un brivido improvviso gli passò per la spina dorsale.

La rossa sprofondò nel fango a pancia in giù, si girò nella depressione formata dal suo corpo e rotolò sulla schiena, macchiandosi di fango. Poi si sollevò sui gomiti per avere una visuale migliore di Cazie. I suoi seni conici si alzavano e abbassavano a ogni respiro.

Terry lanciò il coltello e Cazie emise un grido.

Jackson arrancò nel fango. Cazie non era ferita: il coltello era incastrato nella parete e Cazie rise di lui. — Ti ho ingannato, tesoro!

Prima che reagisse, Terry lanciò un altro coltello. Jackson lo vide volare nell’aria, "era" sbilanciato, i coltelli erano studiati per rendere difficile colpire il bersaglio, e colpì il seno sinistro di Cazie, a sinistra del capezzolo dipinto. Il coltello rimbalzò contro lo scudo e cadde nel fango.

— Nessun punto! — annunciò la rossa. — Male, male, pessima mira, caro Terry.

— Ancora un tiro — disse l’uomo che Jackson non conosceva. — Amico di Cazie, togliti dai piedi, per favore. Non riusciamo a vedere e siamo troppo aggrovigliati per riuscire a muoverci.

— Io potrei non muovermi mai più — disse una delle due donne che stavano avvinghiate a Landau Carson. — Oh, fallo di nuovo, Landau.

Un terzo coltello fischiò nell’aria, mancò Cazie e si infilzò nella parete.

— Tre tiri e sei fuori, Terry — sentenziò Landau. — Il prossimo sono io.

— Come lanciatore?

— Non pensarci nemmeno. Come bersaglio, ovviamente.

Landau prese il posto di Cazie contro la parete. Cazie si gettò nel fango sulla pancia e usò l’inalatore. Jackson guardò la rossa dagli occhi azzurri scegliere un coltello, con grande carica drammatica, e lanciarlo contro i genitali di Landau. Andò a bersaglio e rimbalzò nel fango.

— Uuuummmm — fece Landau. — Che bello.

— Sai perfettamente che non puoi sentire niente attraverso lo scudo, Landau — disse Cazie. — Irina, tre punti. — Lei sollevò di nuovo l’inalatore. Aveva gli occhi lucidi.

Irina lanciò il secondo coltello e fece cilecca.

— Oh, non farti venire il singhiozzo proprio adesso — implorò Landau. — Colpiscimi, amore.

Lei lo fece. Il terzo coltello colpì appena al di sopra del cazzo eretto di Landau. Tutti scoppiarono a ridere e applaudirono. — Sei punti! — gridò Terry. — Irina, cosa scegli?

Irina guardò sorridendo Landau. Lui la fissò con grande aspettativa. Jackson si accorse del sottile cambiamento di atmosfera nella stanza: c’era una tensione diversa, più spessa e incandescente.

— Scelgo di provare io stessa il coltello — disse Irina.

Landau apparve dispiaciuto ma c’era qualcosa d’altro in quel dispiacere, pensò Jackson, qualcosa di incongruo: sollievo? Guardò nuovamente il supporto con i coltelli, avvolti nello scintillio degli scudi. Perché erano schermati?

— Aspetta — disse Cazie. — Non scegliere ancora, Irina. Terry, aiutami, fannullone.

Cazie e Terry raccolsero dal fango i sei coltelli già lanciati. Mentre ricercavano nella densa fanghiglia, Terry spalmò velocemente una goccia di fango sulla schiena di Cazie come se lei fosse stata di sua proprietà. All’improvviso Jackson capì che Terry aveva già fatto del sesso con Cazie. Forse come parte del generale rotolamento nel fango che rappresentava il preambolo al gioco coi coltelli. Jackson sentì il petto serrarsi e bruciargli.

— Va bene, adesso ci sono tutti — annunciò Terry. — Irina, scegli.

Dodici coltelli, sei scintillanti e sei infangati, stavano eretti, come falli, sul loro supporto. Irina vi si inginocchiò davanti, nel fango, con le labbra increspate, prolungando il momento della scelta. Gli altri osservavano, col fango seccato sui magnifici corpi modificati geneticamente, coi volti tesi e gli sguardi incandescenti. Landau si sfregò le dita sulla clavicola. Una delle donne si mordicchiò il labbro inferiore.

— Questo — indicò Irina.

Estrasse un coltello pulito, con una rozza testa di mammut intagliata sull’elsa. Irina vi fece sopra qualcosa col pollice. Lo scintillio dello scudo-Y scomparve.

— Piacere o dolore, dolore o piacere — cantilenò dolcemente Landau. — Piacere o dolore…

Irina sorrise a tutti, a turno. Quindi passò la lama sulla tenera carne dell’avambraccio macchiata di fango. Uscì del sangue. Una donna si contrasse. Landau mostrò i denti.

Per un lungo istante nessuno si mosse. Quindi Irina crollò nel fango a faccia in giù, contorcendosi. Cazie la afferrò e la tirò su in posizione seduta.

— Piacere! — gracchiò Landau.

Il volto di Irina si trasformò. Tirò indietro la testa, inarcò la schiena e il suo intero corpo prese a fremere. Poi crollò di nuovo contro Cazie, tremando. Chiuse gli occhi.

— Una dose forte — commentò Terry. — Fortunata Irina.

Cazie scoppiò a ridere. Jackson non riuscì a guardarla. Dovette girarsi parzialmente, in piedi nel fango fino alla caviglia.

Si trattava di uno stimolatore nervoso selettivo, che puntava direttamente ai centri del piacere. Dava assuefazione, degenerazione ed era illegale. Il sangue colava dal tenero braccio di Irina. Il Depuratore Cellulare se ne sarebbe preso cura: avrebbe guarito il taglio più velocemente di quanto avrebbe fatto il corpo privo di aiuto, distrutto batteri infettivi, consumato il fango nella ferita. Nessun rischio.

— Che cosa c’è sui coltelli del "dolore"? — chiese.

— Proprio quello. Lo stimolatore funziona direttamente sul cervello — rispose Terry.

— Davvero sgradevole — disse Landau. — E sembra durare un’eternità.

— Siete tutti malati — intervenne Jackson. — Tutti quanti.

— Oh, caro — commentò Landau. — Altra morale.

— Jackson, è una "festa" — protestò Cazie. — Non fare il musone.

Lui la fissò con espressione vacua. Lei gli sorrise, cullando teneramente Irina. Quella gente era biologicamente sottoeccitata. La sottoeccitazione produceva un comportamento che ricercava il brivido. Ne avrebbe potuto recitare a memoria i tratti neurochimici: livelli insufficienti di ossidasi monoamminica, serotonina e cortisolo. Battito cardiaco rallentato, bassa conduttanza della pelle, alta soglia di inneschi nervosi. Eccesso di dopamina, squilibrio di norepinerfina e alintilomase. Più, ovviamente, tutti gli squilibri che producevano con gli inalatori.

Conoscere la biochimica non modificò il suo disgusto.

— Vieni, Cazie. Noi ce ne andiamo. Io e te. Adesso.

Lei continuò a sorridergli, nuda, coperta di fango, la sognante e comatosa Irina fra le braccia. Ovviamente si sarebbe rifiutata di seguirlo. Si era sempre rifiutata di fare tutto quello che lui le aveva chiesto. Il suo umore cambiò all’improvviso, facendogli provare un temibile entusiasmo. Lei si sarebbe rifiutata. Quindi, vedendola così con quei disgraziati sottoeccitati… dopo quello, lui si sarebbe liberato di Cazie. Finalmente. Sarebbe finita. Lui sarebbe stato libero.

— D’accordo, Jackson — acconsentì Cazie. — Vengo.

Adagiò con attenzione Irina nel fango e si alzò, togliendosi un bel grumo di fango dal polso.

— Ehi, Caz, non puoi andartene adesso! — disse Terry. — La festa sta appena cominciando!

— E io sono la prossima — si lamentò una donna. — Chi vuole lanciare?

— Appannaggio del perdente — ordinò Landau. — Visto che Irina non ha scelto me per il coltello.

— Cazie! Non andare!

— Buona notte — salutò Cazie. — Dite a Irina che la chiamerò domani. — Prese Jackson per mano. Lui la lasciò cadere: svuotato, infuriato, intrappolato d’amore.

Lei lo seguì docilmente fino all’ascensore, lungo il corridoio, non incontrarono nessuno, erano le tre del mattino, fino all’appartamento. Nella doccia. Jackson notò che lei aveva lasciato l’inalatore alla festa.

— Mi dispiace, Jack — disse Cazie quando furono puliti. — Non pensavo in maniera lucida. Era ovvio che non ti sarebbe piaciuta una festa simile. È soltanto che… mi mancavi.

Lui la fissò, cercando di conservare il proprio disgusto, capendo che aveva fallito. — Non sentivi la mia mancanza. Volevi soltanto un po’ più di eccitazione. Le uniche esperienze che hai mai ritenuto degne di avere erano quelle intensamente eccitanti.

— Lo so.

— Non è normale, Cazie. Le persone normali non hanno bisogno di una costante eccitazione pericolosa per sentirsi felici!

— E c’è un numero maledettamente alto di Muli che non sono normali. Che non lo sono più. Stringimi, Jack.

Jackson restò rigido, senza muoversi. Lei lo cinse con le braccia e gli si premette contro. Il pene nudo di lui si alzò fino all’ombelico della donna. Il seno morbido di Cazie gli respirava dolcemente nel petto.

— Oh, Cazie… — Era un lamento, metà di desiderio, metà di sconfitta. — No…

— Sarò dolce — gli mormorò lei contro il collo. — Tu sei così bravo a prenderti cura di me.

Effettivamente rimase dolce. Tenera, gentile: una Cazie vulnerabile che non tratteneva nulla e dava tutto. In seguito, si addormentò contro la spalla di Jackson, accoccolata vicino a lui come una bambina. Le lenzuola erano bagnate dei corpi che non avevano asciugato dopo la doccia e degli umori dolciastri dell’amore.

Jackson rimase steso e sveglio al buio, stringendola, desiderando che non fosse venuta via con lui dalla festa, desiderando che non lasciasse mai più la sua camera da letto, desiderando essere una persona diversa da quello che era: più risoluto, più in grado di mantenere la rabbia, più capace di cancellare quella donna.

C’erano neurofarmaci che l’avrebbero aiutato a farlo, modificando la sua neurochimica, riequilibrando trasmettitori, ormoni ed enzimi. Meno CRF. Più testosterone. Meno serotonina. Ancora meno inibitori di dopamina. Più ADL.

Come le persone alla festa. Terry, Irina e Landau.

No.

Non riuscì ad addormentarsi. Dopo essersi girato e rigirato nel letto per una mezz’ora, si alzò. Baciò Cazie su una guancia, infilò una vestaglia e si recò in biblioteca.

— Caroline, messaggi, per favore.

— Sì. Jackson — disse il suo sistema personale con il tono di voce leggermente formale che lui preferiva. — Ci sono quattro messaggi. Li devo elencare nell’ordine di ricezione?

— Perché no? — Si versò un whisky dalla bottiglia sul tavolino.

— Messaggio da parte di Kenneth Bishop. da Wichita. Soggetto: Stabilimento di Willoughby. — Era il responsabile tecnico della TenTech. Finalmente aveva controllato l’impianto difettoso. Una settimana dopo. Forse la TenTech aveva bisogno di un nuovo responsabile. Cristo, Jackson odiava avere a che fare con quelle grane.

— Messaggio da Tamara Gould. da Manhattan. Soggetto: festa. — L’ultima cosa di cui aveva bisogno Jackson quella sera era un’altra festa. Cazie forse ci sarebbe voluta andare? Se ce l’avesse portata, sarebbe rimasta con lui un po’ più a lungo?

— Messaggio da Brandon Hileker da Yale. Soggetto: riunione di classe. — Oh, Dio, erano già passati dieci anni da quando aveva preso la laurea? Una riunione. "E cosa fai tu Jackson? Il medico? Non è un po’… obsoleto?"

— Messaggio da Lizzie Francy. Soggetto: progetto neonato. — "Neonato? Progetto?" Ma che significava? Forse era accaduto qualcosa al piccolo che Jackson aveva aiutato a partorire la settimana prima? Perché chiamarlo "progetto"? Ma, in fondo, che ne sapeva Jackson di come chiamassero le cose i Vivi?

— Caroline, passami quel messaggio, per favore.

Il volto di Lizzie si formò sullo schermo a parete. A differenza dell’ultima volta in cui l’aveva vista, l’espressione di Lizzie era sveglia e i capelli ben pettinati. I suoi occhi neri scintillavano. Il suo modo di parlare, notò, sembrava da Mulo, non da Vivo. Opera di Victoria Turner?

— Lizzie Francy per il dottor Jackson Aranow. Dottor Aranow, la chiamo perché ho bisogno del suo aiuto. Si tratta di un progetto connesso con la salute dei bambini: non soltanto del bambino che lei mi ha aiutato a partorire, ma di tutti i bambini della tribù. E forse anche di altre tribù. — Esitò e il tono della sua voce cambiò. — La prego, mi richiami. È davvero importante. — Un’altra esitazione e poi un curioso e leggero inchino con il capo. — Grazie.

— Fine messaggio — disse Caroline. — Desidera inviare una risposta?

— No. Sì. — Se il bambino aveva avuto un qualche tipo di incidente… "progetto"? — Registra messaggio.

— Registrazione.

— Dottor Jackson Aranow per Lizzie Francy. Ti prego di fornirmi ulteriori dettagli sul tuo problema. Forse il bambino ha bisogno di cure mediche? Se così, allora…

Con sua grande sorpresa, il volto di Lizzie in diretta interruppe la sua registrazione. Erano le quattro e mezzo del mattino. Come mai si sovrapponeva al suo sistema personale? E come faceva a riuscirci?

— Dottor Aranow, grazie per avere richiamato! Io… noi abbiamo disperatamente bisogno del suo aiuto. Non potrebbe…

— Il bambino sta bene?

— Il bambino sta bene. Vede? — Allargò la visuale dello schermo e lui vide che stava allattando il neonato.

— Allora perché hai detto che questo "progetto" riguardava la salute del bambino?

— È "così". Ma a lungo termine. Non sapevo a chi altro rivolgermi. È un progetto davvero importante!

Jackson ebbe la sensazione di dover riattaccare. Vivi. Era sempre un errore farsi coinvolgere da loro. Fornire le necessità basilari per pura carità umana, sì. I Muli avevano tentato di farlo: non era stata colpa loro se i Vivi avevano rifiutato il contratto sociale, beni in cambio di voti, per il quale erano stati riforniti del necessario. Al di là di questo, i Vivi erano complicati. Maleducati, arroganti, ingrati, pericolosi. Inoltre la vista del seno gonfio di Lizzie in bocca al neonato lo metteva stranamente a disagio. Pensò a Cazie, addormentata nel suo letto.

Lizzie disse: — Ha mai sentito parlare di una donna che si chiama Ellie Sandra Lester?

Jackson trasse un profondo respiro. — Sì — disse. — Vai avanti.

Interludio

DATA TRASMISSIONE: 28 Novembre 2120

A: Base Selene, Luna

VIA: stazione Terrestre Boston, Satellite CEO 1453-L (U.S.), Stazione di Terra Luna City

TIPO MESSAGGIO: Codificato

CLASSE MESSAGGIO: Classe B, Trasmissione Privata a Pagamento

GRUPPO DI ORIGINE: GeneModern, Inc, Boston, Massachusetts

MESSAGGIO:


Signora Sharifi,

come già detto nelle nostre due precedenti trasmissioni, la GeneModern è interessata a conseguire una partnership economica con Base Selene per lo sviluppo della diffusione commerciale del vostro prodotto brevettato, Depuratore Cellulare™. Crediamo che le nostre strutture di ricerca, fra le migliori del mondo, siano riuscite con successo a duplicare alcuni degli aspetti non brevettati del suo innovativo lavoro nel campo della biologia cellulare (vedi documenti allegati). Il resto rimane non soltanto di sua proprietà ma, siamo onesti, anche al di là delle nostre attuali capacità. Quello che noi possiamo portare nella partnership con Selene è una capacità produttiva incomparabile, una rete di distribuzione internazionale superba e un interesse di investimenti di alta qualità. Le nostre prime due prerogative potrebbero risultare più necessarie per voi di quanto non fossero in precedenza, visto la vostra nuova sistemazione a Selene. L’ultima vi solleverebbe dal carico finanziario cui dovete esservi sottoposti durante la prima campagna. Inoltre, il nostro sistema di sicurezza informatico, progettato da Kevin Baker, si inserisce fra i migliori in assoluto (vedi documentazione allegata).

Crediamo che le opportunità commerciali di una partnership GeneModern/Selene siano senza precedenti. La GeneModern la invita, di conseguenza, a rispondere nel più breve tempo possibile.

Cordiali saluti,

Gordon Keller Browne, Amm. Del.

GeneModern, Inc.

CONFERMA RICEZIONE: Nessuna

7

— Perché non hai chiesto a "me"? — disse Vicki. — Ti avrei potuto aiutare in questa storia esattamente come Jackson Aranow.

— Lui è un Mulo — rispose Lizzie. Non sopportava quando Vicki era arrabbiata con lei. Vicki era la protettrice di Lizzie. Era questo il suo programma.

— Lizzie anche "io" sono un Mulo — ribatté Vicki.

— Ma tu non vivi con i Muli, tu. Non conosci più nessuno. Il dottor Aranow conosce altri Muli, lui. — Lizzie notò che il proprio linguaggio stava scivolando indietro a quello dei Vivi, cosa che accadeva soltanto quando era eccitata o sconvolta. Si rotolò sulla schiena e incrociò le braccia sul petto.

Le due donne erano stese sotto la tenda dell’area di alimentazione e stavano consumando una tarda colazione. Erano sole, se si eccettuava Dirk, che dormiva accanto a loro sul terreno caldo e asciutto. Un metro e mezzo sopra la loro testa, il debole sole di novembre era talmente potenziato dalla plastica speciale della tenda che i nuovi coni a energia-Y inviati dal dottor Aranow dalla TenTech non erano stati ancora accesi. La luce solare penetrava nella pelle di Lizzie: a lei sembrava di sentire il corpo assorbire le sostanze nutrienti dal terreno e l’energia dall’aria. Era risentita con Vicki per avere interferito con quella sensazione solitamente così deliziosa.

— Ho pensato che il dottor Aranow potesse sapere di Harold Winthrop Wayland e di Ellie Lester ed era così — spiegò Lizzie.

Vicki si scansò i capelli dal volto e corrugò la fronte. — Va bene, che cosa ha detto Jackson di Wayland? Quali informazioni ti ha dato che io non avrei potuto scoprire per te?

— Il Supervisore Distrettuale Wayland è morto e quindi…

— Quello lo sapevamo già!

— …la persona che avrebbe dovuto darne notifica al governo statale era la sua bisnipote. Ellie Lester.

— Bisnipote? Ma quanto era vecchio il supervisore distrettuale?

— Non lo so. Lei comunque è la parente più prossima e doveva avvertire lo stato in modo che venissero organizzate delle elezioni speciali per ricoprire la sua posizione. E lei non lo ha fatto.

— Be’, è evidente — commentò Vicki. — Perché darsi tanta pena se nessuno vota più, visto che i Vivi si spostano in continuazione come nomadi? I nomadi non hanno indirizzi elettorali. Nemmeno depositi distrettuali. Niente voti, niente depositi, niente bisogno di un supervisore distrettuale. Comunque è sempre stata una carica utile solo per entrare in politica: non conferiva alcun potere fra i Muli.

Lizzie insistette, cocciuta: — Lei doveva comunicare comunque alla capitale dello stato che c’era bisogno di elezioni speciali.

Vicki sorrise. — Rimango sempre attonita dalle regole che tu ritieni debbano essere rispettate e da quelle che invece sei disposta a infrangere. Non esistono spauracchi nella tua testa incoerente.

— Cosa?

— Lascia perdere. — Comunque effettivamente è strano che il sistema non fosse programmato per avvisare automaticamente il governo della morte ufficiale di un pubblico ufficiale in carica. Ma ancora, forse ha avvisato Harrisburg. Che cos’altro ti ha detto Jackson Aranow di Ellie Lester?

— Non molto — rispose Lizzie. — Ma sembrava… strano nei suoi confronti.

— Strano in che senso?

— Non saprei. Ha detto anche che ci aiuterà.

— Non abbiamo bisogno di lui.

— Be’, verrà comunque. Questo pomeriggio.

— E si porterà dietro di nuovo la feroce Cazie Sanders per proteggersi?

— Non so.

— Se provavi un bisogno così viscerale di trovare un aiuto addizionale fra i Muli, avresti potuto scegliere qualcosa di meglio di Jackson Aranow.

Lizzie non rispose. Cullò Dirk nella speranza che si svegliasse e volesse mangiare. Dirk non la criticava e rappresentava una fonte di delizia infallibile: un neonato calmo, non piagnucolone, che stava già cominciando a sorridere. Sua madre diceva che era aria nella pancia, ma non era vero: più nessuno aveva l’aria nella pancia. Era soltanto un’idea di sua madre che rovinava il piacere a Lizzie, proprio come stava facendo Vicki. Lei, Lizzie, non avrebbe mai fatto una cosa simile a Dirk.

Non gli avrebbe mai detto che sbagliava, non lo avrebbe mai stuzzicato, non avrebbe mai assunto quel tono di voce che strapazzava un bambino e gli rovinava ogni progetto. Lizzie sarebbe stata una madre perfetta. Non avrebbe commesso un solo errore con suo figlio. Quando Dirk veniva allattato, i suoi occhi azzurro scuro si fissavano senza incertezze sul volto di Lizzie, e con quel corpicino compatto e solido fra le braccia lei sentiva che sarebbe potuta morire di felicità. Lo teneva avvolto in tessuto non consumabile, così che il suo corpo non si nutrisse di altro e non diminuisse il periodo dell’allattamento. Non avrebbe mai lasciato Dirk in asso. E avrebbe reso il mondo più sicuro, per Dirk, indipendentemente da "quanto" Vicki rovinasse i suoi progetti.

— A proposito di diavolo. Ecco che arriva un’aeromobile — annunciò Vicky.

Il dottor Aranow atterrò dietro l’edificio, accanto all’area di alimentazione. Lizzie e Vicki indossarono delle tute non consumabili, vecchissime e un po’ rattoppate, ma ancora calde e dai colori sgargianti. Le tute non sbiadivano. Quella di Lizzie era gialla, quella di Vicki turchese. Vicki sorrise mentre infilava la camicia, un sorriso che a Lizzie apparve divertito e di superiorità. A volte Lizzie pensava che Vicki non le piaceva più come da bambina.

— Lizzie. Signorina Turner — disse il dottor Aranow, appena superato il lembo della tenda.

— Il buon dottore — commentò Vicki, ancora sorridendo. Il dottor Aranow arrossì. Lizzie sentì che stava perdendo qualcosa. Si tuffò a bomba sul punto in questione.

— Dottor Aranow, abbiamo bisogno del suo aiuto. Abbiamo un piano ma abbiamo bisogno di lei per portarlo avanti.

— Lo hai detto anche nel collegamento. Come sta il bambino?

— È magnifico, lui — Lizzie sentì la propria voce cambiare di tono e notò il modo più dolce in cui i due Muli la guardarono. Si sentì un po’ più in pace con Vicki. — Ciuccia come un aspirapolvere.

— Bene — commentò il dottor Aranow. — Mi piacerebbe visitarlo, dopo.

— Per quale motivo? — chiese Vicki. — Infezioni? Arrossamento da pannolino? Vene varicose?

— Esistono ancora deficienze strutturali ed endocrine — rispose altezzoso il dottor Aranow. — Il Depuratore Cellulare elimina solo i difetti di funzionamento, non ricostruisce ciò che manca.

Lizzie esclamò: — Ma Dirk non ha deficienze, lui!

— No, sono certo che non ne ha — le disse il medico cercando di tranquillizzarla. — È soltanto un controllo di routine. Ma prima, che cosa sarebbe questo piano per cui avete bisogno di aiuto?

— Si tratta… no, da un’altra parte — suggerì Lizzie. Una piccola folla si dirigeva verso di loro: Tasha, Kim, George Renfrew e il vecchio signor Plocynski, mentre Scott e Shockey ispezionavano l’aeromobile. Al momento Lizzie non aveva parlato a nessuno del suo progetto se non con Vicki. E se fosse arrivata anche sua madre? Lizzie non aveva voglia di rispondere alle domande di Annie.

— Quale altra parte? — chiese Vicki. Stava sorridendo di nuovo.

Il dottor Aranow propose: — Saliamo in aeromobile e decolliamo.

— Nervoso, Jackson? — chiese Vicki. — Non siamo luddisti, sai. Quella che vedi sul volto di Shockey non è rabbia, è invidia.

— Sì, nell’aeromobile — confermò Lizzie. Qualcuno forse le avrebbe impedito di salirci con il dottor Aranow?

Non lo fece nessuno. Era un’aeromobile più grande di quella dell’ultima volta: aveva quattro sedili. Lizzie salì davanti, col bambino, Vicki, dietro. In silenzio, il dottor Aranow fece decollare il veicolo, volò per un chilometro e mezzo fino al fiume (così in fretta!) e atterrò sulla sponda. L’erba era avvizzita e gli steli spessi degli aster rinsecchiti. Rocce grigie e acqua fredda. Sulla sponda opposta, un coniglio che sembrava avere la rabbia sfrecciò via. Lizzie desiderò che l’aeromobile fosse atterrata in qualche altro posto, ma ebbe paura di dirlo. La paura la fece infuriare con se stessa e sentì le parole che le uscivano a voce alta, sfrontate e da Vivo.

— Il Supervisore Distrettuale Wayland è morto, lui. Abbiamo chiamato il suo ufficio per chiedere l’apertura di un deposito perché noi vogliamo restare, noi, nello stesso posto anche in inverno. Il programma ha risposto che noi non eravamo registrati come votanti nella Contea di Willoughby e che non potevamo avere gettoni per il deposito senza essere registrati. Poi il programma ha detto che era necessario avere la residenza da tre mesi. Ci siamo messi in lista e abbiamo aspettato tre mesi. Sono scaduti ieri. Allora abbiamo richiamato e il programma ha detto che il Supervisore Wayland non era disponibile.

— "Morto" è decisamente non disponibile — commentò Vicki dal sedile posteriore. Lizzie la ignorò.

— Allora ho saccheggiato qualche banca dati per scoprire dov’era il supervisore. Non era da nessuna parte. Ho controllato nel database delle morti. È morto un mese fa. Lei era indicato come il "medico certificante".

— Già — ammise il dottor Aranow. Aveva un’espressione vacua.

— Allora ho continuato a indagare, io, per scoprire come mai Harrisburg non faceva elezioni speciali, come si dovrebbe quando un servitore eletto muore. È saltato fuori che il governo statale non sapeva nemmeno che il supervisore distrettuale era morto.

Il dottor Aranow confermò: — Ho controllato anche io dopo la tua chiamata. Tutti sostengono che si tratti di un difetto nel sistema.

— Oh, sì, certo — commentò Vicki. — Fammi un po’ indovinare, Jackson. Durante l’inspiegata assenza di Wayland non sono stati autorizzati servizi distrettuali che quindi non sono costati niente a nessuno. La bisnipote di Wayland ha il controllo della sua intera e non scarsamente considerevole fortuna, il che è una bella coincidenza, visto che è stato il suo sistema di casa quello che ha creato il buco di programma con Harrisburg.

Il dottor Aranow si girò sul sedile per guardare Vicki. — Conosci Ellie Lester?

— No. Però conosco i Muli.

— Dal punto di vista di quello che se ne è andato? Come Lord Jim conosceva la marina mercantile?

— Più come Orazio conosceva le legioni romane.

Di che cosa stavano parlando? Lizzie aveva perso il controllo della conversazione. Disse a voce alta: — E così ho detto a Harrisburg che dovevano indire elezioni speciali e mi hanno risposto che avevano in programma di farlo. Il primo aprile. Ci sono due candidati e tutti e due hanno programmato discorsi per la campagna elettorale sul Canale 63. Però…

Vicki la interruppe. — I due discorsi, naturalmente, conterranno le stesse stanche promesse, le stesse insignificanti dichiarazioni di fornire servizi consistenti e affidabili. Nel frattempo, ci sono esattamente duecentosessanta votanti registrati per elezioni extra-enclave nella Contea di Willoughby. La nostra tribù, più qualcuno delle enclavi di montagna in cui si trovano quei Muli che si sono trasferiti fuori da Manhattan nelle residenze estive, durante le Guerre del Cambiamento. Quelli che sono scappati dalla rivoluzione. Lavoratori unitevi, non avete altro da perdere se non i vostri depositi.

Lizzie proseguì: — Così noi…

Vicki riprese: — L’idea, in parte, è che tu, sfruttando le tue impeccabili credenziali da Mulo, possa scoprire i veri interessi politici di questi due candidati con lo scopo di…

Lizzie esclamò: — Lo dico io! — così forte che Dirk si svegliò e sbatté le palpebre. — Vicki, questo lo dico io. È un’idea mia.

— Mi dispiace, piccola — si scusò Vicki, appoggiando una mano sulla spalla di Lizzie. Fu quasi peggio.

— Non sono piccola. Te l’ho già detto tante volte!

A quel punto, Vicki e il dottor Aranow si scambiarono uno sguardo, e Lizzie si accorse che i due si divertivano alle sue spalle e si arrabbiò così tanto che non le importò nulla del fatto che, per la prima volta, i due sembrassero essere d’accordo su qualche cosa. Non le interessò nemmeno che fosse una buona cosa per il progetto. Pensavano tutti e due che lei fosse ancora una bambina. E tutti e due avrebbero avuto modo di scoprire maledettamente bene che non era così. Lei era Lizzie Francy, il migliore pirata informatico del paese, era una mamma e avrebbe reso il mondo un posto migliore per il suo bambino. Da sola, se fosse stato necessario. "Quello" sì che li avrebbe fatti ricredere, perché il suo piano avrebbe funzionato e nemmeno le leggi dei Muli l’avrebbero fermata, quella volta.

Disse con voce glaciale: — Noi eleggeremo un nostro candidato, noi, come supervisore distrettuale. Qualcuno della tribù. Un Vivo.

Ecco, così andava meglio. Il dottor Aranow la stava guardando come se fosse davvero riuscita a sorprenderlo, lei. Come se lei fosse stata una che perfino un Mulo doveva notare!

Poi, però, l’espressione dell’uomo cambiò. Le disse gentilmente, anche troppo gentilmente: — Ma Lizzie, anche se ci riuscissi, anche se fossi in grado di fare eleggere un Vivo supervisore distrettuale, non sai che i Muli pagano le tasse fornendo servizi a loro spese? In cambio di voti? In quel modo ottengono il potere per creare leggi che vadano bene a loro e voi popolazione ottenete i beni e i servizi per sopravvivere. Ma se venisse eletto un Vivo, come potrebbe rifornire un deposito? Non avete i soldi per cominciare. Vedi, mia cara…

— Non parlarmi come se fossi una bambina, figlio di puttana!

Il dottor Aranow sbarrò gli occhi. Alle sue spalle, Lizzie riuscì a sentire Vicki che si scuoteva dalle risate, contenendole a mala pena. In quel momento li odiò tutti e due. Quanto meno, però, aveva ottenuto l’attenzione del dottor Aranow. Fra le sue braccia, Dirk si mosse e cominciò a piagnucolare. Lizzie abbassò la voce, e il bambino riprese a dormire.

— Ne so più io di lei, sull’argomento. Non tutti i rifornimenti dei depositi vengono acquistati con i soldi personali dei politici. C’è un fondo di denaro proveniente dalle tasse che tutti devono versare che viene diviso fra le contee della Pennsylvania e si può prelevare da lì quello di cui si ha bisogno. Quel denaro… io lo voglio.

— Ecco, Jackson… non siamo bene aggiornati sulle nostre procedure governative, vero? — mormorò Vicki. — La medicina è un’amante che pretende così tanto.

— Voglio quel credito — ripeté Lizzie perché il dottor Aranow era rimasto davvero impressionato per la prima volta. Oppure sbalordito. Era sbalordito? Era così impossibile per un Vivo essere eletto? Si sentì assalire di nuovo dai dubbi. Forse non poteva funzionare sul serio… Sì. Poteva. Lei l’avrebbe fatto funzionare.

Il dottor Aranow chiese: — Tu? Personalmente? Vuoi candidarti come supervisore distrettuale?

— Non io — rispose Lizzie. — Non sono abbastanza grande. Bisogna avere diciotto anni.

Il dottor Aranow si guardò alle spalle. — Signorina Turner?

— Oh, certo — rispose Vicki. — Un Mulo pentito. Nessuno delle due fazioni voterebbe per me. Ma non essere così terrorizzato, Jackson, non abbiamo intenzione di chiedere a te di presentarti.

— Certo che no — confermò Lizzie. — Si candiderà Billy Washington. Soltanto che lui non lo sa ancora.

Il dottor Aranow chiese: — Billy Washington? Quell’uomo anziano, negro, che mi ha levato di torno tua madre quando stavo cercando di farti partorire?

— Hai una bella memoria per i nomi. Sei già quasi un politico — commentò Vicky.

— Sì, quello è Billy — disse entusiasta Lizzie. — Il mio patrigno, lui. Lo farà, se glielo chiederò "io". Farebbe qualsiasi cosa per me e Dirk.

— Il "progetto per la salute dei bambini" — disse il dottor Aranow. Fece una smorfia. Non era precisamente un sorriso. — Capisco. Be’, la vostra campagna dovrebbe essere abbastanza interessante. Che cosa intendete fare? Registrare tutti i Vivi nomadi come votanti nella Contea di Willoughby almeno tre mesi prima delle elezioni, promettere loro accesso ai depositi se voteranno per il signor Washington e poi, semplicemente, sgominare i candidati dei Muli divisi sfruttando il vostro maggior numero?

— Sì — rispose Lizzie eccitata. — So che possiamo farcela!

— Non ne sarei così sicuro. I due partiti politici tradizionali mobiliteranno anche i loro votanti, sai.

— Ci abbiamo già pensato. Faremo presentare tutti i votanti ma nessuno di loro si registrerà prima delle 11:30 della sera del 31 dicembre, l’ultimo giorno utile prima della scadenza dei tre mesi. Per i candidati dei Muli sarà troppo tardi per organizzare la registrazione di altre persone. Non sapranno mai da che cosa sono stati colpiti.

— E i numeri indicano forse…

— Ci sono soltanto quattro piccole enclavi nella Contea di Willoughby — spiegò Lizzie. La sicurezza di sé le tornò in un baleno. — E sono enclavi estive. Il totale dei votanti registrati, anche per le elezioni interne delle enclavi, è soltanto di quattromilaottanta. Tutto qui. Non sappiamo quanti Vivi si trovino nella contea, al momento, ma probabilmente più di quanti immaginiamo, in paesi abbandonati, fattorie e fabbriche come la nostra. Per superare l’inverno. Possiamo farli registrare qui.

— Per il loro immenso orgoglio civico — disse Vicki. Lizzie si accorse che non stava sorridendo.

— Bene — commentò lui. — Buona fortuna. Ancora una domanda: come fate a sapere che io non andrò in giro a raccontare a tutti quello che so di questa storia così che un maggior numero di Muli possano iscriversi qui prima del 31 dicembre?

— Non lo farà, lei — disse Lizzie. Il bambino si agitò fra le sue braccia e lei spostò il peso del corpicino piccolo e solido. — Abbiamo bisogno di lei, noi.

— Per che cosa? — Appariva nervoso e, ancora una volta, Lizzie si sentì piena di sicurezza. Era in grado di rendere nervosi i Muli.

— Per due cose: abbiamo bisogno che lei si informi sui due candidati. Susannah Wells Livingston e Donald Thomas Serrano: come si dividono i votanti?

— Perché — intervenne Vicki — se un candidato otterrà il cento per cento dei voti, Lizzie dovrà far registrare molte persone in più di quelle di cui avrebbe bisogno se fosse sicura che il voto fosse diviso come fra cannibali e missionari. Oppure se, per dire, uno dei candidati fosse accidentalmente morto come Harold Wayland.

Il dottor Aranow si voltò sul sedile per affrontarla. — Non prendi le cose particolarmente sul serio, eh?

— Al contrario — rispose Vicki. — È così che parlo quando sono seria. Quando sono frivola, faccio discorsi pontificanti e altamente pretenziosi. Come questo: c’è un modo per guardare la storia che riporta tutti gli eventi più significativi alla natura di personalità chiave modellate da ambienti molto limitati. Questa teoria sostiene che Napoleone, Hitler, Einstein e Ballieri hanno cambiato il mondo così profondamente proprio a causa delle ristrettezze e delle difficoltà patite durante l’infanzia.

— Chi è Napoleone? — chiese Lizzie. — O… che nome hai detto? Ballieri?

— Non sai chi era Ballieri?

— No.

— Lewis Ballieri? Secolo scorso?

— No! E non me ne frega un accidente a me! — Perché Vicki non riusciva proprio a comportarsi come una persona normale? Ma se lo avesse fatto… Se lo avesse fatto non sarebbe mai finita a vivere con i Vivi, e Lizzie non avrebbe mai avuto… cercò di allontanare quel pensiero.

Vicki disse al dottor Aranow: — Ho dimostrato la mia tesi.

Lizzie cambiò presa su Dirk e si sporse in avanti, verso il medico: — C’è una seconda cosa che vogliamo da lei.

— E cioè?

La ragazza non riusciva a decifrare l’espressione dell’uomo: il suo volto sembrava non cambiare mai. Trasse un profondo respiro. — Abbiamo bisogno della sua aeromobile.

— La mia aeromobile?

— In prestito. Dobbiamo andare a cercare altri Vivi, noi, e non li possiamo contattare in rete perché la linea potrebbe essere sorvegliata. Il nostro piano deve restare segreto. Quindi abbiamo bisogno di setacciare la contea in volo per trovare tutte le tribù presenti nelle montagne e nelle valli, per visitarle. Può pilotare Vicki. Lei è capace. La prego. Ne abbiamo bisogno soltanto per qualche settimana. Quando Billy sarà stato eletto, utilizzeremo i crediti delle tasse per acquistare siringhe del Cambiamento e coni-Y. È per i "bambini".

Il dottor Aranow restò seduto in silenzio. Fuori, il vento si intensificò, sferzando il fiume gelido e formando piccole ondate spumeggianti. Una cornacchia atterrò su una roccia grigia, gracchiando. Alla fine, il medico disse con gentilezza: — Lizzie, non potrai ottenere siringhe del Cambiamento con un deposito. Le poche che sono rimaste non sono in vendita a nessun prezzo. Ogni organizzazione dei Muli del paese ha tentato di raggiungere Miranda Sharifi a Selene per implorarla di mandarne altre… Non lo sapevi? Selene non risponde mai. Eleggere Billy Washington come supervisore distrettuale della Contea di Willoughby non cambierà le cose.

— Allora ci procureremo le vecchie unità mediche per i bambini — disse Lizzie. Abbracciò stretto Dirk. E se non fosse stato Cambiato, e se lei avesse dovuto preoccuparsi in continuazione per le infezioni, l’acqua non potabile e i vermi. Per la prima volta, Lizzie immaginò cosa era stata la maternità per sua madre. Caspita, Annie doveva avere avuto paura ogni minuto che a Lizzie succedesse qualcosa! Com’erano riusciti a vivere in quel modo i genitori? Lizzie rabbrividì.

Il dottor Aranow iniziò: — Non penso…

— Sì, invece — lo interruppe Vicki e la sua voce era cambiata nuovamente, in una tonalità che Lizzie non aveva più sentito da tempo. Vicki parlava al medico come faceva con Lizzie quando era una bambina, piccola e malata. — Probabilmente tu pensi troppo, Jackson. Questa volta, però, non farlo. Agisci e basta. Ti sentirai meglio se farai questa cosa per i Vivi e senza preoccuparti a morte. Ti costerà davvero poco.

— Non cerchi di tiranneggiarmi, signorina Turner.

— Non lo faccio. Cerco solo di sottoporti il nostro caso, il caso di Lizzie, in tutti i suoi aspetti. Adesso anche tu rappresenti un aspetto. Non hai chiesto di esserlo, lo sei e basta. Se dici di no, è una presa di posizione proprio come se dici di sì. Qui non ci sono muretti su cui stare seduti. La scelta è tua. Tutto quello che io cerco di fare è articolare il problema a livello verbale.

Lo sguardo di Vicki si fissò in quello del dottor Aranow. Lizzie si chiese se Vicki avrebbe tirato fuori la signora Aranow, o come diavolo si chiamava la donna che Vicki diceva essere l’ex moglie del medico. Lo aveva ancora in pugno, aveva detto Vicki. Lizzie non capiva proprio come potesse essere così. La famiglia ti possedeva, forse, la tribù, ma non chi aveva deciso di lasciare la tua tribù. Caspita, era come dire che Harvey poteva influenzare le decisioni di Lizzie solo perché era il padre di Dirk! Il mondo non funzionava in quel modo. Tuttavia, se menzionare la signora Aranow poteva aiutare il dottore a prendere posizione contro i Muli… era meglio però che Lizzie lasciasse fare a Vicki. Era Vicki il Mulo, dopo tutto. Anche se nessuno nella tribù glielo avrebbe mai rinfacciato.

Vicki disse con tono differente: — Jackson, non desideri mai che la guerra di classe fosse terminata in modo diverso? Che le due fazioni non pagassero il prezzo che noi stiamo pagando?

Per Lizzie quelle parole non avevano alcun senso. Che prezzo stavano pagando i Muli? I Muli erano servitori pubblici, avevano il compito di gestire le cose in modo che i Vivi si divertissero. Quanto meno lo facevano un tempo. Ormai avevano tante cose meno da fare. Non erano contenti? Come potevano aver pagato un prezzo non fornendo più depositi, unità mediche, catene alimentari e il resto? Avevano risparmiato denaro e lavoro. Vicki diceva sciocchezze.

Però il dottor Aranow stava fissando davanti a sé, attraverso il finestrino dell’aeromobile. Lizzie aveva la sensazione che non vedesse né il fiume, né i campi, né i boschi freddi. Vedeva un altro posto, altre persone oltre lei e Vicki. Chi?

— D’accordo — acconsentì Aranow. — A una condizione. Non questa aeromobile. Non voglio che venga avvistata, seguita e che il mio sistema sia sovraccaricato da messaggi infuriati di persone che una volta mi erano amiche. Vi fornirò un’aeromobile presa in leasing da una qualche compagnia di comodo in un altro stato.

— Oh, grazie, dottore! — esclamò Lizzie. Si sporse in avanti e baciò il dottor Aranow su una guancia. Il movimento spinse il suo seno contro il viso di Dirk che, sognante, cominciò a succhiare. Quando trovò della stoffa fra la bocca e il capezzolo, piagnucolò facendo smorfie. Lizzie aprì la camicia e gli porse il seno.

Ce l’aveva fatta. Era riuscita a procurarsi un’aeromobile.

— E si informerà anche sugli altri candidati, lei? Per favore? — chiese.

— Perché no? — Non sembrava contento come aveva sperato Lizzie.

— Rallegrati, Jackson — disse Vicki. — L’impegno politico fa male soltanto quando comincia a salire la prima corda.

— Lei è una bella filosofa pastorale, vero? Potremmo fare in modo che, come parte dell’accordo, lei smetta di darmi lezioni?

— Ma ti piace così tanto. Guarda Cazie.

— "Vicki" — sibilò Lizzie. Il medico, però, sorrise. Non era un sorriso dolce ma era pur sempre un sorriso. Non era infuriato con Vicki per il suo odioso commento. Perché no? Lizzie non avrebbe mai capito i Muli.

E non era necessario. Lui aveva promesso. Lizzie aveva vinto.

Tutto quello che le restava da fare era convincere Billy, ma quello sarebbe stato semplice. Billy non le aveva mai negato nulla in tutta la sua vita.


— No — disse Billy.

— No? No?

— No, non lo farò, io.

— Ma… è per Dirk!

Billy non rispose. Lui e Lizzie stavano seduti su un tronco caduto nel bosco novembrino, i cappotti aperti in un pomeriggio che all’improvviso si era fatto caldo. Billy amava il bosco. Prima del Cambiamento era l’unico a East Oleanta abituato a passeggiare nel bosco per conto suo, per starsene un po’ solo con gli alberi. Ormai lo facevano anche altre persone, ma Billy era rimasto l’unico che ci si recava anche in inverno, rimanendovi per giorni interi. Quanto meno per tutti i giorni che Annie gli permetteva. E proprio quando Annie cominciava a lamentarsi e a bofonchiare per la sua assenza, proprio in quel preciso istante, sembrava sempre a Lizzie, Billy tornava a casa, camminando nell’accampamento con il passo forte che aveva assunto dal giorno del Cambiamento, e non trascinando i piedi da vecchio come aveva fatto prima. Sulla tuta di Billy si sarebbero trovate foglie umide attaccate e ramoscelli nei suoi capelli, e Annie avrebbe strillato quando Billy l’avesse abbracciata perché non si era fatto la barba per lungo tempo. Tuttavia l’avrebbe abbracciato anche lei, forte, prima di ricominciare a lagnarsi e a bofonchiare.

Lizzie sapeva che avrebbe trovato Billy nel bosco a controllare le trappole per conigli e ne aveva seguito le impronte nel fango. Quando Billy voleva nascondersi nessuno riusciva a rintracciarlo, ma quella volta evidentemente non gli interessava. Lizzie aveva lasciato Dirk con Annie. In quel momento desiderava avere portato il piccolo. Forse Dirk avrebbe fatto cambiare idea a quel vecchio testone di Billy.

Billy era troppo vecchio, lui. Ecco il problema. Anche se i vecchi erano in buona salute e forti, dopo il Cambiamento, restavano vecchi nella testa. Pensavano in modo vecchio. Lizzie sì sforzò di calmarsi per ragionare con Billy.

— Perché non vuoi candidarti come supervisore distrettuale, tu? Non capisci che ci aiuterebbe ad avere tutte le cose di cui abbiamo bisogno, come nuovi robot e unità mediche per altri bambini e terminali migliori? Ma non capisci?

— Certo che capisco.

— Be’, allora perché non vuoi presentarti alle elezioni? Funzionerà, Billy!

— Se mi presento io, no.

Lizzie lo fissò. Il vecchio strappò un ramo da un acero morto e cominciò a smuovere il terreno.

— Lizzie, vedi questa terra? Dovrebbe essere gelata, a questo punto di novembre.

— Che cosa c’entra con…

— Aspetta. Il motivo per cui la terra non è gelata è perché abbiamo avuto un autunno caldo, noi. Nessuno poteva prevederlo. È successo e basta. Ma noi non sapevamo che poteva succedere, e ci siamo preparati per un inverno rigido, noi. Tutte le coperte e le tute che abbiamo arraffato, la casa della tribù sigillata contro l’aria, i coni che tu e Vicki avete procurato alla TenTech.

Lizzie aspettò. Non aveva senso far fretta a Billy. Lui faceva sempre quello che voleva lei, ma a volte gli occorreva un bel po’ di tempo per arrivarci.

— Ci siamo preparati, noi, per le difficoltà che vedevamo arrivare, anche se non sono arrivate. Fare qualcosa di meno è da stupidi. Giusto, tesoro mio?

— Giusto — commentò Lizzie. Billy continuò a trafiggere il terreno col bastone.

— Se tu e Vicki farete queste elezioni dei Muli, dovete prevedere tutto quello che potrebbe arrivare, voi, e prepararvi. I Muli non sono stupidi e non giocano onestamente come il clima. Quando ci sono di mezzo i Vivi, i Muli sono sempre freddi.

"Non Vicki o il dottor Aranow", voleva dire Lizzie, ma non lo interruppe.

— Se mi candiderò come supervisore distrettuale, io, perderemo. Nessuno voterà per me. Non soltanto nessun Mulo, nemmeno nessun Vivo, al di fuori della nostra tribù. Proprio come non voterebbero per te o Annie. Noi siamo stati i primi a essere Cambiati, quelli che hanno seguito Miranda Sharifi nel laboratorio sotterraneo e che le abbiamo chiesto, noi, se ti aiutava quando eri così malata. Quelli che hanno davvero visto Miranda e le hanno parlato.

— Ma sono tutte cose buone, queste!

— Sì. Ma sono cose diverse. Diverse da quelle degli altri. E alla maggior parte della gente non piacciono le cose diverse. Li mettono a disagio, loro. Non senti mai di cosa parlano i canali della contea?

Lizzie non lo faceva. Aveva troppi database più importanti, più interessanti da esplorare piuttosto che ascoltare le infinite chiacchiere intertribali, le voci e i ridicoli progetti sulle stazioni locali. "Qualcuno ha detto, che un amico ha sentito su un canale dei Muli a New York che certi tipi a Baltimore sono riusciti a rimettere in sesto una pista per scooter… Quindi se sei di Glenn’s Falls, tu, conosci la mia cugina di secondo grado, Pamela Cantrell, è alta circa un metro e sessanta… Abbiamo un campo di alimentazione, noi, tanto grosso da…"

— La gente parla — disse Billy. — E nonostante il Cambiamento, la gente non si fida delle idee e dei progetti che sono troppo diversi da quelli che è abituata a vedere. Forse proprio a causa del Cambiamento: abbiamo già vissuto tante novità, noi. Ed ecco che arrivi tu, con un’altra idea nuova, forse un’idea pericolosa, se i Muli si arrabbiano con te. Se anche gente diversa come me può candidarsi per diventare servitore pubblico, be’, allora tutti si sentiranno così a disagio, loro, che non voteranno per me.

— Ma…

Billy proseguì con il suo tono gentile: — Inoltre noi siamo la famiglia, noi, che ha fatto arrestare Miranda dall’Ente di Controllo per gli Standard Genetici, anche se non ne avevamo intenzione e anche se poi l’hanno lasciata andare, lei. "Miranda Sharifi." No, Lizzie, tesoro caro, nessuno voterà per me in una elezione di Muli. O per Annie, per te, o per Vicki. Nessuno.

— E allora per chi? — gridò Lizzie. — Per chi voterebbero, loro?

— Qualcuno non troppo poco familiare. — Billy si alzò. — Qualcuno che faceva il sindaco, magari. I Vivi sono abituati ai sindaci, loro, che facevano come un po’ parte del governo.

Era vero, rifletté Lizzie. I sindaci dei paesi dei Vivi, quando erano esistiti paesi abitati, erano Vivi che parlavano come i Muli. Che si collegavano in linea, quando ogni paese aveva una linea di comunicazione, prima delle Guerre del Cambiamento. Il sindaco era preso in giro perché lavorava come un Mulo, mentre tutti gli altri non facevano che divertirsi, anche se i sindaci di allora non lavoravano duramente come facevano tutti, ormai. Tuttavia, il sindaco era sempre stato considerato uno scemo tuttofare: un vero Vivo aristo non serviva, veniva servito. Dai Muli. Almeno era ciò che pensavano, ai tempi, tutti quelli che conosceva Lizzie.

Il sindaco però era una persona abituata a negoziare con i Muli, a fare rapporto quando si rompeva qualcosa, a presentare le richieste dei votanti ai servitori pubblici neoeletti, a chiamare la polizia, i guardiacaccia o i tecnici quando ce n’era bisogno. Forse Billy aveva ragione. Forse i Vivi della Contea di Willoughby sarebbero stati più contenti di votare qualcuno che era stato sindaco. Ma un sindaco avrebbe accettato di candidarsi per le elezioni?

— Conosci qualche ex sindaco, Billy? Nella nostra tribù non ce n’è nessuno.

Billy sorrise a Lizzie, ancora seduta sul ciocco.

— Sì che ne abbiamo uno, noi. Non lo sai? Ecco cosa guadagni se saccheggi tutti quei dati importanti invece che parlare con la gente.

Lizzie si sentì riscaldare da una piccola fiamma. Billy era orgoglioso della sua abilità di trafugare dati. Billy era sempre stato orgoglioso di lei, anche quando era una bambina che rimetteva insieme i robot rotti, cercando di imparare senza avere un sistema vero e proprio.

— Chi è sindaco, Billy?

— Chi "era" sindaco.

— Va bene… chi era sindaco?

— Shockey — disse Billy, e Lizzie sentì la bocca spalancarsi in una grossa "O". Billy sorrise. — È sorprendente vero scoprire quali persone saltano fuori in quali posti, eh? È la cosa più importante che il Cambiamento mi ha insegnato, tesoro. La cosa più importante. Non sappiamo mai praticamente niente, noi.


— Non è affatto sorprendente — disse Vicki. — Ecco, prendi Dirk, vuole mangiare.

Lizzie prese il piccolo. Il solito familiare calore la percorse solo ad accoglierlo fra le braccia. Si sedette contro la parete di cemespugna del suo loculo e aprì la giacca della tuta color girasole. L’affamata boccuccia di Dirk le si agganciò al capezzolo come un missile a ricerca termica. Un brivido, mezzo materno, mezzo sensuale, le passò per il corpo, dal capezzolo al ventre all’inguine. Lizzie si vergognava ancora un po’ di quel brivido, non le sembrava giusto esserne eccitata! Però le succedeva ogni volta, e alla fine si accontentò di tenere quella sensazione per sé. Tuttavia le aumentava l’irritazione che provava verso Vicki, seduta lì vicino, sul suo letto, con l’espressione di quella che sapeva sempre tutto. Vicki non aveva mai partorito né allattato un bambino.

— Be’, "io" sono rimasta sorpresa e lo era anche Billy — ribadì Lizzie. — Shockey! Non sembra proprio il tipo di persona che è stata il sindaco di qualche posto!

Vicki sorrise. — Che tipo di persona ritieni che si dia alla politica?

— Uno come era Jack Sawicki. Interessato ad aiutare il suo villaggio e che se ne fregava se la gente a volte lo prendeva in giro. Shockey si infuria anche se soltanto ci provi a prenderlo in giro e non penso che abbia mai voluto aiutare gli altri in vita sua.

Vicki chiese in modo innocente: — È questo il motivo per cui tu spalleggi la sua audace avventura politica? Perché provi il desiderio bruciante di aiutare le altre tribù della Contea di Willoughby?

— Ovviamente io… — cominciò Lizzie e si fermò. Vicki riprese a sorridere.

— Lizzie, tesoro, le persone che si danno alla politica nel novanta per cento dei casi sono come Shockey. Vogliono un guadagno personale, vogliono potere e vogliono che il mondo giri come preferiscono loro. Proprio come tu vuoi i beni da deposito e vuoi avere un potere sui soldi delle tasse per te e per la tua tribù. L’unica differenza fra…

— Ma io non voglio queste cose soltanto per me! Le voglio per Dirk, Billy, la mamma e…

— Davvero? Se Billy e tua madre andassero a sud, domani, e se il munifico Jackson Aranow ti consegnasse tutti i beni che vuoi e aprisse un conto corrente a nome di Dirk, tu non lasceresti perdere tutto questo regale progetto? Eh?

Lizzie non rispose.

— Non pensavo proprio. Non c’è assolutamente niente di male, Lizzie, nel guardare i propri interessi. Se non sono l’unica cosa che guardi. Una persona che conoscevo mi disse una volta…

"Ecco che ci risiamo" pensò Lizzie. Spostò in una posizione più comoda il peso di Dirk che succhiava avidamente.

— …che ci sono cinque stati in cui può esistere una relazione umana. Qualsiasi relazione: un trattato internazionale, un matrimonio, un dipartimento di polizia, qualsiasi cosa. Soltanto cinque stati possibili. Uno: sano negoziato da posizioni fondamentalmente alleate. Due: distacco completo senza alcun patto di mutuo soccorso o interazione significativa. Tre: dominio-dipendenza, come quella dei Vivi con i Muli. Quattro: lotta nascosta per il dominio senza grandi scossoni o veri e propri combattimenti. Cinque: guerra dichiarata. Finché stai dentro le leggi elettorali ti trovi in una situazione di lotta nascosta per i tuoi interessi. Non c’è niente di male. Ma lo fa anche Shockey, soltanto in modo un po’ più grezzo rispetto alla maggior parte dei politici. Scommetterei che è stato sindaco del suo vecchio paese solo per breve tempo, eh?

— Non lo so.

— Potrei scommetterci. Come disse una volta John Locke…

— Non c’è proprio niente che non pensi di sapere già, tu?

Vicki la guardò. Lizzie abbassò lo sguardo sul bambino, quindi lo sollevò furiosa su Vicki. Be’, era vero. Vicki le diceva sempre le cose. Come se Vicki sapesse tutto e Lizzie, lei, fosse una specie di scema… Viva.

— A dire il vero so ben poco — rispose tranquillamente Vicki. — Cosa che risulta particolarmente sconcertante se si considera che appena qualche anno fa ritenevo di capire assolutamente tutto.

— Mi dispiace — mormorò Lizzie. Era vero? Non lo sapeva. Vicki la confondeva e lei aveva sempre pensato che Vicki fosse meravigliosa: nulla era rimasto lo stesso.

— Non dispiacerti. — Vicki si alzò in piedi, stiracchiando le gambe. — Ecco che ti guarda, Karl Marx.

— Cosa?

— Nulla, tesoro. Ci vediamo a cena, va bene?

— D’accordo — bofonchiò Lizzie. Osservò Vicki allontanarsi dal loculo e scomparire dietro la tavola di plastica ammaccata e ribaltata che ne formava una delle pareti. Vicki non si voltò. Lizzie strinse forte Dirk, desiderando non avere tirato fuori quella storia su Vicki che sapeva tutto. Vicki era stata buona con Lizzie quando lei era soltanto una bambina, lei. Ma Vicki agiva davvero come se sapesse tutto. Ogni idea che saltava fuori, ogni piano. Perché Vicki era così? Perché era un Mulo?

Lizzie si allungò verso l’alto, cercando di non disturbare il piccolo, finché le dita non afferrarono il cassetto superiore del comò. Tirò giù il terminale. — Ricerca bibliografica.

— Pronta — disse il sistema.

— Definizione in tre frasi di due cose. Primo: "Ecco che ti guarda". Secondo: "Karl Marx".

— "Ecco che ti guarda" era una frase famosa di una registrazione preolografica intitolata Casablanca. Veniva detta durante un brindisi dall’attore principale all’attrice principale. Nel 2090 la frase godette di nuova fama come espressione ironica col significato di "immagino che tu abbia vinto".

"’Karl Marx’ era un teorico politico i cui scritti vennero utilizzati da parecchi rivoluzionari del Ventesimo secolo come base di ribellione. Sosteneva un socialismo che includeva la proprietà collettiva dei mezzi di produzione. Il meccanismo attraverso il quale prevedeva di ottenerla era la lotta di classe.

— Spegnere sistema — disse Lizzie.

— Spegnimento in atto.

Lotta di classe: era quello che lei, Lizzie, cercava? Era così che Vicki considerava realmente Lizzie? E Billy, Annie e… Dirk?

Lizzie sentì la bocca riempirsi di un gusto acido. Deglutì, ma quello non andò via. Era stata sul punto di chiedere a Vicki di andare con lei per spiegare il piano a Shockey. Forse non lo avrebbe fatto. Forse ci sarebbe andata da sola, se era quello ciò che provava Vicki.

Il piccolo aveva finito di succhiare e si era riaddormentato. Lizzie lo strinse forte e si chinò per annusarne il profumo dolce e di pulito. Il gusto acido che aveva in bocca, però, non scomparve.

Trovò Shockey con Sharon e la bambina di Sharon di nove mesi, Callie, che pescava nel fiume approfittando del clima mite. Sharon e Shockey indossavano tute invernali con le giacche sbottonate. Lizzie notò che anche la camicia di Sharon era sbottonata. Ecco come stavano le cose.

Callie era seduta sulla riva del fiume in un cesto da lavanderia di plastica azzurra, e rigirava una papera di gomma sporca nei pugnetti paffuti. Era una bella bambina, con gli stessi capelli castani di Sharon e occhi grandi, ma quando vedeva Lizzie faceva una smorfia, cominciava a piangere e cercava freneticamente in giro sua madre. Annie diceva che tutti i bambini facevano così all’età di Callie. Avevano paura degli estranei e si innervosivano per le novità. Crescendo Callie avrebbe abbandonato quell’atteggiamento, diceva Annie. Be’, Lizzie non passava molto tempo con Sharon ma non era nemmeno un’estranea: appartenevano alla stessa tribù. Sperava che Dirk non avrebbe attraversato uno stadio simile quando fosse stato più grande. Si spostò dalla visuale di Callie.

Sharon e Shockey stavano chini sulle canne da pesca. Sharon ridacchiò e spostò la mano di Shockey dalla canna da pesca alla propria camicia aperta.

— Salve! — salutò Lizzie a voce alta.

— Ehi, Liz — disse Shockey raddrizzandosi. — Se peschiamo qualcosa vuoi anche tu un bel pesce, vero, tanto per cambiare?

Non c’era nulla di sbagliato in quelle parole. La tribù mangiava spesso cibo per bocca: bacche, noci, coniglio arrosto, mele selvatiche. A volte Lizzie provava un’acquolina in bocca che soltanto un sano morso a un cipollotto poteva soddisfare. Il Cambiamento significava semplicemente che nessuno doveva più preoccuparsi di procacciarsi del cibo, non che non lo si potesse mangiare. Non c’era nulla di storto nell’offerta di un pesce da parte di Shockey. Era il "modo" in cui l’aveva detto: gli occhi fissi su Lizzie in atteggiamento di sfida, il mezzo sorriso sulle labbra, la piccola smorfia, la mano ancora appoggiata sul seno nudo di Sharon. La nudità da atto sessuale era diversa dalla nudità da alimentazione; doveva restare una cosa privata. Shockey agiva come se Sharon fosse di sua proprietà. Be’, Lizzie non era di sua proprietà.

Tuttavia si costrinse a sorridere. — Certo, se prendi qualcosa, tu. Ma non è per questo che sono qui. Ho una proposta da farti, io.

Il sorriso di Shockey si allargò e lui strizzò lentamente gli occhi scuri. Lizzie proseguì in fretta: — Billy mi ha detto che facevi il sindaco da qualche parte.

Il sorriso di Shockey svanì. — Davvero? E allora? Qualcuno doveva pure fare il sindaco.

— Hai perfettamente ragione — concordò Lizzie. Lo guardò diritto negli occhi e aggiunse: — E qualcuno dovrebbe farlo ancora.

— Noi non abbiamo più bisogno dei sindaci, noi — disse Sharon.

— Però abbiamo bisogno di un supervisore distrettuale. Harold Winthrop Wayland è morto.

La voce di Sharon aumentò di picco. — Shockey non è un Mulo, lui, Lizzie Francy e tu non te lo dimenticare!

— Certo che non lo è — disse Lizzie. — È un Vivo, lui: è proprio questo il punto.

— Quale punto? — sbottò Sharon, così forte che Callie, allarmata, sollevò lo sguardo dalla papera di gomma. — I Vivi non lavorano, loro, a fare i supervisori distrettuali!

— Il supervisore distrettuale controlla la distribuzione nei depositi. La Contea di Willoughby non ha più un supervisore, quindi non c’è più niente nel deposito. Ma se eleggiamo uno dei nostri, allora…

— Allora continua a non esserci niente nel deposito! Guardati nel cervello, tanto per cambiare, invece di rovistare nelle Reti dei Muli! Shockey non può mettere nessun bene in nessun deposito!

— Sì che potrebbe — ribatté Lizzie. Improvvisamente si era stancata di parlare da Viva con quella stupida ragazza. Conosceva Sharon da una vita ed era sempre stata stupida. — Esiste un fondo di credito statale, in cui si riversano le tasse pagate dalle compagnie, che viene diviso per tutte le contee. Una base di credito a cui si uniscono le tasse pagate dai Muli. Se riusciremo a far registrare un numero sufficiente di Vivi, però, e a far eleggere Shockey, lui potrebbe usare la quota destinata a Willoughby per rifornire il nostro deposito.

— Ma se lui…

— Chiudi il becco, Sharon, e lascia parlare Shockey. — Lizzie sperò che l’allusione che Sharon lo stesse controllando avrebbe fatto arrabbiare l’uomo. Però Shockey non si arrabbiò. I suoi occhi sfrontati sotto le sopracciglia spesse guardavano lontano e la sua mano lasciò Sharon per accarezzare la propria barba scura. Le due donne lo fissarono.

Alla fine disse: — Già.

— "Già"? — strillò Sharon.

— Chiudi il becco, Sharon. Già, lo farò, Lizzie Francy. — All’improvviso prese la bambina e la sollevò in alto sopra la testa. — Che ne dici, Callie, ti piacerebbe vedere il tuo amico fare il supervisore distrettuale?

La piccola strillò deliziata. Apparentemente Callie non considerava Shockey un "estraneo". Sharon si incupì. Lizzie però si accorse che Shockey non vedeva nessuna delle due. I suoi occhi fissavano qualcos’altro, e lui fece la stessa smorfia di quando aveva offerto il pesce a Lizzie. Che cosa aveva detto Vicki? Nella lista dei "generi" di relazioni umane? "Lotta nascosta per il dominio senza grandi scossoni o veri e propri combattimenti…"

— Liz, dimmi soltanto quello che devo fare prima. Sono pronto e sono tutto tuo, io.

8

Quando suonò l’allarme, Theresa era seduta nel suo nuovo studio e lavorava al terminale.

Aveva ricavato lo studio usando la stanza di una cameriera al centro del piano superiore dell’appartamento, inutilizzata probabilmente da prima dell’avvento dei robot-domestici. Theresa l’aveva scelta perché non aveva finestre, ma solo un abbaino, piccolo e in alto, posto sulla parete inclinata fino a un condotto dell’aria da cui poteva vedere solo una chiazza di cielo artificiale. Aveva fatto ripulire e dipingere di bianco la stanza dal robot addetto alla manutenzione e vi aveva portato un terminale e una sedia rigida vecchio stile. L’unica altra cosa che si trovava nella stanza erano le stampe.

Erano attaccate a ogni parete, poster bidimensionali a colori di tutte le oloimmagini che aveva catturato dai notiziari. In una, tre bambini Vivi abbandonati, accucciati insieme e morti, in un banco di neve, i loro volti congelati e ben nutriti, lisci per la tipica salute assicurata dal Depuratore Cellulare.

In un altro, un bimbo giaceva fra le braccia della madre Viva in lutto. La madre, che sembrava sui quindici anni, era chiaramente Cambiata. Il volto del piccolo era devastato da qualche malattia: la pelle era chiazzata e in suppurazione e dagli occhi chiusi filtrava del sangue. La telecamera aveva colto la madre con un palmo a coppa sollevato verso l’alto, privo di una siringa del Cambiamento.

In un’altra immagine, presa col grandangolo da una telecamera aerea, uno scintillante scudo-Y racchiudeva una bella vallata nelle Ozarks. L’intera valle. Lì viveva un solo ricco Mulo, ex finanziere che nessuno aveva più visto dopo il Cambiamento, quando aveva dato una conferenza stampa in cui esultava perché non avrebbe mai più avuto bisogno di avere contatti con alcun essere umano.

In una piccola stampa sulla parete opposta, quattro adulti emaciati, i gomiti come scalpelli, che mangiavano magre coppe di farinata e bevevano acqua sotto una croce di legno su cui erano state incise a fuoco le parole IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO. La malnutrizione segnava le loro gambe storte e i capelli radi. Tutti e quattro sorridevano beatamente alla macchina: i loro sorrisi erano caratterizzati da denti mancanti e gengive gonfie.

Una grande stampa dietro al supporto del terminale mostrava il volto di Miranda Sharifi, coperto con un velo azzurro, tre gigli e un libro di preghiere aperto. Accanto, una stampa altrettanto grande mostrava lo stesso ologramma, pieno di lapidi, bare, candele nere e strumenti di tortura, con le parole: QUANDO L’IMMORTALITÀ, PUTTANA?

C’erano anche altre immagini. Due bambini Muli che giacevano, nudi e ridenti, sul cadavere di un cervo squartato, aperto dal petto alla coda, che si nutrivano direttamente dalla sua carne e dal sangue. Un altro bambino Vivo ammalato, in un paese francese dove non c’erano più siringhe del Cambiamento da quattro anni. Una pubblicità dell’Endorbacio dai colori che rilucevano seducenti, in cui tre Muli dai corpi assolutamente perfetti si nutrivano dal suolo, tranquillamente, con volti sereni, nessuno che guardasse altre persone o altre cose, non avendone chiaramente alcun bisogno.

Jackson non aveva visto quella stanza. Theresa ci andava solo quando lui non era in casa e aveva chiesto a Jason, il sistema dell’appartamento, di non lasciare entrare nessuno lì dentro a parte lei. Ovviamente era probabile che Jackson sapesse come sovrapporsi a quell’ordine ma, anche se avesse potuto, forse non lo avrebbe fatto. Jackson non avrebbe capito quella stanza. Avrebbe pensato a un problema clinico, come quello che definiva la "angoscia neurochimica" di Theresa. Non avrebbe compreso che quella stanza era necessaria.

Il sistema che Theresa aveva di fronte era in modalità schermo, la sua "superficie" piatta a energia era divisa in due, verticalmente, da una spessa linea nera. Sopra la linea c’era una citazione in severe lettere blu: "Perfino un animale può perdere la strada in un terreno sconosciuto, ma soltanto gli uomini e le donne possono perdere se stessi." Christopher Caan-Agee, 2067. Sotto c’era un paragrafo che Theresa aveva scritto nel libro su Leisha Camden:


Leisha aveva un amico. Si chiamava Tony Indivino. Tony era molto più infuriato di Leisha su moltissime cose. A Tony non sembrava giusto che alcune persone avessero tanti soldi e altre avessero così poco. Leisha non ci aveva mai pensato prima che Tony non la facesse riflettere sulla cosa. Leisha scrisse successivamente che Tony le aveva detto: "E se cammini per la strada in un paese povero come la Spagna e vedi un mendicante? Gli dai un dollaro? E se vedi cento mendicanti, mille mendicanti e non hai tutti i soldi di Leisha Camden? Che fai? Che dovresti fare?" Leisha non conosceva la risposta alle domande di Tony.


Theresa studiò il paragrafo. Disse al suo sistema personale, Thomas: — Metti "importante" prima di "amico". Esso lo fece. La ragazza studiò nuovamente la frase. Quindi guardò la frase precedente: "Perfino un animale può perdere la strada in un terreno sconosciuto, ma soltanto gli uomini e le donne possono perdere se stessi". Disse: — Thomas, dammi la seconda citazione della lista.

Thomas le tirò fuori le parole, leggendole forte con la sua corposa voce maschile: — "Ma l’uomo, l’uomo orgoglioso, investito di piccola e breve autorità, massimamente ignorante di ciò di cui è massimamente sicuro, vitrea la sua essenza, crea al pari di una scimmia furiosa magnifici trucchi al cospetto dei cieli da commuovere gli angeli" William Shakespeare. 1554-1615.

— La citazione successiva.

— "L’infelicità dell’uomo deriva, secondo una mia interpretazione, dalla sua grandezza: è perché in lui c’è l’infinito che. nonostante tutte le sue abilità, non può riuscire a seppellirsi del tutto sotto al finito". Thomas Carlyle. 1795-1881.

Ancora una volta Theresa lesse il proprio paragrafo, con "importante" inserito davanti ad "amico". Quindi riascoltò la frase di Carlyle.

Perché mai era così difficile scrivere un libro? Lei sapeva così chiaramente quello che aveva bisogno di dire su Leisha Camden, lo provava così chiaramente. Riusciva perfino a parlarne, con Jackson. Però quando si sedeva davanti al terminale, le parole che pronunciava erano rigide e fredde e sarebbe stato meglio che non avesse mai nemmeno tentato di spiegare al mondo perché Leisha Camden era importante, perché "importava" una vita spesa per qualcosa di determinante come mantenere Insonni e Dormienti un solo popolo. Anche se Leisha aveva fallito: a dispetto degli sforzi di Leisha, gli Insonni si erano ritirati nel Rifugio. Il paese aveva subito una separazione lunga e amara. Jennifer Sharifi era finita in prigione. Leisha aveva trovato la morte in una palude della Georgia, uccisa da Vivi che disprezzavano gli Insonni più ancora di quanto Theresa disprezzava se stessa.

Leisha, però, aveva provato e si era salvata da quello che era divenuto il resto di loro. No, Theresa doveva scrivere quel libro su Leisha. "Doveva". Ma perché era così difficile trovare parole magnifiche come quelle che le riportava Thomas quando lei lo inviava a cercare qualche citazione?

Theresa si asciugò le lacrime dalle guance e guardò nuovamente le stampe appese alle pareti, "massimamente ignorante… crea al pari di una scimmia furiosa magnifici trucchi al cospetto dei cieli da commuovere gli angeli."

— Prendi un neurofarmaco — le avrebbe detto Jackson. — Te ne posso far fare uno che…

— Il sistema di sicurezza dell’edificio è stato infranto — annunciò con voce forte il sistema di casa dal terminale di Theresa. — Non si tratta di un’esercitazione, signorina Aranow. Ripeto, il sistema di sicurezza dell’edificio è stato infranto e non si tratta di una esercitazione. Cosa vuole che faccia?

Infranto? Come era possibile che venisse infranto il sistema di sicurezza dell’edificio? C’erano scudi a energia-Y, serrature… Cosa doveva fare? Jackson era andato da qualche parte con Cazie. Theresa non sapeva cosa dire al sistema. Doveva essere impenetrabile.

Disse: — Serra tutte le porte!

— Sono sempre serrate, signorina Aranow.

Era evidente. I pensieri di Theresa turbinavano. — Mostrami il punto dell’effrazione!

Le prose, sue e di Carlyle, scomparvero dallo schermo. Esso si attivò in modalità olografica e trasmise un’immagine grandangolare dell’atrio dell’edificio. Persone… Vivi!… stavano avanzando verso l’ascensore che disse: — Mi dispiace… questo ascensore si apre soltanto per i residenti e gli ospiti autorizzati. — Un uomo con un terminale portatile digitò qualcosa, e la porta dell’ascensore si spalancò.

Theresa si alzò, ribaltando la sedia. Le batteva forte il cuore. Erano cinque Vivi, quattro uomini e una donna, persone dalle fronti poco spaziose, menti bitorzoluti, orecchie pelose o colli taurini, vestite con vecchie tute invernali. Erano nel suo edificio. Avevano espressioni determinate e una di loro aveva un’unità mobile. Dove l’aveva presa? Durante le Guerre del Cambiamento? Ma erano finite da molti anni, no? Che cosa "avrebbe dovuto" fare?

— Cosa… cosa dovrei fare, Jones? C’è una procedura di sicurezza standard?

— Esiste una sequenza standard contra le intrusioni, organizzata in stadi progressivi. La devo iniziare? Oppure prima vuole parlare con gli intrusi non autorizzati?

— No! No, io… che cosa vogliono?

— Devo passarle un collegamento audio-video del partone tramite Thomas?

— No… sì. E inizia la sequenza contro le intrusioni!

— Tutti gli stadi, in automatico?

— Sì!

L’olopalco mostrò il corridoio fuori dalla porta dell’appartamento. Tre persone, inclusa la donna, avevano delle armi in pugno. Theresa si sentì serrare la gola e mancare il respiro. "No, non adesso, non adesso…" I Vivi non gridavano. Quello con l’unità mobile parlò in maniera calma ma a voce alta, nel tipico gergo da strada: — …prendere per i nostri bambini, noi, altre siringhe del Cambiamento. È tutto quello che vogliamo, noi. Non faremo del male a nessuno. Vi ripeto, io, che quello che vogliamo sono altre siringhe del Cambiamento, sappiamo che lei le ha, dottor Aranow, lei è un medico, lei…

— Andate via! — gridò Theresa. Le parole le uscirono strozzate, incapaci di farsi strada con vigore attraverso l’attacco di panico. Tentò di nuovo: — Andate via! Qui non ci sono siringhe del Cambiamento! Mio fratello non le tiene a casa! — Non era vero. C’erano sedici siringhe del Cambiamento nella cassetta di sicurezza.

— Cosa? Lei è il dottor Aranow, lei? Apra la porta!

— No — piagnucolò Theresa. Non riusciva a respirare.

— Allora entreremo, noi!

La porta d’ingresso si aprì. La procedura di sicurezza… perché Jones non reagiva? Cosa avevano avuto il tempo di fare a Jones quelle persone, e come sapevano come agire? Theresa si strinse le braccia attorno al corpo e prese a ondeggiare avanti e indietro, cullandosi. Jones disse: — Siete intrusi non autorizzati. Se non uscirete immediatamente, questa sistema attiverà le sue difese biologiche.

— Aspetta, Elwood, non…

— Ho abbattuto le difese, io. Avanti!

— Ma tu…

— Le siringhe…

— Attivazione, ora — disse Jones e, all’improvviso, l’olopalco si riempì di gas giallastro che spuntava fuori da tutte le parti. Era "davvero" ovunque. Anche lo studio di Theresa improvvisamente ne fu pieno. Ansimando per tirare il fiato, lei inalò il gas nei polmoni e…

… sentì staccarsi gambe e braccia.

Theresa cadde a terra. Riusciva a vedere braccia e gambe stese accanto a lei, chiaramente staccate. Ma no, non potevano essere sue, perché non c’era sangue. Erano le braccia e le gambe di qualcun altro. Degli intrusi? Ma come avevano fatto ad arrivare fino al suo studio al piano superiore senza gambe? Che strano! Interessante. Ma forse non si trattava delle gambe e delle braccia degli intrusi. E allora, di chi potevano essere?

Allontanò con una spinta la gamba che aveva più vicino. Quella cosa disgustosa non doveva essere davvero sul pavimento. Ma dove era il robot-pulitore? Forse era rotto…

Mentre spingeva via violentemente la gamba staccata, Theresa restò sbalordita nel sentire il proprio corpo sobbalzare. Ma di che diavolo si trattava? Niente sembrava normale. Anche se Jackson diceva sempre che normale era solo un immenso deposito, aveva ragione se "normale" doveva includere anche braccia e gambe che non erano nemmeno sue disseminate per il pavimento del suo studio.

Theresa afferrò un braccio staccato e cercò di lanciarlo dall’altra parte della stanza. Ancora una volta si sentì scuotere il busto e provò un gran dolore alla spalla, cosa che non aveva alcun senso. E come mai il braccio dell’intruso aveva addosso una delle maniche fiorate dell’abito di Theresa? Prima doveva essere andato in camera da letto, essersi cambiato per poi entrare lì e cadere in pezzi. Forse lo aveva mandato Leisha. Sì, quello sì che aveva senso. Leisha era sempre stata compassionevole nei confronti dei Vivi. Compassionevole e priva di paura.

— Theresa! — gridò qualcuno. — "Tess!"

Se ci pensava, però, nemmeno Theresa aveva paura. Era molto calma. Jackson sarebbe stato orgoglioso di lei. Rimaneva calma e pensava a cosa fare. Prima doveva chiamare il robot-domestico perché portasse via dal pavimento gambe e braccia in eccesso. Poi doveva notificare alla polizia dell’enclave l’effrazione. Terzo, doveva scoprire cosa rendeva così belle le frasi di Carlyle, per poterne scrivere di altrettanto belle. Quanto meno, ci sarebbe riuscito il suo sistema personale. Sì, quello aveva senso: avrebbe chiesto al proprio sistema di duplicare la prosa di Carlyle. Dopo tutto, si chiamavano tutti e due Thomas.

— Tess! Siamo… oh, mio Dio!

Theresa sollevò lo sguardo. Cazie le stava sopra e indossava un casco a energia-Y dotato di filtro dell’aria. Cazie sembrava avere tutte le gambe e le braccia. Era interessante: come aveva fatto Cazie a rimanere attaccata alle sue quando Theresa e gli intrusi non ci erano riusciti? Il quarto punto della lista sarebbe stato chiedere a Jackson delucidazioni in proposito. Si trattava probabilmente di un problema medico.

— Qui, respira profondamente. Stai ferma, Tessie, respira il più profondamente possibile, il gas ha bisogno soltanto di pochi minuti per lasciare il tuo corpo. Respira e basta…

C’era qualcosa sopra la sua testa anche se doveva essere fatto di energia-Y perché lei riusciva ancora a vedervi attraverso Cazie. Cazie appariva preoccupata. Non ne aveva alcun bisogno, in realtà. Theresa stava bene. Jackson sarebbe stato orgoglioso: stava bene, era rimasta calma durante un’emergenza, respirando normalmente, aveva compilato una lista razionale delle cose da fare e in quale ordine. Tuttavia doveva comunicare la lista a Thomas. Così sarebbe stata sicura di ricordarla tutta. Thomas l’avrebbe scritta.

Strisciò verso il terminale per farlo. — Respira profondamente — disse di nuovo Cazie ma, prima che Theresa vi riuscisse, tutto diventò nero.


Si svegliò sul divano del salotto. Jackson e Cazie incombevano su di lei. Cazie domandò: — Come ti senti, Tessie?

— Io… c’erano dei Vivi…

— Adesso sono andati via. No, non ti agitare, Tess, è tutto a posto. Li ha presi la polizia dell’enclave e nessuno è rimasto ferito. Non succederà più.

— Ma come… cosa…

Jackson le si sedette accanto e le prese la mano. — Hanno trafugato i codici d’ingresso dell’edificio, Theresa. Nessuno sa come abbiano fatto a entrare nell’enclave. Tutti i nostri sistemi sono stati riprogrammati, comunque: edificio, ascensore e Jones. Cazie ha ragione, non succederà più.

Aveva una voce svuotata. Le stava mentendo.

— Non è stato rubato nulla — proseguì Cazie. — Forse non intendevano portar via niente a parte le siringhe del Cambiamento. Sapevano che Jackson è medico. Sono entrati anche da altri medici. I poliziotti si occuperanno della storia. Non è stato ferito nessuno.

— Ma c’erano braccia e gambe sparpagliate per tutto il pavimento! — esclamò Theresa. Riusciva ancora a vederli, orribili arti staccati. Rabbrividì e ansimò. — E le "mie" braccia e le "mie" gambe…

— Tranquilla, Tess — fece Cazie. — Adesso è tutto a posto. Non c’erano né gambe né braccia sul pavimento e le tue sono perfettamente in ordine. Si è trattato della biodifesa del sistema. Perché non hai indossato la maschera quando lo hai attivato?

— La stai agitando — disse Jackson. — Non lo sapeva. Tess, adesso è tutto a posto, siamo qui. Non hai più bisogno di pensarci.

— Ma… — cominciò Theresa. Le sue dita si stringevano e allentavano su quelle di Jackson, si stringevano e allentavano. — Ma dimmi… che cos’ho respirato? Ti prego, dimmelo, Jackson.

Jackson spiegò con riluttanza: — È un gas che agisce direttamente sulla corteccia parietale, provocando anosognosia. La corteccia parietale controlla il modo in cui la mente percepisce le sensazioni e i movimenti del corpo. In stato di anosognosia la mente è incapace di riconoscere i propri arti ed è anche incapace di capire se c’è qualcosa di sbagliato. La vittima inventa elaborati scenari per spiegare la paralisi degli arti che percepisce. È un ottimo sistema di sicurezza perché consente di scollegare il controllo corporeo senza aumentare la rabbia e il panico che potrebbero portare a reazioni sconsiderate. Inoltre non danneggia nessuno.

— Le braccia e le gambe sul pavimento erano tue — disse Cazie. — I Vivi non sono mai riusciti ad arrivare oltre l’ingresso.

Jackson riprese: — Hai respirato soltanto un neurofarmaco a effetto temporaneo. Anche senza l’intervento del Depuratore Cellulare, l’effetto non dura a lungo. Potresti sentire del formicolio negli arti per un po’, ma non fa male.

Un neurofarmaco. Aveva respirato un neurofarmaco ed era divenuta una persona diversa. Una persona senza braccia e gambe, una persona che pensava che le braccia e le gambe di altri fossero disseminate sul pavimento, una persona che non si era agitata all’idea ma aveva stilato tranquillamente una lista di cose da fare per gestire il problema. Non Theresa. Una persona completamente diversa.

Sollevò lo sguardo su Jackson e, per la prima volta in vita sua, Theresa si accorse di non volerlo vicino. — Tu… tu mi hai fatto diventare qualcun altro.

— No, non sono stato io, il sistema della casa…

— Ma tu vuoi sempre che io prenda neurofarmaci. Che io sia qualcuno diverso da me.

— Non puoi paragonare… — cominciò, ma lei lo interruppe.

— Quella non è la risposta. Non so quale sia, ma non è certo quella. — Lasciò la mano di Jackson e cercò di alzarsi.

Cazie intervenne: — Tess, tesoro, non sei onesta con Jack. Lui voleva soltanto…

— So quello che voleva soltanto — ribatté Theresa e, in qualche modo, li lasciò lì, Jackson colpito e Cazie mesta. Barcollò fino alla sua stanza, camminava in modo così incerto e le braccia e le gambe le formicolavano tanto che pensò che potessero cedere.

Quanto meno, però, erano sue.


L’edificio era posto sul fianco di una montagna, nella zona alta delle Adirondacks. Theresa atterrò con l’aeromobile, che volava ovviamente in automatico, su una striscia artificialmente piatta di terreno nanolastricato che immaginò fosse un parcheggio, anche se non c’erano altri veicoli. Restò a lungo al freddo, guardando semplicemente l’edificio delle Sorelle del Cielo Misericordioso.

Il convento, non di cemespugna ma costruito in pietra vera, si fondeva con la montagna. Roccia grigia, ricoperta qua e là di viticci avvizziti accompagnati alla vegetazione avvizzita d’inverno che cresceva angolata rispetto al terreno scosceso. Era il primo edificio di Muli che Theresa ricordava di avere mai visto, perfino nei notiziari, che non risultava avvolto nella bolla debolmente scintillante di uno scudo a energia-Y. C’era soltanto neve, ammassata dalla corrente. Un po’ di vento sollevò la leggera neve polverosa attorno alle gambe di Theresa, e lei rabbrividì. Si incamminò verso la porta.

Le venne aperta da una donna di mezza età, non da un sistema di sicurezza o da un robot. Una donna (una sorella?) con una tunica grigia e diritta che sembrava di cotone. "Cotone." Tessuto consumabile. Quella vista aiutò Theresa a superare la ritrosia che provava solitamente per gli estranei. Serrò strette le mani e si costrinse a non indietreggiare.

— Io sono… Theresa Aranow. Ho chiamato…

— Entri pure, signorina Aranow. Io sono Sorella Anne. — Le sorrise, ma Theresa non riuscì a ricambiare il sorriso. Sentiva il volto troppo teso. — Sono io quella con cui lei ha parlato in linea. Mi segua dove potremo chiacchierare un po’.

Condusse Theresa attraverso un oscuro atrio in pietra e aprì una pesante porta di legno. Si sentirono dei suoni.

— Oh! Che… che cos’è?

— Sono le sorelle che cantano i vespri.

Theresa si fermò, stupefatta. Non aveva mai sentito cantare in quel modo. Nemmeno da un sistema sonoro, mai. Un glorioso scroscio di suoni, privo di strumenti: soltanto voci umane, ognuna modificata geneticamente per aumentarne l’abilità musicale, che si alzavano in fervente ardore. Non riusciva a distinguere le parole, ma le parole non importavano, era la passione che contava. Una passione per qualcosa di invisibile ma… ma sentito. Una passione…

Sorella Anne le disse gentilmente: — Ha detto in linea che non è stata allevata come cattolica. Aveva mai sentito cantare i vespri?

— Mai!

— Be’, nemmeno la maggior parte dei Cattolici. O di quelli che adesso passano per Cattolici. Venga qui, dove possiamo parlare.

Theresa la seguì in una piccola stanza dalle pareti bianche, arredata soltanto con una scrivania, un terminale e tre sedie. Sedie di legno. Lei esclamò subito: — Ma voi non siete Cambiate. Nessuna di voi.

— No — rispose Sorella Anne sorridendo. — Dobbiamo mangiare, bere e dipendere dai nostri sforzi e dalla grazia di Lui per il nostro pane quotidiano.

— È… è… — Stava tremando. Tuttavia riuscì a fare uscire le parole perché per lei erano importanti. — È una disciplina spirituale?

— Lo è. Signorina Aranow, cominci a raccontarmi perché si trova qui.

— Perché mi trovo qui. — Theresa guardò la suora. Aveva fatto effettuare a Thomas una ricerca. Sorella Anne aveva cinquantuno anni ed era entrata in quell’ordine di semiclausura a diciassette: era una delle ultime ottocentoquarantanove Sorelle del Cielo Misericordioso rimaste al mondo. Nata col nome di Anne Granville Hart a Wichita nel Kansas, aveva ereditato tre milioni di dollari da sua madre, cofondatrice di un marchio di prodotti di panetteria, le Madeleine di Proust. Gli interi tre milioni erano stati donati all’ordine. Perché Anne Grenville Hart si trovava lì? Theresa non poteva chiedere una cosa simile. Obbedientemente, cercò di rispondere alla domanda della sorella, sapendo ancor prima di cominciare che la risposta sarebbe risultata inadeguata, che non avrebbe spiegato realmente tutto quello per cui Theresa non riusciva mai a trovare le parole, comunque.

— Sono qui perché io… io sono alla ricerca di qualcosa. — Aspettò che le venisse chiesto di che cosa: la domanda senza risposta avrebbe portato soltanto a balbettii, a parole confuse e a sguardi perplessi della sorella che si sarebbe spazientita sempre più, finché Theresa non fosse caduta in un silenzio privo di speranza.

Sorella Anne, però, disse: — E lei ha cercato in tutti gli altri posti che le sono venuti in mente, non è riuscita a trovarlo, e così ha tentato qui, presa dalla disperazione. Anche se non riesce nemmeno a definire quello che sta cercando e ha paura che non corrisponda affatto alla visione cattolica di Dio.

— Sì — ansimò Theresa. — Come… come faceva a saperlo?

— Non è la prima a venire da noi — rispose Sorella Anne, serenamente. — E non sarà l’ultima. Penso tuttavia che lei potrebbe essere diversa dalla maggior parte delle altre. Signorina Aranow, perché non è Cambiata?

— Non posso

— Non può? Vuole dire che esiste un qualche impedimento fisico?

— No, no. Voglio dire che io semplicemente… non posso.

— Ha paura di rendere la sua vita troppo automatica. Lei ritiene che nel bisogno fisico abbia inizio la ricerca spirituale, le sue radici e la sua fonte.

— Sì! — esclamò sbalordita Theresa. — Oh, sì! Soltanto…

— Soltanto che cosa, signorina Aranow? — Sorella Anne si sporse in avanti sulla sedia, una sedia di legno naturale ben stagionato che il suo corpo nonCambiato non avrebbe consumato una molecola dopo l’altra, finché la parte solida non si fosse trasformata nello scheletro vuoto di se stessa. La sedia di Sorella Anne sarebbe rimasta una sedia. L’espressione di Sorella Anne era calda come quella di Jackson e Cazie ma in qualche modo diversa, non… non che cosa? Non carica di attenzioni per Theresa, non impietosita, non accondiscendente. Sorella Anne non pensava che Theresa Aranow fosse una debole o una pazza.

Le parole presero a sgorgarle fuori. Guardando quel volto calmo e comprensivo, la paura degli estranei di Theresa scomparve, non si sa come, e le parole si riversarono all’esterno, come un’ondata di marea, irrefrenabili.

— Ho sempre voluto qualcosa, cercato qualcosa, per tutta la vita, soltanto che non ho la minima idea di cosa sia! E nessun altro ha dato l’impressione di avere un tale bisogno o anche solo di capire quello di cui parlavo, perfino persone buone che io so essere buone. Persone che amo. Mi guardano come se fossi pazza. A dire il vero, sono pazza. Sono depressa, soffro di agorafobia e sono fortemente inibita a livello neurologico. Non ho lasciato l’appartamento per oltre un anno, eccetto una volta, e anche in quell’occasione… Nessun altro prova quello che provo io. Voglio che ci sia qualcosa… di grande. Di più grande di me. Qualcosa nell’universo a cui aggrapparsi, che dia alla mia vita un qualche tipo di significato. Ho mentito, sa, confermando che sono nonCambiata perché non voglio che le cose siano troppo automatiche. Sono automatiche, per me. Sono ricca e ho un fratello che mi ama, che si pone fra me e il mondo e non ho mai bisogno di preoccuparmi o di lottare per nulla, certo non per avere il pane quotidiano, che mi viene inviato, cucinato e servito da robot che… mentre la maggior parte delle persone in questo paese è lì fuori senza sicurezza, coni a energia-Y o cure mediche per i bambini che sono nati senza siringhe del Cambiamento. Non che io pensi che il Cambiamento sia un bene, è che sono confusa sul Cambiamento. Lo so. Ma il motivo per cui sono sempre stata diversa è che voglio qualcosa che nessuno può avere. Jackson dice che non può averlo nessuno perché non esiste. Io voglio la verità! Una verità che sia reale e solida e che si possa usare per capire come vivere la propria vita e che cosa significa la vita. Oh, so che non esiste questo genere di verità assoluta e che è stupido e infantile andarla a cercare, ma io "l’ho fatto". Quanto meno ci ho provato. Mi sono fatta aiutare da Thomas per le ricerche sul cristianesimo, lo zen, lo yagaismo, l’induismo e il Testo del Cambiamento Scientifico. Non sono particolarmente intelligente, Sorella, forse è andato storto qualcosa durante la mia fertilizzazione in vitro, e forse non capisco molto di quello che Thomas mi ha riportato. Però ci ho provato. E mi sembra che tutti quei credo si contraddicano a vicenda, che dicano tutti cose diverse e, in questo caso, come possono essere tutti veri? Inoltre si contraddicono al loro interno, con parti dei loro dogmi che non trovano corrispondenza in altre o che non trovano corrispondenza in quello che io mi vedo attorno, nel mondo, e così come può essere vero "anche uno" di loro? Non lo sono! A questo punto però non mi resta altro che questo struggimento, e nessun altro che conosco sembra provarlo, così finisco col trovarmi tanto sola che penso di morire. Ho pensato seriamente al suicidio, ma che effetti avrebbe su Jackson che si sente già così responsabile per me? Non posso. Non sarebbe giusto. Soltanto… come faccio a sapere che cosa è "giusto" se non riesco a scoprire cosa è vero? Quindi vado avanti a vivere in questo "vuoto" e talvolta il vuoto è così grande e buio e denso che penso di soffocare o di perdermi finché non potrò più essere trovata. Non riesco a trovarmi, voglio dire, soltanto che non è me stessa quello che voglio! È troppo poco trovare solo se stessi!

Theresa si bloccò, ansante. Ma cosa aveva detto? Aveva buttato fuori tutta quella roba con un estraneo, quella donna composta che lei non conosceva nemmeno, come una specie di bambina piagnucolante.

— Hai ragione nella ricerca — disse Sorella Anne — ma hai torto nelle conclusioni.

Parlava con estrema convinzione, tuttavia Theresa si sentiva confusa: non riteneva di avere tratto alcuna conclusione, non era mai stata in grado di arrivarvi. Non era proprio quello il problema?

— Non capisco, Sorella.

— Quanti anni ha, signorina Aranow?

— Diciotto — e aspettò il sorriso. Non arrivò.

— Ha detto che i credo che ha esaminato, dallo yagaismo allo zen, si contraddicono tra loro, e che sono contraddittori al loro interno o confronto all’esperienza osservata e che quindi non possono essere veri. È quello il suo errore.

— Come? — interrogò Theresa. — Qual è il mio errore?

— Sono tutti veri. Tutti, fino all’ultimo dei credo che lei ha nominato. Oltre all’ateismo, il druidismo, il cannibalismo e la devozione al demonio.

Theresa la fissò sbalordita.

— Il fatto è, mia piccola bambina perduta, che la verità non è così semplice. È solida, ampia e tanto lucente da spazzare via le tenebre… ma non è semplice.

— Non capisco. — Theresa si sentì mancare. Ebbe un’improvvisa immagine di Cazie che osservava Sorella Anne da un angolo della stanzetta dalle pareti bianche: Cazie con la testa inclinata, gli occhi dorati accesi di disprezzo, che sorrideva alle spalle di loro due. Che sorrideva sempre. "Ironia, Tessie. Non perdere l’ironia."

— Tutto risulta vero, in diverse circostanze. Gli uomini sono buoni, gli uomini sono peccatori. Dio è onnipotente e Dio non può scegliere per ogni anima. L’amore è più grande della giustizia e la giustizia è più grande dell’amore. In quale altro modo la Chiesa poteva cambiare nel corso di oltre due millenni ed essere ancora la Chiesa? A volte le eresie devono essere sradicate e distrutte, e a volte gli eretici devono essere accolti, a volte ancora, gli eretici siamo noi stessi. Tutto questo è vero. Tuttavia l’umanità non può vedere tutta la verità nello stesso momento e così, in ogni epoca, vediamo quello che possiamo. Ci sono mode nella verità come in tutto il resto. E, sotto le mode, regna la grandezza.

— Ma Sorella, se tutto è vero…

— Allora il compito del singolo è di mettere da parte l’egotismo della percezione e di vedere tutto quello di Dio che ognuno può.

L’egotismo della percezione. Theresa lottò con quel concetto. — Vuole dire che non possiamo vedere tutto e che dobbiamo fidarci del fatto che il resto esista? Sulla fiducia?

— Questo è una parte. Ma c’è di più. Dobbiamo mettere da parte letteralmente la piccolezza delle nostre percezioni, i limiti delle nostre percezioni, e vedere ciò che prima ci era nascosto.

— Ma "come"? — E poi, più pacatamente: — Come?

Sorella Anne si alzò e si avvicinò alla porta. La aprì e il suono glorioso si riversò nuovamente nella stanza: trenta, cinquanta voci innalzate nel canto, ardenti e pure, un impeto inebriante e fragrante come il profumo delle notti estive. Theresa chiuse gli occhi e si chinò in avanti, come se il canto fosse un flusso fisico e lei vi stesse entrando.

— Così — fece Sorella Anne.

"L’ironia è sempre la migliore difesa contro l’autoillusione" diceva Cazie.

— È anche la miglior difesa contro qualsiasi sentimento genuino — rispose tranquillamente Sorella Anne, e Theresa sbarrò gli occhi e sentì il cuore accelerare, finché non si rese conto che doveva avere pronunciato le parole di Cazie a voce alta.

Anche Theresa si alzò, senza saperne il perché. I vespri si alzavano e abbassavano attorno a lei, un mare di suono dolcissimo, palpabile e possente come un’ondata di acqua fresca. Il cuore le accelerò nuovamente, ma senza il rischio che le venisse un attacco. Respirava lentamente e profondamente. "Sì", disse qualcosa in una parte profonda della sua mente. "Sì, sì, sì!"

La suora la osservò attentamente. — Pochissime persone appartengono effettivamente a quest’ordine, signorina Aranow.

— Io sì — disse Theresa, e le sembrò di non avere mai parlato con una tale sicurezza in vita sua. Era passato, allora: l’incertezza, la sensazione di essersi persa, la terribile paura. Soprattutto la paura. Dell’estraneo, dell’alieno, del diverso. Passato. Era a casa.

Sorella Anne sorrise: per Theresa, quel sorriso si fuse con la maestà della musica, divenne la musica.

— Penso che sia così. Vuole sottoporsi adesso ai test del sangue e cerebrospinali preliminari?

Theresa ricambiò il sorriso. — Test?

— Da usare come base eventuale per i neurofarmaci studiati appositamente per lei.

— I miei… cosa?

— Creiamo una miscela personale per ogni postulante, ovviamente. Il nostro laboratorio, che condividiamo con i Gesuiti di Sarnac Lake, è uno dei migliori al mondo. Il prodotto per lei eguaglierà qualsiasi cosa disponibile a Boston, Copenaghen o Brasilia, per ogni finalità.

Theresa disse, legnosa: — Io non prendo neurofarmaci.

— Certo non ne ha mai presi come questi. Per questo scopo, con questo risultato. Non ancora.

— Non ne prendo affatto. — Si sentì sopraffare dalle vertigini che soffocarono anche la musica. Allungò le mani alla ricerca dello schienale della sedia.

— Capisco — rispose Sorella Anne. — Proprio come è nonCambiata. Ma Theresa, questa non è la stessa cosa. I neurofarmaci presi per la grande gloria di Dio… Che cosa aveva capito quando le ho detto che noi mettiamo da parte l’egotismo della percezione? Quella è una funzione cortico-talamica.

— Non so che cosa avevo capito — bofonchiò Theresa. Le vertigini si fecero più intense. Si aggrappò allo schienale della sedia.

— I nostri neurofarmaci modificano le attività nel tratto mammillotalamico, nelle aree di associazione corticali e nel nucleo dorsomediano, niente di diverso dalla modificazione biochimica ottenuta con preghiere frenetiche o digiuni in altre epoche. Non facciamo altro che abbattere le barriere neurali per ottenere livelli potenziati di attenzione, percezione e integrazione di svariati stati consci. Per meglio conoscere e glorificare Dio.

— Adesso devo andare — boccheggiò Theresa. La stanza turbinava e le si chiuse la gola. Non riusciva a respirare. Non c’era aria…

— Ma, figliola mia…

— Io devo… andare! Mi… dispiace!

Arrancò attraverso la porta aperta della stanza. I vespri le si innalzavano attorno, più forti, mentre lei barcollava alla cieca lungo il corridoio: gloriosi, ferventi, struggenti. Theresa si gettò contro la porta del convento: non si voleva aprire. Non poteva darle un ordine vocale di apertura. Ansimando, picchiò contro il legno, finché qualcuno che lei non riuscì a vedere attraverso quella turbinante confusione, qualcuno alle sue spalle, le aprì il battente e lei cadde dall’altra parte.

La porta si richiuse, interrompendo la musica.

Quando fu nuovamente in grado di respirare, Theresa restò a lungo seduta nell’aeromobile. Decollò, quindi, dirigendosi a sud.

La prima tribù in cui si imbatté aveva trovato alloggio per l’inverno nei resti di un paese di Vivi pre-Guerre del Cambiamento. I tre edifici integri mostravano i tipici colori graditi ai Vivi: fucsia, menta e rosso acceso. Dietro l’edificio rosso si estendeva un’immensa tela di plastica pesante sopra il terreno consumato: un’area di alimentazione. Oltre, giaceva una pila di macchinari rotti, scooter, robot e quelle che sembravano tubature per l’acqua. Le persone, rese piccole e non minacciose dall’altitudine dell’aeromobile, smisero di muoversi e sollevarono gli sguardi, schermandosi gli occhi con le mani contro il freddo sole invernale. Theresa non riuscì a vedere i loro volti.

Non cercò di scendere da loro e nemmeno di ridurre l’altitudine. Abbassò piuttosto il vetro elettrico e fece cadere giù il pacco con le siringhe del Cambiamento. Sedici, tutte quelle che Jackson aveva conservato nella cassetta di sicurezza di casa. Le siringhe erano avvolte in un tessuto per abiti a fiori, non consumabile. La tela poteva anche strapparsi nell’atterraggio ma nulla avrebbe potuto rompere le siringhe di Miranda Sharifi.

I Vivi corsero verso il pacco non appena raggiunse il suolo. Theresa non aspettò. Volò a sud, verso Manhattan Est, sapendo di essere un’ipocrita. Non credeva che le siringhe del Cambiamento fossero un bene per la gente, ma le dava ai Vivi per i loro bambini. Non credeva che i neurofarmaci fossero la via verso il significato, ma le Sorelle del Cielo Misericordioso consideravano significative le loro vite mentre lei, Theresa, sentiva che la propria vita era una merda. Credeva che il dolore fosse un dono, una pietra miliare verso l’anima, ma si lasciava nutrire dai robot, coccolare da Jackson e proteggere da un sistema di sicurezza ad armi biochimiche, per non provare troppo dolore.

E, per tutto il tempo, Cazie aveva viaggiato con lei sul sedile anteriore dell’aeromobile, sprezzante, preoccupata, impaziente, amorevole e pericolosa dicendo: "ironia, Tessie. Non perdere l’ironia".

"Non ne ho mai avuta da perdere" pensò Tess e schermò i finestrini dell’aeromobile per non essere costretta a vedere fuori. Per poter tenere la testa fra le mani e chiedersi che cosa, sempre che qualcosa ci fosse, potesse ancora tentare di fare.


— Cosa hai fatto? — chiese Jackson. Parlava molto lentamente, come se le parole fossero scivolose e lui dovesse tenerle saldamente sotto controllo.

— Le ho date a una tribù di Vivi — rispose Theresa.

— Hai dato il resto delle mie siringhe del Cambiamento a una tribù di Vivi? Quale tribù?

— Non lo so. Una a caso.

— Dove?

— Non ricordo.

Jackson allacciò strette le dita delle mani. — "Perché?"

— Perché ne hanno bisogno, altrimenti i loro bambini si ammaleranno e moriranno.

— Ma, Tessie, anch’io ne avevo bisogno. Per bambini nati ai miei pazienti. Sapevi che erano le ultime siringhe che avevo?

— Sì — sussurrò lei. Non aveva mai visto suo fratello così. Così tranquillo. No, non era giusto: Jackson era sempre tranquillo. Ma non in quel modo.

— Theresa, io ho bisogno dei miei strumenti di lavoro per aiutare le persone. Ho bisogno di siringhe. Miranda Sharifi non ne fornisce più, lo sai. Ogni medico nel paese sta finendo le siringhe del Cambiamento e non può ottenerne altre. Come farò ad aiutare i miei pazienti neonati senza le siringhe?

— Puoi farlo con la medicina, Jackson. — Aveva avuto il tempo per pensare a quella risposta: si sentiva più calma di quando era arrivata a casa. Un po’ più calma. — Le persone nella nostra enclave hanno te. Quei bambini Vivi là fuori non hanno niente. E io volevo… — Si interruppe.

Jackson parlò con voce strozzata: — Tu volevi dare loro qualcosa.

— Ho bisogno di dare qualcosa a "qualcuno"! — gridò Theresa.

Jackson si voltò verso la finestra. Le voltò la schiena, guardando il parco. Theresa fece un passo verso di lui, quindi si fermò. — Non capisci, Jackson?

— Capisco — rispose lui, cosa che la fece sentire un po’ meglio anche se lui non si voltò.

— E puoi anche aiutare le persone della nostra enclave — disse Theresa. — Le puoi aiutare con quello che hai imparato a scuola. Dopo tutto sei un medico, no?

Quella volta, però, Jackson non le rispose.

Interludio

DATA TRASMISSIONE: 5 Gennaio 2121

A: Base Selene, Luna

VIA: Satellite per Comunicazioni AT T 4, Holsat 643-K (Cina)

TIPO MESSAGGIO: Non codificato

CLASSE MESSAGGIO: Nessuna Classe. Trasmissione non ufficiale

GRUPPO DI ORIGINE: Non identificato

MESSAGGIO:


Ci avete dato le siringhe del Cambiamento per farci diventare dipendenti da voi non umani. Poi ci avete tolto le siringhe in modo da farci morire di fame e ammalarci. Che cos’è questo se non genocidio? Pensate che nessuno sappia quello che state facendo davvero. Non è così, stronzi. Ci sono gruppi in tutta America che sanno quello che sta accadendo realmente. Qual è il vostro piano, indebolirci, controllarci e quindi attaccarci. Non funzionerà. Alcuni di noi, disillusi dai fottuti codardi che si definiscono il nostro governo, aspetteranno che voi scendiate dal vostro nascondiglio. I Dormienti sono più forti di quanto crediate e noi stimiamo le libertà dateci da Dio e dalla Costituzione. Anche troppi americani sono morti negli ultimi 350 anni perché noi cediamo la nostra libertà senza nemmeno combattere.

Ricordatelo.

CONFERMA RICEZIONE: Nessuna

9

Il 31 dicembre, Jackson era seduto nel suo appartamento a guardare notiziari che non voleva vedere realmente, resistendo all’idea di recarsi nella Contea di Willoughby in quell’ultimo giorno di iscrizione legale dei votanti per le elezioni speciali di aprile.

— Il sanguinoso conflitto di ieri nell’Enclave di San Francisco Bay è durato meno di un’ora — disse il bel giornalista modificato geneticamente mentre scorrevano gli ologrammi dell’attacco — ma gli strascichi continuano. Il capo della polizia dell’enclave, Stephanie Brunell, ha espresso rabbia e sconcerto per l’aggressione, apparentemente motivata dalla ricerca di siringhe del Cambiamento, del sedicente gruppo terroristico che si è definito "Vivi per il Controllo". Le indagini della Polizia si concentrano su come il suddetto gruppo clandestino sia riuscito a superare i sistemi di sicurezza a energia-Y e quelli di biodifesa.

"Rubando dati, ladroni" pensò Jackson. Tuttavia nessuno era intenzionato a crederci perché significava credere anche che i Vivi erano in grado di manipolare sofisticati sistemi informatici e di conquistare il potere. E così gran parte degli sforzi dei Muli, decenni di sforzi, era andato per assicurarsi che fosse altrimenti. Software istruttivo scadente. Prodighe consegne di beni materiali. Semplici divertimenti sovvenzionati dal governo solo per distrarre. Una condotta politica che convincesse quelli che stavano sul fondo che, visto che non dovevano lavorare, in realtà si trovavano in cima. Jackson cambiò canale.

— …festeggiamenti di Capodanno all’Enclave Mall della capitale nazionale. Riscaldata a estivi trenta gradi in funzione degli sbalorditivi abiti da sera di moda quest’anno, a seno nudo, lo stesso Mall si è trasformato in vista di questo magnifico gala. Il presidente Garrison e signora divideranno il loro tempo fra i balli a… — Cambiò canale.

— …della partita. Il campione internazionale di scacchi, Vladimir Voitinuik, che qui sta riflettendo sulla quarta mossa contro lo sfidante Guillaume… — Cambiò canale.

— …dirigendosi rapidamente verso la costa della Florida dove, sfortunatamente, moltissime delle cosiddette tribù di Vivi hanno scelto di passare l’inverno. Anche se l’uragano Kate si presenta in ritardo sulla stagione tropicale degli uragani, venti fino a centoottanta chilometri orari…

Riprese robotiche di Vivi terrorizzati, molti praticamente nudi, che cercavano di scavare trincee di sicurezza con pale, bastoni, perfino oggetti di metallo che sembravano pezzi di robot. Il primo piano di un bambino strappato via dal vento alla madre che gridava…

— Jackson? — chiamò Theresa. Non l’aveva sentita arrivare, a piedi nudi, nella stanza. Spense in fretta il notiziario.

— Jackson, ho bisogno di chiederti una cosa.

— Che cosa, Theresa? — La ragazza aveva un aspetto terribile. Aveva perduto ancora peso. L’anoressia nervosa era quasi del tutto sparita dopo il Cambiamento, nutrendosi direttamente, il corpo sapeva di cosa aveva bisogno… ma Jackson riteneva che Theresa, nonCambiata, ne fosse al limite. Sotto l’orlo del suo ampio vestito a fiori riusciva a scorgere il lungo profilo delle tibie e, sopra il girocollo, le clavicole sporgevano contro la pallida e fluttuante massa dei capelli, stopposi come ramoscelli contro una nuvola. Disperava perfino dei risultati di un adeguato esercizio fisico. C’erano deficienze nella densità ossea, nel numero di globuli bianchi e rossi, nei trasmettitori cerebrospinali, nei processi metabolici: nulla era equilibrato. Il livello di stress cardiaco, corticale e perfino cellulare era chiaramente sopra i limiti. C’erano inoltre ammine biogene che il corpo produceva soltanto in condizioni patologiche, del genere che segnalava l’accelerazione della morte delle cellule nervose e le mutazioni permanenti nell’architettura neurale.

— Tessie, dovresti mangiare di più. Te l’ho già detto e tu me lo hai promesso.

— Lo so. Lo farò. Ma sono molto impegnata col mio libro. Penso che stia migliorando. Alcuni paragrafi dicono quasi quello che provo. Quello che prova Leisha. Che provava. Adesso, però, potresti suggerirmi un buon programma su Abramo Lincoln? Qualcosa di non troppo difficile, ma chiaro, sulla sua vita e sulla sua politica?

— Abramo Lincoln? Perché? — Nello stesso istante in cui lo chiedeva, però, lo capì.

— Leisha Camden scrisse un libro su Abramo Lincoln. Penso, da quello che mi ha detto Thomas, che fosse ritenuto un testo importante. E io non so praticamente nulla sul presidente Lincoln.

Theresa non si era mai interessata di storia, non era mai andata oltre le prime classi del software. — Perché allora non usi proprio il libro della Camden? — propose Jackson.

Sua sorella arrossì. — Non è riadattato. Quando me lo sono fatto leggere da Thomas… be’, penso di avere bisogno di qualcosa di più facile. Mi aiuterai?

— Certo — rispose lui gentilmente. Poi, non potendo farne a meno, chiese: — Come va il tuo libro su Leisha?

— Oh, come dire… — Si scansò distrattamente i capelli con una mano. — C’è sempre una bella differenza fra il libro che hai nella mente e quello che risulta sulla pagine.

Sembrava una frase trovata da Thomas in un programma di citazioni. Lei li adorava. Le davano l’illusione di capire? Sentì il cuore dolergli per la compassione. — Prova con Software Chiaro e Attuale. Il loro ipertesto spiega bene le cose. Non ricordo il titolo esatto di quello che ti serve, ma te lo troverà Thomas.

— Grazie, Jackson. — Gli sorrise, fragile come filigrana di vetro. — Lo troverà Thomas. Software Chiaro e Attivo?

— Chiaro e Attuale.

Jackson notò il calcagno nodoso del suo piede, privo di strati di carne, quando lei lasciò la stanza.

Jackson restò seduto per svariati minuti davanti allo schermo a parete spento. Guerre delle siringhe. Attacchi alle enclavi. Vivi disperati. Theresa. Abramo Lincoln. Ricordò una massima di Lincoln che gli affiorò dalle acque mentali dei suoi giorni di scuola: "Il ballottaggio è più forte della pallottola".

Non ci credeva più nessuno. Nessuno che lui conoscesse.

Eccetto Lizzie Francy.


Atterrò con l’aeromobile a sessanta di metri dall’edificio della tribù, ricordando come giovanotti Vivi trasandati vi si fossero accalcati attorno quasi due mesi prima. In quel momento, invece, uno di quei trasandati giovanotti era potenziale candidato per una carica pubblica.

Qualcuno salterellò verso l’aeromobile. Vicki Turner. Jackson abbassò il finestrino. Entrò una folata di aria fredda invernale.

— Dottor Jackson Aranow. Che onore. Mi aspettavo che ti trovassi a una festa di Capodanno. Sei venuto a condividere il balzo finale verso la registrazione democratica di votanti? O per compiacerti perché siamo andati fino in fondo, invece di lasciare perdere, tipico dei Vivi, dopo l’iniziale scoppio di entusiasmo effimero?

Jackson corrugò la fronte. — Sono qui per vedere come procede il progetto.

— Che linguaggio privo di giudizi impliciti. I tuoi professori di psicologia dell’università sarebbero orgogliosi di te. A dire il vero, stiamo per fare un ulteriore tentativo con un gruppo particolarmente recalcitrante di non iscritti. Forse ci puoi dare un passaggio.

— Signorina Turner, ho controllato il suo conto in banca. È in malora, presumibilmente in seguito al suo arresto da parte dell’ECSG e le seguenti… spiacevolezze. Ma non credo proprio che lei non abbia altri conti nascosti sotto altri nomi in altri posti. Perché, più semplicemente, non compra un’aeromobile alla sua tribù?

— Ti sbagli, Jackson. Non ho soldi nascosti da nessuna parte. Ho speso tutto.

— Per che cosa?

Lei non rispose, gli sorrise debolmente e, all’improvviso, Jackson lo seppe. Per le Guerre del Cambiamento. Qualsiasi parte Vicki Turner avesse recitato nella lotta per convincere gli americani che le siringhe non erano un complotto degli Insonni per schiavizzare i Vivi, per convincere gli americani a smettere di uccidersi a vicenda per i cambiamenti radicali nella biologia, per convincere gli americani a smettere di attaccare Washington perché, ormai, "potevano" farlo, qualsiasi cosa avesse fatto Vicki, le era costato effettivamente tutto il patrimonio. E lei non se ne rammaricava.

Jackson sbottò: — Mi fai vergognare.

Per un istante, il volto di Vicky si addolcì e lui vide qualcosa dietro la maschera dura, qualcosa di malinconico e un po’ triste. Poi riprese a sorridere come prima. — Allora puoi alleviare la tua profonda vergogna civica fornendoci un passaggio surrettizio fino agli elettori riluttanti.

Jackson non rispose. In quel momento di vulnerabilità involontaria, lei gli aveva ricordato nuovamente Cazie. E lui si era sentito nuovamente un imbecille incompetente.

Lizzie e Shockey si incamminarono verso l’aeromobile. Lizzie aveva in braccio Dirk, ben protetto contro il freddo. Shockey indossava una tuta giallo stridente e un cappotto color limone, oltre a orecchini di bigiotteria fatti con pezzi di lattine, all’antica. Sulla spalla destra aveva uno strano rigonfiamento. Mentre si avvicinava, Jackson notò che si trattava di un fiore bianco, rosso e blu, di stoffa grezza tinta con le piante e legata a formare una coccarda.

Vicki mormorò: — E non hanno mai sentito parlare dei Giacobini. — Però lo sguardo di affetto che lanciò a Lizzie fu sincero.

Shockey chiese: — Dottore. Viene con noi, lei, per l’ultima grande spinta? Potrebbe imparare qualcosa.

— Vero, dottore — disse Vicki. — Dopo tutto, con il nostro movimento popolare noi stiamo creando un eccezionale nuovo corso politico nella storia in direzione della democrazia.

— Maledettamente giusto — commentò Shockey. Il giovanotto sembrò allargarsi, sollevando di altri cinque centimetri la coccarda che teneva sull’ampia spalla. "Pallone gonfiato" pensò Jackson.

Lizzie stava quasi ballando per l’eccitazione. I capelli neri le sparavano in più direzioni di quante Jackson immaginasse possibile. — Se riusciremo a convincere quella gente a registrarsi questa sera, dottor Aranow, avremo il novantatré per cento di partecipazione di Vivi. Quattromilaquattrocentoundici votanti Vivi nella contea, per l’inverno. Ora, lei ha detto che Susannah Wells Livingston non era una vera e propria candidata, soltanto un concorrente fantoccio rispetto a Donald Thomas Serrano, e che Serrano avrebbe ottenuto il voto di quasi tutti gli iscritti alla lista. Questo significa quattromilaottantadue voti. Anche se non riuscissimo a convincere quest’ultima tribù, dovremmo essere in grado di vincere.

— "Io" dovrei vincere comunque — precisò Shockey.

— D’accordo, "tu" dovresti vincere comunque — disse Lizzie. Jackson si accorse che era troppo entusiasta per preoccuparsi di discutere con Shockey. — Ce la faremo!

Jackson lanciò un’occhiata a Vicki. Lei annuì. — Diglielo tu, Jackson. Forse ascolterà almeno te.

— Lizzie… — cominciò Jackson e si fermò. Odiava l’idea di ferirla in quel momento. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva visto del genuino entusiasmo per qualcosa di costruttivo? — Lizzie, avere il vantaggio numerico nei votanti registrati non ti garantirà una vittoria. Ci sono ancora tre mesi prima dell’elezione vera e propria di aprile. Nel giro di tre mesi, Donald Serrano farà tutto quello che sarà nel suo considerevole potere per convincere i tuoi elettori Vivi a votare per lui. E ogni singolo politico Mulo lo aiuterà, inclusa Sue Livingston. Se voi doveste vincere, infatti, rappresentereste un precedente di outsider eletti al governo potenzialmente devastante.

— Non siamo outsider, noi! — esclamò Shockey.

— Per la struttura politica di Muli lo siete. Non vogliono che voi prendiate decisioni che li influenzino. Nemmeno le piccole decisioni periferiche di un supervisore distrettuale. Vogliono tenervi fuori e cercheranno di farlo acquistando i voti di ogni elettore legalmente iscritto nella Contea di Willoughby. Lo faranno con coni a energia-Y, impianti stereo, unità mediche, cibo pregiato, scooter e ogni altro bene materiale che potranno offrire subito, mentre voi potrete soltanto promettere di fornire, forse, in futuro.

Lizzie corrugò la fronte. — Pensa che falliremo per questo? Che saremo comperati in questo modo?

Jackson rispose serenamente: — Siete stati comperati in questo modo per quasi cento anni.

— Ma adesso non più! Siamo diversi ora, noi! Dopo il Cambiamento! Non abbiamo più bisogno di voi!

— Che è poi il motivo per cui vogliamo che adesso tu ci dia un passaggio — disse Vicki. — Guadagnati la paga, Jackson. Lizzie, Shockey, entrate in aeromobile.

Lo fecero. Vicki gli fornì la direzione, e i quattro volarono in silenzio per vari minuti sopra un terreno accidentato, disseminato di detriti invernali. Rami caduti per il vento, cespugli avvizziti, foglie morte bagnate e cumuli di neve alta. Alla fine Jackson chiese: — Volete che atterri direttamente presso il loro accampamento? O è meglio che non vedano un Mulo associato con questa impresa di Vivi?

— No — rispose Lizzie sorprendendolo. — Viene anche lei. Queste persone, in particolare, è meglio che la vedano.

La tribù, come molte altre, aveva trascorso l’inverno in un impianto abbandonato di trasformazione alimentare. Jackson immaginò che quello avesse lavorato le mele dei frutteti ormai inselvatichiti che ricoprivano le basse colline. Non venne loro incontro nessuno. Lizzie, portando in braccio Dirk che dormiva ancora, fece strada fino al retro dell’edificio dove, sotto la solita tenda che proteggeva il terreno di alimentazione, era in corso il pranzo.

Sessanta o settanta Vivi erano stesi o seduti sul terreno smosso, assorbendo sostanze nutrienti e luce del sole. Per un istante Jackson ebbe un’immagine della festa di Terry Amory a cui lo aveva trascinato Cazie. Ma non c’era pericolo di confondere le due occasioni. Quei Vivi erano… be’, Jackson odiava doverlo ammettere perché era il peggior tipo di settarismo disumanizzante… del genere di Ellie Lester. Tuttavia era la verità. I Vivi erano repellenti.

Schiene pelose, seni cadenti, ventri e cosce flaccidi, proporzioni sgraziate, volti con elementi troppo vicini, troppo lontani oppure mal combinati fra loro. Non importava nemmeno che la pelle di tutti fosse liscia, sana e priva di imperfezioni grazie al Depuratore Cellulare. Da quando aveva finito il suo internato, Jackson aveva visto fondamentalmente solo corpi perfetti modificati geneticamente. Ricordava quanto fosse orribile la maggior parte dell’umanità in confronto.

Vicki gli mormorò all’orecchio: — Un bello shock, eh? Perfino per un medico. Benvenuto presso gli homo sapiens. "L’aristocratico fra gli animali" come ha osservato Heinrich Heine.

Lizzie disse, senza preamboli: — Siamo tornati, noi, per parlarvi ancora una volta di questa elezione qui. Janet, Arly, Bill, Farla: state a sentire, voi.

— Abbiamo altre possibilità, noi? — chiese una donna di mezza età nuda, floscia e sorridente con delle natiche che assomigliavano a palloni sgonfi. — Lizzie, passami quel bel bambino lì.

Lizzie consegnò Dirk e si tolse gli abiti. Shockey e Vicki, con perfetta noncuranza, la imitarono. Vicki sogghignò in direzione di Jackson. — Quando a Roma…

Non le avrebbe permesso di intimidirlo, non lo avrebbe permesso ad alcuno di loro. Si tolse giacca e camicia.

— Oooohhh, che carino — commentò la donna di mezz’età e scoppiò a ridere per il disagio di Jackson. — Ma Lizzie, dicci un po’, tu, perché hai portato questa coppia di Muli insieme con il tuo cosiddetto candidato?

— Io non ho niente di cosiddetto, Farla — ribatté allegro Shockey. — Sono il prossimo supervisore distrettuale della Contea di Willoughby, io.

Farla fece una smorfia. — Come no.

Jackson aveva dei problemi. Era in piedi e stava slacciando lentamente i pantaloni, il più lentamente possibile. I Vivi erano abituati alla nudità da alimentazione comunitaria. Lo erano anche i Muli, ma alimentarsi a terra in camere private, profumate e dalla luce soffusa era una attività spesso molto sensuale. Lì, giovanotti come Shockey stavano nudi in modo rilassato. A proprio agio. Flaccidi. Jackson, senza alcun motivo, era in erezione.

— Forza, Jackson — disse piano Vicki. — Rivela i gioielli di famiglia modificati geneticamente.

Jackson si voltò verso di lei infuriato (perché cercava sempre di peggiorare le cose?) e le cose peggiorarono immediatamente. Il corpo nudo di lei era bellissimo. Seni più piccoli di quelli di Cazie, ma più alti, vita più stretta, anche magre e gambe lunghissime. Il pelo pubico era biondo rossastro, una gradevole peluria chiara, un velo sopra…

— Oh, santo cielo — commentò Vicki. — La tua famiglia ha speso bene i suoi soldi. — Poi, un istante dopo, con una voce differente: — Vieni, Jack. Ridi. È divertente, non capisci nemmeno questo?

Lui scoppiò in una risata cupa, cercando di esagerarne la profondità, cercando dell’ironia. Si rese conto di avere fallito.

Lizzie stava dando il massimo: — Se tutti vi iscriverete fra le 11:15 e le 11:50 di questa sera, voi, come vi abbiamo detto, allora nessun altro Mulo si potrà iscrivere per le elezioni. Abbiamo abbastanza Vivi da vincere. Se vinceremo, noi, potremo prendere i soldi del fondo delle tasse e rifornire i depositi della sede della contea con tutto quello che abbiamo bisogno. Non mi verrete a dire, voi, che non avete bisogno di niente, eh?

— Certo che abbiamo bisogno delle cose — disse un ometto piccolo, dall’espressione scura e un po’ anziano. — Che diavolo, io voterei sì per te, Shockey. Sei stato sindaco, tu. E poi io mi ricordo di un periodo quando mica tutti i candidati erano Muli, loro, ben prima che voi nasceste. Quello però che voglio sapere, io, è che prezzo ci faranno pagare i Muli se eleggeremo uno dei nostri.

Shockey sentenziò: — Non ci sarà nessun prezzo da pagare.

— Oh, figliolo, un prezzo c’è sempre. Loro hanno sempre presentato un conto.

Shockey si irritò. — Di che genere, Max? Che cosa ci potrebbero fare i Muli?

— Che cosa non ci potrebbero fare? Hanno armi, polizia, possono cambiare il maledetto clima, ho sentito dire, io, almeno un po’. Forse stiamo meglio, noi, come stiamo adesso. Abbiamo tutto quello di cui abbiamo davvero bisogno e non attiriamo l’attenzione.

— Ma così le cose non cambieranno mai! — esclamò Lizzie. — Non arriveremo mai da nessuna parte!

Il vecchio ribatté: — Meglio così. Se continui a guardare in alto verso il cielo, tu, finirai con l’inciampare su una pietra.

— Ma…

— Ma hanno portato dei Muli con loro — intervenne all’improvviso un altro uomo. — Non sono soltanto Vivi, loro, che inciampano come tutti quanti noi.

Lizzie protestò: — Vicki e il dottor Aranow non sono… — Ma Vicki la interruppe. La donna fissò l’uomo negli occhi.

— È vero. Hanno dei Muli con loro. Io sono Victoria Turner, ex agente dell’ECSG. E questo è il dottor Jackson Aranow, medico, proprietario della TenTech, una ditta importante. Lizzie non sta combattendo da sola. Qualsiasi rivincita cercassero di ottenere i Muli se venissero battuti nelle elezioni, io e il dottor Aranow abbiamo i mezzi per affrontarli.

Jackson la fissò sbigottito. L’uomo chiese seccamente: — Perché? Perché state dalla parte di Lizzie, voi?

— Dalla "mia" parte — precisò Shockey, rabbuiandosi.

— Perché io credo in questo paese — rispose Vicki. Allungò una mano verso il mucchietto di abiti che Shockey si era tolto e strappò dalla spalla della giacca la coccarda bianca, rossa e blu. La consegnò all’uomo, con aperta sincerità, con cinica ironia, con quella che alla fine Jackson percepì essere una maschera di protezione posta sopra una genuina convinzione. Vicki non credeva che quelle elezioni potessero avere successo, lo aveva detto soltanto. Doveva credere in qualche impegno politico più profondo, di cui quella rappresentava soltanto una prima necessaria sconfitta.

L’uomo sbuffò ma prese la coccarda. L’uomo più anziano, Max, sogghignò. Farla disse all’improvviso: — Va bene, Shockey, dicci un po’ che cosa farai per noi se ti faremo eleggere.

Qualcuno nella folla si mise a ridacchiare. — Sì, Shockey, fai un bel discorso elettorale, tu!

— Bene, certo che lo farò, io! Adesso voi Vivi mi starete bene ad ascoltare! Tutti quanti!

— "Che le armi cedano il passo alla toga" — mormorò Vicki. — Mettiti comodo, Jackson. Parla il popolo.


Era buio quando lasciarono la tribù di Farla. Il dibattito era proseguito per tutto il pomeriggio e la prima serata, più per il gusto del litigio, sospettava Jackson, che per il desiderio di ottenere informazioni. La gente gridò, si insultò, si minacciò e disse smargiassate. Si trasferirono all’interno, dopo essersi nutriti, nell’oscuro e caldo rifugio dove regnavano sedie ammaccate, loculi per dormire creati con separazioni di fortuna, pezzi di macchinari e conigli scuoiati, e un prezioso terminale con l’etichetta di una delle consociate della TenTech. Rubato? Vicki gli sorrise. Coni-Y tenevano caldo quel posto immenso e deprimente: quei coni forse facevano parte della scorta che lui aveva inviato alla tribù di Lizzie dalla TenTech? Forse anche Shockey comprendeva il valore della corruzione dei votanti.

Al tramonto, Dirk cominciò ad agitarsi. — Dovrebbe essere a casa — disse Lizzie alla fine. — La nonna Annie si starà preoccupando, lei; dottor Aranow, ci riporti a casa, per favore.

Jackson notò che gli altri restarono impressionati da come Lizzie gli stava dando ordini. Era diventato una risorsa elettorale. Oltre a pubblico trasportatore: senza la sua aeromobile avrebbero dovuto affrontare una lunga marcia al freddo in mezzo alle montagne. No: senza la sua aeromobile non sarebbero rimasti così a lungo e non avrebbero discusso così animatamente. Vicki lo guardò sogghignando.

— Sono così eccitata — esclamò Lizzie una volta nell’aeromobile. — Manca solo qualche ora! Dirk, zitto, tesoro. Zitto, piccolino. Ancora qualche ora e quattromilaquattrocentoundici Vivi della Contea di Willoughby, almeno, si iscriveranno tutti insieme!

Shockey disse: — Sei sicura, tu, che quelle teste di rapa conoscono bene la procedura di iscrizione in linea, loro?

— Sam Bartlett e Tasha Herbert l’hanno spiegata due volte a tutte le tribù. Tutti sanno cosa fare. "Funzionerà."

E, con una certa sorpresa di Jackson, funzionò. Alle 11:00 della sera, tutti, eccetto i bambini piccoli che erano stati messi a letto, si radunarono attorno al terminale di Lizzie. Lei aveva programmato un foglio di riscontro aggiornabile: VOTANTI CONTEA DI WILLOUGHBY, diviso in due colonne VIVI e MULI. Il numero sotto MULI, in lucenti caratteri Univers Gothic tridimensionali, rimaneva costante. Ogni volta che l’altro numero di riferimento aggiungeva cento votanti, si illuminava una bandiera americana, suonava una musichetta e una figurina premeva un pulsante elettorale su un piccolo terminale da voto. L’intero monitor, poi, emetteva flussi olografici che terminavano in fuochi artificiali simulati.

Dietro la spalla sinistra di Jackson, Vicki commentò: — Una specie di mistura fra Capodanno, una gara All-Star di Scooter e la Tammany Hall.

— State tutti pronti! — ammonì Shockey. — Sono le 11:48!

Jackson osservò lo schermo. All’improvviso, il numero dei Vivi si alzò, quindi crebbe nuovamente, superando quello dei Muli. Le bandierine lampeggiarono. Le persone si misero a gridare, quasi sopraffacendo le parole di Sometimes a Great Nation. Annie Francy esclamò: — Oh, santissimo Iddio! — I numeri si impennarono ancora, e poi ancora, quindi cominciarono ad aggiornarsi talmente in fretta da sembrare animati, mentre i fuochi d’artificio olografici esplodevano tutto attorno e i Vivi strillavano, si abbracciavano a vicenda e saltavano a destra e a manca. Mezzanotte. VIVI: 4.450. MULI: 4.082.

— Ce l’abbiamo fatta, noi! — esclamò entusiasta Shockey.

— Un urrà per il nuovo supervisore distrettuale della Contea di Willoughby!

— Shock-ey! Shock-ey!

Shockey venne sollevato per i piedi e camminò in giro sulle mani: una specie di rituale di trionfo dei Vivi, immaginò Jackson. D’un tratto, egli si sentì molto stanco. La sua unità mobile suonò.

— Jackson, rispondimi, subito!

Cazie. Come poteva avere la notizia così in fretta? Erano soltanto le 24:06. Forse stava monitorando casualmente insignificanti iscrizioni di votanti o aveva un programma speciale che la allertava se si evidenziavano insoliti eventi politici? Jackson desiderò parlare con lei. Se la sarebbe goduta. Si spostò in un angolo relativamente tranquillo e si alzò, spalle alla parete, tenendo il piccolo schermo in modo che Cazie non potesse vedere la stanza.

— Cazie. Che ci fai alzata così presto?

— Dove sei, Jackson?

— Con amici. Perché?

— La Contea di Willoughby in Pennsylvania ha appena registrato quattromilaquattrocentocinquanta votanti aggiuntivi pochi minuti prima del termine delle iscrizioni. Si tratta di Vivi. È stata poi inoltrata la domanda per far concorrere un terzo candidato per la posizione lasciata vacante da Ellie Lester come supervisore distrettuale.

— Vuoi dire la posizione di Harold Winthrop Wayland? — domandò Jackson.

— Lui era vecchio: era sua nipote a gestire la carica. Potrei aggiungere, con considerevoli vantaggi per la TenTech. Il supervisore distrettuale, come ben sai, fa più che rifornire i depositi, dietro le quinte della sua carica controlla… no, probabilmente non lo sai. Ma, Jackson, la questione è grave. Determinate persone avevano previsto qualcosa di simile, ecco perché ne sono venuta a conoscenza immediatamente. Non si può permettere che questa diventi abitudine. Vivi al potere. Cristo Santo.

— L’iscrizione dei votanti è stata legale, no?

Cazie si passò una mano nei riccioli scuri. — È questo il problema. "È" legale. Ed è troppo tardi per fare iscrivere altri Muli; inoltre non possiamo truccare il programma direttamente, tutti i mezzi di comunicazione si saranno già tuffati sulla notizia. Soltanto perché è uno scoop. Ho chiamato Sue Livingston, Don Serrano e quelli che hanno programmato le loro campagne elettorali, penso che dovresti partecipare anche tu alla riunione. Se non altro perché è implicata anche la TenTech. Sai quanto abbiamo investito in azioni della contea e dello stato, solo per nominare uno degli aspetti della situazione?

— No — rispose lentamente Jackson. — Non lo so.

— Be’, ti aggiornerò io. In condizioni normali ti terrei alla larga dalle questioni politiche della compagnia, ma questa volta… Jackson, tu non hai mai compreso quanto fosse importante il fattore politico. La TenTech "è" connessioni politiche!

— Io pensavo che la TenTech fosse un’impresa che produceva beni di prima necessità.

Cazie sospirò. — Era chiaro. Comunque, la riunione è alle nove di domani mattina a casa mia.

Jackson non disse nulla. Alle sue spalle, il fragore dei festeggiamenti si era affievolito in un felice chiacchierio. Sentì addosso gli occhi di qualcuno, si girò, e vide Vicki a un metro di distanza, che stava origliando senza alcun ritegno.

— Jack? — chiamò l’immagine di Cazie sul piccolo schermo dell’unità mobile.

Vicki disse piano: — Se non le dici che ci hai aiutato, probabilmente non lo scoprirà mai.

— Jack? Ci sei ancora?

Vicki proseguì: — Puoi andare avanti a lavorare per la fazione opposta, proteggendo i tentacoli politici della TenTech. Perdendo… cosa? Pensi che perderesti qualcosa, Jackson?

— Jack!

Jackson sollevò l’unità mobile. Ruotò le lenti in modo che Cazie potesse vedere l’edificio della tribù, poi Vicki, poi ancora lui. — Sono qui, Cazie, a Willoughby. Sì, domani mattina verrò alla riunione per slegare gli interessi della TenTech dai risultati delle elezioni. Ma non certo per cambiare i risultati del voto.

Cazie sbarrò gli occhi. Jackson interruppe la comunicazione prima che lei potesse parlare e istruì l’unità mobile affinché non rispondesse a nessuna chiamata per le successive sei ore. Quindi si rivolse a Vicki. — Però voglio che tu sappia che non sono uno che fa brogli elettorali, ma nemmeno un riformatore politico. Sono un "medico".

— La situazione non richiede un medico — rispose lei.

— E tu non fai altro che trasformarti in quello di cui la situazione ha bisogno? Nessuna scelta personale?

— Proprio così. Sono soltanto un pugno di elementi chimici cerebrali che risponde agli stimoli.

— Non ci credi nemmeno tu — ribatté Jackson.

— No. Non ci credo. E tu, invece? — gli chiese, allontanandosi.

E avendo avuto l’ultima parola, notò lui.

I Vivi erano seduti in file di sedie ammaccate, e ogni tanto interrompevano quanto pianificavano ad alta voce Lizzie, Shockey e Billy Washington. Jackson analizzò i corpi stravaccati, sproporzionati, sgraziati, maleducati, arroganti, rozzi. Vestiti a mala pena di stracci privi di gusto in plastica sgargiante e tela tessuta a mano. Gridavano suggerimenti sciocchi l’uno all’altro motivati soltanto da avidità, aspettative irreali, caparbietà o completa ignoranza della struttura pubblica.

Lasciò la riunione politica e tornò a casa.

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