Il suo dossier è nell’archivio della stazione e io ho potuto consultarlo per mezzo del lettore-bobine in dotazione alla nostra vasca.
Lei è una femmina di ventisette anni. Quindi, dal punto di vista cronologico, è della generazione precedente, come i miei predecessori genetici (“genitori”). Ma io non ho il tabù culturale di molti Homo Sapiens contro le relazioni emotive con una femmina più vecchia. E d’altra parte, facendo la debita compensazione per la differenza delle specie, si può vedere che la signorina Lisabeth e io siamo coetanei. Lei ha raggiunto la maturità sessuale a circa metà della sua vita trascorsa. Come me.
(Devo ammettere che ha superato leggermente l’età ottimale in cui una femmina umana prende il maschio permanente. Presumo inoltre che non si dedichi alla pratica dell’accoppiamento temporaneo, dato che nel suo dossier non si dice che abbia riprodotto. È possibile tuttavia che tra gli umani non si abbiano necessariamente riproduzioni dopo ogni accoppiamento annuale, o che gli accoppiamenti avvengano a caso, in momenti che non si possono predire, e del tutto slegati dal processo riproduttivo. Questo mi sembra strano e in qualche modo sbagliato, ma certi dati mi fanno pensare che sia così. Nel materiale archivistico a mia disposizione ci sono alcune informazioni sulle abitudini umane negli accoppiamenti. Devo informarmi con più precisione.
Lisabeth, come mi permetto di chiamarla, è alta un metro e settanta (gli umani non si misurano in “lunghezza”), e pesa cinquantadue chili. Ha i capelli d’oro (“biondi”) e lunghi. La sua pelle, per quanto abbronzata dall’esposizione al sole, è delicatissima. Le iridi dei suoi occhi sono blu. Dalle conversazioni fatte con gli umani ho saputo che viene considerata bellissima. Dai discorsi che ho sentito nuotando in superficie ho capito che la maggior parte dei maschi della stazione prova per lei una intensa attrazione sessuale. Anch’io la reputo bella, in quanto sono in grado di capire la bellezza umana. (Credo di esserlo.) Non sono sicuro di provare per Lisabeth un vero desiderio sessuale. Probabilmente quello che mi turba è il desiderio di averla presente e vicina, che io poi traduco in termini sessuali come semplice mezzo per renderlo comprensibile.
Senza dubbio non possiede le caratteristiche che io cerco in una compagna (muso lungo, pinne slanciate). Qualsiasi tentativo di fare all’amore in senso anatomico risulterebbe per lei una sofferenza o un tormento. Cosa che io non voglio. Le caratteristiche fisiche che la rendono così desiderabile ai maschi della sua specie (glandole mammarie molto sviluppate, capelli lucenti, lineamenti delicati, lunghi arti posteriori o “gambe”, e così via) per me non hanno nessuna importanza, e per certi aspetti hanno, anzi, un valore negativo. Come nel caso delle glandole del latte nella regione pettorale che sporgono tanto dal corpo da rallentarla certo nel nuoto. Ha una forma rudimentale, e io non sono certo tipo da trovare belle le forme rudimentali. Evidentemente anche Lisabeth si rammarica della mole e della posizione di queste glandole, dato che ha sempre cura di nasconderle sotto una sottile copertura. Gli altri membri della stazione, essendo tutti maschi, hanno glandole lattifere trascurabili che non guastano la linea del corpo e le lasciano scoperte.
Quale può essere la causa del fascino che esercita su di me?
Deriva dalla necessità che provo di avere la sua amicizia. Io credo che lei mi capisca più degli esseri della mia specie. Di conseguenza sono più felice quando sono con lei che quando le sono lontano. Questa impressione risale ai nostri primi incontri. Lisabeth, che è una specialista in relazioni umano-cetacei, è arrivata a Santa Croce quattro mesi fa, e a me hanno chiesto di far salire il mio gruppo alla superficie per le presentazioni. Io feci un salto altissimo fuori dall’acqua per osservare meglio, e vidi subito che lei era di una classe superiore a quella degli esseri umani che già conoscevo. Aveva il corpo più delicato, fragile e forte nello stesso tempo, e possedeva una grazia che risultava un gradito diversivo alla rozza ineleganza degli uomini maschi di mia conoscenza. E non aveva il corpo ricoperto dai ruvidi peli che quelli della mia razza considerano brutti. (Al primo momento non sapevo che la diversità tra Lisabeth e gli altri membri della stazione dipendeva dal fatto che lei era una femmina. Non avevo mai visto una femmina umana prima di allora. Ma ho imparato alla svelta.)
Mi feci avanti, presi contatto attraverso il ripetitore acustico, e dissi: «Sono il sovrintendente della squadra di Manutenzione Valvole. Ho la definizione unità-strutturale TT-sessantasei.»
«Non hai un nome?» chiese lei.
«Nome in senso di termine?»
«La tua… la tua definizione unità-strutturale… ma non soltanto TT-sessantasei. Intendo dire che non va bene. Per esempio, io mi chiamo Lisabeth Calkins. E…» scosse la testa e si rivolse al supervisore della stazione. «Non hanno un “nome” questi lavoratori?»
Il supervisore non capiva perché i delfini dovessero avere un nome. Lisabeth sì. Fu una sua grave preoccupazione, e, dal momento che doveva fungere da tramite con noi, ci diede subito un nome. Fu così che venni chiamato Ismaele. Era, così lei mi disse, il nome di un uomo che era andato al mare, e che, avute esperienze meravigliose, le aveva incise su bobine-documento che tutte le persone di cultura ascoltavano. In seguito ho potuto sentire le bobine di Ismaele, l’altro Ismaele, e devo ammettere che sono di estremo interesse. Per essere un umano, ha dimostrato un eccezionale intuito sulle abitudini delle balene. Personalmente le considero creature stupide, e nutro per loro pochissimo rispetto. Comunque sono fiero di portare il nome di Ismaele.
Dopo averci dato un nome, Lisabeth è scesa nell’acqua e si è messa a nuotare con noi. Devo dire che la maggioranza di noi nutre una specie di sprezzo nei vostri riguardi, proprio perché nuotate malissimo. Forse è un segno della mia intelligenza superiore, o della simpatia che nutro per voi, ma io vi ammiro per lo zelo e per l’energia che mettete nel nuoto, e devo anche ammettere che siete molto bravi, considerati gli handicap che avete. Come dico sempre ai miei, voi riuscite a essere molto più abili in acqua di quanto non lo saremmo noi sulla terra. Comunque, per la media umana, Lisabeth nuotava bene, e noi, con tolleranza, regolammo la nostra velocità sulla sua. Giocammo in acqua per un po’ di tempo. Poi lei afferrò la mia pinna dorsale e disse: «Fammi fare una cavalcata, Ismaele».
Tremo ancora al ricordo del contatto del suo corpo col mio. Si mise a cavalcioni, mi strinse con forza le gambe intorno al corpo, e io mi lanciai quasi a tutta velocità, spiccando salti in superficie. Le sue risate mi fecero capire che lei era felice, perciò io feci altri e altri salti ancora nell’aria. Fu una esibizione puramente fisica, in cui non feci nessun uso delle mie straordinarie capacità mentali. Stavo dando, se vi piace, una semplice dimostrazione delle mie qualità di delfino. Il comportamento di Lisabeth fu stupendo. Anche quando mi tuffai, portandola a una profondità che avrebbe potuto farle temere la pressione, lei si tenne aggrappata e non diede segno di paura. E quando risalimmo in superficie lanciò un grido di gioia.
Avevo fatto colpo su di lei con la semplice animalità. Conosco abbastanza bene gli esseri umani per capire dall’espressione di lei, mentre tornavo verso la spiaggia, che era eccitata e felice. A questo punto il mio scopo fu quello di esporle i miei tratti migliori, di dimostrarle che anche se ero un delfino potevo imparare con insospettata rapidità, che potevo capire l’universo.
Ero ormai innamorato di lei.
Durante le settimane seguenti conversammo parecchio. Non mi voglio adulare dicendo che lei si rese conto delle mie straordinarie capacità. Il mio vocabolario, già ampio quando lei arrivò alla stazione, sotto lo stimolo della presenza di Lisabeth aumentò rapidamente. Imparai da lei. E mi fu data la possibilità di ottenere bobine che nessuno aveva mai pensato che potessero venire ascoltate dai delfini. Sviluppai una conoscenza del mio ambiente che stupì me stesso. In pochissimo tempo raggiunsi il livello di cultura che possiedo adesso. Certamente converrete che mi so esprimere meglio di molti esseri umani. Spero che il computer a cui trasmetto questa memoria non mi tradisca inserendo interpunzioni poco corrette e la pronuncia errata delle parole che emetto.
Il mio amore per Lisabeth si approfondì, e si fece più intenso. Quando la vidi camminare lungo la spiaggia sottobraccio al dottor Madison, l’uomo della centrale elettrica, conobbi per la prima volta il significato della gelosia. E conobbi la collera quando mi capitò di sentire le indecenti e volgari osservazioni che i maschi facevano quando Lisabeth passava nelle vicinanze. La mia infatuazione per lei mi portò a esplorare molti aspetti di vita umana. Non ebbi il coraggio di affrontare certi argomenti con lei, ma da certi dipendenti della base che di tanto in tanto mi parlavano venni a conoscenza di un certo fenomeno che gli umani chiamano “amore”. Ebbi anche la spiegazione di certe parole volgari che i maschi pronunciavano quando lei non c’era. La maggior parte di quelle parole si riferivano al desiderio di accoppiarsi con Lisabeth (apparentemente su base temporanea), però c’erano anche delle descrizioni favorevolissime delle sue glandole lattifere (perché mai gli umani sono così aggressivamente mammiferi?) e della parte rotonda posteriore, proprio sopra il punto in cui il corpo si divide in due arti. Confesso che quella regione affascina anche me. È stranissima quella divisione in due a circa metà corpo!
Non ho mai manifestato apertamente i miei sentimenti a Lisabeth. Ho cercato di portarla lentamente a capire che l’amavo. Una volta a conoscenza, così pensavo, avremmo potuto pensare a un nostro futuro insieme.
Che stupido ero.