Solo allora Morgon sentì che quel silenzio allentava la presa su di lui, e riuscì a muoversi. Spinse la sua mente nella notte, ma dovunque sondasse non trovò che quiete e sonno. Si alzò. Coi pugni chiusi e i denti stretti aveva l’aria di trattenere le parole, quasi che non osasse pronunciarle. La Morgol sembrava ancor più riluttante a parlare. Raddrizzò le spalle, rigida, poi riabbassò gli occhi sulla fiammella della candela che si rifletteva sul tavolo. Pian piano il sangue tornava ad affluirle al viso. Vedendo che la sua espressione si rilassava Morgon ritrovò la parola.
— Dov’è andato? — mormorò. — Deve avertene parlato.
— Ha detto… ha detto che aveva appena fatto l’unica sciocchezza della sua lunghissima vita. — Intrecciò le mani e le fissò, sforzandosi di concentrarsi. — Non voleva che tu potessi conoscerlo, non finché non avresti trovato abbastanza potere per batterti da solo. Se n’è andato perché adesso costituisce un pericolo per te. Ha detto… altre cose. — Scosse il capo un attimo, poi continuò: — Ha capito soltanto ora che c’è un limite alla sua sopportazione.
— La Piana del Vento. Sarà andato a Ymris.
Lei rialzò lo sguardo, ma non fece commenti. — Trovalo, Morgon. Non importa quanto sia pericoloso per te e per lui. È stato solo ormai fin troppo tempo.
— Lo farò. — S’inginocchiò a fianco di Raederle, che stava guardando nel fuoco, e con una carezza cancellò i riflessi della fiamma dal suo volto. Lei lo guardò, e negli occhi aveva qualcosa di antico, selvaggio, semiumano, come se avesse scrutato nei ricordi del Supremo. Le prese una mano. — Vieni con me.
Quando la giovane donna si alzò lui legò la mente alla sua, e spinse una sonda nella notte di Herun finché non sfiorò un macigno di cui si ricordava, sul bordo delle paludi. Mentre Lyra entrava nella camera col vassoio della cena in mano, lui fece un passo avanti e svanì.
Nel luogo in cui si materializzarono, l’uno accanto all’altra, c’era soltanto un desolato chiarore in cui i banchi di nebbia vagavano come spettri. Morgon inviò i suoi pensieri a spiraleggiare più oltre, nell’aria libera verso le basse colline, poi al di là di esse, più lontano di quanto avesse mai proiettato la mente. Ancorò la coscienza nel cuore nodoso di un pino e si spostò verso di esso.
Stando dinnanzi all’albero, nella ventosa foresta fra Herun e Ymris, sentì i suoi poteri già tirati allo spasimo vacillare d’un tratto. Non riusciva più a concentrarsi, quasi che il vento gli spazzasse via i pensieri. Il suo corpo, a cui negli ultimi tempi aveva prestato così scarsa attenzione, aveva ora richieste imperative. Un tremito lo scosse, al ricordo del profumo del cibo caldo che Lyra gli aveva portato. Frammenti della vita dell’arpista lampeggiavano nella sua mente. Risentì quella voce misurata e tranquilla parlare ai Re, ai mercanti, a Ghisteslwchlohm, sempre colma di enigmi, e non tanto nelle parole quanto in ciò che non diceva. Il ricordo lo sopraffece, strappandogli un ansito, e sentì il vento del nord penetrargli nelle ossa.
— Per poco non l’ho ucciso — sussurrò, spaventato dalla sua stessa stupidità, dai suoi errori. — Io ho inseguito il Supremo attraverso tutto il reame, per ammazzarlo. — Una sofferenza ormai familiare gli strinse il cuore. — Mi ha lasciato nelle mani di Ghisteslwchlohm. E avrebbe potuto uccidere il Fondatore con mezza parola. Invece ha suonato l’arpa. Non c’è da stupirsi se non l’ho mai saputo riconoscere.
— Morgon, fa freddo. — Raederle lo abbracciò. Anche i capelli di lei erano gelidi contro il suo volto. Cercò di schiarirsi i pensieri, ma il vento li aggrovigliava ai ricordi, e vide ancora gli occhi dell’arpista vuoti e sbarrati verso il cielo.
— Era un Signore…
— Morgon! — Il richiamo di lei gli s’incuneò nella mente. Lui lo accolse, sorpreso. I sensi di lei lo placarono e si unirono ai suoi, schiarendoli. Si scostò di un passo e poi si girò a guardarla, nell’oscurità.
— Tu non sei mai stata veramente preoccupata per la mia vita.
— Oh, Morgon! — Lo prese per un braccio. — L’hai detto tu stesso: avresti resistito e sopportato, a ogni costo. Lui aveva bisogno che ti indurissi sempre più, per questo ti ha lasciato a Ghisteslwchlohm. Non mi sto spiegando… no! — protestò, nel sentirlo irrigidirsi. — Hai imparato a sopravvivere. Credi che sia stato facile per lui? Suonare l’arpa per secoli al servizio di Ghisteslwchlohm, nell’attesa del Portatore di Stelle!
— No — ammise lui dopo un poco, ripensando alle mani spezzate dell’arpista. — Ha usato se stesso spietatamente, così come ha usato me. Ma a che scopo?
— Trovalo. Domandaglielo.
— Non riesco più a muovermi — mormorò lui. La mente di Raederle toccò di nuovo la sua, incerta, ed egli attese che i loro pensieri si unissero e si esplorassero. Infine lei lo prese per mano. Morgon la seguì senza sapere dove stesse andando, e cominciò a capire la pazienza e la fiducia che le aveva chiesto. Stancamente le tenne dietro mentre cercava la strada nella boscaglia. All’alba giunsero al confine settentrionale di Ymris. E là, alle prime luci del sole che rivelavano l’avvicinarsi di altre tempeste da oriente, si fermarono a riposare.
Volarono verso Marcher sotto forma di avvoltoi. Le impervie colline sui confini apparivano tranquille; ma nel tardo pomeriggio i due volatili avvistarono un gruppo di armati che scortavano una fila di carri diretti a Caerweddin. Morgon planò nella loro direzione. Prima di atterrare sulla strada s’impadronì della mente di quello che sembrava il capo, per evitare di venir attaccato mentre cambiava forma. Poi fece materializzare la spada e la sollevò, mostrando all’uomo le tre stelle dell’elsa. Nella luce grigia del crepuscolo il loro splendore lo paralizzò.
— Morgon di Hed! — ansimò il guerriero. Era un veterano dall’aria dura, con una cicatrice sul volto, i cui occhi ombrosi e sanguigni sembravano aver visto la morte su parecchi campi di battaglia. Alzò un braccio per far fermare i carri dietro di lui e smontò di sella. Gli altri cavalieri guardavano in silenzio.
— È necessario che io trovi Yrth — disse Morgon, — oppure Aloil. O Astrin Ymris.
L’uomo allungò una mano a sfiorare le stelle della spada levata in alto, con un gesto curioso, simile al giuramento rituale di un vassallo. Poi sbarrò gli occhi fissando l’avvoltoio che era sceso ad appollaiarsi su una spalla del giovane. Disse: — Io sono Lein Marcher, cugino dell’Alto Nobile di Marcher. Non conosco Yrth. Astrin Ymris è a Caerweddin, e lui potrà dirvi dove trovare Aloil. Sto portando armi e rifornimenti a Caerweddin, per quel che potrà servire. Se io fossi voi, Signore delle Stelle, non farei un passo in questa terra condannata. Tenete nascoste le vostre tre stelle.
— Sono venuto per combattere — disse Morgon. La terra che aveva sotto i piedi sembrava sussurrargli già le sue leggi, le sue antiche leggende, i suoi morti, e qualcosa dentro di lui premeva per plasmarsi profondamente in quelle voci. Gli occhi del veterano scrutarono il suo volto magro, la tunica ormai sdrucita che sembrava assurda in quella terra fredda e pericolosa.
— Hed! — esclamò. Un sorriso di stupore scacciò lo sconforto che gli incupiva gli occhi. — Bene. Abbiamo già provato ogni altra cosa. Vi offrirei di viaggiare con me, Signore, ma penso che sappiate badare a voi stesso meglio di noi. C’è un solo uomo che Astrin desidera vedere più di voi, anche se non scommetterei su questa affermazione.
— Hereu. È ancora fra i dispersi?
L’uomo assentì stancamente. — Da qualche parte del reame, fra i morti o fra i vivi. Neppure il mago ha potuto trovarlo. Io credo…
— Potrò trovarlo io — dichiarò Morgon. L’uomo si azzitti, mentre nel suo sorriso nasceva un’esile e incredula luce di speranza.
— Voi potete? Neppure Astrin c’è riuscito, sebbene i suoi sogni siano pieni dei pensieri di Hereu. Signore, chi… chi siete voi, che state dinnanzi a me tremando di freddo ma colmo di un potere che m’illumina il cuore? Io sono sopravvissuto alla carneficina della Piana del Vento. E ci sono notti in cui mi sveglio e penso che mi converrebbe essere morto laggiù. — Scosse il capo; sollevò ancora una mano verso Morgon, ma la lasciò ricadere prima d’averlo toccato. — Andate, ora. Non mostrate al nemico le vostre stelle, e cercate di giungere salvo a Caerweddin. Affrettatevi, Signore.
I due avvoltoi si levarono in volo verso oriente. Oltrepassarono altri lunghi convogli di rifornimenti e branchi di cavalli da sella; sulla verticale delle grandi ville nobiliari rallentarono per osservare l’attività nei cortili, da cui si alzavano il fumo delle fonderie e il tintinnio delle incudini. Ovunque si scorgevano i colori sgargianti degli stendardi e delle uniformi, il movimento dei cavalli da guerra che venivano riuniti, carri carichi di provvigioni e gruppi di individui eterogenei in marcia verso Caerweddin. Fra loro c’erano molti ragazzi giovanissimi, rustici pastori e mandriani, contadini, fabbri, gente di paese e bottegai, ai quali i soldati impartivano una grezza e disperata istruzione alle armi prima di spedirli a raggiungere l’esercito presso Caerweddin. La loro vista incitò i due avvoltoi ad accelerare il volo. Seguirono il corso del Thul che con le sue acque scure tagliava i campi diretto al mare.
Quando raggiunsero Caerweddin, al tramonto, il cielo brillava come uno stendardo percorso dai gelidi venti invernali. L’intera città era circondata da migliaia di fuochi da campo, quasi che fosse assediata dal suo stesso esercito. Ma il porto era vuoto, e al largo c’erano navi da trasporto di Isig e di Anuin in attesa di entrare con la marea della sera. La stupenda dimora dei Re di Ymris, costruita con le pietre della città dei Signori della Terra splendeva di mille luci nel crepuscolo. I due avvoltoi presero terra nell’ombra all’esterno del portale chiuso, e sulla strada riassunsero le fattezze umane.
Per un attimo si fissarono senza parlare. Morgon strinse a sé Raederle, avido di vederla e di sentirla solida fra le sue braccia, e le sfiorò i pensieri. Poi spinse la mente all’interno della grande reggia, in cerca di quelli di Astrin.
Gli si materializzò davanti mentre l’Erede di Ymris sedeva da solo in una piccola stanza da riunioni. Era intento al lavoro: sparsi sulla sua scrivania c’erano mappe, messaggi e liste di uomini e di rifornimenti. Ma il locale era immerso nella penombra, e l’uomo non s’era ancora preoccupato di accendere qualche candela. S’era girato a guardare il fuoco semispento e il suo volto appariva pallido, segnato. La comparsa di Morgon e di Raederle, che avevano preso forma solida nell’ombra e nel silenzio, non lo fecero neppure sussultare. Per alcuni istanti li fissò come se fossero più evanescenti e irreali delle sue speranze. Poi la sua espressione cambiò, e si alzò con uno scatto così repentino che la sedia si rovesciò rumorosamente a terra dietro di lui.
— Tu! Dove sei stato fin’ora? — ansimò.
Nel tono di quella domanda vibrava una ridda di sentimenti diversi, dal sollievo all’esasperazione. E Morgon, che alla vista dell’occhio cieco del Principe di Ymris era tornato per un attimo agli avvenimenti drammatici del passato, poté soltanto rispondere: — Sono stato a cercare le risposte di alcuni enigmi.
Astrin aggirò la scrivania e porse una sedia a Raederle. Le mescé un boccale di vino di Herun, e la storditezza residua di quel volo cominciò ad abbandonare il bel volto di lei. Soltanto dopo aver provveduto alla giovane donna Astrin si girò a Morgon, sbalordito.
— Ma da dove venite? Non ho fatto che pensare a te e a Hereu… Hereu e te! Sei magro come un lupo, però ancora in un sol pezzo. Sembri… se mai ho visto un uomo affilato come una spada, sei tu. E in questa stanza sento vibrare un potere simile a un tuono silenzioso. Dove l’hai trovato?
— Qua e là per il reame. — Si versò del vino e sedette.
— Per fare qualcosa per Ymris?
— Non lo so. Forse. Bisogna che rintracci Yrth.
— Yrth. Credevo che fosse con te.
Lui scosse il capo. — Mi ha lasciato. Devo trovarlo. Ho bisogno di lui… — La voce gli si smorzò in un sospiro; fissò gli occhi nel fuoco, soppesando il boccale d’oro fra le dita. Quando le parole di Astrin gli rotearono confuse negli orecchi s’accorse d’essere mezzo addormentato.
— Io non l’ho visto, Morgon.
— Aloil è qui? La sua mente è legata a quella di Yrth.
— No, è con l’esercito di Mathom. Si sta radunando nei boschi intorno alla Strada dei Mercanti. Morgon… — Colpito dalla sua espressione improvvisamente disperata, Astrin lo afferrò per una spalla.
— Ce l’avevo accanto! Capisci? Se solo avessi avuto l’intelligenza di voltarmi a guardarlo in faccia, invece d’inseguire la sua ombra per tutto il reame. Ho suonato l’arpa con lui, ho combattuto con lui, ho cercato di ucciderlo, e gli ho voluto bene, e nel momento in cui ho compreso il suo nome è svanito, lasciandomi qui a corrergli dietro… — La stretta di Astrin gli strappò una smorfia di dolore.
— Ma che stai dicendo?
Conscio d’aver parlato in modo confuso Morgon lo fissò, muto. E di nuovo il volto di Astrin fu per lui quello dell’albino, strano e sconosciuto, che s’era trovato davanti riprendendo conoscenze senza nome e senza voce su una spiaggia misteriosa. Il guerriero dalla tunica male abbottonata sulla cotta di maglia tornò a essere, ai suoi occhi, il mezzo stregone che abitava in una baracca sul mare e indagava il passato fra le ossa morte di una città, alla Piana del Vento.
— La Piana del Vento… — sussurrò. — No, non può essere andato là senza di me. E io non sono ancora pronto.
Le mani di Astrin si rilassarono. Bianco come un teschio il suo viso era inespressivo. — Chi è che stai cercando, di preciso? — Sillabò le parole con forza, come per ficcargliele nella carne. In Morgon esplose il nome dell’arpista, e con esso il primo oscuro enigma che l’uomo gli aveva offerto, in un caldo pomeriggio autunnale sul molo di Tol. Deglutì a vuoto, chiedendosi cosa stava inseguendo.
Raederle s’inclinò sulla sedia, immergendo il volto in un mantello di pelliccia ripiegato sullo schienale. I suoi occhi si chiusero. — Hai risposto a tanti enigmi — mormorò. — Dov’è l’ultimo degli enigmi senza risposta, se non sulla Piana del Vento?
Si strinse insonnolita alla pelliccia, mentre Morgon la fissava dubbioso, e restò immobile. Astrin le tolse il boccale dalle dita per un attimo prima che le scivolasse a terra. Morgon si alzò con decisione e attraversò la stanza. Si piegò sulla scrivania di Astrin, spiegando una mappa di Ymris.
— Piana del Vento… — Fissò gli occhi sull’area piatta e ombreggiata presso la costa. Puntò un dito su una piccola macchia scura nell’ovest di Ruhn. — Questa cos’è?
Astrin s’era chinato a rinfocolare la fiamma, si alzò. — Un’antica città — disse. — Hanno occupato quasi tutte le città dei Signori della Terra, a Meremont e a Tor, e nel sud di Ruhn.
— Puoi attraversare la Piana del Vento?
— Morgon, se tu me lo chiedessi andrei fin là accompagnato soltanto dalla mia ombra. Ma puoi suggerirmi una ragione che io possa far accettare ai miei Nobili, per portare l’intero esercito a combattere su un cumulo di macerie e lasciare Caerweddin indifesa?
Morgon continuò a fissarlo. — Puoi attraversarla o no?
— Forse qui. — Tracciò una linea che partiva da Caerweddin, passando fra Tor e l’area scura nell’est di Umber. — Con qualche rischio. — Indicò il confine meridionale di Meremont. — L’esercito di Mathom sarà qui. Se quelli che combattiamo fossero uomini li darei già per spacciati, chiusi come sono fra due grosse armate. Ma non è possibile calcolare le loro forze. Nessuno può farlo. Loro possono accrescerle come vogliono. Non ci stanno sfidando a una battaglia campale; si limitano a occupare terre, a precederci, a tagliarci fuori, come se il reame fosse la loro scacchiera e noi dei miseri pedoni… e la partita che stanno giocando sembra incomprensibile. Dammi tu una ragione per spostare gli uomini a sud, a combattere in una terra fredda e senza valore dove nessuno abita da millenni.
Morgon indicò il punto della Piana del Vento dove sorgeva una torre solitaria. — Danan sta scendendo dal nord coi suoi minatori. E Har coi vesta. E la Morgol con le sue guardie. È Yrth che li ha voluti qui, sulla Piana del Vento. Astrin, proteggere i sovrani del reame non è una ragione abbastanza buona?
— Perché vogliono venire qui? — Il suo pugno sbatté sonoramente sulla mappa, ma Raederle non si svegliò. — Perché?
— Non lo so.
— Li fermerò in Marcher.
— Non potrai fermarli. Sono costretti ad andare sulla Piana del Vento, come lo sono io, e se vuoi vedere qualcuno di noi ancora vivo la prossima primavera porta il tuo esercito a sud. Non ho scelto io la stagione. Né l’esercito che mi ha seguito attraverso il reame, né la guerra. Io sono… — S’interruppe, sentendo le mani di lui attanagliarsi ancora alle sue spalle. — Astrin, non posso concederti altro tempo. Ho visto troppe cose. Non mi resta più possibilità di scelta.
L’unico occhio dell’uomo sembrava volerlo tenere inchiodato per scavargli nei pensieri. — Allora chi è che non ti lascia scelta?
— Vieni alla Piana del Vento.
Il Principe lo lasciò. — Sarò là — fu il suo sussurro.
Morgon fece l’atto di alzarsi, poi ricadde a sedere. — Devo andare — disse, stanco.
— Questa notte?
— Sì. Dormirò un poco e poi partirò. Ho bisogno di risposte… — Gettò uno sguardo al volto di Raederle, seminascosto nel mantello di pelliccia; l’onda dei capelli le lasciava scoperta solo una guancia, nella luce rosata del fuoco. — La lascerò dormire — disse, sottovoce. — Potrà seguirmi quando si sveglierà. Dille di essere prudente nel sorvolare la Piana del Vento.
— Dove intendi andare?
Con gli occhi fissi sui capelli di Raederle lasciò che le palpebre gli si chiudessero. — A cercare Aloil… a cercare un vento.
Dormì senza sognare, e si risvegliò non molte ore più tardi. Astrin aveva coperto Raederle con un’altra pelliccia da cui sbucava soltanto il suo volto d’alabastro, e seduto accanto al fuoco li stava ancora vegliando. Aveva la spada sguainata, e una mano sulla lama affilata. Morgon pensò che dormisse anch’egli, finché non lo vide volgersi con l’occhio buono spalancato. Nessuno di loro disse parola, e il solo saluto di Morgon fu un tocco amichevole su una spalla. Poi si smaterializzò attraverso i muri di pietra e salì in volo nella notte.
Il vento notturno lo tartassò subito con gelide raffiche furiose, ma ritenne prudente non far uso di alcun potere nella fascia di territorio a meridione di Caerweddin. L’alba sorse oltre le nuvole da cui una grigia pioggia cadeva sugli alberi spogli e i campi senza vita. Volò per tutto il giorno, lottando con le raffiche. Al tramonto vide dinnanzi a sé la Piana del Vento.
Si abbassò di quota, un pesante avvoltoio nerastro che con occhi arrossati scrutava i resti non sepolti dei guerrieri abbandonati dall’esercito di Hereu in ritirata. Sulla desolata pianura non si muoveva un’anima viva; la pioggia teneva alla larga perfino gli uccelli e i mangiatori di carogne. Malgrado la scarsa luce dappertutto si scorgevano i riflessi di armi, sparse al suolo a perdita d’occhio. L’umidità avrebbe corroso le else ingioiellate, le armature, le vesti, gli stendardi, e infine altre piogge avrebbero sepolto le ossa dei cavalli e dei guerrieri nel ventre della terra. L’esplorazione visiva non gli rivelò nulla di allarmante, mentre a lenti colpi d’ala proseguiva verso l’antica città in rovina, ma i suoi istinti di avvoltoio fremevano al silenzioso e mortale senso di pericolo che si sentiva aleggiare sull’intera piana.
Oltrepassò la città in rovina, sopra la quale l’immensa torre si ergeva spiraleggiando nel grigiore della sera. Con cura tenne la mente sgombra da ogni pensiero, concentrandosi soltanto sugli umidi odori della terra e sul ritmo lento e stanco delle sue ali. Non si fermò finché non ebbe attraversato la pianura, e sul confine meridionale di Ymris vide finalmente i fuochi notturni dell’esercito di Mathom, scaglionati lungo il fiume presso la Strada dei Mercanti. Si abbassò allora nella boscaglia e cercò riparo fra i folti rami privi di foglie. Non si mosse da lì fino al mattino.
L’alba incrostò il terreno di brina, in un’aria fredda che tagliava come una lama. Quando tornò in forma umana ne fu colpito; il fiato gli usciva dalle narici spesso e bianco come nebbia. Rabbrividendo seguì l’odore dei fuochi di legna e del vino caldo che proveniva dal fiume. Come sentinelle c’erano degli spettri, guerrieri morti di An. Essi parvero sentire in lui qualcosa della terra di An, perché si limitarono a fissarlo con occhi privi di luce e lo lasciarono passare senza attaccarlo.
Fuori dal padiglione reale vide Aloil e Talies che parlavano. Tenendosi invisibile si unì ai due maghi e protese le mani verso il fuoco. Fra gli alberi nudi ardevano altri bivacchi, e dalle tende uscivano già molti guerrieri, sfregandosi le braccia per far circolare il sangue. I cavalli, impastoiati a lunghe corde, sbuffavano nuvole di fiato caldo. Le tende, le gualdrappe dei destrieri, le tuniche degli uomini e i vessilli recavano i colori di battaglia di Anuin: azzurro e porpora, orlati col nero della tristezza. Anche gli spettri, quelli che erano preoccupati di vestirsi in memoria dei loro corpi, portavano gli antichi colori per cui erano morti. Si muovevano fra i vivi con fattezze concrete e spesso vivaci quanto le loro; ma gli uomini, che a quel punto avevano ben altri pensieri, prestavano più attenzione alla colazione che ai defunti.
Quando si fu scaldato Morgon prestò orecchio alla conversazione dei due maghi e tornò visibile. Aloil s’interruppe a metà di una frase, volgendo oltre il fuoco i suoi intensi occhi azzurri, e la sua espressione preoccupata si fece subito stupita.
— Morgon!…
— Sto cercando Yrth — disse lui. — Astrin mi ha detto che era con voi. — Talies, inarcando le sopracciglia, parve sul punto di esclamare qualcosa. Poi andò all’ingresso del padiglione del Re e scostò la tenda. Mormorò in fretta qualcosa. Mathom di An lo seguì subito all’esterno.
— Era qui giusto un momento fa — riferì Talies. E a Morgon sfuggì un sospiro. — Non può essere andato lontano. Ma in nome di Hel, come hai attraversato la Piana del Vento?
— Di notte. Sotto forma di avvoltoio. — Fronteggiò i neri occhi scrutatori del Re di An. Mathom si tolse il mantello dalle spalle e brontolò, seccato: — Fa un tale freddo che si stanno congelando anche gli spettri. — Lo drappeggiò attorno a quelle di Morgon. — Dove hai lasciato mia figlia?
— Addormentata, nella reggia di Caerweddin. Mi seguirà, appena si sarà riposata.
— Attraverso la Piana del Vento? Da sola? Credevo vi foste dati già abbastanza preoccupazioni l’un l’altro — bofonchiò Mathom, chinandosi a rinfocolare il bivacco con della corteccia di quercia.
Morgon si strinse nel mantello. — Yrth era con voi? Dov’è andato?
— Non so. Ho pensato che fosse uscito a prendersi un boccale di vino caldo. Questa non è una stagione adatta a noi vecchi. Perché? Ci sono qui due grandi maghi, entrambi al tuo servizio. — Senza attendere la risposta si volse ad Aloil. — Tu sei legato a lui. Dov’è?
Aloil scosse il capo, guardando la corteccia fumante. — A dormire, forse. La sua mente tace. Ha viaggiato a lungo attraverso Ymris.
— E così Morgon, direi, dall’aspetto — commentò Talies. — Perché Yrth non ha viaggiato con te?
Morgon non aveva una risposta facile da dargli. Fece un gesto vago. Gli occhi da corvo di Mathom ebbero uno scintillio. — Senza dubbio Yrth aveva le sue ragioni. Un cieco può vedere cose negate agli occhi altrui. Vi siete fermati a Caerweddin? Astrin è ancora in lite coi suoi Nobili guerrieri?
— Forse. Comunque Astrin sta portando l’intero esercito sulla Piana del Vento.
— Quando l’ha deciso? — si stupì Aloil. — Tre notti fa ho parlato con lui, e non mi ha detto niente.
— Ieri — rispose lui. — Gliel’ho chiesto io.
Ci fu un breve silenzio, durante il quale una delle sentinelle, la cui armatura rivestiva soltanto un nudo scheletro, transitò presso il fuoco in arcioni allo scheletro d’un cavallo. Mathom lo seguì con uno sguardo distratto. — Già. Cosa vede un uomo con un occhio solo? — E poi rispose a se stesso, con una smorfia cupa: — Morte.
— Questo non è il momento per gli enigmi — disse nervosamente Aloil. — Se fra Umber e Tor la strada è sgombra, gli occorreranno quattro giorni per arrivare sulla piana. In caso contrario… meglio che tu sia pronto a marciare a nord per aiutarlo. Se cadesse in una trappola prima di giungere sulla piana potrebbe perdere tutto il suo esercito. E avrebbe perduto Ymris. Tu sai quel che stai facendo? — chiese a Morgon. — Hai ottenuto poteri spaventosi. Ma sei preparato a usarli da solo?
Talies gli poggiò una mano su una spalla. — Tu hai la mente di un guerriero di Ymris — disse, — pieno di muscoli e poesia. Io non sono un esperto di enigmi, ma dopo aver vissuto per secoli nelle Tre Parti di An ho appreso qualche piccola sottigliezza. Vuoi ascoltare quel che il Portatore di Stelle sta dicendo? Ha seguito tutte le forze del reame sulla Piana del Vento, e non ha intenzione di battersi con loro. La Piana del Vento. Astrin l’ha vista. Yrth l’ha vista. L’ultimo campo di battaglia…
Aloil lo guardò in silenzio. Il suo volto fu percorso dal fremito di una fragile e quasi riluttante speranza. — Il Supremo. — Si volse a Morgon. — Credi che sia sulla Piana del Vento?
— Credo — disse sottovoce lui — che dovunque sia se non lo troveremo in tempo per noi tutti sarà la morte. Ho risposto a un enigma di troppo. — Scosse il capo, mentre entrambi i maghi cominciavano a parlare. — Venite alla Piana del Vento. Là avrete le risposte che potrò darvi. È là che avrei dovuto andare per prima cosa, ma ho pensato che forse… — Si interruppe. Fu Mathom a concludere per lui:
— Hai pensato che Yrth fosse qui. L’Arpista di Lungold. — Ebbe un mugolio rauco, simile alla risata di un corvo, però il suo sguardo era fisso nel fuoco come se vi vedesse la fine di un sogno. Improvvisamente volse loro le spalle, ma non prima che Morgon scorgesse i suoi occhi, vuoti e privi di espressione come quelli dei suoi spettri, occhi che avevano visto fino in fondo al nudo scheletro della verità.
Al tramonto Morgon si fermò fra gli alberi sul fondo della Piana del Vento, aspettando che la notte si chiudesse pian piano sulla città deserta e sulle erbacce che sussurravano al vento. Restò lì a lungo, così immobile che avrebbe potuto radicarsi al suolo senza accorgersene, come una quercia. Il cielo divenne un oscuro manto senza stelle disteso sul mondo, così buio che perfino con la sua visione notturna gli sgargianti colori arlecchinati della torre erano tenebra nella tenebra. Solo allora si mosse, di nuovo conscio del suo corpo. Passò fra le rovine, e nel momento in cui faceva l’ultimo passo verso la torre le nuvole si aprirono inaspettatamente. Nell’insondabile oscurità di quello squarcio celeste brillò una stella.
Ai piedi della spirale di scalini si fermò, guardandoli come li aveva guardati nell’umido autunno di due anni addietro. Quel giorno, ricordò, era tornato sui suoi passi, indifferente, senza nessuna ragione che lo spingesse a salire. Gli scalini erano in pietra dorata, e a dar retta alle leggende spiraleggiavano via dalla terra per l’eternità.
Insaccò la testa fra le spalle come per procedere contro un forte vento e cominciò l’ascesa. La parete alla sua destra era dello stesso lucido nero nello spazio fra le stelle. La scala d’oro girava intorno al cuore della torre, salendo con lieve pendenza. Tornato sulla parete anteriore, dove iniziava il secondo giro della spirale, il nero lasciò il posto a un brillante scarlatto. E notò che il vento non era più la sottile brezza del giorno prima; la sua voce era forte, gagliarda. Gli scalini sotto ai suoi piedi sembravano ora intarsiati d’avorio.
Alla terza spirale sentì il tono del vento mutare ancora. Le raffiche contenevano note che lui aveva suonato sull’arpa delle desolazioni settentrionali, e d’impulso alzò le mani per richiamare a sé lo strumento. Ma distrarsi con l’arpa sarebbe stato fatale, cosicché lasciò ricadere le braccia. Al quarto livello la parete sembrava d’oro zecchino, e la scala scolpita in una stella di fuoco. Girava all’insù senza fine, ed egli la seguì mentre la piana e la città morta s’allontanavano sempre più sotto di lui. Il vento divenne freddo. Al nono livello cominciò a domandarsi se non stava scalando una montagna. La parete ricurva e gli scalini erano bianchi come il ghiaccio e la neve. Ma la spirale andava facendosi più stretta, e questo lo indusse a pensare che la cima non era lontana. Al livello superiore, tuttavia, ogni cosa divenne nera intorno a lui, quasi che le stesse stelle fossero state spazzate via dal cielo. Quella tenebra gli parve interminabile, e quando ne uscì vide che la luna era ancora là dove l’aveva vista l’ultima volta. Continuò l’ascesa. La parete assunse un dolce colore d’alba rosata, e viste da lì le stelle erano pallidi rubini. Il vento tagliava ora come un coltello di ghiaccio, spietato e mortale, quasi che cercasse di farlo rinunciare alla sua forma umana. Salì lottando contro di esso, per metà uomo e per metà vento, ed i colori che gli fluttuavano attorno mutarono più volte, finché comprese, come altri erano stati costretti a comprendere prima di lui, che avrebbe potuto spiraleggiare su attraverso i loro mutamenti in eterno.
Si fermò. Più in basso la città era così lontana nel buio da essergli del tutto invisibile. Alzando lo sguardo poté vedere l’elusiva sommità della torre molto vicina. Ma gli era stata a quella distanza, così gli sembrava, per ore e ore. Si domandò se quello che stava scalando era soltanto un sogno, sognato e abbandonato fra le rovine migliaia di anni prima. Poi comprese che non era un sogno, bensì un’illusione, un antico enigma legato alla mente di qualcuno, e che lui s’era portato dietro la risposta per tutta l’ascesa.
Sottovoce mormorò: — Deth!