Il Portatore di Stelle e Raederle di An sedevano sulla sommità della più alta fra le sette torri di Anuin. Sotto di loro era tutto un susseguirsi di tetti e terrazze di pietra bianca, che digradavano fino alla verde ondulazione del pendio su cui sorgeva la grande dimora. Più in basso la città sembrava doversi aggrappare ai colli per non scivolare in mare. Il cielo che splendeva su di loro era d’un azzurro intenso, la cui monotona serenità era turbata appena ogni tanto dallo spiraleggiare di un falco. Da molte ore Morgon non si muoveva. Quel mattino il sole aveva proiettato l’ombra del suo profilo contro uno dei merli fra cui era venuto a sedersi, e senza che lui ne avesse notato il lento ruotare l’ombra si stagliava adesso su quello opposto. Era consapevole della presenza di Raederle come di un elemento del panorama che gli si dispiegava intorno, com’era conscio della lieve brezza o dei corvi, che svolazzavano in ondeggianti file di puntini neri sul verde dei frutteti lontani: qualcosa di tranquillo e di remoto, la cui bellezza s’insinuava di tanto in tanto fra i suoi pensieri.
Nella mente gli s’intrecciavano interminabili ridde di congetture che l’una dopo l’altra finivano per sbattere sul muro della sua ignoranza. Stelle, bambini dalla faccia di pietra, i vividi frammenti di una coppa che aveva mandato in pezzi nella baracca di Astrin, città morte, una cambiaforma dai capelli neri, un arpista, tutte ipotesi che nel suo lavorio mentale si risolvevano in enigmi senza risposta. Ripensò alla sua vita, alla storia del reame, cercando di vedere i fatti come frammenti di un mosaico per metterli insieme. Niente combaciava; nessun elemento corrispondeva; la sua capacità di concentrarsi slittava via dai ricordi per disperdersi nella calura dell’aria estiva.
Si raddrizzò infine, rigido come una pietra che avesse deciso di muoversi, e si passò le dita sugli occhi. Immagini palpitanti simili ad antichi animali senza nome gli fluttuarono dietro le palpebre. Si schiarì di nuovo la mente, lasciò che quelle forme vagassero insieme ai suoi pensieri finché pian piano tornarono a svanire fra le nebbie dell’irrealtà.
Nei suoi occhi si spalancò l’immensa visione del cielo azzurro, e il fitto intreccio di stradicciole e di case più in basso. Incapace di pensare ancora si appoggiò contro la sua ombra. Il silenzio contenuto in quelle vecchie pietre penetrò dentro di lui; i suoi pensieri confusi e tormentati tornarono alla quiete.
Nel suo campo visivo entrarono una scarpetta di pelle e l’orlo ondeggiante di una gonna verde foglia. Girò la testa e si accorse che Raederle s’era seduta a gambe incrociate sul bordo di pietra accanto a lui.
Allungò un braccio, malgrado la posizione precaria, e la attrasse contro di sé. Poggiò il volto sui lunghi capelli di lei scossi dalla brezza, chiuse gli occhi e attraverso il sottile sipario delle palpebre continuò a vederne l’intreccio di luci e ombre. Non disse parola, ma la strinse con forza, quasi che presentisse l’arrivo di un vento deciso a strapparli via dal posto elevato e pericoloso in cui riposavano assieme.
Lei ebbe un fremito, sollevò il volto a baciarlo, e le braccia di lui riluttanti allentarono la presa. — Avevo dimenticato la tua presenza — disse, quando la bocca di lei si scostò.
— Sì. Ho cominciato ad accorgermene anch’io, dopo un’ora che stavi qui seduto. A cosa stavi pensando?
— A tutto. — Staccò un pezzo di calcina da una fessura e lo gettò fra le chiome degli alberi dietro il palazzo. Alcuni corvi balzarono in volo dai rami, strepitando. — Ho setacciato il mio passato fino a logorarmi il cervello, e arrivo sempre alla stessa conclusione. Io non so cosa sto facendo. In nome di Hel, non lo so!
Lei represse un brivido; sollevò le ginocchia e si appoggiò di lato al montante di pietra per osservarlo in viso. La gola le si strinse all’improvviso, quasi troppo piena di parole, e i suoi occhi luminosi come verde ambra marina si offuscarono un poco. — Rispondere agli enigmi. Tu mi hai detto che questa è la sola cosa che puoi fare; cieco, sordo, muto, e senza sapere dove stai andando.
— Lo so. — Estrasse un altro pezzo di calcina dalla fenditura e lo scagliò, con tale foga che per poco non perse l’equilibrio. — Lo so. Ma già da sette giorni sono qui ad Anuin con te, e non riesco a trovare una ragione o un enigma che possano indurmi a lasciare questa casa. Salvo il fatto che se resteremo qui troppo a lungo, moriremo entrambi.
— Questa è una ragione — osservò pacatamente lei.
— Io non so perché la mia vita dev’essere in pericolo a causa delle tre stelle che porto sulla fronte. No so dove sia il Supremo. Non so chi siano i cambiaforma, né come io possa aiutare un gruppo di bambini che si sono trasformati in pietra nelle viscere di una montagna. Conosco un solo posto da cui potrei cominciare a cercare delle risposte. E non è una prospettiva che lascia molte speranze.
— Dove?
— Nella mente di Ghisteslwchlohm.
Lei lo fissò, deglutì un groppo di saliva e appoggiò una guancia sulla pietra calda di sole. — Ebbene — mormorò con voce incerta, — io non credo che possiamo star qui in eterno. Ma, Morgon…
— Tu potresti restare qui.
Lei rialzò il capo. Il riflesso del sole nei suoi occhi gli impedì di leggerne l’espressione. Ma la sua voce suonò secca: — Io non ti lascerò. Per amor tuo ho rifiutato tutte le ricchezze di Hel. Tu devi imparare a vivere con me.
— È già abbastanza difficile cercare di restare in vita — mormorò lui distrattamente, poi arrossì. Ma la bocca di lei aveva avuto un tremito. Poi la strinse a sé, le prese una mano. — Per una setola di maiale d’argento, sarei disposto a portarti a Hed e a passare il resto della vita allevando cavalli da tiro sui pascoli orientali dell’isola.
— Io ti troverò una setola di maiale d’argento!
— Come si fa a sposarsi, in questa città?
— Tu non puoi sposarmi — disse con calma lei. La mano con cui lui la cingeva si allentò.
— Cosa?
— Solo il Re ha la facoltà di unire in matrimonio i suoi eredi. E mio padre non è qui. Perciò non potremo pensare a questo, almeno finché non troverò il tempo di tornare a casa.
— Ma, Raederle…
Lei raccolse un grosso frammento di calcina e lo gettò, colpendo in pieno un corvo di passaggio e strappandogli un gracidio. — Ma che cosa? — chiese, vagamente.
— Io non posso… non posso entrare da padrone sulla terra di tuo padre, sfidarne i morti come ho fatto, andar vicino a commettere un omicidio nel suo salone delle udienze, e poi prendere con me sua figlia e portarmela in giro per il reame senza neanche sposarla. In nome di Hel, cosa penserebbe di me tuo padre?
— Suppongo che te lo dirà lui stesso quando finalmente vi incontrerete. Ciò che penso io, ed è questo che conta, è che mio padre si è già immischiato fin troppo nella mia vita. Lui può aver previsto il nostro incontro, e forse anche perfino il nostro amore, ma non ha il diritto di far sempre tutto a suo modo. Se io non ti sposo è solo perché lui potrebbe aver previsto anche questo, in qualcuno dei suoi sogni.
— Pensi che ci fosse questo, dietro lo strano voto che fece circa la corona di Peven? Voglio dire, la precognizione? — s’incuriosì lui.
— Adesso stai cambiando argomento.
Lui la fissò un istante, riconsiderò l’argomento ed il rossore che le si era sparso sul volto. — Bene — disse sottovoce, lasciando il loro futuro nelle mani del vento che roteava intorno alla vertiginosa parete della torre. — Se rifiuti di sposarmi, non vedo cosa io potrei farci. E se hai deciso di venire con me, sempre che tu voglia realmente questo, non ti voglio fermare. Ti desidero troppo. Ma sono spaventato. Mi pare che avremmo migliori prospettive di cavarcela se ci tuffassimo da questa torre a testa in giù. In questo modo, se non altro, potremmo almeno vedere dove stiamo andando ad ammazzarci.
Lei mosse la mano sul bordo di pietra fra di loro; la sollevò a carezzargli una guancia. — Tu hai un nome e un destino. Io posso soltanto aggrapparmi alla certezza che presto o tardi inciamperai su qualcosa che ti darà una speranza.
— Non vedo niente di simile, per quanto guardi lontano. A parte te. Vorresti sposarmi a Hed?
— No.
Lui tacque un poco, studiando i suoi occhi. — Perché?
La giovane donna distolse bruscamente lo sguardo, ed egli avvertì in lei una strana agitazione. — Per diversi motivi.
— Raederle…
— No. E non chiedermelo più. E smettila di guardarmi in quel modo.
— Va bene — annuì lui dopo un momento. — Sai una cosa? Non ricordavo che tu fossi così testarda.
— Testa di maiale.
— Testa… di maiale!
Lei lo guardò cercando di restare seria, ma la sua bella bocca fu costretta a torcersi in un sorriso. Si strinse al suo fianco, gli passò un braccio intorno alle spalle e distese le gambe, coi piedi che penzolavano nel vuoto oltre il bordo. — Io ti amo, Morgon di Hed. E quando finalmente partiremo da questa casa, dove andremo per prima cosa. A Hed?
— Sì, a Hed… — Quel nome parve sfiorargli il cuore come la parola di un incantesimo. — Non ci sono affari urgenti che mi richiamino a casa. È semplicemente che voglio andarci. Per poche ore, una notte… non dovrebbe esserci alcun rischio. — Pensò alla distesa del mare, fra Anuin e Hed, e d’un tratto rabbrividì. — Non posso portarti sul mare!
— In nome di Hel, perché no? — si stupì lei.
— È troppo pericoloso.
— Questo non ha senso. Lungold è pericolosa, eppure io ci andrò con te.
— È un’altra cosa. Primo, perché nessuno di quelli a cui ho voluto bene è morto a Lungold. Non ancora. Secondo…
— Morgon, io non posso trovare la morte in mare. Probabilmente riesco a plasmare l’acqua come riesco a farlo col fuoco.
— Non puoi essere sicura di questo. O sbaglio? — Il solo pensiero di lei sul punto di annegare, travolta nei flutti, urlante e disperata, rese rauca la sua voce: — Potresti non avere neanche il tempo d’imparare a farlo.
— Morgon…
— Raederle, io so cosa significhi essere in alto mare, con la nave che ti si spacca in due sotto ai piedi. Non voglio che tu rischi la vita in questo modo.
— Non sei tu che rischi. Sono io. Inoltre io sono stata a bordo di varie imbarcazioni quando ti cercavo, da Caithnard fino a Kyrth e ritorno. E non mi è successo niente.
— Potresti aspettarmi a Caithnard per qualche giorno e…
— Io non ho affatto intenzione di restare a Caithnard — stabilì lei. — Verrò a Hed con te. Desidero vedere la terra che ami. Se tu dovessi andartene per conto tuo, io voglio aspettarti a Hed seduta nella cucina di una fattoria a sgusciare fagioli, proprio come ti ho aspettato negli ultimi due anni.
— Una principessa non sguscia i fagioli in cucina.
— Questo è vero. Li farò sgusciare a te, mentre preparo la cena.
Nella mente di lui balenò una visione di se stesso, un uomo robusto e dai folti capelli biondi, dal volto magro e tormentato, con una grande spada al fianco e un’arpa stellata appesa a una spalla, seduto sulla veranda di Akren con una ciotola di fagioli sulle ginocchia. Fu costretto a ridere. Lei lo guardò sorridendo, ogni altro argomento già dimenticato.
— In sette giorni, non avevi mai riso una volta.
— Già. — Restò immobile, un braccio attorno a lei, mentre l’allegria tornava pian piano a spegnersi nei suoi occhi. Ripensò a Hed, racchiusa dal mare e del tutto indifesa, senza più neppure l’illusione del Supremo pronto a proteggerla. Mormorò: — Vorrei poter circondare Hed con un incantesimo, che nulla di ciò che tormenta il continente potesse toccarla né portarvi mai la paura.
— Parlane a Duac. Lui ti darà un esercito.
— Non ho il coraggio di portare un esercito a Hed. Sarebbe come incoraggiare l’arrivo del disastro.
— Porta con te alcuni spettri — suggerì lei. — A Duac non parrebbe vero sbarazzarsi di loro.
— Spettri! — Distolse gli occhi dalla linea scura delle foreste e la fissò. — A Hed!
— Sono invisibili. Nessuno li scoprirebbe, e loro potrebbero… — Ma le sue stesse parole la indussero a scuotere il capo. — Che sto dicendo? Metterebbero sottosopra tutte le fattorie di Hed.
— Non se i contadini non notassero la loro presenza. — Si sentì gelare le mani, stringendo quelle di lei. Poi ansimò: — Non sarebbe neppure troppo difficile.
Lei alzò lo sguardo, perplessa. — Non starai prendendo sul serio ciò che ho detto?
— Pensavo che… perché no? — Nei suoi pensieri sfilarono le facce dei morti di Hel, contratte dai loro sentimenti frustrati. — Potrei legarli a Hed. Io li capisco… la loro rabbia, il loro desiderio di rivincita, il loro amore per la terra. Potrebbero spostare il loro amore sulla terra di Hed, e con la loro voglia di battersi… Ma tuo padre… come la prenderebbe se strappassi ad An qualcosa che fa parte della sua storia, conducendola poi verso una possibile distruzione? Non posso interferire a questo modo con le leggi della terra di An.
— Duac te ne ha dato il permesso. In quanto a mio padre, è tanto poco interessato alle leggi della terra che potrebbe essere uno spettro lui stesso. Ma Morgon, come la prenderebbe Eliard?
— Eliard?
— Io non lo conosco, però non… non si sentirebbe a disagio se tu portassi a Hed un esercito di morti?
Lui ripensò al governatore della terra di Hed, suo fratello, il cui volto stentava a ricordare con precisione. — Un poco, sì — ammise. — Dovrebbe essere abituato alle preoccupazioni che gli ho dato, ormai. Gli ho rovinato il sonno. Ma sarei capace di seppellire il mio cuore sotto ai suoi piedi, se questo garantisse la salvezza sua e di Hed. Potrei perfino affrontare un argomento di questo genere con lui…
— Cosa direbbe?
— Non lo so… dopo tutto questo tempo è quasi un estraneo per me. — Quel pensiero, una ferita aperta dentro di lui, gli diede un attimo di angoscia. Ma non permise che lei glielo leggesse in viso. Con un sospiro si rialzò dalla balaustra di pietra della torre. — Vieni con me. Voglio parlare a Duac.
— Prendili — fu quel che disse Duac. — Prendili tutti.
Lo avevano trovato nel salone, mentre dava udienza a contadini e a messaggeri mandati da vari nobili di An, i quali si lamentavano che le loro terre e fattorie erano in subbuglio per le continue malefatte e scorribande dei morti. Quando i postulanti se ne furono finalmente andati e Morgon poté parlargli, lui lo ascoltò incredulo.
— Vuoi davvero portarli là? Ma Morgon, quelli distruggeranno la pace e la tranquillità di Hed!
— No, non lo faranno. Spiegherò loro a che scopo li voglio lì.
— Credi? Come pensi di spiegare qualunque cosa a dei morti che stanno combattendo una guerra vecchia di secoli nei pascoli e nelle piazze del mercato dei villaggi?
— Mi limiterò a offrir loro quello che vogliono. Qualcuno contro cui battersi. Piuttosto, Duac, mi chiedo come potrò spiegarlo a tuo padre.
— Mio padre? — Duac girò gli occhi per il salone, esplorando le travi e ognuno dei quattro angoli. — Non mi pare di vederlo da nessuna parte. E quando avrò il piacere di rivederlo, sarà così occupato a spiegare agli altri ciò che ha fatto che non avrà tempo di contare i morti e vedere chi manca. Quanti ne vuoi?
— Tanti quanti potrò legarne a me, scelti fra i Re e i guerrieri che abbiano ancora in loro un barlume di compassione umana. Ne avranno bisogno per capire Hed. Rood dovrebbe essere in grado di aiutarmi… — Tacque, vedendo il volto di Duac arrossire all’improvviso. Insospettito chiese: — Dov’è Rood? Sono giorni che non lo vedo.
— Sì. È andato via qualche giorno fa. — Duac tossicchiò. — Avevi altro a cui pensare, così ho aspettato che me lo chiedessi tu stesso. L’ho mandato a cercare Deth.
Morgon non disse parola. Il nome dell’arpista l’aveva riportato di colpo indietro di sette giorni, quando in piedi in quella stessa luce aveva visto la sua ombra allungarsi sulla crepa che tagliava in due il pavimento del salone. — Deth! — sussurrò poi, e l’ambiguità di cui sentiva impregnato quel nome gli fece fare una smorfia.
— Gli ho dato istruzioni di riportare qui l’arpista; ho mandato con lui quattordici uomini armati. Tu lo hai lasciato andare, ma ci sono ancora molte cose di cui deve rispondere ai sovrani del reame. Pensavo di tenerlo in prigione qui finché i Maestri di Caithnard non lo potranno interrogare. E una cosa, questa, che io non mi sento di fare personalmente. — Mise una mano su una spalla a Morgon, esitante. — Tu non avresti dovuto sapere che lo voglio qui. Ciò che mi sorprende è solo il fatto che Rood non sia ancora tornato.
Il sangue defluì dal volto di Morgon. — Questo non mi sorprende — disse. — Se Rood ha cercato di riportarlo ad Anuin, non vorrei essere nei suoi panni. Deth ha le sue risorse.
— Forse.
— Rood non riuscirà mai a ricondurlo qui. Lo hai mandato nel caos delle Tre Parti di An per niente.
— Bene — sospirò Duac, rassegnato. — Tu conosci l’arpista meglio di me. Ma Rood lo avrebbe inseguito in ogni caso. Vuole delle risposte.
— Non si può interrogare un Maestro degli Enigmi con una spada. Rood dovrebbe saperlo. — Rendendosi conto del tono tagliente che aveva assunto la sua voce si volse di scatto, e andò a sedersi a uno dei tavoli.
Duac ebbe un gesto sconsolato. — Mi spiace. È una cosa che avresti preferito non sapere, credo.
— Preferisco sapere, invece. È solo che non mi piace pensarci. Non in questo momento. — Passò le mani sulla dorata superficie di quercia e i suoi pensieri tornarono ad Akren, alle solide pareti di buon legno di quercia scaldato dal sole. — Andrò a casa mia. — Quelle parole lo rasserenarono un po’, riempiendolo d’impazienza e dolce nostalgia. — A casa… Duac, ho bisogno di navi. Navi mercantili.
— Intendi portarti dietro i morti via mare? — chiese Raederle, stupefatta. — E loro verranno?
— In che altro modo potrebbero arrivare a Hed? — le fece notare lui con calma. Rifletté un poco, fissando il legno levigato. — Però non oso permetterti di viaggiare sulla loro stessa nave. Perciò… Tu ed io andremo a Caithnard a cavallo, e li raggiungeremo là. D’accordo?
— Vuoi di nuovo attraversare Hel, a cavallo?
— Potremmo volare, se preferisci — le suggerì, ma Raederle scosse subito il capo.
— No, grazie. Starò attaccata al suolo.
Lui la fissò, colpito dalla strana intonazione della sua voce. — Per te non sarebbe difficile assumere la forma-corvo.
— Un corvo in famiglia è già abbastanza. — La ragazza si accigliò. — Morgon, Bri Corbett può trovare le navi che ti occorrono. E uomini per manovrarle.
— Convincerli potrà costare una piccola fortuna — osservò Morgon, ma Duac si strinse nelle spalle.
— Quei morti sono già costati una grossa fortuna, in animali uccisi e raccolti distrutti. Ma in nome di Hel, Morgon, come pensi di tenerli sotto controllo a Hed?
— Non mi combatteranno — si limitò a rispondere lui, e fissando i suoi fermi occhi color del mare Duac non insisté.
— Mi chiedo — disse lentamente, — chi tu sia in realtà. Un uomo di Hed capace di controllare i morti di An… Portatore di Stelle.
Morgon sorrise con una luce di curiosa gratitudine. — Ciò che è accaduto in questa sala avrebbe potuto farmi odiare il mio nome, se non fosse stato per te. — Si alzò, tornando all’argomento: — Duac, io ho bisogno di nomi. Se esplorassi i vecchi sepolcri con la mente mi servirebbero giorni e giorni, e ancora non saprei chi sto richiamando. Conosco quasi tutti i nomi dei Re delle Tre Parti di An, ma non quelli dei morti di minor conto.
— Neppure io — lo informò Duac.
— Be’, io so dove potresti trovarli — sospirò Raederle. — Quando ero bambina praticamente vivevo lì dentro. La biblioteca di mio padre.
Duac mandò a cercare Bri Corbett al porto, mentre Raederle e Morgon si recavano in biblioteca. Trascorsero lì il resto del pomeriggio e della sera, fra antichi manoscritti e pergamene polverose. Verso mezzanotte Morgon aveva la testa piena d’interminabili elenchi di nomi di guerrieri e di nobili, dei loro eredi e delle loro famiglie, oltre alle storie dei loro amori, liti sanguinose, feudi, guerre e fatti strani di cui era costellata la storia di An. Infine uscì di casa, da solo, e s’incamminò nella tiepida notte estiva nei vasti prati dietro la dimora del Re il cui sottosuolo era un autentico ossario in cui riposava chi era morto per la gloria di Anuin. Qui cominciò a richiamare i defunti.
Sia con la voce che con la mente pronunciò i loro nomi l’uno dopo l’altro, insieme ai frammenti delle varie storie, poesie e leggende che riusciva a ricordare. Nel sentirsi evocare i morti sorsero, emergendo dalla terra fertile dei campi, dai frutteti e dai boschi. Alcuni accorsero al galoppo sui loro cavalli, emettendo selvagge grida di battaglia, coperti dalle loro antiche armature che scintillavano sotto la luna. Altri apparvero in silenzio, funeree e spaventose figure segnate dai colpi terribili che li avevano uccisi. Vennero per assalirlo e combatterlo, ma lui li fissò con occhi che avevano già visto tutto ciò di cui può aver paura un uomo. Ciascuno si gettò avanti per aggredire quello straniero e Morgon li fermò aprendo loro la sua mente e mostrando il potere occulto che essa conteneva. Senza muovere un dito bloccò i loro assalti, il loro furibondo affollarsi, le loro sfide, finché dinnanzi a lui i loro ranghi immobili occuparono l’intero campo erboso; e allora la paura superstiziosa e la curiosità li costrinsero a uscire dal groviglio dei ricordi per guardarsi attorno ed esaminare il nuovo mondo in cui erano stati liberati.
Morgon spiegò agli spettri ciò che voleva fare. Non si aspettava che capissero Hed, e tuttavia essi compresero quel che c’era in lui, la sua rabbia, la sua disperazione e l’amore per la sua terra. Soggiogati e colpiti gli giurarono fedeltà, secondo un rito feudale vecchio quanto An, e le loro spade nere di sangue raggrumato si levarono in alto come una foresta di lame sotto la luna. Poi l’esercito dei fantasmi si disperse nel buio ed essi tornarono a seppellirsi nella terra fra le loro ossa, in attesa del momento in cui lui li avrebbe richiamati.
Ma Morgon non abbandonò il grande prato silenzioso: i suoi occhi erano rimasti fissi su una scura e solitaria figura che non se n’era andata. Incuriosito osservò l’individuo; poi, vedendo che non si muoveva e non parlava, lo sfiorò con una rapida sonda mentale. All’interno i suoi pensieri furono riempiti dalle leggi della terra di An, vive e frementi.
Il cuore gli balzò in petto con violenza. A passi lenti il Re di An, alto e avvolto in un mantello col cappuccio d’aspetto anonimo, s’incamminò sull’erba verso di lui. La scarsa luce lunare consentiva appena a Morgon di vedere in viso l’uomo che gli si avvicinava, un viso stanco dall’espressione amara, nelle cui profonde orbite brillavano occhi che riconobbe simili a quelli di Rood. Dinnanzi a lui il Re si fermò, e per qualche istante lo studiò in silenzio.
D’un tratto però sorrise, e le ombre cupe del suo sguardo lasciarono il posto a una strana meraviglia. — Io ti conosco — disse. — Ti ho già visto nei miei sogni, Portatore di Stelle.
— Mathom! — Morgon aveva la gola secca. In segno di rispetto s’inchinò lievemente al Re, conscio che a condurlo lì nella notte era stato il suo richiamo volto ai morti di An. — Voi certo… certo dovete esservi chiesto cosa stavo facendo.
— No. Mi è stato subito fin troppo chiaro, mentre lo spiegavi all’esercito che hai evocato. Ma vedo che con tutta calma stai facendo cose stupefacenti nella mia terra.
— Ho domandato il permesso a Duac.
— Sono certo che Duac ha accolto con gratitudine i tuoi suggerimenti. Dunque ti proponi di imbarcarti con loro per Hed. Ho capito bene?
— Io non… io avevo pensato di viaggiare a cavallo con Raederle fino a Caithnard e raggiungere le navi là, ma credo che forse farei meglio a imbarcarmi con gli spettri. Gli equipaggi delle navi si sentirebbero più a loro agio, se io fossi con loro.
— Vuoi portare Raederle a Hed?
— Non è facile impedirle di fare ciò che vuole.
Il Re grugnì un assenso. — Strana ragazza. — Acuti e curiosi come quelli di un corvo gli occhi di lui continuavano a scrutare il giovane.
Morgon ruppe il silenzio: — Cosa avete visto di me, nei vostri sogni?
— Visioni, frammenti. Molto poco che possa aiutarti, e molto più di quel che mi sarebbe piaciuto. Tanti anni fa io sognai di te, e ti vidi uscire da una torre con una corona in mano e tre stelle sulla fronte. Ma… non sapevo il tuo nome. Ti vidi insieme a una bellissima ragazza, e seppi che doveva essere mia figlia, tuttavia ancora non conoscevo la tua identità. E vidi… — Scosse la testa, come se ritraesse lo sguardo da qualche visione spiacevole e incomprensibile.
— Che cosa?
— Non ne sono sicuro.
— Mathom! — Malgrado l’aria estiva Morgon provò un brivido di freddo. — Siate cauto. Nella vostra mente ci sono cose che potrebbero costarvi la vita.
— O il governo della terra? — Una delle sue larghe mani si chiuse su una spalla di Morgon. — Forse. Questo è il motivo per cui di rado spiego ciò che penso. Vieni in casa. Credo che il mio ritorno farà scoppiare una piccola tempesta, ma se hai pazienza di sederti e aspettare che passi poi avremo il tempo di discutere un poco. — Fece per avviarsi, ma vide che Morgon non si muoveva. — Che c’è?
Lui deglutì saliva. — Prima di seguirvi nel vostro salone c’è una cosa che devo dirvi. Sette giorni fa io sono entrato là dentro per uccidere un uomo, un arpista.
Il Re trattenne il respiro. — Deth è venuto qui!
— Non l’ho ucciso.
— Ah! Ti dirò che questo non mi sorprende. — La voce del Re suonò aspra e sibilante, come quella di uno spettro. Prese Morgon per un gomito e lo condusse verso il palazzo. — Raccontami.
Prima di rientrare nella grande dimora Morgon gli narrò ben più di quell’episodio. Si scoprì anche a parlargli un poco di quegli ultimi sette giorni, la cui tranquillità era stata per lui così preziosa che stentava a non vederla come un sogno. Mathom non interloquì, limitandosi a emettere ogni tanto borbottii e grugniti di commento. Quando furono nel vasto cortile videro che legati agli anelli a muro c’erano una quindicina di cavalli, ancora sudati e ansanti. Le loro gualdrappe da sella erano azzurre e porpora, i colori della guardia di palazzo reale. Mathom imprecò a mezza bocca.
— Rood dev’essere rientrato. A mani vuote, furioso, impolverato e stanco di correre dietro ai fantasmi. — L’uomo precedette Morgon nel salone, dove ardevano numerose torce. Seduto a un tavolo Rood sollevò la testa e nel vedere il padre per poco non rovesciò il boccale che stava bevendo. Accanto a lui c’erano Duac e Raederle, e anch’essi sbarrarono gli occhi, ma Rood fu il primo ad alzarsi e a ritrovare la voce.
— In nome di Hel! Si può sapere dove siete stato?
— Non gridare quando parli con me — replicò secco il Re. — Se non sai far altro che correre qua e là insensatamente alla ricerca di quell’arpista, in mezzo a questo caos, non meriti le mie spiegazioni. — Si volse a fissare Duac, mentre Rood sbatteva le palpebre e ripiombava a sedere in silenzio. Duac aveva avuto un freddo lampo di collera nello sguardo, ma la sua voce rimase controllatissima:
— Bene. Quale buon vento vi ha riportato a casa? Finalmente vi siete degnato di tornare, anche se noto che non sembrate particolarmente afflitto per lo scempio che avete fatto del vostro governo della terra.
— Infatti — disse Mathom imperturbabile, versandosi del vino. — Tu e Rood ve la siete cavata bene anche senza di me.
— Ce la siamo cavata bene? E in che cosa? — sbottò Rood fra i denti. — Riuscite a capire che siamo sull’orlo di una guerra?
— Sì. E An si è armata in un tempo apprezzabilmente breve. Perfino tu, in meno di tre mesi, ti sei trasformato da studente in guerriero.
Rood sbuffò aspramente come tutta risposta. Duac gli poggiò una mano su un polso per azzittirlo. — Guerra! — esclamò, pallido. — Con chi?
— Chi altro sai che si sia messo in armi?
— Ymris? — ansimò con voce incredula lui. — Volete dire Ymris?
Mathom bevve il vino. Il suo volto appariva ancor più stanco di quando era entrato, cupo e segnato dal viaggio. Sedette a fianco di Raederle. — Ho visto come va la guerra in Ymris — disse sottovoce. — I ribelli si sono impadroniti di metà delle terre sulla costa. È una guerra strana, sanguinaria, spietata, e sta esaurendo le forze di Hereu Ymris. Non ha alcuna speranza di contenerla entro i suoi confini, allorché la gente che sta combattendo deciderà di allargarla oltre Ymris. Questo lo prevedevo fin dall’inizio, però neppure io potevo chiedere alle Tre Parti di An di armarsi senza una ragione. E rivelare la vera ragione avrebbe senza dubbio accelerato l’attacco.
— L’avete fatto deliberatamente? — si sbalordì Duac. — Ci avete lasciati col preciso scopo di costringerci ad armarci?
— È stato un comportamento drastico — ammise Mathom. — Ma ha funzionato. — Gettò un’occhiata a Rood, che aveva fatto un gesto secco. Ma la voce del giovane suonò mite:
— Dove siete stato? Contate di rimanere a casa, adesso?
— Ho girato qua e là, per soddisfare certe mie curiosità. Sì, credo che rimarrò a palazzo. Se riuscite a piantarla di urlarmi dietro.
— Se voi non aveste la testa dura d’un maiale, io non urlerei affatto.
Mathom ebbe un smorfia seccata. — Se tu non avessi la testa dura di un guerriero non saresti tornato a casa con le pive nel sacco. Cosa volevate fare con Deth, se foste riusciti a prenderlo?
Dopo una pausa di silenzio Duac esibì un tono ragionevole: — Lo avrei mandato subito a Caithnard, con una nave da guerra, e avrei lasciato ai Maestri il compito d’interrogarlo.
— La Scuola di Caithnard non è esattamente una corte di giustizia.
Duac lo guardò con ostentata pazienza. — Allora sentiamo, voi cosa avreste fatto? Se voi foste stato qui al mio posto, e aveste visto Morgon… diciamo, costretto a farsi giustizia da solo su un uomo ormai giudicato un fuorilegge in tutto il reame, un uomo che ha tradito l’intero reame, voi come vi sareste comportato?
— Giustizia! — borbottò Mathom. Morgon lo fissò, in attesa della sua risposta, e vide nei suoi occhi stanchi una strana e remota ombra di sofferenza. — Lui è l’arpista del Supremo. Io avrei lasciato che a giudicarlo fosse il Supremo stesso.
— Mathom! — esclamò Morgon in tono deciso, chiedendosi cosa fosse ciò che era balenato agli occhi della mente del Re. Ma Mathom non rispose. Si volse a Raederle, che lo stava fissando anch’ella con aria interrogativa, e le accarezzò i capelli senza aprir bocca.
— Il Supremo! — disse Rood. Il tono brusco da guerriero con cui aveva comandato le guardie della sua scorta era scomparso; quelle parole risuonarono come un enigma, amaro e disperato, che supplicava una risposta. Si volse a Morgon con un lampo della sua vecchia ironia. — Hai sentito mio padre. Pare che io non sia più un esperto di enigmi. Vuoi rispondere tu a questo, mio buon Maestro degli Enigmi?
— Lo farò — disse stancamente lui. — Non ho più molta scelta, sembra.
— Sei già stato qui troppo a lungo — osservò Mathom.
— Lo so. Non riuscivo ad andarmene. Partirò… — Gettò uno sguardo a Duac. — Domani? Credi che saranno pronte le navi?
Duac annuì. — Bri Corbett dice che potranno salpare con la marea di mezzanotte. Per la verità ha detto varie cose che non posso ripetere in presenza di una signora, quando ha saputo cosa intendi fare. Ma ha ammesso di conoscere marinai che navigherebbero con qualunque spettro pur di sentire il tintinnio dell’oro.
— Domani — mormorò Mathom. Spostò lo sguardo da Morgon a Raederle, che fissava in silenzio la fiammella di una candela, rigida come se si preparasse a discutere. L’uomo parve rimuginare le sue congetture dietro l’imperscrutabile maschera del volto. Intuendo i pensieri del padre lei sollevò lentamente lo sguardo.
— Io andrò con Morgon, e non vi domanderò di unirci in matrimonio. Intendete mettervi a discutere su questo?
Lui scosse il capo con un sospiro. — Discutine con Morgon. Io sono vecchio e stanco, e tutto ciò che vi chiedo è che da qualche parte in questo disgraziato reame possiate trovare un po’ di tranquillità.
La giovane donna si volse a fissarlo, gli poggiò le mani sulla spalla e sul braccio, e d’improvviso la luce delle torce si rifletté nelle lacrime che le avevano riempito gli occhi. — Oh, padre! Perché siete stato via tanto tempo? — singhiozzò, mentre lui la attraeva dolcemente a sé. — Io avevo tanto bisogno di voi!
Mathom restò a parlare con lei e con Morgon finché le candele si ridussero a mozziconi sui candelabri, ed oltre le finestre comparve il grigio pallore dell’alba. Dormirono per quasi tutto il giorno, e più tardi, quando a sera la città fu di nuovo immersa nella quiete e nel silenzio, Morgon richiamò l’esercito dei morti e lo fece riunire sui moli di Anuin.
Sette navi mercantili le cui stive contenevano esigui carichi di stoffe e di spezie erano ormeggiate alla banchina nel chiarore lunare. Con la mente ricolma di nomi, di facce, e di pensieri che gli giungevano dai fantasmi, Morgon girò lo sguardo sulle loro schiere che nelle ombre del porto apparivano immateriali, a metà fra la concretezza e l’invisibilità. Gli spettri erano tutti a cavallo, armati, e in fila attendevano silenziosamente di salire a bordo. Dietro di loro la città era immersa nelle tenebre; sotto le spinte della marea crescente gli alberi di cui era gremito il porto erano nere dita che si sollevavano a sfiorare le stelle e si ritraevano. Un silenzio da sogno aveva accompagnato il radunarsi dei morti, sotto gli occhi di Duac, di Bri Corbett e della ciurma affascinata e terrorizzata delle navi. Erano ormai pronti per salire a bordo allorché lo scalpitare di un cavallo che stava arrivando lungo il molo ruppe la concentrazione di Morgon. Era Raederle, e nel vederla smontare si chiese perché mai non fosse a letto, mentre la presenza di lei lo trascinava di nuovo a contatto col mondo notturno dei vivi. Nei pressi era accesa l’unica lanterna del porto; la luce strappò riflessi ardenti dai suoi capelli ramati che ondeggiavano sciolti, nascondendole in parte il viso.
— Voglio venire con te a Hed — disse. Lui ebbe l’impressione di allungare un braccio attraverso il flusso dei secoli quando mosse una mano per farle girare il volto alla luce. L’irritazione che le lesse negli occhi gli schiarì la mente.
— Ne abbiamo già parlato — disse. — Non su queste navi piene di spettri.
— Ne hai parlato con mio padre. Ti sei dimenticato di chiedere la mia opinione.
Accorgendosi che stava sudando lui si passò il dorso di una mano sulla fronte. Bri Corbett era appoggiato alla murata della nave più vicina a loro, con un orecchio a quel che dicevano e un occhio alla marea. — Nobile — lo avvertì sottovoce. — Se non salpiamo subito domattina ci saranno sette navi piene di morti bloccate in questo porto.
— Va bene. — Si sforzò di sciogliere i nodi della tensione nei muscoli del collo. Una delle spille con cui Raederle s’era fissata i capelli cadde, mentre si scioglieva dalle sue braccia; gliela raccolse. — Avresti fatto meglio ad attraversare Hel a cavallo, e ad aspettarmi a Caithnard.
— Tu avevi detto che saresti venuto a cavallo con me. Non che avresti navigato con gli spettri fino a Hed.
— Non posso certo condurre a Caithnard un esercito di morti via terra, e poi imbarcarlo là sotto gli occhi di ogni mercante che…
— Non è questo il punto. Il punto è: con qualunque mezzo tu vada a Hed, io vengo con te. Il punto: tu stavi andando dritto a Hed, e mi avresti lasciato ad aspettarti a Caithnard.
Lui la fissò, indignato. — Questo non l’avrei fatto!
— A metà strada fra qui e Caithnard lo avresti pensato, e lo avresti fatto, mancando alla parola pur di lasciarmi là al sicuro — disse lei, seccamente. — Sul cavallo ho una sacca da viaggio. Sono pronta a partire.
— No. Non per una traversata di quattro giorni con me e coi morti di An.
— Sì.
— No.
— Sì.
— No. — A pugni stretti la fissò duramente, scurendosi in viso. La luce della lampada, su quei lineamenti che negli ultimi giorni lui aveva adorato, ne metteva in risalto l’espressione decisa. Gli occhi le brillavano, costringendolo a ricordare che avevano guardato negli occhi morti di un teschio e affrontato lo spettro di un Re. — No — ripeté, cupamente, — non so quale scia di potere questi morti si lasceranno dietro attraverso l’acqua. Non so…
— Tu non sai ciò che stai facendo. Non sai se e come potrai essere al sicuro, neppure a Hed.
— Questo è il motivo per cui non voglio che tu salga su una di queste navi.
— Questo è il motivo per cui ci salirò, con te. Se non altro io sono nata per capire il mare.
— E se il mare spaccherà lo scafo sotto di te, sbattendoti fra le onde col carico di spezie e i morti, che cosa farai? Affogherai, perché qualunque forma io prenda non riuscirei mai a salvarti. E poi, che cosa mi resterebbe da fare?
Lei tacque. I morti che le stavano dietro sembravano fissare Morgon con la stessa espressione distante e implacabile. Lui si volse di scatto, aprendo e richiudendo i pugni. Accorgendosi dello sguardo derisorio di uno dei Re si sforzò di calmarsi. Dietro quegli occhi morti si agitavano un nome e frammenti di memorie. Dopo un attimo lo spettro si mosse, la sua figura sembrò confondersi nell’aria e nella notte, e salì a bordo.
Mentre Morgon terminava di riempire le navi con quegli insoliti passeggeri, perse di nuovo la sensazione del tempo. Dentro di lui fluiva il mormorio dei secoli, misto allo sciacquio delle onde e alle voci di Duac e di Raederle che sussurravano in una terra lontana. Finalmente giunse al termine di quella lista di nomi, e i suoi occhi ripresero contatto con la realtà.
Scure e silenziose le navi oscillavano senza requie sulle onde della marea crescente. I comandanti distribuivano ordini con voci basse e tese, quasi temessero che l’eco delle loro parole potesse irritare i morti. Gli uomini sul cassero si muovevano senza rumore, fra le sartie e i cavi d’ormeggio. Raederle e Duac erano ancora sul molo, non parlavano e osservavano Morgon. Si accostò a loro, mentre il vento salmastro che stava cominciando a levarsi solo allora gli asciugò il sudore sul volto.
A Duac disse: — Ti ringrazio. Non so fino a che punto Eliard potrà esserci grato di questo, ma è la miglior protezione che io sia riuscito a escogitare per Hed, e questo mi tranquillizza la coscienza. Di’ a Mathom… digli… — Esitò, in cerca delle parole. Duac gli batté una mano sulla spalla.
— Lo sa già. Tu sii cauto.
— Lo sarò. — Si volse, cercando gli occhi di Raederle. Immobile, muto, il volto di lei lo fece precipitare di nuovo nel ricordo di quegli ultimi giorni. Quando ruppe quel silenzio gli parve di rompere un incantesimo: — Ci rivedremo a Caithnard. — La baciò, volse in fretta le spalle e salì a bordo della nave carica. La passerella fu ritirata sul ponte dietro di lui. Bri Corbett lo attendeva accanto al portello del boccaporto spalancato.
Mentre Morgon scendeva per la scaletta verso l’oscurità del sottoponte, il comandante borbottò preoccupato: — Pensate che questi morti potranno darvi delle difficoltà?
Morgon scosse il capo senza parlare. Corbett chiuse il boccaporto alle sue spalle. Avanzò a tentoni, inciampando in grosse balle di stoffa, e più in là trovò un posto adatto a sedersi su alcuni sacchi di spezie. Sentì la nave inclinarsi, scostarsi dal molo e prendere la via del mare aperto sui bassifondi dinnanzi ad Anuin. Appoggiato con le spalle alla paratia esterna avvertiva l’urto delle onde sullo scafo di legno. Invisibili tutto intorno a lui i morti tacevano, come se l’allontanarsi dal loro passato turbolento li acquietasse. Da lì a poco Morgon si rese conto che stava cercando di rintracciare e identificare i loro volti nella più completa oscurità. Unì le ginocchia, vi appoggiò i gomiti, e con la testa fra le mani si concentrò sullo sciacquio del mare. Non era trascorso molto tempo allorché udì il rumore del boccaporto che si riapriva.
Lentamente inalò un profondo respiro e lo lasciò uscire. La luce di una lanterna penetrò oltre le sue palpebre chiuse. Qualcuno scese la scaletta, s’incamminò a zig zag fra le balle del carico e venne a sedersi al suo fianco. Una zaffata di pepe e di zenzero scaturì da un paio di sacchi compressi dal peso. Il boccaporto venne chiuso con un tonfo.
Girò lo sguardo verso Raederle, che accanto a lui era appena un’ombra identificabile dal respiro e dal profumo di mare che l’aveva seguita fin lì. — Hai stabilito che discuterai ogni mia decisione per tutto il resto della nostra vita?
— Sì — rispose ostinatamente lei.
Lui riappoggiò il mento sulle mani. Dopo un poco allungò un braccio, trovò un polso di lei e lo attrasse a sé. Nel buio baciò leggermente il palmo segnato dal marchio a dodici lati, chiuse la mano fra le sue e se la strinse al petto.