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Uno alla volta, i sei agenti di Darruu uscirono nella strada e si allontanarono in direzioni diverse. Harris dovette camminare per un chilometro e mezzo prima di lasciarsi alle spalle lo squallido e deserto quartiere di magazzini e depositi, ed entrare in uno meno sordido, con una rampa per elitassì. Arrivò al suo albergo che mancava poco alla mezzanotte, ordinò da mangiare perché era affamato, poi salì in camera sua.

Mentre si spogliava, osservò attentamente il fianco e la coscia. Nessuna cicatrice. Tuttavia lui era in grado di tramortire chiunque si fosse trovato entro un raggio di dodici metri. Se fosse stato armato così la notte precedente, Beth Baldwin non se la sarebbe cavata e tutto il resto non sarebbe accaduto.

Pazienza. Grazie alla sua cattura, lui aveva potuto scoprire la reale entità dell’operazione di Medlin sulla Terra. Se avesse ucciso Beth la prima notte, Darruu non avrebbe avuto idea dello scopo vero che si proponevano gli agenti Medlinesi.

Spense la luce.

Dormì, ma senza riposare.


Il mattino seguente attraversò in elitassì la città, fino al quartier generale di Medlin, lontano, a sud-est. Tutto era stato accuratamente predisposto. L’elicottero lo depositò parecchi isolati più in là dell’edificio, e mentre lui aspettava, fermo sul marciapiede affollato, vide il gruppo dei Darruuesi riunirsi.

C’era Carver, appoggiato a un lampione e intento a leggere il giornale.

Reynolds, che guardava la vetrina di un negozio di vini, sul marciapiede dirimpetto.

McDermott, che passeggiava su e giù davanti a una banca, lanciando continue occhiate all’orologio da polso.

Patterson, che curiosava placidamente tra le pubblicazioni di un’edicola.

Tompkins, in piedi davanti alla merce esposta da alcuni venditori ambulanti che cercavano di vendere cose utili per la casa.

Era una scena del tutto normale. I cinque erano ben distanziati, lontani gli uni dagli altri. Nessuno avrebbe potuto metterli in relazione tra loro, né indovinare che erano esseri alieni travestiti da Terrestri.

Uno dopo l’altro alzarono la testa, gli lanciarono un’occhiata, fecero un impercettibile cenno col capo e tornarono a ciò che stavano facendo. Harris fece il segnale di riconoscimento darruuese e si allontanò per compiere la sua tragica missione.

Mentre s’incamminava verso la casa dove aveva sede il quartier generale di Medlin, pensò che tutto era molto semplice… Anzi, semplicissimo. Entrare, sorridere cortesemente, fare quattro chiacchiere con i Medlinesi… tramortirli con il congegno subsonico e infine… friggergli il cervello con l’annientatore.

Raggiunse l’edificio e si fermò un attimo fuori, per riflettere.

Tutt’intorno, i Terrestri attendevano frettolosamente ai propri lavori. Il cielo era d’un azzurro abbagliante, con qualche nuvola bianca qua e là. Ma nell’azzurro pacifico di quel cielo, c’erano la volta tenebrosa dello spazio e i globi ardenti delle stelle.

Molte di quelle stelle avevano giurato fedeltà a Darruu. Altre, a Medlin.

Chi aveva ragione? Chi torto? Nessuno dei due? Tutti e due?

Poco lontano, cinque Darruuesi aspettavano con aria innocente, pronti ad accorrere in suo aiuto se lui avesse incontrato difficoltà nell’uccidere gli agenti Medlinesi. Ma era improbabile che ne incontrasse, se il subsonico era efficace e sicuro come garantiva Carver: aveva funzionato con efficienza agghiacciante sugli animali da esperimento. Però lui aveva ormai imparato a non sottovalutare le risorse dell’avversario.

Per quarant’anni, su Darruu era stato addestrato a odiare i Medlinesi: radici e rami, uomini e bambini, perfino i feti dentro gli uteri. E ora, tra pochi minuti, avrebbe compiuto quello che era considerato l’atto più nobile che un Servo dello Spirito potesse compiere… sbarazzare l’Universo di un gruppo di quegli esseri abominevoli.

Tuttavia non gli sembrava una prospettiva gloriosa. Avrebbe semplicemente commesso un assassinio. L’assassinio di alcuni Medlinesi travestiti da alieni Terrestri.

Entrò nell’edificio.

Ricordava l’atrio anche troppo bene: l’enorme ambiente, l’alto soffitto a volta, la folla di Terrestri affaccendati. Si diresse verso uno degli ascensori per la discesa. I Terrestri non avevano più spazio per sviluppare in senso verticale le loro città — erano arrivati fino a grattacieli di centocinquanta piani, ma non si fidavano a costruirne di più alti — e avevano cominciato a scavare sottoterra. Quel grattacielo si elevava di novanta piani nell’aria e sprofondava per altri cento nelle viscere della città.

Harris scese, scese, scese, per un tempo interminabile. Infine l’ascensore si fermò. Lui uscì, si avviò come in sogno lungo il corridoio ormai noto che portava alla sede dei Medlinesi. Gli sembrava di sentire il peso del minuscolo generatore subsonico sulla coscia. Sapeva che era soltanto un’impressione, ma la presenza di quella pallina metallica lo irritava ugualmente.

Si fermò un attimo nel campo di un dispositivo di controllo, davanti alla porta dei Medlinesi. Aspettò che qualcuno gli rivolgesse la parola, ma nessuno fece domande. Un istante dopo la porta scorrevole si aprì all’improvviso, sparendo alla vista, e una faccia sconosciuta lo guardò. Era la faccia di un terrestre (almeno così pareva all’aspetto), con le mascelle ricoperte di carne abbronzata.

Il terrestre gli fece segno di entrare. Harris attraversò la soglia e sentì la porta richiudersi alle sue spalle.

«Io sono Armin Moulton» disse l’uomo con voce profonda. Non gli tese la mano, né Harris allungò la sua. «Voi siete il maggiore Harris?»

«Esatto.»

«Ci fa piacere che siate venuto. Beth vi aspetta là dentro.»

L’ultima volta che era stato in quel posto, era troppo intontito dall’effetto del raggio paralizzante per poter osservare con la dovuta attenzione. Ora vedeva che gli uffici dei Medlinesi erano spaziosi, con numerosi corridoi che si diramavano in tutte le direzioni. Senza dubbio la cella dove lui aveva passato la notte era in fondo a uno di quei corridoi. L’arredamento delle varie stanze era piacevole e piuttosto costoso.

Seguì Moulton nell’interno.

Il subsonico ha una portata di dodici metri in ogni direzione pensò. Tramortisce, ma non uccide. Nessuno deve stare a meno di un metro da te. Il tuo schermo personale lo proteggerebbe.

Fu introdotto in un altro locale, bene arredato con tende colorate e altri oggetti. Una luce calda proveniva da sorgenti invisibili.

Beth stava in piedi in mezzo alla stanza e gli sorrideva. Ora indossava abiti pesanti e per niente aderenti, molto diversi dalla vestaglia seducente che aveva addosso quando Harris si era scontrato con lei nel corridoio dell’albergo.

C’erano altre persone lì dentro. Harris provò una sensazione di freddo in presenza di tanti nemici. Riconobbe gli agenti Medlinesi, il grassoccio Coburn e il gigante di nome Wrynn che sosteneva di essere un terrestre di una specie nuova e superiore. C’era anche una donna delle stesse dimensioni di Wrynn: una creatura dalla pelle dorata, trenta centimetri più alta di Harris, di bellezza ed eleganza tali da lasciare senza fiato. E poi vide due individui di altezza normale, probabilmente Medlinesi travestiti.

«Allora?» chiese Beth.

«È morto» disse Harris, con voce tesa. «Vengo proprio di là.»

«Come avete fatto?»

«L’annientatore» disse Harris, controllando la voce. Vide parecchi Medlinesi scambiarsi un’occhiata. I due giganteschi Terrestri lo guardavano con un’espressione aperta e neutrale sul viso. «È stato… spiacevole» continuò «per me come per lui.»

«Lo immagino» disse Beth.

Harris la guardò, chiedendosi se sarebbe riuscito a farla franca. Era scosso da un tremito nervoso, non tentò neppure di nasconderlo, perché un tipo che ha appena ammazzato il suo diretto superiore (commettendo così un alto tradimento verso il proprio mondo), ha il diritto di mostrarsi sconvolto.

«Ancora otto Darruuesi» disse Coburn. «Di cui quattro nell’altro emisfero.»

«Sappiamo dove sono» disse Beth «e prima o poi li raggiungeremo tutti. Ma prima occupiamoci di quelli che vivono da queste parti. Di quelli che si fanno chiamare Tompkins, Patterson, McDermott, Reynolds.»

Harris si sentì agghiacciare. Sapevano i nomi di tutti! Come facevano a essere così informati? Chi era il traditore?

Si guardò intorno. «Chi è tutta questa gente?» chiese. «Non me l’avete presentata.»

Beth sorrise, con aria di scusa. «Perdonate. Ero ansiosa di sapere come ve l’eravate cavata.» Indicò i due tipi di statura normale e li presentò come agenti di Medlin, col nome di Kranz e Marichal. La gigantessa era la moglie di Wrynn, una super-donna terrestre.

Harris aggrottò la fronte, pensoso. C erano un centinaio di agenti Medlinesi sulla Terra. Quattro erano lì, in quella stanza, ed era ragionevole supporre che altri due o tre si trovassero in sede, entro il raggio d’azione del dispositivo subsonico nascosto nella sua coscia. Con un po’ di fortuna, poteva riuscire a uccidere nove o dieci avversari.

Niente male, dopo tutto. Quasi il dieci per cento dell’intero gruppo medlinese in un colpo solo. E due di quei Terrestri di dimensioni esagerate. Reynolds, col suo bisturi, si sarebbe occupato di Wrynn e di sua moglie, una volta morti. Li avrebbe sezionati per vedere se sotto la loro pelle c’erano le ossa dei Terrestri o la cartilagine dei Medlinesi.

All’improvviso Harris cominciò a tremare.

«Immagino che non saprete dove si trovano e chi sono gli altri agenti di Darruu, vero?» chiese Beth.

«Sono arrivato solo da un paio di giorni. Non ho avuto il tempo di mettermi in contatto con nessuno, eccetto Carver. Non conosco nemmeno i nomi degli altri.»

La fissò diritto negli occhi mentre mentiva. L’espressione della faccia di Beth era impenetrabile: impossibile capire se credesse o no a tutto quello che lui le stava dicendo.

«Vi sono capitate un mucchio di cose in poco tempo, eh?» disse la ragazza. Poi prese una foto tridimensionale da una scatoletta e gliela diede. «Questa è la vostra seconda vittima» dichiarò. «Qui ha preso il nome di Reynolds. Lo troverete in città, credo. Certo sapete come mettervi in contatto con lui. È il comandante in seconda del vostro gruppo. Il capo, probabilmente, ora che Carver è morto.»

Harris osservò la faccia dell’uomo calvo e grassoccio che gli aveva inserito il dispositivo subsonico nella coscia. Reynolds… così vicino, ora.

La tensione si fece sempre più forte.

Sentì il debole rasp, rasp, rasp nell’addome. Era il segnale in codice convenuto. Carver, che aspettava poco lontano, chiamava per sapere se si trovasse nei guai, se avesse bisogno di aiuto.

Harris si portò una mano allo stomaco e massaggiò la carne con la palma aperta, come se cercasse di calmare il dolore di una cattiva digestione. Il messaggio inviato a Carver diceva che non era successo ancora niente e che tutto andava per il meglio. Un doppio impulso gli fece capire che il suo era stato ricevuto.

Rese la foto a Beth.

«State tranquilla, me ne occuperò io.»

«Dovreste riuscire a trovarlo in un paio di giorni. Mettetevi in contatto presto e levatelo di mezzo. Ce ne sono altri sette dopo di lui, e non abbiamo tempo da sprecare.»

«Lo sistemerò domani.»

Premo la giunzione neurale del fianco sinistro e li tramortisco pensò. Poi li uccido con l’annientatore e me ne vado.

Semplicissimo.

È davvero molto facile meritarsi la Grazia dello Spirito.

Guardò Beth, ancora radiosamente bella nonostante la voluta trascuratezza del vestito, e pensò che tra pochi minuti sarebbe stata lì, sul pavimento, morta come quei poveri animaletti terrestri nelle loro gabbie. E con lei Coburn, gli altri due Medlinesi e quei giganti che si proclamavano Terrestri di una nuova super-specie.

I suoi nervi si tesero.

La mano scivolò verso il fianco.

«Volete bere qualcosa con noi, maggiore?» disse Beth, rompendo l’atmosfera pesante. «Per festeggiare la vostra conversione alle forze della luce?»

«No. Io… Non mi vanno molto i liquori…»

«Oh!» disse la ragazza. «L’altra notte proprio non mi sembrava.»

Lui aggrottò la fronte. Gli pareva anche più vile brindare con quella gente prima di ucciderla. Ma lo stavano mettendo in una situazione imbarazzante. Coburn stava sopraggiungendo con una bottiglia e sette bicchieri. Versò un fluido opaco, color ambra. Poi, con grande serietà, cominciò a girare coi bicchieri, dando a ciascuno il suo.

«Che cos’è?» chiese Harris.

«Vryl» disse Beth. «È un liquore.»

«Terrestre?»

«No, medlinese. Ne abbiamo portato un po’ con noi.»

La mano di Harris tremava tanto forte che per poco non rovesciò il contenuto del bicchiere. Lo stomaco si ribellava all’idea di bere un liquore medlinese, di brindare col nemico.

Beth vide il suo tremito. «Dev’essere stato terribile, ucciderlo» disse. «Sembrate davvero sconvolto.»

«Avete capovolto tutti i valori della mia esistenza» replicò lui. «Naturale che ne sia rimasto scosso.»

Lei si voltò, trionfante, verso Coburn. «E voi credevate che non ce l’avrei fatta!» esclamò. Poi spiegò a Harris: «Coburn diceva che non potevamo fidarci di voi.»

L’uomo sorrise, impacciato. «Be’, tutto è passato, ormai. Alla vostra salute.»

I bicchieri sfiorarono le labbra. Tutti, meno quello di Harris. La sua mano si fermò a mezza strada, il viso si contrasse in una smorfia di disgusto per l’odore nauseabondo e il bicchiere, con quello che stava dentro, finì sul pavimento. Mentre gli altri lo guardavano, allibiti, Harris gridò: «Coburn aveva ragione. Non dovevate fidarvi di me.»

E azionò il subsonico.

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