Prese l’ascensore e uscì al livello stradale, nell’atrio d’ingresso del grande edificio. Era meno affollato, adesso. Lui era sceso nella sede dei Medlinesi a metà giornata, ma le ore erano inspiegabilmente passate. Si era fatto molto buio, e la luce delle lampade stradali illuminava la strada. Si chiese se gli altri lo avessero aspettato lì per tutto quel tempo o se fossero tornati a casa.
C’erano un’infinità di stelle, adesso. Harris si fermò davanti all’edificio e guardò verso il cielo. Là, in un punto imprecisato, c’era Darruu, invisibile all’occhio ma ugualmente presente in uno di quegli ammassi scintillanti. Forse era già la stagione dell’Accoppiamento delle Lune, il tempo della suprema bellezza, a cui nessun essere vivente poteva restare insensibile.
Non importa pensò. Non importa più, ormai.
Raggiunse l’angolo dove aveva lasciato i colleghi. I Terrestri gli passavano accanto in fretta, diretti a casa. Harris si guardò intorno e dapprima non vide nessuno. Poi scorse Carver, appoggiato con aria noncurante a un lampione, la faccia dai lineamenti taglienti: una maschera d’impazienza rattenuta.
«Ci avete messo troppo» disse, quando Harris si avvicinò. «Com’è andata?»
Lui lo fissò e pensò ai viscidi fantasmi che gli si annidavano nel cervello, come serpenti velenosi.
«Tutti morti» rispose. «Non avete ricevuto il mio messaggio?»
«Certo, che l’abbiamo ricevuto. Ma non eravamo tranquilli.»
«Dove sono gli altri?»
«Li ho mandati via. Troppo pericoloso restare qui intorno tutto il giorno. Perché ci avete messo tanto?»
«Erano sparsi dappertutto. Ho aspettato, per farne fuori il più possibile in una volta sola. Ci voleva tempo.»
«Ore?»
«Ore» disse secco Harris.
Intanto pensava: Questo è un Servo dello Spirito, un cittadino di Darruu. Un uomo che pensa soltanto a imporre l’egemonia darruuese nella galassia, un uomo che odia, spia e uccide, un uomo che nasconde, annidate dentro la mente, le mostruosità più ripugnanti che si possano immaginare.
«Quanti ne avete beccati?» chiese Carver.
«Cinque.»
L’altro sembrò deluso. «Solo cinque? In tutto questo tempo?»
Harris si strinse nelle spalle. «L’appartamento era vuoto. Ho aspettato molto, ma nessuno veniva. Almeno quelli li ho fatti fuori. Cinque su cento. Mica male, no?»
«Be’, tanto per cominciare» disse Carver, brusco. Si portò una mano alla fronte, la premette forte e imprecò.
«Qualcosa che non va?» chiese Harris.
«Mal di testa. M’ha colpito all’improvviso. È come se mi avessero bastonato.»
Harris guardò da un’altra parte e rise. «Sarà la gravità» disse. «Fa strani scherzi.» Si accorse che stava menando il can per l’aia, che gli ripugnava fare quello che doveva fare.
Una voce silenziosa disse dentro di lui: Ci tradirete ancora? O manterrete fede alla promessa, questa volta?
La strada era troppo affollata, anche adesso, al buio. Non poteva agire lì. Se avesse azionato il subsonico, la gente sarebbe caduta a terra come mosche per dodici metri all’intorno. Doveva colpire soltanto Carver.
Lui gli stava parlando. Se ne accorse all’improvviso. Non l’aveva sentito. «Vi ho chiesto… se c’erano documenti importanti, là dentro» ripeté Carver.
«No.»
Un vento freddo soffiava dal fiume. Harris rabbrividì. «Sentite» disse. «Andiamo a bere qualcosa. Mi sento stremato. Farà bene a me e farà bene anche a voi. Possiamo brindare. Abbiamo ucciso… i primi cinque agenti di Medlin.»
«Per me ci sto» disse Carver, con un’alzata di spalle.
Risalirono la strada. Carver indicò un locale dall’aria allegra, vivacemente illuminato, ma Harris crollò il capo. «Troppo rumore lì. Andiamo in un posto più tranquillo.»
Voltarono l’angolo e imboccarono una stradina laterale. In fondo, un’insegna ammiccante indicava un bar. Si diressero lì. Un autobar pensò Harris. Quello che ci vuole.
Entrarono.
Il locale era vuoto. Si trovarono di fronte i banchi lucenti dei congegni di controllo. Mentre attraversavano la soglia, una voce tonante gridò, da una griglia sopra la loro testa: «Il cambio è disponibile alla vostra sinistra. Cambiamo ogni valore, di qualsiasi moneta a corso legale. Il cambio è disponibile…»
«E va bene!» sbottò Carver. «Abbiamo sentito!»
La voce del robot si spense. Harris prese una banconota terrestre e la posò sulla piastra della macchina del cambio. Una pioggia di monetine precipitò, tintinnando.
«Che cosa mi consigliate, stavolta?» chiese.
Carver si strinse nelle spalle. «C’è un whisky terrestre che chiamano scotch. Molto antico. Provatelo.»
Harris infilò una moneta nella fessura, aspettò, prese il drink. Ne porse uno a Carver, quindi sedettero a un tavolino. Il vuoto e la solitudine del bar avevano qualcosa di arcano. Unico rumore, lo scatto dei relais dietro la facciata delle macchine e il ronfare in sordina dei complicati meccanismi.
Harris mandò giù il liquore tanto in fretta che ne sentì appena il gusto.
«Ho chiesto che vengano aumentate le nostre forze sulla Terra» disse Carver. «Finora non ho ricevuto risposta, ma credo che tra un mese sapremo qualcosa. Mi servono altri cinquanta agenti addestrati, come inizio.»
«Credete che ce li mandino?»
«Sapete com’è. Si chiede cinquanta per ottenere venticinque. Se avessi chiesto venti, avrei ottenuto cinque. Si direbbe che la Terra non sia importante, per loro.» Gli piazzò il bicchiere vuoto davanti e disse: «Vi spiace andare a prendermi un altro drink?»
«Certo.»
Harris si allontanò e raggiunse il mobiletto di controllo. Così venne a trovarsi a oltre un metro da Carver, la distanza giusta per il subsonico. Inspirò profondamente, si voltò e attivò il generatore che aveva nel fianco.
«Cosa…» cominciò a dire Carver. E cadde riverso sul tavolo, mentre il bicchiere vuoto rotolava sul pavimento.
È il momento buono pensò Harris.
Il cuore gli batteva all’impazzata. La sua mano sparì nella tasca, le dita si contrassero sul piccolo calcio freddo dell’annientatore. In quel locale deserto poteva tirare il grilletto e finire Carver in un attimo…
Udì uno scatto alle sue spalle. Uno sportello si aprì verso l’interno e una strana creatura meccanica uscì dalle viscere dell’autobar.
Dalla griglia che stava sopra la sua testa, la voce disse: «Servire bevande alcoliche a chi è già ubriaco è contro le leggi federali. Servire bevande alcoliche a chi è già ubriaco è contro le leggi federali. Servire…»
Il robot si diresse verso la figura inerte di Carver. Era alto oltre un metro, con una testa tonda e lucente, due braccia telescopiche estensibili che sbucavano dai recessi del torace. Attraversò il locale, sempre muovendosi su due ruote, e, mentre Harris lo guardava a bocca aperta, allibito, circondò con le braccia il darruuese privo di conoscenza, lo sollevò senza sforzo e uscì in un vicolo adiacente. Un attimo dopo tornò solo.
Ma certo! pensò Harris. Un automa buttafuori! Tiene d’occhio i clienti, si assicura che chi beve non perda la testa e leva dai piedi chi ha preso una sbronza!
Il piccolo robot scomparve di nuovo dietro lo sportello, che si richiuse immediatamente. La voce dell’altoparlante si spense. Harris mandò giù d’un fiato il suo liquore e si precipitò nel vicolo.
Carver giaceva bocconi sul marciapiede. L’effetto del subsonico cominciava a dileguarsi. L’uomo gemette, si agitò, socchiuse gli occhi.
Questa è l’occasione buona per ucciderlo disse la voce nel cervello di Harris.
La sua mano si contrasse sull’annientatore, per la seconda volta. Lì, in quel vicolo buio, una rapida scarica di energia fulminante e tutto sarebbe finito.
Non ebbe la forza di farlo.
Tutto il suo corpo tremò e si scosse come un albero al vento. Correnti incrociate di desideri contrastanti lo straziarono.
Chiuse gli occhi e vide Darruu splendere nella nebbia purpurea. Vide la processione annuale dei Servi dello Spirito, ciascuno con la sua candela, udì il canto malinconico, la preghiera portata sulle ali della brezza. «Noi siamo una sacra confraternita. E uccidere…»
Non poteva.
Impossibile.
Esitò, tremò, si tese tutto. Lottò contro se stesso per costringersi a puntare l’arma, a tirare il grilletto, a bruciare la vita nell’uomo in stato d’incoscienza che giaceva ai suoi piedi.
Carver gemette.
Una volta ancora Harris vide i mostri contorcersi nella mente dell’altro. Tentacoli sottili spuntavano dal limo ribollente.
Lacrime roventi sgorgarono dagli occhi di Harris. Cercò un’ultima volta di puntare l’annientatore e fallì. Carver si mosse di nuovo.
Harris si voltò e fuggì.