CAPITOLO XVI

Devo ricordare, si disse Martino, guardando il colonnello Azarin, che il K-88 non è un mezzo di corruzione. Alcune persone ottengono l'attenzione di altri individui raccontando loro qualcosa. Tutti hanno dei particolari personali capaci di sconcertare un ascoltatore. Devo ricordare che posso parlare ad Azarin di quella volta… quando marinai la scuola perché non avevo il coraggio di alzare la mano per chiedere di andare nel bagno. È abbastanza sconcertante, e potrà attirare la sua attenzione su di me. Oppure potrò raccontargli alcuni pettegolezzi che si fanno dall'altra parte del confine… quello che fa di notte Johnson, l'astrofisico, per esempio. Sì, potrò attirare la sua attenzione, fino a quando non avrò finito di esporre i particolari. Posso dirgli questo, e tutto quanto potrò ricordare, ma non devo cercare di attirare la sua attenzione parlandogli del K-88, perché non è questo l'uso adatto che devo farne.

Devo ricordare, si disse con infinita pazienza, per amore di chiarezza, di non ammettere mai di essere al corrente della esistenza del K-88. Questa è la difesa migliore, contro la necessità di parlare… sembrare sorpreso e privo d'interesse alla richiesta di ulteriori particolari.

«Sedete, professor Martino» disse Azarin, con un sorriso amabile. «Accomodatevi, prego.»

Martino sentì che un sorriso di risposta saliva dalla sua anima, invadeva tutto il suo corpo. Sentì la felicità traditrice serpeggiargli nelle vene, dapprima debole, al pensiero che qualcuno si era accorto di lui, poi divampante di affetto e di calore per quell'uomo che finalmente lo aveva chiamato per nome.

Senza pensare che nulla di tutto questo sarebbe apparso sul suo volto, tremò di paura, al pensiero della facilità con la quale Azarin penetrava al di là delle sue difese. Aveva sperato di essere più forte.

Devo ricordare di non dire nulla, pensò, questa volta quasi disperatamente. Se comincio, la mia amicizia per quest'uomo mi farà dire tutto. Devo combattere, per non dire nulla, nulla, nulla.

«Desiderate una sigaretta?» Azarin gli tese la scatola di legno di sandalo.

La mano destra di Martino stava tremando. Allungò la sinistra. Le dita metalliche, male controllate, spezzarono la sigaretta.

Vide che Azarin aggrottava le sopracciglia, e in quell'istante Martino fu sul punto di gridare, tanto lo sconvolgeva il pensiero di aver offeso quel suo amico. Ma il cervello si accorse quanto stava per accadere, e bloccò l'impulso.

Devo ricordare che ho anche degli altri amici, pensò Martino. Devo ricordare che Edith e Barbara saranno uccise, se accontento questo amico.

Comprese, spaventato, che Edith e Barbara non erano più sue amiche… che probabilmente non si ricordavano più di lui… che nessuno si ricordava di lui, che nessuno lo notava, che nessuno di curava di lui, nessuno, all'infuori di Azarin.

Devo ricordare, pensò. Devo ricordare di chiedere scusa a Edith e a Barbara, se riuscirò mai a uscire di qui. Devo ricordare che riuscirò a uscire di qui.

Azarin sorrise nuovamente.

«Volete del tè?»

Devo riflettere, si disse. Se accetto il tè, dovrò aprire la bocca. Se apro la bocca, riuscirò poi a richiuderla?

«Non abbiate paura, professor Martino. Va tutto bene, adesso. Staremo qui seduti, e parleremo, e io vi ascolterò.»

Stava per cominciare a farlo. Devo ricordare… marinare la scuola… e Johnson… I pensieri si succedevano a ritmo frenetico.

Perché? si domandò.

Perché il K-88 non deve essere un mezzo di corruzione.

Cosa significa questo?

Osservò il corso dei suoi pensieri, affascinato, assorbito dal fenomeno di due spinte contemporanee e opposte nello stesso meccanismo, e si chiese quale fosse il funzionamento della sua mente… quali circuiti vi prendessero parte, e se questi circuiti fossero in azione simultaneamente o si alternassero regolarmente.

«Mi state prendendo in giro?» gridò Azarin. «Cosa state facendo, dietro a quella maschera? State ridendo di me?»

Martino fissò sbalordito Azarin. Cosa? Cos'aveva fatto?

Non poteva sapere quanto tempo fosse necessario per osservare il funzionamento della mente. Non gli era sembrato che fosse passato molto tempo dall'ultima domanda di Azarin, ed era inconscio del fatto che, per chiunque lo guardasse, il suo volto sarebbe apparso una gelida maschera metallica, e il suo corpo sarebbe rimasto immobile, con il braccio metallico fermo, ma sempre pronto a colpire, a distruggere.

«Martino, non vi ho portato qui per recitare!» gli occhi di Azarin, improvvisamente, si strinsero. Martino credette di poter distinguere la paura, su quei lineamenti sconvolti dall'ira, e la cosa lo sconcertò. «È stato Rogers a progettare tutto questo? Vi ha mandato qui deliberatamente

Martino cominciò a scuotere il capo, a cercare di fornire una spiegazione. Ma riuscì a trattenersi. Cominciò a pensare che non c'era alcun bisogno di parlare a quell'uomo… che lui aveva già attirato tutta l'attenzione di Azarin.

Il telefono squillò, con l'insistenza caratteristica delle chiamate di Novoya Moskva.

Azarin sollevò il ricevitore, e ascoltò.

Martino lo guardò senza curiosità, e vide che gli occhi di Azarin si spalancavano. Dopo qualche tempo, Azarin riappese il ricevitore, e Martino non se ne curò. Perfino quando la voce distrutta di Azarin mormorò: «Il vostro compagno di università, Heywood, è annegato… con un anticipo di seicento miglia» Martino non riuscì a capire cosa diavolo volesse dire quell'uomo.


Martino sedeva, immobile, all'interno della Tatra che si avvicinava al confine. Il soldato sovietico vicino a lui… un asiatico, un certo Yung… sfruttava troppo velocemente ogni suo gesto, per trovare una possibilità di sfogare la sua conoscenza dell'inglese parlato.

Tre mesi sprecati, stava pensando Martino. L'intero progetto fermo. Spero soltanto che non abbiano cercato di riprodurre quella particolare configurazione.

Cercò nella sua mente il sistema buono, quella modifica che aveva escogitato quando si era trovato all'ospedale. Aveva cercato di ricordare mille volte, nelle ultime due settimane, quando Kothu e un assistente lo avevano sottoposto alle loro cure. Ma non era riuscito ad afferrare il concetto. Aveva provato tante volte, ma la memoria era come annebbiata, confusa.

Be', pensò quando l'automobile si fermò, i medici mi hanno detto che avrò qualche fastidio, nei primi tempi. Ma ricorderò tutto.

«Eccoci qua, professor Martino» disse allegramente Yung, aprendo la portiera.

«Sì.» Osservò la postazione di confine, con i soldati sovietici disposti intorno al fuoco. Al di là del confine, vide i soldati Alleati, e un'automobile dalla quale stavano uscendo due uomini.

Cominciò a camminare verso di loro. Ci saranno dei problemi, si disse. Quella gente non è abituata al mio aspetto. Ci vorrà un po' di tempo per superare questo punto.

Ma potrò farcela. Un uomo è qualcosa di più di un insieme di lineamenti. E tornerò a lavorare presto. Questo mi terrà occupato. Se non riuscirò a ricordare l'idea che mi è venuta all'ospedale, be', potrò sempre lavorare su qualcos'altro.

È stato un periodo molto brutto, pensò, attraversando il confine. Ma non ho perduto nulla.


FINE
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