PARTE QUINTA Contatto

«La ricerca di un'intelligenza aliena è sempre la ricerca della propria.»

Carl Sagan

Sogni

Sveglia!

Sono sveglia.

Come fai a saperlo? Intorno a te c'è la più totale oscurità. Ti stai avvicinando alle origini del mondo. Cosa vedi?

Niente.

Cosa vedi?

Vedo le luci verdi e rosse degli strumenti davanti a me. Strumenti che indicano la pressione interna ed esterna, le riserve di ossigeno del Deepflight, l'angolazione con cui scivolo in basso, le riserve di combustibile, la velocità. Il batiscafo esamina la composizione chimica dell'acqua e mi mostra dati e tabelle. I sensori registrano la temperatura esterna e me la trasmettono.

Cos'altro vedi?

Vedo un vortice di particelle. Nella luce dei proiettori sembra neve. Sostanze organiche che sprofondano. L'acqua è satura di composti organici. Un po' torbida. No, molto torbida.

Puoi vedere ancora molto. Non vuoi vedere tutto?

Tutto?

Karen ha messo quasi mille metri tra sé e la superficie dell'acqua e non è ancora stata aggredita. Non ha incontrato né orche né yrr. Il Deepflight lavora in maniera impeccabile. Si avvita verso il basso in un'ampia spirale ellissoidale. Di tanto in tanto, qualche piccolo pesce finisce nella luce e scappa via subito. Tutt'intorno danzano detriti. Krill, granchi minuscoli… Nient'altro che punti bianchi nel cono del proiettore. L'abbondanza di particelle riflette la luce verso la sorgente.

Da dieci minuti, Karen fissa concentrata il bozzolo sporco, grigio, formicolante che le luci del Deepflight proiettano davanti a sé. Oscurità illuminata artificialmente. Luce che non illumina. Dieci minuti in cui ogni senso del sopra e del sotto è scomparso. Ogni due o tre secondi controlla sugli strumenti quello che la vista all'esterno non può dirle: a che velocità va, con quale inclinazione, da quanto tempo.

L'affidabilità del computer.

Naturalmente sa che è la sua voce quella con cui sta dialogando quasi inconsapevolmente. È la quintessenza delle esperienze fatte, della vita imparata e vissuta: punti di vista solo al limite della coscienza. Qualcosa le sta parlando, qualcosa che, nel contempo, è fuori di lei e con lei, la cui esistenza le era rimasta nascosta fino a quel momento. Quella cosa nella sua testa le pone domande, le fa proposte, la confonde.

Cosa vedi?

Poco.

Poco è già un'esagerazione. Solo gli uomini accettano l'idea assurda di affidarsi a un apparato sensoriale artificiale quando il loro non funziona più. Con tutto il rispetto per i tuoi strumenti, per sapere dove va la tua specie, un cono luminoso è assai inadatto, Karen. Quella luce è solo uno spazio angusto, una prigione. Libera la tua mente. Vuoi vedere tutto?

Sì.

Allora spegni i proiettori.

Karen esita. Aveva comunque intenzione di farlo. Sarebbe stato necessario per vedere la luminescenza blu nell'oscurità, quando sarebbe arrivato il momento. Ma quando? Con sorpresa, si rende conto di quanto si fosse aggrappata a quel ridicolo cono luminoso. Troppo. Come a una piccola torcia elettrica sotto le coperte. Uno alla volta, spegne i potenti proiettori. Rimangono solo le spie della strumentazione. La pioggia di particelle sparisce.

Il nero assoluto la circonda.

Le acque polari sono blu. Nel Pacifico settentrionale c'è poca vita dipendente dalla clorofilla, come pure in determinate zone intorno al continente Antartico. A pochi metri sotto la superficie, quel blu sembra quasi un cielo. Come un astronauta che, in una navicella spaziale, vede il blu diventare sempre più scuro, finché lui non si trova circondato dal nero dello spazio, così su un batiscafo si sprofonda nella direzione opposta, verso un universo pieno di misteri, una zona d'intimità. In fondo, non importa se l'uomo sale o scende. In entrambi i casi, con le immagini abituali spariscono le sensazioni abituali o tutto ciò che i sensi umani trasformano in sensazioni, anzitutto la vista, seguita dal peso. Al contrario dello spazio, il mare è dominato dalla forza di gravità, ma chi si trova a mille metri di profondità, in viaggio nelle tenebre assolute, non può che fidarsi dell'indicatore digitale per sapere se sta scendendo o salendo. Simili informazioni non possono venire né dall'orecchio interno, né da uno sguardo all'esterno.

Karen è scesa alla velocità massima. Il Deepflight ha attraversato in fretta quel cielo polare capovolto, e tutto è diventato buio molto velocemente. Quando il batimetro aveva indicato i sessanta metri, già c'era solo il quattro per cento della luce presente in superficie, e lei aveva comunque acceso i proiettori. Un'astronauta impegnata a illuminare l'universo con una lampadina.

Sveglia, Karen.

Sono sveglia.

Sì, certo, sei sveglia e molto concentrata, ma stai sognando il sogno sbagliato. Tutta l'umanità è prigioniera del sogno a occhi aperti di un mondo che non esiste. Noi sogniamo un cosmo fatto di tabelle tassonomiche e medie statistiche, che colga oggettivamente la natura. Rifiutiamo di vedere la relazione intima delle cose, legate in un intreccio indistricabile, cerchiamo di scorporare ogni elemento, ordinandolo in una struttura gerarchica al cui vertice mettiamo noi stessi. Ci accordiamo su idoli e frammenti minuscoli che chiamiamo realtà, creiamo conseguenze e gerarchie, deformiamo spazio e tempo. Dobbiamo sempre vedere qualcosa per comprenderlo, ma, nel momento in cui lo rendiamo visibile, lo sottraiamo alla nostra comprensione. L'uomo vedente è cieco, Karen. Guarda nell'oscurità. L'origine di tutta la vita è scura.

L'oscurità è minacciosa.

E invece no! Semplicemente sottrae i punti di riferimento alla nostra esistenza visibile. È così brutta? La natura è obiettiva e ricca di varietà! S'impoverisce attraverso le lenti dei preconcetti, perché noi giudichiamo secondo ciò che approviamo o non approviamo. Vediamo sempre noi stessi in quel violento luccichio. Tutte quelle rappresentazioni sugli schermi dei nostri televisori e dei computer mostrano il mondo reale? La somma di tutte le impressioni può dare varietà, se ci dobbiamo sempre accordare su modelli come «il gatto» o «il colore giallo»? Senza dubbio c'è qualcosa di fantastico nel modo in cui il cervello umano strappa alla ricchezza della realtà questo mondo medio. È un comodo trucco per rendere possibile la comprensione dell'impossibile, ma il prezzo è l'astrazione. Ciò che rimane è un mondo idealizzato, in cui milioni di donne cercano di somigliare a dieci top model, ci sono famiglie che hanno un bambino virgola due, i cinesi arrivano in media a sessantatré anni e a un metro e settanta di altezza. Siamo così ossessionati dalla norma da non renderci più conto che la normalità è nell'anormalità, nella divergenza. La storia della statistica è la storia dell'incomprensione. Ci ha aiutato ad avere uno sguardo d'insieme, ma nega le varianti. Ci ha reso estraneo il mondo.

Ma in compenso ci ha resi più vicini.

Lo credi davvero?

Non abbiamo forse cercato una strada per comunicare con gli yrr? Non ha funzionato? Abbiamo scoperto la matematica come base comune.

Attenzione! Questa è una cosa completamente diversa. Non c'è spazio per le varianti nei calcoli della tavola pitagorica. La velocità della luce rimane sempre la velocità della luce. Le formule matematiche sono immutabili finché descrivono lo stesso spazio fisico. La matematica non permette valutazioni. Le formule non vivono in una caverna o su un albero, non si possono accarezzare, non digrignano i denti se ci si avvicina troppo. Non c'è una legge della gravitazione che sia la media di molte altre, ne esiste una sola. Certo, attraverso la matematica abbiamo stabilito un contatto, ma per questo ci comprendiamo a vicenda? Il modo di etichettare il mondo segue le peculiarità della storia della cultura, e ogni cultura vede il mondo in maniera diversa. Gli inuit non hanno un'unica parola per la neve; identificano centinaia di tipi di neve. Il popolo dei dani in Nuova Guinea non possiede una definizione per i colori.

Cosa vedi?

Karen fissa nell'oscurità. Il batiscafo segue tranquillo la propria rotta, sempre inclinato di sessanta gradi, a dodici nodi di velocità. È già sceso di millecinquecento metri. Dal rivestimento del Deepflight non arrivano né gemiti né scricchiolii. Nella cabina tubolare a fianco c'è Mick Rubin. Cerca di non pensarci. È strano volare nella notte con un morto.

Un messaggero morto al quale sono affidate tutte le speranze.

Un lampo improvviso.

Gli yrr?

No, qualcos'altro. Cefalopodi. È finita in un banco. Improvvisamente si trova a scivolare in mezzo a una Las Vegas sottomarina. Nell'eterna notte, i possibili partner non possono essere impressionati né dagli abiti vivaci né dalle danze. Quando i giovani sono a caccia di una compagna, sfoggiano la luminescenza. Intere serie di organi scintillano con batteri luminosi posti nei fotofori, piccole tasche trasparenti che si aprono e si chiudono, una tempesta di luci, l'urlo codificato degli abissi. In questo caso, sembra che non si tratti di fare la corte al batiscafo di Karen. I lampi servono per spaventare. Sparisci, dicono, e, dato che Karen non se ne va, gli animali aprono completamente i loro fotofori e la mandano in visibilio coi loro abiti uniformemente luminosi. In mezzo ci sono organismi più piccoli, chiari, con un nucleo rosso o blu: meduse.

Poi si aggiunge qualcosa che Karen non può vedere, ma che il sonar rileva. Una massa grande e compatta. Per un momento lei pensa a un insieme di yrr. Ma quelli sono luminosi e invece la cosa è nera come il mare tutt'intorno. Ha una forma allungata, massiccia da una parte e affilata verso la parte opposta. Karen sta volando proprio verso di lei. Solleva un po' il Deepflight e scivola appena sopra l'essere e, nello stesso istante, capisce cos'ha appena evitato.

Le balene devono bere. Può sembrare assurdo per chi trascorre la vita sott'acqua, ma, per una balena, il pericolo di morire di sete nell'oceano è tanto elevato quanto per un naufrago. Le meduse sono fatte quasi esclusivamente di acqua, come pure i cefalopodi, e forniscono molti liquidi vitali; per questo il capodoglio cerca i cefalopodi e le meduse. S'immerge verticalmente fino a mille, duemila, a volte anche tremila metri, rimane laggiù poco più di un'ora, ritorna in superficie per una decina di minuti per respirare e poi s'immerge di nuovo.

Karen ha incontrato un capodoglio. Un predatore inquieto con una buona vista. Sto attraversando un regno di tenebre e di buona vista. Quaggiù tutti ci vedono bene.

Cosa vedi? E cosa non vedi?

Stai percorrendo una strada. A una certa distanza, scorgi un uomo che ti viene incontro. Un po' più in là c'è una donna che porta a spasso il cane. Clic, un'istantanea! Descrivi quanti esseri viventi ci sono in strada e a che distanza sono tra loro.

Siamo in quattro.

No, siamo di più. Fra gli alberi vedo tre uccelli… allora siamo in sette. L'uomo è a diciotto metri da me, la donna a quindici. Il cane a tredici e mezzo, la tira in avanti, ha il collare. Gli uccelli sono a dieci metri di altezza e a mezzo metro l'uno dall'altro. No! In realtà, su quella strada, ci sono miliardi di esseri viventi. Soltanto tre sono umani. Uno è un cane. Oltre i tre uccelli, ce ne sono altri cinquantasette che io non vedo. Pure gli alberi sono esseri viventi, sulle loro foglie e nella corteccia abita una miriade d'insetti. Nel piumaggio di ogni uccello ci sono gli acari, come pure nei pori della nostra pelle. Nel pelo del cane vive una pattuglia di cento pulci, quattordici zecche, due moscerini; nel suo intestino e nello stomaco migliaia di minuscoli vermi. La sua saliva è piena di batteri. Anche su di noi ci sono tutti quegli esseri e la distanza tra le forme di vita è praticamente zero. Spore, batteri e virus si spostano nell'aria, formano catene organiche di cui noi facciamo parte, ci trasformano tutti in un superorganismo. E il mare si comporta nello stesso modo.

Cosa sei tu, Karen Weaver?

L'unica forma di vita umana presente da queste parti, se si esclude Rubin, che non è più una forma di vita perché è morto.

Sei una particella.

Una particella nella varietà. Non somigli perfettamente a nessun altro essere umano, come una cellula non somiglia in ogni dettaglio alle altre. C'è sempre qualcosa di diverso. Così devi osservare il mondo. Come una differenziazione nelle somiglianze. Non trovi consolante poterti considerare una particella, se ti rimangono comunque a disposizione delle peculiarità?

Sei una particella nello spazio e nel tempo.

Il batimetro lampeggia.

Duemila metri.

Diciassette minuti. Sono in viaggio da diciassette minuti.

È questo che ti dice l'orologio?

Sì.

Per comprendere il mondo devi scoprire un altro tempo. Dovresti ricordare, ma non puoi. L'uomo è miope da due milioni di anni. L'Homo sapiens ha trascorso la maggior parte della propria evoluzione a cacciare e a raccogliere. In quel modo, ha formato il suo cervello così com'è oggi. Per i nostri antenati, il futuro è sempre stato l'«immediatamente dopo». Quello che andava oltre era confuso al pari di quello che era rimasto indietro nel tempo. Noi viviamo nel presente e siamo interessati prima di tutto alla riproduzione. Le peggiori catastrofi vengono dimenticate o al massimo trovano un posto nella mitologia. La capacità di rimuovere è stata un dono dell'evoluzione, ma poi è diventata la nostra condanna. Ancora oggi il nostro spirito non riesce a tracciare un orizzonte temporale che vada oltre qualche anno nel passato o nel futuro. Bastano poche generazioni e noi rimuoviamo, ignoriamo, dimentichiamo. Non siamo in grado di fissare il nostro passato e di trarne insegnamenti, siamo incapaci di osservare il futuro. Gli uomini non riescono a vedere il tutto e non sanno dov'è il loro posto. Noi non condividiamo il ricordo del mondo.

Sciocchezze! Il mondo non ricorda. Gli uomini ricordano, il mondo no. Quella della memoria del mondo è una sciocchezza esoterica.

Credi? Gli yrr ricordano tutto. Essi sono il ricordo.

A Karen vengono le vertigini.

Controlla la diffusione dell'ossigeno. I suoi pensieri si accavallano. Quel viaggio in batiscafo sembra diventato un trip allucinogeno. I suoi pensieri si disperdono in tutte le direzioni nel buio del mar di Groenlandia.

Dove sono gli yrr?

Sono qui.

Dove?

Li vedrai.

Tu sei una particella nel tempo.

Sprofondi attraverso le tenebre silenziose con innumerevoli tuoi simili, una particella d'acqua salata e fredda, stanca e appesantita dopo un lungo viaggio in cui hai perso il calore, dai tropici fino a queste regioni inospitali, finché non vi siete radunate tutte nei bacini abissali di Groenlandia e di Norvegia, in una grande vasca di acqua gelida e pesante. Da lì trabocchi oltre la catena montuosa sottomarina tra Groenlandia, Islanda e Scozia nell'oceano Atlantico. Andate all'infinito nell'abisso, su mucchi di lava e depositi di sedimenti. Tu e le altre particelle siete una forte corrente e, nei pressi di Terranova, venite ulteriormente rafforzate dalle masse d'acqua del mare del Labrador, meno spesse e fredde. All'altezza di Bermuda, si avvicinano degli UFO che girano in cerchio, muovendosi obliqui attraverso l'oceano. Provengono dal Mediterraneo e sono vortici d'acqua calda e molto salata, usciti dallo stretto di Gibilterra e diretti contro di voi. Mar Mediterraneo, mare del Labrador, mar di Groenlandia mescolano le loro acque, e voi tendete sempre verso sud, in fondo al mare.

Sarai testimone di come la Terra crea se stessa.

La tua strada ti conduce lungo la dorsale medioatlantica, una di quelle alte dorsali che attraversano tutto l'oceano nel senso della lunghezza. Grande come tutti i continenti messi insieme, lunga sessantamila chilometri, coronata da file e file di vulcani attivi e spenti. I dorsi si sollevano di oltre tremila metri dal fondo marino, sopra hanno quasi altrettanta acqua e dividono la Terra. Dove il loro asse si divarica, il magma dei serbatoi sottomarini fuoriesce in superficie ma, anziché evaporare in esplosioni, la roccia fusa, sotto l'effetto della forte pressione dell'acqua fredda, sgorga in lente colate. Esse scivolano lungo i fianchi della dorsale oceanica e si sospingono a vicenda con la testardaggine di grassi bambini impertinenti: fondale marino appena nato, che deve ancora trovare la sua forma. Con una lentezza infinita, i pendii vanno alla deriva. Il terreno dove la lava rosa s'insinua nel nero degli abissi è caldissimo. Terremoti scuotono il cratere da cui essa cola. Più all'esterno, i pendii si raffreddano. La roccia vecchia forma la topografia, con una distanza sempre maggiore dalla dorsale, diventando sempre più antica, fredda e impenetrabile, finché il terreno antico, freddo e pesante non cade nell'infinità abissale che, punteggiata da montagne e coperta da strati di sedimenti, veri e propri nastri trasportatori delle epoche passate, si muove verso l'America occidentale e verso est in direzione dell'Europa e dell'Africa, finché un giorno scivolerà sotto le masse continentali, sprofonderà nel mantello e si scioglierà nel forno dell'astenosfera, che milioni di anni dopo la rispedirà nei crateri delle dorsali oceaniche sotto forma di magma rovente.

Che sistema circolatorio! Il fondale marino si muove intorno alla sfera terrestre, spaccato dalla pressione della Terra e trascinato dal peso delle placche terrestri che s'immergono. Un continuo schiacciare, tirare, trascinare: doglie neolitiche e cerimoniale funebre che formano il volto della Terra. L'Africa si unirà all'Europa. Di nuovo unite! I continenti si spostano. Ma non si muovono come rompighiaccio attraverso la dura crosta terrestre; sono trascinati passivamente su di essa, da quando Rodinia, il primo di tutti i continenti primordiali, si è spezzato, nel Precambriano. I frammenti dell'antico continente tendono sempre l'uno verso l'altro, si ritrovano in Gondwana e infine in Pangea e poi si dividono di nuovo, una famiglia dispersa, col ricordo vecchio di centosessantacinque milioni di anni di un'unica massa terrestre unita, circondata da un unico oceano, legata alla velocità di scorrimento del denso mantello roccioso, condannata a ricercarsi continuamente su una sfera.

Tu sei una particella.

Tu vivi solo un attimo di tutto ciò. Mentre il fondale atlantico scivola di cinque centimetri, per te è già passato un anno. In questo viaggio, tu vedi la vita senza sole. La lava si raffredda velocemente, formando faglie e fenditure. L'acqua marina penetra nel fondale poroso. Scende a chilometri di profondità fin nelle immediate vicinanze dei caldissimi serbatoi magmatici, nelle viscere della Terra, ritorna indietro, satura di calore che dona la vita e di minerali, colorata di nero dai solfuri, e schizza fuori in formazioni a camino alte come una casa, caldissima ma senza bollire. A simili profondità, l'acqua a trecentocinquanta gradi di temperatura non bolle, ma scorre fuori e diffonde la sua ricchezza di nutrimento nelle immediate vicinanze, un'offerta cento volte maggiore di quella delle acque circostanti. In questo viaggio nell'universo sconosciuto, hai raggiunto i primi avamposti di comunità aliene di esseri viventi che non hanno bisogno della luce del sole. Intorno alle fumarole nere s'insediano vermi lunghi vari metri e intrecciati tra loro, mitili della lunghezza di un braccio, eserciti di granchi bianchi e ciechi, di pesci, ma soprattutto di batteri. Esseri autosufficienti, come le piante verdi che si nutrono di luce solare e da cui si crede dipenda tutta la vita. Ma questi batteri non hanno bisogno del sole. Essi ossidano l'acido solfidrico. La loro fonte vitale è l'interno della Terra. In prati estesi, coprono il terreno della comunità di vita delle fumarole nere, vivendo in simbiosi coi vermi, coi mitili e con alcuni granchi mentre, a loro volta, altri granchi e pesci vivono di mitili e vermi, senza che ci sia a disposizione un solo raggio di sole.

Forse le prime forme di vita di questo pianeta non provengono dalla superficie, Karen, ma da qui, dagli abissi senza luce. Col tuo viaggio negli abissi atlantici, tu vedi il vero giardino dell'Eden. Certamente gli yrr sono la più antica delle due specie intelligenti, una delle quali ha ereditato la terraferma, perdendo così la sua culla.

Immagina che gli yrr siano la specie prediletta.

La specie divina.

Controllo del sistema.

Karen richiama i suoi pensieri ormai arrivati fino all'Africa e ridotti a particelle. Deve concentrarsi sul presente. Potrebbe essere in viaggio da cento anni. All'esterno, scorrono a una certa distanza luci spettrali, ma non sono gli yrr, bensì banchi di gamberetti luminosi. Non si riesce a riconoscerli con precisione. Forse sono piccole seppie o qualcosa di completamente diverso.

Duemilacinquecento metri.

Ancora circa mille metri al fondale. Intorno a lei non sembra esserci altro che acqua, ma d'un tratto il sonar comincia a suonare freneticamente. Le dice che si sta avvicinando qualcosa di massiccio. Deve essere di dimensioni enormi e si sta avvicinando proprio a lei. Una superficie impenetrabile che sprofonda sopra di lei. Karen sente la paura latente trasformarsi in panico. Mentre quella cosa gigantesca si avvicina, lei fa una virata di centottanta gradi. I microfoni esterni portano nel Deepflight un frastuono che non ha nulla di terrestre e diventa sempre più alto, qualcosa tra un ruggito e un gemito. Karen è tentata di scappare, ma poi la curiosità ha la meglio. È abbastanza distante da quel qualcosa sconosciuto e non sembra che l'essere la stia inseguendo.

Ammesso che sia un essere.

Con una seconda virata, scivola a velocità ridotta verso di lui. Ora è alla sua altezza, proprio davanti. Il Deepflight vibra nelle turbolenze.

Turbolenze?

Che può essere? È così grande! Una balena? Ma ha le dimensioni di dieci balene. O di cento. O più ancora.

Accende i proiettori.

Nello stesso istante, si rende conto di essersi avvicinata alla cosa più del previsto. La vede ai margini del cono di luce. Per un momento, Karen è troppo sbalordita per determinare genere e origine della piatta superficie che sta transitando davanti a lei finché nei proiettori non appare qualcosa di chiaro. Linee dritte e curve lunghe metri, che le risultano spaventosamente note, e formano un nome:

USS Inde…

Lo shock la fa gridare.

L'urlo risuona senza riverbero e la riporta alla consapevolezza di essere incapsulata nel suo tubo, sola. E ora che vede la nave affondare davanti ai suoi occhi è ancora più sola. I suoi pensieri corrono a Leon, a Sigur, a Samantha, a Murray, agli altri.

Leon!

Continua a fissare, sbalordita.

Per un attimo compare il bordo del ponte di volo, poi sparisce. Il resto rimane nascosto nel buio. Si vedono solo danzare le bolle dell'aria che esce.

Subito dopo, un vortice trascina con sé il Deepflight.

No!

Karen cerca febbrilmente di stabilizzare il batiscafo. Maledetta curiosità! Perché non ha saputo aspettare a distanza di sicurezza? I sistemi indicano che non c'è neppure una cosa in ordine. Karen cerca di risalire, spingendo il batiscafo alla massima velocità. Il Deepflight lotta e barcolla, seguendo l'Independence nella fossa, poi finalmente rivela la genialità del suo progetto, riesce a sfuggire al vortice e risale velocemente.

Da un secondo all'altro, tutto torna come se nulla fosse accaduto.

Il cuore le batte all'impazzata. Le rimbomba nelle orecchie. Come uno stantuffo, spinge il sangue al cervello. Karen spegne i proiettori, abbassa con calma il Deepflight e riprende il suo viaggio negli abissi del bacino di Groenlandia.

Dopo un po', qualche minuto o forse pochi secondi, piange. Tutti i pensieri sgorgano. Piange come una vite tagliata. Che significa? Sapeva che l'Independence sarebbe affondata, lo sapevano tutti, ma così in fretta…

Certo, sapevamo anche quello.

Ma ignora se Leon è ancora vivo. E cosa ne è di Sigur.

Si sente spaventosamente sola.

Voglio tornare indietro!

«Voglio tornare indietro!»

Col volto rigato dalle lacrime, le labbra che tremano, comincia a dubitare della sensatezza della sua missione. Non ha incontrato gli yrr, benché il fondale sia sempre più vicino. Controlla gli strumenti. Il computer la tranquillizza. Le dice che è in viaggio da circa mezz'ora e che si trova a duemilasettecento metri di profondità.

Mezz'ora. Per quanto deve ancora resistere lì sotto?

Vuoi vedere tutto?

Cosa?

Vuoi vedere tutto, piccola particella?

Karen tira su col naso. Un rumore forte e distinto, molto terrestre in quel nero Paese delle meraviglie.

«Papà?» piagnucola.

Calma. Calmati.

Una particella non si chiede quanto durerà. Semplicemente si muore o sta ferma. Segue il ritmo della creazione, obbediente servitrice del tutto. Quella assillante domanda sulla durata è tipica degli umani, è la lotta contro la propria natura, la divisione in epoche… Agli yrr il tempo non interessa. Il tempo lo portano nel loro genoma, fin dall'inizio della vita cellulare, quando, duecento milioni di anni fa, i blocchi di roccia oceanica si attaccarono alle masse continentali che formano l'odierna America settentrionale; quando, sessantacinque milioni di anni fa, la Groenlandia cominciò ad andare alla deriva, allontanandosi dall'Europa; quando, trentacinque milioni di anni fa, si formarono le caratteristiche topografiche dell'Atlantico; quando la Spagna era ancora lontana dall'Africa; quando i fondali sottomarini sprofondarono tanto che, venti milioni di anni fa, finalmente si mise in moto lo scambio tra oceano Artico e Antartico, grazie al quale, particella, è possibile il tuo viaggio, iniziato nel bacino di Groenlandia e che ti porterà, costeggiando l'Africa, verso sud, all'Antartico.

Sei in viaggio nella corrente circumpolare, la stazione di smistamento delle correnti marine, l'eterna circolazione.

Dal freddo al freddo.

È vero, sei solo una particella, ma fai parte di un tutto che ha una portata d'acqua corrispondente a ottanta volte il Rio delle Amazzoni. Scorrete sul fondale marino, superate l'equatore e arrivate nell'Atlantico meridionale, fino all'estrema punta del Sudamerica. Fino a quel punto, il vostro corso è stato regolare e tranquillo. Ma oltre capo Horn entrate in una turbolenza tempestosa. Barcollando e sobbalzando, sarai trascinata in qualcosa che assomiglia al traffico di mezzogiorno intorno all'Arc de Triomphe, ma infinitamente più imponente. La corrente circumpolare antartica si muove da ovest a est intorno al continente bianco, un movimento di smistamento in cui entrano ed escono tutti i mari. La corrente circolare non si ferma mai, non colpisce mai la Terra. Insegue se stessa all'infinito. Ha una portata corrispondente a ottocento Rio delle Amazzoni, aspira in sé tutte le acque del mondo, le scompiglia e le miscela, annulla la loro origine e la loro identità. Immediatamente prima dell'Antartico ti prende un gelo che fa tremare. Sei trascinata in superficie da frangenti schiumosi e poi riaffondi, per diventare parte del grande carosello circumpolare.

Esso ti porta per un tratto e poi ti scarta.

Ti muovi di nuovo verso nord, a ottocento metri di profondità. Tutti i mari si nutrono della corrente circumpolare antartica. Una parte dell'acqua ritorna nell'Atlantico, un'altra va nell'oceano Indiano, la maggior parte viene spinta nel Pacifico, dove vai anche tu. Stretta al fianco occidentale del Sudamerica, scorri fino all'equatore, dove gli alisei dividono le acque e il calore tropicale ti riscalda. Risali in superficie, e sei trascinata verso ovest, in mezzo al caos dell'Indonesia: isole e isolette, correnti, mulinelli, fondali bassi e vortici… un passaggio sembra impossibile. Sei trascinata a sud, lungo le Filippine e attraverso lo stretto di Makasar, tra Borneo e Sulawesi. Potresti schiacciarti nello stretto di Lombok, ma c'è la deviazione a est di Timor, una rotta migliore, attraverso la quale raggiungi finalmente l'oceano Indiano.

Ora vai verso l'Africa.

Le calde acque basse del mare Arabico ti saturano di sale. Viaggi verso sud, lungo il Mozambico, e la tua compagnia di viaggio si chiama corrente di Agulhas. Scorri sempre più veloce, pregustando il piacere del ritorno al tuo luogo d'origine, ti getti nella grande avventura che è costata la vita a tanti marinai, superare il capo di Buona Speranza, e sei ricacciata indietro. Là si scontrano troppe correnti. La place de l'Étoile antartica col suo traffico del venerdì sera è troppo vicina. Per quanto ti sforzi, non riesci a procedere. Infine, insieme con altre particelle, ti stacchi in un vortice dalla corrente principale e finalmente ti ritrovi a galleggiare nell'Atlantico meridionale. Tu e i tuoi simili andate alla deriva verso ovest con la corrente equatoriale, girate in un gigantesco vortice lungo il Brasile e il Venezuela sino alla Florida e siete strappate l'una dall'altra.

Hai raggiunto i Caraibi, il bacino d'origine della Corrente del Golfo. Col carico del sole tropicale, cominci il tuo viaggio verso Terranova. Avanti ancora in direzione dell'Islanda, galleggi orgogliosa in superficie e lasci generosamente all'Europa il tuo calore, come se ne avessi all'infinito. Diventi impercettibilmente sempre più fredda, l'acqua più densa dell'Atlantico settentrionale ti lascia un carico di sale che diventa sempre più pesante e improvvisamente ti ritrovi sopra il bacino di Groenlandia, il punto d'inizio del tuo viaggio.

Sei stata in viaggio mille anni.

Da quando l'istmo di Panama divide l'Atlantico dal Pacifico, le particelle d'acqua fanno questa strada. Da oltre tre milioni di anni. Da allora, solo uno spostamento dei continenti avrebbe potuto variare la circolazione termoalina. Avrebbe potuto! L'uomo ha distrutto l'equilibrio del clima. E, mentre gli esperti discutono se il surriscaldamento possa portare allo scioglimento delle calotte polari e quindi bloccare la Corrente del Golfo, essa si è già fermata, perché ci hanno pensato gli yrr. Hanno fermato il viaggio delle particelle, interrompendo così il calore per l'Europa, bloccando il futuro di quella specie che si è autodefinita divina. Perché essa sa bene che cosa succederà col blocco della circolazione marina, proprio al contrario dei loro nemici, che non sanno nulla delle conseguenze delle proprie azioni, che non ricordano il futuro perché privi di memoria genetica e della consapevolezza che il senso della creazione sta nella trasformazione dell'inizio nella fine e della fine nell'inizio.

Mille anni, piccola particella. Più di dieci generazioni umane e tu hai fatto una volta il giro del mondo.

Mille di questi viaggi e il fondale marino si è completamente rinnovato un'altra volta.

Centinaia di questi rinnovamenti e i mari sono spariti, i continenti sono stati trascinati l'uno contro l'altro e intanto ne sono cresciuti di nuovi, sono nati nuovi oceani, il volto del mondo è cambiato.

Un secondo del tuo viaggio, piccola particella, e le forme di vita più semplici nascono e muoiono. Nanosecondi e le particelle elementari cambiano il loro posto. In un tempo ancora più breve, si completano le reazioni chimiche.

E, da qualche parte là in mezzo, l'uomo.

Soprattutto gli yrr.

L'oceano è diventato consapevole di se stesso.

Tu hai viaggiato per il mondo, com'era e com'è, come parte della grande circolazione che non conosce inizio né fine, ma solo variazione e ritorno. E cambia fin da quando questo pianeta è nato. Tutti gli esseri viventi formano un unico tessuto che ricopre la Terra, indivisibili nei loro legami alimentari, strettamente legati tra loro. Il più semplice si cambia con il più complesso, molte forme di vita sono scomparse per l'eternità, altre si sono sviluppate, alcune ci sono sempre state e ci saranno sempre, finché la Terra non cadrà nel sole.

Da qualche parte, là in mezzo, l'uomo.

Da qualche parte, nel tutto, gli yrr.

Cosa vedi?

Cosa vedi?

Karen si sente incredibilmente stanca, come se fosse in viaggio da anni. Una piccola particella stanca, triste e sola.

«Mamma? Papà?»

Deve costringersi a spostare lo sguardo sugli strumenti.

Pressione interna, okay. Ossigeno, okay.

Inclinazione: zero.

Zero?

Il Deepflight è orizzontale. Sobbalza. Karen si riscuote. Anche il controllo della velocità di discesa segna zero.

Profondità: 3466 metri.

Tutt'intorno il nero.

Il batiscafo non affonda più. È sul fondo. Ha raggiunto il fondo del bacino di Groenlandia.

Quasi non si azzarda a guardare l'orologio, perché ha paura di scoprire qualcosa di terribile, che è là sotto da ore, che non avrà abbastanza ossigeno per tornare in superficie, qualcosa del genere. Ma l'indicatore digitale, splendendo tranquillamente, le comunica che la sua discesa è iniziata trentacinque minuti prima. Non riesce a ricordare il momento in cui ha toccato il fondo, ma è andato tutto bene. Le eliche sono ferme, i sistemi attivi. Potrebbe risalire subito.

Poi, improvvisamente, inizia.


Insieme

In un primo momento, Karen pensa a un'allucinazione. Un debole alone blu a una certa distanza. L'apparizione si presenta vorticando e poi sparisce, come se qualcuno avesse soffiato della polvere blu scura dal palmo di una mano gigantesca.

Una nuova luminescenza, stavolta più vicina e con una maggiore superficie. Si ferma e poi si ritira, formando un arco sopra il batiscafo. Karen è costretta a guardare in. alto. Quello che vede le ricorda una nube cosmica. È impossibile dire quanto sia grande e a che distanza si trovi. Karen ha la sensazione di non essere sul fondo del mare, ma di aver raggiunto il bordo di una galassia lontana.

Poi il blu si perde. Per un istante, lei crede che stia diventando più debole, poi teme di essere vittima di un'allucinazione, perché la nuvola si schiude in una più grande che scende lentamente verso il batiscafo.

Allora capisce che, se vuol mandare fuori Rubin, non è una buona idea restare sul fondale.

Il momento è arrivato. Ora o mai più.

Fa uscire gli alettoni laterali e accende le eliche. Il Deepflight scivola per un tratto sul fondo, solleva vortici di sedimenti e si alza. Lampi splendono sull'orizzonte incommensurabile, nero come la notte.

La fusione è iniziata.

L'insieme è gigantesco.

La luce blu splende ovunque. Il Deepflight è sospeso in mezzo alla nuvola in fusione. Karen sa che la gelatina si può contrarre in un tessuto estremamente resistente, ma non vuole soffermarsi a riflettere su quello che potrebbe succedere al batiscafo se quel muscolo composto da esseri unicellulari si dovesse chiudere intorno a lei. Le compare davanti agli occhi l'immagine di un pugno enorme che schiaccia un uovo.

È a poco più di dieci metri dal fondo.

Dovrebbe bastare.

Ora.

La pressione di un dito decide tutto. Basta non aver guardato bene, basta che il dito tremi per il nervosismo e la paura e potrebbe aprire l'abitacolo sbagliato. Morte istantanea. A tremilacinquecento metri di profondità, la pressione è di 385 atmosfere. Non si perde la forma corporea, ma la vita sì.

Karen apre l'abitacolo giusto.

Al suo fianco, la copertura della cabina tubolare del copilota si mette in verticale. L'aria viene espulsa come in un'esplosione e spinge in alto il corpo di Rubin, facendolo uscire in parte. Karen rallenta la velocità del velivolo sottomarino — quasi ingovernabile con un abitacolo aperto — e lo fa abbassare in modo che il corpo di Rubin venga catapultato fuori. Il cadavere nero si staglia sullo sfondo della tempesta blu in avvicinamento. L'ambiente estraneo gli squassa i tessuti e gli organi, gli frantuma il teschio; sotto la pressione della sua stessa muscolatura, gli rompe le ossa e spreme i liquidi corporei.

Tutto è illuminato.

Il corpo di Rubin che ruota su se stesso viene preso dalla gelatina e spinto contro il batiscafo in fuga. L'organismo arriva anche da altre direzioni, da tutte contemporaneamente, da sopra e da sotto. Si stringe intorno al batiscafo e a Rubin, si solidifica, Karen urla per il terrore…

Il batiscafo è libero.

Quasi con la stessa velocità con cui si sono avvicinati, gli yrr si ritirano. Di molto. Sembrano inorriditi. È l'unico modo adatto per descrivere il comportamento degli yrr in quel momento.

Karen sente se stessa gemere.

Il mare intorno a lei è ancora blu. Luci sfumate attraversano l'imponente massa di gelatina che circonda il batiscafo come una muraglia chiusa e insuperabile. Karen gira la testa e vede il volto fracassato di Rubin illuminato debolmente dagli strumenti della console. È stato schiacciato dal tessuto in contrazione contro un lato iella cupola e fissa l'interno con le orbite vuote. Gli occhi sono stati sciolti dalla pressione idrostatica e al loro posto c'è solo un liquido che cola. Poi il cadavere si stacca lentamente e ricade nella notte. Di nuovo è solo un'ombra sullo sfondo illuminato, cade con un movimento stranamente avvitato, come se facesse una danza goffa e infinitamente lenta in onore di dei pagani.

Karen trae un profondo respiro e si costringe alla calma. In altre circostanze, sarebbe già stata male, ma non ha semplicemente tempo per farlo.

L'anello continua a ritirarsi e si avvolge su se stesso. Da sotto riemerge il nero. Onde attraversano i bordi dell'organismo, che si arrotola sempre di più, mentre il cadavere di Rubin si fonde con l'oscurità. Contemporaneamente, dall'alto giungono alcuni tentacoli sottili a punta, simili a liane della foresta vergine. Sono coordinati e hanno una meta precisa. Trovano Rubin e iniziano a toccarlo. Karen non riesce a vedere il corpo, ma il sonar lo rileva e i movimenti cauti dei tentacoli fanno concludere che essi stanno toccando una figura umana.

Sulle punte si formano fili ancora più sottili che toccano ogni singola parte del corpo. Di tanto in tanto scivolano l'uno sull'altro, come se stessero facendo un silenzioso consulto. A differenza di tutto ciò che Karen aveva visto degli yrr fino a quel momento, i tentacoli splendono di un bianco cangiante. Il tutto crea un effetto coreografico, un balletto silenzioso. D'un tratto Karen risente la musica della sua infanzia: La plus que lente di Debussy, il valzer «più che lento», il pezzo preferito da suo padre. È sbigottita e incantata, ogni paura sparisce. Naturalmente là sotto non c'è nessuno che suona La plus que lente, ma ci sarebbe stato bene, perché quel gioco esplorativo è di una bellezza mozzafiato, e in quel momento Karen non riesce a vedere altro che la…

… bellezza.

In mezzo a quella bellezza, lei ha ritrovato i suoi genitori.

Karen solleva la testa.

Sopra di lei si avvolge una campana gigantesca splendente di blu, alta come il cielo.

Karen non crede in Dio, ma è costretta a ricordarselo per non mettersi a mormorare qualche preghiera. Ricorda Samantha Crowe, che aveva parlato degli extraterrestri forgiati sul modello umano, del narcisismo degli uomini nella rappresentazione delle altre specie, della loro assoluta incapacità di dare spazio a visioni più coraggiose. Forse Samantha avrebbe criticato quella purezza della luce, e si sarebbe augurata una luce meno carica di simboli di quel sacro bianco. Ma esso non è paragonabile a nulla. È bianco solo perché la bioluminescenza produce spesso luce bianca, come pure blu, verde o rossa. Non è la manifestazione di un dio, ma soltanto un effetto generato da organismi unicellulari capaci di produrre luce. Tuttavia, a parte questo, quale dio simile agli uomini si manifesterebbe sotto forma di tentacoli?

La cosa che fa quasi impazzire Karen è che non esiste possibilità di ritorno. Non si può più discutere se gli organismi unicellulari possono sviluppare l'intelligenza o no. La questione è chiusa: l'autorganizzazione di queste cellule porta alla conclusione che si tratti di vita consapevole di se stessa, e non di un comportamento mimetico altamente sviluppato. Quando si sono infilati nello scafo dell'Independence coi loro tentacoli, gli yrr si sono assicurati un posto nel gabinetto degli orrori della storia; mostri gelatinosi rispetto ai quali i marziani di Wells sembrano imbranati. Tutto ciò perde ogni importanza di fronte a quello spettacolo fantastico e mai visto. Ciò che Karen vede è la prova definitiva dell'esistenza di un'intelligenza non umana.

Il suo sguardo si perde in quella volta blu, finché non raggiunge il vertice, dal quale scende lentamente qualcosa, una formazione dalla cui parte inferiore si diramano i tentacoli. Ha una forma quasi sferica ed è grande come la luna. Sotto la superficie bianca scivolano ombre grigie. Per qualche secondo compaiono complicate decorazioni, sfumature di bianco sul bianco, luci simmetriche, file splendenti di punti e linee, un codice criptico che farebbe la gioia di un semiologo. Quell'essere sembra a Karen un computer vivente, al cui interno avvengono calcoli di mostruosa complessità. Rimane a guardare quella cosa che pensa e improvvisamente comprende che pensa per tutto l'insieme, per tutta quella massa gigantesca, per il firmamento blu.

Alla fine Karen capisce cosa sta osservando.

Ha trovato la regina.

La regina prende contatto.

Karen quasi non osa respirare. Le tonnellate di pressione hanno compresso i liquidi in Rubin e li hanno fatti uscire dal corpo massacrato, disperdendoli in acqua. Da tutti i punti in cui gli hanno iniettato la soluzione sono usciti i feromoni concentrati cui gli yrr hanno reagito istintivamente. La fusione era appena iniziata e si è arrestata di colpo. Karen è sempre incerta sull'esito del piano. Tuttavia, se non si è sbagliata, quell'esperienza deve aver portato l'insieme a una confusione babelica, con la differenza che a Babele si riconoscevano l'un l'altro ma non si capivano più, mentre l'insieme capisce senza riconoscere. Il messaggio feromonico era sempre stato diffuso e compreso solo dagli yrr. L'insieme non può riconoscere Rubin. Indubbiamente è il nemico di cui si era decisa la distruzione, ma il nemico dice: «Fondersi».

Rubin dice: «Sono uno yrr».

Che cosa succederà nella regina? Si accorgerà del trucco? Riconoscerà che Rubin non è un insieme di yrr, che le sue cellule sono strettamente legate tra loro, che gli mancano i recettori? Sicuramente non è il primo uomo che gli yrr esaminano. Tutto ciò che percepiscono classifica Rubin come nemico. Secondo la logica degli yrr, chi non è yrr è da ignorare o da combattere. Ma gli yrr hanno mai combattuto contro gli yrr? Può esserne sicura?

Almeno su quel punto, Karen non ha dubbi e sa che Sigur, Anawak e tutti gli altri l'avrebbero pensata nello stesso modo. Gli yrr non si uccidono tra loro. Eliminano le cellule malate e difettose, il feromone si occupa di uccidere le cellule, ma ciò non è molto diverso da un corpo che elimina le cellule morte della pelle. Nessuno parlerebbe di una lotta tra le cellule del corpo, perché insieme esse formano un essere unico, e per gli yrr è la medesima cosa. Sono innumerevoli miliardi, ma nel contempo uno. In ultima analisi, anche i diversi insiemi con le diverse regine sono un unico essere con un'unica memoria, un cervello diffuso in tutto il mondo che può prendere decisioni sbagliate, ma che non conosce nessun senso di colpa morale, che lascia spazio alle idee individuali, senza che una singola cellula possa rivendicare diritti di superiorità, all'interno del quale non vengono somministrate pene e non si fanno guerre. Ci sono soltanto yrr intatti e yrr difettosi e quello che è difettoso muore.

Eppure uno yrr morto non emetterà mai un contatto feromonico come quel pezzo di carne di forma umana, che è un nemico, che è morto e tuttavia non è nessuna delle due cose.

Karen, lascia stare i ragni.

Karen è piccola, ha preso in mano un libro per schiacciare un ragno. Anche lui è piccolo, ma ha commesso l'imperdonabile errore di venire al mondo in forma di ragno.

Perché?

Il ragno è odioso.

Dipende da chi guarda. Perché trovi i ragni odiosi?

Domanda stupida. Perché un ragno è odioso? Perché lo è. Non guarda con gli occhioni sgranati da cucciolo, non è dolce e affettuoso, non si può accarezzare, ha un aspetto strano e malvagio e quindi è da eliminare.

Il libro scende e il ragno è schiacciato.

Poco tempo dopo, Karen si pente amaramente di quell'atto. Sta guardando una puntata dell'Ape Maia. Ha imparato che le api sono okay. In quella puntata compare un ragno, con le sue otto zampe e lo sguardo fisso: di certo vuole riempirsi immediatamente la pancia. Ma il ragno apre una bocca sottile senza labbra e parla con un'incantevole voce squillante, da bambino. E non lancia terribili minacce, come Karen si aspetterebbe dai ragni; sembra la bontà in persona, affettuoso e dolce.

Ormai Karen non riesce più nemmeno a immaginare di schiacciare un ragno. Ancora peggio, uno le appare in sogno e la accusa con quella voce infantile. La cosa è terribile e Karen piange.

Quella volta ha imparato il rispetto.

Ha imparato quello che, anni dopo, a bordo dell'Independence è maturato in un'idea. Come può una specie intelligentissima metterne nel sacco un'altra, aggirando completamente il suo intelletto per ottenere un rinvio dello scontro o forse addirittura qualcosa di simile a una comprensione reciproca? E che l'uomo — abituato a porsi come punto di riferimento per giudicare il livello di sviluppo — arrivi al punto di voler somigliare agli yrr?

Una cosa inaccettabile per il vertice della creazione!

Dipende da come lo s'intende.

Sopra di lei si muove lieve la bianca luna pensante.

E si abbassa.

I tentacoli si staccano da Rubin, che torna visibile come un busto mummificato dalla gelatina, e si ritirano all'interno. La regina incombe sul Deepflight ed è molte volte più grande del batiscafo. Il nero dell'oceano è sparito. Il corpo della regina comincia a chiudersi intorno al veicolo. Tutto è illuminato. Intorno a Karen pulsano luci bianche. La regina prende in sé il batiscafo e assorbe i suoi pensieri.

Karen sente tornare la paura. Non respira. Contrasta l'impulso di accendere le eliche, benché non desideri altro che andarsene. L'incantesimo è finito e rimane la minaccia reale, ma lei sa che le eliche, mordendo in quella gelatina solida e flessibile, avrebbero come unico risultato quello di far arrabbiare l'essere… Magari invece lo divertirebbero o lo lascerebbero indifferente… In ogni caso, è meglio non pensare alla fuga, almeno per il momento.

Il batiscafo viene sollevato. L'essere può vederla?

Karen non ha la minima idea di cosa succederà. L'insieme non ha occhi, ma ciò esclude che possa vedere?

Avrebbero avuto bisogno di più tempo, a bordo dell'Independence.

Spera che l'essere possa in qualche modo vederla o almeno percepirla all'interno della cupola di vetro. E che alla regina non venga la tentazione di aprire l'abitacolo per tastarla. Non sarebbe una buona idea, ma almeno sarebbe stato il tentativo finale di una presa di contatto.

Non lo farà. Lei è intelligente.

Lei?

Come si fa in fretta a ricadere nel modo di pensare umano.

Karen scoppia a ridere. E, come se avesse dato un segnale, la luce all'intorno si fa diafana. Sembra che l'essere si allontani in tutte le direzioni. L'essere che lei chiama regina si sta dissolvendo. Per un istante meraviglioso, si diffonde come la polvere di stelle delle origini dell'universo. Proprio sopra la cupola danzano minuscoli punti bianchi. Se sono gli esseri unicellulari, allora hanno una dimensione considerevole, quasi come piselli.

Poi il Deepflight è fuori, la luna si fonde di nuovo e ora è sotto di lei, sorretta da un ampio disco blu scuro. La regina deve aver sollevato il batiscafo di un bel po'. Sulla superficie del disco si muove qualcosa che Karen riesce a definire solo in un modo: «traffico formicolante». Miriadi di esseri luminosi volteggiano lungo la sfera blu. Pesci simili a chimere, i cui corpi risplendono di complesse decorazioni, schizzano dall'interno della gelatina, s'incontrano e poi tornano a sprofondare nella massa. Lontano scintillano cose che sembrano fuochi d'artificio, poi immediatamente davanti al batiscafo ardono cascate di punti rossi, che si dispongono continuamente in nuove forme, troppo veloci perché gli occhi possano seguirli. Mentre cadono e si avvicinano al centro bianco, prendono lentamente una forma, ma soltanto quando si trovano appena sopra la regina palesano la loro vera natura. A Karen vengono le vertigini. Non si tratta di un banco di pesciolini, come aveva pensato, ma di un unico essere gigantesco con dieci braccia e un corpo lungo e sottile.

Un calamaro. Grande come un autobus.

La regina fa uscire un tentacolo chiaro e tocca il calamaro nel mezzo. Il gioco delle macchie rosse si ferma.

Cosa sta succedendo?

Karen non riesce a distogliere lo sguardo. Davanti a lei, brillano banchi di plancton; sembra neve, solo che cade dal basso verso l'alto. Le passa davanti un banco di calamari degli abissi con gli occhi sulle antenne, di un verde che sembra una luce al neon. Il blu infinito è solcato da lampi che si perdono là dove la luce non può più raggiungere Karen.

Lei guarda e guarda.

È troppo.

Non regge più. Sente che il batiscafo ricomincia a sprofondare verso la luna luminosa. Si sta di nuovo avvicinando a quel mondo spaventosamente bello e spaventosamente sconosciuto, stavolta senza possibilità di sfuggirgli.

No. No!

Chiude rapidamente l'abitacolo ancora aperto e ci pompa dentro l'aria compressa. Il sonar indica cento metri dal fondo, in diminuzione. Karen esamina la pressione interna, l'ossigeno, il carburante. Tutto a posto. I sistemi lavorano. Fa uscire gli alettoni laterali e accende le eliche. Il batiscafo comincia a salire, prima lentamente, poi in modo sempre più veloce. Sfugge al mondo sconosciuto sul fondo del bacino di Groenlandia e tende verso il cielo del suo mondo.

Ritorna alla terra.

Nella sua vita, Karen non aveva mai vissuto tante emozioni in così poco tempo. Ha la testa piena di domande. Dove sono le città degli yrr? In cosa consiste la loro biotecnologia? Come generano lo scratch? Cos'ha davvero visto di quella civiltà? Cosa le hanno permesso di vedere? Tutto? O niente del tutto? Era una città galleggiante?

O solo un posto di guardia?

Cosa vedi? Cos'hai visto?

Non lo so.


Spiriti

Su, giù. In alto, in basso.

Noia.

Le onde sollevano il Deepflight e lo fanno ricadere. Su e giù. In alto, in basso. Dopo essere partita dal fondo del bacino, ormai Karen galleggia in superficie. Si sente come su un ascensore schizofrenico. Su, giù. Su, giù. Onde alte, ma regolari. Raramente una cresta che si rompe, una vera monotonia. Viene trascinata in un movimento costante di grigie montagne digradanti.

Aprire la cupola sarebbe troppo pericoloso. Il Deepflight si riempirebbe all'istante. Quindi non può far altro che stare coricata e guardare fuori, nella speranza che prima o poi il mare si calmi. Ha ancora un po' di carburante. Non abbastanza per arrivare fino in Groenlandia o alle Svalbard, ma nelle vicinanze sì. Finché fosse durata la tempesta, lei avrebbe risparmiato le riserve. Non voleva viaggiare contro i cavalloni e non voleva più immergersi. Sarebbe ripartita non appena il mare si fosse calmato. Non importava dove sarebbe arrivata.

Non sa cos'ha vissuto davvero. Tuttavia, se la forma di vita degli abissi è arrivata alla conclusione che gli uomini hanno qualcosa in comune con gli yrr, fosse anche solo l'odore, i sensi potrebbero aver sconfitto la ragione. Allora l'umanità avrebbe guadagnato tempo. Un credito ripagabile con la buona volontà, le intenzioni e i fatti. Un giorno, gli yrr arriveranno a un nuovo accordo — perché la loro origine e il loro sviluppo, tutto il loro progresso si basa sull'accordo — e decideranno se c'è ancora posto per l'umanità.

Karen non vuole pensare ad altro. Non a Sigur Johanson, non a Samantha Crowe e a Murray Shankar, non ai morti, a Sue Oliviera, ad Alicia Delaware, a Jack Greywolf. Non a Salomon Peak, a Jack Vanderbilt, a Luther Roscovitz. A nessuno, neppure a Judith Li.

Non a Leon, perché pensare significa provare paura.

E invece ci pensa.

Si presentano l'uno dopo l'altro, come se arrivassero a un party, prendono posto nella sua testa e si mettono comodi.

«La nostra ospite è deliziosa», dice Johanson. «Ma di certo non ha a bordo del vino di qualità.»

«Che ti aspetti su un batiscafo?» ribatte seccamente Sue. «Un'enoteca?»

«Certe cose si devono esigere.»

«Accidenti, Sigur.» Anawak scuote la testa, ridendo. «Dovresti congratularti con lei. Ha appena salvato il mondo.»

«Lodevole.»

«Cos'ha salvato?» chiede Samantha Crowe. «Il mondo?»

Silenzio imbarazzato.

«Siamo sicuri? Proprio il mondo?» Alicia Delaware sposta il chewing-gum da una guancia all'altra. «Per il mondo è assolutamente indifferente correre nell'universo con noi o senza di noi. Posiamo salvare o distruggere solo il nostro mondo.»

«Augh!» Greywolf inclina il capo.

Anawak è d'accordo. «All'atmosfera non interessa se per noi è respirabile o no. Se l'uomo cessa di esistere, crolla anche il sistema di valori umani. E poi uno stagno ribollente di zolfo è bello come la luce del sole a Tofino.»

«Molto toccante, Leon», afferma Johanson. «Beviamo il vino della ragione. L'umanità è di fatto su un ramo in declino. Copernico ha cacciato la Terra dal centro dell'universo, Darwin ci ha tolto dalla testa la corona della creazione, Freud ha mostrato che la ragione umana naufraga nell'inconscio. Fino a poco tempo fa eravamo anche le uniche intelligenze organizzate su questo pianeta, e ora arrivano inquilini di più lunga data e ci sloggiano.»

«Dio ci ha abbandonati», polemizza Sue.

«No, non del tutto», obietta Anawak. «Karen ha ottenuto una dilazione per tutti noi.»

«Ma a che prezzo!» Johanson s'intristisce. «Alcuni di noi sono morti.»

«Una piccola perdita», ironizza Alicia.

«Non far finta che non te ne importi.»

«Cosa vuoi che ti dica, mi sento molto valorosa. Quando vedi storie del genere al cinema, sono sempre i vecchi a morire, mentre i giovani sopravvivono.»

«È così perché siamo scimmie», dichiara Sue, asciutta. «I geni vecchi cedono il posto a quelli più giovani, più sani, che garantiscono una riproduzione ottimale. Non può che essere così.»

«Anche al cinema», conferma Samantha. «Se sopravvivono i vecchi, e i giovani muoiono, il pubblico protesta sonoramente. Per La maggioranza delle persone non sarebbe un lieto fine. Da non credere, eh? Anche una cosa profondamente romantica come il lieto fine deriva da necessità biologiche. Altroché libero arbitrio. Qualcuno ha una sigaretta?»

«Niente vino, niente sigarette», dice Johanson malizioso.

«Dovete guardare il lato positivo», interviene Murray Shankar con la sua voce dolce. «Gli yrr sono un mostro e il mostro ci ha superato. Voglio dire, King Kong, lo squalo bianco… I mostri devono morire. L'uomo che è sulle tracce del mostro lo guarda con stupore e lo ammira, si lascia ammaliare dalla sua stranezza e lo uccide. Vogliamo davvero questo? Noi ci siamo lasciati ammaliare da scratch, dalla stranezza, dall'ignoto, ma a che scopo? Per cacciarlo dal mondo? Perché dovremmo uccidere un mostro?»

«Perché l'eroe e l'eroina possano baciarsi e dare vita a una noiosissima discendenza», grugnisce Greywolf.

«Va bene!» Johanson si batte il petto. «E anche lo scienziato vecchio e saggio deve morire per far piacere a dei borghesucci senza cervello il cui unico merito è quello di essere giovani.»

«Grazie», ironizza Alicia.

«Non mi riferivo a te.»

«Buoni, bambini.» Sue solleva le mani. «Organismi unicellulari, scimmie, mostri, uomini, sono sempre la stessa cosa. Sono tutte biomasse. Non c'è motivo di agitarsi. La nostra specie si presenta in maniera diversa non appena la si osserva al microscopio, oppure la si descrive con concetti biologici. L'uomo e la donna diventano maschietti e femminucce, lo scopo vitale primario del singolo è procurarsi il cibo, mangiare diventa divorare…»

«Il sesso, l'accoppiamento…» esclama Alicia, divertita.

«Giustissimo. Chiamiamo guerra la decimazione della specie e, nel peggiore dei casi, la minaccia della sua stessa esistenza, e così non dobbiamo continuare a sentirci responsabili della nostra stupidità, perché possiamo dare la colpa ai geni e all'istinto.»

«Istinto?» Greywolf cinge con un braccio Alicia. «Nulla in contrario.» Compare un sorriso appena accennato, diventa ammiccante e poi assume una piega che lo rende premuroso.

Anawak esita. «Allora, per tornare alla questione del lieto fine…»

Tutti lo guardano. «So che ci si può porre la domanda se l'umanità meriti di sopravvivere. Ma non c'è un'umanità: ci sono solo esseri umani. Singoli esseri umani, molti dei quali avrebbero una montagna di buoni motivi per cui continuare a vivere a ogni costo.»

«E tu, Anawak, perché vuoi continuare a vivere?» chiede Samantha.

«Perché…» Anawak solleva le spalle. «Semplicissimo. Perché c'è qualcuno per cui vorrei continuare a vivere.»

«Lieto fine», sospira Johanson. «Lo sapevo.»

Samantha sorride ad Anawak. «Finalmente ti sei innamorato, Leon?»

«Finalmente?» Anawak riflette. «Sì. Finalmente credo di essere davvero innamorato.»

Continuano a chiacchierare e le voci riverberano nella testa di Karen, finché non rimane soltanto un fruscio che si confonde col suono delle onde.

Sei una sognatrice, pensa. Una patetica sognatrice.

È di nuovo sola.

Karen piange.

Dopo circa un'ora, il mare diventa più calmo. Dopo un'altra ora, il vento è talmente calato che le onde si sono appiattite.

Tre ore dopo, lei si azzarda ad aprire la cupola.

Il blocco si libera con un clic. La copertura si muove, ronzando. Un freddo gelido la sferza. Guarda fuori e vede un dorso emergere in lontananza e sparire subito. Non è un'orca quella che si avvicina; è qualcosa di più grande. Emerge e scompare una seconda volta, stavolta molto più vicina, l'imponente coda esce dall'acqua.

Una megattera.

Deve chiudere la cabina tubolare? Ma che cos'ha da contrapporre alle tonnellate di peso di una megattera? Che sia sdraiata nella cabina tubolare o seduta con una parte del corpo all'esterno, se la balena non vuole che lei sopravviva ai prossimi minuti, non sopravvivrà.

La gobba si leva un'altra volta dal grigio mare increspato. L'animale è enorme. Rimane sulla superficie dell'acqua, vicinissima alla barca. Passa così vicina a Karen che le basterebbe allungare la mano per toccare la testa intaccata e coperta d'incrostazioni. La balena si volta su un fianco e il suo occhio sinistro osserva per qualche secondo la piccola donna su quella macchina.

Karen ricambia lo sguardo.

Il fiato della balena si scarica rumorosamente. Poi l'animale s'immerge senza provocare una sola onda, sparisce nell'acqua grigia e diventa solo un ricordo.

Karen si aggrappa al bordo della cabina tubolare.

Non ha attaccato.

La balena non le ha fatto niente.

Quasi non riesce a crederci. La testa le rimbomba. Le orecchie le ronzano. Mentre continua a fissare l'acqua, sente il rimbombo e il ronzio avvicinarsi. Non è nella sua testa. Proviene dall'aria e diventa un rumore assordante, vicinissimo. Karen volta la testa.

L'elicottero è sopra l'acqua.

Alcune persone si accalcano al portellone laterale. Ci sono soldati e qualche civile. Uno si sbraccia verso di lei. Un uomo la cui bocca è spalancata nel disperato tentativo di superare il fragore dei rotori.

Alla fine ce la farà, ma per il momento la macchina trionfa.

Karen piange e ride contemporaneamente.

È Leon Anawak.

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