Iddio è su nei cieli…
nel mondo, tutto bene!
BALLO DEGLI INVASATI (1374)
Moda religiosa nordeuropea per cui la gente ballava follemente per ore. Le persone formavano cerchi nelle vie e nelle chiese e spiccavano salti, urlavano, si rotolavano per terra, spesso gridando di essere posseduti da demoni e supplicando detti demoni affinché smettessero di tormentarli. Causata da isterismo nervoso e/o dal fatto di portare calzature a punta.
Il primo a proporre l’idea che caos e importanti conquiste scientifiche fossero collegati fu Henri Poincaré, che non aveva mai dimenticato d’avere messo il piede sul gradino dell’omnibus e d’avere improvvisamente visto tutto chiaro. Lo schema della sua scoperta, riferì Poincaré alla Société de Psychologie, riguardava l’inaspettata intuizione che scaturisce dalla frustrazione, dalla confusione e dal caos mentale.
Altri teorici del caos hanno spiegato l’esperienza di Poincaré come il risultato della combinazione di due distinti sistemi di riferimento. Le circostanze caotiche — la frustrazione di Poincaré per il problema, la sua insonnia, la distrazione di fare i bagagli per un viaggio, il cambio di luogo — avevano creato una situazione, molto lontana dall’equilibrio, dove idee non collegate fra loro si univano in nuove e sorprendenti congiunzioni e dove minuscoli eventi potevano avere enormi conseguenze. Finché il caos non veniva cristallizzato in un più alto ordine di equilibrio dal semplice atto di salire su un autobus. O dal movimento di un gregge.
Le pecore non erano nel corridoio. Erano nell’anticamera e si apprestavano a entrare nel sancta sanctorum di Grancapo, con la moquette bianca. La segretaria si appiattì contro la parete per lasciarle passare, stringendosi al petto il blocco da stenografa.
— Un momento! — intimò Grancapo, alzando le mani come se facesse un esercizio di sensitività. — Non potete entrare qui.
Ben si lanciò avanti per far deviare la prima pecora, che di sicuro non era la guida, perché, anche se lui la fermò sulla soglia e la trattenne, spingendo spalla contro spalla come un giocatore di football nella mischia, le altre si limitarono a oltrepassarlo e a sciamare nell’ufficio di Grancapo. Forse avevo sbagliato a giudicarle e avevano davvero cervello. Si erano infallibilmente dirette proprio nella parte dell’edificio in cui avrebbero potuto fare maggior danno.
Ci riuscirono. Disseminarono una quantità di terriccio che non avrei mai pensato i loro piccoli zoccoli potessero trasportare, e nel passare lasciarono una lunga macchia di lanolina mista a terriccio sulle pareti bianche e sulla segretaria di Grancapo.
Ben lottava ancora con la pecora, ansiosa di unirsi al gregge che ora puntava dritto verso la lucida scrivania di tek.
— Mettere in pericolo il benessere di animali viventi! — riprese Grancapo, arrampicandosi sul piano della scrivania. — Fornire inadeguata gestione del progetto!
Le pecore girarono intorno alla scrivania come indiani intorno a una carovana.
— Venire meno alle giuste misure di sicurezza dell’istituto! — proseguì Grancapo.
— Facilitare il potenziale — mormorai, cercando di far muovere le pecore in un’altra direzione, una qualsiasi.
— Quegli animali non dovrebbero essere qui! — gridò Grancapo da sopra la scrivania.
Evidentemente la stessa idea era venuta alle pecore, che si misero a belare tutte insieme in un continuo, assordante beee.
Guardai con attenzione le pecore, nel tentativo di individuare dove aveva avuto origine il belato; ma esso pareva giungere da tutte le parti nello stesso tempo. Come il taglio alla maschietta.
— Ha visto dove è iniziato il belato? — gridai a Ben, che lasciò andare la pecora. E all’improvviso tutte furono di nuovo in movimento, gironzolando in massa per l’ufficio e verso l’anticamera.
— Dove vanno? — chiese Ben.
Grancapo scese dalla scrivania e si mise a gridare di nuovo avvertimenti, con l’aria d’essere vestito un po’ più casual di prima. — La HiTek non può tollerare sabotaggi da parte degli impiegati! Se uno di voi due o quella fumatrice ha fatto uscire di proposito le pecore…
— Noi no — disse Ben, cercando di arrivare alla porta. — Di sicuro sono uscite da sole. — E mi balenò in mente l’immagine di Flip appesa al cancello del paddock, occupata a giocherellare col saliscendi, su e giù, su e giù.
Mentre Ben raggiungeva la porta, le ultime due pecore si sforzarono di varcarla insieme, belando freneticamente al pensiero di restare indietro. Ma appena furono nel corridoio, ripresero tutte a girare in tondo senza meta, spaesate, ma impassibili.
— Dobbiamo trovare la guida — dissi. Cominciai ad aprirmi la strada fra le pecore, alla ricerca del nastro rosa.
Dal fondo del corridoio provenne un urlo e un: — Dio vi fulmini, stupide creature!
Era Shirl, carica di documenti. — Toglietevi di mezzo, stupidi animali! — gridò. — Come siete… — Si bloccò nel vedere il corridoio pieno di pecore. — Chi le ha fatte uscire?
— Flip — dissi, tastando il collo di una pecora alla ricerca del nastro.
— Non può essere stata lei — disse Shirl, avanzando verso di me tra le pecore. — Non c’è.
— Cosa significa: “Non c’è”? — Due pecore mi passarono di fianco e poco mancò che mi gettassero a terra.
— Se n’è andata — disse Shirl, colpendone una col fascio di documenti. — Tre giorni fa.
— Non importa — dissi, spingendo l’altra pecora. — In qualche modo, dietro tutto questo c’è Flip. Dietro ogni cosa c’è lei.
All’improvviso le pecore si avviarono lungo il corridoio, verso il Personale.
— E ora dove vanno? — disse Ben.
— Non lo sanno neanche loro. Guardi e ammiri il pubblico americano.
Grancapo, con le Dockers in disordine, emerse dall’ufficio. — Un simile comportamento è un evidente effetto collaterale della nicotina!
— Dobbiamo trovare la guida — dissi. — È la chiave.
Ben si fermò e mi guardò. — La chiave — ripeté.
Grancapo gridò: — Appena scopro chi ha provocato questo… questo caos…
— Caos — disse Ben, quasi tra sé. — La chiave è la guida.
— Sì, è l’unico modo per riportare le pecore giù a Biologia. Lei cominci da questa parte, io comincio dall’altra. Okay?
Ben non mi rispose. Rimase immobile a bocca aperta, gli occhi socchiusi dietro le lenti a fondo di bottiglia, mentre le pecore giravano in tondo intorno a lui. — Una guida — disse piano.
— Sì, la guida. — Ci volle un bel po’, prima che i suoi occhi si mettessero a fuoco su di me. — Trovi la guida — dissi. — Pensi rosa. — E mi avviai dall’altra parte del corridoio. — Shirl, corra al laboratorio e prenda una cavezza e un guinzaglio. — All’improvviso fui colpita da un particolare. — Ha detto che Flip se n’è andata?
Shirl annuì. — Quel dentista che ha conosciuto tramite gli annunci personali. Si è trasferito e lei l’ha seguito. Per essere geograficamente compatibile. — Si allontanò in direzione di Biologia.
Le pecore erano sulle scale e giravano in massa, atterrite, sull’orlo del primo gradino, ed era un peccato che non fosse un precipizio. Forse sarebbero cadute ugualmente e si sarebbero rotte il collo… ma sarebbe stato chiedere troppo alla fortuna. Invece scesero agilmente una rampa e si riversarono nel corridoio di Statistica. Tornai su di corsa. — Vanno a Statistica! — gridai a Ben.
Ben non c’era. Tornai giù e mi fermai a metà rampa. In un angolo vidi il nastro rosa, tutto sporco e calpestato. Fantastico, pensai. Alzai gli occhi: Alicia Turnbull mi guardava con odio. — Dottoressa Foster! — esclamò con disapprovazione.
— Non me lo dica. Nessun vincitore del Niebnitz Grant è mai stato coinvolto in una fuga precipitosa di bestiame.
— Dov’è il dottor O’Reilly?
— Non lo so. — Raccolsi il nastro rovinato. — E non so neppure dov’è la guida. Né quale tipo di progetto vincerà il Niebnitz Grant. Però posso immaginare benissimo ciò che in questo momento le pecore fanno a Statistica, quindi, se non le dispiace… — Le passai davanti, lasciai la scala e imboccai il corridoio.
Almeno non possono fare danno nel mio laboratorio, pensai, augurandomi che anche le altre porte fossero chiuse.
Il gregge era ancora nel corridoio, perciò le porte erano di sicuro chiuse. Gina, in fondo, era appena uscita dal laboratorio di Statistica.
— Tempo di bagno-break — disse appena vide le pecore, e infilò una porta.
Iniziai a passare fra le pecore, chinandomi a sollevare loro il muso e a guardare in quegli occhi dall’espressione vacua, cercandone una che paresse leggermente strabica o intelligente.
La porta si riaprì. — Ce n’è una nel bagno — disse Gina. Camminando contro la parete si fece strada verso di me.
Le pecore parevano tutte strabiche. Scrutai ansiosamente i musi allungati, gli occhi inespressivi, fatti per incorniciare una i marchiata a fuoco.
— Sarà meglio che non ce ne sia una anche nel mio ufficio — disse Gina, e aprì la porta.
— Chiudila! — gridai, ma troppo tardi. Una grassa pecora era già entrata. — Chiudila — ripetei, e Gina la chiuse.
Le altre pecore si ammassarono fuori della porta, girando in tondo e belando, alla disperata ricerca di una che dicesse loro cosa fare, dove andare. Di sicuro significava che la guida era nell’ufficio di Gina.
— Tienila lì! — gridai da fuori. Il nastro non era abbastanza robusto per fare da guinzaglio, ma avevo una corda per saltare di Davy Crockett che poteva andare bene. Andai al mio laboratorio, chiedendomi che fine avesse fatto Ben. Probabilmente Alicia l’aveva bloccato per parlargli del Niebnitz Grant.
Dall’ufficio di Gina provenne uno strillo e la porta si spalancò.
— Non farla… — gridai. La pecora sgusciò dalla porta e si tuffò nel gregge, come una carta nel mazzo. — Gina, hai visto dov’è andata?
— No — disse lei a denti stretti. — Non ho visto. — Stringeva fra le mani una scatola rosa tutta rovinata. Da un angolo penzolavano i resti di una gala di tulle bianco. — Guarda cos’ha fatto quella pecora a Barbie Sposa Romantica! — sbottò, mostrandomi un ricciolo nero. — Era l’ultima in tutta Boulder.
— In tutta la zona della grande Denver — precisai, ed entrai nel laboratorio di Statistica.
Ora ci manca solo Flip, pensai, e mi sorpresi che, dimissioni o no, non fosse nel laboratorio. In compenso c’era una pecora che masticava con aria assorta un dischetto. Glielo strappai di bocca, la costrinsi ad aprire i grossi denti quadrati, pescai il pezzo mancante e la fissai negli occhi leggermente strabici.
— Stammi bene a sentire — dissi, tenendola per la mascella. — Ho già avuto tutto quello che posso sopportare in un giorno solo. Ho perduto il lavoro, ho perduto l’unica persona mai incontrata che non si comportasse come una pecora, non ho scoperto da dove provengono le mode e non lo scoprirò mai, e ne ho abbastanza. Voglio che tu mi segua… e che mi segua subito! — Gettai a terra i pezzi del dischetto, mi girai e uscii dal laboratorio.
E di sicuro quella pecora era la guida, perché trottò dietro di me giù per due rampe di scale fino a Biologia e dentro il laboratorio, e poi fuori nel paddock, proprio come l’agnellino di Mary. E le altre pecore ci vennero dietro scodinzolando.
PIUME DI STRUZZO (1890 – 1913)
Moda edoardiana ispirata da Charles Darwin e dal pubblico interesse per la storia naturale. Le piume arrotolate, tinte con tutti i colori, ornavano acconciature e cappellini e servivano per fare ventagli e perfino piumini per la polvere. Mode collegate comprendevano cappelli e abiti guarniti con lucertole, ragni, rospi e millepiedi. Come risultato di quella moda, gli struzzi furono cacciati fino all’estinzione in Egitto, Nord Africa e Medio Oriente. La moda riapparve negli anni Sessanta con miniabiti, parrucche e cappe di piume di struzzo tinte di arancione fluorescente e rosa piccante.
Telefonai a Billy Ray e gli dissi di venire a prendersi le pecore.
— Mando subito Miguel col camion — mi rispose. — Verrei io, ma devo andare in un ranch giù in Nuovo Messico per parlare di struzzi.
— Struzzi — ripetei.
— Sono l’ultimo grido. Reba ne alleva cinquanta in una grande fattoria fuori Gallup e le bistecche di struzzo si vendono a tutto andare. Hanno meno colesterolo di quelle di pollo e sono più gustose.
Una pecora si era incastrata di nuovo nell’angolo dello steccato. Se ne stava lì ferma, guardando il palo della staccionata come se non avesse idea di come era arrivata lì.
— Inoltre puoi vendere le piume e conciare la pelle per farne borsette e scarpe — disse Billy Ray. — Secondo Reba, saranno il bestiame degli anni Novanta.
La pecora urtò con la testa il palo un paio di volte, rinunciò e rimase lì, belando: una bella dimostrazione pratica.
— Mi spiace che la faccenda delle pecore non abbia funzionato — disse Billy Ray.
Spiace anche a me, pensai. — Stai andando fuori portata — dissi. — Non riesco più a sentirti — e riagganciai.
Si impara un mucchio di cose, dalle pecore. Andai all’angolo, misi una mano sotto il mento della pecora e l’altra sul suo posteriore. — Devi girarti — dissi. — Devi andare in un’altra direzione.
La trascinai in modo che fosse girata dall’altra parte. Immediatamente la pecora cominciò a brucare.
— Devi ammettere che è inutile e provare qualcosa d’altro — conclusi, e tornai nel laboratorio. Vi trovai Shirl. — Dov’è il dottor O’Reilly? — le domandai.
— Un minuto fa era qui a parlare con la dottoressa Turnbull.
— Bene — dissi. Tornai su nel mio laboratorio a scrivere il rapporto per Grancapo.
“Sandra Foster: Rapporto di progetto” scrissi su un dischetto non addentato dalla pecora.
Scopi del progetto:
1. Trovare che cosa scatena una moda.
2. Trovare le sorgenti del Nilo.
Risultati del progetto:
1. Non trovato. Per quanto ne so, potrebbe esservi implicato il Pifferaio magico. O l’Italia.
2. Trovato. Il lago Vittoria.
Proposte per ulteriori ricerche:
1. Eliminare gli acronimi.
2. Eliminare i meeting.
3. Studiare l’effetto della moda anti-fumo sulla capacità di pensare con chiarezza.
4. Leggere Browning. E Dickens. E tutti gli altri classici.
Stampai il tutto, presi il cappotto e la borsetta-non-appesa-alla-catenella e salii da Grancapo.
Shirl era nell’ufficio e passava avanti e indietro una lavatappeti. Grancapo spolverava la scrivania spinta in un angolo.
— Non cammini sul tappeto — mi disse appena entrai. — È bagnato.
Andai alla scrivania, provocando una serie di cic ciac. — Le pecore sono tutte nel paddock — dissi, superando il risucchio del vapore sul tappeto. — Ho predisposto la restituzione. — Gli tesi il foglio col rapporto.
— Cos’è?
— Aveva detto di voler valutare ex novo gli scopi del mio progetto. Volevo farlo anch’io.
— Cos’è questa roba? — Si accigliò. — Pifferaio magico?
— Di Robert Browning. Conosce la storia: il Pifferaio è assunto per liberare dai topi la città di Hamelin, realizza l’impresa, ma i cittadini si oppongono alla richiesta di pagamento. “E per la nostra Corporazione è scandalosa” — recitai.
Dietro la scrivania, Grancapo si irrigidì. — Mi sta minacciando, dottoressa Foster?
— No — risposi sorpresa. — L’indolente villano ora ci insulta? — continuai a recitare. — Vuoi forse minacciarci, amico? Prego! / Soffia pure nel piffero con tutto / il fiato finché il petto non ti scoppia. Dovrebbe leggere più poesie. Potrebbe imparare molte cose, dalle poesie. Ha la tessera di una biblioteca?
— La tessera… — Pareva sul punto di avere un infarto.
— Non la sto minacciando. Perché dovrei? Non ho liberato niente dai topi e non ho trovato la causa del taglio alla maschietta. Non riuscirei neppure a trovare un pifferaio.
Mi interruppi, pensando al pifferaio; e proprio come la sera prima, mentre ero in coda al Target tenendo in mano la compianta Barbie Sposa Romantica, mi sentii vicina a qualcosa di importante.
— Definisce la HiTek un topo? — disse Grancapo.
Ignorai con un gesto d’impazienza le sue parole e cercai di mettere a fuoco quel mio pensiero. Un pifferaio.
— Sta dicendo… — tuonò Grancapo, e la sensazione svanì.
— Sto dicendo che mi ha assunta per la ragione sbagliata. Non dovrebbe cercare il segreto per indurre la gente a seguire le mode, dovrebbe cercare quello per indurla a pensare con la propria testa. Perché la scienza si basa proprio su questo. E perché la prossima moda potrebbe essere pericolosa, e lei lo scoprirebbe insieme col resto del gregge, mentre vola giù nel precipizio. E no, non serve che la sicurezza mi scorti in laboratorio. — Aprii la borsetta, in modo che ne vedesse il contenuto. — Me ne vado. Lassù per quel pendio, nel bel mattino — recitai, e andai alla porta pestando il tappeto con un’altra serie di cic ciac. — Addio, Shirl — dissi mentre uscivo. — Può venire a fumare a casa mia tutte le volte che vuole. — Presi l’auto e andai in biblioteca.
CUBO DI RUBIK (1980 – 81)
Moda di gioco relativa a un cubo fatto di cubi più piccoli, di diverso colore, che possono ruotare per formare differenti combinazioni. Lo scopo del gioco (che più di cento milioni di persone hanno cercato di raggiungere) consisteva nel far ruotare i cubi più piccoli finché ogni faccia del cubo più grande fosse di un solo colore. La soglia di abilità di questa moda era abbastanza alta, come comprovano le decine di libri pubblicati per aiutare nella soluzione, e quando la mania passò moltissimi non erano riusciti a risolvere il gioco nemmeno una volta.
Lorraine era di nuovo in biblioteca. — Vuole Il tuo angelo custode può cambiarti la vita? — mi domandò. Portava una felpa da fata madrina e luccicanti orecchini a forma di bacchetta magica. — È arrivato, come quel libro sul taglio alla maschietta.
— No, grazie — dissi. — Non so cosa ha causato quella moda e non me ne frega niente.
— Abbiamo trovato il libro su Browning. L’aveva restituito, alla fin fine. La nostra assistente per l’organizzazione dei media l’aveva messo nello scaffale dei libri di cucina.
Ecco, mi dissi (mentre entravo al Kepler’s Quark e davo il nome a una cameriera con i capelli rasati e una uniforme che probabilmente non era una uniforme), le cose vanno già meglio. Hanno trovato il Browning, non devo più leggere gli annunci personali e Flip non può entrare qui a rovinarmi la giornata e affibbiarmi il suo conto.
La cameriera mi sistemò a un tavolino accanto alla vetrata. Ma guarda, pensai ancora, non ti ha sistemato al tavolo comune. Non ha addosso pezzi di nastro adesivo industriale. Tutto va decisamente meglio.
Ma non mi sentivo di quell’umore. Mi sentivo come chi è senza lavoro. Mi sentivo come chi è innamorata di uno che non la ricambia.
Lui è totalmente insensibile alla moda, mi dissi. Considera il lato positivo: non devi più preoccuparti di chi ha lanciato il taglio alla maschietta.
Ed era un bene, perché ero proprio senza idee.
— Salve — disse Ben, sedendosi di fronte a me.
— Cosa ci fa qui? — dissi appena riuscii a spiccicare parola. — Non dovrebbe essere al lavoro?
— Ho dato le dimissioni.
— Le dimissioni? Perché? Pensavo che avrebbe lavorato al progetto della Turnbull.
— Si riferisce al progetto di Alicia, statisticamente pensato e garantito per vincere il Niebnitz Grant? Troppo tardi. Il Niebnitz Grant è già stato assegnato.
Non pareva sconvolto, per questo. Non sembrava una persona che aveva appena lasciato il lavoro. Aveva una luce di esultanza negli occhi, dietro quei suoi fondi di bottiglia.
Sta per dirmi che si è fidanzato con Alicia, pensai.
— Chi l’ha vinto? — domandai per impedirglielo. — Il Niebnitz Grant. Il previsto sperimentatore trentottenne a ovest del Mississippi?
Ben chiamò con un gesto la cameriera. — Cosa avete da bere che non sia caffè?
La cameriera roteò gli occhi. — C’è il nostro nuovo drink. Il Chinatasse. L’ultimo grido.
— Due Chinatasse — ordinò Ben, e io aspettai che la cameriera gli facesse l’interrogatorio: intero o scremato, bianco o scuro, Pechino o Canton. Ma a quanto pareva il Chinatasse aveva una soglia di abilità inferiore al caffellatte. La cameriera si allontanò con passo dinoccolato, e Ben disse: — Questa è per lei. — Mi porse una busta.
La guardai: era in bianco, a parte il mio nome. — Come sapeva dove trovarmi? — domandai.
— Me l’ha detto Flip.
— Credevo se ne fosse andata.
— Me l’ha detto qualche tempo fa. Ha detto che frequentava parecchio questo locale. Sono venuto tre o quattro volte sperando di incontrarla, ma inutilmente. Secondo Flip, veniva qui a cercare ragazzi negli annunci personali.
— Flip — dissi, scuotendo la testa. — Li leggevo per le mie ricerche sulle tendenze. Non per trovare… È venuto qui a cercare me?
Annuì, non più esultante. Dietro i fondi di bottiglia, i suoi occhi grigi erano seri. — Ho smesso un paio di settimane fa, perché Flip mi ha detto che si era fidanzata col tizio delle pecore.
— Struzzi — lo corressi. — Flip mi ha detto che era pazzo di Alicia e che per questo voleva lavorare con lei.
— Be’, almeno adesso sappiamo che cosa indica la i che Flip ha in fronte. Imprecisa. Non voglio lavorare con Alicia. Voglio lavorare con lei.
— Non sono fidanzata col tizio delle pecore — dissi. Mi venne in mente una cosa. — Perché ha comprato quella cravatta blu Cerenkhov?
— Per fare colpo su di lei. Flip mi ha detto che non sarebbe mai uscita con me se non mi fossi messo qualcosa di nuovo, e quell’orribile blu era l’unica cosa che sono riuscito a trovare nei negozi. — Parve imbarazzato. — Ho anche messo una inserzione negli annunci personali.
— Un’inserzione? Cosa diceva?
— Insicuro impacciato teorico del caos desidera ricercatrice di mode intelligente intuitiva incandescente. CS indispensabile.
— CS?
— Compatibilità Scientifica. — Sorrise. — La gente fa pazzie, quando è innamorata.
— Come prendere in prestito un gregge di pecore per evitare che uno perda il finanziamento?
La cameriera posò bruscamente davanti a noi i due bicchieri, schizzando Chinatasse dappertutto.
— Vorremmo quelli da portare via — disse Ben.
La cameriera sospirò forte e si allontanò a passi pesanti, portando via i bicchieri.
— Se dobbiamo lavorare insieme — mi disse Ben — faremo meglio a incominciare.
— Un momento. Ci siamo licenziati tutt’e due, no?
— Ah, il fatto è che la HiTek ci vuole indietro.
— Davvero?
— Tutto perdonato. — Annuì. — Dicono che possiamo avere tutto quello che ci occorre… spazio di laboratorio, assistenti, computer.
— Ma le pecore e il fumo passivo?
— Apra la busta.
Aprii la busta.
— Legga la lettera.
Lessi la lettera. — Non capisco.
Girai il foglio. Sul retro non c’era niente. Guardai di nuovo la busta. Solo il mio nome. Guardai Ben, che era di nuovo esultante. — Non capisco — ripetei.
— Nemmeno io — disse Ben. — Alicia era presente, quando ho aperto la mia. Ha dovuto ricalcolare tutte le sue percentuali.
Lessi di nuovo la lettera. — Abbiamo vinto il Niebnitz Grant?
— Abbiamo vinto il Niebnitz Grant.
— Ma… non siamo… non abbiamo…
— Be’, ecco il punto. — Si appoggiò sul tavolo e, finalmente, mi prese la mano. — Ho avuto questa idea. Ti avevo detto che era possibile fare previsioni sui sistemi caotici, misurando tutte le variabili e calcolando l’iterazione? Be’, penso che in fin dei conti Verhoest avesse ragione. C’è davvero un altro fattore in gioco. Ma non è un fattore esterno. È un qualcosa già presente nel sistema. Ricordi che Shirl disse che la guida era uguale alle altre pecore, solo un po’ più avida, un po’ più svelta, un po’ più avanti? E se…
— …invece delle farfalle ci fosse una guida nei sistemi caotici?
— Esattamente. — Mi prese tutt’e due le mani. — Non è diversa dalle altri variabili del sistema, ma è quella che scatena l’iterazione, è il catalizzatore, è…
— Pippa — dissi, stringendogli le mani. — C’è una poesia, Passa Pippa, di…
— Browning. Canta sotto le finestre…
— E cambia la vita delle persone, e loro non la vedono mai. Se facessi al computer un modello del paese di Asolo non ce la metteresti nemmeno, ma lei…
— …è la variabile che mette in moto le ali della farfalla, la forza dietro l’iterazione, l’azione scatenante dietro l’azione scatenante, il fattore che provoca…
— …il taglio alla maschietta nelle donne di Hong Kong.
— Esattamente. L’azione scatenante che provoca le tue mode. Le…
— …sorgenti del Nilo.
La cameriera tornò con gli stessi due bicchieri. — Non abbiamo quelli da portare via. Inquinano l’ambiente. — Posò sul tavolo i bicchieri e si allontanò di nuovo a passi pesanti.
— Come Flip — disse Ben, riflettendo. — Ha consegnato quel pacchetto alla persona sbagliata, ed è così che ti ho conosciuta.
— Fra le altre cose — dissi, e provai di nuovo quell’impressione di essere vicina a qualcosa… Il cubo di Rubik che cominciava a girare nel senso giusto.
— Andiamo — disse Ben. — Voglio vedere che cosa succede se aggiungo la guida ai dati della teoria del caos.
— Un momento… voglio bere il Chinatasse, casomai fosse la prossima moda. E c’è un’altra cosa… Non hai ancora comunicato alla HiTek la nostra decisione di fermarci, vero?
Ben scosse la testa. — Pensavo che avresti voluto esserci anche tu.
— Bene. Non diciamo ancora niente. Voglio prima controllare una cosa.
— Okay. Allora ci vediamo alla HiTek fra qualche minuto. D’accordo? — Uscì.
— Uhm — dissi, cercando di ricatturare il pensiero che mi era balenato prima. Qualcosa sui treni. O sugli autobus? E anche qualcosa che aveva detto la cameriera.
Pensierosa, sorseggiai il Chinatasse; se avevo bisogno di un segno che il caos stava raggiungendo un equilibrio a un nuovo e più alto livello, eccolo lì: il Chinatasse era il meraviglioso tè freddo speziato del vecchio Earth Mother.
Cosa che avrebbe dovuto ispirarmi, se mai fosse stato possibile, ma non riuscivo a ricatturare quel pensiero. L’idea che sarei dovuta tornare con Ben continuava a intrufolarsi, oltre al pensiero che, a parte l’esercizio di sensitività e il momento in cui mi aveva preso le mani poco prima, Ben non mi aveva mai toccato.
Evidentemente, nel nostro sistema operava una sorta di ciclo di reazione, perché in quel momento Ben tornò e, scostando la cameriera che voleva farsi dare il nome, passò tra i tavoli e mi fece alzare. E mi baciò.
— Okay — disse quando ci staccammo.
— Okay — dissi senza fiato.
— Uau! — disse la cameriera. — L’ha conosciuto con gli annunci personali?
— No — risposi, augurandomi che chiudesse la bocca e che Ben mi baciasse di nuovo. — Tramite Flip.
— Siamo stati presentati da una guida — disse Ben, mettendomi di nuovo le braccia al collo.
— Uau! — disse la cameriera.
COUEISMO (1923)
Moda di psicologia ispirata dal dottor Emile Coué, psicologo francese, autore di Padronanza di sé mediante autosuggestione. Il metodo di Coué per l’auto-miglioramento consisteva nell’annodare un pezzo di corda e recitare di continuo: “Ogni giorno in ogni modo miglioro e miglioro”. La moda morì quando fu evidente che nessuno migliorava.
Gli eventi più insignificanti hanno provocato conquiste scientifiche: l’alzarsi dell’acqua quando si entra nella vasca da bagno, un soffio d’aria, la pressione di un piede su un predellino. Però non avevo mai sentito parlare di una conquista provocata da un bacio.
Ma un bacio che aveva su di sé tutto il peso di cinque settimane di turbolenza caotica, di rivoluzione di schemi di pensiero abituali, di spostamento di variabili, separate e rimescolate in nuove possibilità. E quando Ben mi aveva abbracciato, quel gesto era stato come la scoperta della penicillina e dell’anello benzenico e del Big Bang messe insieme. Eureka alla decima potenza. La scoperta delle sorgenti del Nilo.
— Quel FLIP dove vi siete incontrati — mi stava dicendo la cameriera — è come un gruppo di recupero?
— Di scoperta — dissi, fissando immobile Ben che si allontanava e meravigliandomi d’essere stata così cieca. Era tutto chiarissimo: l’azione scatenante delle mode e il raggiungimento delle conquiste scientifiche e il motivo per cui avevamo vinto il Niebnitz Grant.
— Possono associarsi tutti, a questo FLIP? — domandò la cameriera. — Faccio già parte di un gruppo di recupero, ma non c’è nemmeno un bel ragazzo.
— Mi porti il conto. — Pescai dal borsellino un biglietto da venti e glielo allungai. Volevo tornare subito alla HiTek e mettere tutto nel computer.
— Ha già pagato lui — disse la cameriera, cercando di restituirmi il biglietto.
— Be’, lo tenga. — Le sorrisi, perché mi era venuta in mente un’altra cosa. — Siamo ricchi. Abbiamo vinto il Niebnitz Grant!
Tornai in fretta alla HiTek, salii al laboratorio di Statistica e richiamai sul computer il mio modello per il taglio alla maschietta.
Supponiamo che le mode siano una forma di criticità auto-organizzata derivante dal sistema caotico della cultura popolare. E supponiamo che, come altri sistemi caotici, siano influenzate da una guida. L’indipendenza delle donne, Irene Castle, gli sport all’aperto, la ribellione contro la guerra… tutte queste cose sarebbero semplici variabili all’interno del sistema. Richiederebbero un catalizzatore, una farfalla che li metta in moto.
Esaminai la concentrazione intorno a Marydale, Ohio. Supponiamo che non sia una anomalia statistica. Supponiamo che ci sia stata una ragazza, a Marydale, Ohio, una ragazza come tutte le altre, con galosce osé e ginocchia tinte di rosso, indistinguibile dal resto del gregge, solo un po’ più avida, un po’ più svelta, un po’ più affamata. Un po’ più avanti del resto del gregge. Una ragazza che si era presa una cotta per un dentista che stava dall’altra parte della città e che era entrata nel negozio del barbiere, e, senza la minima idea di dare inizio a una moda, di cristallizzare il caos nella criticità, aveva chiesto al barbiere di tagliarle i capelli.
Richiamai il resto dei dati sugli anni Venti e chiesi analisi geografiche stratificate: intorno a Marydale c’era di nuovo l’anomalia, per le calze arrotolate alle caviglie e per i cruciverba. E per lo shimmy, anche se quel ballo era nato a New York. Ma non era diventato una moda finché una ragazza dai capelli alla maschietta, a Marydale, Ohio, non l’aveva ripreso. Una ragazza come Flip. Una farfalla. Una guida. Le sorgenti del Nilo.
Aprii il programma di pittura e ritracciai il corso degli eventi alla HiTek, dal momento in cui Flip aveva sbagliato a consegnare il pacchetto della Turnbull al momento in cui aveva giocherellato col saliscendi del cancello; ma stavolta inserii anche Sotto la guida del fato e il budino di pane, gli esercizi di sensitività di Grancapo, il nastro adesivo industriale, gli esercizi ginnici di Elaine, il fumo di Shirl, il ragazzo di Sarah, Barbie Sposa Romantica e i vari livelli di abilità per ordinare un caffellatte.
Tutte le variabili che riuscivo a pensare e tutte le azioni di Flip, irrilevanti o no, avevano avuto un effetto di ritorno sul sistema, avevano aggiunto turbolenza e portato non al disastro (come avevo creduto dopo l’esercizio di sensitività) ma al Niebnitz Grant, all’amore e alla compatibilità geografica, e alle origini del taglio alla maschietta. A un nuovo, più alto stato d’equilibrio.
Flip aveva sentito una sorta di prurito, e come risultato io avevo detto a Billy Ray che sarei uscita con lui; Billy Ray aveva detto anche lui di sentire una sorta di prurito, e mi aveva parlato delle pecore; e alle pecore io avevo pensato quando Flip aveva perduto il modulo di finanziamento di Ben.
Flip. Le sue impronte, come i piccoli tacchi alti di Barbie, come gli echi della voce di Pippa, erano dappertutto sulla scena del delitto. Flip aveva detto a Ben che ero fidanzata con Billy Ray, aveva tralasciato di fotocopiare le pagine da 29 a 41, aveva insegnato alla guida ad aprire il cancello, aveva riferito a Grancapo che Shirl fumava, aumentando ogni volta il livello di caos, mescolando e separando le variabili.
Lo schermo si riempì di linee. Le collegai, inserii le equazioni di iterazione e le linee divennero un intrico, l’intrico divenne un nodo. La cucitrice che non trovavo, il Pifferaio magico di Browning, il cellulare di Billy Ray, il rosa postmoderno. Flip aveva fatto circolare una petizione anti-fumo e Shirl era finita nel parcheggio sotto la neve, e io l’avevo portata al laboratorio di Ben, e lei aveva guardato me e Ben lottare con le pecore e aveva detto: “Vi occorre una guida”.
Lo schermo divenne scuro, pieno di strati di eventi che rinviavano l’uno all’altro; poi, all’improvviso, apparve un nuovo disegno: una bella e complessa conformazione ravvivata da rosso radicale e blu ceruleo.
Criticità auto-organizzata. Conquista scientifica.
Mi sedetti e contemplai per un poco quella conformazione, meravigliata della sua semplicità, e riflettei su Flip. Mi ero sbagliata. La i sulla fronte non stava per incompetenza o per irrequietezza. E neppure per influenza. Stava per ispirazione. E lei era Pippa, in fin dei conti; solo che, invece di cantare, smuoveva le variabili e, con ogni petizione e con ogni errore nella consegna della posta, innalzava il livello di caos, finché il sistema non raggiungeva il punto critico.
Riflettei anche sulla penicillina e su Alexander Fleming che aveva un laboratorio troppo piccolo e ingombro, con pile di vaschette di coltura coperte di muffa. L’istituto in cui Fleming lavorava era proprio in mezzo al caos, a mezzo isolato dalla stazione di Paddington, in una via rumorosa. In più, le vacanze e il caldo di agosto e il nuovo assistente ricercatore al quale aveva dovuto fare spazio, e tutti quei particolari secondari come suo padre e la squadra di tiro. E il polo acquatico. A scuola Fleming aveva fatto parte di una squadra che giocò una partita di polo acquatico contro il St. Mary’s Hospital. Tre anni più tardi, quando si preparava a frequentare la scuola di medicina, aveva scelto il St. Mary’s perché ne ricordava il nome.
Oltre a questo, la fuliggine e la finestra socchiusa del laboratorio. Un vero caos. O no?
David Wilson aveva definito la scoperta della penicillina “uno dei più fortunati incidenti che siano mai occorsi in natura”. Ma era stato davvero un incidente? O era una scoperta scientifica sul punto di verificarsi, un sistema tanto caotico che l’occorrente per spingerlo oltre il bordo, verso la criticità auto-organizzata, era una semplice spora entrata da una finestra aperta, come il canto di Pippa?
Poincaré aveva creduto che il pensiero creativo fosse un metodo per indurre il caos interiore a conseguire un più alto livello d’equilibrio. Ma il caos doveva proprio essere interiore?
Salvai tutto su un dischetto, me lo misi in tasca e scesi a Biologia.
— Devo sapere una cosa — dissi a Ben. — La tua teoria del caos basata sulla guida, l’hai elaborata a poco a poco o hai avuto una folgorazione?
Ben corrugò la fronte. — L’uno e l’altro. Continuavo a pensare a Verhoest e al suo fattore X, e mi dicevo che forse aveva ragione; così ho cercato di immaginare quale forma un altro fattore potesse assumere.
— Ed è stato allora che la mela ti ha colpito in testa?
— No. Alicia era venuta a dirmi che in base alle sue ricerche il prossimo vincitore del Niebnitz sarebbe stato un radioastronomo e che Grancapo aveva indetto un altro meeting; poi c’è stato l’esercizio di sensitività e quell’abbraccio. Dopo, per un paio di giorni, sono riuscito solo a pensare a te e al tuo fidanzamento con quell’allevatore di pecore.
— Di struzzi — lo corressi. — Da un paio di settimane, almeno. Così le idee erano già lì a ribollire, ma ricordi che cosa ha cristallizzato il tutto?
— Tu. Le pecore si muovevano in massa nel corridoio della Direzione e tu hai detto: “È stata Flip. Lo so”. E Shirl ha detto che non c’era e tu hai detto: “Non importa. In qualche modo dietro questo c’è Flip”. E io ho pensato: “No, non c’è Flip, c’è la guida”. E ho ricordato Flip appesa al cancello del paddock, ad alzare e abbassare il saliscendi, e ho pensato: “La guida di sicuro ha imparato da lei ad aprire il cancello e ha guidato le altre pecore in questo caos”. E la cosa mi colpì, ecco. Le guide provocano il caos. Sono il fattore invisibile.
— Lo sapevo! — dissi. — Devo trovare una cosa. Proprio ciò che pensavo. Sei meraviglioso. Torno subito. — Lo baciai per ispirazione e andai a cercare Flip.
Avevo dimenticato che Flip se n’era andata.
— Tre giorni fa — mi disse Elaine, al Personale. Aveva ai piedi un paio di Rollerblade blu Cerenkhov. — Pattini a rotelle — spiegò, e alzò la gamba per farmi vedere. — Ti tengono in allenamento tutto il corpo molto meglio del wall-walking e ti aiutano a girare più velocemente per l’ufficio. Hai sentito di Sarah e del suo ragazzo?
— Si sono lasciati?
— No. Si sono sposati!
Riflettei sulle implicazioni della notizia. — Flip ha lasciato un recapito? — domandai. — Ha detto dove andava?
Elaine scosse la testa. — Ha detto di lasciare all’Economato il suo assegno paga, che Desiderata glielo avrebbe spedito.
— Posso vedere il suo dossier?
— I dati del personale sono riservati — disse Elaine, a un tratto divenuta impiegata modello.
— Chiama Grancapo e chiedi l’autorizzazione. Digli che la richiesta proviene da me.
Elaine chiamò Grancapo. — Ha detto di darti tutto ciò che vuoi — riferì, stupefatta, riagganciando. — Vuoi tutto il dossier?
— Solo l’elenco dei precedenti impieghi.
Elaine pattinò fino al classificatore, prese il curriculum di Flip, pattinò verso di me ed eseguì un elegante arresto di punta.
Proprio ciò che mi ero aspettata. Flip aveva lavorato in un caffè di Seattle e prima ancora in un Burger King di Los Angeles. — Grazie — dissi, restituendo a Elaine il curriculum; poi mi venne in mente un’altra cosa. — Fammi dare un’occhiata al suo dossier. — Lo aprii e guardai la prima riga, dove erano riportate le “generalità complete, cognome, nome, secondo nome (solo l’iniziale)”.
Orliotti, c’era scritto. Philippa J.
TATUAGGI (1691)
Moda di auto-mutilazione che divenne popolare in Europa per la prima volta intorno al 1600, quando alcuni esploratori ne importarono la pratica dai Mari del Sud. I tatuaggi si ripresentarono come moda dell’aristocrazia in epoca edoardiana. Jennie Jerome, madre di Winston Churchill, aveva un serpente tatuato intorno al polso. I tatuaggi divennero di nuovo popolari nella Seconda guerra mondiale fra il personale delle forze armate e soprattutto della marina; e di nuovo negli anni Sessanta, nel contesto del movimento hippie; e ancora nei tardi anni Ottanta. Il tatuaggio ha lo svantaggio di essere una moda passeggera dai risultati permanenti.
Mi segnai il cognome di Flip, presi l’appunto di scoprire il nome di sua nonna e di controllare se era vissuta nelle vicinanze di Marydale, Ohio, nel 1921, poi scesi all’Economato.
Desiderata non riuscì a trovare il recapito di Flip. — Andava da qualche parte in Arizona — disse, cercando fra le gomme. — Albuquerque, mi pare.
— Albuquerque è nel Nuovo Messico.
— Oh. — Corrugò la fronte. — Allora forse era Fort Worth. Dov’è andato lui.
— Chi?
Desiderata roteò gli occhi. — Quel dentista.
Naturalmente. Nell’annuncio personale aveva messo particolare enfasi sulla compatibilità geografica.
— Forse l’ha detto a Shirl — riprese Desiderata, frugando tra le penne.
— Credevo che l’avessero licenziata perché fumava nel paddock.
— Be’, no. Si è dimessa. Ha detto che restava solo finché non assumevano una nuova direttrice agevolazione messaggi interdipartimentali, che è stata assunta stamattina, perciò forse Shirl è già andata via.
Non era andata via. Era nella stanza della fotocopiatrice a controllare la macchina un’ultima volta. Flip non le aveva detto dove sarebbe andata.
— Ha accennato al fatto che quel Darrell lasciava lo studio a Prescott — disse Shirl, chinandosi sull’alimentatore della carta. — Ho sentito che lei e il dottor O’Reilly avete vinto il Niebnitz Grant. È meraviglioso.
— Sì, è magnifico. — La guardai estrarre dall’alimentatore un foglio che era rimasto incastrato: non aveva macchie di nicotina sulle dita. — Peccato non sapere chi assegna il Nlebnitz. Mi piacerebbe dirgli una cosa.
Shirl rimise a posto l’alimentatore e chiuse il coperchio. — Sono sicura che il comitato vuole restare anonimo.
— Se di comitato si tratta — dissi. — I comitati sono assolutamente incapaci di mantenere i segreti, e invece perfino la dottoressa Turnbull non è riuscita a scoprire niente. Secondo me, si tratta di una sola persona.
— Una persona molto ricca — disse Shirl. Non aveva più la raucedine.
— Giusto. Una persona con una circostanziata predisposizione alla ricchezza, che pensa con la sua testa e vuole che anche altri pensino con la loro. Quando ha smesso di fumare?
— Flip mi ha convertito. Brutta abitudine. Dannosa per la salute.
— Uhm. Una persona estremamente competente…
— A proposito di competenza, ha già incontrato la sostituta di Flip? Appena l’avrà conosciuta, sarà felice di non lavorare più qui. Pensavo fosse impossibile assumere una persona peggiore di Flip, ma Grancapo ci è riuscito.
— Una persona estremamente competente — ripetei, guardandola negli occhi — che viaggia per il paese, come Diogene, cercando scienziati con circostanziata predisposizione a importanti conquiste scientifiche. Una persona di cui nessuno sospetterebbe mai.
— Teoria interessante — disse Shirl, col tono di chi vuole accantonare la discussione. Centrò il foglio sulla lastra di vetro. — Cosa vorrebbe dirle? Se la persona in questione, uomo o donna, mantiene l’incognito, probabilmente non vuole essere ringraziato, o ringraziata. — Premette un pulsante e iniziò ad abbassare il coperchio.
— Oh, non l’avrei ringraziata. Le avrei detto che sta prendendo le cose in un verso completamente sbagliato.
La luce della fotocopiatrice ci abbagliò. Shirl batté le palpebre. — Vuol dire che quelli del Niebnitz hanno scelto i vincitori sbagliati?
— Non si tratta delle persone scelte. Si tratta del premio in sé. Con un milione di dollari, lo scienziato può lasciare l’impiego, attrezzarsi un laboratorio tutto suo e continuare il lavoro in santa pace e assoluta tranquillità.
— Ed è una brutta cosa?
— Forse. Guardi Einstein. Scoprì la relatività mentre lavorava in un piccolo locale dell’ufficio brevetti, pieno di carte e di cianfrusaglie. Quando provò a lavorare a casa, fu ancora peggio. Biancheria appesa ad asciugare dappertutto, un bambino che gli strillava sulle ginocchia, la prima moglie che lo riempiva di improperi.
— E le sembrano condizioni di lavoro ideali?
— Forse. E se il frastuono e il bucato steso ad asciugare in casa e la mancanza di spazio, anziché essere impedimenti, si combinassero per creare una situazione in cui nuove idee possono agglomerarsi? — Alzai due dita. — Solo due vincitori del Niebnitz Grant hanno fatto in seguito importanti scoperte. Perché?
— Le scoperte scientifiche non avvengono su ordinazione. Richiedono lunghi anni di accurato lavoro…
— E fortuna. E serendipità. Un colpo di vento che spinge le zampe della rana di Galvani contro una ringhiera e chiude un circuito, una mano che si frappone ai raggi catodici, una mela che cade. Fleming. Penzias e Wilson. Kekulé. Le conquiste scientifiche implicano che qualcuno colleghi idee che in precedenza nessuno aveva pensato di collegare, che veda legami che mai nessuno prima aveva visto. I sistemi caotici creano iterazioni di feedback che tendono a disperdere gli elementi del sistema, a spostarli in modo da avvicinarli a elementi con cui non erano mai venuti in contatto. I sistemi caotici tendono a diventare sempre più caotici, ma non sempre. A volte si ristabilizzano su un nuovo livello di ordine.
— Archimede — disse Shirl.
— E Poincaré. E Roentgen. Le loro idee nacquero tutte da situazioni caotiche, non da pace e tranquillità. E se si potesse indurre una situazione caotica, anziché limitarsi ad aspettare che si verifichi… È solo un’idea, ma giustifica il fatto che decine di scienziati abbiano potuto fare esperimenti con gas che emettevano scariche elettriche e non abbiano mai scoperto i raggi X. Giustifica il fatto che tante scoperte siano dovute a scienziati che lavoravano fuori del proprio campo. Ed è questo il motivo per cui lei ha specificato “circostanziata predisposizione”, per cui sceglie persone che lavorano fuori del proprio campo: sa come vanno le cose, anche se ne ignora i motivi. Naturalmente è solo un’idea. Ma si adatta alla teoria di Bennett sull’effetto guida. Mi serviranno un mucchio di altri dati e…
Shirl mi rivolse un sorriso niente affatto stiracchiato. — E lei pensa ancora che prenda le cose per il verso sbagliato? — disse. Si chinò a togliere una fotocopia dalla macchina. — Teoria interessante. — Prese un pacco di fogli. — Se mai mi imbatterò in chi assegna i Niebnitz, gliela riferirò di certo. — Si mosse verso la porta.
— Addio — dissi, e la baciai sulla guancia rugosa.
— E questo per cosa sarebbe? — brontolò Shirl, strofinandosi la guancia.
— Per avere aggiustato la fotocopiatrice — dissi. — Oh, a proposito — le gridai dietro — da chi prende il nome, il Niebnitz Grant?
— Alfred Taylor Niebnitz — rispose Shirl senza girarsi. — Il mio professore di fisica delle superiori.
TAVOLETTA OUIJA (1917 – 18)
Moda di gioco parapsicologo che servirebbe a predire il futuro. I giocatori spingono una planchette su una tavoletta con lettere e numeri, decifrando delle risposte a loro domande. Ebbe origine nel Maryland negli anni 1880 a opera di C.W. Kennard o di William e Isaac Fuld, oppure in Europa negli anni 1850, ma non divenne una moda finché l’America non entrò nella Prima guerra mondiale. Ricorre ogni volta che c’è una guerra. Popolare durante la Seconda Guerra Mondiale e durante il conflitto coreano. Raggiunse il più alto numero di vendite nel 1966-67, durante la guerra nel Vietnam.
Una teoria vale solo quanto la sua capacità di predire comportamenti. Mendeleev predisse che i vuoti nella tavola periodica sarebbero stati colmati da elementi con peso atomico e proprietà ben precisi. Le successive scoperte del gallio, dello scandio e del germanio confermarono la sua predizione. La teoria della relatività di Einstein predisse correttamente la deviazione della luce a opera del sole, sperimentata nell’eclisse del 1919. La teoria della deriva continentale di Wegener fu confermata da fossili e da fotografie scattate da satelliti. E la penicillina di Fleming salvò la vita a Winston Churchill nella Seconda guerra mondiale.
La teoria della guida nei sistemi caotici è solo una teoria, e Ben e io siamo ancora ai primi stadi della ricerca. Ma sono disposta ad azzardare alcune previsioni.
La HiTek cambierà acronimi almeno due volte nel prossimo anno, stabilirà un codice di abbigliamento e farà sì che il personale si tenga per mano e coltivi le proprie interiorità.
La dottoressa Turnbull passerà tutto il prossimo anno nel tentativo di valutare il Niebnitz Grant, senza successo. La scienza non funziona a quel modo.
Prevedo un certo numero di nuove mode che avranno origine a Prescott, Arizona, o Albuquerque o Fort Worth. Boulder, Seattle e Los Angeles cesseranno a poco a poco di dar vita a nuove mode. Il marchio sulla fronte andrà forte; il filo interdentale e i capelli corti, in particolare la permanente Marcel, faranno ritorno.
Per le mode spirituali, gli angeli saranno out e le fate saranno in… soprattutto le fate madrine, che in fin dei conti esistono davvero. Gli esperti di merchandising faranno in breve tempo un sacco di soldi sfruttando questa moda, ma poi perderanno anche la camicia nel tentativo di anticipare la successiva.
Predico un brusco declino dell’allevamento di pecore, un incremento dei matrimoni e nessun cambiamento negli annunci personali. Il dessert di moda questo autunno sarà la torta capovolta all’ananas.
In un’azienda o istituto di ricerca o college, sarà assunta una fin troppo competente impiegata per la distribuzione della posta, una donna sovrappeso, o con la pelliccia o una Bibbia; e gli scienziati che ci lavorano faranno bene a ricordare i racconti di fate che hanno letto o ascoltato da bambini.
Ci sarà una impennata di importanti conquiste scientifiche e il caos, come al solito, regnerà. Predico grandi cose.
Stamattina ho conosciuto la persona che ha preso il posto di Flip. Ero salita a Statistica a prendere i dati sul taglio alla maschietta, quando lei uscì dalla stanza delle fotocopie lasciando dietro di sé una scia di memo.
Aveva capelli color lavanda, acconciati con un effetto fontana, con parecchi giri di filo spinato tutt’intorno. Aveva una camicetta da bowling, calzoni a metà polpaccio, scarpette nere da danza, di cuoio verniciato, e rossetto arancione.
— Lei è la nuova addetta alla posta?
Mi guardò con aria sdegnosa. — Sono direttrice agevolazione messaggi interdipartimentali — disse, calcando su ogni sillaba. — E comunque che gliene frega?
— Benvenuta alla HiTek — dissi, e le avrei stretto la mano, se non avesse avuto al dito un anello di filo spinato. Grandi cose.