VI

Scavata nello strapiombo roccioso a sud del picco che racchiudeva l’appartamento di Joaz, c’era una vasta camera, chiamata Sala di Kergan. Le proporzioni, la semplicità e la mancanza di ornamenti, i massicci mobili antichi contribuivano a conferirle un senso di personalità e un odore esclusivamente suo. L’odore trasudava dalle nude pareti di pietra, dal pavimento di muschio pietrificato, dal legno vecchio… un sentore rude e maturo che Joaz aveva sempre detestato, come detestava ogni altro aspetto della sala. Le dimensioni gli sembravano arroganti; l’assenza d’ornamenti gli pareva rozza, se non addirittura brutale. Un giorno, Joaz aveva pensato che non detestava la sala, in realtà, ma Kergan Banbeck e tutte le leggende esagerate che lo alonavano.

Tuttavia, sotto molti aspetti, la sala era gradevole. Tre alte finestre a sesto acuto si affacciavano sulla valle: erano formate da piccoli riquadri di vetro verdazzurro montati su rapporti di legno nero. Anche il soffitto era rivestito di legno; e lì c’era un certo sfoggio della tipica ornamentazione di Banbeck. C’erano finti capitelli di lesena, con teste grottesche, un fregio di fronde di felce stilizzate. I mobili erano in tutto tre: due alti seggi scolpiti e un tavolo massiccio, tutti di lucido legno nero, tutti immensamente antichi.

Joaz aveva trovato un modo per utilizzare la sala. Sul tavolo c’era una mappa dettagliata a rilievo, raffigurante la zona, in scala di tre pollici per un miglio. Al centro c’era la Valle dei Banbeck, a destra la Valle Beata, separata da un caos di picchi e di precipizi, strapiombi, guglie, muraglie e cinque vette titaniche: Monte Gethron a sud, Monte Disperazione al centro, la Guglia di Barch, la Zanna e Monte Sereno al nord.

Davanti a Monte Gethron si estendeva il Labirinto Alto, poi il Burrone della Stella Spezzata giungeva fino a Monte Disperazione e alla Guglia di Barch. Oltre Monte Disperazione, tra i Bastioni dello Skanse e il Dosso di Barch, lo Skanse si spingeva fino ai tormentati canaloni di basalto e alle alture ai piedi di Monte Sereno.

Mentre Joaz studiava la mappa, Phade entrò nella sala. Era maliziosamente silenziosa, ma Joaz sentì la sua vicinanza dal profumo d’incenso, nel cui fumo si era immersa prima di venirlo a cercare. Indossava il tradizionale abito festivo delle fanciulle di Banbeck: una guaina aderente d’intestino di drago, con bordi di pelliccia marrone al collo, ai gomiti e alle ginocchia. Un alto cappello cilindrico, frastagliato alla sommità, stava in equilibrio sui riccioli bruni, e sulla cima del cappello ondeggiava una piuma rossa.

Joaz finse di non essersi accorto della sua presenza. Lei gli si accostò, alle spalle, per solleticargli la nuca con il colletto di pelliccia. Joaz simulò una stolida indifferenza. Phade, che non si era lasciata ingannare, assunse un’espressione di dolorosa preoccupazione: — Finiremo tutti uccisi? Come procede la guerra?

— Per la Valle dei Banbeck, la guerra va bene. Per il povero Ervis Carcolo della Valle Beata, va decisamente male.

— Hai intenzione di annientarlo! — intonò Phade, con una sfumatura sommessa d’accusa. — Lo ucciderai! Povero Ervis Carcolo!

— Non merita altro.

— Ma che ne sarà della Valle Beata?

Joaz Banbeck scrollò pigramente le spalle. — Cambierà in meglio.

— Cercherai di regnarvi tu?

— No.

— Pensa! — sussurrò Phade. — Joaz Banbeck, Tiranno della Valle dei Banbeck, della Valle Beata, del Canalone di Fosforo, del Lago, del Rifugio ad Anello e della Grande Spaccatura Settentrionale.

— No — disse Joaz. — Ti piacerebbe regnare al mio posto?

— Oh! Davvero! Quanti cambiamenti vi sarebbero! Vestirei i sacerdoti di nastri rossi e gialli, ordinerei loro di cantare e danzare e di bere il vino di maggio. I draghi li manderei a sud, in Arcadia, a eccezione di pochi Rissosi d’indole mite che terrei per custodire i bambini. E basta con queste furiose battaglie. Brucerei le corazze e spezzerei le spade; farei…

— Mia cara farfallina — disse Joaz, con una risata — il tuo regno sarebbe davvero molto breve!

— Perché breve? Perché non dovrebbe durare per sempre? Se gli uomini non avessero i mezzi per combattere…

— E quando arrivassero i Basici… li accoglieresti buttando loro ghirlande di fiori?

— Puah. Non si faranno più vedere. Che cosa ci guadagnano a molestare poche valli remote?

— Chi lo sa cosa ci guadagnano? Noi siamo uomini liberi. Forse gli ultimi uomini liberi dell’universo. Chissà. E torneranno? Coralyne brilla fulgida nel cielo!

All’improvviso, Phade si mostrò piena d’interesse per la mappa in rilievo.

— E la guerra in corso… spaventosa. Attaccherai o ti difenderai?

— Questo dipende da Ervis Carcolo — disse Joaz. — Debbo solo attendere che si scopra. — Poi, abbassando lo sguardo sulla mappa, aggiunse pensieroso: — È abbastanza abile per causarmi danni, a meno che io mi muova con prudenza.

— E se i Basici tornano mentre tu combatti contro Carcolo?

Joaz sorrise. — Forse allora fuggiremo tutti nei Labirinti. Forse combatteremo tutti.

— Io mi batterò al tuo fianco — dichiarò Phade, assumendo un’aria coraggiosa. — Attaccheremo la grande astronave dei Basici, sfidando i raggi termici, deviando le scariche d’energia. Assedieremo il portale. Tireremo il naso al primo scorridore che si affaccerà!

— C’è una piccola lacuna nella tua strategia, altrimenti così saggia — disse Joaz. — Come si fa a prendere un Basico per il naso?

— In tal caso — disse Phade — li prenderemo per il… — Girò la testa, sentendo un rumore nel corridoio. Joaz attraversò la sala, spalancò la porta. Il vecchio Rife, il siniscalco, si fece avanti. — Mi avevi detto di chiamarti quando la bottiglia si fosse rovesciata o si fosse rotta. Ebbene, s’è rovesciata e si è rotta.

Joaz passò davanti a Rife e si avviò correndo per il corridoio. — Cosa significa? — chiese Phade. — Rife, perché quello che hai detto lo ha tanto sconvolto?

Rife scosse il capo, freneticamente. — Sono sconcertato quanto te. Mi ha indicato una bottiglia. «Sorvegliala giorno e notte»… mi ha ordinato. E poi: «Quando la bottiglia si rompe o si rovescia, chiamami subito». Mi sono detto che si trattava sicuramente d’una sinecura. E mi sono domandato se Joaz mi considerava tanto rimbambito da accontentarmi di una mansione inutile, come sorvegliare una bottiglia. Sono vecchio, il mento mi trema, ma non sono stupido. E, con mia grande sorpresa, la bottiglia si è rotta! La spiegazione, certo, è semplice. È caduta sul pavimento. Tuttavia, pur senza sapere cosa significhi, ho obbedito agli ordini e ne ho informato Joaz Banbeck.

Phade si agitava spazientita.

— E dov’è la bottiglia?

— Nello studio di Joaz Banbeck.

Phade corse via a tutta la velocità consentitale dalla guaina che le stringeva le cosce; prese una galleria traversa, superò la Via di Kergan passando per un ponte coperto e salì una rampa che conduceva all’appartamento di Joaz.

Phade corse per la lunga galleria, attraversò l’anticamera, dove una bottiglia rotta stava sul pavimento, si precipitò nello studio e si fermò sbalordita. Non c’era nessuno. Notò che una sezione degli scaffali era spostata ad angolo. Senza far rumore, timorosamente, attraversò la stanza e sbirciò giù nel laboratorio.


Era una scena strana. Joaz stava ritto, negligentemente, sorridendo imperturbabile, mentre in fondo alla stanza un sacerdote nudo cercava con aria grave di spostare una barriera che era scesa di scatto attraverso un tratto del muro. Ma la grata era ingegnosamente fissata, e gli sforzi del sacerdote erano inutili.

Si voltò, lanciò un’occhiata a Joaz, e poi si mosse per passare nello studio.

Phade trattenne il respiro e indietreggiò.

Il sacerdote passò nello studio e si diresse alla porta.

— Un momento — disse Joaz. — Desidero parlare con te.

Il sacerdote si soffermò e girò la testa con aria mite e interrogativa. Era giovane, e aveva un volto blando, vacuo, quasi bello. La pelle fine, trasparente, era tesa sulle ossa chiare. Gli occhi grandi, azzurri, innocenti, sembravano fissi e sfocati. Aveva una struttura delicata e scarna. Le mani erano esili e le dita tremavano come per una sorta di squilibrio nervoso. La lunga chioma castana gli scendeva sul dorso, fin quasi alla vita.

Joaz sedette con ostentata lentezza, senza distogliere gli occhi dal sacerdote. Poi parlò, in un tono acuto, minaccioso. — Giudico il tuo comportamento tutt’altro che gradito. — Era una dichiarazione che non richiedeva una risposta, e il sacerdote non disse nulla.

— Accomodati, prego — disse Joaz. Indicò una panca. — Hai molte spiegazioni da dare.

Era solo l’immaginazione di Phade? Oppure una scintilla di divertimento guizzò e si spense quasi istantaneamente negli occhi del sacerdote? Ma non disse nulla neppure questa volta. Joaz, adattandosi alle bizzarre regole cui bisognava adeguarsi nel comunicare con i sacerdoti, chiese: — Vuoi sederti?

— Non ha importanza — disse il sacerdote. — Poiché ora sono in piedi, resterò in piedi.

Joaz si alzò e compì un gesto che non aveva precedenti. Spinse la panca dietro al sacerdote, batté sulla parte posteriore dei ginocchi nodosi e spinse con fermezza il sacerdote, costringendolo a sedere. — Poiché adesso sei seduto — gli disse — tanto vale che tu rimanga seduto.

Con mite dignità, il sacerdote tornò ad alzarsi. — Starò in piedi.

Joaz scrollò le spalle. — Come preferisci. Intendo rivolgerti alcune domande. Spero che collaborerai e risponderai con precisione.

Il sacerdote sbatté le palpebre come un gufo.

— Lo farai?

— Certamente. Tuttavia, preferirei andarmene come sono venuto.

Joaz non badò a quel commento. — Innanzi tutto — chiese — perché vieni nel mio studio?

Il sacerdote parlò cautamente, con il tono che avrebbe potuto usare con un bambino. — Il tuo linguaggio è vago. Sono confuso e non debbo rispondere, poiché sono vincolato da un voto a dire soltanto la verità a chiunque la richieda.

Joaz si sistemò sulla sedia. — Non c’è fretta. Sono disposto a una lunga discussione. Permettimi di chiederti, dunque: hai avuto qualche impulso che puoi spiegarmi, e che ti ha indotto o costretto a venire nel mio studio?

— Sì.

— Quanti di tali impulsi riconosci?

— Non so.

— Più d’uno?

— Forse.

— Meno di dieci?

— Non so.

— Uhm… Perché sei incerto?

— Non sono incerto.

— Perché non puoi precisare il numero che ti ho chiesto?

— Tale numero non esiste.

— Capisco… Vuoi dire, forse, che vi sono diversi elementi di un unico motivo che ha indotto il tuo cervello a impartire ordini ai tuoi muscoli, affinché ti portassero qui?

— È possibile.

Le labbra sottili di Joaz si torsero in un fievole sorriso di trionfo. — Puoi descrivere un elemento del motivo decisivo?

— Sì.

— Allora descrivilo.

Era un imperativo, e il sacerdote era inaccessibile agli imperativi. Ogni forma di coercizione nota a Joaz, il fuoco, la spada, la sete, la mutilazione, per un sacerdote non era altro che un fastidio: l’ignorava come se non esistesse. L’unico mondo della realtà era il suo personale mondo interiore. Agire o reagire nei confronti degli affari degli Uomini Totali lo avrebbe sminuito. La passività totale e la totale sincerità erano i suoi comportamenti inevitabili. Joaz se ne rese conto e formulò il comando in modo diverso: — Sai pensare a un elemento del motivo che ti ha spinto a venire qui?

— Sì.

— Qual è?

— Il desiderio di girovagare.

— Sai pensarne un altro?

— Sì.

— Quale?

— Il desiderio di camminare.

— Capisco… Tra parentesi, stai cercando di eludere le mie domande?

— Io rispondo alle domande che tu mi rivolgi. Finché lo faccio, finché schiudo la mia mente a tutti coloro che cercano la conoscenza, poiché questo è il nostro credo, non posso eludere le domande.

— Se lo dici tu. Tuttavia, non mi hai dato una risposta che io possa ritenere soddisfacente.

L’unica reazione del sacerdote a quel commento fu una dilatazione quasi impercettibile delle pupille.

— Benissimo, allora — disse Joaz Banbeck. — Sai pensare a un altro elemento del complesso motivo che stiamo discutendo?

— Sì.

— Qual è?

— Mi interessano le cose antiche. Sono venuto nel tuo studio per ammirare le tue reliquie dei vecchi mondi.

— Davvero? — Joaz inarcò le sopracciglia. — Sono fortunato a possedere simili tesori affascinanti. Quale delle mie antichità ti interessa soprattutto?

— I tuoi libri. Le tue mappe. Il tuo grande globo dell’Archeo-mondo.

— L’Archeo-mondo? L’Eden?

— Questo è uno dei suoi nomi.

Joaz sporse le labbra. — Perciò sei venuto qui a studiare le mie antichità. Benissimo, allora, quali altri elementi compongono il tuo motivo?

Il sacerdote esitò un istante. — Mi è stato suggerito di venire qui.

— Da chi?

— Dal Demie.

— Perché lo ha suggerito?

— Sono incerto.

— Puoi fare qualche congettura?

— Sì.

— Quali sono tali congetture?

Il sacerdote fece un piccolo gesto vago con le dita di una mano. — Forse il Demie desidera diventare un Uomo Totale, e perciò cerca di apprendere i principi della vostra esistenza. Oppure il Demie potrebbe desiderare di scambiare gli oggetti. Il Demie potrebbe essere affascinato dalla mia descrizione delle tue antichità. Oppure il Demie potrebbe provare curiosità per i tuoi vetri ottici. Oppure…

— Basta così. Quale, tra queste congetture e le altre che non hai ancora rivelato, tu consideri più probabile?

— Nessuna.

Joaz inarcò di nuovo le sopracciglia. — Come lo giustifichi?

— Poiché può essere formulato qualunque numero desiderato di congetture, il denominatore di ogni quoziente di probabilità è variabile, e l’intero concetto diviene aritmeticamente insignificante.

Joaz sorrise stancamente. — Tra le congetture che fino a questo istante ti sono venute in mente, quale consideri più verosimile?

— Sospetto che il Demie potesse ritenere desiderabile che io venissi qui per stare in piedi.

— E cosa ci guadagni, stando in piedi?

— Nulla.

— Quindi il Demie non ti ha mandato qui per stare in piedi.

Il sacerdote non fece commenti all’affermazione di Joaz.

Joaz formulò meticolosamente una domanda: — Cosa credi che il Demie speri che tu guadagni, venendo qui per stare in piedi?

— Credo desideri che io impari come pensano gli Uomini Totali.

— E venendo qui, tu impari come io penso?

— Sto imparando moltissimo.

— E in che modo ti torna utile?

— Non so.

— Quante volte hai visitato il mio studio?

— Sette volte.

— Perché sei stato prescelto proprio tu, per venire qui?

— Il sinodo ha approvato il mio tand. Forse io sarò il prossimo Demie.

Joaz girò la testa per rivolgersi a Phade. — Prepara il tè. — Poi parlò di nuovo al sacerdote. — Che cos’è un tand?

Il sacerdote trasse un profondo respiro. — Il mio tand è la rappresentazione della mia anima.

— Uhm. Che aspetto ha?

L’espressione del sacerdote era impenetrabile. — Non è possibile descriverlo.

— Io ce l’ho?

— No.

Joaz scrollò le spalle. — Allora tu puoi leggere i miei pensieri.

Silenzio.

— Puoi leggere i miei pensieri?

— Non molto bene.

— Perché dovresti desiderare di leggere nei miei pensieri?

— Viviamo nello stesso universo. Poiché a noi non è permesso di agire, siamo obbligati a conoscere.

Joaz sorrise scettico. — In che modo vi aiuta la conoscenza, se non agite in base a essa?

— Gli eventi seguono il Razionale, come l’acqua si riversa in una depressione e forma una pozza.

— Bah! — fece Joaz, improvvisamente irritato. — La vostra dottrina vi impegna a non interferire nei nostri fatti, tuttavia permettete che il vostro “Razionale” crei condizioni tali da poter influenzare gli eventi. È esatto?

— Non sono sicuro. Noi siamo gente passiva.

— Tuttavia, il tuo Demie doveva avere un piano in mente, quando ti ha mandato qui. Non è esatto?

— Non sono in grado di dirlo.

Joaz passò a una nuova serie di domande. — Dove porta la galleria dietro il mio laboratorio?

— In una caverna.


Phade posò una teiera d’argento davanti a Joaz. Questi versò il tè e lo sorseggiò pensosamente. Vi erano innumerevoli varietà di contesti. Lui e il sacerdote erano impegnati in un gioco a nascondino di parole e d’idee. Il sacerdote era un esperto in fatto di pazienza e di agili evasioni, e per pararle Joaz poteva ricorrere all’orgoglio e alla decisione. Il sacerdote era ostacolato dalla necessità innata di dire la verità. Joaz, d’altra parte, doveva brancolare come un uomo bendato, ignaro della meta che cercava, ignaro del premio da conquistare. Benissimo, pensò Joaz: continuiamo. Vedremo a chi cederanno prima i nervi. Offrì il tè al sacerdote, che rifiutò con una scrollata di capo così rapida e breve da sembrare un brivido.

Joaz fece un gesto, per indicare che per lui era lo stesso.

— Se desideri cibi o bevande — disse — ti prego di farlo sapere. Godo tanto della tua conversazione che forse la prolungherò fino al limite della tua pazienza. Senza dubbio preferisci sedere?

— No.

— Come desideri. Bene, dunque, riprendiamo la nostra discussione. La caverna cui hai accennato è abitata da sacerdoti?

— Non capisco la tua domanda.

— I sacerdoti usano la caverna?

— Sì.

Alla fine, frammento per frammento, Joaz riuscì a farsi dire che la caverna era in comunicazione con una serie di camere, nelle quali i sacerdoti fondevano i metalli, bollivano il vetro, mangiavano, dormivano, seguivano i loro rituali. Un tempo c’era stata un’apertura sulla Valle dei Banbeck, ma già anticamente era stata bloccata. Perché? C’erano guerre in tutto l’ammasso: bande di uomini sconfitti si rifugiavano su Aerlith, insediandosi nei burroni e nelle valli. I sacerdoti preferivano un’esistenza isolata e perciò avevano chiuso le loro caverne. Dov’era quell’apertura? Il sacerdote rispose in modo vago. All’estremità settentrionale della valle. Dietro il Labirinto dei Banbeck? Forse. Ma il commercio tra uomini e sacerdoti si svolgeva all’ingresso di una grotta, ai piedi del Monte Gethron. Perché? Questione d’abitudine, dichiarò il sacerdote. Inoltre, quella località era più facilmente accessibile dalla Valle Beata e dal Canalone di Fosforo. Quanti sacerdoti vivevano in quelle caverne? Incertezza. Alcuni potevano essere morti, nel frattempo, e potevano esserne nati altri. Quanti erano approssimativamente, quella mattina? Circa cinquecento.

A questo punto, il sacerdote stava barcollando, e Joaz era rauco. — Ritorniamo al tuo motivo, o agli elementi del motivo che ti ha spinto a venire nel mio studio. Sono in qualche modo collegati alla stella Coralyne, e forse a una nuova venuta dei Basici, o greph, com’erano chiamati un tempo?

Ancora una volta il sacerdote parve esitare. Poi: — Sì.

— I sacerdoti ci aiuteranno contro i Basici, se dovessero ritornare?

— No. — La risposta fu laconica e netta.

— Ma immagino che i sacerdoti desiderino che i Basici vengano scacciati.

Nessuna risposta.

Joaz riformulò la domanda. — I sacerdoti desiderano che i Basici vengano scacciati da Aerlith?

— Il Razionale ci ordina di tenerci lontani dagli affari degli umani e dei non umani.

Joaz aggricciò le labbra. — Supponiamo che i Basici invadessero la vostra caverna e vi trascinassero tutti sul pianeta di Coralyne. Che fareste?

Il sacerdote sembrava quasi sul punto di mettersi a ridere. — È una domanda cui non si può rispondere.

— Opporreste resistenza ai Basici, se facessero questo tentativo?

— Non posso rispondere alla tua domanda.

Joaz rise. — Ma la risposta non è “no”?

Il sacerdote assentì.

— Allora avete armi?

I miti occhi azzurri del sacerdote si abbassarono. Segretezza? Stanchezza? Joaz ripeté la domanda.

— Sì — disse il sacerdote. Gli si piegarono le ginocchia, ma le raddrizzò di scatto.

— Che specie di armi?

— Innumerevoli varietà. Proiettili, come le pietre. Armi penetranti, come i fuscelli spezzati. Armi da taglio, come gli utensili da cucina. — La sua voce cominciò ad affievolirsi, come se egli si stesse pian piano allontanando. — Veleni: arsenico, zolfo, triventidum, acido, spore nere. Armi incendiarie, come le torce e le lenti per concentrare i raggi del sole. Armi per soffocare: corde, nodi scorsoi, funi e cappi. Cisterne, per annegare i nemici…

— Siediti. Riposa — lo esortò Joaz. — Il tuo inventario m’interessa, ma gli effetti totali mi sembrano inadeguati. Avete altre armi che potrebbero respingere in modo decisivo i Basici, se dovessero assalirvi?

Per caso o di proposito, la domanda non ebbe risposta. Il sacerdote cadde lentamente in ginocchio, come per pregare. Crollò bocconi, poi si rovesciò sul fianco. Joaz balzò verso di lui, afferrò per i capelli la testa ciondolante, la sollevò. Gli occhi semiaperti mostravano la sclerotica bianca. — Parla! — gracchiò Joaz. — Rispondi alla mia ultima domanda! Avete armi… o un’arma, per respingere un attacco dei Basici?

Le labbra pallide si mossero appena. — Non so.

Joaz aggrottò la fronte, scrutò il volto cereo, e si ritrasse sbigottito. — Quest’uomo è morto — bisbigliò.

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