CAPITOLO XIII

Così tornammo al campo ed il mio Signore gridò «Alle armi!», come se quella battaglia fosse stata il suo massimo desiderio. Con grande clangore di ferraglia, i nostri uomini raggiunsero i posti di combattimento.

Permettetemi ora di descrivere con maggior completezza la nostra posizione. Ganturath, che era una base di secondaria importanza, non era stata costruita per resistere ai combattimenti più accaniti. La parte più piccola che occupavamo noi consisteva di diversi bassi edifici in muratura disposti a cerchio. All’esterno del cerchio c’erano le postazioni corazzate delle bombarde del fuoco, ma queste, che avevano lo scopo solo di sparare in cielo contro le macchine volanti, ci erano inutili. Il sottosuolo era una vera e propria garenna di stanze e corridoi, e qui vi mettemmo bambini, vecchi, prigionieri e bestiame sotto la custodia di qualche servo armato. Altri anziani non adatti al combattimento, ma ancora sufficientemente in gamba, aspettavano presso il centro degli edifici, pronti a trasportare i feriti, servire la birra ed aiutare in qualsiasi altro modo la truppa combattente.

La truppa era schierata in una lunga linea sul lato di fronte al campo wersgoriano, appena al di qua del bastione di terra eretto durante la notte. I soldati armati di piccole alabarde ed asce erano rafforzati a intervalli da gruppi di arcieri. La cavalleria era pronta ad intervenire sulle due ali e, dietro di essa, c’erano le donne più giovani e gli uomini privi di qualsiasi abilità bellica con le pochissime armi a palla a nostra disposizione. Purtroppo le armi a raggio erano rese inutili dallo schermo di energia.

Attorno a noi brillava il pallido bagliore dello schermo. Dietro di noi sorgeva l’antica foresta e, davanti, l’erba bluastra sorgeva rigogliosa nella valle dove gemevano degli alberi isolati e le nubi si spostavano lentamente sopra le colline lontane. Tutto quel paesaggio aveva l’aspetto incantato e meraviglioso di un paese fatato. Mentre preparavo le bende con i non combattenti di superficie, mi chiesi come mai dovesse regnare l’odio e la morte in un regno così dolce.

Dal campo wersgoriano si levarono in cielo rombando alcune navi volanti che scomparvero subito alla vista. I nostri cannonieri riuscirono ad abbatterne qualcuna prima che si fossero tutte quante allontanate. Un buon numero però rimase al suolo di riserva. Tra di esse c’erano anche delle grosse navi da trasporto. Al momento, però, tutta la mia attenzione era fissa a terra.

I Wersgorix dilagarono verso di noi armati di armi a palla dalle lunghe canne, in squadre ben ordinate. Non avanzarono però a ranghi serrati, bensì sparpagliati il più possibile.

Alcuni dei nostri, vedendo questo, lanciarono un evviva, ma io immaginai che dovesse essere la loro normale tattica di combattimento a terra. Infatti, quando si dispone di armi a fuoco rapido, non si attacca in masse compatte. Si cerca invece di mettere fuori uso le armi nemiche con qualche altro macchinario.

Questi infatti erano presenti, senza dubbio trasportati qui dal bastione centrale di Darova. Di questi carri da guerra privi di cavalli ce n’erano di due tipi. Il tipo più numeroso era leggero e scoperto, fatto di sottile acciaio e conteneva quattro soldati ed un paio di armi a fuoco rapido.

Erano carri rapidissimi e agili, simili a scarafaggi d’acqua su quattro ruote. Quando li vidi correre ululando, sobbalzando a cento miglia all’ora sulle asperità del terreno, capii a cosa servivano: erano infatti così difficili da colpire che la maggior parte di essi avrebbe fatto in tempo a piombare addosso alle bombarde del nemico.

Questi piccoli carri, tuttavia, rimasero indietro per dare copertura alla fanteria wersgoriana. La prima linea vera e propria d’attacco era composta dai veicoli corazzati pesanti. Questi si muovevano lentamente per essere dei veicoli a motore: non andavano infatti più veloci di un cavallo al galoppo, anche per via delle loro dimensioni (erano grandi quanto la casa di un bifolco) e per lo stesso rivestimento d’acciaio che poteva resistere a qualsiasi arma, fatta eccezione per un colpo diretto di una granata. Con le bombarde che spuntavano dalle torrette e il ruggito e la polvere che provocavano sembravano proprio dei draghi.

Ne contai più di venti: massicci, inattaccabili. Venivano avanti sferragliando su cingoli, schierati in una lunga linea. Dove passavano loro, erba e terra venivano schiacciate formando dei solchi profondi.

Qualcuno mi disse che uno dei nostri cannonieri che aveva imparato ad usare il cannone su ruote che lanciava granate esplosive, abbandonò il proprio posto per andare a prendere quell’armata.

Sir Roger stesso, armato ora da capo a piedi, gli andò incontro al galoppo e lo mandò a gambe levate con la lancia.

«Fermo lì!», abbaiò il Barone. «Dove corri, marrano?»

«A sparare, Milord», ansimò il soldato. «Spariamogli contro prima che superino il muro e…»

«Se non avessi avuto la convinzione che i nostri buoni archi di tasso possono prevalere contro quei lumaconi giganti, ti avrei ordinato io stesso di innescare quel tubo di ferro,» disse il mio signore «ma, viste come stanno le cose, torna a raccogliere la tua picca.»

Questo ebbe un effeto salutare sugli uomini armati di lancia che stavano con le armi appoggiate a terra pronti a ricevere quella carica micidiale. Sir Roger non vide motivo di spiegare loro che (giudicando da quanto era successo a Stularax) non osava impiegare gli esplosivi a distanza così ravvicinata per paura di distruggere nel contempo anche le nostre forze. Naturalmente avrebbe dovuto rendersi conto che i Wersgorix dovevano disporre di molti tipi di bombe di diversa potenza, ma come si poteva pensare a tutto contemporaneamente?

Fosse come fosse, i conducenti di quelle fortezze mobili dovevano essere rimasti parecchio perplessi vedendo che non gli sparavamo addosso, e si chiesero che cosa avessimo in serbo. Lo scoprirono quando il primo carro finì proprio dentro una delle buche che avevamo scavato e ricoperto.

Altri due caddero in trappola nello stesso modo prima che si rendessero conto che quelli non erano ostacoli naturali. Certo i buoni Santi dovevano esserci venuti in soccorso. Nella nostra ignoranza noi avevamo scavato buche ben ampie e profonde che di per se stesse non sarebbero state sufficienti a impedire a quelle macchine di riuscirne, ma poi vi avevamo aggiunti grossi pali di legno, più per abitudine che altro, come se ci aspettassimo di impalare dei cavalli giganteschi. Ora alcuni di questi pali si impigliarono nei cingoli che avvolgevano le ruote e, in un baleno, quelle si bloccarono con la polpa del legno triturato.

Le buche però non erano disposte con regolarità, ed un altro carro riuscì a sfuggire all’insidia e si avvicinò al bastione, scaricando dal cannone un fuoco accelerato che, una volta corretto il tiro, scavò tanti piccoli crateri nel nostro bastione di terra.

«Dio arriderà ai giusti!», ruggì Sir Brian Fitz-William.

Il suo cavallo si lanciò fuori dalle nostre linee, seguito dappresso da una mezza dozzina dei cavalieri a lui più vicini, e tutti quanti si lanciarono al galoppo, disposti in semicerchio, appena oltre la portata del cannoncino.

Il veicolo si mise goffamente al loro inseguimento, cercando di aggiustare il tiro del cannoncino di piccolo calibro. Sir Brian riuscì a farlo puntare nella direzione da lui voluta, poi soffiò nel corno da guerra e tornò indietro galoppando al sicuro mentre il carro piombava in una buca.

Le tartarughe da guerra si ritrassero. Con quell’erba, alta ed il nostro astuto camuffamento, non avevano modo di sapere dove erano state disposte le altre trappole. E quelle erano le uniche macchine di quel genere presenti su Tharixan, per cui non si poteva metterle in pericolo così alla leggera. Noi Inglesi avevamo tremato, per tema che continuassero. Sarebbe bastato infatti che ne passasse una sola per annientarci tutti.

Sebbene Huruga sapesse ben poco su di noi, sulle nostre forze e sui nostri possibili rinforzi spaziali, io penso che avrebbe fatto meglio ad ordinare ai carri corazzati di proseguire. In realtà la tattica wersgoriana fu deplorevole sotto tutti gli aspetti, ma non dimentichiamoci che da lungo tempo i Wersgorix non avevano più combattuto seriamente battaglie terrestri. La loro conquista di pianeti arretrati si era risolta come una battuta di caccia, e le loro scaramucce con le altre nazioni stellari rivali erano state soprattutto combattute in aria.

Così Huruga, scoraggiato dalle nostre fosse, ma rincuorato dal fatto che non avevamo impiegato le granate di piccola potenza, ritirò i grandi carri. Invece ci mandò contro la fanteria ed i veicoli più leggeri. Evidentemente la sua idea era quella di trovare un sentiero tra le trappole che avevamo disposto, e di segnarlo in modo che lo potessero percorrere le macchine giganti.

I musi azzurri attaccarono di corsa, appena visibili nell’erba alta, divisi in piccole squadre. Io stesso, che mi trovavo piuttosto indietro, vidi solo di tanto in tanto lampeggiare qualche elmo ed i pali che piantavano qua e là per segnalare un passaggio sicuro ai veicoli pesanti. Tuttavia sapevamo che dovevano essere molte migliaia di soldati. Il cuore mi batteva in petto all’impazzata e la mia bocca agognava con un bicchiere di birra.

Davanti ai soldati procedevano veloci le macchine leggere. Alcune di esse finirono nelle buche e, alla velocità cui andavano, si schiantarono orribilmente. Ma la maggior parte filarono avanti in linea retta… per finire sui pali che avevamo piantato nell’erba accanto al bastione in previsione di una carica di cavalleria.

Alla velocità cui procedevano, i carri erano vulnerabili quanto i cavalli davanti a quella difesa. Ne vidi uno sollevarsi in aria, rovesciarsi e schiantarsi a terra, rimbalzando un paio di volte prima di spaccarsi in due. Un altro finì impalato, sputò fuori del liquido combustibile e si incendiò. Un terzo sterzò bruscamente, slittò e andò a schiantarsi contro un quarto carro.

Molti altri, sfuggiti ai pali, andarono a finire sopra i chiodi a trepunte che avevamo sparpagliati in giro. Gli spuntoni di ferro entrarono negli anelli morbidi che circondavano le ruote e non fu più possibile estrarli. A quel punto un carro così ferito non poteva far altro che allontanarsi dalla battaglia zoppicando lentamente.

Il telecomunicatore doveva aver trasmesso ordini nell’aspra lingua wersgoriana perché la maggioranza dei carri scoperti, ancora illesi, cessarono di manovrare e si disposero in formazione sparsa ma ordinata, avanzando al passo.

Snap! fecero le nostre catapulte. Crash! fecero le balestre. Una grandine di frecce, sassi e pentole di olio bollente, si abbatté addosso ai veicoli che avanzavano. Non molti furono quelli messi fuori uso, ma la linea nemica ondeggiò e rallentò.

Poi la nostra cavalleria andò alla carica.

Qualcuno dei cavalieri morì, travolto da una tempesta di piombo, ma gli altri non dovettero galoppare a lungo per raggiungere il nemico. Poi i fuochi appiccati all’erba dai nostri pentoloni di olio bollente sollevarono un fumo denso che confuse la vista dei Wersgorix.

Quando le lance si spezzarono contro i fianchi metallici dei carri, sentii un clangore ed un gran botto, poi non ebbi più la possibilità di osservare la lotta. So solo che i lanceri non riuscirono a sbaragliare neanche un carro con le loro lance, ma i conducenti rimasero così sbalorditi che spesso non riuscirono neppure a difendersi da quel che ne seguì. I cavalli si impennarono e abbassarono violentemente gli zoccoli schiantando le sottili lamiere d’acciaio, poi un rapido lavoro di ascia, mazza o spada, svuotò un veicolo dei suoi occupanti.

Alcuni degli uomini di Sir Roger usarono le armi da fuoco individuali con grande precisione, lanciando anche piccole granate rotonde che scoppiavano seminando dappertutto frammenti frastagliati, quando venivano lanciate dopo che era stato strappato via un anellino. Anche i Wersgorix naturalmente disponevano di armi del genere, ma erano meno decisi a usarle.

Gli ultimi carri fuggirono via in preda al terrore, incalzati senza tregua dai cavalieri inglesi.

«Tornate indietro!», gridò loro Sir Roger, agitando la nuova lancia che gli aveva appena passato il suo scudiero. «Tornate qui, felloni! Fermatevi e battetevi, pagani senza onore!»

Il mio Signore doveva offrire uno spettacolo meraviglioso nella sua corazza lucente, col piumaggio al vento e lo scudo stemmato, in groppa al suo irrequieto stallone nero. Ma i Wersgorix non erano un popolo di cavalieri: erano gente molto più prudente e riflessiva di noi. E questo gli costò molto caro.

I nostri cavalieri dovettero ritirarsi rapidamente perché i fanti azzurri erano ora molto vicini e sparavano all’impazzata con le loro armi mentre si concentravano in grossi gruppi per prendere d’assalto il nostro bastione. Le armature non erano più una protezione, ma solo un bersaglio luminoso ben visibile. Sir Roger fece suonare la tromba per ordinare ai suoi uomini di seguirlo, ed essi dilagarono per la piana.

I Wersgorix lanciarono un hurrà di sfida e si buttarono all’attacco. Nella ribollente confusione del nostro campo sentii il Capitano degli arcieri lanciare un ordine, quindi uno stormo di grigie piume d’oca si levò verso il cielo come un fruscio di venti poderosi per poi abbattersi orribilmente sui Wersgorix.

Mentre la prima salve di frecce era ancora in volo, già partiva la seconda. Una freccia che abbia tanta forza dietro di sé, è un’arma tremenda che perfora un corpo e ne esce dall’altra parte con la testa tagliente tutta sanguinolenta. Adesso anche le balestre, più lente ma ancora più potenti, cominciarono a falciare gli attaccanti più vicini. Penso che in quei pochi istanti della loro carica, i Wersgorix avessero perso almeno la metà dei loro effettivi.

Tuttavia, ostinati quasi quanto degli Inglesi, continuarono la corsa fino al bastione. E qui c’erano ad attenderli i nostri fanti. Le donne continuavano a sparare a ripetizione, abbattendo una buona fetta di nemici. Quelli che erano arrivati troppo vicini per poter usare i fucili, si trovarono di fronte asce, lance, falcetti, mazze chiodate, pugnali e spade.

Nonostante le terribili perdite, i Wersgorix erano ancora due o tre volte più numerosi di noi. Ma la lotta era davvero impari per loro, privi com’erano di armatura. La loro unica arma in quel corpo a corpo era un coltello attaccato in cima alla canna del fucile, a mo’ di rozza lancia,… o il fucile stesso usato come clava. Qualcuno aveva anche pistole a palla che ci provocarono delle perdite, ma di regola, quando un muso azzurro sparava contro un inglese, sbagliava il colpo perfino a distanza così ravvicinata in quella confusione. E, prima che potesse far fuoco di nuovo, l’inglese gli aveva già aperto la pancia con un colpo d’alabarda.

Quando arrivò la nostra cavalleria, assalendo la fanteria wersgoriana alle spalle e falciandola senza pietà, fu la fine. Il nemico ruppe i ranghi e si volse in fuga senza badare se per farlo calpestava i propri camerati, tanto era l’orrore che li accecava. I cavalieri li inseguirono lanciando trionfanti richiami di caccia. E, quando il nemico fu sufficientemente lontano, i nostri grandi archi scaricarono una nuova salve di frecce.

Tuttavia, molti di coloro che sarebbero stati trafitti dalle lance riuscirono a fuggire, perché Sir Roger vide i pesanti carri che ritornavano goffamente in azione assetati di vendetta e si ritirò coi suoi uomini. Per grazia di Dio, io ero così impegnato coi feriti che mi venivano portati, che non seppi nulla di quel momento in cui i nostri capi pensarono che comunque eravamo stati sconfitti.

Perché l’attacco dei Wersgorix non era stato privo di conseguenze, infatti era servito a mostrare ai carri tartaruga come evitare le fosse che avevamo scavato. E adesso, quei giganti di ferro tornavano ad attraversare quel campo ormai trasformato in una fanghiglia rossastra e sapevamo bene che nulla avrebbe potuto fermarli.

Le spalle di Thomas Bullard si accasciarono quando vide quella scena dal punto in cui si trovava a cavallo accanto all’insegna baronale.

«Be’,» sospirò, «abbiamo dato tutto quello che potevamo dare. Adesso chi mi seguirà nella carica per mostrare ai musi azzurri come sanno morire gli Inglesi?»

Il viso stanco di Sir Roger assunse un’espressione grave.

«Il nostro compito è ben più difficile, amici», disse. «Noi avevamo ragione di rischiare la vita quando c’era una speranza di vittoria, ma ora che vediamo incombere la sconfitta, non abbiamo il diritto di sprecare le nostre vite. Noi dobbiamo vivere, come schiavi se sarà il caso, affinché le nostre donne ed i nostri bambini non debbano ritrovarsi soli su questo mondo infernale.»

«Per le ossa del Signore!», gridò Sir Brian Fitz-William. «Siete diventato un codardo?»

Le narici del Barone palpitarono.

«Mi avete sentito,», disse, «noi rimaniamo qui.»

E poi… ecco! Fu come se Dio in persona fosse venuto a dare una mano ai suoi poveri sostenitori e peccatori. Più luminoso del fulmine si levò un lampo bianco-azzurrino a diverse miglia all’interno della foresta, e fu così vivido che, coloro che guardavano in quella direzione, rimasero accecati per diverse ore. Non c’è dubbio che molti Wersgorix subirono appunto questa conseguenza, perché il loro esercito rivolgeva il volto proprio in quella direzione.

Il rombo che ne seguì buttò giù i cavalieri di sella e fece perfino cadere a terra gli uomini che stavano in piedi. Un turbine di vento ci investì, caldo come il vento di una fornace, e strappò via le tende come stracci al vento. Poi, quando quella collera distruttrice cessò, vedemmo sollevarsi una nube di polvere e fumo che si levò, simile ad un fungo maligno, fino quasi a toccare il cielo. Passarono vari minuti prima che cominciasse a diradarsi, ma le sue nubi permasero per diverse ore.

I carri di guerra lanciati all’attacco, si arrestarono di colpo; loro, al contrario di noi, sapevano bene che cosa significasse quell’esplosione. Era il simbolo della potenza assoluta, di quella distruzione della materia che ancora oggi considero un blasfemo tentativo di manipolare l’Opera di Dio, sebbene il mio Arcivescovo mi abbia citato i testi delle Sacre Scritture per dimostrarmi che qualsiasi arte è lecita se usata a scopo di bene.

Nel campo delle bombe di quel genere, quella esplosa nella foresta non era una molto potente, in quanto era destinata ad annientare tutto ciò che c’era entro un cerchio di mezzo miglio di diametro e produceva una quantità relativamente scarsa di quei veleni che accompagnavano simili esplosioni. Ed era stata fatta esplodere abbastanza distante dal teatro d’azione, appunto per non far male a nessuno.

La bomba tuttavia mise i Wersgorix di fronte ad un crudele dilemma. Se infatti avessero usato un’arma simile per distruggere il nostro campo, anzi se ci avessero distrutto in qualsiasi modo, avrebbero ora potuto aspettarsi una grandine di morte, perché in questo caso la bombarda nascosta non avrebbe più avuto ragione di risparmiare la zona di Ganturath. Così dovettero sospendere l’attacco contro di noi finché non avessero trovato e ridotto alla ragione quel nuovo nemico.

Le loro macchine da guerra tornarono indietro. La maggior parte delle navi volanti che avevano tenuto di riserva si sollevarono in aria e si sparpagliarono in cielo alla ricerca di chi aveva fatto esplodere quella bomba. Nella loro ricerca furono aiutati da un apparecchio (come sapevamo dai nostri studi) che impiegava le stesse forze che si ritrovano in una calamita.

Grazie a poteri che non capisco e che non ho desiderio di capire dal momento che il sapere non è essenziale per la salvezza, e sa anzi tanto di Magia Nera, questo congegno è in grado di individuare le grandi masse metalliche. Così, se una nave volante si fosse trovata nel raggio di un miglio dal suo nascondiglio, qualsiasi cannone sufficientemente grande da sparare una granata di quella potenza sarebbe dovuto venire irrimediabilmente scoperto.

Quel cannone però non fu trovato. Dopo un’ora di attesa piena di tensione, mentre noi Inglesi osservavamo e pregavamo dall’alto delle nostre mura, Sir Roger esalò un profondo sospiro.

«Non vorrei sembrare ingrato,» osservò, «ma io credo che Dio ci abbia aiutati attraverso Sir Owain e non direttamente. Penso che dovremmo trovare il suo gruppo in quella foresta, anche se le navi volanti del nemico non sembrano in grado di farlo. Padre Simon, voi dovete sapere quali sono i migliori cacciatori di frodo della vostra parrocchia…»

«Oh, figlio mio!», esclamò il cappellano, angustiato.

Sir Roger sorrise.

«Io non vi chiedo di rivelarmi i segreti del confessionale. Vi chiedo solo di organizzarmi una squadra dei più abili, come dire… boscaioli, che siano in grado di entrare non visti in quella foresta. Incaricateli di trovare Sir Owain dovunque si trovi e di ordinargli di trattenere il fuoco finché non lo avvertirò io. Non è necessario che mi diciate a chi affiderete questo incarico, Padre.»

«In questo caso, figlio mio, sarà fatto come ordinate.»

Il sacerdote mi tirò in disparte e mi chiese di dare i conforti spirituali in sua vece, a coloro che erano feriti e terrorizzati mentre lui avrebbe guidato un piccolo drappello di esploratori nella foresta.

Ma il mio Signore mi trovò un altro compito. Infatti incaricammo uno scudiero di raggiungere il campo wersgoriano sotto l’usbergo della bandiera bianca, reputando che il nemico avrebbe avuto abbastanza buonsenso da capire il significato di quel segno, anche nel caso non usasse lo stesso segnale per indicare la tregua.

E così fu. Huruga stesso ci venne incontro su un carro scoperto, dimesso in volto, e con le mani che gli tremavano.

«Vi ho chiamato per invitarvi ad arrendervi», disse il Barone. «Cessate di costringermi a distruggere i vostri poveri servi ignoranti. Vi garantisco che verrete trattati tutti lealmente e che vi sarà concesso di scrivere a casa per procurarvi i soldi del riscatto.»

«Io, arrendermi ad un barbaro come voi?», gracchiò il Wersgor. «Solo perché possedete un… un maledetto cannone che sfugge ad ogni individuazione… no!»

Fece una pausa.

«Ma, pur di sbarazzarmi di voi, vi concederò di allontanarvi a bordo delle astronavi che avete catturato».

«Milord,» ansimai, quando ebbi tradotto quest’ultima frase, «ci siamo veramente gudagnati una possibilità di fuga?»

«Non direi», rispose Sir Roger. «Non dimenticare che non siamo in grado di ritrovare la strada del ritorno e, in questo momento, non possiamo ancora chiedere l’aiuto di un esperto Navigatore, perché rischieremmo di rivelare la nostra debolezza ed i Wersgorix tornerebbero ad attaccarci. E, anche se riuscissimo ad ottenere di tornare a casa, lasceremmo questo nido di Demoni libero di tramare un nuovo assalto contro l’Inghilterra. No, temo proprio che chi cavalca un orso non possa smontare troppo presto.»

Così, col cuore pesante, riferii al nobile muso azzurro che noi eravamo fin lì per ottenere molto di più che non delle vecchie e scassate astronavi e che, se non fi fosse arreso, saremmo stati costretti a devastare la sua terra. Huruga ringhiò qualcosa in risposta e tornò indietro col suo carro.

Tornammo anche noi al campo. Poco dopo uscì dalla foresta Red John Hameward col gruppo di Padre Simon, che aveva incontrato mentre stava cercando di raggiungere il nostro campo.

«Abbiamo raggiunto senza intoppi il castello di Stularax, Milord», ci riferì. «Abbiamo visto delle altre navi volanti, ma nessuna ci ha attaccato, forse perché ci ha scambiato per una di loro. Ma sapevamo lo stesso che le sentinelle della fortezza non ci avrebbero permesso di atterrare senza prima fare domande. Così siamo scesi tra i boschi a qualche miglio dal Castello, abbiamo mutato il trabucco e ci abbiamo inserito una di quelle granate esplosive. L’idea di Sir Owain era di lanciarne qualcuna per indebolire le difese esterne, così da avvinarci poi a piedi, lasciando dietro di noi qualcuno che lanciasse altre grante per abbattere le mura una volta che fossimo stati vicini. Ci aspettavamo che la guarigione sarebbe uscita di corsa alla ricerca della nostra macchina, permettendoci di avvicinarci di soppiatto, uccidere le guardie rimaste, prelevare ciò che si poteva trasportare dal loro arsenale e ritornare alla nostra nave.»

A questo punto, dal momento che ora non viene più usato, farei meglio a spiegare che il trabucco era la più semplice, ma sotto vari aspetti la più efficace macchina da guerra negli assedi. Il principio in base al quale funzionava era semplicemente quello di una grande leva che oscillava liberamente su un fulcro. All’estremità del braccio più lungo si trovava una specie di secchio che doveva contenere il proiettile, mentre il braccio più corto portava un peso di pietra, spesso pesante diverse tonnellate. Quest’ultimo veniva sollevato tramite pulegge od un argano, intanto che veniva caricato il secchio, poi il peso veniva lasciato cadere, ed il contraccolpo faceva fare un ampio arco al braccio lungo.

«Io non avevo molta fiducia in quelle granate che avevamo a disposizione», continuò Red John. «Erano affarini da niente, che non pesavano più di cinque libbre, e non era facile preparare il trabucco perché le lanciasse a una distanza così limitata. E che cosa avrebbero potuto fare del resto, se non scoppiare come degli innocui petardi? Io ho visto come vanno usati i trabucchi nel corso degli assedi in Francia, quando si buttavano oltre le mura pesi di una o due tonnellate e a volte perfino cavalli morti. Ma gli ordini erano ordini. Così sistemai io stesso la piccola granata come mi era ordinato di fare e la facemmo partire. Whoom! Ci sembrò che esplodesse il mondo intero. Devo ammettere che il risultato fu migliore che se avessimo lanciato un cavallo morto.

«Attraverso gli schermi ingranditori vedemmo che il castello era andato totalmente distrutto. Non sarebbe servito più a niente prenderlo d’assalto, così vi scaricammo contro ancora qualche granata tanto per essere sicuri che venisse raso del tutto. Al suo posto non rimase che una enorme voragine vetrificata. Sir Owain giudicò che avevamo preso proprio una delle armi più potenti ed a me sembra che avesse ragione. Così atterrammo nella foresta a qualche miglio di qui, tirammo fuori il trabucco e lo rimontammo. Quando Sir Owain ebbe visto quanto stava succedendo, lanciammo una granata tanto per spaventare un po’ il nemico. Adesso siamo pronti a martellarlo fino a quando voi vorrete.»

«Ma la nave volante?», chiese Sir Roger. «Il nemico dispone di un apparecchio che fiuta il metallo. Ecco perché non ha scoperto il trabucco nella foresta: perché è fatto di legno, ma la nave volante potrebbe scoprirla dovunque la nascondiate.»

«Ah, quella, Milord.»

Red John si permise di sogghignare.

«Sir Owain l’ha sollevata in volo in mezzo alle altre. Chi riuscirà a distinguerla in quello sciame?»

Sir Roger scoppiò in una fragorosa risata.

«Ti sei perso una gloriosa battaglia,» disse al suo capo degli arcieri, «ma potrai accendere la pira funeraria. Torna dai tuoi uomini e ordina loro di cominciare a bombardare il campo nemico.»

Noi ci ritirammo nel sottosuolo nel momento stabilito, segnato con precisione dai misuratori di tempo catturati ai Wersgorix. Anche così, sentimmo però la terra tremare, ed udimmo un poderoso rombo soffocato mentre le installazioni di terra e la magggior parte delle loro macchine venivano distrutte.

Una sola esplosione fu sufficiente. I superstiti della carneficina, accecati dal terrore, presero d’assalto una delle navi da trasporto ed abbandonarono gran parte dell’equipaggiamento ancora assolutamente intatto. Le navi volanti più piccole furono ancora più rapide a svanire, come nubi sul mare spazzate via da una brezza vigorosa.

Mentre il lento tramonto cominciava a bruciare il cielo in quella direzione che noi avevamo nostalgicamente denominato ovest, i leopardi d’Inghilterra volarono sopra alla vittoria inglese.

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