IV

Da LA CREAZIONE DI FRESH START, di Jacob Stone, Ph.D., versione autorizzata, Fresh Start Press, 2001


Sebbene Fresh Start crescesse lentamente e in modo apparentemente casuale via via che il personale e i materiali diventavano disponibili, il suo sviluppo seguì le direttrici fondamentali di un piano concepito meno di un anno dopo l’Esodo. Naturalmente, non avevo la preparazione e l’esperienza necessarie per visualizzare i dettagli del mio sogno, in quella fase iniziale… ma il modello fondamentale era insito nella forma del paesaggio e nella natura del mondo nuovo che Carlson aveva creato per tutti noi.

Cinque anni prima dell’Esodo un uomo che si chiamava Gallipolis aveva acquisito, con sistemi irregolari, il diritto di proprietà di una zona boscosa a nord-ovest di New York City. Era un pezzo di terra di un’ottantina di ettari, dalla forma estremamente bizzarra. Vista dall’alto doveva sembrare un enorme paio di occhiali da sole verdi: due valli soffocate dalla vegetazione, separate fisicamente da una grande estrusione perpendicolare della catena montuosa a est, fin quasi alle pendici occidentali, e la valle sud e quella nord erano unite da uno stretto canale. Il «naso» perpendicolare tra le «lenti» delle valli era un alto dosso roccioso, che digradava ripido da entrambi i lati e formava una divisione naturale perfetta. Il terreno scendeva dolcemente, ai piedi di questa cresta, in entrambe le direzioni, e le strade sterrate lasciate dai boscaioli tracciavano grandi cerchi in tutte e due le valli. Era terra inadatta all’agricoltura, e troppo lontana da tutto per crearvi un quartiere suburbano… era ciò che gli agenti immobiliari chiamavano «un investimento per il futuro».

Gallipolis era un greco pazzo. Nella letteratura i greci pazzi sono invariabilmente olivastri, ignoranti, poveri e ubriachi. Gallipolis era florido, colto, moderatamente ricco e astemio. Guardò le valli, sorrise e decise di mandare al diavolo il futuro. Fece costruire una strada attraverso la foresta nord, in riva al lago, fino a raggiungere un tratto solitario dell’autostrada statale che confluiva nella vicina interstatale. Portò le ruspe lungo quella strada e fece disboscare due ettari interspaziati a ovest della strada dei boscaioli nella valle settentrionale, e tre ettari sulla riva del lago, per se stesso. In quei posti costruì case grandi e comodissime, capolavori di architettura che combinavano un aspetto volutamente rozzo con tutte le comodità moderne immaginabili. Portò l’acqua dalle sorgenti più in alto sui pendii del Naso (così aveva chiamato il dosso centrale). Costruì casette lungo la spiaggia. Intendeva affittare le case ai ricchi, per il weekend o per l’estate, a prezzi esorbitanti, e usare il ricavato per sviluppare altri tre posti simili nelle due valli. Contava di realizzare due o tre dozzine di case per poi ritirarsi dagli affari, ma le uniche due cose che riuscì a fare furono ridursi al verde prima di affittare una casa, e morire.

Un nipote ereditò la terra e un’altissima tassa di successione. Era un mio studente, e sapeva che io cercavo un rifugio per il weekend; venne a parlarmi. Sebbene quel posto fosse assurdamente lontano da New York, un sabato ci andai con lui, guardai la casa più vicina al lago, gli offrii un quarto della somma che chiedeva, e mi accordai su due piedi. Era un posto bellissimo. Mia moglie e io ci affezionammo, e non ci lasciammo mai sfuggire l’occasione di andare a passarci i weekend. Presto arrivarono anche i vicini; ma li vedevamo di rado, se non sul lago, qualche volta. Eravamo tutti andati lì in cerca di solitudine, e il lago era grande… e nessuno di noi era molto socievole.

Fu appunto verso questo rifugio nei boschi che io e la mia famiglia ci dirigemmo nelle terribili ore dell’Esodo, e ci arrivammo solo per grazia di Dio. Nessuno degli altri inquilini ci arrivò, allora o in seguito, e perciò devo pensare che fossero morti. Sarwar Krishnamurti, un chimico della Columbia che qualche volta era stato ospite di Stone Manor per il weekend, si ricordò di quel posto nel momento del bisogno e comparve quasi subito, con la sua famiglia. Pochi giorni dopo fu seguito da George Dalhousie, un mio amico della Facoltà d’Ingegneria, al quale una volta avevo spiegato come si arrivava fin lì.

Demmo loro il benvenuto per quanto era possibile date le circostanze… mia moglie era in stato di shock per la perdita di nostro figlio, e nessuno era in condizioni molto migliori. So che noi tre uomini trovavamo un grande conforto l’uno nella presenza dell’altro, per il fatto di avere altri scienziati con cui parlare del nostro orrore e del nostro sbigottimento, delle nostre ipotesi e delle nostre lugubri estrapolazioni. Serviva a non farci perdere la ragione, a rivolgere il pensiero ai problemi pratici della sopravvivenza; se fossimo stati soli ci saremmo abbandonati, come tanti altri, a un traumatico, stordito disinteresse per la vita.

Invece sopravvivemmo all’inverno, l’inverno che uccise tanta gente, e in primavera avevamo già fatto i nostri piani.

Ogni tanto facevamo sortite fallimentari nel mondo esterno, raccogliendo informazioni dai superstiti vaganti. Tutti i mass media erano finiti; persino la mia radio a banda internazionale taceva. Durante quelle spedizioni avevamo sempre cura di nascondere l’esistenza e l’ubicazione della nostra base, e fingevamo di essere disorganizzati e sbandati come i vagabondi che incontravamo di continuo. Imparammo a conoscere tutti gli agricoltori superstiti dell’area circostante, e stabilimmo rapporti amichevoli lavorando per loro in cambio di viveri. Come tutti, evitavamo le zone urbanizzate, perché a quei tempi i tamponi nasali erano meno efficienti, e i Musky erano onnipresenti e tremendi. Secondo le voci che raccoglievamo, tendevano a radunarsi nelle città grandi e piccole.

Ma quella primavera vincemmo la paura e la ripugnanza, con grande difficoltà, e incominciammo a fare scorrerie nelle cittadine e nei parchi industriali con un carro preso a prestito. Scoprimmo che le dicerie erano esatte: le aree urbane brulicavano di Musky. Ma avevamo bisogno di utensili e di materiale d’ogni genere, tanto da rischiare più volte la vita per procurarceli. Procedevamo lentamente, ma Dalhousie aveva fissato in modo chiaro le precedenze, e ben presto fummo pronti.

Aprimmo la nostra prima fabbrica quella primavera, in un sito disboscato a mano nella valle sud (che battezzammo «Southtown»). Avevamo pensato molto alla scelta del nostro primo prodotto, e scegliemmo bene… anche se per ragioni sbagliate. Prevedevamo che avremmo incontrato difficoltà a convincere gli altri ad acquistare roba da noi mediante baratti, quando avrebbero potuto facilmente procurarsi il necessario nelle aree urbane abbandonate. Per la verità, una delle ragioni principali per cui avevamo fondato Fresh Start era stata la convinzione che i pidocchi su un cadavere non prosperano: non volevamo che i nostri simili sopravvissuti continuassero a dipendere da una scorta finita di utensili, materiale e viveri lavorati. Se noi potevamo sfidare gli attacchi dei Musky, anche altri potevano farlo.

Di conseguenza scegliemmo come primo prodotto qualcosa che altrove non si poteva ottenere, e che era assolutamente indispensabile in quel mondo cambiato: efficienti tamponi nasali. Io li proposi; Krishnamurti li progettò e progettò la primitiva catena di montaggio che incominciò a produrli, e Dalhousie diresse la fabbricazione. Tutti noi, uomini e donne, lavoravamo alla catena di montaggio. Impiegammo diversi mesi per riuscire, e fummo i nostri migliori clienti… la fabbrica puzzava in modo abominevole. E questo era previsto e preventivato: l’intera concezione di Fresh Start si basava sul fatto cruciale che i venti prevalenti soffiavano quasi sempre dal nord. Nelle rare occasioni in cui il vento cambiava direzione, il Naso formava un’ottima barriera naturale.

Quando fummo pronti a offrire in vendita i nostri tamponi, incominciammo a far pubblicità e a reclutare su vasta scala. L’annuncio dei nostri progetti circolava a voce, per mezzo di volantini ciclostilati e di trasmissioni radio a onde corte. L’unica persona che rispose prima dell’inizio dell’inverno fu Helen Phinney, ma il suo arrivo fu provvidenziale, perché ci liberò dalla dipendenza dai puzzolenti generatori a benzina. Helen Phinney era allora, e lo è ancora adesso, l’unico genio di Fresh Start, un’esperta riconosciuta in fatto di quelle che venivano chiamate «fonti alternative d’energia»… le uniche che Carlson ci avesse lasciate. Naturalmente, si inserì nella nostra pianificazione, e divenne buona amica di tutti. In poco tempo i generatori maleodoranti furono sostituiti dall’energia idrica dei ruscelli che scendevano come lacrime copiose dal Naso, e poi dal metano e dall’energia eolica grazie a una serie di mulini a vento tipo «sbattiuova» sorti lungo il Naso. In questi ultimi anni anche i generatori sono rientrati in funzione, soprattutto per usi industriali… ma non bruciano più benzina, e l’unico camion che possediamo non è stato rimesso in servizio. Grazie alla Phinney, i generatori bruciano alcol puro di grano che distilliamo noi stessi dal granturco e dalla segale e che è più efficiente della benzina e dà come residui della combustione soltanto acqua e anidride carbonica. (Prima dell’Esodo l’uomo avrebbe potuto usare lo stesso carburante in quasi tutti i motori a scoppio… ma quando Henry Ford aveva compiuto la sua scelta, l’industria da lui creata aveva avuto naturalmente la tendenza a ripetersi.)

Questo, dunque, era il Consiglio di Fresh Start, radunato dal destino: io, un sognatore, straziato dai rimorsi e in cerca di una penitenza davvero degna, impegnato nel tentativo di salvare qualcosa del mondo che avevo contribuito a rovinare. Krishnamurti, un mago molto pratico in fatto di analisi del necessario e della progettazione, che traduceva le idee in piani precisi. Dalhousie, l’esperto che riduceva ogni progetto alle sue componenti e le realizzava impiegando un minimo di tempo e di sforzo. La Phinney, che forniva l’energia, traendola gratuitamente dai processi naturali dell’universo. Le nostre personalità si armonizzavano non meno delle nostre capacità, e già quella seconda primavera costituivamo un’unità: il Consiglio. Io proponevo qualcosa, Krishnamurti faceva il progetto, Dalhousie lo realizzava, e la Phinney forniva l’energia. Ci integravamo. Insieme ci sentivamo di nuovo utili, anziché superstiti.

Non arrivarono altre reclute durante l’inverno, che come il precedente fu insolitamente crudo per quella parte del mondo (forse a causa dell’improvviso, drastico declino della produzione mondiale di calore), ma in primavera i volontari incominciarono a presentarsi a frotte. Ce n’erano di tutte le specie: tecnici, studenti, meccanici, manovali, muratori, operai, un assortimento di uomini che cercavano un lavoro civilizzato. Una colonia di tende spuntò a Northtown, nelle zone disboscate dove un giorno speravamo di costruire grandi dormitori. I nostri sforzi iniziali, quell’estate, furono votati a procurare acqua, energia e fognature per la nostra comunità in fase di crescita e ad ingrandire la nostra fabbrica di tamponi nasali. Un complesso che era un po’ officina e un po’ ferriera nacque spontaneamente vicino alla fabbrica di Southtown, e incominciammo a barattare i lavori di riparazione in cambio di generi alimentari con gli agricoltori che vivevano a est e a nord-ovest.

Per comune consenso, i viveri, gli utensili e le altre risorse venivano spartiti equamente tra tutti i membri della comunità, con l’unica eccezione delle case costruite da Gallipolis. Quelle case le tenemmo noi del Consiglio, e i nostri seguaci non ce ne hanno mai serbato rancore (due delle case non erano ultimate, al tempo dell’Esodo, e restarono così ancora per qualche anno). A parte questo, tutti gli abitanti di Fresh Start stanno in piedi o cadono, mangiano o saltano i pasti insieme. L’autorità del Consiglio come comitato di governo non è mai stata confermata né contestata seriamente, in tutti gli anni successivi. I cento tecnici che ormai si sono radunati intorno a noi continuano a seguire le nostre istruzioni perché funzionano, perché danno una direzione e un significato alle loro vite, perché rendono di nuovo utili le loro capacità apprese a fatica, perché è redditizio fare ciò che sanno fare, e che credevano di non poter fare mai più.


Durante la seconda estate fummo spesso attaccati dai Musky che invariabilmente (com’è logico) venivano dal nord. Subimmo perdite rilevanti. Per esempio Samuel Pegorski, il giovane laureando in ingegneria idraulica che insieme alla Phinney aveva progettato e perfezionato i nostri sistemi fognari e i nostri impianti igienici, fu ucciso prima di poter sentire scorrere l’acqua della prima toeletta di Northtown.

Ma con l’arrivo di Phillip Collaci, ex marine ed ex capo della polizia d’una cittadina della Pennsylvania, i nostri problemi della sicurezza sparirono. Collaci, un combattente d’efficienza quasi sovrumana, incominciò a reclutare, addestrare e organizzare la Guardia, che includeva abbastanza uomini armati per sorvegliare continuamente il perimetro nord di Fresh Start. All’inizio, le Guardie non facevano altro che dare l’allarme se sentivano l’odore dei Musky arrivare attraverso il lago, e allora tutti si precipitavano nel rifugio più vicino e cercavano di chiudere la mente agli esseri semitelepatici.

Ma Collaci non era soddisfatto. Voleva un’arma offensiva, o almeno una difesa migliore della fuga. Me lo disse molte volte, e alla fine io accantonai gli impegni amministrativi per mettermi al lavoro sul problema da un punto di vista biochimico.

Pensavo che l’estremo calore dovesse funzionare, ma il problema consisteva nell’ideare un sistema. I primi esperimenti con un lanciafiamme recuperato furono insoddisfacenti… il cono di fuoco tendeva a scostare i Musky anziché consumarli. Collaci suggerì di creare una fila di bruciatori ad alcol lungo il perimetro nord, pronti a proteggere Fresh Start con un muro di fiamme: l’idea è stata successivamente messa in pratica, ma a quel tempo non avevamo abbastanza granturco e segala per produrre l’alcol necessario. Finalmente, settimane di ricerca portarono allo sviluppo dei proiettili termici… munizioni che potevano venire sparate con qualunque arma di grosso calibro, dopo la sostituzione della canna: il proiettile si accendeva uscendo dalla canna modificata e generava un calore enorme mentre volava, trapassando tutti i Musky che incontrava e distruggendoli immediatamente. Il miscuglio di magnesio e di perclorato di potassio usato inizialmente ha lasciato posto in seguito a un miscuglio a combustione più lenta, formato da polvere d’alluminio e da permanganato di potassio, che probabilmente resterà in uso fino a quando sarà stato ucciso anche l’ultimo Musky (i piani a lungo termine per l’artiglieria a lunga gittata dovranno attendere finché avremo trovato una fonte abbondante e facilmente sfruttabile di cerio, zirconio o torio, il che è improbabile per il prossimo futuro). La portata effettiva di un proiettile termico è più o meno quella dell’olfatto di un uomo in una giornata senza vento… quanto basta per un combattimento personale. Quello fu il progresso più importante, dopo l’Esodo, non soltanto per l’umanità ma anche per la giovane comunità di Fresh Start.

La causa del nostro unico, grave errore di giudizio era stato il clima dell’opinione sociale in cui ci aspettavamo di trovarci. Ho già detto che temevamo che la gente saccheggiasse le città, anziché acquistare da noi, nonostante i terribili pericoli rappresentati dai Musky che infestavano i cieli urbani.

Ma non andò così.

Quasi tutta la gente preferiva fare a meno di quasi tutto.

Al sicuro nel nostro rifugio, avevamo giudicato erroneamente lo zeitgeist, la mentalità dell’uomo comune. Fu Collaci, appena arrivato tra noi dopo un anno passato a vagare avanti e indietro lungo la desolata costa orientale, a mostrarci il nostro errore. Ci fece capire che Lot era probabilmente più desideroso di tornare a Gomorra di quanto l’umano normale lo fosse di ritornare alle sue città e ai suoi sobborghi. Le città erano state le scene del più grande trauma della nostra razza dopo il Diluvio, i luoghi dove familiari e amici erano morti orribilmente e dove i cieli brulicavano di Musky. L’Esodo e le successive settimane d’orrore erano visti universalmente come il Maglio di Dio che cadeva inesorabile sullo stesso concetto di città, e gli urbanizzati irriducibili che avrebbero eventualmente potuto contestare erano quasi tutti morti. Il movimento del ritorno alla natura, già in pieno slancio quando Carlson aveva lasciato cadere la boccetta, assunse la statura e il fervore di una religione dionisiaca.

Per fortuna, Collaci ci fece capire in tempo che avremmo inevitabilmente condiviso la superstizione e l’odio tributati alle città, e che saremmo stati associati, agli occhi di tutti, al fetido colosso d’acciaio e di vetro che aveva vomitato definitivamente gli uomini. Ci fece capire l’enormità del sospetto e dell’intolleranza che avremmo incontrato… non saremmo stati ignorati per la nostra ridondanza, ma odiati perché ripugnanti.

Su consiglio di Collaci, Krishnamurti si assicurò l’aiuto di alcuni degli agricoltori più solidi nelle regioni confinanti a est, nord-est e nordovest. Negoziò accordi mediante i quali gli agricoltori che ci fornivano i viveri ottenevano accesso preferenziale alle munizioni per uccidere i Musky, alla manutenzione dell’equipaggiamento e un giorno anche all’energia. Io non sarei mai stato capace di far accettare l’idea: anche se ho sempre compreso bene le pubbliche relazioni da un punto di vista teorico, non ho mai avuto molto successo nella diplomazia interpersonale… almeno con i non-tecnici. L’austero Krishnamurti poteva sembrare una scelta ancora più inadeguata… ma la sua praticità convinceva molti agricoltori scettici quando il bel garbo non sarebbe servito a nulla.

I negoziati di Krishnamurti non soltanto ci assicurarono una fornitura continuativa di viveri e di legname lavorato: ebbero il prezioso effetto secondario di procurarci alleati psicologici, non-Techno che erano economicamente ed emotivamente legati a noi.


Il lavoro progredì rapidamente quando i nostri sforzi di reclutamento incominciarono a dar frutti, e nel quinto anno divenne visibile la Fresh Start di oggi, almeno in forma d’abbozzo. Avevamo aperto strade interne per integrare quelle anulari nord e sud lasciate due decenni prima dai boscaioli; erano sorti tre dormitori e un terzo era in fase di costruzione; il nostro «Emporio» era diventato un’azienda commerciale in espansione; una fila di mulini a vento stava sorgendo lungo la cresta centrale del Naso; la fogna-convertitore di metano era quasi completata; erano in fase di preparazione i piani per costruire un ospedale e scavare una galleria attraverso il Naso per collegare Northtown e Southtown; l’«officina», il deposito dove stavano gli utensili e l’equipaggiamento insostituibili, era quasi piena; e Southtown era più maleodorante che mai, con una grossa distilleria di carburante, un laboratorio chimico, una fonderia primitiva, una vetreria, una fabbrica di fiammiferi e tessiture che sorgevano vicine alle fabbriche di proiettili termici e di tamponi nasali.

Nonostante questi segni esteriori di prosperità, la nostra esistenza era precaria: c’erano molti che avrebbero voluto bruciare il nostro centro, almeno tra gli umani superstiti che continuavano ad essere nomadi senza terra. Per combattere queste tendenze pubblicavamo e distribuivamo un giornaletto ciclostilato, Got News, e tenevamo in funzione la stazione radio WFS (l’unica al mondo, allora e adesso). Inoltre, Krishnamurti ed io facevamo interminabili viaggi nei dintorni per migliorare le pubbliche relazioni, allo scopo di spiegare la nostra esistenza e le nostre finalità a gruppi e individui.

Ma c’erano tanti che non avevano terra, non avevano case né famiglia, non avevano altro che un’immensa eredità di risentimento. Erano i precursori di quelli che oggi vengono chiamati il Partito degli Agro. Sopravvivevano dove e come potevano, e socializzavano per un ambiente che non esisteva più; e ci odiavano perché ricordavamo loro il grembo tecnologico che, imperdonabilmente, li aveva espulsi. Ci assalivano, da soli o in gruppi organizzati alla meno peggio, spesso con una furia irrazionale e suicida. Per motivi umanitari e nell’interesse delle pubbliche relazioni, dovevo tenere a freno Collaci, il capo delle Guardie, che personalmente avrebbe voluto uccidere tutti i sabotatori che prendeva… quando era possibile, venivano catturati e rilasciati fuori dai confini della città. Collaci sosteneva che bisognava dare un esempio, ma io ero deciso a dimostrare ai nostri vicini che Fresh Start non ce l’aveva con nessuno, e perciò non gli davo ascolto.

Nel quinto anno, però, fui io a trovarmi scavalcato da lui.

A Collaci e sua moglia Karen (una donna taciturna e solida dai capelli rossi) era stata assegnata una delle case incompiute di Gallipolis, quella più lontana e più isolata dall’area residenziale di Northtown. I volontari l’avevano finita in modo splendido, la primavera precedente. Forse fu un errore di giudizio o l’ignoranza che spinse i sette incursori a passare davanti a casa Collaci mentre si avviavano per far saltare il Deposito. Ma fu indiscutibilmente un errore di giudizio quello che li indusse a sequestrare Karen Collaci quando l’incontrarono nella foresta. Lei soffriva di diabete, e loro non avevano insulina.

Collaci lasciò il suo posto senza autorizzazione, li inseguì, e trovò il corpo della moglie dopo qualche giorno. In una settimana rintracciò i sette guerriglieri. Sebbene si fossero divisi e fossero fuggiti in direzioni diverse, quei sette giorni gli bastarono. Li punì in modo che è meglio non riferire, lasciò ognuno dei sette inchiodato a un albero e al suo ritorno a Fresh Start dormì per tre giorni consecutivi.

L’azione comprensibilmente impulsiva di Collaci, alla luce dellla storia, appare più efficace della mia politica tollerante. Comunque, da allora non siamo più stati attaccati.

Con l’arrivo del dottor Michael Gowan, già professore di psicologia di Stony Brook, che prese l’iniziativa di creare e amministrare un sistema di pubblica istruzione, tutti i semi necessari, secondo me, erano ormai piantati. Escludendo un’eventuale catastrofe, ora l’uomo tecnologico poteva sopravvivere e sarebbe sopravvissuto. Un giorno, forse, avrebbe potuto ricostruire ciò che era stato distrutto.

E poi, un giorno del 1999, ricevetti e «assunsi» un nuovo arrivato, Jordan Washington. Da allora…

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