Il Dito punta
a un Occhio rosso-sangue.
Volino i Weyr
ad ardere i Fili
«Ne dubiti ancora, R’gul?» chiese F’lar, lievemente divertito dall’ostinazione dell’altro.
R’gul, con un’espressione testarda sul volto, non rispose alla provocazione del Comandante del Weyr. Digrignò i denti, come se con quel gesto potesse distruggere l’autorità che F’lar aveva sopra di lui.
«Non vi sono più stati Fili nei cieli di Peto, da più di quattrocento Giri. Non esistono più!»
«Anche questo è possibile,» ammise amabilmente F’lar. Ma nei suoi occhi d’ambra non c’era la minima traccia di tolleranza, nei suoi modi non c’era la minima propensione al compromesso.
Era più simile a suo padre F’lon, pensò R’gul, di quanto ne avesse diritto un figlio. Sempre così sicuro di sé, sempre leggermente sprezzante nei confronti di quello che facevano e pensavano gli altri. Arrogante, ecco cos’era F’lar. E impertinente, ma debole nei confronti della giovane Dama del Weyr. Lui, R’gul, l’aveva addestrata per farne una delle migliori Dame del Weyr che mai fossero esistite. Prima che lui avesse terminato di istruirla, le avrebbe fatto imparare alla lettera le Ballate e le Saghe dell’Insegnamento. Ma poi quella sciocca ragazzina era passata dalla parte di F’lar. Non aveva abbastanza buon senso per apprezzare i meriti di un uomo più anziano e più esperto. E senza dubbio, si sentiva in obbligo verso F’lar, che l’aveva scoperta nel corso della Cerca.
«Comunque,» stava dicendo F’lar, «ammetterai che quando il Sole tocca la Roccia del Dito al suo sorgere, è il solstizio d’inverno?»
«Anche gli sciocchi sanno a cosa serve la Roccia del Dito,» brontolò R’gul.
«E allora, vecchio sciocco, perché non ammetti che la Roccia dell’Occhio è stata collocata sulla Pietra della Stella per inquadrare la Stella Rossa quando sta per iniziare il suo Passaggio?» proruppe K’net.
R’gul arrossì, si mosse per alzarsi, pronto a far pagare a quel giovincello la sua insolenza.
«K’net!» La voce di F’lar crepitò, autoritaria. «Ti piace tanto guidare il volo di pattugliamento su Igen, e ci tieni a continuare per qualche altra settimana?»
K’net si affrettò a sedersi, arrossendo per il rimbrotto e per la minaccia.
«R’gul, tu sai che esistono prove incontrovertibili a sostegno delle mie conclusioni,» proseguì F’lar, con ingannevole dolcezza. «Il Dito punta f a un Occhio rosso-sangue…»
«Non mi citare i versi che io ti ho insegnato quando eri un ragazzino,» esclamò R’gul, accalorandosi.
«E allora abbi fede in ciò che hai insegnato,» ribatté F’lar; le sue pupille d’ambra lampeggiarono pericolosamente.
Stordito da quell’energia inattesa, R’gul si lasciò ricadere sulla sedia.
«Non puoi negare, R’gul,» continuò tranquillo F’lar, «che meno di mezz’ora fa il Sole si è posato sulla punta del Dito, all’alba, e che la Stella Rossa era perfettamente incorniciata dalla Roccia dell’Occhio.»
Gli altri dragonieri, bronzei e marroni, mormorarono e annuirono per confermare il fenomeno. Si avvertiva anche un certo risentimento per l’ostinazione con cui R’gul contestava di continuo la politica seguita dal nuovo Comandante del Weyr. Persino il vecchio S’lel, che un tempo era stato il sostenitore più devoto di R’gul, adesso si era schierato con la maggioranza.
«Non si sono più visti Fili negli ultimi quattrocento Giri. Non esistono più Fili,» mormorò R’gul.
«E allora,» rispose allegramente F’lar, «tutto ciò che hai insegnato è falso. I draghi, come pensano i Signori delle Fortezze, sono parassiti anacronistici dell’economia di Pern. E lo siamo anche noi.
«Perciò, non intendo trattenerti qui, contro i dettami della tua coscienza. Ti autorizzo a lasciare il Weyr ed a recarti a risiedere dove preferisci.»
Qualcuno rise.
R’gul era troppo stordito dall’ultimatum di F’lar per offendersi a quella risata. Lasciare il Weyr? Quell’uomo era pazzo. Dove poteva andare, lui? Il Weyr era stato tutta la sua vita. Vi apparteneva ormai da intere generazioni. Tutti i suoi antenati maschi erano stati dragonieri: non tutti bronzei, certo, ma in buona percentuale sì. E il padre di sua madre era stato Comandante del Weyr, come lo era stato in seguito lui stesso, fino a quando Mnementh, il drago di F’lar, aveva accompagnato la nuova regina nel volo nuziale.
Ma i dragonieri non lasciavano mai il Weyr. Cioè, se ne andavano se erano tanto negligenti da perdere il proprio drago, come quel Lytol della Fortezza di Ruatha. E come avrebbe potuto lasciare il Weyr con un drago?
Cosa voleva da lui F’lar? Non gli bastava essere il Comandante del Weyr al suo posto? Non era abbastanza inorgoglito per aver convinto con un bluff i Signori di Pern a disperdere il loro esercito, quando erano arrivati decisi a sconfiggere il Weyr e i dragonieri? F’lar doveva proprio dominare ogni dragoniere, corpo e volontà? Lo fissò per un lungo attimo, incredulo.
«Io non credo che noi siamo parassiti,» disse F’lar, spezzando il silenzio con una voce sommessa e persuasiva. «E neppure anacronistici. Ci sono stati altri lunghi Intervalli, prima d’ora. Non sempre la Stella Rossa passa abbastanza vicino per lasciar cadere i Fili su Pern. È per questo che i nostri ingegnosi antenati hanno deciso di sistemare la Roccia dell’Occhio e la Roccia del Dito dove li hanno messi… per confermare quando si effettuerà un Passaggio. E c’è un’altra cosa,» proseguì, assumendo un’espressione grave. «Vi sono state altre epoche in cui la razza dei draghi non si è quasi estinta… e Pern non è finita con essa, a causa di scettici come te.» F’lar sorrise e si rilassò con aria indolente sul suo seggio. «Io preferisco non figurare nelle cronache come scettico. Come dovremo considerarti, R’gul?»
Nella Sala del Consiglio l’atmosfera era tesa. R’gul sentì qualcuno respirare a fatica, e si accorse che era lui stesso. Fissò il viso imperturbabile del giovane Comandante del Weyr, e capì che quella non era una minaccia vana. Doveva accettare completamente l’autorità di F’lar, anche se questo lo sconvolgeva: oppure lasciare il Weyr.
E dove poteva andare, a meno di recarsi in uno degli altri Weyr, abbandonati ormai da centinaia di Giri? I pensieri di R’gul turbinavano, frenetici. Non era forse un’indicazione sufficiente a dimostrare che i Fili non esistevano più, il fatto che vi fossero cinque Weyr deserti? No, per l’Uovo di Faranth, avrebbe usato anche lui gli stessi sistemi ingannevoli di F’lar, per acquistare tempo. Quando tutto Pern si fosse ribellato a quello sciocco prepotente, lui, R’gul, sarebbe stato lì per salvare il salvabile dalla rovina.
«Un dragoniere deve restare nel suo Weyr,» disse allora, con tutta la dignità che riusciva a mostrare.
«E accetta le decisioni del Comandante del Weyr in carica?» Il tono di F’lar era tale che quella frase suonava più come un ordine che come una domanda.
Per non impegnarsi troppo di fronte a se stesso, R’gul rispose con un secco cenno del capo. F’lar continuò a fissarlo, e R’gul si chiese se quell’uomo riusciva a leggere nei suoi pensieri, come poteva fare il suo drago. Riuscì a ricambiare l’occhiata con calma. Sarebbe venuto il suo turno. Avrebbe atteso.
Accettando apparentemente la capitolazione, F’lar si alzò e assegnò i compiti di pattugliamento per quella giornata.
«T’bor, tu andrai a controllare il clima. E giacché ci sei, tieni d’occhio anche i convogli delle dècime. Hai già ricevuto il rapporto di questa mattina?»
«All’alba il tempo è sereno… su tutta Telgar e Keroon… caso mai un po’ troppo freddo,» rispose T’bor con un sogghigno sarcastico. «I convogli delle dècime, comunque, hanno viaggiato in fretta sulle strade asciutte, quindi dovrebbero arrivare presto.» I suoi occhi scintillarono di gioia al pensiero del banchetto che avrebbe seguito l’arrivo delle vettovaglie: e tutti erano del suo parere, a giudicare dalle espressioni degli altri seduti attorno alla tavola.
F’lar annuì.
«S’lan e D’nol, voi dovete proseguire una Cerca accurata e trovare ragazzi adatti. Meglio se sono bambini, nel caso sia possibile, ma non trascurate nessuno che possa essere dotato delle qualità necessarie. È molto bello e giusto presentare, per lo Schema di Apprendimento, ragazzi allevati nella tradizione del Weyr.» F’lar ebbe un sorriso un po’ amaro. «Ma non ce ne sono abbastanza, nelle Caverne Inferiori. Anche noi ci siamo moltiplicati in misura insufficiente. Comunque, i draghi raggiungono la piena maturità molto più rapidamente dei loro cavalieri. Dovremo avere più giovani uomini per lo Schema di Apprendimento, quando si schiuderanno le uova di Ramoth. Recatevi nelle Fortezze meridionali, Ista, Nerat, Fort e Boll del Sud, dove si raggiunge prima la maturità. Potrete fingere di volere ispezionare le Fortezze per controllare che la vegetazione sia stata eliminata, e con questa scusa parlate ai ragazzi. Portate con voi pietre focaie, e passate qualche energica fiammata sulle alture che non sono state ripulite da chissà quanto. Un drago che lancia fiamme fa colpo sui giovani e desta invidia.»
F’lar guardò volutamente R’gul, per vedere in che modo l’ex Comandante del Weyr reagiva a quell’ordine. Si era sempre opposto ad ogni proposta di andare a cercare altri candidati fuori dal Weyr. In primo luogo, R’gul aveva osservato che c’erano diciotto ragazzi nelle Caverne Inferiori, alcuni giovanissimi, certo; ma non era disposto ad ammettere che Ramoth avrebbe deposto più uova della dozzina che sempre aveva deposto Nemorth. In secondo luogo, R’gul aveva sempre sostenuto la necessità di evitare azioni che potessero suscitare l’ostilità dei Signori.
Questa volta, R’gul non protestò, e F’lar proseguì.
«K’net, tu torna alle miniere. Voglio che controlli la disposizione di tutti i giacimenti di pietre focaie e le quantità disponibili. R’gul, continua a fare esercitare i giovani per quanto riguarda i punti di riferimento. Devono essere assolutamente sicuri. Se verranno utilizzati per portare messaggi o rifornimenti, può darsi che debbano muoversi in fretta, senza il tempo per fare domande.
«F’nor, T’sum.» F’lar si rivolse ai vicecomandanti del suo squadrone. «Voi oggi siete di servizio per le pulizie.» E si concesse un sogghigno, notando la loro delusione. «Provate al Weyr di Ista. Ripulite la Caverna della Schiusa e alloggi quanti ne bastano per un doppio squadrone. E, F’nor, non dimenticare neppure una Cronaca. Vale la pena di conservarle tutte.
«Non c’è altro, dragonieri. Buon volo.» Detto questo, F’lar si alzò e lasciò la Sala del Consiglio, dirigendosi verso la grotta della regina.
Ramoth dormiva ancora; la pelle lucida indicava un’ottima salute; il colorito che si faceva più cupo, quasi simile al bronzo, indicava lo stato di gravidanza. Quando l’uomo le passò accanto, agitò lievemente la punta della lunga coda.
In quei giorni tutti i draghi erano irrequieti, pensò F’lar. Eppure, quando lo chiedeva a Mnementh, il drago bronzeo non sapeva spiegargliene la ragione. Si svegliava, poi si riaddormentava: e questo era tutto. F’lar non poteva formulare una domanda troppo esplicita, perché in questo modo avrebbe rovinato tutto. Doveva limitarsi a constatare quel fatto inesplicabile: l’inquietudine dei draghi era una sorta di reazione istintiva.
Lessa non era in camera da letto, e non era neppure nel bagno. F’lar sbuffò. A furia di lavarsi, quella ragazza avrebbe finito per togliersi la pelle di dosso. Aveva dovuto vivere sudicia per proteggersi, nella Fortezza di Ruatha, questo era vero; ma che bisogno aveva di fare il bagno due volte al giorno? Cominciava a chiedersi se per caso non si trattava di un sottile insulto diretto a lui personalmente, come era nello stile di Lessa. Sospirò. Quella ragazza! Non sarebbe mai venuta spontaneamente a lui? Sarebbe mai riuscito a sfiorare quella sua personalità sfuggente? Lessa dimostrava maggiore affetto per F’nor, il suo fratellastro, e per K’net, il più giovane dei cavalieri bronzei, di quanto ne dimostrasse per F’lar, che pure divideva il suo letto.
Riabbassò il tendaggio, irritato. Dove era andata a cacciarsi proprio quel giorno quando, per la prima volta dopo parecchie settimane, lui era riuscito a mandare tutti gli squadroni lontano dal Weyr, per poterle insegnare a volare in mezzo?
Fra poco, Ramoth sarebbe stata troppo appesantita dalle uova per un’attività del genere. Lui aveva fatto una promessa alla Dama del Weyr, e aveva intenzione di mantenerla. Lei aveva preso l’abitudine di indossare la tenuta di volo in pelle di wher per ricordargli continuamente l’impegno. Da certe osservazioni che Lessa aveva lasciato cadere, F’lar aveva capito che non avrebbe continuato ad aspettare il suo aiuto ancora per molto tempo. E non gli piaceva affatto l’idea che tentasse da sola.
Attraversò di nuovo la grotta della regina e sbirciò nella galleria che conduceva alla Sala delle Cronache. La trovava spesso là, a studiare le pergamene ammuffite. Anche quello era un problema che meritava un’attenta considerazione. Le Cronache si stavano deteriorando e diventavano illeggibili. Era strano: quelle più antiche erano ancora in buone condizioni. Un’altra tecnica dimenticata!
Quella ragazza! Si spinse indietro dalla fronte la folta ciocca di capelli, in un gesto che gli era abituale quando era irritato o preoccupato. La galleria era buia, e questo significava che lei non poteva essere laggiù in fondo, nella Sala delle Cronache.
«Mnementh.» Chiamò silenziosamente il drago bronzeo, che prendeva il sole sul cornicione, davanti all’ingresso dell’alloggio della regina. «Cosa sta facendo quella ragazza?»
Lessa, rispose il drago, sottolineando il nome della Dama del Weyr con insistente cerimoniosità, sta parlando con Manora. È vestita per il volo, aggiunse dopo una breve pausa.
F’lar ringraziò sarcasticamente il bronzeo e si avviò per la galleria che portava all’ingresso. Quando svoltò l’ultima curva, per poco non scaraventò Lessa a terra.
Non mi avevi chiesto dove era, rispose lagnosamente Mnementh al rimbrotto stizzito del suo cavaliere.
Lessa barcollò per l’urto. Lo guardò indignata, stringendo le labbra per l’irritazione e lanciando fiamme dagli occhi.
«Perché non mi è stata data la possibilità di vedere la Stella Rossa attraverso la Roccia dell’Occhio?» domandò con voce dura e collerica.
F’lar si tirò i capelli. Il malumore di Lessa veniva a completare la lista dei suoi fastidi, quella mattina.
«Eravamo già in troppi, sul Picco,» mormorò, deciso a non permetterle di farlo infuriare, quel giorno. «E tu credi già.»
«Mi sarebbe piaciuto vederlo,» scattò lei, e gli passò davanti, avviandosi verso l’interno. «Se non altro, nella mia qualità di Dama del Weyr e di Cronista.»
F’lar le afferrò un braccio e sentì il corpo di lei tendersi. Strinse i denti, augurandosi, come aveva fatto cento volte dopo che Ramoth si era levata nel primo volo nuziale, che Lessa non fosse stata vergine anche lei. Non aveva pensato di dominare le proprie emozioni, suscitate da quelle dei draghi; quindi la prima esperienza sessuale di Lessa era stata violenta. Lui era rimasto sorpreso quando aveva scoperto di essere stato il primo, perché lei aveva trascorso gli anni dell’adolescenza a servire Connestabili e soldatacci libertini. Evidentemente, nessuno si era mai preso il disturbo di indagare cosa vi fosse sotto gli stracci e il sudiciume che Lessa usava per proteggersi. Dopo quella prima volta, F’lar era stato un compagno di letto delicato e gentile: ma, a meno che ci fossero di mezzo Ramoth e Mnementh, tanto valeva che lo definisse uno stupro.
Eppure sapeva che un giorno, in un modo o nell’altro, sarebbe riuscito a indurla a rispondere completamente al suo amore. Era piuttosto fiero della sua abilità, ed. era in grado di perseverare.
Trasse un profondo respiro e, lentamente, lasciò andare il braccio di Lessa.
«È una vera fortuna che tu indossi la tenuta di volo. Non appena gli squadroni si saranno allontanati e Ramoth si sveglierà, ti insegnerò a volare in mezzo.»
Lo scintillio degli occhi di lei era visibile anche in quella galleria fiocamente illuminata. La sentì respirare più forte.
«Non possiamo rimandare ancora; fra poco Ramoth non sarà più in condizioni di volare,» continuò allora, amabilmente.
«Parli sul serio?» La voce di Lessa era bassa e ansimante, priva del solito tono acido. «Ci insegnerai proprio oggi?» A F’lar dispiacque di non poter vedere bene il suo volto.
Un paio di volte aveva sorpreso una sua espressione tenera e affettuosa, incontrollata. Avrebbe dato molto per vedere quello sguardo posarsi su di lui. Tuttavia, si disse, guardingo, poteva rallegrarsi che quell’espressione affascinante venisse diserbata esclusivamente a Ramoth e non a un altro essere umano.
«Sì, mia cara Dama del Weyr, parlo sul serio. Oggi ti insegnerò a volare in mezzo Se non altro,» e le rivolse un inchino esagerato, «per impedirti di provartici da sola.»
La risata sommessa di lei gli fece capire che la punzecchiatura aveva colpito nel segno.
«Adesso, però,» le disse, accennandole di precederlo, «mangerei volentieri qualcosa. Ci siamo alzati prima che si cominciasse a lavorare in cucina.»
Erano entrati nell’alloggio ben illuminato, e quindi non gli sfuggì l’occhiata tagliente che Lessa si voltò a lanciargli. Non l’avrebbe perdonato facilmente per averla esclusa dal gruppo che si era recato alla Pietra della Stella, quel mattino: e certo non le bastava, come contentino, l’idea di volare in mezzo.
La sala era ben diversa, ora che la Dama del Weyr era Lessa, pensò F’lar, mentre la giovane donna si affacciava nel pozzo di servizio per ordinare il cibo. Durante l’inefficiente gestione di Jora, l’alloggio era sempre stato ingombro di rifiuti, abiti non lavati, piatti sporchi Lo stato del Weyr e il numero ridotto dei draghi erano dovuti alla responsabilità di Jora, non meno che a quella di R’gul, perché la donna aveva incoraggiato indirettamente il disordine, la negligenza e l’ingordigia.
Se lui avesse avuto qualche anno di più, quando era morto Flon, suo padre… Jora era disgustosa, ma quando i draghi si levavano nel volo nuziale, l’aspetto del compagno contava pochissimo.
Lessa prese dal montacarichi un vassoio di pane e formaggio e i boccali di klab, lo servì.
«Non hai mangiato neppure tu?» le chiese F’lar.
Lessa scosse il capo vigorosamente. La treccia in cui aveva preso l’abitudine di acconciare i suoi folti, bellissimi capelli scuri le sussultò sulle spalle. Era un’acconciatura troppo severa per quel volto sottile: ma anche se tale era l’intenzione, non bastava a nascondere la sua femminilità e la curiosa bellezza dei lineamenti delicati. F’lar si stupì per l’ennesima volta che quel corpo esile contenesse un’intelligenza tanto acuta, una così abile… astuzia: sì, quella era la parola adatta, astuzia. F’lar non aveva commesso l’errore, così frequente negli altri, di sottovalutare Lessa.
«Manora mi aveva chiamata ad assistere alla nascita del bambino di Kylara.»
F’lar continuò ad ostentare un’espressione di educato interesse. Sapeva benissimo che Lessa sospettava che quel bambino fosse suo; e avrebbe potuto anche esserlo, ammise fra sé, per quanto ne dubitasse. Kylara era stata una delle dieci candidate prescelte nella stessa Cerca che, tre anni prima, aveva portato alla scoperta di Lessa. Come altre delle giovani donne sopravvissute allo Schema di Apprendimento, Kylara aveva trovato che certi aspetti della vita nel Weyr si adattavano magnificamente al suo temperamento. Era passata dall’alloggio di un cavaliere a quello di un altro; aveva persino sedotto F’lar… certo, non contro la sua volontà. Ma da quando era diventato Comandante del Weyr, lui aveva giudicato più saggio ignorare i tentativi di Kylara per continuare la relazione. Allora se l’era presa T’bor, e aveva avuto il suo da fare, fino a quando l’aveva mandata nelle Caverne Inferiori, in uno stato di avanzata gravidanza.
Oltre ad avere le tendenze amorose di un drago verde, Kylara era sveglia e ambiziosa. Sarebbe diventata una buona Dama del Weyr, e perciò F’lar aveva incaricato Manora e Lessa di metterle in testa quell’idea. Nel ruolo di Dama di un altro Weyr, i suoi impulsi energici avrebbero potuto tornare utili a Pern. Kylara non aveva appreso la dura lezione di pazienza di Lessa, e non aveva neppure la mentalità subdola di questa. Per fortuna, aveva una grande soggezione di lei, e F’lar sospettava che la Dama del Weyr influenzasse sottilmente quel comportamento. Ma, nel caso di Kylara, F’lar non aveva nulla da obiettare contro le manipolazioni di Lessa.
«Un maschietto bellissimo,» stava dicendo lei.
F’lar sorseggiò il suo klah, deciso a non lasciarsi indurre ad ammettere le sue responsabilità.
Dopo una pausa, Lessa aggiunse: «L’ha chiamato T’kil.»
F’lar represse un sorriso; Lessa non era riuscita a farlo reagire neppure ora.
«Molto discreto da parte sua.»
«Oh?»
«Sì,» rispose lui, soavemente. «T’lar avrebbe potuto creare qualche confusione, se avesse preso la seconda metà del suo nome, come è d’abitudine. T’kil, comunque, indica chiaramente tanto il padre che la madre.»
«Mentre aspettavo che terminasse il Consiglio,» disse Lessa, dopo essersi schiarita la gola, «ho ispezionato insieme a Manora le caverne dei viveri. I convogli con le dècime, che le Fortezze sono state così cortesi da inviarci,» proseguì, con voce tagliente, «arriveranno in settimana. Fra poco avremo pane mangiabile,» aggiunse, arricciando il naso nel guardare l’impasto grigiastro sul quale stava cercando di spalmare il formaggio.
«Sarà un piacevole cambiamento,» riconobbe F’lar.
Lessa tacque per qualche istante.
«La Stella Rossa ha compiuto le previste manovre?» chiese poi.
Lui annuì.
«E i dubbi di R’gul sono stati spazzati via da quel rosso splendore illuminante?»
«Per niente» rispose F’lar con un sogghigno, ignorando quel sarcasmo. «Per niente. Comunque, non griderà più tanto per esprimere le sue critiche.»
Lessa inghiottì in fretta il boccone, per riprendere a parlare.
«Faresti bene a stroncare le sue critiche,» disse, implacabile, agitando il coltello come se volesse piantarlo nel cuore a qualcuno. «Lui non sarà mai disposto ad accettare con buona grazia la tua autorità.»
«Abbiamo bisogno di tutti i cavalieri bronzei… Sono soltanto sette, lo sai bene,» le ricordò, secco. «R’gul è un buon comandante di squadrone. Diventerà ragionevole quando scenderanno i Fili. Ha bisogno di prove, per rinunciare ai suoi dubbi.»
«E la Stella Rossa inquadrata nella Pietra dell’Occhio non costituisce una prova?» Lessa lo fissava con le pupille espressive, spalancate.
F’lar, intimamente, era della stessa opinione di Lessa, era convinto che sarebbe stato molto più opportuno liberarsi della contestazione ostinata di R’gul. Ma non poteva sacrificare un comandante di squadrone, perché aveva un bisogno disperato di tutti i draghi e di tutti i loro cavalieri.
«Io non mi fido di lui,» aggiunse Lessa, in tono cupo. Sorseggiò la bevanda bollente; i suoi occhi grigi, oltre l’orlo del boccale, apparivano rannuvolati. Come se, pensò F’lar, non si fidasse neppure di me.
E infatti non si fidava più che tanto. L’aveva fatto capire chiaramente; e in tutta sincerità, lui non poteva biasimarla. Comprendeva che tutte le aspirazioni di lui venivano compiute al fine di realizzare un unico scopo: la salvezza e la sopravvivenza dei draghi e degli abitanti del Weyr, e quindi la salvezza e la sopravvivenza di Pern. Per realizzare quello scopo, F’lar aveva bisogno della sua piena collaborazione. Quando si discuteva dei draghi o degli affari del Weyr, Lessa sembrava dimenticare l’antipatia per lui. Nelle riunioni lo sosteneva senza riserve, con argomenti persuasivi; eppure, lui sospettava sempre che i commenti fossero a doppio taglio, e le scorgeva negli occhi un’espressione calcolatrice e dubbiosa. E F’lar aveva bisogno non solo della sua tolleranza, ma anche della sua comprensione.
«Dimmi,» chiese la giovane donna, dopo un lungo silenzio, «il Sole ha toccato la Roccia del Dito prima che la Stella Rossa venisse incorniciata nella Roccia dell’Occhio, oppure dopo?»
«Per la verità, non ne sono molto sicuro, perché non l’ho visto … Dura soltanto pochissimi istanti… Ma a quanto si sa, i due eventi dovrebbero essere simultanei.»
Lessa aggrottò la fronte, acida.
«A chi stavi dedicando la tua attenzione? A R’gul?» Era veramente indignata, e i suoi occhi ardenti di collera guardavano qua e là, evitando il viso di lui.
«Io sono il Comandante del Weyr,» l’informò F’lar, seccamente. Quella ragazza era proprio irragionevole.
Prima di chinare il capo per terminare il pasto, Lessa gli lanciò una lunga, durissima occhiata. Mangiava molto poco, in fretta e con grazia. In confronto a Jora, in un giorno non mangiava neppure quello che sarebbe bastato a nutrire un bimbo ammalato. Ma era assurdo fare paragoni tra Lessa e Jora.
F’lar terminò di far colazione, e ammucchiò i due boccali sul vassoio vuoto. Lei si alzò senza dir nulla, prese i piatti e li portò via.
«Andremo non appena il Weyr sarà libero,» disse l’uomo.
«È quello che avevi detto tu.» Con un cenno del capo, Lessa indicò la regina, visibile attraverso l’arcata. «Dobbiamo aspettare Ramoth.»
«Ma non si sta svegliando? È un’ora che continua ad agitare la coda.»
«Fa sempre così, verso quest’ora.»
F’lar si appoggiò alla tavola, inarcando le sopracciglia in un’espressione pensosa, e osservò la punta dorata e forcuta della coda della regina sbattere convulsamente di qua e di là.
«Anche Mnementh. E sempre all’alba o di prima mattina. Come se, in un modo o nell’altro, associassero quest’ora a qualche cosa di sgradevole…»
«O al levarsi della Stella Rossa?» l’interruppe Lessa.
Una sottile differenza nel suo tono costrinse F’lar a lanciarle una rapida occhiata. Non c’era più la collera per non essere stata invitata ad assistere al fenomeno di quel mattino. Guardava nel vuoto; il viso, dapprima disteso, si contrasse in un cipiglio vagamente ansioso. Rughe sottili si incisero tra le sopracciglia inarcate, disegnate con grazia.
«L’alba… è allora che giungono tutti gli avvertimenti,» mormorò lei.
«Che genere di avvertimenti?» chiese F’lar, incoraggiante.
«Quel mattino… pochi giorni prima… prima che tu e Fax arrivaste alla Fortezza di Ruatha. Qualcosa mi svegliò… una sensazione, come una pressione pesante… la sensazione di un pericolo tremendo che mi minacciasse.» Fece una pausa. «La Stella Rossa si stava appena levando.» Aprì e chiuse le dita della mano sinistra, poi rabbrividì, convulsamente, tornò a concentrare lo sguardo sul volto dell’uomo.
«Tu e Fax arrivaste da Nord-Est, dalla direzione di Crom,» disse, con voce tagliente. Ignorava un particolare, pensò F’lar: anche la Stella Rossa si levava un poco più a Nord dell’oriente.
«Infatti,» le rispose con un sogghigno; ricordava benissimo quella mattina. «Tuttavia,» aggiunse, indicando con un gesto la grande caverna, «credo di esserti stato utile, quel giorno… Tu lo ricordi con dispiacere?»
Lo sguardo che ottenne in risposta era freddo e imperscrutabile.
«Il pericolo viene in molte forme.»
«D’accordo,» rispose F’lar, amabilmente, deciso a non abboccare alla provocazione. «Hai avuto altri risvegli del genere?» domandò, in tono discorsivo.
Il silenzio assoluto lo spinse a rivolgere nuovamente lo sguardo verso di lei. Era divenuta pallidissima.
«Il giorno in cui Fax invase la Fortezza di Ruatha.» La voce era un bisbiglio quasi inarticolato, gli occhi fissi e sbarrati, le mani strette all’orlo della tavola. Lessa rimase così a lungo in silenzio che F’lar cominciò a preoccuparsi. Era una reazione inaspettatamente violenta ad una domanda casuale.
«Parlamene,» le suggerì, sottovoce.
Lessa parlò in toni impersonali, privi di emozione, come se recitasse una Ballata Tradizionale, composta per narrare qualcosa accaduto ad un’altra persona.
«Ero ancora una bambina. Avevo appena undici anni. Mi svegliai all’alba…» La voce si smorzò. Gli occhi rimasero fissi nel vuoto, come se rivedessero la scena avvenuta tanto tempo prima.
F’lar si sentì spinto dal desiderio irrefrenabile di confortarla. Lo colpì comunque, sebbene fosse mosso da un’insolita compassione, il fatto che non aveva mai creduto Lessa tanto vulnerabile nei confronti di un antico terrore.
Mnementh informò seccamente il suo cavaliere che Lessa era molto turbata; al punto che la sua angoscia stava svegliando Ramoth. Poi, in toni meno accusatori, comunicò che R’gul aveva finalmente condotto via i suoi giovani allievi. Però Hath, il suo drago, era in condizioni di totale disorientamento, a causa dello stato d’animo di R’gul. F’lar doveva proprio sconvolgere tutti quanti, al Weyr…?
«Oh, finiscila,» ribatté F’lar, sottovoce.
«Perché?» domandò Lessa, con la sua voce normale.
«Non mi riferivo a te, mia cara Dama del Weyr,» la rassicurò con un sorriso gentile, come se quell’interludio non vi fosse mai stato. «Mnementh non fa altro che dare consigli, in questi giorni.»
«Tale il cavaliere, tale il drago,» replicò lei, acida.
Ramoth sbadigliò poderosamente. Lessa balzò subito in piedi, corse a fianco del suo drago: la figuretta snella appariva ancora più minuta, accanto all’enorme testa della regina.
Un’espressione tenera, adorante le soffuse il volto mentre guardava negli occhi opalescenti di Ramoth. F’lar strinse i denti, invidioso, per l’Uovo!, di quell’affetto.
Udì risuonare nella propria mente la risata di Mnementh.
«Ramoth ha fame,» gli disse Lessa. Un riflesso del suo amore per la regina indugiava ancora nella linea morbida delle labbra, nella dolcezza degli occhi grigi.
«Ha sempre fame,» osservò F’lar, seguendole.
Mnementh si tenne cortesemente librato a poca distanza dal cornicione fino a quando Ramoth e Lessa furono in volo. Planarono sopra la Conca, oltre il laghetto avvolto dai vapori, verso il campo del pasto, all’estremità più lontana dell’ovale allungato che costituiva il fondo del Weyr di Benden. Le pareti ripide e striate erano costellate dalle aperture nere degli alloggi, abbandonati a quell’ora anche dai draghi che più tardi si sarebbero messi a sonnecchiare al Sole invernale, distesi sui cornicioni.
Mentre balzava sul liscio collo bronzeo di Mnementh, F’lar si augurò che la covata di Ramoth fosse spettacolosa, e cancellasse il ricordo ignominioso della misera dozzina di uova deposte da Nemorth in ognuna delle ultime covate.
Non aveva più dubbi circa un miglioramento, dopo lo straordinario volo nuziale con Mnementh. Il drago bronzeo riecheggiò vanitosamente la sicurezza del suo cavaliere: entrambi guardarono con aria possessiva la regina che incurvava le ali per atterrare. Era grande il doppio di Nemorth, tanto per cominciare; le sue ali erano ampie una volta e mezzo quelle di Mnementh, il quale era il più grosso dei sette maschi bronzei. F’lar contava su Ramoth per ripopolare i cinque Weyr deserti, come contava su se stesso e su Lessa per ringiovanire l’orgoglio e la fede dei dragonieri e di tutto Pern. Sperava soltanto che gli rimanesse il tempo per fare quanto era necessario. La Stella Rossa era già apparsa incorniciata dalla Roccia dell’Occhio. I Fili avrebbero incominciato presto a cadere. Da qualche parte, in una delle Cronache degli altri Weyr, dovevano esserci le informazioni di cui aveva bisogno per accertare con esattezza quando i Fili avrebbero iniziato la loro discesa dal cielo.
Mnementh atterrò, e F’lar balzò dal suo collo incurvato per posarsi accanto a Lessa. Insieme, i tre seguirono con lo sguardo Ramoth che, con una preda stretta in ciascuna delle zampe anteriori, si stava portando verso un cornicione.
«Non le calerà mai l’appetito?» chiese Lessa, con affettuoso sbigottimento.
Da piccola, Ramoth aveva mangiato per crescere. Adesso aveva raggiunto la grandezza di adulta, e naturalmente mangiava per i suoi piccini: e lo faceva con il massimo impegno.
F’lar ridacchiò e si accosciò. Raccolse pezzi piatti di pietra, e li lanciò attraverso il suolo arido e liscio, contando gli sbuffi di polvere dei rimbalzi con impegno infantile.
«Verrà il momento in cui la smetterà di mangiare tutto quello che vede,» garantì a Lessa. «Ma è giovane…»
«E ha bisogno di tutte le sue forze,» l’interruppe Lessa; la sua voce imitava discretamente i toni pedanteschi di R’gul.
F’lar alzò gli occhi verso di lei, e subito li socchiuse, abbagliato dai raggi obliqui del sole invernale.
«È un animale magnifico, specialmente in confronto a Nemorth.» Lanciò uno sbuffo sprezzante. «Anzi, non c’è confronto. Comunque, sta’ a vedere,» ordinò, perentorio.
Batté con la mano la sabbia, pareggiandola, e Lessa capì che quei gesti apparentemente oziosi avevano un significato. Con una scheggia di pietra, lui tracciò uno schema, a colpi rapidi.
«Per portare un drago in mezzo, bisogna che lui sappia dove andare. E devi saperlo anche tu.» Sogghignò in risposta all’espressione di sorpresa e d’indignazione apparso sul volto della giovane donna. «Un balzo mal calcolato ha conseguenze gravissime. Se si visualizzano male i punti di riferimento, spesso si finisce per restare in mezzo.» Abbassò la voce, cupamente, il viso sgombro da ogni risentimento. «Perciò a tutti i giovani vengono insegnati certi punti di riferimento. Questo,» e indicò prima lo schema, poi la vera Pietra della Stella, con le Rocce del Dito e dell’Occhio, sul Picco di Benden, «è il primo punto di riferimento che imparano gli allievi. Quando ti porterò in volo, raggiungerai una quota poco al di sopra della Pietra della Stella, abbastanza vicina perché tu possa vedere chiaramente il foro della Roccia dell’Occhio. Fissati bene in mente quell’immagine, e trasmettila a Ramoth. Servirà a farti ritornare sempre a casa.»
«Ho capito. Ma come faccio a imparare i punti di riferimento dei posti che non ho mai visto?»
F’lar sorrise.
«Li impari con l’esercizio. Per prima cosa te li insegna il tuo istruttore.» Indicò se stesso con la scheggia di pietra. «E poi ci andrai, dando a Ramoth le direttive di farsi trasmettere la visualizzazione dal suo istruttore.» E indicò Mnementh. Il drago bronzeo abbassò la testa appuntita fino a quando uno dei suoi occhi si fissò sui due esseri umani. Emise dal profondo del petto un rombo soddisfatto.
Lessa rise e, con un gesto inaspettatamente affettuoso, accarezzò il naso morbido del drago.
F’lar si schiarì la gola, sorpreso. Si era accorto che Mnementh dimostrava un affetto insòlito per la Dama del Weyr, ma non aveva immaginato che anche Lessa provasse della tenerezza per il bronzeo. Si sentì stranamente irritato.
«Comunque,» disse F’lar, con un tono che suonò innaturale alle sue stesse orecchie, «noi conduciamo gli allievi da uno all’altro dei principali punti di riferimento di tutto Pern, e a tutte le Fortezze, in modo che abbiano impressioni visive dirette sulle quali contare. Quando poi un cavaliere impara a riconoscere i punti di riferimento, riceve ulteriori indicazioni dai suoi compagni. Perciò, per andare in mezzo, in realtà è necessaria una cosa sola: un’immagine chiara del posto dove vuoi andare. Ah, e anche un drago!» Le sorrise. «Inoltre, devi sempre stabilire di arrivare al di sopra del tuo punto di riferimento, all’aria aperta.»
Lessa aggrottò la fronte.
«È molto meglio arrivare all’aria aperta,» fece F’lar, agitando una mano sopra la propria testa, «piuttosto che sottoterra,» e sbatté le dita aperte sulla subbia, da cui si levò, ammonitore, uno sbuffo di polvere.
«Ma gli squadroni sono passati in mezzo all’interno della Conca, il giorno in cui sono arrivati i Signori delle Fortezze,» gli ricordò Lessa.
F’lar ridacchiò.
«È vero. Ma erano i cavalieri più esperti. Una volta abbiamo ritrovato un drago e la sua guida sepolti insieme nella roccia. Erano… erano molto giovani,» aggiunse, fissando lo sguardo nel vuoto.
«Ho capito,» lo rassicurò lei, con aria grave. «E quella è la quinta,» aggiunse, indicando Ramoth, che stava portando la quinta preda sul cornicione insanguinato.
«Oggi le smaltirà, ti garantisco,» rispose F’lar. Si alzò, pulendosi le ginocchia con colpi secchi dei guanti da volo. «Prova a vedere di che umore è.»
Lessa lanciò un silenzioso Hai mangiato abbastanza? e registrò con una smorfia l’indignata risposta di Ramoth.
La regina planò veloce verso un uccello colossale, si risollevò in una confusione di piume grige, bianche e brune.
«Non è affamata come ti vuol far credere, quell’imbrogliona,» ridacchiò F’lar, e si accorse che anche Lessa era giunta alla stessa conclusione, perché lanciava dagli occhi lampi di esasperazione.
«Quando hai finito quell’uccello, Ramoth, ricorda che dobbiamo imparare a volare in mezzo,» disse Lessa a voce alta, perché l’udisse F’lar. «Prima che il nostro buon Comandante del Weyr cambi idea!»
Ramoth alzò gli occhi dalla preda, girò la testa verso i due che si trovavano sul limitare del campo del pasto. Gli occhi le brillarono. Piegò di nuovo il muso sulla vittima, ma Lessa sentì che le avrebbe obbedito.
Faceva freddo, in aria. Lessa era lieta di avere indosso una tenuta di volo foderata di pelliccia, e di sentire il calore del grande collo dorato sul quale era posata. Decise di non pensare al freddo assoluto del mezzo che aveva provato una volta soltanto. Abbassò lo sguardo verso destra, dove era librato Mnementh, e percepì il suo pensiero divertito.
F’lar mi dice di dire a Ramoth di dirti di fissarti bene in mente l’allineamento della Pietra della Stella. Poi. continuò amabile il drago, scenderemo al lago. Tu ritornerai dal mezzo in questo punto esatto. Hai capito bene?
Lessa sorrise puerilmente e annuì con forza. Quanto tempo risparmiato, perché lei poteva parlare direttamente con i draghi! Ramoth emise un brontolio seccato dal fondo della gola, e Lessa l’accarezzò, rassicurante.
«Hai bene in mente l’immagine, cara?» domandò. Ramoth emise un altro brontolio, meno irritato, perché l’entusiasmo della giovane donna cominciava a contagiarla.
Mnementh batté l’aria gelida con le ali che apparivano di un bruno-verdastro nella luce del sole, e scese elegantemente verso il lago, sul pianoro sottostante al Weyr di Benden. La linea di volo lo portò quasi a sfiorare l’orlo del Weyr. Dal punto in cui si trovava Lessa, sembrava quasi una rotta di collisione. Ramoth seguì da vicino il compagno. Lessa trattenne il respiro quando vide le punte delle ali della regina sfiorare quasi i macigni irregolari.
Era un’esperienza esaltante, si disse, doppiamente stimolata dall’entusiasmo che si irradiava da Ramoth.
Mnementh si arrestò sulla riva più lontana del lago, e anche la regina rimase librata in quel punto.
Mnementh trasmise a Lessa un pensiero fulmineo: doveva inquadrare con fermezza nella propria mente l’immagine del luogo dove voleva andare, e dire a Ramoth di andarvi.
Lessa obbedì. L’istante successivo, il tremendo freddo penetrante del nero mezzo le avvolse. Prima che lei o Ramoth potessero accorgersi d’altro che non fosse il morso rabbioso del freddo e l’oscurità invincibile, si ritrovarono al di sopra della Pietra della Stella.
Lessa lanciò un grido di trionfo.
È estremamente facile. Ramoth sembrava delusa.
Mnementh riapparve al loro fianco, un poco più in basso.
Ora devi tornare al lago per la stessa strada, ordinò Mnementh: e prima che quel pensiero si fosse concluso, Ramoth balzò.
Mnementh era accanto a loro, sopra il lago, e ribolliva della propria collera e di quella di F’lar. Non hai visualizzato prima di trasferirti. Non credere che basti un primo viaggio riuscito, per renderti perfetta. Tu non hai idea dei pericoli del mezzo. Non dimenticare mai più di visualizzare il punto d’arrivo.
Lessa abbassò lo sguardo su F’lar. Anche a quella distanza, poteva vedere chiaramente la collera che gli ardeva in volto, e quasi sentire il furore che gli sprizzava dagli occhi. E frammista alla furia, c’era un terribile, soffocante timore per la sua sicurezza, che era un rimprovero più efficace della collera. Per la sicurezza di Lessa, pensò lei, amaramente, o per quella di Ramoth?
Devi seguirci, stava dicendo Mnementh in tono più calmo, e controllare mentalmente i due punti di riferimento che hai già imparato. Questa mattina balzeremo dall’uno all’altro, così imparerai gli altri punti della zona di Benden.
Fu ciò che fecero. Volando fino alla Fortezza di Benden, annidata ai piedi delle colline sopra la Valle omonima, mentre il Picco del Weyr era un punto lontano che spiccava nel cielo meridiano, Lessa non dimenticò di visualizzare ogni volta impressioni chiaramente particolareggiate.
Era meraviglioso, eccitante, proprio come aveva sperato, confidò a Ramoth. La regina rispose che, sì, era certo preferibile ai metodi cui dovevano ricorrere gli altri, sprecando una quantità di tempo; ma secondo lei non era affatto meraviglioso balzare in mezzo dal Weyr di Benden alla Fortezza di Benden per poi ritornare di nuovo al Weyr di Benden. Anzi, era noioso.
Avevano incontrato di nuovo Mnementh al di sopra della Pietra della Stella. Il drago bronzeo comunicò a Lessa che quella prima lezione era andata benissimo. L’indomani avrebbero provato qualche balzo più lontano.
Domani, pensò cupa Lessa, succederà qualcosa, oppure il nostro indaffaratissimo Comandante del Weyr deciderà che con la lezione di oggi ha mantenuto la promessa, e tutto finirà lì.
C’era un balzo che lei poteva fare in mezzo, da qualunque punto di Pern, senza pericolo di sbagliare.
Visualizzò Ruatha per Ramoth, così come appariva dalle alture sovrastanti la fortezza… per stare alle regole. Per l’esattezza, Lessa proiettò l’immagine delle fosse delle pietre focaie. Prima dell’invasione di Fax, prima che lei fosse stata costretta a orchestrarne la decadenza, Ruatha era stata una valle prospera, incantevole. Disse a Ramoth di balzare in mezzo.
Il freddo, altrettanto intenso, sembrò durare per parecchi battiti del suo cuore. Quando Lessa stava già temendo di essersi perduta in mezzo, esplosero nell’aria, al di sopra della Fortezza. Si sentì invadere dall’esultanza. A dispetto di F’lar e della sua esagerata prudenza! Con Ramoth, lei poteva balzare dovunque! Riconobbe subito il profilo caratteristico delle alture di Ruatha, sventrate dal fuoco. Mancava poco all’alba, e il Passo tra Crom e Ruatha levava i suoi coni neri contro il cielo grigio che si andava schiarendo. Notò di sfuggita l’assenza della Stella Rossa che ormai sfolgorava nel cielo, al mattino. E, sempre di sfuggita, notò una differenza nell’aria. Era freddo, sì, ma non il freddo invernale: l’aria aveva l’umida frescura dell’inizio di primavera.
Abbassò lo sguardo, sbalordita, chiedendosi se, nonostante la sua sicurezza, non avesse commesso qualche errore. Ma no, quella era la Fortezza di Ruatha. La Torre, il Cortile interno, l’aspetto dell’ampia strada che portava ai quartieri degli artigiani erano come dovevano essere. Le spire di fumo che uscivano dai camini lontani indicavano che la gente si preparava a incominciare la giornata.
Ramoth sentì la sua insicurezza e cominciò a insistere per avere spiegazioni.
Questa è Ruatha, rispose decisa Lessa. Non può essere altro. Vola in cerchio sulle alture. Vedi, ecco là le file delle fosse per le pietre focaie che ti ho trasmesse…
Lanciò un gemito; il freddo le strinse lo stomaco, le raggelò i muscoli.
Sotto di lei, nell’oscurità che si dileguava lentamente, scorse molti uomini che s’inerpicavano, salendo dalle colline oltre Ruatha: uomini che si muovevano silenziosi e furtivi come criminali.
Ordinò a Ramoth di rimanere ferma il più possibile nell’aria, per non attirare la loro attenzione. La regina, sebbene incuriosita, obbedì.
Chi poteva assalire Ruatha? Sembrava incredibile. Lytol, dopotutto, era un ex dragoniere, e aveva già respinto energicamente un attacco. Possibile che i Signori delle Fortezze nutrissero ambizioni aggressive, ora che il Comandante del Weyr era F’lar? E quale Signore delle Fortezze era tanto pazzo da organizzare una guerra d’inverno?
No, non d’inverno. L’aria era decisamente primaverile.
Gli uomini avanzarono strisciando, superarono le fosse, giunsero al ciglio delle alture. All’improvviso Lessa si accorse che stavano calando scale di corda nel precipizio, lungo la parete di roccia, verso le imposte aperte della Fortezza Interna.
Si afferrò selvaggiamente al collo di Ramoth, ormai certa di ciò che vedeva.
Era Fax, Fax morto ormai da tre Giri… Fax e i suoi uomini che cominciavano l’attacco contro Ruatha, quasi tredici Giri prima.
Sì, quella era la sentinella della Torre; il suo viso era una chiazza bianca girata verso la parete di roccia, intenta. L’uomo era stato pagato per non dare l’allarme.
Ma il wher da guardia, addestrato a lanciare l’allarme per ogni intrusione… perché non gridava il suo avvertimento? Perché taceva?
Perché, l’informò Ramoth, con tranquilla logica, sente la tua presenza e la mia, e quindi ritiene che la Fortezza non possa essere in pericolo.
No! No! gemette Lessa. Cosa posso fare, adesso? Come posso svegliarli? Dove sono io bambina? Dormivo, e mi sono svegliata all’improvviso Lo ricordo. Sono corsa fuori dalla mia stanza. Ero tanto spaventata. Ho disceso la scala e per poco non sono caduta Sapevo che dovevo rifugiarmi nel covile del wher da guardia. Sapevo…
Lessa si strinse al collo di Ramoth per sorreggersi. Le azioni ed i misteri del passato stavano diventando atrocemente chiari.
Era stata lei ad avvertire se stessa, così come era stata la sua presenza e quella del drago-regina ad impedire al wher da guardia di dare l’allarme. Mentre osservava, stordita e incapace di parlare, vide la figuretta vestita di grigio che poteva essere solo lei stessa bambina uscire correndo dalla porta della Sala della Fortezza, lanciarsi incerta giù per la scala di pietra, nel Cortile, e scomparire nella tana fetida del wher da guardia. Udì l’animale guaire, penosamente confuso.
Nello stesso istante in cui Lessa bambina raggiungeva quel dubbio rifugio, gli invasori di Fax balzarono attraverso le finestre aperte e cominciarono a massacrare i suoi familiari addormentati.
«Torna… torna alla Pietra della Stella!» gridò Lessa. Tenne l’immagine di quella pietra negli occhi sbarrati, non solo per guidare Ramoth, ma per non perdere la ragione.
Il freddo intenso la scosse. Poi si ritrovarono al di sopra del Weyr tranquillo e silenzioso, nell’aria invernale come se, paradossalmente, non avessero mai visitato Ruatha.
F’lar e Mnementh non si vedevano.
Ramoth, tuttavia, non era per nulla sconvolta da quell’esperienza. Era andata dove le era stato detto di andare, e non aveva ben capito perché Lessa fosse rimasta tanto turbata. Comunicò alla sua pilota che probabilmente Mnementh le aveva seguite a Ruatha, e quindi, se Lessa le avesse fornito le indicazioni esatte, l’avrebbe portata là. Quell’atteggiamento così ragionevole della regina confortò un poco Lessa.
Trasmise a Ramoth non il ricordo infantile della Ruatha idillica scomparsa ormai da tanto tempo, ma quello più recente della Fortezza grigia e tetra nell’alba, con la Stella Rossa che pulsava all’orizzonte.
Erano di nuovo là, librate sopra la Valle; la Fortezza si trovava sulla destra. L’erba cresceva libera sulle alture, ingorgava le fosse e i canali; la scena mostrava tutta la decadenza che lei stessa aveva favorito, per impedire che Fax traesse profitto dalla conquista di Ruatha.
Ma, mentre lei osservava, vagamente turbata, scorse una figura uscire dalla cucina, vide il wher da guardia strisciare fuori dal covile e seguire quella persona coperta di stracci attraverso il Cortile, per quanto glielo permetteva la catena. Vide la figura salire sulla Torre, guardare prima verso Est, poi verso Nord. Neppure quella era la Ruatha del presente! La mente di Lessa vacillò, disorientata. Questa volta era tornata a visitare la se stessa di tre Giri prima, a vedere la sudicia sguattera che tramava la vendetta contro Fax.
Sentì il freddo assoluto del mezzo, mentre Ramoth tornava indietro, emergendo ancora una volta al di sopra della Pietra della Stella. Lessa tremava. I suoi occhi assorbirono frenetici la vista rassicurante della Conca del Weyr. Si augurò di non essere tornata di nuovo indietro nel tempo. Mnementh irruppe all’improvviso nell’aria un poco più in basso e un poco più indietro di Ramoth. Lessa l’accolse con un grido di intenso sollievo.
Torna nel tuo alloggio! Il tono di Mnementh non cercava neppure di nascondere una furia incandescente. Lessa era troppo snervata per rispondere; obbedì immediatamente. Ramoth planò rapida sul suo cornicione, e si affrettò a lasciar libero lo spazio perché atterrasse anche Mnementh.
La rabbia che fiammeggiava sul volto di F’lar quando questi balzò dal collo di Mnementh e avanzò verso Lessa le restituì bruscamente la presenza di spirito. Non cercò di sfuggirgli, quando lui l’afferrò per le spalle e la scrollò con violenza.
«Come osi rischiare così te stessa e Ramoth? Perché devi sfidarmi ogni volta che ne hai l’occasione? Ti rendi conto di quello che accadrebbe a Pern se perdessimo Ramoth? Dove sei andata?» Sibilava per la rabbia, e sottolineava ogni domanda con uno scrollone che ogni volta quasi le scardinava il collo.
«Ruatha,» riuscì a dire Lessa, cercando di tenersi eretta. Aveva teso le mani per afferrargli de braccia, ma lui la scrollò di nuovo.
«Ruatha? Ci siamo stati. Tu non c’eri. Dove sei andata?»
«Ruatha!» Lessa gridò più forte, aggrappandosi disperatamente a lui perché continuava a farle perdere l’equilibrio. Non riusciva a riordinare i propri pensieri.
È andata davvero a Ruatha, disse con fermezza Mnementh.
Ci siamo state due volte, aggiunse Ramoth.
Le parole calme dei due draghi penetrarono attraverso il furore di F’lar, che smise di scrollare Lessa. Lei restò abbandonata, inerte nella sua stretta, afferrandosi alle sue braccia con le mani deboli, ad occhi chiusi, grigia in volto. F’lar la sollevò e si diresse a passi svelti verso la grotta della regina, seguito dai draghi. La depose sul letto, avvolgendola nella coperta di pelliccia. Poi chiamò nel pozzo di servizio, ordinando al cuoco di turno di mandare su un po’ di klah bollente.
«E va bene, cos’è successo?» domandò poi.
Lessa non lo guardava, ma F’lar riuscì a cogliere l’espressione allucinata del suo sguardo. Sbatteva le palpebre come se cercasse di cancellare ciò che aveva visto.
Finalmente lei riuscì a controllarsi e disse con voce stanca e sommessa: «Sono andata a Ruatha. Solo… sono tornata indietro a Ruatha.»
«Indietro? A Ruatha?» F’lar ripeté le parole, stupidamente, senza comprenderle.
Sicuro, fece Mnementh, e comunicò ala mente di F’lar le due scene che aveva colto nella memoria di Ramoth.
Sconvolto dal significato di quella visualizzazione, F’lar si lasciò cadere lentamente sull’orlo del letto.
«Sei passata in mezzo nel tempo?»
Lessa annuì, con un gesto lento. Il terrore cominciava a svanire dai suoi occhi.
«In mezzo nel tempo,» mormorò F’lar. «Mi chiedo se…»
La sua mente esaminò fulminea le varie possibilità. Forse questo avrebbe fatto inclinare in modo decisivo i piatti della bilancia, per quanto riguardava la sopravvivenza del Weyr. Non riusciva a pensare con esattezza al modo di sfruttare quella facoltà straordinaria; tuttavia doveva costituire un vantaggio, per loro.
Si udì un rombo nel pozzo di servizio. Prese la caraffa dalla piattaforma e riempì due boccali.
A Lessa tremavano tanto le mani che non riuscì a portarsi il suo alle labbra. F’lar l’aiutò, chiedendosi se passare in mezzo nel tempo provocasse invariabilmente uno shock di quel genere. In tal caso, non sarebbe stato un vantaggio. Se Lessa si era spaventata abbastanza, quel giorno, forse la prossima volta non avrebbe più ignorato i suoi ordini: e per lui sarebbe stato un bene.
Dalla grotta della regina, Mnementh gli comunicò sbuffando la sua opinione in proposito. F’lar non gli badò.
Lessa tremava violentemente. Lui la cinse con un braccio, stringendo la coperta di pelliccia attorno a quel corpo sottile. Le accostò il boccale alle labbra, costringendola a bere. Sentì i tremiti attenuarsi, poco a poco. Lessa traeva lunghi respiri lenti e profondi tra una sorsata e l’altra, decisa a riprendere il suo autocontrollo. F’lar la lasciò andare nel momento in cui la sentì irrigidirsi sotto il suo braccio. Si chiese se lei avesse mai avuto qualcuno da amare. Certo, non dopo che Fax aveva invaso la sua Fortezza. Aveva solo undici anni a quel tempo: una bambina. L’odio e la vendetta erano stati gli unici sentimenti possibili, quando era cresciuta?
Lessa riabbassò il boccale, stringendolo con cura tra le mani, come se avesse assunto, per lei, un’importanza indefinibile.
«Avanti. Racconta,» ordinò F’lar, con calma.
Lei trasse un altro profondo respiro e cominciò a parlare, stringendo le dita attorno al boccale. Il turbamento interiore non era diminuito: era soltanto sotto controllo.
«Ramoth ed io eravamo stanche di questi esercizi puerili,» ammise, candidamente.
F’lar riconobbe, con rabbia, che se anche quell’avventura poteva averle insegnato ad essere più prudente, non l’aveva di certo indotta all’obbedienza. Cominciava a pensare che nulla potesse riuscire a tanto.
«Le ho trasmesso l’immagine di Ruatha, per andarci.» Non lo guardava: il suo profilo spiccava contro la pelliccia scura della coperta. «La Ruatha che conoscevo così bene… per caso, mi sono trasportata indietro nel tempo, al giorno dell’invasione di Fax.»
F’lar, adesso, poteva comprendere il suo turbamento.
«E ho visto me stessa…» La voce le si spense. Riprese, con uno sforzo. «Avevo visualizzato, per Ramoth, la fine delle fosse delle pietre focaie e l’angolo della Fortezza, come si vede dall’alto, guardando nel Cortile interno. Siamo emerse lì. Era appena l’alba…» alzò il mento in uno scatto nervoso. «… e in cielo non c’era nessuna Stella Rossa.» Lanciò a F’lar una rapida occhiata difensiva, come se si aspettasse di sentirlo contestare quel dettaglio. «E ho visto gli uomini che strisciavano oltre le fosse, e calavano scale di corda verso le finestre più alte della Fortezza. Ho visto la sentinella della Torre che guardava. Guardava e basta.» Strinse i denti al pensiero del tradimento, con uno scintillio malevolo negli occhi. «E ho visto me stessa fuggire dalla Sala nel covile del wher da guardia. E sai,» proseguì, abbassando la voce in un bisbiglio amaro, «sai perché il wher da guardia non ha dato l’allarme alla Fortezza?»
«Perché?»
«Perché c’era un drago nel cielo ed io, Lessa di Ruatha, ero la sua guida.» Scagliò via il boccale come se avesse voluto scagliare lontano da sé anche quella certezza. «Perché io ero là, il wher da guardia non ha dato l’allarme alla Fortezza, pensando che l’intrusione fosse legittima, poiché una del Sangue era sul collo di un drago, nel cielo. Quindi…» Il suo corpo s’irrigidì, le mani si serrarono strettamente, fino a che le nocche sbiancarono. «Io sono stata la causa dello sterminio della mia famiglia. Non Fax! Se oggi non mi fossi comportata come una sciocca, non sarei stata là con Ramoth, e il wher da guardia avrebbe…»
La sua voce era diventata stridula e isterica. F’lar la schiaffeggiò con forza, l’afferrò per scrollarla.
L’espressione stordita e tragica di Lessa lo spaventò. L’indignazione sbollì. L’indipendenza indomabile della mente e dello spirito di quella ragazza l’attraeva non meno della sua strana, cupa bellezza. Per quanto i suoi modi fossero esasperanti, costituivano una parte troppo vitale della sua personalità perché fosse giusto esorcizzarli. Quella volontà indomita aveva subito una scossa tremenda, quel giorno, ed era meglio rinsaldare in fretta la sua fiducia in se stessa.
«Al contrario, Lessa,» disse F’lar, in tono severo. «Fax avrebbe comunque sterminato i tuoi familiari. Aveva fatto i piani con molta cura, aveva programmato l’attacco all’alba, quando c’era di sentinella alla Torre un uomo disposto a lasciarsi corrompere. Ricorda, poi, che era l’alba, e il wher da guardia, un animale notturno che non vede nella luce del giorno, in quel momento viene sollevato dalla sua responsabilità, e lo sa bene. La tua presenza, per quanto ti possa sembrare inopportuna, non è stata affatto il fattore determinante. Anzi, e ti prego di notare questo fatto importantissimo, ti ha permesso di salvare te stessa bambina. Non lo capisci?»
«Avrei dovuto gridare,» mormorò lei; ma l’espressione frenetica era scomparsa nei suoi occhi, e le labbra stavano riacquistando una parvenza di colore normale.
«Se vuoi continuare a torturarti per queste colpe presunte, accomodati,» disse F’lar, con voluta insensibilità.
Ramoth s’intromise lanciando un pensiero: poiché loro due erano state là, la prima volta, quando gli uomini di Fax preparavano l’invasione, ormai era fatta, e quindi, come si potevano cambiare gli avvenimenti? L’azione era inevitabile, sia in quel giorno che oggi. Altrimenti, come avrebbe potuto sopravvivere, Lessa, per arrivare al Weyr e compiere lo Schema di Apprendimento di Ramoth al momento della Schiusa?
Mnementh trasmise scrupolosamente il messaggio di Ramoth, imitando persino le sfumature egocentriche della regina. F’lar fissò intento Lessa, per scrutare l’effetto di quelle osservazioni.
«È proprio tipico di Ramoth, volere l’ultima parola,» disse la giovane donna, con un’ombra della sua abituale ironia.
F’lar sentì che i muscoli del collo e delle spalle cominciavano a rilassarglisi. Lessa si sarebbe ripresa, decise, ma era meglio indurla a dire tutto subito, per inquadrare l’intera esperienza nella prospettiva esatta.
«Hai detto che ci siete state due volte?» F’lar si sistemò sul letto, osservandola attento. «Quando è stata la seconda?»
«Non indovini?» chiese lei, sarcastica.
«No,» mentì F’lar.
«E quando, se non in quell’alba, quando mi sono svegliata sentendo che la Stella Rossa era una minaccia, per me?… Tre giorni prima che tu e Fax arrivaste da Nord-Est.»
«Si direbbe,» osservò lui, asciutto, «che entrambe le volte la tua premonizione sia stata tu stessa.»
Lei annuì.
«Hai avuto altri presentimenti come quelli… o forse dovrei dire avvertimenti?»
Lessa rabbrividì, ma gli rispose in un tono che già le era più abituale.
«No. Ma se dovessi averli, sarai tu ad andare. Io non voglio.»
F’lar sogghignò maliziosamente.
«Comunque,» aggiunse lei, «vorrei sapere come e perché è potuto succedere.»
«Non ho mai trovato accenni a nulla di simile,» rispose lui, sinceramente. «Certo, se tu l’hai fatto… ed è innegabile che l’abbia fatto,» si affrettò a rassicurarla, non appena lei cominciò a protestare indignata, «è evidente che si può fare. Dici che hai pensato a Ruatha, ma l’hai visualizzata com’era in quel particolare giorno. Un giorno memorabile, certamente. Hai pensato alla primavera, prima dell’alba, senza la Stella Rossa… sì, ricordo che hai accennato a questo particolare. Quindi bisognerebbe ricordare riferimenti tipici di un giorno significativo per ritornare in mezzo nel passato.»
Lessa annuì lentamente, pensosa.
«La seconda volta hai usato lo stesso metodo, per tornare alla Ruatha di tre Giri fa. E anche allora, ovviamente, era primavera.»
F’lar si fregò le mani, poi le batté sulle ginocchia, e si alzò.
«Torno subito,» disse, e uscì dalla stanza, ignorando il grido di avvertimento di lei, quasi inarticolato.
Ramoth si stava raggomitolando nella sua grotta, quando le passò accanto. Notò che il suo colore rimaneva bellissimo, nonostante le energie sprecate nell’attività di quel mattino. Lo guardò, con un occhio sfaccettato già velato dalla palpebra interna.
Mnementh attendeva il suo cavaliere sul cornicione; decollò non appena questi gli fu balzato sul collo. Salì in grandi cerchi, librandosi sopra la Pietra della Stella.
Tu vuoi provare il trucco di Lessa, disse il drago, per nulla turbato al pensiero dell’esperimento.
F’lar accarezzò affettuosamente il grande collo incurvato. Hai capito come hanno fatto Ramoth e Lessa?
Chiunque può capirlo, rispose Mnementh, con l’equivalente di una scrollata di spalle. A quando stai pensando?
Prima di quell’istante, F’lar non ne aveva avuto la più vaga idea. Adesso, infallibilmente, i suoi pensieri lo portarono indietro, fino al giorno d’estate in cui il bronzeo Hath di R’gul aveva preso il volo per accoppiarsi con la grottesca Nemorth, e R’gul era diventato Comandante del Weyr succedendo a F’lon, il padre di F’lar.
Solo il gelo del mezzo gli fece capire che il trasferimento si era compiuto; erano ancora librati sopra la Pietra della Stella. F’lar si chiese se avevano fallito. Poi si accorse che il sole era in un’altra parte del cielo, e l’aria era quella, calda e dolce, dell’estate. Il Weyr, sotto di loro, era vuoto. Non c’erano draghi che prendevano il sole sui cornicioni, né donne affaccendate nella Conca. Un miscuglio di rumori invase i suoi sensi: risate rauche, grida, strilli, e un suono sommesso, cantilenante che dominava quel frastuono.
Poi, dalla direzione delle caserme dei giovani, nelle Caverne Inferiori, emersero due figure: un ragazzo e un giovane drago bronzeo. Il braccio del giovane giaceva inerte lungo il collo dell’animale. Dall’alto, i due osservatori ricevettero l’impressione di un totale avvilimento. I due andarono a fermarsi accanto al lago; il ragazzo guardò le calme acque azzurre, poi alzò gli occhi verso la grotta della regina.
F’lar riconobbe quel ragazzo che era lui stesso, e la compassione l’invase. Se avesse almeno potuto rassicurare quel giovane, straziato dal dolore, pieno di risentimenti, se avesse potuto promettergli che un giorno sarebbe diventato Comandante del Weyr…
All’improvviso, sbalordito dei propri pensieri, ordinò a Mnementh di ritornare. Il freddo assoluto del mezzo lo colpì in pieno volto, e quasi immediatamente fu sostituito dal normale freddo dell’inverno, quando riemersero.
Lentamente, Mnementh si diresse in volo verso la grotta della regina, turbato quanto F’lar da ciò che aveva visto.
Levatevi alti in gloria,
bronzo ed oro.
Tuffatevi allacciati
ed esaltate il Forte.
Conta tre mesi e più
cinque calde settimane,
un giorno di gloria e poi,
in un mese, chi cerca?
Un filo d’argento
nel cielo…
Nel caldo, tutto affretta,
ed ogni tempo vola.
«Non so perché tu abbia chiesto a F’nor eli dissotterrare queste cose ridicole, nel Weyr di Ista,» esclamò Lessa, in tono esasperato. «Non sono altro che banalissimi appunti sulle misure di grano adoperate per fare il pane ogni giorno.»
F’lar alzò lo sguardo dalle Cronache che stava studiando e la fissò; sospirò e si appoggiò alla spalliera della sedia, stiracchiandosi con energia.
«E io pensavo,» fece Lessa con un’espressione malinconica sul vivace volto sottile, «che quelle venerabili Cronache contenessero la somma di tutte le tradizioni relative ai draghi e di tutta la saggezza umana. O almeno, così mi hanno fatto credere,» aggiunse, puntigliosa.
F’lar ridacchiò.
«Sono Cronache preziosissime, ma bisogna sviscerarle.»
Lessa arricciò il naso.
«Puah! Puzzano come se le avessimo sviscerate davvero… E l’unica cosa da fare sarebbe riseppellirle.»
«Ecco un’altra cosa che ci terrei a scoprire; l’antica tecnica che impediva alle pelli di indurirsi e di puzzare.»
«Comunque è stupido, servirsi delle pelli per scrivere. Dovrebbe esserci qualcosa di meglio. Caro Comandante del Weyr, ormai siamo troppo incartapecoriti.»
Mentre F’lar rideva allegramente di quella battuta, lei lo fissava spazientita. Poi si alzò di scatto, accesa da un altro dei suoi tipici balzi d’umore.
«Beh, non lo scoprirai. Non scoprirai quello che cerchi. Perché io so quello che vorresti trovare, e non è registrato nelle Cronache!»
«Spiegati.»
«Sarebbe ora che la smettessimo di nasconderci una verità molto spiacevole.»
«E cioè?»
«La sensazione che la Stella Rossa costituisce una minaccia e che i Fili verranno! Noi l’abbiamo deciso per pura presunzione, e poi siamo tornati indietro nel tempo, risalendo a momenti particolarmente decisivi delle nostre vite e abbiamo rafforzato quella sensazione in noi stessi del passato. Per te, è stato quando hai deciso di essere destinato…» Pronunciò quella parola in tono irridente, «a diventare Comandante del Weyr, un giorno.
«Non potrebbe darsi,» continuò, sprezzante, «che il nostro ultraconservatore R’gul abbia ragione? Che non ci siano più stati Fili negli ultimi quattrocento Giri perché non esistono più? E che per questa ragione ci siano così pochi draghi, perché i draghi sentono di non essere più indispensabili a Pern? E che noi siamo davvero anacronistici e parassiti?»
F’lar non sapeva per quanto tempo era rimasto a guardare il volto amareggiato di Lessa, né quanto avesse impiegato per trovare risposte a quelle domande.
«Tutto è possibile, Dama del Weyr,» rispose con voce calma. «Incluso il fatto improbabile che una bambina di undici anni, spaventata a morte, progettasse di vendicarsi dell’assassino dei suoi familiari… e ci riuscisse, contro ogni probabilità.»
Lessa avanzò involontariamente di un passo, colpita da quella replica inaspettata, e ascoltò attenta.
«Preferisco credere,» continuò F’lar, inesorabile, «che la vita non consista soltanto nell’allevare draghi e nel partecipare ai Giochi di primavera. Questo non basta, per me. E sono riuscito a convincere anche altri a guardare più avanti, oltre l’interesse e la comodità personale. Ho dato loro uno scopo, una disciplina Tutti, al Weyr e nelle Fortezze, ci hanno guadagnato.
«Non sto frugando in queste Cronache nella speranza di trovare una certezza. Sto cercando di trovare fatti concreti.
«Posso provare, Dama del Weyr, che i Fili ci sono stati. Posso provare che vi sono stati Intervalli durante i quali i Weyr sono decaduti. Posso provare che, se la vedi incorniciata direttamente dalla Roccia dell’Occhio nel momento del solstizio d’inverno, la Stella Rossa passerà abbastanza vicina a Pern da lasciar piovere i Fili. Poiché posso provare tutto questo, credo che Pern sia in pericolo. Lo credo io non il ragazzo di quindici Giri fa. Lo crede F’lar, il cavaliere bronzeo, il Comandante del Weyr!»
Vide le ombre del dubbio negli occhi di Lessa, ma sentì che i suoi argomenti cominciavano a rassicurarla.
«Ti sei sentita costretta a credermi già una volta,» continuò, in tono più dolce. «Quando ti ho detto che avresti potuto diventare Dama del Weyr. Mi hai creduto e…» Indicò con un gesto tutto ciò che stava attorno a loro.
Lei ebbe un sorriso debole, senza gaiezza.
«È successo perché non avevo mai pensato a ciò che avrei fatto dopo aver visto Fax morto ai miei piedi. Certo, essere la compagna di Ramoth è meraviglioso, ma…» Aggrottò lievemente la fronte. «Non basta più. È per questo che tenevo tanto ad imparare a volare e…»
«… ed è per questo che è incominciata la nostra discussione,» concluse F’lar, sardonico.
Poi si sporse attraverso la tavola.
«Credi con me, Lessa, fino a quando non avrai motivo di non credere più. Io rispetto i tuoi dubbi. Non c’è nulla di male a dubitare. Qualche volta conduce a una fede più grande. Ma credimi fino a primavera. Se allora i Fili non saranno ancora discesi…» Alzò le spalle, in un gesto fatalista.
Lessa lo fissò per un lungo attimo e poi inclinò lentamente il capo, in segno di accettazione.
F’lar cercò di nascondere il sollievo che provava per quella decisione. Aveva avuto modo di accorgersi che Lessa era sia un’avversaria implacabile che un’abile alleata. E oltre a questo, era la Dama del Weyr, indispensabile ai suoi piani.
«E adesso torniamo ad occuparci di queste banalità. Sai, mi dicono il tempo, il luogo e la durata delle incursioni dei Fili,» fece, sollevando la testa per rivolgerle un sogghigno rassicurante. «E ho bisogno di questi dati per preparare la mia tabella dei tempi.»
«La tabella dei tempi? Ma hai detto che non sapevi quando…»
«Non conosco esattamente il giorno in cui i Fili possono incominciare a cadere. Tanto per incominciare, quando il clima si mantiene così insolitamente freddo per questa stagione, i Fili diventano fragili e volano via, come polvere. Sono innocui. Invece, quando l’aria è tiepida, sono vivi… e mortali.» Serrò entrambe le mani a pugno, posandole una accanto all’altra sul piano della tavola. «La Stella Rossa è la mia mano destra, la sinistra è Pern. La Stella Rossa gira molto rapidamente e si muove nella direzione opposta, rispetto a noi. Inoltre, compie movimenti irregolari.»
«Come fai a saperlo?»
«C’è un diagramma sulle pareti del Terreno della Schiusa, al Weyr di Fort. È stato il primo Weyr, lo sai.»
Lessa sorrise acida.
«Lo so.»
«Quindi, quando la Stella effettua un passaggio, i Fili vorticano lontano e scendono verso di noi, in attacchi che durano sei ore e si verificano, approssimativamente, a quattordici ore di distanza l’uno dall’altro.»
«Gli attacchi durano sei ore?»
F’lar annuì, gravemente.
«Quando la Stella Rossa è più vicina a noi. Proprio in questo momento sta incominciando il Passaggio.»
Lei aggrottò la fronte.
L’uomo frugò tra le pergamene sparpagliate sulla tavola; un oggetto cadde sul pavimento di pietra con un tonfo metallico.
Incuriosita, Lessa si piegò per raccoglierlo, e rigirò tra le mani la lamina sottile.
«Che cos’è questo?» Fece scorrere leggermente un dito sopra il disegno irregolare che appariva su una delle facciate.
«Non lo so. F’nor l’ha portato dal Weyr di Fort. Era inchiodato ad uno dei cassettoni che contenevano le Cronache. L’ha preso perché ha pensato che potesse essere importante. E ha detto che c’era una lamina come questa sotto il diagramma della Stella Rossa sulla parete del Terreno della Schiusa.»
«La prima parte è abbastanza chiara: ’Il padre del padre di mia madre, che è andato in mezzo per sempre, diceva che questa era la chiave del mistero, e che gli era venuto in mente mentre stava sgorbiando; diceva che aveva detto: ARRHENIUS? EUREKA! LAMIACORIZA…’ Certo, questa parte non ha senso,» sbuffò Lessa. «Non sono neppure pernese, le ultime tre parole: sono sillabe a vanvera.»
«Ho studiato questo scritto, Lessa,» rispose F’lar, tirando a sé la lamina per riconfermare le sue conclusioni. «L’unico modo per andarsene in mezzo per sempre è morire, giusto? La gente non vola via da sola, evidentemente. Perciò si tratta di una visione in punto di morte, trascritta con diligenza da un pronipote che non sapeva neppure esprimersi bene. Ha usato ’sgorbiando’ invece di ’agonizzando’!» Sorrise, indulgente. «E in quanto al resto, dopo quelle parole senza senso… Come quasi tutte le visioni in punto di morte, ’spiega’ quello che tutti sanno già. Leggi.»
«’Lanciafiamme lucertole fiammeggianti per spazzare via le spore QE.D.’?»
«Anche questo non serve a niente. È chiaro, si tratta di un primitivo, felice di essere un dragoniere, ma che non conosce neppure il nome esatto dei Fili.» La scrollata di spalle di F’lar era molto espressiva.
Lessa s’inumidì la punta di un dito, per provare se lo scritto era stato tracciato con l’inchiostro. Il metallo era molto lucido, e avrebbe potuto servire da specchio, se lei avesse potuto cancellare i disegni. Ma i tratti rimasero nitidi.
«Primitivi o no, conoscevano un sistema per registrare le loro visioni molto più efficace delle pergamene meglio conservate,» mormorò.
«Comunque, sono parole a vanvera,» disse F’lar, piegandosi di nuovo sulle pergamene, alla ricerca di dati controllabili.
«Forse una ballata scritta male?» fece Lessa; poi se ne disinteressò. «Il disegno non è neppure ben fatto.»
F’lar spinse avanti un diagramma che mostrava fasce orizzontali sovrapposte tracciate sulla proiezione della massa continentale di Pern.
«Ecco,» disse. «Questo rappresenta le ondate dell’attacco, e questo…» Prese un secondo diagramma a fasce verticali. «Questo mostra le zone orarie. Quindi, come puoi vedere, con intervalli di quattordici ore, solo certe parti di Pern sono oggetto di ogni attacco. ti una delle ragioni per cui i Weyr vennero creati lontani l’uno dall’altro.»
«Sei Weyr completi,» mormorò Lessa. «Sono quasi tremila draghi.»
«Conosco anch’io le statistiche,» rispose lui, con voce incolore. «Significava che nessun Weyr doveva addossarsi tutto il peso dell’azione al momento degli attacchi, non già che dovessero essere disponibili contemporaneamente tutti i tremila draghi. Comunque, secondo queste tavole, possiamo tirare avanti fino a quando sarà maturata la prima covata di Ramoth.»
Lessa gli lanciò un’occhiata cinica.
«Hai una gran fiducia nella capacità di una sola regina.»
L’altro liquidò con un gesto impaziente l’osservazione.
«Qualunque sia la tua opinione, ho più fede nel sorprendente ricorrere degli eventi nelle Cronache.»
«Ah!»
«Non sto parlando delle misure di grano per il pane quotidiano, Lessa,» ribatté lui, alzando la voce. «Mi riferisco ad altre notizie: quando è stato mandato in servizio di pattugliamento il tale o il talaltro squadrone, quanto è durato il pattugliamento stesso, quanti cavalieri sono rimasti feriti. Le capacità riproduttive delle regine durante i cinquant’anni che corrispondono alla durata di un Passaggio e negli Intervalli tra un Passaggio e l’altro. Sì, è chiaro. Secondo tutto ciò che ho studiato qui,» aggiunse F’lar, battendo con enfasi la mano sul mucchio più vicino di pelli polverose e puzzolenti, «Nemorth avrebbe dovuto accoppiarsi due volte ogni Giro, negli ultimi dieci. Se anche avesse tenuto la misera media di dodici uova per covata, avremmo duecentoquaranta draghi in più… Non m’interrompere. Ma avevamo Jora come Dama del Weyr e R’gul come Comandante del Weyr, ed eravamo caduti in disgrazia agli occhi dell’intero pianeta, durante un Intervallo di quattrocento Giri. Bene, Ramoth non deporrà una misera dozzina d’uova, e ricorda quello che ti dico: deporrà anche un uovo di regina. Si leverà spesso in volo per accoppiarsi e farà molte uova. Prima che arrivi il momento in cui la Stella Rossa passerà più vicina e gli attacchi saranno più frequenti, noi saremo pronti.»
Lessa lo guardò, gli occhi spalancati per l’incredulità.
«Grazie a Ramoth?»
«Grazie a Ramoth ed alle regine sue figlie. Ricorda: le Cronache riferiscono che Faranth depose sessanta uova in una sola covata, e tra queste parecchie uova di regina.»
Lessa si limitò a scuotere lentamente il capo, sbalordita.
«’Un filo d’argento / nel cielo… Nel caldo, tutto affretta, / ed ogni tempo vola,’» citò F’lar.
«Devono passare ancora intere settimane prima che Ramoth deponga le uova; e poi dovranno schiudersi…»
«Sei stata sul Terreno della Schiusa, in questi ultimi tempi? Mettiti gli stivali. Con i sandali, ti bruceresti i piedi.»
Lessa rispose con un suono gutturale, e F’lar sorrise, apertamente divertito di quella incredulità.
«E poi, deve esserci lo Schema di Apprendimento; e bisogna aspettare fino a quando i cavalieri…» continuò lei.
«Perché credi che io abbia tanto insistito che si cercassero ragazzi più grandi? I draghi diventano adulti molto prima degli esseri umani.»
«Allora il sistema è difettoso.»
F’lar socchiuse gli occhi, agitando lo stilo.
«La tradizione dei draghi, all’inizio, fu una specie di guida… Ma viene il momento in cui l’uomo diventa troppo tradizionalista, troppo… come avevi detto? Ah, incartapecorito. Sì, è tradizionale servirsi dei giovani nati nel Weyr, perché è più comodo. E perché la sensibilità nei confronti dei draghi si rafforza, quando entrambi i genitori sono cresciuti nel Weyr. Ma questo non significa che sia sempre la scelta migliore. Tu, per esempio…»
«Nella casata di Ruatha c’è Sangue del Weyr,» osservò Lessa, in tono orgoglioso.
«L’ammetto. Prendi il giovane Naton; è figlio di artigiani di Nabol, eppure F’nor mi dice che è in grado di farsi capire da Canth.»
«Oh, non è una cosa difficile,» esclamò lei.
«Cosa intendi dire?» F’lar sussultò a quelle parole.
Furono interrotti da un lagno acutissimo, penetrante. F’lar ascoltò con attenzione per qualche istante, e poi scrollò le spalle, sogghignando.
«Qualche femmina verde che si sta facendo inseguire.»
«Ecco un altro particolare che quelle tue Cronache onniscienti non spiegano mai. Perché solo le femmine dorate possono riprodursi?»
F’lar non represse una risata maliziosa.
«Beh, innanzi tutto, le pietre focaie inibiscono la riproduzione. Se non masticasse mai pietre focaie, una verde potrebbe fare le uova, ma nella migliore delle ipotesi nascerebbero animali piccoli, e noi abbiamo bisogno di draghi grandi e robusti. E un’altra cosa,» continuò, senza smettere di ridacchiare. «Se le verdi potessero riprodursi, considerando il loro numero e le loro abitudini amorose, ci troveremmo sommersi dai draghi prima di avere il tempo di accorgercene.»
Al primo lagno se ne aggiunse un altro, poi un mormorio sommesso pulsò attorno a loro, come se venisse trasportato dalle stesse pietre del Weyr.
L’espressione di F’lar passò rapidamente dalla sorpresa al trionfo. Si alzò e si lanciò correndo lungo la galleria.
«Cosa succede?» domandò Lessa, raccogliendo le gonne per poterlo inseguire. «Cosa significa?»
Il mormorio risuonava dovunque, ed era particolarmente assordante nella caverna della regina. Lessa notò che Ramoth non c’era più. Udì i passi di F’lar allontanarsi lungo la galleria, in direzione del cornicione, un secco ta-ta-ta che sovrastava il mormorio tambureggiante. Il lagno era così acuto, ormai, che si udiva appena, ma straziava i nervi. Turbata e spaventata, Lessa seguì F’lar all’esterno.
Quando arrivò sul cornicione, la Conca era già un vortice di draghi in volo, diretti verso l’alto ingresso del Terreno della Schiusa. La gente del Weyr, cavalieri, donne, bambini, lanciando esclamazioni eccitate, stava attraversando la Conca, avviandosi verso l’entrata più bassa.
Scorse F’lar che si avventava verso l’ingresso, e gli gridò di aspettarla. Lui non l’udì, in quel baccano.
Furibonda al pensiero di essere costretta a scendere le lunghe scale, e poi di dover fare un ampio giro, perché la scala era proprio di fronte ai campi del pasto, all’estremità opposta della Conca rispetto al Terreno della Schiusa, Lessa si rese conto che proprio lei, la Dama del Weyr, sarebbe stata l’ultima ad arrivare sul posto.
Perché Ramoth aveva deciso di fare tanto la misteriosa? Non era abbastanza affezionata alla sua compagna per volerla accanto a sé?
Un drago sa cosa deve fare, comunicò calma Ramoth a Lessa.
Avresti potuto dirmelo, gemette Lessa. Si sentiva molto trascurata.
Proprio nel momento in cui F’lar aveva continuato a parlare di covate spettacolose e di tremila draghi, quell’esasperante regina era andata a deporre le uova!
L’umore di Lessa non migliorò al ricordo di un’altra osservazione di F’lar… a proposito delle condizioni del Terreno della Schiusa. Nel momento in cui entrò nella caverna enorme, sentì il calore attraverso le suole dei sandali. Tutti quanti si erano raccolti in un cerchio irregolare, all’estremità più lontana della grotta. E tutti si dondolavano, spostando il peso da un piede all’altro. Poiché Lessa non era molto alta, quel movimento diminuiva per lei la probabilità di vedere cosa aveva fatto Ramoth.
«Fatemi passare!» ordinò imperiosamente, battendo i pugni sulle spalle ampie di due dragonieri.
Le aprirono un varco con riluttanza, e lei passò, senza degnare d’una occhiata gli emozionatissimi abitanti del Weyr. Era furiosa, confusa, offesa, e per giunta sapeva di essere ridicola, perché la sabbia caldissima la costringeva a procedere con un’andatura simile a un curioso passo di danza.
Poi si fermò, ad occhi spalancati, sbalordita nel vedere la massa delle uova, e dimenticò una cosa tanto banale come le scottature ai piedi.
Ramoth era acciambellata attorno alle uova, e sembrava enormemente soddisfatta di sé. Anche lei continuava a spostarsi, chiudendo e riaprendo un’ala sulle uova in atto di protezione, così che era difficile contarle.
Non te le ruberà nessuno, sciocca, quindi smettila di agitarti, ordinò Lessa, cercando di farne il conto.
Ramoth ripiegò le ali, obbediente. Tuttavia, per alleviare la propria ansia materna, cinse con il collo il gruppo di lucenti uova chiazzate e si guardò intorno, facendo vibrare dentro e fuori dalla bocca la lingua forcuta.
Nella caverna si levò un immenso sospiro, simile a un soffio di vento. Ora che Ramoth aveva ripiegato le ali, si vedeva risplendere un uovo d’oro lucente in mezzo alle uova chiazzate. Un uovo di regina!
«Un uovo di regina!» Il grido si levò contemporaneamente da una cinquantina di gole. Il Terreno della Schiusa risuonò di applausi, di evviva, di grida, di urla entusiastiche.
Qualcuno afferrò Lessa, la girò di slancio, la baciò sulla guancia. Lei aveva ripreso a malapena l’equilibrio quando si sentì abbracciare da qualcun altro — le parve che fosse Manora — e poi fu spinta qua e là, in una confusione festosa, sin quando si trovò a ondeggiare in una specie di danza, cercando di sfuggire agli entusiasti e di alleviare il crescente bruciore ai piedi.
Riuscì a liberarsi dalla folla mulinante e attraversò correndo il Terreno della Schiusa per accostarsi a Ramoth. Si arrestò di colpo davanti alle uova. Sembravano pulsare ed i gusci apparivano flaccidi. Avrebbe giurato che erano duri, il giorno in cui aveva compiuto lo Schema di Apprendimento di Ramoth. Avrebbe voluto toccarne uno, ma non osò.
Puoi toccarlo, la rassicurò condiscendente Ramoth, e le sfiorò la spalla con la lingua, delicatamente.
L’uovo era morbido, e Lessa ritrasse in fretta la mano, per timore di danneggiarlo.
Il calore l’indurirà, disse la regina.
«Ramoth, sono così fiera di te,» sospirò Lessa, levando lo sguardo adorante verso i grandi occhi in cui splendevano arcobaleni d’orgoglio. «Sei la regina più straordinaria che sia mai esistita. Credo che ripopolerai di draghi tutti i Weyr. Credo proprio che ci riuscirai.»
Ramoth inclinò regalmente la testa, poi cominciò a farla oscillare da destra a sinistra sulle uova, per proteggerle. All’improvviso prese a sibilare, da accovacciata che era si sollevò, battendo l’aria con le ali, prima di tornare a rannicchiarsi sulla sabbia per deporre un altro uovo.
Gli abitanti del Weyr, a disagio sulla sabbia caldissima, cominciavano a lasciare il Terreno della Schiusa, dopo aver reso omaggio alla venuta dell’uovo d’oro. Una regina impiegava parecchie settimane prima di completare la deposizione; quindi era inutile aspettare. Già sette uova stavano accanto a quello, importantissimo, d’oro: e se ce n’erano già sette, era un buon auspicio per quanto riguardava il futuro totale. Molti stavano già scambiandosi scommesse, mentre Ramoth deponeva il nono uovo.
«Esattamente come avevo predetto, un uovo di regina, per la madre di noi tutti!» disse la voce di F’lar nell’orecchio di Lessa. «E scommetto che nasceranno almeno dieci bronzei.»
Lessa alzò lo sguardo verso di lui: si sentiva completamente in armonia con il Comandante del Weyr, in quel momento. Poi scorse Mnementh che, fieramente accovacciato su un cornicione, guardava con tenerezza la sua compagna. D’impulso, Lessa posò la mano sul braccio di F’lar.
«F’lar, ti credo.»
«Soltanto adesso?» rispose ironico F’lar: ma il suo sorriso era ampio, i suoi occhi orgogliosi.
Dama del Weyr, tu veglia; Dama del Weyr, tu apprendi
qualche cosa di nuovo ad ogni Giro;
il più antico può essere il più freddo.
Devi intuire il giusto: trova il vero!
Anche se gli ordini di F’lar, nei mesi seguenti, non posero fine alle discussioni e ai mormorii tra la gente del Weyr, a Lessa sembrarono Punico risultato logico del loro colloquio, dopo che Ramoth ebbe finito di deporre l’esaltante totale di quarantun uova.
F’lar cominciò ad abbandonare parecchie tradizioni, suscitando risentimenti non soltanto nell’animo conservatore di R’gul…
Disgustata delle dottrine ormai logore che tanto l’avevano irritata durante il periodo in cui R’gul era Comandante del Weyr, e piena di rispetto per l’intelligenza di F’lar, Lessa l’appoggiava senza riserve. Forse non avrebbe mantenuto la promessa di credergli fino alla primavera, se non avesse visto realizzarsi, una dopo l’altra, tutte le sue predizioni. Queste, tuttavia, non erano basate sulle premonizioni di cui lei non si fidava più dopo la sua esperienza nel tempo; erano fondate su fatti documentati.
Non appena i gusci delle uova s’indurirono e Ramoth ebbe fatto rotolare da una parte l’uovo dorato, scostandolo da quelle chiazzate per covarlo meglio, F’lar condusse sul Terreno della Schiusa gli aspiranti cavalieri. Secondo la tradizione, i candidati dovevano vedere le uova per la prima volta il giorno dello Schema di Apprendimento. A quel nuovo precedente, F’lar ne aggiunse altri: ben pochi dei sessanta e più ragazzi erano nati e cresciuti nel Weyr, e quasi tutti avevano passato i quindici anni. I candidati dovevano abituarsi alle uova, toccarle, accarezzarle, accettare l’idea che ne sarebbero usciti giovani draghi, ansiosi di ricevere l’Apprendimento. F’lar era convinto che quegli esercizi sarebbero serviti a ridurre il numero dei morti e dei feriti durante l’Apprendimento; in passato, i ragazzi erano troppo spaventati per aver la presenza di spirito di togliersi dal percorso dei piccoli draghi impacciati.
F’lar aveva poi chiesto a Lessa di convincere Ramoth a lasciar avvicinare Kylara al suo prezioso uovo dorato. Kylara si affrettò a svezzare il figlioletto e prese a trascorrere ore intere accanto all’uovo dorato, mentre Lessa l’istruiva. Nonostante il suo attaccamento, non troppo stretto, a T’bor, Kylara dimostrava un’aperta preferenza per la compagnia di F’lar. Lessa, perciò, s’impegnò a fondo per realizzare il progetto ideato da F’lar, perché significava che Kylara si sarebbe trasferita al Weyr di Fort con la regina neonata.
F’lar aveva scelto come candidati molti giovani nati nelle Fortezze anche per un altro scopo. Poco prima della Schiusa e dell’Apprendimento, Lytol, il Connestabile della Fortezza di Ruatha, inviò un altro messaggio.
«Sembra che quell’uomo si diverta a mandare brutte notizie,» osservò Lessa, quando F’lar passò a lei la pergamena.
«È sempre pessimista,» ammise F’nor. Era stato lui a portare il messaggio. «Quel bambino mi fa pena, sempre a contatto con un individuo così tetro.»
Lessa fissò il cavaliere marrone aggrottando la fronte. Si irritava ancora ogni volta che sentiva parlare del figlio di Gemma, ora Signore della Fortezza che era appartenuta ai suoi antenati. Eppure… poiché involontariamente aveva causato la morte della madre del piccino, e poiché non poteva essere nello stesso tempo Dama del Weyr e Signore di una Fortezza, era giusto che Jaxom, il figlio di Gemma, fosse il Signore di Ruatha.
«Io, comunque,» osservò F’lar, «gli sono grato per i suoi avvertimenti. Sospettavo che prima o poi Meron avrebbe ricominciato a creare fastidi.»
«Ha gli occhi sfuggenti, come Fax,» commentò Lessa.
«Occhi sfuggenti o no, è molto pericoloso,» rispose F’lar. «E non posso permettere che continui a spargere la voce che noi scegliamo apposta uomini del Sangue per indebolire le Casate.»
«Comunque, abbiamo scelto più figli di artigiani che figli di Signori,» sbuffò F’nor.
«A me non va che continui a ripetere che i Fili non sono comparsi,» fece cupamente Lessa.
F’lar scrollò le spalle.
«Appariranno a tempo debito. Per fortuna, il clima si è mantenuto freddo. Quando migliorerà e farà più caldo, e i Fili continueranno a non farsi vedere, allora mi preoccuperò.» Sorrise a Lessa, per ricordare la promessa che gli aveva fatto.
F’nor si schiarì la gola e distolse lo sguardo.
«Comunque,» proseguì il Comandante del Weyr in tono energico, «posso fare qualcosa per quanto riguarda l’altra accusa.»
Perciò, quando fu chiaro che le uova erano ormai sul punto di schiudersi, F’lar infranse un’altra tradizione antichissima, e mandò i cavalieri a prelevare, nelle Fortezze e nei quartieri degli artigiani, i padri dei giovani candidati.
La grande Caverna della Schiusa sembrava quasi piena. Gli abitanti del Weyr e gli ospiti venuti dalle Fortezze assistevano alla scena dai ripiani elevati, a una certa distanza dal Terreno surriscaldato. Questa volta, osservò Lessa, non c’era più una atmosfera di paura. I giovani candidati erano tesi, questo sì, ma non atterriti alla vista delle uova che ondeggiavano e si scheggiavano. Quando i piccoli draghi, dai movimenti ancora mal coordinati, inciampavano goffamente (e a Lessa sembrò che si guardassero volutamente intorno, scrutando i volti ansiosi dei ragazzi come se avessero già ricevuto un pre-Apprendimento), i giovani o si facevano da parte o avanzavano premurosi, mentre il drago pigolante faceva la sua scelta. Gli Apprendimenti si compirono rapidamente, e non vi furono incidenti. Anche troppo presto, pensò Lessa, il trionfale corteo di draghetti barcollanti e di nuovi, fierissimi cavalieri uscì ondeggiando dal Terreno della Schiusa per raggiungere le caserme.
La giovane regina uscì dal guscio e si avviò senza sbagliare verso Kylara, che stava ritta, fiduciosa, sulla sabbia calda. I draghi che assistevano alla scena mormorarono la loro approvazione.
«È finito troppo presto,» disse quella sera Lessa a F’lar, in tono deluso.
Lui rise indulgente, concedendosi una rara serata di quiete, dopo che un’altra fase del suo piano si era realizzata secondo le previsioni. Gli ospiti delle Fortezze erano stati riportati a casa, abbagliati e storditi, molto impressionati a loro volta dal Weyr e dal Comandante del Weyr.
«È perché questa volta tu stavi a guardare,» osservò F’lar, scostandosi dalla fronte una ciocca di capelli neri che gl’impediva di guardare il profilo di Lessa. Rise di nuovo. «Penso avrai notato che Naton…»
«N’ton,» lo corresse lei.
«Giusto, N’ton… Ha compiuto lo Schema di Apprendimento di un bronzeo.»
«Esattamente come tu avevi predetto,» rispose lei, con una sfumatura di asprezza.
«E Kylara è la Dama del Weyr di Pridith.»
Lessa non rispose a quell’ultima frase, e fece del suo meglio per ignorare la risata di lui.
«Chissà con quale bronzeo farà il volo nuziale,» mormorò F’lar, sottovoce.
«Sarà meglio per tutti se si tratterà di Orth, il drago di T’bor,» fece Lessa, stizzita.
F’lar le rispose nell’unico modo in cui poteva rispondere un uomo saggio.
Crepita, polvere, polvere nera,
vola nell’aria gelida e smossa,
venuta dallo Spazio, persa polvere
della nuda Stella Rossa.
Lessa si svegliò all’improvviso; la testa le doleva, la bocca era arida, la vista confusa. Ricordò immediatamente un incubo terribile che, con la stessa rapidità, svanì dal suo ricordo. Si scostò i capelli dal volto e notò, stupita, che il suo corpo era madido di sudore.
«F’lar?» chiamò, con voce incerta. Evidentemente, lui si era alzato prima. «F’lar,» chiamò di nuovo, più forte.
Sta arrivando, l’informò Mnementh. Lessa sentì che il drago stava atterrando sul cornicione in quel momento. Stabilì un contatto con Ramoth e si accorse che anche la regina era stata turbata da sogni informi e spaventosi: si svegliò per qualche attimo e poi tornò a piombare in un sonno profondo.
Sconvolta da vaghe paure, Lessa si alzò e si vestì, dimenticando di fare il bagno per la prima volta da quando era arrivata al Weyr.
Si avvicinò al pozzo di servizio e ordinò la colazione, e poi, mentre aspettava, si intrecciò i capelli con dita esperte.
Il vassoio apparve sulla piattaforma proprio nel momento in cui entrava F’lar, che continuava a voltarsi indietro per lanciare lunghe occhiate a Ramoth.
«Che cosa le ha preso?»
«Sta riecheggiando il mio incubo. Mi sono svegliata immersa in un sudore freddo.»
«Dormivi piuttosto tranquilla quando me ne sono andato per assegnare i servizi di pattugliamento. Sai, questi giovani draghi crescono in fretta, e sono già capaci di fare qualche volo non troppo lungo. Non fanno altro che mangiare e dormire, e…»
«… ed è così che un drago cresce,» finì Lessa. Sorseggiò pensierosa il klah caldo e fumante. «Sarai molto prudente nell’istruirli, non è vero?»
«Per impedire che volino in mezzo nel tempo inavvertitamente, vuoi dire? Certo,» assicurò F’lar. «Non voglio vedere cavalieri che, per vincere la noia, si divertono a passare irresponsabilmente da un tempo all’altro.» E le lanciò una lunga occhiata severa.
«Beh, non è stata colpa mia se nessuno mi ha insegnato a volare abbastanza presto,» rispose lei, con il tono dolce che adoperava quando era d’umore particolarmente malizioso. «Se fossi stata istruita a partire dal giorno dell’Apprendimento fino a quello del mio primo volo, non avrei mai scoperto quel trucco.»
«Questo è vero,» ammise F’lar solennemente.
«Vedi, F’lar, se l’ho scoperto io, deve averlo scoperto anche qualcun altro, e qualcun altro può scoprirlo. Se pure non l’hanno già fatto.»
F’lar bevve, facendo una smorfia quando il klah bollente gli scottò la lingua.
«Non so in che modo potrò riuscire a saperlo. Saremmo due sciocchi, se credessimo di essere stati i primi. In fondo, si tratta di una facoltà che è innata nei draghi, altrimenti non ci saresti mai riuscita.»
Lessa aggrottò la fronte, trasse un profondo respiro, poi alzò le spalle.
«Continua,» l’incoraggiò F’lar.
«Ecco, non è possibile che la nostra convinzione circa l’imminenza della caduta dei Fili derivi dal fatto che uno di noi è tornato indietro nel tempo, in un periodo in cui i Fili sono caduti veramente? Voglio dire…»
«Mia cara ragazza, abbiamo analizzato tutti i pensieri e tutte le parole… persino il tuo sogno di questa mattina ti ha sconvolto, anche se indubbiamente era dovuto a tutto il vino che hai bevuto ieri sera… E ormai non saremmo più in grado di riconoscere un vero presentimento, neppure se venisse a prenderci a schiaffi.»
«Non riesco a liberarmi dall’idea che questa capacità di volare in mezzo nel tempo abbia un valore eccezionale,» disse Lessa, sottolineando le parole.
«Questo, mia cara Dama del Weyr, è davvero un presentimento autentico.»
«Ma perché?»
«Non perché,» la corresse lui, in tono enigmatico. «Quando.» Un’idea stava incominciando a prendere forma, in fondo alla sua mente. Cercò di spingerla fuori, in modo da poterla rimuginare adeguatamente. In quel momento, Mnementh annunciò che F’nor stava entrando nell’alloggio.
«Che cosa ti è capitato?» chiese F’lar al fratellastro, che tossiva e sputacchiava, il volto arrossato in un parossismo convulso.
«Polvere…» tossì F’nor, battendo i guanti della tenuta di volo sulle maniche e sul petto. «Una quantità enorme di polvere, ma niente Fili,» disse, disegnando un ampio arco con un braccio, e agitando le dita. Poi batté i guanti sui calzoni di pelle di wher, e fece una smorfia nel veder cadere una nuvola di finissima polvere nera.
F’lar sentì tutti i muscoli del proprio corpo tendersi, mentre seguiva con lo sguardo la polvere che scendeva a posarsi sul pavimento.
«Dove ti sei impolverato in quel modo?» domandò.
F’nor gli lanciò un’occhiata di blanda sorpresa.
«Servizio di pattugliamento meteorologico a Tillek. In questi ultimi tempi, tutto il settentrione è stato investito da tempeste di polvere. Ma ero venuto per…» S’interruppe, allarmato dalla tesa immobilità di F’lar. «Perché ti interessa tanto la polvere?» chiese con voce perplessa.
F’lar girò sui tacchi e corse verso la scala che portava alla Sala delle Cronache Lessa lo seguì immediatamente, F’nor con maggior calma.
«Tillek, hai detto?» gridò F’lar al suo vicecomandante. Stava sbarazzando la tavola dei mucchi di pergamene per poter spiegare le quattro carte. «Da quanto tempo sono cominciate queste tempeste di polvere? Perché non le hai segnalate?»
«E perché dovevamo segnalare le tempeste di polvere? Tu volevi essere informato sulle masse d’aria calda.»
«Da quanto tempo sono cominciate queste tempeste di polvere?» ripeté F’lar, con voce spezzata.
«Circa una settimana fa.»
«Come, circa?»
«Sei giorni fa è stata segnalata la prima tempesta, nella parte settentrionale di Tillek. Ne sono state segnalate a Bitra, Telgar settentrionale, Crom, e nelle Terre Alte,» riferì conciso F’nor.
Lanciò un’occhiata speranzosa a Lessa, ma si accorse che anche lei stava guardando le quattro strane carte. Cercò di capire perché sulla massa continentale di Pern fossero state sovrapposte quelle strisce orizzontali e verticali, ma non riuscì a comprenderne la ragione.
F’lar prendeva rapidamente appunti, allontanando da sé prima un diagramma, poi un altro.
«C’ero troppo dentro per pensare chiaramente, per vedere chiaramente, per capire,» ringhiò il Comandante del Weyr, parlando a se stesso, e lasciò cadere lo stilo, con un gesto rabbioso.
«Tu avevi parlato solo delle masse d’aria calda,» disse umilmente F’nor; aveva la sensazione di avere deluso, in qualche modo, il suo Comandante.
F’lar scrollò il capo impaziente.
«Non è stata colpa tua, F’nor. È stata colpa mia. Avrei dovuto chiederlo. Sapevo che era una fortuna che il clima si mantenesse così freddo.» Posò le mani sulle spalle del fratellastro e lo guardò negli occhi. «I Fili sono caduti,» annunciò con aria grave. «Sono caduti nell’aria fredda, e si sono congelati e frantumati, sono stati trasportati dal vento.» Agitò le dita, imitando il gesto di F’nor. «Come granelli di polvere nera.»
«’Crepita, polvere, polvere nera’,» citò Lessa. «Nella Ballata del Volo di Moreta, il ritornello parla solo di polvere nera.»
«Non è necessario che mi ricordi Moreta proprio in questo momento,» ringhiò F’lar, chinandosi sulle carte. «Lei poteva parlare a tutti i draghi dei Weyr.»
«Ma so farlo anch’io!» protestò Lessa.
Lentamente, come se fosse incapace di credere alle proprie orecchie, F’lar si voltò verso Lessa.
«Che cosa hai detto?»
«Ho detto che posso parlare con tutti i draghi del Weyr.»
Senza distogliere lo sguardo da lei, sbattendo le palpebre sbalordito, F’lar si lasciò cadere sul piano della tavola.
«Da quanto tempo,» riuscì a chiedere, «possiedi questa particolare facoltà?»
Qualcosa, nel suo tono e nel suo atteggiamento, fece arrossire e balbettare Lessa come un ragazzino colpevole.
«Io… io ho sempre potuto farlo. Cominciando con il wher da guardia di Ruatha.» Con un gesto indeciso della mano indicò la direzione della Fortezza. «E a Ruatha ho parlato con Mnementh. E… e quando sono arrivata qui, mi sono accorta che riuscivo a…» La voce le si spezzò, davanti allo sguardo accusatore degli occhi freddi e duri di F’lar. Era uno sguardo accusatore e, peggio, sprezzante.
«Mi pareva che avessi accettato di aiutarmi, di credere in me.»
«Mi dispiace veramente, F’lar. Non ho mai pensato che potesse servire a qualcosa, ma…»
F’lar balzò in piedi, gli occhi lampeggianti d’irritazione.
«La sola cosa che non riuscivo a immaginare era il modo per dare direttive agli squadroni e per tenere i contatti con il Weyr durante un attacco, per assicurarmi viveri e pietre focaie in tempo. E tu… tu hai continuato a startene zitta, per dispetto, a nascondermi il…»
«Io NON l’ho fatto per dispetto!» gridò Lessa. «Ho detto che mi dispiace. È vero, mi dispiace. Ma tu hai la pessima abitudine di tenere per te i tuoi segreti. Come potevo sapere che non ne fossi capace anche tu, di fare quello che faccio io? Tu sei F’lar, il Comandante del Weyr; tu puoi fare qualunque cosa Ma sei quasi peggio di R’gul, perché non mi dici mai neppure metà delle cose che dovrei sapere…»
F’lar l’afferrò, la scosse, fino a quando la voce incollerita di lei tacque.
«Basta così. Non possiamo sprecare il tempo a litigare come bambini.» Poi spalancò gli occhi e schiuse le labbra. «Sprecare il tempo? Ci sono!»
«Andare in mezzo nel tempo?» ansimò Lessa.
«In mezzo nel tempo!»
F’nor era completamente disorientato.
«Di cosa state parlando, voi due?»
«I Fili hanno incominciato a cadere all’alba a Nerat,» disse F’lar, gli occhi scintillanti, il tono sicuro.
F’nor si sentì congelare le viscere per l’apprensione. All’alba a Nerat? Le foreste pluviali sarebbero state distrutte. Sentì l’ondata di adrenalina scorrergli nel sangue, al pensiero di quel pericolo.
«Quindi torneremo indietro laggiù, in mezzo nel tempo, e saremo là quando i Fili cominceranno a cadere, due ore fa. F’nor, i draghi possono andare non solo dove, ma anche quando vogliamo noi.»
«Dove? Quando?» ripeté F’nor, sbigottito. «Potrebbe essere molto pericoloso.»
«Sì, ma oggi questo salverà Nerat. E adesso, Lessa,» F’lar le diede un’altra scrollata, in un gesto fatto di orgoglio e di affetto, «ordina che escano tutti i draghi, giovani e vecchi, tutti quelli in grado di volare. Digli di caricarsi al massimo di sacchi di pietre focaie. Non so se puoi parlare attraverso il tempo…»
«Il mio sogno, stamattina…»
«Forse. Ma adesso sveglia il Weyr.» F’lar girò su se stesso, rivolgendosi a F’nor. «Se i Fili stanno cadendo… se cadevano a Nerat all’alba, cioè, cadranno su Keroon e su Ista in questo momento, perché sono in quella zona oraria. Porta due squadroni a Keroon. Dai l’allarme a quelli delle pianure, di loro di cominciare ad accendere i fuochi nelle fosse. Porta con te alcuni giovani e mandali a Igen e a Ista. Quelle Fortezze non corrono un pericolo immediato come Keroon. Ti manderò rinforzi appena mi sarà possibile. E… tieni Canth in contatto continuo con Lessa.»
Batté una mano sulla spalla del fratello e lo congedò. Il cavaliere marrone era troppo abituato a prendere ordini per mettersi a discutere.
«Mnementh dice che R’gul è l’ufficiale di guardia e vuole sapere,» cominciò Lessa.
«Andiamo, ragazza,» disse F’lar, gli occhi scintillanti. Raccattò le sue carte, sospingendo Lessa verso la scala.
Arrivarono nella sala nello stesso momento in cui entrava R’gul, in compagnia di T’sum. R’gul stava brontolando sottovoce per protestare contro quelle convocazioni impreviste.
«Hath mi ha detto di presentarmi a rapporto,» disse, lamentosamente. «Che bella cosa, quando il tuo drago…»
«R’gul, T’sum, preparate i vostri squadroni. Armatevi con tutte le pietre focaie che possono trasportare, e radunateli al di sopra della Pietra della Stella. Vi raggiungerò fra pochi minuti. Andiamo a Nerat all’alba.»
«A Nerat? Io sono ufficiale di guardia, non del servizio di pattugliamento…»
«Non si tratta di un pattugliamento,» l’interruppe F’lar.
«Ma,» interruppe T’sum, spalancando gli occhi. «A Nerat l’alba è stata due ore fa, come da noi.»
«Ed è proprio quello, il tempo in cui andiamo, cavaliere marrone. Abbiamo scoperto che i draghi possono andare in mezzo da un luogo all’altro temporalmente e non solo geograficamente. All’alba, i Fili sono caduti su Nerat. Noi torneremo indietro, in mezzo nel tempo, per cancellarli dal cielo.»
F’lar non badò a R’gul, che stava balbettando una richiesta di spiegazioni. T’sum, comunque, si affrettò ad afferrare sacchi di pietre focaie e corse verso il cornicione dove lo stava aspettando il suo Munth.
«Svegliati, vecchio sciocco,» disse Lessa a R’gul, in tono irascibile. «I Fili stanno cadendo. Avevi torto. Adesso comportati da dragoniere. Oppure va’ in mezzo e restaci!»
Ramoth, risvegliata dagli allarmi, sospinse R’gul con la testa colossale, e l’ex Comandante del Weyr si riscosse dallo shock momentaneo. Senza aggiungere una parola, seguì T’sum lungo la galleria.
F’lar aveva indossato la pesante tunica di pelle di wher e si stava infilando gli stivali da volo.
«Lessa, trasmetti messaggi a tutte le Fortezze. Ora, questo attacco cesserà tra quattro ore circa. Quindi il punto più occidentale che può raggiungere è Ista. Ma voglio che siano avvertite tutte le Fortezze e tutte le Arti.»
Lei annuì, fissandolo intenta per non perdere neppure una parola.
«Fortunatamente, la Stella Rossa sta appena iniziando il Passaggio, quindi per qualche giorno non avremo da preoccuparci per altri attacchi. Calcolerò il momento del prossimo al mio ritorno.
«Adesso, avverti Manora che organizzi le sue donne. Avremo bisogno di secchi e secchi di unguento. I draghi verranno avvolti dai Fili, e soffriranno molto. Una cosa importante: se succede qualcosa, dovrai aspettare che un bronzeo abbia almeno un anno per accompagnare Ramoth nel volo nuziale…»
«Nessuno accompagnerà Ramoth nel volo nuziale, tranne Mnementh,» gridò lei, con gli occhi che scintillavano.
F’lar la strinse a sé, premendole \ la bocca sulla bocca come per portare con sé tutta la dolcezza e tutta la forza di lei. La lasciò andare così bruscamente che Lessa indietreggiò vacillando contro la testa abbassata di Ramoth. Si aggrappò per un attimo alla sua regina, per cercare sostegno e sicurezza.
Cioè, se Mnementh riesce ad acchiapparmi, la corresse Ramoth, in tono soddisfatto.
Ruotate e giratevi,
o sanguinate e bruciatevi.
Volate in mezzo,
azzurri e verdi.
Libratevi e tuffatevi,
bronzei e marroni.
I dragonieri devono volare
quando i Fili sono in cielo.
Mentre F’lar si lanciava a corsa nella galleria che conduceva al cornicione, con i sacchi di pietre focaie che gli battevano contro le cosce, era contento di aver ordinato e compiuto i noiosi voli di pattugliamento su ogni Fortezza e su ogni depressione di Pern. Adesso poteva vedere chiaramente Nerat nella propria mente. Poteva vedere i fiordivite dai molti petali, caratteristica distintiva delle foreste pluviali in quel periodo dell’anno. I boccioli color avorio dovevano risplendere, nei primi raggi del sole, come occhi di drago, tra le alte piante a foglie larghe.
Mnementh, con gli occhi che lampeggiavano per l’eccitazione, era librato vicinissimo al cornicione. F’lar gli volteggiò sul collo bronzeo.
Il Weyr era un ribollire di ali d’ogni colore, ed echeggiava di grida e di ordini. L’atmosfera era elettrica, ma F’lar non avvertiva il minimo panico in quella confusione ordinata. Dalle aperture delle pareti della Conca uscivano draghi ed esseri umani. Le donne attraversavano frettolose il fondovalle, passando da una Caverna Inferiore all’altra. I bambini che giocavano in riva al lago vennero mandati a raccogliere legna per il fuoco. I giovani, sotto la guida del vecchio C’gan, si stavano schierando davanti alle caserme. F’lar alzò gli occhi verso il Picco e approvò la formazione serrata degli squadroni radunati in ordine di volo. Mentre guardava, si formò un altro squadrone. Riconobbe Canth, che portava F’nor sul collo, proprio nell’istante in cui l’intero squadrone sparì.
Ordinò a Mnementh di prendere quota. Il vento era freddo, e portava un sentore di umidità. Una nevicata tardiva? Sarebbe venuta nel momento più opportuno.
Lo squadrone di R’gul e quello di T’bor si aprirono a ventaglio sulla sua sinistra, quelli di T’sum e di D’nol alla sua destra. Notò che tutti i draghi erano stati caricati di sacchi. Poi trasmise a Mnementh la visualizzazione della foresta pluviale di Nerat all’inizio della primavera, un attimo prima dell’alba, con i fiordivite che brillavano, e il mare che si frangeva contro le rocce della Scogliera.
Sentì il freddo bruciante del mezzo; e nello stesso tempo si sentì trafiggere dal dubbio. Non era stato un incosciente, mandando i suoi, forse, incontro alla morte in mezzo al tempo, in quel tentativo di precedere i Fili a Nerat?
Poi emersero tutti nella luce livida che prometteva l’imminenza del giorno. I profumi lussureggianti della foresta pluviale li avvolsero. Era caldo, e questo era spaventoso. F’lar alzò lo sguardo, un poco verso settentrione. La Stella Rossa splendeva, pulsante di minaccia.
Gli uomini si erano resi conto di ciò che era accaduto, e le loro voci si levarono in esclamazioni di sbalordimento. Mnementh riferì a F’lar che i draghi erano un po’ sorpresi delle reazioni dei loro piloti.
«Ascoltatemi, dragonieri,» esclamò F’lar, con voce aspra e distorta nello sforzo di farsi udire. Attese che tutti gli uomini si fossero portati il più possibile vicini a lui. Disse a Mnementh di passare le informazioni agli altri draghi. Poi spiegò ciò che avevano fattto e perché. Nessuno parlò; ma molti si scambiarono occhiate cariche di nervosismo.
F’lar ordinò di spiegarsi a ventaglio, in formazione scalare, mantenendo una distanza di cinque ampiezze d’ali in senso verticale.
Il sole si levò.
Dal cielo, come una nebbia sempre più densa, scendevano obliqui attraverso il mare i Fili silenziosi, bellissimi, traditori. Quelle spore che avevano varcato lo spazio erano grigioargentee; dagli ovali duri e gelati erano spuntati rozzi filamenti, al contatto con il caldo involucro atmosferico di Pern. Del tutto privi di intelligenza, erano stati scagliati dal loro pianeta spoglio in direzione di Pern, in una pioggia terribile che cercava la materia organica per nutrirsi e crescere. Un Filo caduto sul terreno fertile penetrava profondamente propagandosi nel suolo caldo e devastandolo fino a ridurlo un deserto di polvere nera. Il continente meridionale di Pern era già stato inaridito in quel modo. I veri parassiti di Pern erano i Fili.
Un ruggito soffocato eruppe dalle gole di ottanta uomini e draghi, lacerando l’aria mattutina sopra le verdi alture di Nerat… Come se i Fili potessero udire quella sfida, pensò F’lar.
All’unisono, i draghi girarono le teste aguzze verso i loro piloti per ricevere le pietre focaie. Le grandi mascelle macerarono i pezzi di minerale, i frammenti vennero inghiottiti; gli animali chiesero altre pietre focaie. Entro il loro organismo gli acidi ribollivano, si preparavano le velenose fosfine. Quando i draghi avrebbero eruttato il gas, questo si sarebbe acceso a contatto dell’aria, in una fiamma devastante che avrebbe spazzato via i Fili dal cielo, li avrebbe arsi nel suolo.
Nel momento in cui i Fili incominciarono a cadere al di sopra delle spiagge di Nerat, l’istinto dei draghi prese il sopravvento.
Sebbene F’lar avesse sempre nutrito una sincera ammirazione per il suo compagno bronzeo, la sentì ingigantire nelle ore che seguirono. Battendo l’aria a grandi colpi d’ala, Mnementh si levò con l’alito fiammeggiante, incontro alla minaccia che calava dal cielo. I fumi, ricacciati indietro dal vento, soffocarono l’uomo, fino a quando questi decise di acquattarsi basso sul lato opposto del collo bronzeo. Il drago lanciò uno strillo, quando un Filo gli sfiorò la punta di un’ala. Immediatamente Mnementh e F’lar balzarono nel mezzo, freddo, sereno e nero. Il Filo, congelato, si frantumò. In un batter d’occhio, ritornarono ad affrontare la realtà dei Fili.
Attorno a sé, F’lar vide i draghi sparire nel mezzo e riapparire, lanciando fiamme, tuffarsi in picchiata e cabrare verso l’alto. Mentre l’attacco continuava e loro si spostavano al di sopra di Nerat, F’lar incominciò a riconoscere lo schema dei movimenti istintivi con cui i draghi schivavano e attaccavano. E anche i Fili avevano uno schema. Contrariamente a quanto aveva dedotto studiando le Cronache, i Fili cadevano a gruppi. Non come la pioggia, in rovesci continui e ininterrotti, ma come refoli di neve, spazzati all’improvviso qua e là; e mai in modo fluido, nonostante il loro nome.
All’improvviso, scorgevi una massa sopra di te. Allora il tuo drago saliva fiammeggiando. Provavi la gioia intensa di vedere quella massa raggrinzirsi, dal basso all’alto. Qualche volta, una massa riusciva a cadere nello spazio vuoto, in mezzo ai combattenti. Allora un drago segnalava che s’incaricava di seguirla, e si tuffava in picchiata, lanciando fiamme.
Gradualmente, i dragonieri si mossero al di sopra delle foreste pluviali, di un verde denso e invitante. F’lar rifiutò di pensare a ciò che sarebbe stato di quella terra lussureggiante, se anche un solo Filo fosse riuscito ad affondare nel suolo. Più tardi, avrebbe dovuto mandare una pattuglia a bassa quota, ad ispezionare ogni metro quadrato. Bastava un Filo, un Filo solo, per spegnere per sempre gli occhi d’avorio dei luminosi fiordivite.
Da qualche parte, sulla sua sinistra, un drago urlò. Prima che F’lar potesse identificarlo, s’era già rifugiato in mezzo. Udì altre grida di dolore, lanciate non solo dai draghi ma anche dagli uomini. Si concentrò, come facevano i draghi, sul presente immediato. Mnementh avrebbe ricordato, più tardi, quelle grida penetranti? F’lar si augurò che li dimenticasse, almeno in quel momento.
All’improvviso si sentì superfluo. Erano i draghi a combattere. Gli uomini incoraggiavano i loro animali, li confortavano quando i Fili li scottavano, ma dipendevano interamente dal loro istinto e dalla loro velocità.
Un fuoco ardente sgocciolò lungo la guancia di F’lar, penetrando come acido nella sua spalla… Dalle labbra gli eruppe un grido di sorpresa e di sofferenza. Misericordiosamente, Mnementh lo portò in mezzo. Il dragoniere lottò con le mani frenetiche contro i Fili, li sentì sbriciolarsi nel freddo intenso del mezzo, staccarsi spezzati. Disgustato, batté le mani sulle ferite che bruciavano ancora. Quando furono tornati nell’aria umida di Nerat, il bruciore parve calmarsi. Mnementh fece udire un mormorio di conforto, poi si tuffò in picchiata verso una massa di Fili, alitando fuoco.
F’lar esaminò frettolosamente le spalle del drago, cercandovi i segni delle possibili ustioni.
Sono molto veloce nelle schivate, gli disse Mnementh, allontanandosi da una massa di Fili pericolosamente vicina. Un drago marrone li seguì nella picchiata e ridusse i Fili in cenere.
Forse qualche attimo dopo, o forse qualche centinaio d’ore dopo, F’lar abbassò lo sguardo, sorpreso, sul mare illuminato dal sole. I Fili, adesso, cadevano innocui nell’acqua salata. Nerat era ad Est, sulla sua destra, e l’estremità rocciosa si incurvava verso occidente.
F’lar sentiva la stanchezza in ogni muscolo. Nell’eccitazione della battaglia frenetica, aveva dimenticato le ustioni sanguinanti sulla guancia e sulla spalla. Ma adesso, mentre Mnementh planava lentamente, le ferite dolevano e bruciavano.
Disse a Mnementh di salire; quando ebbero raggiunto una quota sufficiente, rimasero librati lassù. Non riuscì a scorgere Fili che scendessero verso la terra. Sotto di lui, i draghi volavano, a quote diverse, cercando ogni possibile traccia delle tane, spiando nel timore di scorgere alberi che crollassero all’improvviso o piante che si sgretolassero.
«Torniamo al Weyr,» ordinò a Mnementh con un pesante sospiro. Udì il bronzeo trasmettere il comando agli altri, e nello stesso istante si ritrovò nel mezzo. Era così stanco che non visualizzò neppure il luogo, e tanto meno il tempo, affidandosi all’istinto del drago perché lo riportasse a casa attraverso il tempo e lo spazio.
Onora quelli che tengono i draghi
nel pensiero e nell’opera in favore.
Interi mondi son salvi o perduti,
e ciò dipende dal loro valore.
La testa levata verso la Pietra della Stella sul Picco di Benden, Lessa, dal cornicione, seguì i quattro squadroni con gli occhi, fino a quando sparirono.
Sospirando profondamente per quietare le sue paure, scese correndo le scale, verso il fondo del Weyr di Benden. Notò che qualcuno stava accendendo un fuoco accanto al lago, e che Manora già impartiva ordini alle donne, con voce chiara ma tranquilla.
Il vecchio C’gan aveva fatto schierare gli allievi. Scorse le occhiate invidiose dei nuovi dragonieri, affacciati alle finestre delle caserme. Avrebbero avuto tutto il tempo di cavalcare anche loro un drago fiammeggiante. F’lar aveva fatto capire che sarebbero trascorsi parecchi Giri, prima che gli attacchi dei Fili terminassero.
Lessa rabbrividì quando si avvicinò agli allievi, ma riuscì a rivolgere loro un sorriso. Riferì gli ordini, e li mandò ad avvertire le Fortezze, dopo aver controllato rapidamente con ogni drago, per accertare che i dragonieri avessero dati punti di riferimento ben chiari. Ben presto, le Fortezze avrebbero cominciato a ribollire.
Canth le disse che c’erano i Fili anche a Keroon: cadevano sulla parte della Baia di Nerat più vicina a Keroon. Le disse che secondo F’nor non sarebbero bastati due squadroni per proteggere gli ampi pascoli.
Lessa si fermò di colpo, cercando di calcolare quanti squadroni erano già usciti.
Lo squadrone di K’net è ancora qui, l’informò Ramoth in quel momento. Sul Picco.
Lessa alzò lo sguardo e vide il bronzeo Piyanth spiegare le ali in segno di risposta. Gli disse di recarsi in mezzo a Keroon, nei pressi della Baia di Nerat. Prontamente, l’intero squadrone si levò in volo, poi scomparve.
Lei si volse, con un sospiro, a dire qualcosa a Manora, quando una raffica di vento ed un orrendo fetore la fecero vacillare. Sopra il Weyr, l’aria era piena di draghi. Stava per chiedere a Piyanth perché non era andato a Keroon quando si accorse che lassù c’erano molti più draghi, in volo, dei venti dello squadrone di K’net.
Ma te ne sei appena andato! gridò, quando riconobbe la mole inconfondibile del bronzeo Mnementh.
Due ore fa, rispose Mnementh, in tono così stanco che Lessa, per simpatia, chiuse gli occhi.
Alcuni draghi stavano planando per rientrare, molto in fretta. Dalle loro mosse impacciate si capiva che erano stati feriti.
Subito le donne presero i secchi di unguento e gli stracci puliti, segnalando ai feriti di scendere. Il balsamo calmante venne spalmato sulle ustioni, nei punti in cui le ali sembravano coperte di festoni neri e rossi.
Per quanto potesse essere ferito seriamente, ogni cavaliere pensava prima a curare il proprio animale.
Lessa teneva d’occhio Mnementh, sicura che F’lar non avrebbe tenuto in volo l’enorme drago bronzeo, se fosse stato ferito. Intanto, aiutava T’sum a curare l’ala destra di Munth, dolorosamente trapassata; e notò all’improvviso che il cielo, al di sopra della Stella Rossa, era deserto.
Facendosi forza, finì di curare Munth prima di andare in cerca del grande drago bronzeo e del suo cavaliere. Quando li trovò anche Kylara, impegnata a spalmare unguento sulla guancia e sulla spalla di F’lar. Si avviò con aria decisa verso i due, quando fu raggiunta da un appello concitato di Canth. Vide Mnementh alzare di scatto la testa; anche lui aveva captato il messaggio del drago marrone.
«F’lar, Canth dice che hanno bisogno d’aiuto,» gridò Lessa. Non notò che Kylara si era dileguata tra le altre donne indaffarate.
F’lar non era ferito gravemente, Lessa se ne accertò subito. Kylara aveva già curato le ustioni, che parevano poco profonde. Qualcuno gli aveva procurato una nuova tunica, per sostituire quella lacerata dai Fili. Lui aggrottò la fronte, e rabbrividì perché la contrazione aveva irritato la ferita. Trangugiò in fretta il suo klah.
Mnementh, com’è il conteggio degli abili? Oh, lascia stare, rimandali in volo con un carico completo di pietre focaie.
«Come ti senti?» chiese, posandogli una mano sul braccio per trattenerlo. Non poteva andarsene così!
F’lar le rivolse un sorriso stanco, le mise tra le mani il boccale vuoto e gliele strinse con forza. Poi volteggiò sul collo di Mnementh. Qualcuno gli consegnò un pesante carico di sacchi.
Draghi azzurri, verdi, marroni e bronzei si innalzarono dalla Conca del Weyr in rapida successione. Poco più di sessanta animali si librarono per qualche istante nell’aria, là dove pochi minuti prima se ne erano innalzati ottanta.
Così pochi draghi, così pochi cavalieri! Per quanto tempo avrebbero potuto continuare?
Canth disse che F’nor aveva bisogno di altre pietre focaie.
Lessa si guardò attorno, ansiosamente. Nessuno degli allievi era ancora ritornato dalle missioni alle Fortezze. Un drago fece udire un lagno supplichevole. Lessa si voltò di scatto, ma era soltanto la piccola Pridith, che attraversava incespicando il Weyr, diretta ai campi del pasto urtando scherzosamente Kylara mentre camminava. Gli altri draghi rimasti erano tutti feriti o… Lo sguardo di Lessa cadde su C’gan, che stava uscendo in quel momento dall’alloggio degli allievi.
«C’gan, tu e Tagath potreste portare altre pietre focaie a F’nor, su Keroon?»
«Certamente,» la rassicurò il vecchio cavaliere azzurro, gonfiando il petto per l’orgoglio e con gli occhi scintillanti. Lessa non aveva pensato di inviarlo in missione da qualche parte, eppure lui aveva vissuto tutta la sua esistenza preparandosi per una situazione come quella. Non era giusto privarlo di quell’occasione.
Gli sorrise con aria d’approvazione; insieme, ammucchiarono pesanti sacchi di pietre focaie sul collo di Tagath. Il vecchio drago azzurro sbuffava e saltellava, come se fosse tornato giovane e forte. Lessa trasmise loro i punti di riferimento che Canth aveva visualizzato per lei.
Li seguì con lo sguardo, fino a quando i due scomparvero, al di sopra della Pietra della Stella.
Non è giusto che si divertano soltanto loro, commentò Ramoth, piccata. Lessa la scorse; stava prendendo il sole sul cornicione, e si allisciava le enormi ali.
«Prova pure a masticare pietre focaie, se vuoi ridurti come una di quelle stupide verdi,» le rispose seccamente Lessa. Ma in fondo, la protesta della regina la divertiva.
Poi passò in mezzo ai feriti. L’elegante, bellissima verde di B’fol gemeva scuotendo la testa, incapace di piegare un’ala ridotta a cartilagine. Sarebbe stata fuori causa per settimane intere, ma era anche la ferita più grave tra tutti i draghi. Lessa distolse rapidamente lo sguardo dall’infelicità e dalla preoccupazione che si scorgevano negli occhi di B’fol.
Mentre completava il giro, si accorse che i feriti erano più numerosi tra gli uomini che tra i draghi. Due appartenenti allo squadrone di R’gul avevano ricevuto gravi lesioni alla testa; uno avrebbe anche potuto perdere completamente un occhio. Manora gli aveva dato una pozione di erbe soporifere che gli aveva fatto perdere conoscenza. Un altro uomo aveva un braccio bruciato fin quasi all’osso. Per quanto gli altri feriti fossero assai meno gravi, il conteggio totale sconcertò Lessa. Quanti altri sarebbero stati messi fuori combattimento a Keroon?
Dei centosettantadue draghi, quindici erano già inservibili; molti, però, tra un ’giorno o due avrebbero potuto ritornare in azione.
Un pensiero colpì Lessa. Se N’ton era riuscito a guidare Canth, forse, nella prossima azione, avrebbe potato guidare il drago di qualche ferito, poiché gli uomini malconci erano più numerosi degli animali. F’lar infrangeva le traduzioni, quando lo riteneva necessario: quella era un’altra tradizione da abbandonare… purché i draghi fossero d’accordo.
E se N’ton non era l’unico dei nuovi cavalieri in grado di comunicare con un altro drago, quella particolare flessibilità poteva tornare utile, a lungo andare? F’lar aveva affermato che le incursioni non sarebbero state troppo frequenti all’inizio, quando la Stella Rossa stava appena incominciando il lungo Passaggio, destinato a durare cinquanta Giri. Ma quale sarebbe stata la frequenza? F’lar doveva saperlo; ma non era lì.
Bene, lui aveva avuto veramente ragione quella mattina, quando aveva parlato della comparsa dei Fili a Nerat; quindi lo studio svolto sulle Antiche Cronache era stato prezioso.
No, non era esatto. F’lar aveva dimenticato di avvertire gli uomini perché stessero attenti alla polvere nera, oltre che all’aumento della temperatura. Ma poiché aveva rimediato con la decisione di passare in mezzo nel tempo, Lessa era benignamente disposta a perdonargli quel piccolo errore. Ma F’lar aveva la pessima abitudine di indovinare esattamente le cose. Lessa si corresse una seconda volta. F’lar non indovinava. Studiava, preparava i piani. Rifletteva e si serviva del buon senso. Per esempio, aveva calcolato dove e quando i Fili avrebbero colpito, sulla base dei dati forniti da quelle Cronache puzzolenti. Lessa cominciò a vedere un poco più roseo il loro futuro.
E adesso, se lui fosse riuscito a fare in modo che i cavalieri imparassero ad affidarsi, in battaglia, all’istinto infallibile dei draghi, anche le perdite si sarebbero ridotte di numero.
Un grido trapassò l’aria e le orecchie, mentre un drago azzurro emergeva al di sopra della Pietra della Stella.
Ramoth! urlò Lessa, in una reazione istintiva, senza sapere perché. La regina era già in volo prima che l’eco del comando si fosse spento. Il drago azzurro era chiaramente in grave difficoltà, stava cercando di frenare lo slancio, ma una delle ali non funzionava più. La sua guida era scivolata in avanti sull’ampia spalla, e si aggrappava precariamente al collo dell’animale con una mano sola.
Lessa, le mani premute contro le labbra, seguì la scena con lo sguardo, spaventata. Non si udiva, nella Conca, altro suono che il battito delle ali immense di Ramoth. La regina si portò rapidamente in posizione accanto al drago azzurro, sorreggendolo con un’ala dalla parte del lato ferito.
Nella Conca si levò un gemito collettivo quando il cavaliere scivolò, lasciò la presa e cadde… finendo sulle ampie spalle di Ramoth.
Il drago azzurro precipitò come un sasso. Ramoth si fermò dolcemente accanto a lui, accovacciandosi per permettere ai soccorritori di raccogliere il ferito.
Era C’gan.
Lessa si sentì stringere il cuore quando vide come i Fili avevano ridotto il viso del vecchio. Si lasciò cadere in ginocchio accanto a lui, sorreggendogli il capo. Gli altri si raccolsero in cerchio attorno a loro, in un rispettoso silenzio.
Manora, sebbene fosse serena in volto come al solito, aveva gli occhi pieni di lacrime. S’inginocchiò e posò una mano sul cuore del vecchio cavaliere. Un’espressione preoccupata si dipinse sul suo volto, quando alzò gli occhi verso Lessa. Poi, stringendo le labbra, cominciò a spalmare l’unguento.
«Troppo vecchio e sdentato per lanciare fiamme e troppo lento per passare in mezzo,» mormorò C’gan, scuotendo il capo. «Troppo vecchio. Ma ’I dragonieri devono volare quando i Fili son nel cielo’…» La voce si spense in un sospiro; gli occhi si chiusero.
Lessa e Manora si scambiarono un’occhiata d’angoscia. Una nota terribile, penetrante spezzò il silenzio. Tagath si levò in volo con un balzo tremendo. Gli occhi di C’gan si riaprirono lentamente, ma già spenti. Lessa, trattenendo il respiro, seguì con lo sguardo il drago azzurro, cercando di negare l’inevitabile mentre Tagath scompariva nell’aria.
Da tutto il Weyr si levò un gemito sommesso, simile al grido solitario del vento. I draghi stavano rendendo il loro omaggio.
«È… andato?» chiese Lessa, sebbene lo sapesse già.
Manora annuì lentamente, le guance inondate di lacrime, mentre tendeva la mano per chiudere gli occhi spenti di C’gan.
Lessa si alzò lentamente, accennò ad alcune donne di portar via il corpo del vecchio cavaliere. Si asciugò distrattamente sulla gonna le mani insanguinate, cercando di pensare a ciò che restava ancora da fare.
Eppure il suo pensiero ritornava sempre a ciò che era appena accaduto. Era morto un cavaliere. E anche il suo drago. I Fili avevano già causato la perdita di una coppia. Quanti altri sarebbero morti in quel Giro crudele? Per quanto tempo avrebbe potuto sopravvivere il Weyr, anche dopo che i quaranta draghi di Ramoth fossero diventati adulti, e anche quelli che avrebbe concepito presto, e anche i figli delle sue figlie?
Lessa si allontanò, per acquistare le proprie incertezze e per calmare l’angoscia. Vide Ramoth volare in cerchio, ad alta quota, e poi planare atterrando sul Picco. Un giorno, presto, Lessa avrebbe dovuto vedere quelle ali d’oro segnate dalle brutture nere e rosse delle ustioni lasciate dai Fili? Ramoth sarebbe… scomparsa?
No, Ramoth non sarebbe scomparsa, finché Lessa fosse rimasta in vita.
F’lar le aveva detto, molto tempo prima, che lei doveva imparare a vedere oltre i confini ristretti della Fortezza di Ruatha e della vendetta. Come al solito, aveva avuto ragione, nella sua qualità di Dama del Weyr, sotto la guida di F’lar, aveva imparato anche che vivere non era soltanto allevare draghi e partecipare ai Giochi di Primavera. Vivere era lottare per fare qualcosa di impossibile: vincere o morire con la consapevolezza di avere tentato!
Lessa si accorse di avere, finalmente, accettato in modo totale il suo ruolo: come Dama del Weyr e come compagna di F’lar, doveva aiutarlo a forgiare uomini ed eventi per molti Giri futuri… per difendere Pern dai Fili.
Raddrizzò le spalle e alzò il mento.
Il vecchio C’gan lo meritava.
I dragonierí devono volare
quando i Fili son nel cielo!
Interi mondi son salvi o perduti
e ciò dipende dal loro valore.
Come F’lar aveva previsto, l’attacco ebbe termine a mezzogiorno, e i draghi e i cavalieri, esausti, furono accolti dall’acuto barrito di Ramoth, di vedetta sul Picco.
Lessa accertò che F’lar non aveva subito altre ferite, che quelle di F’nor erano superficiali, e che Manora teneva occupata Kylara nelle cucine. Poi si dedicò interamente a organizzare l’assistenza ai feriti.
Al crepuscolo, sul Weyr scese una pace irrequieta: il silenzio di menti e di corpi troppo stanchi o troppo doloranti per parlare. Lessa stava controllando l’elenco degli uomini e dei draghi feriti. Nella prossima battaglia contro i Fili sarebbero mancati ventotto tra uomini, e draghi. C’gan era l’unico caduto; ma a Keroon erano rimasti feriti gravemente quattro draghi e sette uomini, che sarebbero rimasti fuori combattimento per mesi interi.
Attraversò la Conca per raggiungere il suo alloggio, riluttante ma rassegnata a portare a F’lar quelle avvilenti notizie.
Aveva immaginato di trovarlo in camera da letto, ma lui non c’era. Ramoth stava già dormendo quando Lessa le passò accanto per recarsi nella Sala del Consiglio: anche quella era vuota. Perpelssa e un po’ allarmata, scese quasi correndo la scala che portava alla Sala delle Cronache, e vi trovò F’lar che studiava le pergamene ammuffite, il viso tirato ed esausto.
«Che ci fai, qui?» gli chiese, rabbiosamente. «Dovresti essere a dormire.»
«Anche tu,» rispose F’lar.
«Aiutavo Manora a curare i feriti…»
«A ciascuno il suo mestiere.» F’lar si risollevò dalla tavola, massaggiandosi il collo e ruotando la spalla illesa per sgranchire i muscoli irrigiditi.
«Non riuscivo a dormire,» ammise. «Così ho pensato di vedere cosa potevo trovare nelle Cronache.»
«Che cosa cerchi, ancora?» gridò Lessa, esasperata. Come se le Cronache avessero una risposta per tutto! Evidentemente, le tremende responsabilità della difesa di Pern cominciavano a pesare sul Comandante del Weyr. C’era stata la tensione della prima battaglia, la perdita di energie causata dal passaggio in mezzo al tempo per giungere a Nerat anticipando la caduta dei Fili.
F’lar sogghignò e accennò a Lessa di sedere accanto a lui, sulla panca accostata alla parete.
«Ho bisogno di trovare la risposta ad un problema assillante: come può un solo Weyr ad effettivi ridotti sostenere i combattimenti che dovrebbero essere condotti da sei Weyr?»
Lessa cercò di dominare il panico che l’assaliva salendo, come una marea gelida, dalle sue viscere.
«Oh, a questo provvederanno le tue tabelle dei tempi,» rispose, coraggiosamente. «Riuscirai a mantenere gli effettivi fino a quando i quaranta giovani draghi potranno unirsi agli altri.»
F’lar inarcò un sopracciglio, sarcasticamente.
«Siamo sinceri, Lessa.»
«Ma ci sono già stati lunghi Intervalli, prima d’ora,» ribatté lei. «E poiché Pern è sopravvissuta, può sopravvivere ancora.»
«In precedenza i Weyr erano sei. E venti o più Giri prima che la Stella Rossa incominciasse il Passaggio, le regine incominciavano a deporre covate enormi. Tutte le regine, non solo la nostra buona Ramoth. Oh, come maledico Jora!» Balzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro, ricacciandosi nervosamente dalla fronte la ciocca di capelli neri che cadeva a velargli gli occhi.
Lessa era dibattuta tra il desiderio di confortarlo e la paura soffocante che le rendeva difficile il pensare.
«Non eri così dubbioso…»
F’lar si girò di scatto.
«Non lo ero prima d’incontrare direttamente i Fili e di contare il numero dei feriti. Le probabilità sono contro di noi. Anche supponendo che possiamo montare altri cavalieri sui draghi illesi, sarà difficile riuscire a mantenere in volo continuamente un effettivo sufficiente, ed una guardia a terra.» Notò l’aria perplessa di lei e spiegò. «Domani bisognerà raggiungere Nerat a piedi. Sarei uno sciocco se credessi che siamo riusciti a cogliere e a bruciare tutti i Fili a mezz’aria.»
«Incarica i Signori delle Fortezze di provvedere a questo. Non possono murarsi nella sicurezza delle Fortezze Interne e lasciare che facciamo tutto noi. Se non fossero stati così egoisti e così stupidi in passato…»
F’lar l’interruppe con un gesto brusco.
«Faranno la loro parte,» le assicurò. «Ho convocato un Consiglio al gran completo per danni; tutti i Signori delle Fortezze e tutti i Maestri delle Arti. Ma non basta controllare dove cadono i Fili. Come si può distruggere quelli che sono penetrati in profondità? Le fiammate dei draghi vanno benissimo nell’aria e in superficie, ma non servono a nulla, un metro sottoterra.»
«Oh, a questo non avevo pensato. Ma le fosse…»
«… esistono soltanto sulle alture e attorno agli insediamenti umani, non nei pascoli di Keroon o nelle foreste pluviali di Nerat.»
Era un pensiero avvilente. Lessa ebbe una breve risata priva di gaiezza.
«Sono stata molto miope a pensare che i nostri draghi bastassero a liquidare i Fili. Eppure…» E alzò le spalle, in un gesto significativo.
«Ci sono altri metodi,» continuò F’lar. «O meglio, c’erano. Dovevano esserci. Mi è capitato spesso di leggere che le Fortezze organizzavano unità a terra, armate con il fuoco. Ma non viene mai spiegato di cosa si trattasse, forse perché allora lo sapevano tutti.» Alzò le mani in un gesto di disgusto e si lasciò ricadere sulla panca. «Neppure cinquecento draghi sarebbero bastati a bruciare tutti i Fili che sono caduti oggi. Eppure loro erano riusciti a mantenere Pern libero dai Fili.»
«Pern, certamente. Ma il Continente Meridionale non è andato perduto? Oppure erano troppo occupati a difendere Pern?»
«Nessuno si è occupato del Continente Meridionale almeno da centomila Giri,» ribatté F’lar.
«Sulle carte c’è,» gli ricordò Lessa.
Lui guardò con una smorfia di disgusto le Cronache ammucchiate sulla lunga tavola.
«La risposta deve essere lì. Da qualche parte.»
C’era una punta di disperazione nella sua voce; una specie di autoaccusa per non essere riuscito a scoprire quei dati sfuggenti.
«Almeno metà di quelle Cronache sarebbero ormai illeggibili anche per chi le ha scritte,» osservò Lessa in tono acido. «E poi, è stato grazie alle tue idee che abbiamo potuto cavarcela fino ad ora. Sei stato tu a compilare le tabelle dei tempi, e guarda quanto ci sono già state utili.»
«Mi sto mostrando di nuovo troppo incartapecorito, eh?» chiese F’lar, mentre un mezzo sorriso gli incurvava l’angolo della bocca.
«Sicuro,» gli garantì Lessa, ostentando una sicurezza che non provava. «Sappiamo bene tutti e due che le Cronache sono colpevoli di molte e ridicole omissioni.»
«Ben detto, Lessa. Perciò dimentichiamo questi precetti antiquati e fuorvianti e pensiamo con la nostra testa. Innanzi tutto, abbiamo bisogno di altri draghi. In secondo luogo, ne abbiamo bisogno adesso. Terzo, abbiamo bisogno di qualcosa di efficiente quanto un drago fiammeggiante per distruggere i Fili penetrati nel terreno.»
F’lar rise francamente, abbracciandola.
«Tu pensi a una cosa sola, no?» chiese, ironico, mentre l’accarezzava con mani impazienti.
Lessa cercò di respingerlo senza riuscirvi. Per quanto fosse stanco e ferito, era sorprendentemente pronto a far l’amore. Come quella Kylara. Immaginarsi la presunzione di quella donna, perché gli aveva curato le ferite!
«Tra le mie responsabilità come Dama del Weyr c’è anche quella di occuparmi di te, Comandante del Weyr.»
«Ma tu hai trascorso ore ed ore con i cavalieri azzurri e mi hai lasciato alle tenere premure di Kylara.»
«Non mi pareva che la cosa ti dispiacesse.»
F’lar rovesciò il capo all’indietro e rise.
«Cosa dovrei fare? Aprire il Weyr di Fort e mandarvi Kylara?» chiese, sarcastico.
«Preferirei che Kylara fosse lontana di qui parecchi Giri, oltre che parecchi chilometri,» scattò Lessa, irritatissima.
F’lar la fissò a bocca aperta e ad occhi sbarrati. Poi balzò in piedi con un grido sbalordito.
«L’hai detto!»
«Detto cosa?»
«Lontano parecchi Giri. Ecco la soluzione! Manderemo indietro Kylara, in mezzo nel tempo, la regina e i nuovi draghetti.» F’lar cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza, mentre Lessa cercava di seguire il suo ragionamento. «No, farò meglio a mandare almeno uno dei bronzei più vecchi. E anche F’nor… Preferisco che se ne occupi F’nor… in modo discreto, naturalmente…»
«Vuoi mandare Kylara indietro nel tempo… E dove? E quando?» lo interruppe Lessa.
«Domanda intelligente.» F’lar tirò fuori le solite carte. «Molto intelligente. Dove possiamo mandarli senza causare anomalie con la loro presenza in uno degli altri Weyr? Le Terre Alte sono lontane. No, abbiamo trovato tracce di fuochi ancora caldi, lassù, e non siamo riusciti a trovare tracce di chi li ha accesi. E se li avessimo già mandati indietro nel tempo, oggi sarebbero stati pronti, e invece non lo erano. Quindi non possono essere già stati in due posti contemporaneamente…» Scrollò il capo, abbagliato da quei paradossi.
Lo sguardo di Lessa fu attratto dai contorni vuoti del Continente Meridionale.
«Mandali là,» suggerì dolcemente, indicandolo.
«Ma là non c’è niente.»
«Porteranno con sé tutto il necessario. L’acqua deve esserci: quella i Fili non la divorano. Manderemo in volo tutto ciò di cui avranno bisogno: mangime per le mandrie, cereali…»
F’lar aggrottò la fronte, riflettendo. Gli brillavano gli occhi e aveva dimenticato l’avvilimento di pochi istanti prima.
«I Fili non potevano esserci, laggiù, dieci Giri fa. E non ce ne sono stati per quasi quattrocento Giri. Dieci basterebbero per dare a Pridith il tempo di maturare e di deporre moltissime covate. Magari anche altre regine.»
Poi inarcò le sopracciglia e scosse il capo, con aria improvvisamente dubbiosa.
«No, laggiù non ci sono Weyr, e non ci sono Terreni della Schiusa, e neppure…»
«Come facciamo a saperlo?» lo interruppe bruscamente Lessa, troppo soddisfatta di molti aspetti di quel progetto per essere disposta a rinunciarvi con facilità. «Le Cronache non parlano del Continente Meridionale, è vero; però omettono parecchie altre cose. Come possiamo essere sicuri che non sia tornato verde nei quattrocento Giri trascorsi da quando i Fili sono caduti per l’ultima volta? Sappiamo bene che i Fili non durano a lungo, se non trovano qualcosa di organico di cui nutrirsi. E quando hanno divorato tutto, si seccano e vengono spazzati via dal vento.»
F’lar la guardò con aria d’ammirazione.
«Ma perché nessuno ci ha pensato prima?»
«Troppo incartapecoriti,» fece Lessa, agitando un dito. «E poi, non c’era bisogno di pensarci.»
«La necessità… o dovrei dire la gelosia?… fa schiudere molti gusci duri.» Sul viso di F’lar c’era un sorriso di aperta malizia. Lessa si allontanò, girando su se stessa, quando lui cercò di abbracciarla.
«Per il bene del Weyr,» ribatté lei.
«Giusto. Domani manderò anche te con F’nor a controllare. È doveroso, poiché è stata una tua idea.»
Lessa si fermò.
«Perché non vai tu?»
«Sono certo di poter affidare questo progetto alle tue mani esperte e interessate.» F’lar rise e la strinse contro il fianco illeso, sorridendole. «Io devo recitare la parte dell’implacabile Comandante del Weyr e impedire ai Signori delle Fortezze di rintanarsi nei loro covi. E mi auguro,» continuò alzando la testa, «che uno dei Maestri delle Arti conosca la soluzione del terzo problema… come sbarazzarsi dei Fili penetrati sottoterra.»
«Ma…»
«Questo viaggio servirà a far passare il malumore di Ramoth» Strinse più forte il corpo sottile della ragazza, concentrando finalmente l’attenzione su quel viso strano e delicato. «Lessa, il mio quarto problema sei tu.» Si piegò per baciarla.
Un suono di passi frettolosi echeggiò nella galleria. F’lar lasciò Lessa con una smorfia irritata.
«A quest’ora?» brontolò, pronto a rovesciare un rimprovero bruciante sull’intruso. «Chi va là?»
«F’lar?» Era la voce di F’nor, rauca e ansiosa.
L’espressione sul volto di F’lar disse a Lessa che non avrebbe risparmiato una reprimenda neppure al fratellastro; irrazionalmente, lei ne fu lieta. Ma nell’istante in cui F’nor si precipitò nella stanza, il Comandante e la Dama del Weyr rimasero senza parola. C’era qualcosa di sottilmente anomalo nel cavaliere marrone. E mentre quello esponeva il suo messaggio incoerente, Lessa comprese all’improvviso la ragione. Era abbronzato! Non portava fasciature e non c’era la minima traccia, sulla sua guancia, dell’ustione lasciata dai Fili e che lei stessa aveva curato quella sera!
«F’lar, non è possibile! Non si può essere vivi contemporaneamente in due tempi diversi!» esclamò angosciato F’nor. Vacillò e si appoggiò alla parete di roccia per mantenersi diritto. Nonostante l’abbronzatura, si vedevano benissimo i cerchi neri attorno agli occhi. «Non so per quanto ancora potremo resistere Ne abbiamo risentito tutti. In certi giorni meno che in certi altri.»
«Non capisco.»
«I draghi se la cavano benissimo,» dichiarò F’nor con una risata amara. «Su loro non fa effetto. Rimangono perfettamenti lucidi. Ma le loro guide… e tutti gli altri… siamo ombre, vivi a metà, come uomini senza draghi. Una parte di noi se n’è andata per sempre. L’unica eccezione è Kylara.» Il suo volto si contrasse in una smorfia ostile. «Lei non vuole altro che tornare indietro per vedere se stessa. L’egocentrismo di quella donna ci rovinerà tutti, temo.»
All’improvviso i suoi occhi persero la vivacità; spalancò le labbra.
«Non posso rimanere. Sono già qui. Troppo vicino. È doppiamente terribile. Ma dovevo avvertirti. F’lar, ti prometto che rimarremo il più a lungo possibile, ma non resisteremo ancora per molto… Non sarà abbastanza, ma abbiamo tentato. Abbiamo tentato!»
Prima che F’lar potesse muoversi, il cavaliere marrone girò sui tacchi e si precipitò correndo fuori dalla stanza.
«Ma non se n’è ancora andato!» gridò Lessa. «Non se n’è ancora andato!»
F’lar seguì con lo sguardo il fratellastro, la fronte aggrottata da un’ansia acuta.
«Cosa può essere accaduto?» domandò Lessa. «Non lo avevamo neppure detto a F’nor. Noi stessi avevamo appena finito di esaminare quell’idea.» Si portò una mano alla guancia. «E l’ustione lasciata dal Filo, e che io stessa ho medicato questa sera… è scomparsa. Perciò è rimasto lontano per molto tempo.» Si lasciò cadere seduta sulla panca.
«Comunque, è ritornato. Quindi è andato,» osservò lentamente F’lar, in tono riflessivo. «Eppure, prima ancora del suo inizio, sappiamo che l’iniziativa non riuscirà in modo perfetto. Tuttavia, anche sapendolo, lo abbiamo mandato dieci Giri indietro, per quel che può servire.» S’interruppe, pensieroso. «Di conseguenza, non abbiamo altra alternativa che continuare l’esperimento.»
«Ma cosa può essere andato male?»
«Credo di saperlo, e non c’è rimedio.» F’lar le sedette accanto, fissandola intento negli occhi. «Lessa, tu eri profondamente sconvolta, quando sei tornata indietro, dopo essere stata a Ruatha passando in mezzo nel tempo, la prima volta. Ma io credo che non si trattasse soltanto dello shock provocato dalla vista degli uomini di Fax che invadevano la tua Fortezza, o del pensiero che il tuo ritorno fosse la causa di quella catastrofe. Credo che fosse dovuto al fatto di esistere contemporaneamente in due tempi diversi.» Esitò di nuovo, cercando di comprendere quel nuovo, immane concetto nello stesso istante in cui lo stava esprimendo.
Lessa lo fissò con tanto timore che F’lar si mise a ridere, imbarazzato.
«È sconvolgente in ogni caso,» proseguì poi, «pensare di ritornare indietro e vedere se stessi… più giovani.»
«Deve essere proprio di questo che F’nor ha parlato a proposito di Kylara,» mormorò Lessa. «Ha detto che vuole tornare indietro e guardare se stessa… bambina. Oh, che disgraziata!» Era furibonda per l’egocentrismo di Kylara. «Disgraziata egoista! Rovinerà tutto.»
«Non ancora,» le ricordò lui. «Rifletti. Sebbene ci abbia avvertito che la situazione, nel suo tempo, si sta facendo disperata, F’nor non ci ha spiegato ciò che è riuscito a fare. Ma tu hai notato che la sua ferita è guarita senza lasciare cicatrici; quindi devono essere trascorsi parecchi Giri. Anche se Pridith ha deposto un buon numero di uova una volta soltanto, e se i quaranta figli di Ramoth sono abbastanza adulti per combattere, abbiamo ottenuto un risultato positivo. Perciò, Dama del Weyr,» concluse, e notò che lei si raddrizzava nell’udire il suo titolo, «dobbiamo ignorare il ritorno di F’nor. Quando volerai con lui domani verso il Continente Meridionale, non alludervi mai. Mi hai capito?»
Lessa annui, gravemente, con un lieve sospiro.
«Non so se sono felice o delusa nel constatare, prima ancora di arrivare là domani, che il Continente Meridionale potrà ospitare un Weyr,» disse, malinconica. «Era più eccitante non saperlo.»
«In ogni caso,» le disse F’lar, con un sorriso sardonico, «abbiamo trovato soltanto soluzioni parziali per i problemi numero uno e numero due.»
«Bene, tu faresti meglio a trovare una soluzione al problema numero quattro,» suggerì Lessa. «E subito!»