II VOLO NUZIALE

I mari ribollono, le montagne si muovono

le sabbie si riscaldano, i draghi provano,

passa la Stella Rossa.

Si ammucchiano le pietre, i fuochi ardono,

ed il verde avvizzisce: armate Pern

Guardate tutti i passi.

Osservate la Pietra della Stella e il ciel scrutate

Preparate i Weyr, tutti i piloti lanciate

Passa la Stella Rossa

«Se una regina non è fatta per volare, allora perché ha le ali?» chiese Lessa. Stava mettendo veramente tutto il suo impegno nel mantenere un tono dolce e ragionevole.

Era stata costretta a imparare che, sebbene la sua indole fosse bollente, doveva bollire in modo molto discreto. A differenza dei comuni pernesi, i dragonieri erano capaci di percepire ogni violenta atmosfera emotiva.

R’gul aggrottò le pesanti sopracciglia, sbalordito, strinse i denti in uno scatto esasperato. Lessa sapeva già la risposta, prima ancora che lui la pronunciasse.

«Le regine non volano,» disse infatti, in tono secco.

«Solo per accoppiarsi,» lo corresse S’lel. Aveva sonnecchiato sino a quel momento, come faceva molto spesso, sebbene fosse più giovane dell’energico R’gul.

Stanno per discutere di nuovo, pensò Lessa, gemendo fra sé. Lei ce l’avrebbe fatta a resistere per mezz’ora, ma poi le si sarebbe rivoltato lo stomaco. Il loro metodo per istruire la nuova Dama del Weyr nei «doveri verso il Drago femmina, il Weyr e Pern» degenerava troppo spesso interminabili discussioni su particolari insignificanti delle lezioni che lei doveva imparare a memoria e recitare alla lettera. Talvolta, come in quel momento, lei accarezzava l’esile speranza di poterli avviluppare strettamente nelle loro stesse contraddizioni, in modo che si lasciassero sfuggire, senza accorgersene, un paio di verità.

«Una regina vola solo per accoppiarsi.» R’gul accettò la rettifica.

«Ma senza dubbio,» disse Lessa, con pazienza tenace, «se può volare per accoppiarsi, può volare anche altre volte.»

«Le regine non volano.» R’gul aveva un’espressione ostinata.

«Jora non aveva mai fatto volare un drago,» borbottò S’lel, e sbatté le palpebre, perduto nei ricordi del passato. Aveva un’aria un po’ turbata. «Jora non lasciava mai questi appartamenti.»

«Portava Nemorth ai campi del pasto,» scattò a questo punto R’gul, in tono irritato.

Lessa si sentì soffocare dalla rabbia. Deglutì. Avrebbe dovuto costringerli ad andersene. Si sarebbero accorti che Ramoth si svegliava, talvolta, con troppo tempismo? Forse avrebbe fatto meglio a destare Hath, il drago di R’gul. Si concesse mentalmente un sorriso d’orgoglio per la sua capacità segreta di comunicare con tutti i draghi del Weyr, verdi, azzurri, marroni o bronzei. Quel pensiero la rasserenò per un istante.

«Quando Jora riusciva a indurre Nemorth a muoversi,» brontolò S’lel, tirandosi il labbro inferiore con fare preoccupato.

R’gul lanciò un’occhiataccia a S’lel per azzittirlo; e appena vi riuscì, batté con aria decisa sulla tavoletta di Lessa.

Soffocando un sospiro, lei riprese lo stilo. Aveva già scritto nove volte quella ballata in modo perfetto. Il dieci, a quanto sembrava, era il numero magico, per R’gul. Infatti le aveva fatto scrivere per dieci volte tutte le tradizionali Ballate dell’Insegnamento, le Saghe della Catastrofe e le Leggi, parola per parola. Lei non ne aveva capito la metà, questo era vero: però le conosceva a memoria.

«I mari ribollono, le montagne si muovono,» scrisse.

Era possibile. Se ci fosse stato un grandioso sommovimento interno della terra. Una delle guardie di Fax, alla Fortezza di Ruath, aveva raccontato una volta una storia dei tempi del suo bisavolo. Un intero villaggio costiero, dalle parti di Fort, era franato in mare. Quell’anno c’erano state maree mostruose al di là di Ista, si diceva, nello stesso tempo era affiorata una montagna, eruttando fuoco dalla vetta. Anni dopo, era nuovamente sprofondata. Poteva darsi che il verso si riferisse a quell’avvenimento. Forse.

«Le sabbie si riscaldano…» Vero, si diceva che in estate la Piana di Igen diventasse una cosa tremenda. Non un filo d’ombra, non un albero né una grotta, solo un tetro deserto di sabbia. Persino i dragonieri evitavano quella zona, in piena estate. Anzi, pensandoci bene, anche le sabbie del Terreno della Schiusa erano sempre calde. Chissà se qualche volta si scaldavano al punto di bruciare? E poi, che cosa le riscaldava? Gli stessi invisibili fuochi sotterranei che rendevano tiepida l’acqua delle vasche da bagno di tutto il Weyr di Benden?

«I draghi provano…» Era una frase ambigua e si prestava a una mezza dozzina di interpretazioni, ma R’gul non ne aveva mai esposta una che fosse ufficiale. Voleva dire: I draghi provano che la Stella Rossa passa? Come? Lanciando un grido speciale, simile a quello che emettevano quando un loro simile andava a morire in mezzo? Oppure i draghi davano buona prova di sé, in un modo o nell’altro, mentre passava la Stella Rossa? Oltre, naturalmente, a svolgere la loro funzione tradizionale che consisteva nel bruciare i Fili caduti dal cielo? Oh, quante cose non dicevano quelle ballate… e nessuno dava mai spiegazioni. Eppure, in origine, doveva esserci stata una ragione…

«Si ammucchiano le pietre, i fuochi ardono, / ed il verde avvizzisce: armate Pern.»

Un altro enigma. C’era qualcuno che ammucchiava le pietre sui fuochi? Era un’allusione alle pietre focaie? O erano le pietre che si ammucchiavano da sole formando valanghe? L’autore della ballata avrebbe almeno potuto indicare la stagione di quegli avvenimenti… O forse l’aveva fatto, dicendo che «il verde avvizzisce»? Eppure si sapeva che la vegetazione attirava i Fili; secondo la tradizione, era per quel motivo che non dovevano esserci piante attorno agli insediamenti umani. Ma le pietre non potevano impedire a un Filo di insinuarsi sottoterra e di moltiplicarsi. Solo le emissioni di fosfina di un drago che mangiasse pietre focaie potevano arrestare i Fili. E in quei giorni, pensò Lessa con un sorriso acre, nessuno, neppure i dragonieri — con la cospicua eccezione di F’lar e dei suoi uomini — si prendeva il disturbo di compiere esercitazioni con le pietre focaie, o di sradicare l’erba nei pressi delle case. In quegli ultimi tempi le vette delle colline, che per secoli erano state mantenute spoglie, in primavera venivano lasciate a coprirsi di un verde lussureggiante.

«Guardate tutti i passi.»

Lessa incise la frase con lo stilo, pensando: Quindi nessun dragoniere può lasciare il Weyr di nascosto.

L’attuale politica di inazione di R’gul, nella sua qualità di Comandante del Weyr, era basata sull’idea che se nessuno, Signore o suddito, vedeva un dragoniere, nessuno si sarebbe offeso. Ormai, persino i tradizionali voli di pattugliamento venivano compiuti su zone disabitate, nella speranza che si spegnesse il risentimento nei confronti del Weyr «parassitario». Fax, il cui aperto dissenso aveva dato l’avvio a quel movimento, non aveva portato con sé nella tomba la propria causa. Si diceva che adesso ne fosse capo Larad, il giovane Signore di Telgar.

E il Comandante del Weyr era R’gul. Era una cosa che irritava profondamente Lessa. Quell’uomo era così clamorosamente inadatto! Ma il suo Hath aveva accompagnato Nemorth nell’ultimo volo nuziale. Secondo la tradizione (e quella parola cominciava a dare la nausea a Lessa per tutti i peccati di omissione commessi nel suo nome), il Comandante del Weyr era il pilota del compagno della regina. Oh, R’gul ne aveva l’aspetto adatto: un uomo grande e grosso, dal fisico vigoroso e imponente, con un volto massiccio che faceva pensare a una personalità austera e disciplinata. Però, secondo Lessa, quella disciplina era molto male orientata.

Invece F’lar… aveva disciplinato se stesso e i suoi uomini nella direzione che Lessa riteneva giusta. A differenza del Comandante del Weyr, non soltanto credeva sinceramente nelle Leggi e nelle Tradizioni da lui seguite: le capiva. Ogni tanto, lei era riuscita a indovinare qualcosa di sconvolgente da una o due frasi che F’lar le aveva lanciato. Ma, secondo la tradizione, spettava solo al Comandante del Weyr istruire la Dama del Weyr.

Ma perché, in nome dell’Uovo, non era stato Mnementh, il gigante bronzeo di F’lar, ad accompagnare Nemorth nel volo nuziale? Hath era un nobile animale, nel suo pieno vigore, ma non reggeva il confronto con Mnementh per dimensioni, forza e apertura d’ali. Vi sarebbero state più di dieci uova nell’ultima covata di Nemorth, se fosse stato Mnementh ad accompagnarla nel volo nuziale.

Jora, la defunta e non compianta Dama del Weyr, era stata una donna obesa, stupida e incapace. Su questo erano tutti d’accordo. Sicuramente, il drago rispecchiava il suo cavaliere, come questi rispecchiava il drago. I pensieri di Lessa assunsero una piega critica. Senza dubbio, Mnementh aveva provato ripugnanza per Nemorth come F’lar doveva provarla per la pilota… per la non-pilota, si corresse Lessa, lanciando un’occhiata sarcastica a S’lel che aveva ripreso a sonnecchiare.

Ma se F’lar si era assunto quel duello disperato con Fax per salvare la vita a Lessa, nella Fortezza di Ruatha, e per portarla al Weyr quale candidata per lo Schema di Apprendimento, perché non si era impadronito del Weyr quando lei aveva vinto, perché non aveva spodestato R’gul? Che cosa stava aspettando? Aveva saputo essere abbastanza veemente e persuasivo da indurre Lessa ad abbandonare Ruatha ed a recarsi al Weyr di Benden. E allora perché, adesso, adottava quell’atteggiamento di distacco, mentre il Weyr precipitava sempre di più nell’impopolarità?

«Per salvare Pern,» aveva detto F’lar. Da che cosa, se non da R’gul? F’lar avrebbe fatto meglio a dare inizio alle misure per il salvataggio. O preferiva aspettare che R’gul commettesse un errore decisivo? Ma R’gul non ne avrebbe commessi, pensò acida Lessa, perché non avrebbe fatto niente. E soprattutto, non le avrebbe spiegato ciò che lei voleva sapere.

«Osservate la Pietra della Stella e il ciel scrutate.» Dal suo cornicione, Lessa poteva vedere il rettangolo gigantesco della Pietra della Stella profilato contro il cielo. Accanto ad esso c’era sempre un pilota di guardia. Un giorno lei era salita fin lassù. Si godeva una splendida vista della Catena di Benden e dall’alto pianoro che giungeva fino ai piedi del Weyr. Il Giro prima c’era stata una solenne cerimonia, alla Pietra della Stella, quando il sole sorgente era sembrato posarsi un attimo sulla Roccia del Dito, segnando il solstizio d’inverno. Ma questo spiegava solo il significato della Roccia del Dito, non della Pietra della Stella. Ecco un altro mistero inspiegabile.

«Preparate i Weyr,» scrisse irritata Lessa. Plurale. Non il Weyr, ma i Weyr. R’gul non poteva negare che su Pern vi erano cinque Weyr deserti abbandonati ormai da chissà quanti Giri. Lei aveva dovuto impararne i nomi, e l’ordine in cui erano stati fondati. Fort era il primo e il più potente, poi Benden, Terre Alte, Igen l’Ardente, Ista dell’Oceano e Telgar. Ma nessuno spiegava perché cinque di essi fossero stati abbandonati, né perché il grande Weyr di Benden, capace di ospitare cinquecento draghi nelle sue caverne, ne aveva a malapena duecento. Ovviamente, R’gul aveva raccontato alla nuova Dama del Weyr la scusa più comoda: Jora si era dimostrata incompetente e nevrotica, e aveva lasciato che la regina dei draghi si rimpinzasse nel modo più sfrenato. (Nessuno aveva detto a Lessa perché questo fosse considerato tanto disdicevole, né perché, contraddicendosi, tutti fossero soddisfatti quando Ramoth si rimpinzava.) Certo, Ramoth cresceva; cresceva così in fretta che i cambiamenti si potevano vedere da un giorno all’altro.

Lessa ebbe un sorriso di tenerezza che neppure la presenza di R’gul e di S’lel poteva frenare. Alzò gli occhi verso la galleria che dalla Sala del Consiglio conduceva alla grande caverna in cui alloggiava Ramoth. Sentiva che Ramoth era ancora immersa in un sonno profondo. Desiderava che il drago si svegliasse, desiderava scorgere lo sguardo rassicurante di quegli occhi d’arcobaleno, la consolante compagnia che le rendeva sopportabile la vita nel Weyr. Qualche volta, Lessa aveva la sensazione di essere due persone: una gaia e realizzata quando si occupava di Ramoth; una grigia e frustrata quando il drago dormiva. Troncò di colpo quella riflessione avvilente e si applicò con diligenza al suo compito. Serviva a far trascorrere il tempo.

«Passa la Stella Rossa.»

La maledetta, malaugurante Stella Rossa: Lessa piantò lo stilo nella cera morbida, tracciando il simbolo della decina ormai completata.

Pensò a quell’alba indimenticabile, più di due Giri prima, quando un presentimento inquietante l’aveva svegliata all’improvviso, sulla paglia umida del magazzino dei formaggi, a Ruatha. E la Stella Rossa aveva brillato, come se ammiccasse a lei.

Eppure adesso era lì. E il fulgido, attivo futuro che F’lar le aveva dipinto a colori sgargianti non si era materializzato. Invece di utilizzare il suo sottile potere per manipolare eventi e persone, in nome del bene di Pern, era costretta a vivere una serie di giornate inconcludenti e noiose, che non le insegnavano nulla. R’gul e S’lel la facevano morire di nausea, e lei era confinata tra gli appartamenti della Dama del Weyr (comunque, questo era un miglioramento enorme, rispetto al poco spazio concessole nel magazzino dei formaggi) e il campo del pasto e il lago del bagno. Le uniche volte in cui si serviva delle sue facoltà era per porre fine alle sedute con i suoi cosiddetti istruttori. Lessa strinse i denti, e pensò che se ne sarebbe andata volentieri, se non ci fosse stata Ramoth. Avrebbe spodestato il figlio di Gemma e assunto la signoria su Ruatha, come aveva avuto intenzione di fare subito dopo la morte di Fax.

Si strinse il labbro tra i denti, con un sorriso di derisione per se stessa. Se non fosse stato per Ramoth, lei non sarebbe rimasta comunque per un momento, dopo lo Schema di Apprendimento. Ma a partire dall’istante in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli della giovane regina sul Terreno della Schiusa, soltanto Ramoth aveva avuto importanza per lei. Lessa era di Ramoth, e Ramoth era sua, mente e cuore, sintonizzate irrevocabilmente. Solo la morte avrebbe potuto spezzare quel legame incredibile.

Qualche volta accadeva che un uomo senza drago continuasse a vivere, come Lytol, il Connestabile di Ruatha: ma era ridotto quasi ad un’ombra, ad una personalità indistinta che vegetava nel tormento. Quando il suo pilota moriva, un drago spariva nel mezzo, in quel nulla gelido in cui i draghi riuscivano in qualche modo sconosciuto a spostare se stessi e i loro cavalieri da una località di Pern all’altra. Entrare in mezzo era molto pericoloso per i non iniziati, Lessa lo sapeva; il pericolo consisteva nel rimanere intrappolati in mezzo per un tempo più lungo di quanto fosse necessario per tossire tre volte.

L’unico volo che Lessa aveva compiuto sul collo di Mnementh aveva suscitato in lei un desiderio vivissimo di ripetere quell’esperienza. Aveva pensato, ingenuamente, che glielo avrebbero insegnato, come lo si insegnava ai giovani cavalieri e ai giovani draghi. Ma lei, che pure era considerata l’abitante più importante del Weyr, dopo Ramoth, restava inchiodata a terra, mentre i ragazzi entravano e uscivano fulmineamente dal mezzo, al di sopra del Weyr, nelle loro interminabili esercitazioni. Lessa si sentiva ribollire, al pensiero di quella restrizione insopportabile.

Anche se era femmina, Ramoth doveva possedere la stessa capacità innata di passare in mezzo di cui erano dotati i maschi. Quella teoria era suffragata — inequivocabilmente, secondo Lessa — dalla Ballata del Volo di Moreta. Le ballate non avevano forse lo scopo di istruire? Di insegnare a coloro che non sapevano né leggere né scrivere, in modo che i giovani pernesi, dragonieri, Signori o sudditi, imparassero il proprio dovere verso Pern e ricordassero la storia luminosa del loro mondo? Quei due imbecilli potevano benissimo negare l’esistenza di quella ballata: ma lei come aveva potuto impararla, se non fosse esistita? Senza dubbio, pensò acida Lessa, per la stessa ragione per cui le regine avevano le ali!

Quando R’gul avesse consentito — e l’avrebbe assillato fino a che si fosse deciso — a lasciarle assumere la responsabilità «tradizionale» di Cronista, lei avrebbe ritrovato quella ballata. Un giorno o l’altro sarebbe pure venuto quel «momento opportuno» di cui parlava R’gul.

Il momento opportuno!, pensò, irritata. Il momento opportuno! Sto perdendo troppo tempo. Quando verrà il momento opportuno di cui continuano a parlare? E che cosa sta aspettando F’lar, con tutta la sua superiorità? Il passaggio della Stella Rossa, in cui è il solo a credere? S’interruppe, perché anche l’accenno più distratto a quel fenomeno bastava ad evocare in lei una fredda, beffarda sensazione di minaccia.

Scrollò il capo, come per liberarsene. Ma quel movimento fu inopportuno, perché attirò l’attenzione di R’gul. L’uomo alzò gli occhi dalle Cronache che stava leggendo scrupolosamente, tirò a sé, attraverso il tavolo di pietra del Consiglio, la tavoletta che Lessa aveva finito di scrivere; il rumore svegliò S’lel, che alzò la testa di scatto, incerto, come se stentasse a riconoscere il luogo in cui si trovava.

«Umf? Eh? Sì?» mormorò, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco lo sguardo annebbiato dal sonno.

Era troppo. Lessa si affrettò a stabilire il contatto con Tuenth, il drago di S’lel, che proprio in quell’istante si stava svegliando a sua volta. Tuenth era molto simpatico e condiscendente.

«Il mio drago è irrequieto, devo andare,» mormorò subito S’lel. Si incamminò a passo svelto nella galleria, contento di andarsene quanto Lessa di vederlo allontanarsi. La stupì sentire che S’lel stava salutando qualcuno, nel corridoio; si augurò che il nuovo arrivato le offrisse un pretesto per sbarazzarsi anche di R’gul.

Era Manora. Lessa accolse la sovrintendente delle Caverne Inferiori con un sollievo appena velato. R’gul, che era sempre nervoso in presenza di Manora, se ne andò immediatamente.

Manora era una maestosa donna di mezza età, che irradiava un’aura di energia tranquilla e decisa, poiché era arrivata a un compromesso difficile con la vita, e lo manteneva con serena dignità. La sua pazienza era un tacito rimprovero per l’irrequietezza di Lessa, per le sue lagnanze. Tra tutte le donne che aveva frequentato nel Weyr (quando i dragonieri glielo permettevano), Manora era quella che più ammirava e rispettava. L’istinto l’aveva resa amaramente conscia che non avrebbe mai potuto avere rapporti facili o amichevoli con le donne del Weyr. Il suo rapporto con Manora, anche se scrupolosamente ufficiale, era però soddisfacente.

Manora aveva portato le tavole dell’inventario delle Grotte-Magazzini. Come sovrintendente, aveva il compito di tenere informata la Dama del Weyr della situazione amministrativa. (Quello era uno dei doveri di Lessa che sembravano stare maggiormente a cuore a R’gul.)

«Bitra, Benden e Lemos hanno mandato le dècime; ma non ci basteranno a superare il periodo freddo, questo Giro.»

«Anche il Giro scorso abbiamo avuto solo le dècime di quelle tre Fortezze, eppure mi sembra che si sia mangiato abbastanza bene.»

Manora sorrise amabilmente: però era chiaro che non considerava ben fornito il Weyr.

«È vero: ma avevamo le scorte di viveri conservati e seccati di altri Giri migliori. Adesso, le scorte sono esaurite. A parte tutti quei barili di pesce mandati da Tillek…» La sua voce si spense, in tono significativo.

Lessa rabbrividì. Pesce secco, pesce salato, pesce, sempre pesce; in quegli ultimi tempi l’avevano servito troppo spesso.

«Le nostre riserve di grano e di farina nelle Caverne Asciutte sono ridotte al minimo, perché Benden, Bitra e Lemos non producono molti cereali.»

«Abbiamo bisogno soprattutto di cereali e di carne?»

«Ci farebbe comodo anche un po’ più di frutta e di verdura,» rispose pensosa Manora. «Soprattutto se la stagione fredda sarà lunga come prevede il meteorologo. Siamo andati alla Piana di Igen a raccogliere le noci e le bacche primaverili e autunnali…»

«Noi? Alla Piana di Igen?» l’interruppe Lessa, in tono sbalordito.

«Sì,» rispose Manora, sorpresa da quella reazione. «Andiamo sempre là per la raccolta. E mietiamo i cereali acquatici nelle paludi dei bassopiani.»

«E come ci arrivate?» chiese Lessa, bruscamente. Poteva esserci soltanto una spiegazione.

«Oh! Ci portano i vecchi. A loro non dispiace, e in questo modo le bestie possono fare qualcosa senza stancarsi troppo. Ma tu lo sapevi, non è vero?»

«Che le donne delle Caverne Inferiori volano con i cavalieri dei draghi?» Lessa sporse le labbra, incollerita. «No. Non me l’avevano detto.» Il suo umore non migliorò nello scorgere la pietà e il rammarico negli occhi di Manora.

«Nella tua qualità di Dama del Weyr,» disse la donna più anziana, dolcemente, «i tuoi doveri ti trattengono dove…»

«Se chiedessi di venire portata in volo a… a Ruatha, per esempio,» l’interruppe Lessa, insistendo implacabile su un argomento che, lo sentiva, Manora avrebbe preferito lasciar cadere. «Mi verrebbe rifiutato?»

Manora la fissò attenta, con occhi oscurati dalla preoccupazione. Lessa attese. L’aveva posta volutamente in una situazione in cui sarebbe stata costretta a mentire nel modo più sfacciato, una cosa inaccettabile per una persona così onesta; oppure a prevaricare, il che sarebbe stato ancor più istruttivo.

«Un’assenza in questi giorni, per qualunque ragione, potrebbe essere disastrosa. Assolutamente disastrosa,» ripeté Manora in tono fermo; ma nello stesso tempo arrossì. «La regina cresce così in fretta. Tu devi restare qui.» Quella supplica inaspettatamente concitata, proferita con ansia crescente, colpì Lessa più di tutti i pomposi discorsi di R’gul sulla necessità di stare sempre vicina a Ramoth.

«Devi restare qui,» ripeté ancora Manora, senza nascondere la propria paura.

«Le regine non volano,» le ricordò Lessa in tono acido. Sospettava che Manora stesse per dare alla sua osservazione la stessa risposta che le aveva dato S’lel, ma la donna, all’improvviso, passò ad un argomento meno pericoloso.

«Non possiamo farcela, neppure con razioni dimezzate,» sbottò, ansimante, spostando con gesti nervosi le tavolette, «a superare il periodo freddo.»

«Non c’è stata mai una simile scarsità di viveri prima d’ora… in tutta la Tradizione?» domandò allora Lessa, con una dolcezza bruciante.

L’altra alzò su di lei uno sguardo interrogativo, e Lessa arrossì, vergognandosi di avere sfogato le sue frustrazioni con la sovrintendente. Si sentì doppiamente pentita quando capì che Manora aveva accettato le sue scuse tacite. E, in quell’istante, Lessa decise incrollabilmente di porre fine al dominio di R’gul su lei stessa e sul Weyr.

«No,» proseguì Manora, con calma. «Secondo la tradizione,» e rivolse a Lessa un sorriso malizioso, «il Weyr viene rifornito dei prodotti migliori della terra e della caccia. Negli ultimi Giri, è vero, abbiamo avuto carenze croniche, ma non avevano molta importanza. Non avevamo draghi giovani da sfamare. Mangiano parecchio, lo sai.» Gli sguardi delle due donne s’incontrarono nell’eterno, femmineo divertimento suscitato dal pensiero dei piccoli affidati alle loro cure. Poi Manora alzò le spalle. «I cavalieri portavano i loro animali a caccia nelle Terre Alte o nel pianoro di Keroon. Ma adesso…»

Fece una smorfia d’impotenza, per indicare che le restrizioni imposte da R’gul li avevano privati di quel sistema per procurarsi le vettovaglie.

«Un tempo,» continuò poi, con voce addolcita dalla nostalgia, «passavamo la parte più fredda del Giro in una delle Fortezze meridionali. Oppure, se volevamo e potevamo farlo, facevamo ritorno ai nostri luoghi natali. Le famiglie erano molto fiere delle figlie che avevano dato una discendenza ai dragonieri.» Un’espressione di tristezza segnò il volto della donna. «Ma il mondo gira ed i tempi cambiano.»

«Sì.» Lessa udì la propria voce che parlava in toni stridenti. «Il mondo gira, e i tempi… i tempi cambieranno.»

Manora la fissò, sorpresa.

«Persino R’gul si renderà conto che non abbiamo alternative,» continuò poi, in fretta, cercando di non consentire divagazioni dal suo problema.

«A che cosa? A lasciar cacciare í draghi adulti?»

«Oh, no. Su questo non è disposto a transigere. No. Dovremo fare qualche baratto a Fort o a Telgar.»

Una sacrosanta indignazione invase Lessa.

«Il giorno in cui il Weyr sarà costretto a comprare ciò che dovrebbe ricevere in dono…» S’interruppe a metà della frase, sbigottita tanto da quella necessità quanto dall’eco malaugurante di altre parole. «Il giorno in cui una delle mie Fortezze non potrà provvedere a se stessa o alla visita del suo legittimo sovrano…» Le parole di Fax le risuonarono nella mente. Preannunciavano ancora una catastrofe? Ma per chi? Per che cosa?

«Lo so, lo so,» stava dicendo preoccupata Manora, senza accorgersi del turbamento di Lessa. «È contrario a tutte le nostre abitudini e a tutti i nostri sentimenti. Ma se R’gul non permetterà che si vada a caccia, non ci resterà altra scelta. Non piaceranno neppure a lui i morsi della fame.»

Lessa si stava sforzando di dominare quel suo terrore istintivo. Trasse un profondo respiro.

«Probabilmente si taglierebbe la gola per isolare lo stomaco,» scattò. Quel commento sarcastico le restituì la lucidità. Ignorò l’espressione sbigottita dell’altra donna e proseguì. «Secondo la tradizione, spetta a te, nella tua qualità di sovrintendente delle Caverne Inferiori, sottoporre questi problemi all’attenzione della Dama del Weyr, è esatto?»

Manora annuì, sconcertata dai fulminei mutamenti d’umore della sua interlocutrice.

«Quindi, io, nella mia qualità di Dama del Weyr, li sottopongo all’attenzione del Comandante del Weyr il quale, presumibilmente…» Lessa non cercò neppure di moderare il suo sarcasmo, «agisce di conseguenza?»

Manora annuì ancora, perplessa.

«Bene,» fece Lessa, con un tono leggero e gentile. «Tu hai compiuto con diligenza il tuo dovere tradizionale. Adesso tocca a me compiere il mio. Giusto?»

L’altra la scrutò, cautamente. Lessa le rivolse un sorriso rassicurante.

«Allora puoi lasciare che me ne occupi io.»

Manora si alzò, adagio, cominciò a raccogliere le tavolette dell’inventario senza toglierle lo sguardo di dosso.

«Dicono che Fort e Telgar abbiano avuto raccolti eccezionalmente ricchi,» suggerì, con un tono che non riusciva a mascherare la sua ansia. «Ed anche Keroon, nonostante l’inondazione.»

«Davvero?» mormorò educatamente Lessa.

«Sì,» continuò speranzosa Manora. «E le mandrie di Keroon e di Tillek sono aumentate di numero.»

«Ne sono lieta per loro.»

Manora le lanciò un’occhiata scrutatrice, per nulla tranquillizzata da quell’inattesa affabilità. Finì di riassestare le tavolette dell’inventario, poi le depose di nuovo, in un mucchio ordinato.

«Hai notato che K’net e i suoi cavalieri scalpitano per le restrizioni di R’gul?» domandò, fissando attenta Lessa.

«K’net?»

«Sì. E il vecchio C’gan. Oh, ha ancora la gamba irrigidita, e Tagath è ormai più grigio che azzurro per la vecchiaia, ma è pur sempre della covata di Lidith. Quest’ultima covata ha dato animali magnifici,» osservò. «E C’gan ricorda giorni migliori…»

«Prima che il mondo girasse e i tempi cambiassero?»

Il tono dolce di Lessa, questa volta, non riuscì a trarre in inganno Manora.

«Non è soltanto come Dama del Weyr che tu piaci ai dragonieri, Lessa di Pern.» disse seccamente Manora, con aria severa. «Vi sono parecchi cavalieri marroni, per esempio…»

«F’nor?» chiese pronta Lessa.

Manora si raddrizzò, con orgoglio.

«È un uomo fatto, Dama del Weyr, e noi delle Caverne Inferiori abbiamo imparato a non tener conto dei vincoli del sangue e dell’affetto. Te lo raccomando come cavaliere marrone, non come il figlio che ho partorito. Sì, ti raccomando F’nor, come ti raccomanderei anche T’sum e L’rad.»

«Me li proponi perché appartengono allo squadrone di F’lar e sono stati allevati nelle vere tradizioni? Perché si lascerebbero fuorviare meno facilmente dalle mie blandizie?»

«Te li propongo perché credono nella tradizione secondo la quale il Weyr deve essere rifornito dalle Fortezze.»

«Benissimo.» Lessa sorrise maliziosamente a Manora, rendendosi conto che era inutile cercare di indurla ad esprimere i suoi veri sentimenti a proposito di F’nor. «Ricorderò le tue raccomandazioni, perché non ho intenzione di…» Non terminò la frase. «Grazie di avermi informata dei problemi del rifornimento. Abbiamo bisogno soprattutto di carne fresca, no?» chiese, alzandosi.

«E anche di cereali, e andrebbero benissimo anche i tuberi del Sud,» rispose Manora in tono ufficiale.

«Benissimo,» convenne Lessa.

Manora se ne andò, pensierosa.

Lessa rifletté a lungo su quel colloquio, seduta come una statua esile sul grande trono di pietra, le gambe ripiegate sull’imbottitura.

La cosa più importante era l’inquietante certezza che Manora era atterrita dalla prospettiva che Lessa si allontanasse dal Weyr, dal fianco di Ramoth, per qualunque ragione e per qualunque periodo di tempo. La sua reazione istintiva era un argomento molto più efficace di tutti gli sproloqui sentenziosi di R’gul. Tuttavia, la donna non aveva alluso alle ragioni di quella necessità. Benissimo, Lessa non avrebbe cercato di volare su uno degli altri draghi, con o senza cavaliere, anche se in quegli ultimi tempi aveva quasi deciso di farlo.

Ma avrebbe agito per quanto riguardava il problema dei viveri, soprattutto perché R’gul non avrebbe fatto nulla. E poiché R’gul non avrebbe potuto protestare per ciò che non sapeva, lei sarebbe riuscita, con l’aiuto di K’net o di F’nor o di tutti quelli che le servivano, a rifornire decentemente il Weyr. Aveva preso la piacevole abitudine di mangiare pasti regolari, e non aveva nessuna intenzione di perderla. Non intendeva abbandonarsi all’avidità, ma qualche furterello giudizioso compiuto ai danni di un raccolto abbondante sarebbe passato inosservato agli occhi dei Signori delle Fortezze.

K’net, però, era giovane; poteva essere avventato e indiscreto. Forse la scelta migliore era F’nor. Ma era libero di muoversi quanto K’ner il quale, dopotutto, era un cavaliere bronzeo? Forse C’gan? L’assenza di un cavaliere azzurro in pensione, che non sapeva come passare il tempo, sarebbe stata notata più difficilmente.

Lessa sorrise tra sé, ma quel sorriso svanì in fretta.

«Il giorno in cui il Weyr sarà costretto a comprare ciò che dovrebbe ricevere in dono…» Represse il brivido premonitore, si concentrò su quella situazione scandalosa. Senza dubbio, questo dimostrava chiaramente fino a che punto si era illusa.

Perché aveva pensato che al Weyr le cose sarebbero state tanto diverse dalla Fortezza di Ruatha? Forse l’educazione ricevuta nella prima infanzia le aveva instillato una reverenza indiscussa per il Weyr, al punto che la vita doveva cambiare il suo corso, sol perché Lessa di Ruatha aveva compiuto lo Schema di Apprendimento di Ramoth? Come aveva potuto essere tanto sciocca e tanto sentimentale?

Guardati attorno, Lessa di Pern, guarda il Weyr ad occhi aperti. Il Weyr è antico e venerato? Sì, ma anche squallido e malconcio… e poco considerato. Sì, ti esaltava l’idea di sederti sul trono della Dama del Weyr al tavolo del Consiglio, ma l’imbottitura è sottile e il tessuto polveroso. Ti umilia pensare che le tue mani si posano dove si sono posate quelle di Moreta e di Torene? Ebbene, la pietra è incrostata di sporcizia, e avrebbe bisogno d’una buona pulita. E il tuo deretano può essere posato dove s’è posato il loro… ma non è lì che hai il cervello.

Lo squallore del Weyr rispecchiava la decadenza della sua funzione nel modello di vita di Pern. Quei bei dragonieri, così splendidi nelle tenute di pelle di wher, così fieri sul collo dei loro grandi animali… osservati da vicino avevano offerto rivelazioni spiacevoli. Erano solo uomini, con appetiti e ambizioni umani, pieni di difetti e di frustrazioni, riluttanti a sovvertire la loro facile esistenza per ottemperare alle dure esigenze che avrebbero potuto rendere al Weyr la sua dignità. Erano ormai radicati troppo profondamente nell’isolamento, troppo lontani dal resto del genere umano; non si accorgevano neppure di pensarci ben poco. E non c’era un vero capo a guidarli…

F’lar! Cosa stava aspettando? Che Lessa si rendesse conto dell’inefficienza di R’gul? No, decise Lessa, lentamente: aspettava che Ramoth crescesse. Che Mnementh l’accompagnasse nel volo nuziale, appena possibile… F’lar era troppo tradizionalista, e secondo Lessa quel pretesto era specioso: per questo avrebbe atteso il momento in cui il cavaliere del compagno della regina sarebbe diventato il nuovo Comandante del Weyr.

Bene: forse F’lar avrebbe scoperto che gli avvenimenti non avevano preso la piega che lui aveva calcolato.

I miei occhi erano abbagliati da quelli di Ramoth, pensò Lessa; ma adesso riesco a vedere óltre quell’arcobaleno. Cercò di difendersi dalla tenerezza che provava sempre quando pensava al drago dorato. Sì, adesso posso vedere nelle ombre nere e grige, e il mio apprendistato a Ruatha mi pone in una posizione di vantaggio. È vero, qui non si tratta di controllare una piccola Fortezza, e le menti da influenzare sono molto più percettive. Tuttavia, a modo loro sono più ottuse. Il rischio è maggiore, se perdo. Ma come posso perdere? Il sorriso di Lessa si fece più ampio. Si passò le mani sulle cosce, pregustando la sfida. Non possono combinare niente con Ramoth, senza di me, e hanno bisogno di Ramoth. Nessuno può forzare Lessa di Ruatha, e devono tenermi, come si sono tenuti Jora. Ma io non sono Jora!

Lessa balzò dalla sedia, animata ed euforica. Si sentiva di nuovo viva, e più potente, da sola, di quanto si sentisse quando Ramoth era sveglia.

Il tempo, il tempo, il tempo. Il tempo di cui parlava sempre R’gul. Bene, ormai Lessa aveva finito di contare il suo tempo. Era stata una sciocca. Adesso sarebbe divenuta davvero la Dama del Weyr, quella che F’lar l’aveva indotta a credere che sarebbe diventata.

F’lar… I suoi pensieri tornavano continuamente a lui. Avrebbe dovuto tenerlo d’occhio… Soprattutto quando lei avrebbe incominciato a «sistemare» le cose a modo suo. Ma aveva un vantaggio che lui non poteva immaginare: poteva parlare con tutti i draghi, non soltanto con Ramoth. Persino con il suo prezioso Mnementh.

Lessa rovesciò indietro il capo e rise; la risata riecheggiò nella grande, deserta Sala del Consiglio. Rise ancora, felice di quello sfogo cui aveva avuto così poche occasioni di abbandonarsi. La sua gaiezza destò Ramoth. L’esultanza suscitata dalla nuova decisione fu sostituita da quella che derivava dal sapere che il drago dorato si stava svegliando.

Ramoth si agitò di nuovo e si stiracchiò irrequieta, mentre gli stimoli della fame penetravano attraverso il sonno. Lessa percorse la galleria correndo, a passi leggeri, impaziente come una bambina, spinta dal desiderio di vedere gli occhi splendidi, di essere vicino alla dolcezza che caratterizzava la personalità del drago.

L’enorme testa aurea di Ramoth si voltò di scatto; il drago assonnato cercava istintivamente la sua compagna. Lessa si affrettò a toccare il mento ottuso, e la testa si acquietò, consolata. Le molte palpebre protettive si schiusero sugli occhi sfaccettati, e Ramoth e Lessa rinnovarono l’impegno della loro devozione reciproca.

Ramoth aveva fatto ancora quei sogni, disse a Lessa, rabbrividendo un po’. Era così freddo, ! Lessa accarezzò il piumino morbido sopra l’arcata sopraccigliare, tranquillizzandola. Era legata ormai strettamente a Ramoth, ed era ben consapevole della malinconia prodotta da quelle bizzarre sequenze.

Ramoth si lagnò del prurito che le tormentava la cresta dorsale sinistra.

«Sta sfogliandosi di nuovo la pelle,» le disse Lessa, e si affrettò a spargere olio balsamico sul punto indicato. «Cresci così in fretta,» aggiunse, con affettuosa ironia.

Ramoth ripeté che il prurito era tremendo.

«O mangi meno per dormire un po’ meno, o la finisci di crescere tanto in fretta da perdere la pelle da un giorno all’altro.»

Prese a cantilenare, con diligenza, mentre spalmava l’olio.

«Il drago giovane deve essere unto tutti i giorni, perché la crescita rapida, nella prima fase dello sviluppo, può forzare i fragili tessuti cutanei, rendendoli sensibili e doloranti.»

Fanno prurito, la corresse Ramoth, petulante, agitandosi.

«Zitta là. Sto solo ripetendo quello che mi hanno insegnato.»

Ramoth lanciò uno sbuffo veramente degno di un drago, che incollò per un attimo la veste attorno alle gambe di Lessa.

«Zitta. Il bagno quotidiano è obbligatorio, e le abluzioni devono essere accompagnate da una scrupolosa unzione. La pelle chiazzata diventa cuoio imperfetto nel drago adulto. Il cuoio imperfetto può screpolarsi, e questo può essere fatale all’animale in volo.»

Non smettere di massaggiarmi, supplicò Ramoth.

«In volo! Proprio!»

Ramoth informò Lessa di avere tanta fame. Non poteva rimandare bagno e unzione a più tardi?

«Non appena quella caverna che hai al posto della pancia è piena, ti viene un sonno tale che fatichi a trascinarti. Sei diventata troppo grossa, ormai, perché sia possibile trasportarti.»

La risposta stizzita di Ramoth venne interrotta da una risata sommessa. Lessa si girò di scatto, dominando a stento l’irritazione che provò nello scorgere F’lar appoggiato con aria indolente all’arcata della galleria che portava al cornicione.

Evidentemente era stato in volo di pattugliamento, perché indossava ancora la pesante tenuta di pelle di wher. La tunica rigida aderiva al torace piatto, disegnava le gambe lunghe e muscolose. Il volto, ossuto ma bello, era ancora arrossato dal tremendo freddo del mezzo. Gli occhi bizzarramente ambrati brillavano di divertimento e, aggiunse Lessa, anche di presunzione.

«Sta crescendo magnificamente,» osservò F’lar, e si avvicinò al giaciglio di Ramoth, rivolgendole un lieve inchino.

Lessa sentì che Mnementh, posato sul cornicione, stava inviando un saluto alla giovane regina.

Ramoth girò gli occhi verso F’lar, con aria civettuola. Il sorriso d’orgoglio possessivo sulle labbra di quell’uomo fece infuriare doppiamente Lessa.

«La scorta è arrivata in tempo per augurare il buongiorno alla regina.»

«Buon giorno, Ramoth,» disse F’lar, obbediente. Poi si raddrizzò, battendosi contro la coscia i guanti spessi.

«Hai interrotto il volo di pattugliamento?» chiese Lessa, con un dolce tono di scusa.

«Non importa. Un volo d’ordinaria amministrazione,» rispose F’lar, imperturbabile. Girò attorno a Lessa per guardare meglio la regina. «È già più grossa della maggior parte dei draghi marrone. A Telgar ci sono state mareggiate, maree fortissime e inondazioni. E l’acqua, nelle paludi lasciate a Igen dalla marea, arriva all’altezza dei draghi.» Ebbe un sogghigno abbagliante, come se quelle catastrofi lo rallegrassero.

Poiché F’lar non diceva mai nulla senza uno scopo preciso, Lessa archiviò mentalmente quelle parole. Anche se lui sapeva rendersi esasperante, preferiva la sua compagnia a quella di tutti gli altri dragonieri.

Ramoth interruppe le riflessioni di Lessa con un rimprovero risentito: Visto che doveva fare il bagno prima di mangiare, potevano sbrigarsi prima che morisse di fame?

Lessa udì il rombo divertito di Mnementh, all’esterno della grotta.

«Mnementh dice che faremmo meglio ad accontentarla,» osservò F’lar, in tono indulgente.

Lessa frenò a fatica l’impulso di ribattere che era perfettamente in grado di sentire quello che aveva detto Mnementh. Un giorno o l’altro sarebbe stato un piacere, per lei, godersi la reazione sbalordita di quell’uomo, quando avesse saputo della sua facoltà di comunicare con tutti i draghi del Weyr.

«L’ho trascurata in modo vergognoso,» disse invece, con aria contrita.

Vide che F’lar stava per risponderle; ma poi si arrestò, socchiudendo per un attimo gli occhi ambrati. Con un sorriso affabile, le accennò di precederlo.

Un impulso maligno spinse Lessa a ripromettersi che avrebbe buttato l’amo a F’lar, non appena fosse possibile. Un giorno o l’altro sarebbe riuscita a spuntarla, e allora gliel’avrebbe fatta pagare. Ma ce ne sarebbe voluta. F’lar era molto sveglio.

I tre raggiunsero Mnementh sul cornicione. Il drago bronzeo aleggiò con fare protettivo al di sopra di Ramoth che scivolava goffamente verso l’estremità più lontana della Conca ovale. Il vapore che si levava dall’acqua riscaldata del laghetto, si apriva, diviso dall’ampiezza delle ali sgraziate di Ramoth; era cresciuta tanto in fretta che non aveva avuto il tempo di coordinare muscoli e massa. Mentre F’lar la faceva accomodare sul collo di Mnementh per la breve discesa a volo, Lessa seguì con lo sguardo ansioso la giovane, goffa regina.

Le regine non volano perché non possono, disse a se stessa con amara sincerità, confrontando la discesa grottesca di Ramoth con l’agile planata di Mnementh.

«Mnementh dice di tranquillizzarti, perché diventerà più aggraziata quando sarà cresciuta del tutto,» le mormorò all’orecchio la voce divertita di F’lar.

«Ma anche i giovani maschi crescono in fretta e non sono certo così…» Lessa s’interruppe. Non voleva ammettere niente, di fronte a quel F’lar.

«Non diventano così grossi, e poi si esercitano di continuo…»

«… a volare!» Lessa balzò su quella parola e poi, scorgendo l’espressione del cavaliere bronzeo, non disse altro. Era pronto quanto lei, quando si trattava di scambiarsi punzecchiature.

Ramoth si era già immersa e stava aspettando, spazientita, di venire pulita con la sabbia. La cresta dorsale sinistra prudeva in modo abominevole. Premurosa, Lessa cominciò a spargere in quel punto una manciata di sabbia.

No, la sua esistenza al Weyr non era diversa da quella che era stata a Ruatha. Il suo compito era sempre quello di pulire. E ogni giorno Ramoth diventava più grande, e il compito diventava sempre più faticoso, pensò mentre mandava finalmente l’animale dorato nell’acqua profonda, perché si risciacquasse. Ramoth sguazzò, immergendosi fino alla punta del naso. Gli occhi, velati dalle sottili palpebre interne, brillavano appena sotto la superficie, come gemme acquatiche. Ramoth si girò, languidamente, e piccole onde vennero a lambire le caviglie di Lessa.

Quando Ramoth usciva all’aperto, ogni attività s’interrompeva. Lessa scorse le donne che si affollavano all’ingresso delle Caverne Inferiori, gli occhi spalancati, affascinati. I draghi stavano appollaiati ai loro posti sui cornicioni, o volavano in cerchio, pigramente. Anche i giovani, i ragazzi e i draghetti, uscivano incuriositi dai quartieri dei campi d’addestramento.

Sulle alture, accanto alla Pietra della Stella, un drago lanciò un barrito improvviso. Poi scese in un volo a spirale, portando sul collo la sua guida.

«Le dècime, F’lar! C’è un convoglio al passo,» annunciò il cavaliere azzurro, con un ampio sorriso, fino a quando non fu deluso dalla calma con cui il dragoniere aveva accolto la buona notizia.

«Ci penserà F’nor,» disse F’lar, in tono indifferente. Obbediente, il drago azzurro si risollevò per condurre il suo cavaliere dal comandante in seconda.

«Chi può essere?» chiese Lessa a F’lar. «Le dècime delle tre Fortezze fedeli sono già arrivate.»

F’lar attese fino a quando vide F’nor, issato sul collo di Canth, sorvolare il limitare del Weyr, seguito da parecchi cavalieri verdi dello squadrone.

«Lo sapremo presto,» rispose allora. Girò pensieroso la testa verso oriente, gli angoli delle labbra incurvati in un sorriso sgradevole. Anche Lessa guardò verso oriente dove un occhio esperto poteva distinguere la scintilla fioca della Stella Rossa, benché il Sole fosse già alto.

«Le Fortezze fedeli saranno protette,» mormorò F’lar, sottovoce, «quando la Stella Rossa passerà.»

Lessa non sapeva perché mai loro due fossero d’accordo sul significato della Stella Rossa. Sapevano soltanto che anche lei la riconosceva come una Minaccia. Anzi, quella era stata la considerazione più importante tra tutti gli argomenti che F’lar aveva sciorinato per convincerla a lasciare Ruatha e a trasferirsi al Weyr. Perché lui non aveva ceduto alla deleteria indifferenza che aveva svirilizzato gli altri dragonieri? Ecco, questo non lo sapeva, e non glielo avrebbe mai chiesto: non per disprezzo, ma perché era chiaro che la convinzione di F’lar era indiscutibile. Lui sapeva. E anche lei sapeva.

E di tanto in tanto, quella certezza doveva fremere anche nei draghi. All’alba si agitavano, tutti, nel sonno, se stavano dormendo, oppure sbattevano la coda e spiegavano le ali, se erano svegli. Anche Manora credeva, a quanto sembrava. F’nor doveva crederlo; e forse la certezza di F’lar aveva contagiato anche i suoi cavalieri. Di sicuro, lui esigeva dai suoi uomini l’obbedienza implicita alla tradizione, e la riceveva, sotto forma d’una devozione dichiarata.

Ramoth uscì dal lago e, sbattendo le ali e incespicando, si diresse verso i campi del pasto. Mnementh si sistemò di lato, e permise a Lessa di sedersi sulla sua zampa anteriore. Lontano dall’orlo della Conca il suolo era gelido, sotto i piedi.

Ramoth mangiò, lagnandosi indispettita perché gli animali che costituivano il suo pasto erano troppo coriacei, e poi si risentì quando Lessa le impedì di mangiarne più di sei.

«Devono mangiare anche gli altri, sai?»

Ramoth informò Lessa che lei era la regina e quindi aveva la precedenza.

«E domani avrai prurito.»

Mnementh disse che Ramoth poteva prendersi la sua parte. Aveva fatto un buon pasto con un grasso animale a Keroon, due giorni prima. Lessa lo fissò con vivo interesse. Era per quella ragione che tutti i draghi dello squadrone di F’lar avevano un’aria tanto soddisfatta? Doveva stare più attenta, e controllare chi frequentava i campi del pasto, e con quali intervalli.

Ramoth era ritornata nella sua caverna e si stava già addormentando di nuovo quando F’lar condusse nell’alloggio il comandante del convoglio.

«Dama del Weyr,» disse il dragoniere, «questo messaggero viene da parte di Lytol e ha notizie per te.»

L’uomo distolse con riluttanza lo sguardo dalla grande forma dorata e lucente della regina e s’inchinò a Lessa.

«Sono Tilarek, Dama del Weyr, inviato da Lytol, Connestabile della Fortezza di Ruatha,» disse rispettosamente; ma i suoi occhi, mentre fissavano Lessa, erano colmi di un’ammirazione che sconfinava nell’impudenza. Si sfilò il messaggio dalla cintura ed esitò, combattuto tra la certezza che le donne non sapevano leggere e le istruzioni ricevute. Lessa tese la mano con un gesto imperioso, nell’attimo stesso in cui l’uomo notava l’aria divertita e rassicurante di F’lar.

«La regina dorme,» osservò quest’ultimo, indicando la galleria che portava alla Sala del Consiglio.

Era stata una mossa intelligente, da parte di F’lar, assicurarsi che il messaggero potesse dare una lunga occhiata a Ramoth, pensò Lessa. Tilarek, al ritorno, avrebbe diffuso la notizia che la regina era straordinariamente grande e in ottima salute, e la voce si sarebbe gonfiata e arricchita di particolari, passando di bocca in bocca. E poi, Tilarek avrebbe anche fatto sapere a tutti ciò che pensava della nuova Dama del Weyr.

Lessa attese sin quando vide F’lar offrire del vino al corriere, poi aprì la pergamena. Mentre decifrava la scrittura di Lytol, si accorse della gioia che le dava ricevere notizie di Ruatha. Ma perché le prime parole di Lytol dovevano essere proprio quelle?


Il bambino cresce bene e gode buona salute…


A lei importava ben poco della prosperità del piccino. Ah…


Ruatha è stata liberata dalle piante, dalla vetta della collina fino al confine degli alloggi degli artigiani. Il raccolto è stato eccellente, e gli animali domestici si moltiplicano grazie ai nuovi stalloni. Invio la dècima dovuta dalla Fortezza di Ruatha. E possa prosperare il Weyr che ci protegge.


Lessa sbuffò sommessamente. Ruatha conosceva il proprio dovere, ma le altre tre Fortezze che mandavano le dècime non avevano inviato anche messaggi nella forma dovuta. La lettera di Lytol continuava in toni malauguranti.


Una parola di avvertimento. Con la morte di Fax, Telgar si è posta in primo piano, nel crescente movimento sedizioso. Meron, il cosiddetto Signore di Nabol, è molto forte e cerca, credo, di primeggiare; per lui Telgar è troppo prudente. I dissensi si rafforzano e sono più diffusi di quando ne ho parlato l’ultima volta con il Cavaliere Bronzeo F’lar. Il Weyr deve stare doppiamente in guardia. Se Ruatha può essere d’aiuto, informacene.


Lessa fece una smorfia, a quell’ultima frase. Serviva solo a porre in risalto il fatto che le Fortezze utili erano ormai pochissime.

«E hanno riso di noi, Nobile F’lar,» stava dicendo Tilarek, dopo essersi inumidito la gola con una generosa sorsata del vino prodotto nel Weyr. «Perché abbiamo fatto ciò che gli uomini devono fare.»

«Strano, però, più ci avvicinavamo al Weyr, e meno numerosa era la gente che rideva. Qualche volta è difficile capire come stiano certe cose. Come se non dovessi mantenere forte e abituato al peso della spada il mio braccio destro.» E lo agitò, simulando afiondi e fendenti. «Sarei in un guaio, allora, se fossi costretto a difendermi. E poi, certa gente crede a chi più alza la voce. E certi altri credono perché hanno paura. Comunque,» proseguì, in tono energico, «io sono un soldato, e per me è difficile sopportare i sarcasmi degli artigiani e dei contadini. Ma avevamo l’ordine di non sguainare le spade, e abbiamo obbedito. Non è stato un male,» fece, con una smorfia ironica. «I Signori hanno sempre mantenuto piena sorveglianza, dopo… dopo la Cerca…»

Lessa si chiese che cosa era stato sul punto di dire quell’uomo. Ma Tilarek continuò, con calma.

«Molti si pentiranno, quando i Fili torneranno di nuovo a cadere su tutto quel verde che cresce attorno alle loro porte.»

F’lar colmò di nuovo la coppa del messaggero, e si informò distrattamente dei raccolti che aveva visto nel recarsi al Weyr.

«Magnifici, ricchissimi,» gli assicurò il corriere. «Dicono che questo Giro è stato il migliore a memoria d’uomo. Le viti di Crom avevano grappoli grossi così!» Fece un ampio cerchio con le grosse mani, e i suoi ascoltatori reagirono nel modo più appropriato. «E non avevo mai visto le spighe di grano, a Telgar, tanto piene e pesanti. Mai.»

«Pern prospera,» commentò asciutto F’lar.

«Senza offesa.» Tilarek raccolse dal vassoio un frutto grinzoso. «Ne ho raccolti di migliori tra quelli buttati via per la strada.» Mangiò il frutto in due bocconi, e si pulì le mani sulla tunica. Poi, rendendosi conto di ciò che aveva detto, si affrettò ad aggiungere: «La Fortezza di Ruatha vi manda i suoi prodotti migliori, come è di dovere. Non è roba raccolta per la strada, potete esserne certi.»

«È rassicurante sapere che godiamo della fedeltà di Ruatha e delle sue offerte,» lo tranquillizzò F’lar. «Le strade erano sgombre?»

«Sì, e c’è una cosa molto strana, per questo periodo dell’anno. Prima freddo, e poi all’improvviso fa caldo, come se il clima non ricordasse in che stagione siamo. Niente neve e poca pioggia. Ma i venti! Roba da non credere. Dicono che le coste sono state colpite duramente dalle mareggiate.» Roteò gli occhi poi, curvando le spalle, aggiunse in tono confidenziale: «Dicono che la montagna fumante di Ista, quella che appare e poi… puff!, sparisce, è comparsa di nuovo.»

F’lar assunse un’aria adeguatamente scettica: ma a Lessa non sfuggì il lampo nei suoi occhi. Quell’uomo parlava come una delle ambigue ballate di R’gul!

«Dovresti trattenerti per qualche giorno, a riposarti,» invitò F’lar, cordialmente, guidando Tilarek verso l’uscita e facendolo passare accanto a Ramoth che dormiva.

«Sì, ti ringrazio. Ad un uomo capita una volta o due, nella vita, di visitare il Weyr,» stava dicendo Tilarek, distratto, e intanto girava il collo per continuare a guardare Ramoth. «Non sapevo che le regine diventassero così grosse.»

«Ramoth è già più grande e più forte di Nemorth,» gli garantì F’lar: poi lo affidò al giovanetto che lo aspettava per accompagnarlo al suo alloggio.

Non appena furono di nuovo soli nella Sala del Consiglio, Lessa spinse la pergamena tra le mani del dragoniere, con un gesto impaziente.

«Leggilo.»

«Non mi aspettavo niente di molto diverso,» osservò F’lar, imperturbabile, mentre sedeva sull’orlo della grande tavola di pietra.

«E allora?» chiese Lessa, fremendo.

«Chi vivrà vedrà,» rispose sereno F’lar; prese un frutto e cominciò a scrutarlo, per controllare se era macchiato.

«Tilarek ha fatto capire che non tutti i sudditi condividono le idee sediziose dei loro Signori,» commentò Lessa, cercando di tranquillizzare se stessa.

F’lar sbuffò.

«Tilarek dice quello che ’piace ai suoi ascoltatori’,» replicò, in una discreta imitazione del tono del messaggero.

«E allora sarà meglio tu lo sappia,» disse F’nor, apparso in quell’istante sulla soglia. «Non parla a nome di tutti i suoi uomini. C’è parecchio malcontento, nella scorta.» F’nor rivolse a Lessa un inchino cerimonioso ma distratto. «Pensavano che Ruatha fosse troppo povera per privarsi di una parte dei suoi prodotti proprio al primo Giro di abbondanza. E direi che Lytol è stato più generoso del dovuto. Mangeremo bene… per un po’.»

F’lar gettò al fratellastro la pergamena.

«Come se non lo sapessimo,» brontolò quello, dopo aver dato una rapida scorsa al contenuto.

«Se lo sapete, che cosa avete intenzione di fare?» intervenne Lessa. «Il Weyr è talmente decaduto che presto non sarà in grado di sfamare i suoi.»

Aveva pronunciato volutamente quella frase, e notò con soddisfazione di avere punto sul vivo i due dragonieri. L’occhiata che le rivolsero era quasi furibonda. Poi F’lar ridacchiò, e F’nor si rilassò, con un sogghigno acido.

«Dunque?» chiese lei.

«R’gul e S’lel soffriranno la fame, senza dubbio,» rispose F’nor, con una spallucciata.

«E voi due?»

Anche F’lar alzò le spalle. Si alzò e s’inchinò cerimoniosamente a Lessa.

«Poiché Ramoth dorme, Dama del Weyr, ti chiedo il permesso di ritirarmi.»

«Andatevene!» gridò Lessa a tutti e due.

Si erano appena voltati, scambiandosi un sogghigno, quando R’gul si precipitò nella sala con aria tempestosa, seguito da S’lel, D’nol, T’bor e K’net.

«È vero quello che ho sentito? Solo Ruatha, fra tutte le Terre Alte, ci ha mandato le dècime?»

«È vero, anche troppo vero,» ammise F’lar, calmissimo, e gettò la pergamena a R’gul.

Il Comandante del Weyr la lesse in fretta, mormorando sottovoce le parole, e aggrottò la fronte. Poi la passò disgustato a S’lel, il quale la tenne alta, in modo che anche gli altri potessero vederla.

«L’anno scorso abbiamo sfamato il Weyr con le dècime di tre Fortezze,» annunciò R’gul, in tono sdegnoso.

«L’anno scorso,» s’intromise Lessa. «Ma soltanto perché c’erano ancora delle scorte. Manora mi ha appena riferito che le riserve sono ormai finite.»

«Ruatha è stata molto generosa,» intervenne pronto F’lar. «Dovrebbe bastare a coprire la differenza.»

Lessa esitò un momento, pensando di non aver sentito bene.

«Non è stata generosa fino a questo punto.» E proseguì, noncurante dell’occhiata d’avvertimento lanciatale da F’lar.

«Comunque, i giovani draghi quest’anno hanno bisogno di maggiore nutrimento. Quindi, resta un’unica soluzione. Il Weyr deve concordare un baratto con Telgar e Fort, per sopravvivere al freddo.»

Le sue parole scatenarono un’immediata ribellione.

«Un baratto? Mai!»

«Il Weyr ridotto a barattare? Meglio le scorrerie!»

«R’gul, piuttosto diamoci alle scorrerie. Mai ai baratti!»

I dragonieri bronzei erano stati punti sul vivo. Persino S’lel ribolliva d’indignazione. K’net fremeva, gli occhi scintillanti al pensiero di entrare in azione.

Il solo F’lar era rimasto tranquillo, le braccia incrociate sul petto, e fissava freddamente Lessa.

«Scorrerie?» La voce di R’gul si alzò, autorevole, su quella confusione. «Niente scorrerie!»

Per un riflesso condizionato, gli altri si calmarono per un attimo, a quel tono imperioso.

«Niente scorrerie?» chiesero all’unisono T’bor e D’nol.

«Perché no?» proseguì D’nol. Le vene del suo collo stavano pulsando.

Non era lui, quello che andava bene, pensò malinconicamente Lessa, cercando con gli occhi S’lan; poi ricordò che era fuori, sul campo di addestramento. Qualche volta S’lan e D’nol facevano causa comune in Consiglio contro R’gul, ma D’nol non era abbastanza energico per opporglisi da solo.

Lessa lanciò a F’lar uno sguardo speranzoso. Perché non si decideva a parlare?

«Sono stufo della carne vecchia e coriacea, del pane cattivo, delle radici che sanno di legno,» gridava D’nol, furibondo. «Pern ha potuto prosperare, questo Giro. E quindi dia al Weyr la parte che gli spetta, come è giusto!»

T’bor, piantato al suo fianco con aria bellicosa, emise un ruggito di approvazione, girando gli occhi sui cavalieri bronzei. Lessa sperò che potesse agire come avrebbe fatto S’ian.

«Basta una sola mossa da parte del Weyr, in questo momento,» l’interruppe R’gul, levando il braccio in un gesto ammonitore, «e tutti i Signori si muoveranno… contro di noi.» E lasciò cadere drammaticamente la mano.

Restò a squadrare in viso i due ribelli, a testa alta, i piedi piantati sul pavimento, gli occhi lampeggianti. Era molto più alto di D’nol, basso e robusto, e dell’agile T’bor. Quel contrasto creava uno strano effetto: sembrava un severo patriarca che rimproverasse i figli colpevoli di comportarsi male.

«Le strade sono sgombre,» proseguì R’gul, solennemente. «Non c’è neve né pioggia che possano ostacolare l’avanzata di un esercito. I Signori hanno sempre tenuto sotto le armi effettivi al completo, da quando Fax è stato ucciso.» L’uomo girò lievemente il capo in direzione di F’lar. «Ricorderete certamente la pessima ospitalità che abbiamo ricevuto nel corso della Cerca.» Poi R’gul inchiodò uno dopo l’altro i dragonieri bronzei con occhiate significative. «Conoscete gli umori delle Fortezze, avete visto le loro forze.» Poi alzò il mento di scatto. «Siete così sciocchi da provocarle?»

«Ma un bel lancio di pietre focaie…», sbottò incollerito D’nol e s’interruppe. Quelle parole avventate sconvolsero più lui stesso che gli altri presenti.

Persino Lessa spalancò le labbra, all’idea di usare deliberatamente le pietre focaie contro gli esseri umani.

«Dobbiamo fare qualcosa…», continuò disperato D’nol, volgendosi prima a F’lar e poi, meno convinto, a T’bor.

Se R’gul la spunta sarà la fine, pensò Lessa, in preda a un freddo furore. Reagì, orientando i pensieri verso T’bor. A Ruatha era sempre stato più facile influenzare un individuo infuriato. Se fosse riuscita…

Fuori, un drago barrì.

Un dolore insopportabilmente acuto salì dal piede alla gamba di Lessa. Indietreggiò stordita, barcollante, e andò a sbattere inaspettatamente contro F’lar. Lui le strinse il braccio con dita dure come il ferro.

«Tu osi controllare…», le bisbigliò rabbioso all’orecchio. Poi, con falsa sollecitudine, la spinse energicamente sulla sedia, sempre serrandole il braccio in una morsa imperiosa.

Lessa sedette rigida, deglutendo convulsamente. Quando riuscí a capire ciò che era accaduto, si accorse che il momento decisivo era ormai passato.

«In questo momento non si può far niente,» stava dicendo R’gul, in tono energico.

«In questo momento …» Le parole riecheggiarono nelle orecchie intronate di Lessa.

«Il Weyr ha draghi giovani da addestrare, uomini giovani da educare secondo le Tradizioni.»

Tradizioni inutili, pensò stordita Lessa. Ribolliva di rabbia. E avrebbero reso inutile anche il Weyr.

Fissò F’lar con furia impotente. La mano di lui si strinse ammonitrice sul suo braccio, finché le dita premettero i tendini contro le osse. Lei lanciò un altro gemito di dolore. Tra le lacrime che le riempivano gli occhi, lesse la vergogna e la sconfitta sul viso giovanile di K’net. La speranza si ravvivò, rinnovandosi.

Con uno sforzo, si costrinse a rilassarsi. Poco a poco, come se F’lar le avesse fatto paura. Lentamente, perché lui credesse alla sua capitolazione.

Avrebbe preso K’net in disparte, non appena ne avesse avuta la possibilità. Lui era maturo per l’idea che aveva appena concepito. Era giovane, malleabile e attratto da lei. Sarebbe stato adattissimo per il suo scopo.

«Dragoniere, e tu sfuggi ogni eccesso,» stava intonando R’gul. «Dolore al Weyr porta l’avidità.»

Lessa lo fissò ad occhi spalancati, sinceramente sgomenta nel vederlo capace di ammantare la sconfitta morale del Weyr con un’ipocrita omelia.

Onora quelli che tengono i draghi

nel pensiero e nell’opera in favore.

Interi mondi son salvi o perduti,

e ciò dipende dal loro valore.

«Che succede? Il Nobile F’lar va contro la tradizione?» chiese Lessa a F’nor, quando il cavaliere marrone si presentò con una giustificazione cerimoniosa dell’assenza del suo comandante.

Lessa non si preoccupava più di tenere la lingua a freno in presenza di F’nor. Sapeva che non ce l’aveva con lui, e quindi si offendeva molto di rado. La riservatezza del fratellastro aveva cominciato a irritare un po’ anche lui.

Ma quel giorno la sua espressione non era tollerante: era di austera disapprovazione.

«È andato in cerca di K’net,» disse bruscamente: i suoi occhi scuri erano turbati. Spinse indietro dalla fronte i folti capelli neri, un’altra abitudine che aveva preso da F’lar: quel gesto alimentò il rancore di Lessa verso il dragoniere assente.

«Oh, davvero? Avrebbe fatto meglio a imitarlo,» scattò lei.

Negli occhi di F’nor balenò un lampo di collera.

Bene, pensò Lessa. Sto per riuscire anche con lui.

«Tu non ti rendi conto, Dama del Weyr, che K’net ha preso le tue istruzioni in un senso troppo ampio. Qualche furtarello giudizioso non susciterebbe proteste, ma K’net è troppo giovane per comportarsi con circospezione.»

«Le mie istruzioni?» ripeté Lessa, con aria innocente. Certamente F’nor e F’lar non avevano un’ombra di prova… anche se a lei la cosa non importava. «Si è semplicemente stancato di questo comportamento da vigliacchi!»

F’nor strinse i denti per non lanciare una risposta furibonda. Cambiò posa e strinse le mani attorno all’alta cintura, fino a quando le nocche sbiancarono. Ricambiò freddamente lo sguardo di Lessa.

In quell’istante, lei si pentì di averlo provocato. F’nor aveva cercato di essere gentile e simpatico, e spesso l’aveva rallegrata raccontandole qualche aneddoto divertente, quando lei era più amareggiata. Il mondo era diventato più freddo, e le razioni si erano ridotte, al Weyr, nonostante i rifornimenti sistematici di K’net. I venti gelidi soffiavano sul Weyr portando la disperazione.

Dopo la ribellione abortita di D’nol, i dragonieri sembravano avere perduto tutto il loro spirito. Persino gli animali ne risentivano. La dieta ridotta non bastava a spiegare il colorito opaco della pelle e l’attenuarsi della sintonia. Ma l’apatia poteva spiegarlo… e infatti era così. Lessa si chiese se R’gul non si fosse pentito della sua imbelle decisione.

«Ramoth non è sveglia,» disse con calma a F’nor. «E tu non sei obbligato a tenere compagnia a me.»

F’nor non disse nulla. Il protrarsi del suo silenzio cominciò a sconcertare Lessa che si alzò, si passò le mani sulle cosce, come se cercasse di cancellare le ultime parole. Iniziò a camminare avanti e indietro, lanciando occhiate alla sala dove Ramoth, la regina dorata, ormai più grande del drago bronzeo più imponente, giaceva immersa in un sonno profondo.

Se almeno si svegliasse, pensò Lessa. Quando lei è sveglia, va tutto bene; per quanto può andar bene, cioè. Ma quella dorme come un sasso.

«Quindi…» incominciò, cercando di escludere il nervosismo dalla propria voce, «F’lar si è finalmente deciso a fare qualcosa, anche se taglia la nostra unica fonte di rifornimenti.»

«Lytol ha mandato un messaggio, questa mattina,» disse F’nor, seccamente. La sua collera si era placata, ma non la sua disapprovazione.

Lessa si girò, in attesa.

«Telgar e Fort hanno discusso con Keroon,» .continuò F’nor. «Hanno deciso che la causa delle perdite subite da loro è il Weyr. Ma,» e la sua furia si riaccese, «se hai scelto K’net, perché non lo hai tenuto d’occhio? È troppo inesperto. C’gan, T’sum, io avremmo…»

«Tu? Tu non starnutisci neppure, senza il consenso di F’lar,» ribatté Lessa.

F’nor le rise in faccia.

«F’lar ti aveva sopravvalutata,» rispose, non meno sprezzante di lei. «Non hai capito perché deve aspettare?»

«No!» gli gridò Lessa. «Non l’ho capito! Si tratta di qualcosa che devo indovinare per istinto, come i draghi? Per il guscio del primo Uovo, F’nor, a me nessuno spiega mai niente!

«Ma sono felice di sapere che F’lar ha una ragione per aspettare! Spero sia una ragione valida. E che non sia ancora troppo tardi. Perché temo che ormai lo sia.»

Era già troppo tardi quando mi ha impedito di rafforzare T’bor, pensò; ma si astenne dal dirlo. Aggiunse invece: «Era già troppo tardi quando R’gul si è dimostrato troppo codardo per provare vergogna di quello che…»

F’nor si girò di scatto, pallido in viso per il furore.

«C’è voluto più coraggio di quanto tu possa mai averne, per lasciarsi sfuggire quell’occasione.»

«Perché?»

F’nor avanzò di mezzo passo, minacciosamente, e Lessa si aspettò che la colpisse. Lui represse l’impulso e scosse con violenza il capo per dominarsi.

«Non è colpa di R’gul,» disse finalmente, con il volto teso e invecchiato, gli occhi pieni di dolore. «È stato duro, molto duro, stare a guardare e sapere di dover attendere.»

«Perché?» urlò Lessa.

Era ormai impossibile pungolare oltre F’nor; lui continuò con voce calma.

«Io pensavo che tu dovessi saperlo, ma F’lar non è capace di cercare giustificazioni per uno dei suoi.»

Lessa trattenne l’osservazione sarcastica che le era salita alle labbra: temeva di interrompere quella spiegazione attesa da tanto tempo.

«R’gul è Comandante del Weyr solo per caso. Se la sarebbe cavata abbastanza bene, credo, se non ci fosse stato un Intervallo tanto lungo. Le Cronache mettono in guardia contro i pericoli…»

«Le Cronache? I pericoli? Che cos’è l’Intervallo?»

«L’Intervallo è il periodo in cui la Stella Rossa non passa abbastanza vicina a Pern per eccitare i Fili. Le Cronache dicono che trascorrono circa duecento Giri, prima che la Stella Rossa si avvicini di nuovo. F’lar calcola che sia passato un tempo più o meno doppio, da quando caddero gli ultimi Fili.»

Lessa lanciò un’occhiata carica d’apprensione verso oriente. F’nor annuì con aria solenne.

«Sì, ed è abbastanza facile dimenticare la paura e la prudenza, in quattrocento anni. R’gul è un buon combattente e un buon comandante di squadrone, ma deve vedere e toccare e odorare il pericolo prima di ammetterne l’esistenza. Oh, ha imparato tutte le Leggi e tutte le Tradizioni, ma non le ha mai capite veramente, non le ha mai sentite come parte di sé. Non come le sente F’lar o come ho imparato a sentirle io,» aggiunse in tono di sfida, vedendo l’espressione scettica di Lessa. Socchiuse gli occhi e le puntò contro un dito accusatore. «E neppure come le senti tu… solo, tu non sai il perché.»

Lessa arretrò, non da F’nor ma dalla minaccia che sapeva esistere, anche se non sapeva perché vi credesse.

«Sin dal momento in cui F’lar compì lo Schema di Apprendimento di Mnementh, F’lon incominciò a prepararlo perché prendesse il suo posto. Ma poi F’lon si fece ammazzare in quella ridicola rissa.» Un’espressione fatta di collera, di rimpianto e d’irritazione passò sul volto di F’nor. Lessa si rese conto, soltanto allora, che quell’uomo stava parlando del proprio padre. «F’lar era troppo giovane, e prima che qualcun altro potesse intervenire, R’gul spinse Hath al volo nuziale con Nemorth, e noi fummo costretti ad aspettare. Ma R’gul non riuscì a vincere il dolore di Jora per la morte di F’ion, e lei decadde molto rapidamente. E interpretò nel modo sbagliato il piano con cui F’ion contava di farci superare l’ultima parte dell’Intervallo. Credette che avesse progettato di isolarci. Di conseguenza…» F’nor alzò le spalle, significativamente. «Il Weyr ha continuato a perdere prestigio, per tutto questo tempo.»

«Il tempo, il tempo, il tempo!» ribatté Lessa. «È sempre il momento sbagliato. Quando verrà il momento giusto?»

«Ascoltami.» Le parole decise di F’nor interruppero la sua tirata, come se lui l’avesse afferrata e scrollata. Non aveva mai sospettato che F’nor sapesse essere tanto energico. Lo guardò con accresciuto rispetto.

«Ramoth è adulta, ormai, pronta per il suo primo volo nuziale. Quando volerà, tutti i bronzei s’innalzeranno per raggiungerla. Non è sempre il più forte che conquista la regina. Qualche volta è quello che tutto il Weyr desidera vedere vincitore.» Pronunciò quelle parole lentamente, chiaramente. «È per questo che R’gul riuscì a fare in modo che Hath fosse il compagno di Nemorth nel volo nuziale. Gli altri dragonieri volevano R’gul. Non avrebbero tollerato come Comandante del Weyr un ragazzo di diciannove anni, anche se era figlio di F’lon. Per questo Hath conquistò Nemorth. E i dragonieri ebbero R’gul. Ebbero ciò che volevano! E guarda cos’hanno ottenuto!» Ebbe un gesto sprezzante, che abbracciava tutto lo squallido Weyr.

«È troppo tardi, è troppo tardi,» gemette Lessa: adesso comprendeva molte cose anche troppo bene… e troppo tardi.

«Forse sì, grazie a te che hai spinto K’net alle scorrerie incontrollate,» rispose F’nor, cinicamente. «Non avevi bisogno di lui, sai. Il nostro squadrone provvedeva già a questo, senza far chiasso. Ma quando è incominciata ad arrivare roba in eccedenza, abbiamo interrotto le operazioni. Troppa e troppo presto, perché i Signori delle Fortezze stanno diventando abbastanza impudenti da passare alle rappresaglie. Pensa, Lessa di Pern,» e F’nor si piegò su di lei con un sorriso amaro, «pensa quale sarà la reazione di R’gul. Di questo non avevi tenuto conto, vero? Pensa, adesso, a quello che farà quando i Signori delle Fortezze verranno qui, bene armati, a chiedere soddisfazione!»

Lessa chiuse gli occhi, atterrita dalla scena che immaginava anche troppo chiaramente. Si afferrò al bracciolo della sedia, vi si lasciò cadere, disfatta al pensiero di avere sbagliato tutti i calcoli. Superba e sicura di sé perché era riuscita a provocare la morte dell’altezzoso Fax, adesso stava per causare la rovina del Weyr.

All’improvviso si udì un frastuono, come se metà degli occupanti del Weyr corresse lungo la galleria che saliva dal cornicione. Lessa sentì i draghi scambiarsi richiami eccitati: era la prima manifestazione intensa, da parte loro, dopo più di due mesi.

Balzò in piedi, sbigottita. F’lar non era riuscito a intercettare K’net? Oppure K’net, sfortunatamente, era stato catturato dai Signori? Corse insieme a F’nor nella camera della regina.

Non furono F’lar e K’net e uno o più Signori furibondi, a entrare. Era R’gul: il viso solitamente cauto era alterato, gli occhi spalancati per l’agitazione. Sul cornicione esterno, Hath ricominciò a gridare, suscitando le risposte degli altri draghi. R’gul lanciò un’occhiata rapida a Ramoth, che continuava a dormire. Quando si avvicinò a Lessa, nei suoi occhi c’era un freddo calcolo. In quel momento entrò D’nol, a corsa pazza, allacciandosi in fretta le fibbie della tunica. Dietro di lui arrivarono S’lan, S’lel, T’bor, che avanzarono verso Lessa, in un semicerchio irregolare.

R’gul si fece avanti, le braccia protese come se volesse abbracciarla. Prima che Lessa avesse il tempo di indietreggiare, perché nell’espressione di quell’uomo c’era qualcosa che le ripugnava, F’nor si portò svelto al suo fianco e R’gul, irritato, riabbassò le braccia.

«Hath sta bevendo il sangue della sua preda?» chiese cupo il cavaliere marrone.

«E anche Binth e Orth,» proruppe T’bor, gli occhi accesi della strana febbre che sembrava divorare tutti i dragonieri.

Ramoth si agitò irrequieta, e tutti s’interruppero per osservarla, attentamente.

«Bevono il sangue?» esclamò Lessa: era sorpresa, ma sapeva che quell’annuncio aveva un significato particolare.

«Richiamate K’net e F’lar,» ordinò F’nor, in tono più autorevole di quanto si addicesse a un cavaliere marrone, in presenza di dragonieri.

La risata di R’gul risuonò, sgradevole.

«Nessuno sa dove siano andati.»

D’nol fece per protestare, ma R’gul l’interruppe con un gesto rabbioso.

«Non provartici, R’gul,» disse F’nor, in tono di gelida minaccia.

Ebbene, Lessa ci si sarebbe provata. Il suo appello frenetico a Mnementh e a Piyanth ottenne una fievole risposta Poi vi fu un vuoto completo, là dove era stato Mnementh.

«Si sveglierà,» stava dicendo R’gul, fissando Lessa negli occhi. «Si sveglierà di cattivo umore. Devi permetterle soltanto di bere il sangue della sua preda. Ti avverto che resisterà. Se non riuscirai a trattenerla, s’ingozzerà e non potrà volare.»

«È il volo nuziale,» scattò F’nor, la voce resa tagliente da una furia fredda e disperata.

«È il volo nuziale, l’accoppiamento con il drago bronzeo che riuscirà ad afferrarla,» continuò R’gul, con voce esultante.

È felice che F’lar non sia qui, pensò Lessa, comprendendo.

«Più il volo è lungo, e migliore è la covata. E Ramoth non può volare bene e non può salire in alto se si rimpinza di carne pesante. Non deve ingozzarsi. Devi permetterle soltanto di bere il sangue della preda. Hai capito?»

«Sì, R’gul,» disse Lessa. «Capisco. Una volta tanto ti capisco anche troppo bene. F’lar e K’net non sono qui.» La sua voce assunse un tono stridulo. «Ma Ramoth non compirà mai il volo nuziale con Hath, anche se per impedirlo dovessi portarla in mezzo.»

Vide la paura e il turbamento cancellare l’aria di trionfo dal viso di R’gul, e restò a guardarlo mentre quello cercava di controllarsi. Un sogghigno malevolo prese il posto dello stupore. Forse credeva che lei avesse formulato una minaccia vana?

«Buon pomeriggio,» disse gentilmente F’lar, dall’ingresso. Al suo fianco c’era K’net, sorridente. «Mnementh mi ha informato che i bronzei bevono il sangue delle prede. Siete stati veramente gentili a chiamarci per farci assistere allo spettacolo.»

Un temporaneo sollievo spazzò via dalla mente di Lessa la recente ostilità nei confronti di F’lar. La vista di lui, così calmo, beffardo, arrogante, la esaltò.

Lo sguardo di R’gul sfrecciò intorno al semicerchio di cavalieri bronzei, cercando d’individuare l’uomo che aveva richiamato quei due. E Lessa sapeva che R’gul odiava e temeva F’lar. Nello stesso tempo, sentiva che F’lar era cambiato. Adesso in lui non c’era più nulla di indifferente, di passivo. Era teso, invece, impaziente. L’attesa di F’lar si era conclusa.

Ramoth si scosse, improvvisamente, completamente sveglia. La sua mente era in un tale stato da far comprendere a Lessa che F’lar e K’net erano arrivati appena in tempo. Gli stimoli della fame del drago dorato erano così forti che Lessa accorse ad accarezzarle la testa. Ma Ramoth non era disposta a lasciarsi placare.

Si alzò con agilità inaspettata, dirigendosi verso il cornicione. Lessa la rincorse, seguita dai dragonieri. Ramoth sibilò agitata in direzione dei draghi bronzei librati nei pressi del cornicione, e quelli si affrettarono a disperdersi. I loro cavalieri si avviarono verso le ampie scale che portavano dall’appartamento della regina alla Conca.

Stordita, Lessa sentì che F’nor l’aveva issata sul collo di Canth e ordinava al drago di raggiungere in fretta gli altri sui campi del pasto. Vide, sbalordita, che Ramoth planava agile ed elegante sopra la mandria spaventata. Si lanciò rapida, afferrando la preda per il collo; poi ripiegò di colpo le ali e si lasciò cadere, troppo affamata per portarsela lontano.

«Controllala!» ansimò F’nor, depositando Lessa sul terreno senza troppe cerimonie.

Ramoth rispose con un grido di sfida all’ordine della sua Dama del Weyr. Girò la testa, sventolando rabbiosa le ali: i suoi occhi erano bracieri di fuoco opalescente. Protese il collo verso il cielo in tutta la sua lunghezza, proclamando la propria insubordinazione con uno strillo. L’eco riverberò contro le pareti del Weyr. Intorno tutti i draghi, azzurri, verdi, marroni e bronzei protesero le ali ampissime, e i loro gridi di risposta fecero fremere l’aria come tuoni.

Era venuto, per Lessa, il momento di fare appello alla forza di volontà che aveva acquisito durante quei lunghi anni di fame, in attesa della vendetta. La testa aguzza di Ramoth sfrecciava avanti e indietro, gli occhi ardevano di una ribellione incandescente. Non era più il piccolo drago amabile e fiducioso: era un demonio violento.

Attraverso il campo insanguinato, Lessa oppose la propria volontà a quella della trasformata Ramoth. Senza traccia di debolezza, senza paura, senza pensieri di disfatta, Lessa costrinse Ramoth ad obbedire. Urlando la sua protesta, il drago dorato abbassò il muso sulla preda, lambendo con la lingua la carcassa inerte, spalancando le mascelle. La testa ondeggiò sopra le viscere fumanti squarciate dagli artigli. Con un ultimo sbuffo di rimprovero, Ramoth piantò i denti nella gola robusta della vittima e succhiò fino a dissanguarla completamente.

«Trattienila,» mormorò F’nor. Lessa si era dimenticata di lui.

Ramoth si levò in volo fra altissime strida, e con velocità incredibile piombò su di una seconda preda. Anche questa volta cercò di azzannare il ventre morbido della vittima; e Lessa esercitò ancora la sua autorità e vinse. Con uno strillo di sfida, Ramoth, riluttante, bevve di nuovo il sangue.

La terza volta non si oppose agli ordini di Lessa. Il drago femmina aveva incominciato a rendersi conto dell’istinto irresistibile che lo stava dominando. Non aveva conosciuto altro che il furore, fino a quando aveva assaporato il gusto del sangue caldo. Adesso Ramoth sapeva ciò che doveva fare: volare via, velocemente, a lungo, lontano dal Weyr, lontano da quei meschini esseri senz’ali, precedendo i bronzei maschi in calore.

Il suo istinto di drago era limitato al presente, incapace di controllo e di anticipazione. Gli esseri umani esistevano per offrire ai draghi l’ordine e la saggezza, cantilenò silenziosamente Lessa.

Senza esitazioni, Ramoth si avventò per la quarta volta, sibilando avida mentre suggeva la gola della vittima.

Un silenzio teso era caduto sulla Conca del Weyr, rotto soltanto dai suoni che faceva Ramoth succhiando e dal sibilo alto del vento.

La pelle di Ramoth cominciò a risplendere. Sembrò diventare più grande in quella luminescenza. Levò la testa insanguinata, sporgendo la lingua per leccarsi il muso. Si raddrizzò, e nello stesso istante un mormorio si levò dalle gole dei draghi bronzei che cingevano il campo del pasto in silenziosa attesa.

Con un rapido guizzo dorato, Ramoth inarcò la grande schiena. Balzò nel cielo ad ali spiegate, fu in volo a velocità incredibile. In un batter d’occhio, sette sagome bronzee la seguirono. Le ali possenti gettarono vortici d’aria e di sabbia in faccia agli esseri umani che assistevano alla scena.

Con il cuore in gola alla vista di quel volo prodigioso, Lessa sentì la propria anima sollevarsi insieme a Ramoth.

«Resta con lei», bisbigliò F’nor, concitato. «Resta con lei. Non deve sfuggire al tuo controllo proprio adesso.»

Si allontanò da Lessa, ritornò tra gli altri abitanti del Weyr, che seguivano con lo sguardo, nel cielo, le figure lontane dei draghi, già sul punto di scomparire.

Lessa, con la mente curiosamente sospesa, conservava a fatica la consapevolezza di trovarsi sulla terra.

Tutti gli altri sensi erano in volo con Ramoth. E lei, Ramoth-Lessa, era viva di una potenza illimitata, le sue ali battevano senza sforzo l’aria rarefatta di quelle alte quote, e tutto il suo essere fremeva di esultanza… di esultanza e di desiderio.

Sentì, più che non li vedesse, i grandi maschi bronzei che l’inseguivano. Disprezzava i loro sforzi inefficienti. Perché lei era libera e invincibile.

Ripiegò la testa sotto un’ala e beffò quegli sforzi meschini con piccole grida irridenti. Si librò in alto, al di sopra di loro. Poi all’improvviso piegò le ali e si lasciò precipitare, felice nel vedere i maschi disperdersi in fretta per evitare la collisione.

Risalì di nuovo, librandosi sopra di loro, mentre quelli faticavano per riguadagnare la velocità e la quota perduta.

E così Ramoth civettò a suo capriccio con i suoi innamorati, splendida nella libertà appena trovata, sfidando i draghi bronzei a vincere la sua velocità.

Uno si lasciò cadere, esausto. Lei gridò la propria superiorità. Ben presto anche un altro abbandonò l’inseguimento, mentre lei giocava, tuffandosi e sfrecciando in volteggi complicati. Qualche volta dimenticava la loro esistenza, perduta nell’estasi del volo.

Quando finalmente, un po’ annoiata, si degnò di guardare i corteggiatori, provò un vago senso di divertimento nel vedere che solo tre draghi la stavano inseguendo. Riconobbe Mnementh, Orth e Hath. Tutti nel pieno delle loro forze; degni, forse, di lei.

Planò, abbassandosi, li provocò, divertita dal loro volo affaticato. Hath non poteva sopportarlo. Orth? Orth era uno splendido giovane maschio. Ripiegò le ali per scivolare tra lui e Mnementh.

Quando sterzò, passando accanto a Mnementh, questi chiuse improvvisamente le ali e le piombò accanto. Sbalordita, cercò di tenersi librata e scoprì che le sue ali s’erano impigliate in quelle di lui, e il collo di Mnementh si attorceva strettamente al suo.

Precipitarono, allacciati. Mnementh, attingendo a una riserva segreta di energia, spiegò le ali per frenare la caduta. Sconvolta dalla velocità tremenda, anche Ramoth spiegò le ali. Poi Lessa barcollò, brancolando disperata, cercò di afferrarsi a qualcosa per sostenersi. Le sembrava di essere ritornata con un’esplosione dentro al proprio corpo, scossa in ogni nervo.

«Non svenire, sciocca. Resta con lei.» La voce di F’lar le risuonò nell’orecchio, le sue braccia la sostennero rudemente.

Lei cercò di mettere a fuoco lo sguardo. Sbigottita, intravvide le pareti della sua stanza. Si aggrappò a F’lar, toccò la sua pelle nuda e scrollò il capo, confusa.

«Riportala indietro.»

«Come?» gridò lei, ansimante, incapace di comprendere che cosa poteva distogliere Ramoth da quello splendore.

Il dolore dei colpi brucianti sul suo viso la rese conscia dell’inquietante vicinanza di F’lar. Gli occhi di lui erano esasperati, la bocca contratta.

«Pensa con lei. Non può andare in mezzo. Resta con lei.»

Tremando al pensiero di perdere Ramoth nel mezzo, Lessa la cercò, la trovò, ancora allacciata a Mnementh.

La passione dei due draghi, in quel momento, si spiegò in una grande spirale fino a includere Lessa. Un’ondata immane che saliva implacabile dal mare della sua anima la invase. Con un grido di desiderio si aggrappò a F’lar. Sentì il corpo di lui saldo come la roccia contro il suo, le braccia forti che la sollevavano, la bocca premuta spietatamente sulla sua, mentre precipitava in un’altra, inattesa ondata di desiderio.

«Adesso! Noi li riporteremo salvi a casa,» mormorò F’lar.

Dragoniere, dragoniere,

fra te e ciò che è tuo,

spartisci con me quell’amore

che è più grande del mio.

F’lar si svegliò all’improvviso. Ascoltò attento, e fu rassicurato dal ruggito soddisfatto di Mnementh. Il drago bronzeo era appollaiato sul cornicione davanti alla dimora della regina. Nella Conca, laggiù, tutto era tranquillo e in ordine.

Tranquillo, ma diverso. F’lar, attraverso gli occhi e i sensi di Mnementh, se ne accorse immediatamente. Nel Weyr c’era stato un cambiamento improvviso. Si concesse un sorriso orgoglioso, al pensiero degli eventi tumultuosi del giorno prima. Qualcosa avrebbe potuto andar male…

E c’è mancato poco, gli ricordò Mnementh.

Chi aveva richiamato K’net e lui stesso? F’lar se lo domandò per l’ennesima volta. Mnementh si limitò a ripetere che era stato richiamato. Perché non cercava di identificare l’informatore?

Una preoccupazione assillante s’insinuò nei pensieri di F’lar.

«F’nor si è ricordato di…», cominciò a voce alta.

F’nor non dimentica mai i tuoi ordini, lo rassicurò Mnementh, piccato. Canth mi ha detto che il rilevamento efettuato all’alba di oggi pone la Stella Rossa sulla punta della Roccia dell’Occhio. E il sole non si è ancora levato.

F’lar si passò le dita impazienti tra i capelli.

«In cima alla Roccia dell’Occhio. È più vicina la Stella Rossa…» Esattamente come predicevano le Antiche Cronache. E l’alba in cui la Stella brillava scarlatta allo sguardo dell’osservatore, attraverso la Roccia dell’Occhio, annunciava il pericoloso Passaggio… e i Fili.

Senza dubbio, l’accurata disposizione delle pietre gigantesche e delle rocce dalle forme particolari sul Picco di Benden non poteva trovare altre spiegazioni. E lo stesso valeva per le sistemazioni analoghe sulle pareti orientali di ognuno dei cinque Weyr abbandonati.

C’era la Roccia del Dito, sulla quale il sole sorgente si fermava per un attimo in equilibrio, all’alba del solstizio d’inverno. Poi, a due lunghezze di drago più indietro, l’enorme, rettangolare Pietra della Stella, che arrivava al petto di un uomo molto alto: sulla superficie lustra erano incise due frecce, una che puntava a oriente, verso la Roccia del Dito, l’altra un poco più a Nord, e indicava esattamente la Roccia dell’Occhio, ingegnosamente e inamovibilmente inserita nella Pietra della Stella.

All’alba di un giorno non lontano, lui avrebbe guardato attraverso la Roccia dell’Occhio e avrebbe scorto l’ammiccare maligno della Stella Rossa. E allora…

Un rumore d’acqua agitata interruppe le riflessioni di F’lar. Sorrise quando comprese che era la ragazza. Si stava certamente lavando, ed era svestita… Si stiracchiò, soddisfatto del ricordo, e si chiese che accoglienza avrebbe ricevuto. Lessa non avrebbe dovuto lamentarsi. Che volo nuziale’ Rise tra sé, sommessamente.

Dal suo cornicione, Mnementh osservò che F’lar avrebbe fatto bene a comportarsi cautamente, nei confronti di Lessa.

Lessa? pensò F’lar, rivolgendosi al drago.

Mnementh, enigmatico, ripeté l’avvertimento. F’lar ridacchiò, sicuro di sé.

All’improvviso, Mnementh segnalò un allarme.

Gli osservatori stavano mandando un cavaliere a identificare le nuvole di polvere, stranamente persistenti, che si scorgevano nel pianoro sottostante al Lago di Benden, comunicò sbrigativo il drago.

F’lar si alzò in fretta, raccolse gli abiti sparpagliati qua e là e si vestì. Stava affibbiandosi l’alta cintura quando la tenda che nascondeva l’ingresso del bagno si scostò. Lessa gli stava di fronte, completamente vestita.

Lo stupiva sempre notare quanto fosse esile; un involucro fisico incongruo per una mente tanto forte. I capelli appena lavati incorniciavano come una nube scura il viso minuto. In quegli occhi calmi non v’era più traccia della passione suscitata dai draghi e che entrambi avevano provato il giorno innanzi. La sua espressione non era affettuosa, non c’era calore in lei. Era questo che intendeva dire Mnementh? Che cosa aveva quella ragazza?

Mnementh comunicò un nuovo rapporto allarmante, e F’lar strinse i denti. Avrebbe dovuto rinviare il tentativo di stabilire un’intesa intellettuale con Lessa fino a quando la situazione d’emergenza non fosse stata risolta. Maledisse tra sé il modo con cui R’gul l’aveva trattata. Quell’uomo aveva quasi rovinato la Dama del Weyr, e lei, per poco, non aveva distrutto il Weyr.

Ma adesso F’lar, il cavaliere del bronzeo Mnementh, era il Comandante del Weyr, ed era ora che le cose cambiassero.

Era ora, confermò asciutto Mnementh. I Signori delle Fortezze stanno radunando le loro forze sul pianoro del lago.

«Guai in vista,» annunciò F’lar a Lessa, senza neppure salutarla. L’annuncio non sembrò suscitare in lei il minimo allarme.

«I Signori delle Fortezze stanno venendo qui per protestare?» chiese freddamente.

F’lar dovette ammirare quella compostezza, nello stesso istante in cui le rimproverava di avere avuto una parte importante nello svolgersi degli avvenimenti.

«Sarebbe stato molto meglio se avessi lasciato che io continuassi a occuparmi delle scorrerie. K’net è ancora troppo ragazzo; era inevitabile che si facesse trascinare dall’entusiasmo.»

Il lieve sorriso di Lessa aveva qualcosa di misterioso. F’lar si chiese, fuggevolmente, che cosa avesse inteso dire, in realtà. Se Ramoth non si fosse levata nel volo nuziale il giorno precedente, le cose sarebbero andate in modo del tutto diverso. Chissà se lei ci aveva pensato?

Mnementh lo avvertì che R’gul era disceso sul cornicione. Era tutto impettito e indignato, commentò il drago: il che significava che si sentiva pieno di autorità.

«Non ne ha più lui,» scattò F’lar a voce alta: ormai era completamente sveglio, e soddisfatto degli avvenimenti, anche se erano precipitati all’improvviso.

«R’gul?» fece Lessa.

Era davvero molto acuta quella ragazza, ammise F’lar

«Vieni.» Le indicò con un gesto di portarsi nella grotta della regina. La scena che intendeva recitare con R’gul avrebbe dovuto riscattare la vergogna di quel giorno lontano nella Sala del Consiglio, due mesi prima. E sapeva che Lessa ci teneva non meno di lui.

Erano appena entrati nella grotta della regina quando R’gul, seguito da un K’net molto agitato, arrivò con aria tempestosa dalla direzione opposta.

«Le sentinelle mi hanno informato,» cominciò R’gul, «che un forte contingente di armati, con le bandiere di molte Fortezze, si sta avvicinando alla galleria. K’net, qui,» R’gul era furibondo con il giovane, «ha confessato di avere compiuto scorrerie sistematiche, agendo in modo contrario al buon senso e soprattutto ai miei ordini precisi. Naturalmente, di lui ci occuperemo più tardi,» aggiunse, squadrando il giovane con aria minacciosa. «Cioè, se sarà rimasto qualcosa del Weyr, dopo che i Signori avranno finito di occuparsi di noi.»

Si girò verso F’lar, e il suo cipiglio si fece ancora più cupo, quando si accorse che l’altro lo fissava sogghignando.

«Non startene lì a quel modo!» ringhiò R’gul. «Non c’è proprio niente da ridere. Dobbiamo escogitare qualcosa per placarli.»

«No, R’gul,» lo contraddisse F’lar, senza interrompere il suo atteggiamento. «È finita l’epoca in cui cercavamo di placare i Signori.»

«Cosa? Sei diventato pazzo?»

«No. Ma tu non hai il diritto di decidere,» disse F’lar: non sogghignava più. La sua espressione era severa.

R’gul spalancò gli occhi, guardandolo come se lo vedesse per la prima volta.

«Hai dimenticato un particolare molto importante,» continuò implacabile F’lar. «La linea politica cambia, quando si sostituisce il Comandante del Weyr. Adesso il Comandante del Weyr sono io, F’lar, il cavaliere di Mnementh.»

Quella frase non aveva ancora finito di risuonare quando S’lel, D’nol, T’bor e S’lan entrarono nella sala a grandi passi affrettati. Si arrestarono, colpiti, a osservare la scena.

F’lar attese, dando loro la possibilità di comprendere che quel dissenso dimostrava il passaggio dell’autorità nelle sue mani.

«Mnementh,» disse a voce alta, «richiama tutti i vicecomandanti degli squadroni e i cavalieri marroni. Dovremo prendere alcuni accordi prima che arrivino i nostri… ospiti. Poiché la regina dorme, dragonieri, vi prego, accomodatevi nella Sala del Consiglio. Dopo di te, Dama del Weyr.»

Si scostò per lasciare passare Lessa e notò il lieve rossore sulle sue guance. Dunque, non riusciva a controllare perfettamente le proprie emozioni.

Avevano appena preso posto attorno alla grande Tavola del Consiglio, quando i cavalieri marroni cominciarono ad arrivare in un flusso continuo. F’lar osservò, intento, la sottile differenza che si era prodotta nel loro atteggiamento. Camminavano più eretti, al punto di sembrare persino più alti, pensò. E… sì, quella loro aria di sconfitta e di frustrazione era stata sostituita da un’eccitazione tesa. Se quel cambiamento si era prodotto anche in tutti gli altri, gli eventi di quel giorno avrebbero fatto rivivere l’orgoglio e la funzione del Weyr.

F’nor e T’sum, i suoi comandanti in seconda, entrarono in quel momento: era impossibile dubitare del loro morale elevato. Si guardarono attorno con occhi lampeggianti, sfidando tutti gli altri a contestare la loro promozione. T’sum si fermò accanto all’ingresso, e F’nor si diresse a passo deciso per andare a prendere posto dietro la sedia di F’lar, soffermandosi solo per rivolgere un profondo inchino rispettoso alla Dama del Weyr. F’lar la vide arrossire abbassando gli occhi.

«Chi c’è alle nostre porte, F’nor?» domandò in tono affabile il nuovo Comandante del Weyr.

«I Signori di Telgar, Nabol, Fort e Keroon, tanto per citare le bandiere più importanti,» rispose F’nor con lo stesso tono.

R’gul si alzò: la protesta che gli affiorava alle labbra si spense nello scorgere le espressioni dei cavalieri bronzei. S’lel, che gli stava accanto, cominciò a borbottare qualcosa d’incomprensibile, tormentandosi il labbro inferiore.

«Forza calcolata?»

«Un po’ più di mille uomini. In buon ordine e bene armati,» riferì F’nor, indifferente.

F’lar lanciò al suo vice un’occhiata di rimprovero. Una cosa era la fiducia in se stessi, e l’indifferenza era preferibile all’avvilimento: ma era poco saggio negare che la situazione era molto pericolosa.

«Contro il Weyr?» ansimò S’lel.

«Siamo dragonieri o vigliacchi?» scattò D’nol, balzando in piedi e battendo un pugno sulla tavola. «Questo è l’insulto decisivo.»

«Sì,» confermò di slancio F’lar.

«E dobbiamo rintuzzarlo. Non sopporteremo altro,» continuò veemente D’nol, incoraggiato dall’atteggiamento di F’lar. «Basterà qualche fiammata…»

«Basta così,» disse F’lar con voce dura. «Noi siamo dragonieri! Ricordatelo. E ricordate anche… non dimenticatelo mai… che il nostro ordine ha la missione di proteggere.» Pronunciò con forza quella parola, inchiodando gli uomini, uno dopo l’altro, con uno sguardo ardente. «È chiaro?» Fissò D’nol con aria severamente interrogativa. Non dovevano esserci eroismi personali, quel giorno.

«Non abbiamo bisogno di pietre focaie,» continuò, sicuro che D’nol lo aveva compreso benissimo, «per disperdere questi sciocchi Signori.» Si appoggiò alla spalliera del seggio e proseguì, con più calma. «Nel corso della Cerca ho notato, e sicuramente l’avrete notato anche tutti voi, che la gente non ha affatto perduto, diciamo… il suo rispetto per i draghi.»

T’bor sogghignò; qualcun altro ridacchiò, a quel ricordo.

«Sicuro, seguono i loro Signori, incitati dall’indignazione e da notevoli quantità di vino nuovo. Ma è tutta un’altra cosa affrontare un drago quando si è a piedi stanchi, accaldati e sobri, senza avere una Fortezza a portata di mano.» F’lar intuì subito l’approvazione degli altri. «E gli uomini montati saranno troppo occupati con le loro bestie per essere in grado di combattere sul serio,» aggiunse con una risata sommessa, cui fecero eco quasi tutti i presenti.

«Sebbene queste considerazioni siano consolanti, ci sono altri fattori importantissimi che giocano in nostro favore. Credo che i buoni Signori delle Fortezze non si siano presi il disturbo di esaminarli. Sospetto,» disse, guardandosi intorno sardonicamente, «che li abbiano dimenticati. Come hanno dimenticato gran parte della tradizione e della storia dei draghi.

«È venuto il momento di rieducarli.» La sua voce era d’acciaio. Un mormorio di approvazione gli fece eco. Bene, li aveva conquistati.

«Per esempio, sono qui, davanti alle nostre porte. Hanno fatto un viaggio lungo e difficile per raggiungere questo Weyr così lontano. Senza dubbio, alcune unità sono in marcia da settimane. F’nor,» disse, in un ’a parte’ ben calcolato, «ricordati che più tardi dovremo discutere i piani dei voli di pattugliamento. E ora domandate a voi stessi, dragonieri: se i Signori delle Fortezze sono qui, chi difende quelle terre in loro nome? Chi vigila sulle Fortezze Interne, tanto care a tutti i Signori?»

Udì subito la risata maligna di Lessa. Era più sveglia lei di tutti i cavalieri bronzei. Aveva scelto bene, quel giorno a Ruatha, anche se era stato costretto a uccidere durante una Cerca.

«La nostra Dama del Weyr ha compreso il mio piano. T’sum, procedi a completarlo.» Lanciò quell’ordine in tono energico. T’sum se ne andò, ostentando un ampio sogghigno.

«Non capisco,» si lagnò S’lel, sbattendo confuso le palpebre.

«Oh, lascia che lo spieghi io,» s’intromise svelta Lessa, con quel tono soave e ragionevole che F’lar aveva imparato a riconoscere, in lei, come il più pericoloso. Non poteva biasimarla se ci teneva a pareggiare il suo conto con S’lel: ma quella sua passione per la vendetta poteva diventare rischiosa.

«Qualcuno dovrà pure spiegare qualcosa,» disse S’lel, in tono querulo. «Non mi piace quel che sta succedendo. I Signori delle Fortezze sulla Strada della Galleria. I draghi autorizzati a mangiare pietre focaie. Non capisco.»

«È molto semplice,» gli assicurò dolcemente Lessa, senza attendere il permesso di F’lar. «M’imbarazza dovertelo spiegare.»

«Dama del Weyr!» la richiamò seccamente all’ordine F’lar.

Lei non lo guardò, ma smise di punzecchiare S’lel.

«I Signori hanno lasciato senza protezione le loro Fortezze,» disse. «A quanto pare, non hanno pensato che i draghi possono muoversi in mezzo nel giro di pochi secondi. T’sum, se non sbaglio, è andato a rastrellare, nelle Fortezze indifese, un numero di ostaggi sufficiente per costringere i Signori a rispettare l’intoccabilità del Weyr.» F’lar annuì, in segno di conferma. Con un lampo collerico negli occhi, Lessa continuò. «Non è colpa dei Signori, se hanno perduto ogni rispetto per il Weyr. Il Weyr ha…»

«Il Weyr,» l’interruppe secco F’lar. Sì, avrebbe dovuto sorvegliare quella ragazza così esile, con la massima prudenza e il massimo rispetto. «Il Weyr si accinge a rivendicare i suoi diritti e le sue prerogative tradizionali. Prima che io passi a spiegare in che modo esattamente intenda farlo, Dama del Weyr, ti dispiace andare ad accogliere le nostre nuove ospiti? Qualche parola opportuna potrebbe servire a rafforzare la lezione pratica che oggi impartiremo a tutti i pernesi.»

Gli occhi di Lessa brillarono. Sogghignò con un piacere così intenso che F’lar si chiese se era davvero prudente incaricarla dell’edificazione degli ostaggi indifesi.

«Conto sulla tua discrezione,» disse in tono enfatico. «E sulla tua intelligenza, per portare a termine l’incarico nel modo migliore.» Colse lo sguardo di lei, lo tenne fino a quando Lessa chinò appena il capo per accettare l’ammonimento. Mentre la giovane donna usciva, F’lar comunicò a Mnementh di tenerla d’occhio.

Mnementh rispose che sarebbe stato tempo perso. Lessa non aveva forse dimostrato una presenza di spirito superiore a quella di tutti gli altri abitanti del Weyr? Lei era circospetta per istinto.

Sì, abbastanza circospetta da aver provocato l’invasione odierna, replicò F’lar al suo drago.

«Ma… i… Signori…», stava balbettando R’gul.

«Oh, piantala,» esclamò K’net. «Se non ti avessimo ascoltato per tanto tempo, non ci troveremmo in questa situazione. Vattene in mezzo se la cosa non ti va giù, ma adesso il Comandante del Weyr è F’lar. E secondo me, era ora!»

«K’net! R’gul!» li richiamò all’ordine F’lar, urlando per farsi sentire tra le acclamazioni suscitate dalle parole impudenti di K’net. «Ecco i miei ordini,» continuò, quando tornò il silenzio. «Voglio che vengano eseguiti alla perfezione.» Guardò in viso gli uomini, uno dopo l’altro, per assicurarsi che la sua autorità non venisse più messa in discussione. Poi espose le sue intenzioni rapidamente e concisamente; e vide, soddisfatto, che l’incertezza lasciava il posto ad un rispetto pieno d’ammirazione.

Sicuro che tutti i cavalieri bronzei e marroni avevano compreso perfettamente il suo piano, chiese a Mnemneth un rapporto.

L’esercito avanzava attraverso il pianoro del lago; le prime unità erano sulla strada della Galleria, l’unico accesso al Weyr per via di terra. Mnementh aggiunse che le donne delle Fortezze stavano imparando cose molte interessanti, nel loro soggiorno al Weyr.

«In che senso?» chiese immediatamente F’lar.

Mnementh emise un rombo che, nei draghi, equivaleva a una risata. Due dei giovani verdi stavano mangiando, e questo era tutto. Ma per qualche ragione misteriosa, quell’attività del tutto normale sembrava sconvolgere le donne.

Lessa era di un’abilità diabolica, pensò F’lar tra sé, guardandosi dal rivelare a Mnementh la sua preoccupazione. Quel pagliaccio bronzeo si era fatto incantare dalla Dama del Weyr come s’era fatto incantare dalla regina. Quale fascino poteva esercitare Lessa su di un drago bronzeo?

«I nostri ospiti sono sul pianoro del lago,» disse ai dragonieri. «Sapete quali sono le vostre posizioni. Ordinate ai vostri squadroni di uscire.» Se ne andò senza voltarsi, dominando a stento l’impulso di correre per raggiungere il cornicione. Non voleva assolutamente che gli ostaggi si spaventassero troppo.

Nella valle, vicino al lago, le donne erano sorvegliate da quattro draghi verdi dei più piccoli, che comunque apparivano già enormi agli occhi degli inesperti. Erano probabilmente troppo sconvolte per l’inatteso rapimento, e non si rendevano conto che tutti e quattro i cavalieri erano poco più che adolescenti. Individuò la figura sottile della Dama del Weyr, seduta un po’ in disparte dal gruppo principale. Un pianto sommesso gli giunse alle orecchie. Guardò oltre le donne, verso i campi del pasto, e vide un drago verde scegliere una preda e abbatterla. Un altro verde era appollaiato su un cornicione, e mangiava con la tipica, frenetica avidità dei draghi. F’lar alzò le spalle e salì sul collo di Mnementh, lasciando il cornicione libero, a disposizione dei draghi che si aggiravano volando nei pressi in attesa di prelevare i rispettivi cavalieri.

Mentre Mnementh volava in cerchio su quella confusione di ali e di corpi lucenti, F’lar annuì in segno di approvazione. Un volo nuziale lungo e veloce e ad alta quota, abbinato alla promessa dell’ azione, aveva migliorato il morale di tutti.

Mnementh sbuffò.

F’lar non gli badò: guardò R’gul che radunava il suo squadrone. Quell’uomo aveva subito una sconfitta psicologica: sarebbe stato necessario trattarlo con molta prudenza. Quando i Fili avrebbero preso a cadere, R’gul avrebbe cominciato a credere, e si sarebbe ripreso.

Mnementh gli domandò se dovevano andare a prendere la Dama del Weyr.

«Lei non c’entra, in questo,» rispose secco F’lar, chiedendosi perché mai il bronzeo avesse fatto quella proposta. Mnementh rispose che, secondo lui, a Lessa sarebbe piaciuto assistere alla scena.

Gli squadroni di D’nol e di T’bor si levarono in volo in formazione perfetta. Quei due erano ottimi comandanti. K’net guidò un doppio squadrone fino all’orlo della Conca e sparì, per andare a ricomparire alle spalle dell’esercito avanzante. C’gan, il vecchio pilota azzurro, stava organizzando i più giovani.

F’lar comunicò a Mnementh di avvertire Canth, perché informasse F’nor che poteva procedere. Diede un’ultima occhiata alle Caverne Inferiori, per assicurarsi che le pietre fossero ben sistemate a chiudere le aperture e diede a Mnementh il segnale di passare in mezzo.

Là dal Weyr e dalla Conca,

bronzei, marroni, azzurri e verdi,

i Dragonieri di Pern s’innalzano:

ora li vedi e subito li perdi.

Larad, Signore di Telgar, scrutava le alture monolitiche del Weyr di Benden. La pietra striata sembrava una cascata di ghiaccio illuminata dal tramonto, e aveva un’aria non molto più accogliente. Un timore moribondo si agitò in fondo alla sua mente, al pensiero del sacrilegio che lui e il suo esercito stavano per commettere: e subito lo represse con fermezza.

Ormai il Weyr non serviva più a nulla: questo era evidente. Non c’era più bisogno che le Fortezze cedessero il frutto delle fatiche e del sudore ai pigri abitanti del Weyr. I Signori avevano avuto molta pazienza. Avevano mantenuto il Weyr soprattutto per gratitudine, in ricordo dei servizi resi un tempo. Ma i dragonieri avevano superato i limiti di quella generosità riconoscente.

Prima c’era stata quella stupida Cerca. Era stato deposto un uovo di regina. Perché i dragonieri avevano bisogno di rubare le donne più belle delle Fortezze, quando al Weyr c’erano altre femmine? Non c’era stato nessun bisogno di portar via la sorella di Larad, Kylara, che attendeva con ansia un legame ben diverso con Brant di Igen, e invece, da un giorno all’altro, era stata condotta al Weyr. E da allora, di lei non si era più saputo nulla.

Poi l’uccisione di Fax. Per quanto quell’uomo avesse nutrito ambizioni pericolose, era pur sempre del Sangue. E nessuno aveva chiesto al Weyr d’immischiarsi negli affari delle Terre Alte.

E quei furti continui. Era più che abbastanza. Oh, si poteva chiudere un occhio, finché spariva qualche capo dalle mandrie. Ma quando un drago usciva dal nulla (una facoltà, quella, che turbava profondamente Larad), e afferrava i migliori stalloni di un branco protetto e nutrito con ogni cura, era troppo!

Bisognava fare capire al Weyr che la sua posizione era subordinata. Avrebbe dovuto trovare altre soluzioni per sfamare la sua gente, perché nessuno avrebbe più inviato le dècime. Benden, Bitra e Lemos avrebbero smesso ben presto; e avrebbero dovuto rallegrarsi di veder finire la superstiziosa supremazia del Weyr.

Eppure, via via che si avvicinava alla montagna gigantesca, Larad sentiva crescere i propri dubbi, e si chiedeva in che modo i Signori sarebbero riusciti a penetrarvi. Fece segno a Meron, il cosiddetto Signore di Nabol (in realtà, lui non si fidava troppo di quel furbo ex Connestabile, che non aveva neppure una goccia del Sangue nelle vene) perché si avvicinasse a lui con la sua cavalcatura.

Meron sferzò il suo animale e lo portò al fianco di Larad.

«Non c’è altra strada per entrare nel Weyr, se non passando dalla Galleria?»

Meron scosse il capo.

«Lo confermano anche gli abitanti del luogo.» Non sembrava impressionato; ma non gli sfuggì l’espressione dubbiosa di Larad.

«Ho mandato avanti un drappello, all’orlo meridionale del Picco,» e tese la mano in quella direzione. «Potrebbe esserci una parete bassa, lì, e potremmo scalarla.»

«Hai mandato un drappello senza consultarci? Io sono stato scelto come comandante…»

«È vero,» concesse Meron, mostrando amabilmente i denti. «È stata una mia idea.»

«Ammetto che potrebbe esservi una via d’accesso, da quella parte, ma avresti fatto meglio…» Larad alzò lo sguardo verso il Picco.

«Ci hanno visti, non dubitare, Larad,» lo rassicurò Meron, scrutando con disprezzo il Weyr silenzioso. «Basterà. Diamogli l’ultimatum, e si arrenderanno, di fronte a un esercito così imponente. Si sono dimostrati vili troppe volte, ormai. Ho insultato due volte il cavaliere bronzeo che chiamano F’lar, e lui l’ha ignorato. Quale uomo si sarebbe comportato così?»

Un improvviso fruscio rombante, una sferzata dell’aria più gelida del mondo interruppero il loro dialogo. Mentre cercava di trattenere la sua bestia atterrita, Larad scorse una visione confusa di draghi d’ogni colore e d’ogni grandezza, onnipresenti. L’aria vibrava delle strida terrorizzate delle cavalcature, delle grida degli uomini sbalorditi e spaventati.

A fatica, Larad riuscì a far girare il suo animale verso i draghi.

Per il Vuoto che ci ha generati, pensò, mentre cercava di dominare la propria paura, avevo dimenticato che i draghi fossero così grandi.

All’avanguardia di quello schieramento spaventoso c’era una formazione triangolare di quattro enormi mostri bronzei; le loro ali si sovrapponevano in uno sventolio tremendo, mentre si libravano a poca distanza dal suolo. A una lunghezza di drago più in alto, era schierata una seconda fila, più lunga e più ampia, di draghi marroni. In una curva vastissima, ancora più in alto, c’erano altri draghi marroni, e azzurri e verdi. Con le ali immani sventagliavano raffiche di aria gelida su quella folla disordinata e atterrita che fino a un attimo prima era stato un esercito.

Larad si chiese da dove provenisse quel freddo penetrante. E subito dovette tirate di nuovo la briglia della sua cavalcatura, che aveva ricominciato a sgroppare.

I dragonieri si limitavano a starsene seduti sui colli dei loro mostri, in attesa.

«Di’ loro che smontino da quelle bestie e che le mandino via, così potremo discutere,» urlò Meron a Larad, mentre la sua cavalcatura piroettava urlando di terrore.

Larad segnalò ai fanti di avanzare, ma occorse l’intervento di quattro uomini per ogni animale, perché i Signori potessero smontare.

Ecco il secondo errore di calcolo, pensò amaramente Larad. Avevamo dimenticato quale effetto fanno i draghi sugli animali di Pern, uomo incluso. Sistemò la spada, si assestò i guanti sui polsi, e girò di scatto la testa verso gli altri Signori, che si fecero avanti tutti insieme.

Quando vide i Signori smontare, F’lar disse a Mnementh di passare alle prime tre file l’ordine di atterrare. Come un’ondata immane, i draghi si posarono obbedienti al suolo, ripiegando le ali con un fruscio sconvolgente.

Mnementh riferì a F’lar che i draghi erano eccitati e soddisfattissimi. Era molto più divertente dei Giochi.

F’lar gli rispose, severo, che quello non era affatto un divertimento.

«Larad di Telgar,» si presentò il primo dei Signori, con voce energica; aveva modi soldateschi e molto sicuri, per essere relativamente molto giovane.

«Meron di Nabol.»

F’lar riconobbe subito il volto scuro dai lineamenti appuntiti e dagli occhi irrequieti. Era un individuo meschino, capace di qualunque provocazione.

Mnementh trasmise a F’lar un insolito messaggio pervenutogli dal Weyr. Il dragoniere annuì impercettibilmente e continuò a rispondere alle presentazioni.

«Sono stato scelto come portavoce,» cominciò Larad di Telgar. «I Signori delle Fortezze hanno deciso all’unanimità che il Weyr ha esaurito la sua funzione. Di conseguenza, le richieste del Weyr sono inaccettabili. Non dovranno esservi più Cerche nelle Fortezze. Né scorrerie di dragonieri ai danni delle mandrie e dei granai.»

F’lar lo ascoltò con cortese attenzione. Larad aveva parlato bene e concisamente. Annuendo, F’lar scrutò attentamente, uno dopo l’altro, i Signori che gli stavano di fronte, valutandoli in fretta. Quei visi severi esprimevano convinzione e legittima indignazione.

«Io, F’lar, cavaliere di Mnementh, ti rispondo nella mia qualità di Comandante del Weyr. Ho ascoltato le vostre lagnanze. Ora ascoltate gli ordini del Comandante del Weyr.» Aveva abbandonato ogni atteggiamento distratto. Mnementh lanciò un rombo minaccioso, per sottolineare la voce metallica della sua guida che echeggiava attraverso il pianoro, in modo che anche tutto l’esercito potesse udire.

«Voi tornerete alle vostre Fortezze. Poi vi recherete nei granai e tra le mandrie. Raccoglierete una dècima giusta ed equa, e la invierete al Weyr tre giorni dopo il vostro ritorno.»

«Il Comandante del Weyr ordina ai Signori di pagare le dècime?» fece Meron di Nabol, con una risata di derisione.

F’lar fece un segnale, e altri due squadroni di dragonieri si portarono ad aleggiare sopra il contingente di Nabol.

«Il Comandante del Weyr ordina ai Signori di pagare le dècime,» confermò F’lar. «E fino al momento in cui le dècime arriveranno, ci dispiace informarvi che le dame di Nabol, Telgar, Fort, Igen, Keroon dovranno restare con noi. E anche le dame di Balan, Gar…»

Si interruppe, perché i Signori mormoravano rabbiosi ed eccitati, nell’ascoltare l’elenco degli ostaggi. F’lar comunicò a Mnementh un messaggio da inoltrare in fretta.

«Questo bluff non riuscirà,» ringhiò Meron, facendosi avanti con la mano sull’impugnatura della spada. Le scorrerie ai danni delle mandrie erano credibili: erano avvenute. Ma le Fortezze erano sacrosante! Non avrebbero mai osato…

F’lar avvertì Mnementh di far passare il segnale, e apparve lo squadrone di T’sum. Ogni cavaliere reggeva una Dama sul collo del proprio drago. T’sum mantenne la sua schiera in volo, ma abbastanza vicino perché i Signori potessero identificare quelle donne spaventate o isteriche.

Il viso di Meron fu stravolto dall’orrore e da un odio più intenso.

Larad si fece avanti, distogliendo a forza lo sguardo dalla sua Dama. Era la sua nuova moglie, e l’amava molto. Era una piccola consolazione constatare che non piangeva e non sveniva, perché era una donna serena e coraggiosa.

«Avete un vantaggio su di noi,» ammise seccamente Larad. «Ci ritireremo e invieremo le dècime.» Stava per girare sui tacchi quando Meron si spinse avanti, furioso.

«Ci sottomettiamo alle loro pretese? Chi è un dragoniere, per darci ordini?»

«Taci!» ingiunse Larad, afferrando per il braccio il Signore di Nabol. F’lar levò il braccio in un segnale imperioso. Apparve uno squadrone di draghi azzurri, che trasportavano gli scalatori del drappello inviato da Meron in avanscoperta: alcuni di loro recavano i segni della lotta con la parete meridionale del Picco di Benden.

«I dragonieri danno gli ordini. E nulla sfugge alla loro attenzione,» risuonò gelida la voce di F’lar.

«Vi ritirerete nelle vostre Fortezze. Manderete le dècime dovute, perché noi sapremo se cercherete di ingannarci. Poi, pena un bombardamento con le pietre focaie, provvederete a liberare i vostri insediamenti dalla vegetazione, sia le Fortezze che gli alloggi degli artigiani. Buon Telgar, pensa alla tua Fortezza esterna: si trova in una posizione molto vulnerabile. Svuota tutte le fosse sulle difese delle montagne. Hai permesso che si intasassero. Le miniere devono essere riaperte, e si deve fare provvista di pietre focaie.»

«Le dècime sì, ma il resto…» l’interruppe Larad.

F’lar levò il braccio al cielo.

«Guarda lassù, Signore. Guarda bene. La Stella Rossa brilla di giorno come di notte. Le montagne al di là di Ista fumano e sputano pietre fiammeggianti. I mari infuriano con le alte maree e inondano le coste. Avete tutti dimenticato le Saghe e le Ballate? Come avete dimenticato le facoltà dei draghi? Potete trascurare questi portenti che annunciano sempre la caduta dei Fili?»

Meron non l’avrebbe mai creduto, fino a quando non avesse visto i Fili argentei scendere dal cielo. Ma Larad e molti degli altri adesso credevano, notò F’lar.

«E la regina,» continuò, «si è levata in volo per accoppiarsi nel suo secondo anno. E ha volato in alto e lontano.»

Tutti coloro che gli stavano davanti alzarono di scatto la testa, spalancando gli occhi. Anche Meron sembrava sgomento. F’lar udì dietro di sé il gemito di R’gul, ma non osò guardare lui stesso, perché temeva che potesse trattarsi di un trucco.

Poi all’improvviso, al limite della visibilità, scorse nel cielo uno scintillio dorato.

«Mnementh!» scattò, e Mnementh si limitò ad emettere un gaio ruggito. In quel momento la regina si avvicinò, volando in cerchio: era uno spettacolo splendido e solenne, ammise controvoglia F’lar.

Avvolta in un fluente abito bianco, Lessa era ben visibile sul collo aureo inarcato. Ramoth rimase librata, l’apertura d’ali più ampia di quella dello stesso Mnementh, e indugiò pigramente. A giudicare dal modo in cui inarcava il collo, era evidente che Ramoth era d’ottimo umore; ma F’lar era furioso.

La vista della regina in volo aveva colpito profondamente tutti gli uomini venuti dalle Fortezze. F’lar si accorse di esserne turbato lui stesso, e vide quel turbamento riflettersi centuplicato sui volti degli uomini increduli, lo capì dal modo in cui i draghi cantilenavano, lo seppe da Mnementh.

«E naturalmente, le più grandi delle nostre Dame del Weyr, Moreta, Torene, per ricordarne solo qualcuna, sono tutte venute dalla Fortezza di Ruatha, come Lessa di Pern.»

«Ruatha…» Meron gracchiò quel nome e strinse rabbiosamente i denti, cupo in volto.

«Stanno per scendere i Fili?» chiese Larad.

F’lar annuì lentamente.

«Il tuo arpista può insegnarti a riconoscere i segni. Buoni Signori, le dècime sono necessarie. Vi renderemo le vostre donne. Le Fortezze devono essere rimesse in ordine. Il Weyr prepara Pern, poiché è impegnato a proteggerlo. Ci aspettiamo la vostra collaborazione…» E fece una pausa significativa. «E l’imporremo con la forza, se sarà necessario.»

Volteggiò sul collo di Mnementh, senza perdere di vista la regina. La vide sbattere le grandi ali d’oro, girarsi e salire più in alto.

Lessa aveva scelto proprio quel momento, quando tutte le energie e tutta l’attenzione di F’lar dovevano concentrarsi nelle trattative con i Signori: aveva scelto proprio quel momento per il suo gesto di ribellione. Perché doveva ostentare in quel modo la sua indipendenza, al cospetto di tutto il Weyr e di tutti i Signori? Provava l’impulso di inseguirla immediatamente e non poteva farlo. Prima doveva controllare che l’esercito si avviasse in ritirata, doveva dare l’ultima dimostrazione della forza del Weyr, ad edificazione dei Signori.

Digrignando i denti, segnalò a Mnementh di levarsi in volo. Gli squadroni si alzarono dietro di lui, tra guizzi e ruggiti spettacolari; sembrava che nell’aria vi fossero migliaia di draghi, non i soli duecento che il Weyr di Benden vantava.

Ormai sicuro che quella parte del suo piano strategico procedeva a dovere, ordinò a Mnementh di inseguire la Dama del Weyr, che ora stava planando ad alta quota sopra la grande Conca.

Appena avesse messo le mani su quella ragazza, le avrebbe detto un paio di cosette…

Mnementh lo informò, caustico, che dirle un paio di cosette poteva essere un’ottima idea: molto migliore che inseguire con tanta rabbia una coppia che, in effetti, stava solo provando le proprie ali. Mnementh ricordò al suo cavaliere furibondo che, in fin dei conti, il giorno innanzi il drago dorato aveva volato ben lontano, dopo aver bevuto il sangue di sei prede; ma poi non aveva più mangiato. Ramoth non sarebbe stata capace di un lungo volo se prima non avesse fatto un vero pasto. Tuttavia, se F’lar insisteva in quell’inseguimento sconsiderato e del tutto inutile, avrebbe potuto irritare Ramoth, e indurla a balzare in mezzo per sfuggirgli.

Bastò il pensiero di quelle due inesperte che finivano in mezzo a raffreddare la collera di F’lar. Riconobbe che l’opinione di Mnementh, in quel momento, era più attendibile della sua. Aveva lasciato che la collera e l’ansia influenzassero le sue decisioni, ma…

Mnementh volò in cerchio per atterrare alla Pietra della Stella; la vetta del Picco di Benden era un punto ottimo per osservare sia l’esercito in ritirata che il volo della regina.

I grandi occhi di Mnementh sembrarono vorticare, mentre il drago adattava la propria vista per vedere più lontano.

Riferì a F’lar che il cavaliere di Piyanth era preoccupato; riteneva che la vista dei draghi causasse troppo isterismo tra gli uomini e le bestie delle forze in ritirata. C’erano stati già alcuni feriti, per colpa del panico.

F’lar ordinò immediatamente a K’net di mantenere i draghi ad una quota elevata fino a quando l’esercito si fosse accampato per la notte. Comunque, avrebbe dovuto tenere sempre d’occhio il contingente degli uomini di Nabol.

Mentre Mnementh trasmetteva gli ordini, F’lar si accorse di non prestare più attenzione a quel problema. Ciò che lo interessava davvero erano quelle due femmine in volo.

Avresti fatto meglio a insegnarle a volare in mezzo, osservò Mnementh; uno dei suoi grandi occhi brillava proprio sopra la spalla di F’lar. Lei è abbastanza sveglia per imparare da sola: e allora noi che figura faremo?

F’lar represse una replica bruciante e continuò a osservare, trattenendo il respiro. All’improvviso Ramoth ripiegò le ali, e piombò attraverso il cielo come una meteora d’oro. Giunta al punto critico dalla caduta, tornò a spiegare agile le ali e risalì di nuovo.

Volutamente, Mnementh ricordò a F’lar il loro primo volo, follemente acrobatico. Un sorriso affettuoso schiuse le labbra di F’lar; all’improvviso comprese con quanto ardore Lessa doveva aver desiderato volare, con quanta amarezza doveva avere assistito alle esercitazioni dei giovani draghi, quando a lei era vietato tentare.

Ebbene, lui non era R’gul, tormentato da dubbi e indecisioni.

E lei non è Jora, gli ricordò Mnementh pungente. Le sto richiamando, aggiunse poi il drago. Ramoth sta diventando arancione opaco.

F’lar seguì con lo sguardo la regina che incominciava, obbediente, una lunga planata, inarcando e curvando le ali per frenare la tremenda velocità acquisita. Nutrita o no, poteva volare!

Montò su Mnementh, agitando il braccio per segnalare a Lessa e a Ramoth di seguirli verso i campi del pasto. Intravvide Lessa, il volto acceso di esultanza e di ribellione.

Ramoth atterrò, Lessa balzò a terra, e le indicò con un gesto di proseguire, per andare a mangiare.

Poi si voltò, seguì con gli occhi Mnementh che scendeva e si librava a poca distanza dal suolo per far smontare F’lar. Raddrizzò le spalle, alzò bellicosa il mento, preparandosi ad affrontare i suoi rimproveri. Si comportava come un ragazzino che prevedeva una punizione ed era deciso ad affrontarla in silenzio. Non era affatto pentita!

L’ammirazione per quella personalità straordinaria si sostituì all’ultima traccia della collera di F’lar. Le sorrise, mentre le si avvicinava.

Sbalordita dal quel comportamento del tutto inaspettato, Lessa indietreggiò di un passo.

«Anche le regine possono volare,» sbottò, sfidandolo.

Con un sorriso anche più ampio, F’lar le posò le mani sulle spalle e la scrollò, affettuosamente.

«Certo che possono volare,» le assicurò, in un tono pieno d’orgoglio e di rispetto. «È per questo che hanno le ali!»

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